Crash Into You di brisemarine (/viewuser.php?uid=21940)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Diary: 21/03/2007 ***
Capitolo 2: *** Wake up in the morning, stumble on my life. ***
Capitolo 3: *** Don't you feel the passion ready to explode. ***
Capitolo 1 *** Diary: 21/03/2007 ***
diary1
Dovrei
smetterla. Ma come faccio? Non lo so.
Mi sveglio nel cuore della notte e lui è
lì, che mi guarda. O forse è solo una mia
immaginazione?
Non importa. Dovrei, anzi, devo smetterla.
E’ partito. Mi ha lasciata.
Mi ha scorrettamente fatto innamorare di lui. E ora?
Ora rimane solo una grande e profonda ferita nel mio cuore;
Ricordi bellissimi ma allo stesso tempo dolorosi;
Frasi dette con sincerità, ma che non oserei ripetere ad
alta voce, per paura
che anche quelle svaniscano;
Immagini nitidi nella mia mente, che si ripropongono come flash nei
momenti
meno opportuni.
Devo dimenticarlo.
Che
lo voglia o no, ormai fa parte del passato.
Ma come faccio
a dimenticare il mio primo e vero amore?
.
.
.
.
.
.
.
.
.
Sono
due mesi che tento di trovare una soluzione, ma con scarso successo.
Purtroppo,
non basta un colpo di spugna per poter dimenticare.
So
che non dovrei far dipendere la mia felicità da lui;
…che
disperandomi in questo modo non vado da nessuna parte: lui non
tornerà;
…che
è solo questione di tempo, perché i ricordi piano
piano diventeranno solo
un alone.
Ma
so anche che lui ha lasciato un grande senso di vuoto nella mia vita,
che
niente o nessuno potrà mai colmare;
…
che non potrò amare nessun altro nel modo in cui
ho amato lui.
Queste
sono le certezze della mia esistenza in questo momento.
La
maggior parte delle cose mi scivolano addosso, come l’olio.
Ho
imparato a convivere con il mio dolore giorno dopo giorno, sperando,
invano,
che prima o poi sarebbe sparito.
Devo
davvero smettere di essere così idiota; lo devo
fare per me stessa,
per Daphne, che soffre con me.
Non
mi farò mai più condizionare la vita da un
ragazzo, e specialmente da lui.
J.
*.*.*.*.*
Finalmente
riesco a postare questa ff che avevo in mente da molto tempo. Non
pensavo di
riuscirci!! :D
I
capitoli si alterneranno con pagine di diario della protagonista;
vorrei
aggiornare una volta alla settimana, o dieci giorni, ma non posso
promettere
nulla, in quanto sono gli ultimi giorni di scuola e ci fanno sgobbare
come
matti. -__-.
Vi
lascio il link del forum che abbiamo aperto io ed Nihal_N:
http://dailydreamers.forumcommunity.net/.
Qui
troverete varie fanarts, icone, schede dei personaggi e altro! XD
(insomma
abbiamo dato sfogo alla nostra creatività! LOL).
Un
grazie enorme quanto una casa va a Sara, Nihal_N,
perché mi ha
sostenuto, ascoltato, fatto da beta reader, ma soprattutto mi ha
sopportato!
Quindi grazie mille per tutto, davvero.
Inoltre,
grazie a tutte le persone che si avventureranno in questa fic!
Giulia
|
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Capitolo 2 *** Wake up in the morning, stumble on my life. ***
[j]1.1
Chapter
0.1
Wake
up in the morning, stumble on my life.
This is the way you left me,
I'm not pretending.
No hope, no love, no glory,
No Happy Ending.
-
Mika HAPPY ENDING.
Posò la penna sul
bancone, ed osservò il via-vai di persone.
Era un'afosa giornata
d’Agosto, e Jean stava lavorando alla tavola
calda nel campus della Berkeley.
Un anno. Era passato esattamente un
anno da quando era arrivata in
quell’università.
Frequentava il secondo anno della Medical School, e
divideva l’appartamento con la sua migliore amica, Daphne
Carter.
La loro amicizia nacque durante
l’ultimo anno del liceo, quando si
erano ritrovate insieme a dover seguire i corsi pomeridiani per
l’esame
d’ammissione.
Il loro amore per lo sport, per lo
shopping sfrenato e per la Berkeley,
l’aveva spinte a frequentarsi sempre di più, fino
ad approfondire il loro
rapporto.
E in quel
piovoso giorno d’Aprile di due anni prima, entrambe
ricevettero la lettera che aspettavano con ansia: erano state ammesse
alla
Berkley, l’università dei loro sogni.
Daphne frequentava il corso di
Retorica, poi avrebbe tentato di entrare
nella Graduate School of Journalism, per diventare giornalista.
Figlia di un importante avvocato di
Los Angeles, e di una donna
francese molto bella ed elegante, era cresciuta in un ambiente
aristocratico,
circondata da figli di ricchi signori e figlie con la puzza sotto al
naso.
Daphne aveva sempre voluto
allontanarsi da quell’ambiente, dove il
valore morale più alto era di possedere più borse
Chanel possibili.
Fu questo uno dei motivi per il
quale preferì un’università statale
come la Berkley, piuttosto che una scuola privata.
I suoi genitori accettarono
volentieri la sua scelta, non volevano
imporle uno stile di vita che non le piaceva.
I suoi lunghi capelli biondo
platino, la pelle di porcellana e gli
occhi azzurrissimi, facevano di lei la perfetta ‘regina delle
nevi’; ma dietro
a questo suo aspetto, si nascondeva la sua vera natura: premurosa,
dolce,
affidabile e soprattutto onesta.
Alzò lo sguardo ed
osservò il grande orologio appeso dall’altra parte
della parete: mancavano cinque minuti alle 7.
Jean finì di posare gli
ultimi piatti puliti nella credenza, sciolse il
nodo del grembiule e si incamminò verso la stanza riservata
ai dipendenti.
Nonostante ci fosse
l’aria condizionata, faceva molto caldo e la
ragazza si sciacquò il viso prima di cambiarsi.
Si osservò allo
specchio: scure occhiaie marcavano il suo viso
asciutto.
Ultimamente non riusciva a dormire
sogni tranquilli, si svegliava
sempre in agitazione.
Dopo che si rigirava nel letto un
paio di volte, per trovare una
posizione comoda, si alzava e faceva colazione; anche se erano le 4 di
mattina.
Cercava di fare il meno rumore
possibile, per non svegliare la sua
amica.
Dopo aver mangiato i corn flakes
con un po’ di latte, rimaneva seduta,
immobile, a guardare il vuoto di fronte a sé e non si
accorgeva che il tempo
passava; era come se venisse catapultata in un mondo parallelo, dove le
cose
continuano il suo corso, mentre lei e la sua mente vagano tra i ricordi.
Inizialmente non fu affatto facile
accettare tutto ciò, quello stato di
incoscienza, torpore, le facevano ricordare tutto,
anche ciò che avrebbe
voluto archiviare.
Si mise in fretta un paio di
pantaloncini, la maglietta a maniche corte
e si fece la coda.
Uscì dallo spogliatoio e
salutò i suoi colleghi, augurando loro una
buona serata.
Appena aprì la porta,
una folata di vento fresco la colpì in pieno e
mosse leggermente i suoi capelli.
Dal lato opposto della strada, non
vi erano macchine parcheggiate,
tranne una Mini rossa. Sorrise.
Daphne era venuta a prenderla.
Il suo motorino era KO per un paio
di giorni, e l’amica si occupava di
accompagnarla al lavoro e di riportarla a casa.
Ma non faceva solo questo; era sempre
al suo fianco.
L’aiutava in ogni
circostanza, cercava il più possibile di tenerla
distratta, in modo che non avesse tempo per pensare, ricordare.
Lei era la sua medicina. Era
l’unica che fosse riuscita ad alleviare il
dolore negli ultimi mesi.
Dopo la sua
partenza, Jean si era rinchiusa in se stessa, era
taciturna e passava le giornate stesa sul divano di casa ad osservare
il
soffitto; si rifiutava di toccare cibo, di svagarsi un po’ e
di andare nei
posti che gli ricordavano lui.
Era come se fosse un fantasma, una
morta che camminava tra i vivi.
Quel brusco ed improvviso
allontanamento era stato devastante, totale.
Sembrava che dopo un periodo di
assoluta felicità, in cui si vede tutto
rosa e fiori, seguisse il periodo più buio che ci sia.
Dopo la tempesta
c’è il sole, dicono.
Ma per lei fu il contrario. Dopo il
sole ci furono tempeste, uragani,
maremoti.
Solo ora, dopo tanti mesi, riusciva
a vedere qualche raggio di sole
filtrare dalla fitta coltre di nubi nere.
E questo lo doveva solo a lei,
Daphne.
Non era facile starle accanto, lo
sapeva, e per questo le era
infinitamente grata.
La migliore migliore amica che si
possa mai avere, le aveva sempre
detto Jean.
Ed era proprio vero, era la
migliore in tutto.
Aprì lo sportello della
macchina e salì.
“Buona sera!”
esclamò la ragazza, e salutò Daphne con un bacio
sulla
guancia.
“Bonsoir.”
Rispose l’amica in perfetto francese.
La bionda mise la marcia su D ed
uscì dal parcheggio.
Il campus era ancora vuoto, le
lezioni sarebbero iniziate a fine
Settembre, e molti studenti tornavano solo alla fine del mese.
Dopo un mesetto di vacanza in
Florida, le due amiche decisero di
tornare a casa loro.
Daphne riprese il suo lavoro alla
biblioteca dell’università, e Jean
trovò lavoro come cameriera da Apple Bee.
Quel lavoro era molto stressante e
impegnativo, ma non poteva rimanere
da Starbucks, dove aveva lavorato per tutto l’anno precedente.
Si sentiva soffocare dai ricordi in
quell’ambiente, perciò decise che
era meglio licenziarsi.
Non voleva più essere un
peso per l’amica, era riuscita piano piano a
costruirsi una maschera che non lasciava trasparire i suoi sentimenti,
la sua
sofferenza.
Ma nonostante ciò, era
consapevole che Daphne riuscisse a leggerle
tutto.
Si fermarono al drive in di
McDonald’s ed ordinarono la cena.
“Com’è
andata la giornata?” chiese Jean, mentre aspettavano
l’ordinazione.
“Bene, ora
c’è tranquillità perché
molti studenti ancora non sono
tornati, ma quando inizierà la scuola sarà uno
stress.” Rispose la bionda
allungando il braccio fuori dal finestrino per prendere i panini.
Rimasero in silenzio per una
manciata di secondi, e poi l’amica riprese
a parlare.
“Sai di cosa abbiamo
bisogno?”, iniziò Jean, “di shopping,
mare e
discoteca!”
Daphne guardò
l’amica e sorrise.
“Una giornata interamente
per noi. Tanto mancano ancora due settimane
all’inizio della scuola, un po’ di svago ce lo
meritiamo.” rispose la ragazza.
“In fondo, viviamo o no
in CALIFORNIA? Guardaci, siamo l’una più bianca
dell’altra. Dovremmo goderci di più questo
sole.” Affermò Jean.
“Lontane dal lavoro, dal
campus, da tutto. Ci buttiamo nel Pacifico e
andiamo alle feste sulla spiaggia.” Continuò a
fantasticare la giovane.
L’amica
ridacchiò ed entrò nel parcheggio del loro
condominio.
Avevano comprato la casa prima
dell’inizio delle vacanze estive, e si
erano trasferite non appena furono tornate dalla Florida.
Il loro era un piccolo
appartamento, ma sufficiente; il salone e la
cucina occupavano una sala unica.
Le due camere erano collegate tra
loro con il bagno, il quale era
abbastanza spazioso da metterci un comodino, dove le ragazze poggiavano
i loro
profumi, gioielli e trucchi.
Jean sistemò i panini
sul tavolo e si sedette su una delle due sedie.
L’amica accese la
televisione e la raggiunse.
La serata trascorse
tranquillamente; entrambe non riuscivano ad andare
oltre ad una certa ora, il lavoro le stancava molto.
Perciò anche quel giorno
verso le 11, il sonno si fece sentire sempre
di più, finchè non decisero che era meglio andare
a dormire.
Jean si buttò a peso
morto sul letto e rimase in quella posizione
finchè non si addormentò.
*.*.*.*.*
Erano solo le 10, ma il sole era
già alto nel cielo e i suoi raggi
picchiavano forte sulla terra.
Daphne si portò dietro
l’orecchio una ciocca bionda, mentre metteva in
moto la macchina.
Quella mattina si era svegliata
presto e stranamente, o fortunatamente,
non aveva trovato l’amica in salotto.
Da quando erano tornate dalla
vacanza, Jean era diventata un vero e
proprio zombie.
E lei odiava vederla in quello
stato.
Anche se faceva di tutto per
nascondere la sua sofferenza, dietro ad un
sorriso tirato, riusciva lo stesso a capire le sensazioni
dell’amica.
Lei l’aveva vista
innamorarsi giorno dopo giorno, sprizzava gioia da
tutti i pori, ma ecco che un giorno tutto questo svanì.
Tutto cambiò. Come
quando si costruiscono i castelli con le carte, e
basta un niente per farli crollare; allora è difficile
ricostruire.
Doveva ammettere che entrambe non
erano molto fortunate in amore.
Era sicura che, anche se
l’amica non lo ammetteva, aspettasse il suo
ritorno; lei, invece, aveva rotto prima dell’estate con un
ragazzo con cui
stava da un paio di mesi.
Niente di serio, niente di troppo
doloroso.
Era un ragazzo gentile,
intelligente, che la rispettava ed era onesto
con lei; allora perché lo aveva lasciato?
Sentiva di non meritarlo, tutte
quelle storie “scusa-non-sei-tu-sono-io”, erano vere.
Era lei il
problema. Come si faceva a non voler bene ad una
persona del genere?
Solo dopo tanto tempo si era
accorta che il vero motivo lo aveva
davanti agli occhi.
Frenò bruscamente per
far passare un pedone che era sbucato dal nulla.
Si addentrò nel piccolo
vialetto che la conduceva al parcheggio della
grande biblioteca della scuola.
Entrò
nell’edificio, facendo un lieve rumore con le sue ballerine
nere;
salutò i colleghi e si appese al collo la tessera dei
dipendenti.
La bionda passò la
mattinata a sistemare i libri nei rispettivi
scaffali.
Quel lavoro le piaceva, amava i
libri, il silenzio, la quiete di quel
luogo.
Non c’era niente di
meglio che leggere un bel romanzo nel silenzio più
totale mentre si sorseggiava un ice chocolat di
Starbucks.
A quel pensiero, le venne davvero
voglia di quella bevanda; andò da
Pierre, amico e collega, dicendogli che si sarebbe presa una pausa di
una
decina di minuti, giusto il tempo di fare un salto al bar.
Prese velocemente il portafoglio e
si diresse a piedi, il locale era a
meno di cinque minuti dalla biblioteca.
Comprò la sua bibita in formato
maxi, e sorseggiandola beata, si
rinfrescò.
Camminava lentamente per la piccola
salita e passando vicino al parco,
vide una Jeep parcheggiata.
In un primo momento non ci fece
molto caso alla vettura, ma poi
successe una cosa che non si era mai aspettata che succedesse: il suo
cuore
perse un battito.
Appena vide chi
scese dal veicolo, sembrò quasi che l’organo si
fosse fermato.
Non credeva assolutamente che una
cosa simile le potesse accadere.
Si leggeva solo nei libri o al
limite, si vedeva nei film.
Era una strana sensazione, ma allo
stesso tempo era piacevole.
Daphne non l’aveva mai
provato prima d’ora, effettivamente non era mai
stata innamorata.
Lei era una persona molto
razionale, e agiva più con la mente che con
l’istinto; tutto doveva aveva una spiegazione logica,
razionale, persino
l’innamoramento.
E anche quel giorno
attribuì il colpo allo spavento,
più che
all’emozione di ritrovarselo di fronte.
Il giovane si tolse gli occhiali da
sole e li appese al colletto della
maglietta bianca che indossava.
Inclinò leggermente la
testa per guardare meglio la figura davanti a
lui, e quando capì chi era, sorrise.
“Su bionda,
abbracciami!” esclamò felice allargando le braccia.
Daphne non se lo fece ripetere due
volte e gli corse incontro; allacciò
le proprie braccia dietro al collo del ragazzo, il quale la
sollevò leggermente
da terra e le baciò i capelli.
“Allora bionda, come
stai?” chiese il giovane riappoggiandola a terra,
ma senza sciogliersi dall’abbraccio.
“Bene, tu? E’
tuo questo colosso?” domandò dando un paio di
colpetti al
cofano.
“Hai visto che bellezza?
E non ti dico come corre! Ti dovrò far fare un
giro al più presto!” esclamò entusiasto.
Daphne gli sorride mentre lui
continua a parlare delle qualità della
sua vettura.
Era così presa
dal suo racconto, che non si accorge che qualcuno è sceso
dalla macchina.
“Tom?” lo
richiama una ragazza dai lunghi capelli castani e un viso un
po’ troppo truccato.
“Oh Christine.”
Replica il ragazzo, allontandosi leggermente da Daphne.
La bionda li guardò per
attimo confusa.
“Lei è Daphne
e Daphne, lei è Christine, la mia ragazza.” Disse
Tom,
guardando una ragazza e poi l’altra.
“Piacere mio, Daphne. Tom
mi ha parlato molto di te.” Allungò il
braccio verso di lei e le sorrise.
“Molto piacere di fare la
tua conoscenza.” replicò Daphne ricambiando
il gesto.
Christine si avvinghiò a
Tom e gli sussurrò qualcosa all’orecchio, che
fece sorridere il ragazzo.
A quella scena, la bionda
provò una forte morsa all’altezza dello
stomaco; si congedò freddamente dai due e
proseguì il suo cammino verso la
biblioteca.
Quando stava per aprire la porta,
sentì qualcuno che la trattenne per
un braccio: Tom.
“Ehi, va tutto
bene?” domandò affettuosamente spostando una
ciocca
bionda dal viso.
A quel tocco, Daphne
sentì una scossa lungo la spina dorsale; solo lui
riusciva a farle sentire certe emozioni.
Chiuse leggermente gli occhi e
rispose: “Sto bene, tranquillo.”
“Sai che a me puoi dire
tutto, no? C’è qualcosa che non va?” fece un passo in avanti,
rendendo minima la
loro distanza.
Daphne inspirò il suo
tipico profumo, e ciò la mandò in tilt.
Si allontanò un poco da
lui per non perdere completamente la testa.
“Certo che lo
so,” gli sorrise “sono rimasta un po’
sorpresa, non
pensavo che saresti tornato con la tua ragazza.” Disse infine.
“Ah Christine…
è stata una sorpresa anche per me. Non pensavo che
saremmo durati.” si grattò nervosamente la nuca.
Un silenzio imbarazzante cadde tra
i due, l’unico rumore era quello
della porta automatica che si apriva e chiudeva al passaggio delle
persone.
“Ci vediamo in giro, Tom.
Una di queste sere vieni a cena da noi, a
Jean farà piacere rivederti.”
“Accetto più
che volentieri.” Le sorrise.
Lo salutò con un piccolo
bacio sulla guancia e rientrò nell’edificio.
Davanti alla reception, vide che
c’erano due persone: la signora Burton
ed un ragazzo.
Si avvicinò a Pierre, il
quale le presentò il nuovo arrivato.
Daphne incrociò gli
occhi del giovane, erano tra il verde ed il
nocciola, aveva i capelli scompigliati e scuri; egli le porse la mano e
sussurrò
“Sebastian.”
“Piacere
Daphne.” Rispose non troppo calorosamente.
Buttò nel cestino
più vicino il bicchiere ormai vuoto e si mise appesa
al collo la targhetta.
*.*.*.*.*.*
Dopo
un mese esatto posto finalmente il primo capitolo.
Scusate per l'attesa, ma la scuola mi stava davvero
distruggendo; ora che sono in vacanza, però, spero di
riuscire ad aggiornare regolarmente. Quindi, non vi
sbarazzerete facilmente di me! XD
Pinzyna: Grazie
mille per la tua recensione, sono rimasta colpita. (in senso positivo).
Le cose che mi hai scritto sono davvero belle e spero che continuando a
seguire questa mia storia, non ti deluderà. ^___^ . Sei
stata molto carina a scrivermi quelle cose, mi ha fatto un immenso
piacere. (un po' perchè sei stata la prima recensitrice, e
un po' perchè sei riuscita a interpretare il titolo in modo
giusto. ;)).
Sono molto contenta che la scelta del titolo ti sia piaciuta,
c'ho messo parecchio tempo, perchè volevo trovarne
uno che si adattasse perfettamente alla storia dei personaggi. (e devo
dire che sono molto soddisfatta!!! Piace moltissimo anche a me!
:D).
L'amore.. eh, che cosa strana, vero? Mi piace sognare, e questa ff
è una prova lampante.
Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto!
Nihal_N:
dico solo questo: G-R-A-Z-I-E! Se non fosse per te, questa
fic non starebbe in piedi! XD Il tuo commento mi ha fatto
molto piacere; ed è anche una soddisfazione per me postare
questa fic! I pensieri di Jean sono tristi, ma tu sai già
per quale motivo. XD Bacione!e grazie ancora!<
|
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Capitolo 3 *** Don't you feel the passion ready to explode. ***
[j]1x2
Chapter
0.2
Don't you feel the passion ready to explode.
Your hands around my waist
Just let the music play
We're hand in hand
Chest to chest
And now we're face to
face.
- Rihanna
DON’T STOP THE MUSIC.
La
radio-sveglia suonò puntualmente alle 9:00, inondando la
stanza con la voce squillante di Melanie, la DJ.
Jean era
già sveglia da qualche minuto e guardava il poster
di Justin Timberlake a petto nudo appeso alla porta.
Si
alzò dal letto quando sentì Daphne andare in
cucina, spense la radio ed aprì la porta della sua camera.
“Buongiorno
Jean!” esclamò
l’amica mentre si versava del caffè nella tazza.
“’Giorno
Daph.” Rispose sedendosi di
fronte a lei, afferrò un toast e lo iniziò ad
imburrare.
Almeno la
mattina avevano un po’ di tempo per stare insieme e
chiacchierare, cosa che era impossibile fare durante la giornata.
Le due amiche
consumarono silenziosamente la loro colazione, quando il
telefono di casa squillò.
“Pronto?”
rispose Jean alzando la
cornetta.
“Ehi!
Sono io, Justine.” disse la voce
dall’altra parte.
“Ciao
Justine! Come stai? Ti saluta Daphne.”
“Dille
che le mando un bacio,” Jean
simulò il gesto in direzione dell’amica,
“io sto benone! Sono appena tornata
dall’Australia!”
“Che
bello! Poi ci devi raccontare tutto, eh!”
“Con
molto piacere! Comunque ragazze, vi volevo
chiedere una cosa.”
“Dicci
dicci, se aspetti due secondi ti metto in viva-voce,
così sente pure Daphne.”
La ragazza
posò l’apparecchio e pigiò
un pulsante, subito la voce di Justine invase la cucina.
“Allora,
dicevo: visto che i miei ancora non sono tornati,
volevo organizzare una festa da me. Ci state? Ovviamente poi rimanete a
dormire, senza dover tornare alla Berkeley. Vi prego ditemi di
sì!!”
“Ma
certo che sì! Sai che io non mi perdo mai una
tua festa.” Rispose immediatamente Jean, sorridendo.
“E
tu bionda? Dai, non farti pregare!”
“Mi
dispiace Justine, ma stasera ho la cena con i miei; sono
appena tornati dall’Europa.” disse con un tono
dispiaciuto.
“Uffa!
Se non abitassimo troppo lontano ti chiederei di
venire dopo. Non ci sono altre soluzioni?”
“Dispiace
moltissimo anche a me. Promettimi che ne
organizzerai altre, okay?”
“Ma
certo! E la prossima volta ti voglio,dovessi venirti a
prendere in Alaska!”
Tutte e tre
risero.
“Jean,
allora ci vediamo alle 9 da me, okay?”
“Justine,
oggi stacco alle 6, se vuoi posso venire un pochino
prima così ti do una mano, che ne dici?”
“Sarebbe
perfetto, così mi consigli anche cosa
mettermi!”
“Certo,
a dopo!”
“Ciao,
Justine.”
“Ciao,
bacio ad entrambe!”
Finita la
telefonata, Jean guardò Daphne.
“Che
pizza che non vieni. Poteva essere
un’occasione per svagarsi un po’.” disse
la mora guardando l’amica.
“Io
non ho bisogno di svagarmi.”
“Mhm,
dici? Da quando è tornato Tom che sei un
po’ strana; è successo qualcosa tra
voi?” chiese Jean mettendo nel lavandino le tazze e i piatti.
“No,
è che…” la bionda
alzò lo sguardo che andò a finire
sull’orologio appeso al muro.
“Oh
mio Dio! E’ tardissimo, Jean. Muoviti! Ti
racconto tutto in macchina.”
Le ragazze si
vestirono alla velocità della luce e corsero
per le scale del loro condominio finchè non raggiunsero la
Mini parcheggiata nel garage.
Appena la
vettura partì, entrambe fecero un sospiro di
sollievo.
“Che
record, Daph! Ci abbiamo messo solo 17
minuti!” Fece notare Jean.
La ragazza
accese la radio e subito entrambe iniziarono a cantare
Umbrella di Rihanna.
La bionda si
fermò davanti al segnale di STOP e fece passare
un pedone.
“Non
mi pare di averla vista da nessuna parte, eppure non
può essere una matricola, non trovi?” disse Jean
indicando la passante.
A Daphne
bastò un secondo per riconoscerla. Quei lunghi
capelli castani che le arrivavano fino a metà schiena, gambe
lunghe e sexy, ed un bel sorriso, anche se un po’ malizioso.
“Ehi!
Jean chiama Daphne.” Disse con una voce
metallica ed agitando una mano davanti ai suoi occhi.
“Scusa,
ero…”
“Folgorata
dalla bellezza del pedone?”
Completò scherzosamente la frase Jean, la quale riprese a
canticchiare una canzone che passavano alla radio.
“Lei
è la ragazza di Tom.” disse Daphne
fissando la strada.
“Cosa?!
Tom ha una ragazza? E tu come fai a
saperlo?”
Sospirò
un paio di volte prima di rispondere.
Si ricordava
l’incontro di due giorni prima.
Era rimasta
silenziosa per tutto il tempo al lavoro, risultando anche
abbastanza scorbutica con il nuovo arrivato; sentì Pierre
sussurrare a Sebastian “In genere è una
chiacchierona, non so cos’abbia oggi.”
“L’altro
ieri, mentre ero andata un attimo da
Starbucks, vidi Tom che usciva da una Jeep. Ci salutammo e parlammo un
po’, quando uscì quella ragazza di prima. Mi sono
sentita di troppo e me ne sono andata.”
“Mhm,
io l’ho vista di sfuggita, ma non mi sembra
un granchè.”
“Ti
sbagli, è davvero bella. Belle gambe, fisico
mozzafiato, capelli lisci lisci e bel sorriso.”
“Ehi!
Ma questo è il mio ritratto!”
esclamò Jean, suscitando la risata dell’amica.
“Comunque
sul serio, Daph.” Proseguì
abbassando il volume della radio, “Sarà pure
bella, ma tu lo sei di più. Insomma, non hai niente da
invidarle. Hai un bel fisico pure tu e poi GTC.”
“GTC?”
chiese girandosi verso la mora.
“Gambe,
tette e culo. E inoltre sei bionda, hai il fascino
della misteriosa; cosa vuoi di più?”
“Jean,
non parleresti così se l’avessi
vista. Ti giuro che è davvero una bella ragazza.”
sospirò la bionda.
L’amica
fece una smorfia e riprese a parlare.
“Naaah!
Non ti credo.”
Arrivarono
davanti alla tavola calda dove lavorava Jean,
l’insegna luminosa ‘Apple Bee’ era ancora
spenta.
“Ci
vediamo più tardi, allora. Buona giornata
Daph. E non pensare troppo a quella Christina.”
Stampò un bacio sulla guancia dell’amica e scese
dalla vettura.
“Christine.
Comunque grazie altrettanto, Jean.”
Vide
l’amica entrare nell’edificio e si diresse
pure lei al lavoro.
Si sentiva
più stanca del solito, era come se qualcosa le
avesse risucchiato tutta l’energia che aveva.
Jean aveva
ragione, non doveva pensare a Christine.
E poi, a cosa
sarebbe servito? Lei rimaneva sempre la ragazza di Tom.
Aprì
lo sportello della macchina, ma colpì
qualcosa. O meglio, qualcuno.
“Ahi!”
esclamò una voce.
“Scusami
tantissimo, non ho controllato prima di aprire. Mi
dispiace molto, ti sei fatto male?”
La bionda
scese rapidamente dalla vettura e si avvicinò
all’infortunato.
“Non
ti preoccupare, sto bene.” La
rassicurò il ragazzo.
Daphne lo
riconobbe, era il nuovo arrivato.
“E’
colpa mia, andavo di fretta per paura di fare
tardi al lavoro.” Le sorrise guardandola nelle iridi azzurre.
La ragazza
fece un sorriso timido ed abbassò lo sguardo, i
suoi occhi sembravano in grado di leggerle dentro.
Sebastian
l’affiancò e camminarono in silenzio.
“Non
abbiamo avuto modo di parlare molto.”
Cominciò il ragazzo.
“Sì…
mhm… io… in
questi giorni ero molto in sovrapensiero.”
“Sì,
l’ho notato. Pierre ti doveva
chiamare almeno una dozzina di volte, prima che ti voltassi.”
Daphne sorrise
a quella battuta, era proprio vero che aveva la testa
fra le nuvole.
Le capitava
sempre più spesso di pensare a Tom; era
finalmente riuscita ad ammettere a se stessa che le piaceva, ma era
troppo tardi, perché lui aveva già
un’altra.
“Prima
le signore.”disse il giovane, interrompendo
i pensieri della bionda e facendola passare per prima attraverso la
porta automatica.
*.*.*.*.*.*
“Ehi
Sam, un doppio cheeseburger e un baconburger,
grazie!” disse Jean al ragazzo nella cucina.
Si
sistemò il grembiule ed andò a servire un
altro tavolo.
Il locale si
stava piano piano riempiendo, era quasi l’ora di
pranzo.
Era felice
quella mattina. Forse per la serata a casa di Justine,
oppure perché non si sentiva più tanto oppressa
dai ricordi.
Ultimamente
riusciva a dormire per 7 ore di fila, senza svegliarsi nel
cuore della notte. Un nuovo record da segnare.
Canticchiava
mentre puliva un tavolo e pensava a cosa mettersi quella
sera.
-Flashback-
“Così
giochi a calcio?” chiese il
ragazzo avvicinandosi al bancone dove Jean stava lavorando.
“Sì.”
rispose la ragazza guardandolo
timidamente, ancora non si era dimenticata la figuraccia che aveva
fatto poco prima.
Ma cosa le era
saltato in mente? Entrare nello spogliatoio ballando e
cantando? Ovviamente il destino le aveva voluto fare uno scherzo: in
quell’istante, in quel luogo, c’era il proprio
datore di lavoro che parlava con Justine.
Era sicura che
l’avrebbe licenziata, per atti osceni in
pubblico. O per la poca serietà che mostrava. Ma il signor
Scott scoppiò in una fragorosa risata, sorprendendo la
ragazza.
Solo in
seguito Jean si accorse che accanto a lui c’era un
ragazzo. Un bel ragazzo, a dire il vero. Alto, capelli biondo cenere,
spalle larghe, bel didietr… ehm, sorriso.
La prima cosa
che la colpì furono gli occhi. Non soltanto
perché erano di un azzurro che ricordava molto il ghiaccio,
ma perché erano magnetici. Due calamite da cui era difficile
staccarsi.
Jean rimaneva
ipnotizzata, non riusciva a distogliere lo sguardo.
“Ho
per caso qualcosa in faccia?” chiese il
ragazzo, portando la giovane alla realtà.
“No,
no… è che i tuoi occhi…
sono…”
“Freddi?”
completò la frase ironicamente.
“No…
cioè sì…
però sono belli.” Le parole le uscirono dalla
bocca automaticamente, senza chiedere prima il permesso al cervello di
dire una cosa simile.
“Grazie.
Anche i tuoi sono molto belli, intensi e hanno un
bel taglio.”
Ancor
più imbarazzata, Jean iniziò a pulire
freneticamente il bancone con uno straccio.
“Comunque,”
riprese a parlare, rompendo il silenzio
imbarazzante che si era creato, “io sono Jason,
piacere.” Allungò la mano in direzione della
ragazza, la quale gliela strinse mormorando il proprio nome.
“Sai
Jean, che gioco pure io a calcio?”
Se fino a quel
momento desiderava che un fulmine la colpisse, ora si
sentiva senza vergogna né imbarazzo; aveva pronunciato la
parola magica. Calcio.
Aveva una vera
e proprio passione per quello sport fin da quando era
una bambina. La madre era disperata, le ripeteva che sarebbe diventata
un maschiaccio a forza di giocare con gli altri bambini.
“Davvero?”
chiese, il ragazzo potè
notare che i suoi occhi si illuminarono.
“Sì,
amo il calcio da quando ho imparato a
camminare. Gli altri bambini giocavano con le macchinine, robot, ed
altro, mentre io volevo solo una palla e quando non c’era, me
la costruivo da solo.”
Jean rise di
gusto, anche lei da piccola preferiva giocare con la palla
piuttosto che con le bambole: era inutile regalargliele, le staccava
sempre la testa.
“E
giochi nella squadra della scuola?”
“No,
ma ho visto che tra due settimane fanno le selezioni per
i nuovi arrivati. Mi allenerò e spero di poter
entrare.”
“Ah
giusto, le selezioni. Fatti valere, allora.”
* Fatti
valere? Ma che cavolata ho detto? Non potevo starmene zitta?
*
pensò subito dopo aver pronunciato quelle parole. Forse era
il caso di pensare prima di parlare. Forse.
“Grazie.”
Le fece un sorriso, in quel momento i
suoi occhi erano diventati dolci.
Jean avrebbe
voluto continuare a parlare con lui, ma il lavoro la
chiamava.
Dopo circa 20
minuti, quando pensava che ormai Jason se ne fosse
andato, ritornò alla sua postazione al bancone, ma con sua
sorpresa vide il giovane seduto con la testa appoggiata al palmo aperto
della mano.
“Vuoi
che ti porti qualcosa?” chiese Jean.
“Ah
sì, grazie. Un bicchiere d’acqua
è più che sufficiente.”
Quando la
ragazza gli porse il bicchiere, le loro dite si sfiorarono.
A quel tocco,
Jean arrossì un poco. Si maledisse mentalmente
di essere così idiota, non l’aveva mica baciata, a
quel pensiero arrossì più vistosamente.
Il momento
imbarazzante venne interrotto quando i giocatori di football
entrarono e, soprattutto, quando si avvicinò uno in
particolare.
“Buondì,
Cameriera!” La voce
inconfondibile di Milo Parker la chiamò.
“Parker,
posso fare qualcosa per te?” chiese un
poco scocciata.
Quel ragazzo
veniva ogni sera alla stessa ora e si metteva
lì a chiacchierare con lei, o meglio a prenderla in giro con
varie allusioni sessuali.
“Molto
più che qualcosa.” rispose
maliziosamente il ragazzo.
Jean
roteò gli occhi prima di ricominciare a fare i calcoli
e scrivere i conti della giornata su un piccolo quaderno.
Justine le si
avvicinò e le diede una gomitata.
“Allora,
me lo dici come fai?” chiese a bassa voce.
“A
fare cosa?” domandò senza distogliere
lo sguardo dalla calcolatrice.
“Come
a fare cosa?! Ad attirare ragazzi! Dici che dovrei
iniziare a giocare a calcio pure io?”
“Jus,
non so se ti rendi conto quando dici ‘che
attiro ragazzi’. Milo Parker non si può nemmeno
definire ‘ragazzo’. Tratta le donne come oggetti,
le uniche cose che gli interessano sono il sesso e il football.
E’ un pallone gonfiato, buffone, pieno di sé ed
arrogante. Jason, invece, mi ha chiesto delle cose sul calcio e stop.
Quindi non credo proprio di aver ‘attirato’
qualcuno.” Concluse la frase imitando la sua voce.
“Bella
mia, fattelo dire ma, hai proprio bisogno di un paio
d’occhiali: Milo è arrogante e blablabla, ma
è un super figo. Questo Jason direi che lo possiamo
aggiungere alla lista.” Si girò un momento per
osservare la figura del ragazzo giocare con il bicchiere ormai vuoto.
“Quale
lista?” chiese inarcando un sopraciglio.
“Oh
mio Dio, Jean! Ma ti devo insegnare proprio tutto? La
lista dei ragazzi che dovremmo farci entro la fine
dell’università!”
“E
non dirmi che c’è pure
Parker.”
“Ovvio
che c’è!”
“Justine,
un giorno mi spiegherai cosa ci trovi in
lui.”
“Certo,
certo. Ti racconterò tutti i
dettagli!”
Jean
sorrise, prese uno straccio e glielo lanciò
scherzosamente.
-Fine
flashback-
“Ehi
compagno!” esclamò un ragazzo moro
con i capelli corti, avvicinandosi all’amico.
“Nathaniel.”
Rispose il biondo dando una leggera
pacca sulla sua spalla.
“Hai
da fare questa sera?” chiese Nat.
“Niente
di particol… azzz! Sì! Ho la
cena dai miei. Avevi in mente qualcosa?”
“Dimmi
un po’, Carter,” iniziò
la frase con aria solenne, “da quant’è
che non ci imbuchiamo ad una festa?”
“Mhm…”
l’amico fece finta di
pensare strofinandosi il mento con una mano. “Due
settimane?”
“Esatto!
E cosa c’è stasera? Una festa a
casa di una ragazza, un’amica di un’amica di
Francesca. Che ne dici, allora?”
“Devo
andare a Los Angeles, non so se faccio in
tempo.” Disse l’amico.
“Eddai!
Mica ti puoi perdere una festa del genere? Scommetto
che ci saranno un sacco di ragazze!”
“Ma
i miei sono appena tornati, devo andarli a
salutare...”
“E
se ci vai a pranzo, invece che a cena? Così poi
vieni? Che te ne pare? Non abbandonarmi in questo modo, Matt!”
“Veramente
sei tu quello che mi abbandona, Nat. Ti infratti
con Francesca appena hai l’occasione.”
“Però
mica ti lascio da solo, sei sempre in
compagnia di qualche bella pulzella.”
“Non
posso darti torto amico.”
Entrambi
risero. Si divertivano in quel modo: si imbucavano alle feste,
rimorchiavano e poi fine. Nessuna relazione duratura, nè si
facevano risentire con le ragazze; anzi, la maggior parte delle volte
si dimenticavano persino il loro nome. Giusto il gusto
dell’avventura.
Nat aveva
conosciuto Francesca due settimane prima, e si era divertito
così tanto con lei che l’aveva contattata. Ma
chissà quanto sarebbe durata.
Matt invece
era il classico ragazzo da ‘una botta e
via’, odiava qualsiasi vincolo, legami, relazione; ai tempi
del liceo stava con una ragazza, Lina, e credeva di esserne innamorato,
finchè non scoprì che lei se la faceva con un
altro.
Era rimasto
così scottato che decise di non voler mai
più una relazione. Tanto l’amore non esisteva.
Il biondo
tirò fuori il cellulare dalla tasca e compose il
numero di casa, avvertendo i genitori che sarebbe arrivato per
l’ora di pranzo.
*.*.*.*.*.*
“Daph!
Mi serve il tuo aiuto!” urlò Jean
dalla sua camera.
“Arrivo,
arrivo!” rispose la bionda mentre si
metteva un orecchino.
Daphne
trovò l’amica in accappatoio ed i capelli
legati in una lunga coda.
“Ma
sei uno schianto, Daph!” esclamò
Jean appena la vide.
La ragazza
indossava un abito viola scuro con le bretelline nere, era
molto aderente e le arrivava fin sopra il ginocchio; teneva i capelli
sciolti che le ricadevano morbidi sulle spalle.
“Grazie
J, ma direi che anche tu stai molto bene con
l’accappatoio; lancerai una nuova moda.”
“Spiritosa.”
Prese un cuscino dal letto e glielo
lanciò.
“Comunque
pensavo di mettermi i pantaloncini neri, che ne
dici? Però il problema è cosa mettermi
sopra.” disse la mora guardando le magliette che aveva posato
sul suo letto.
“Mhm…
potresti provarti questo, non
l’hai indossato spesso.” Rispose Daphne, prendendo
una maglietta blu elettrico con le bretelle larghe ed
un’ampia scollatura
“Ora
me la provo, però direi che mi metto un top
nero sotto, sennò sono con le tette
all’aria!”
Si mise
velocemente i vestiti e si guardò allo specchio.
“Mhm…
mi piace questa combinazione! Grazie mille
Daph.”
“Figurati,
vedrai che stasera rimorchierai! Poi voglio un
resoconto dettagliato. Io scappo che sennò rischio di
perdere il pullman.” Le si avvicinò e le
stampò un bacio sulla guancia.
“Grazie
ancora Daph. Ci vediamo domani mattina!
Bacio.”
Vide
l’amica uscire dalla stanza e si diresse verso il
comodino.
Si
truccò leggermente, indossò un cerchietto
nero, un paio d’orecchini grandi ed il braccialetto della
Tiffany che le aveva regalato Daphne.
Completò
il tutto con un paio di sandali dello stesso colore
della maglietta.
Prese la
borsa, le chiavi del motorino ed uscì di casa.
Salì
sulla vettura ed imboccò la via principale.
La casa
– o meglio, la villa – di Justine si
trovava nel cuore di S. Francisco, un’ora da Oakland.
Riuscì
facilmente a trovare la via dell’amica, e
subito si trovò di fronte ad una grande villa a due piani.
Entrò
nel vialetto che conduceva verso la porta d'ingresso,
ma svoltò a destra e parcheggiò il motorino nella
parte posteriore della casa.
In quella
parte del giardino vi era una grande piscina, circondata da
sedie ed ombrelloni.
La governante
fece entrare Jean e subito la ragazza si trovò
nello spazioso ingresso di casa Collins.
Si diresse
verso il salotto, il quale era stato trasformato in una vera
e propria discoteca: vi era un piccolo palco con accanto
l’angolo del DJ, dalla parte opposta c’erano delle
poltroncine nere e il bar.
“Jean!”
esclamò la padrona di casa
andandole incontro.
“Justine!
Ti sei data da fare, eh? Comunque il salotto
è perfetto, non vedo l’ora di inaugurare il
palco!”
“Grazie
tesoro! Adesso seguimi che ti mostro la stanza dove
dormirai.”
La prese sotto
braccio e salirono le scale; la camera che le
mostrò Justine era molto spaziosa ed aveva anche il bagno.
Jean
posò la sua borsa in una poltroncina vicino al letto
matrimoniale.
* Qui si
potrebbe dormire persino in tre! * pensò la
ragazza.
“Grazie
per l’ospitalità, Jus. Ma
veniamo a te: hai già deciso cosa metterti?”
“Scherzi?
Sono nel panico più assurdo! Aspettavo
solo te!”
*.*.*.*.*.*
“Daphne,
devi assolutamente andare in Italia! I ragazzi sono
davvero bellissimi, pensa che la maggior parte di loro sono calciatori,
quindi non ti dico il fisico che possono avere! E poi si sa, gli
italiani sono più bravi…”
“Noto
con piacere che hai ammirato le città
italiane, Cassandra.” La interruppe il padre scherzosamente.
La biondina
abbassò lo sguardo e diventò rossa
per l’imbarazzo.
I genitori e
Daphne scoppiarono a ridere, quella ragazza era un
terremoto.
Aveva sempre
qualche aneddoto da raccontare, era dotata di carisma ed
attirava tutti come una calamita.
I
suoi lunghi capelli biondi, marchio dei figli della
famiglia Carter, incorniciavano il suo bel viso sempre allegro.
Anche quella
sera si era lasciata andare, raccontando le loro
– soprattutto sue – avventure in Europa.
La prima
mezz’ora aveva passato ad elogiare la romantica
Parigi e poi si era buttata a capofitto su una classifica dettagliata
dei ragazzi più belli.
Alla fine
avevano vinto gli italiani, secondo lei, perfetti.
“Sai
Daph che Matt è diventato veramente figo? Ora
che si è fatto crescere il pizzetto ha un’aria
più matura; poi ha messo su i muscoli, prima mi ha fatto
sentire i suoi bicipiti.”
“Matt
è venuto? Perché stasera non
c’è?” chiese sorpresa.
“Sì,
cara. Era venuto a pranzo, perché
stasera aveva una festa importante.” rispose dolcemente la
madre.
* Immagino la
festa importante, solo per rimorchiare! *
pensò Daphne facendo una smorfia.
*.*.*.*.*.*
C’erano
circa centocinquanta persone nel grande salotto,
molti si scatenvano al ritmo della musica, altri erano seduti sulle
poltroncine nere e cercavano di chiacchierare – e non solo -
con la loro conquista.
Jean, Sophia
ed Alex stavano ballando da circa quattro ore, mentre
Justine era sparita.
“Ehi,
sto morendo di caldo ci prendiamo qualcosa da
bere?” urlò Alex per sovrastare la musica.
“Okay!”
risposero le due ragazze.
Come ogni
party che si rispetti, l’alcol non era mancato;
Justine aveva trovato un modo per introdurre gli alcolici senza che la
polizia s’intromettesse.
Al bar vi
erano cinque baristi – molto giovani ed
affascinanti – che servivano i drinks.
“Tre
vodka lemon, grazie.” disse Sophia al ragazzo
più vicino.
“Chissà
che fine avrà fatto
Jus.” disse Jean mentre sorseggiava il drink.
“Io
l’ho vista allontarnarsi con un ragazzo
moro…” rispose Alex.
“Moro?
Ma se io l’ho vista con un
biondo!” esclamò Sophia.
Le tre amiche
scoppiarono a ridere. L’effetto
dell’alcol si stava facendo sentire: cominciarono a sentirsi
allegre, ridevano per un niente ed attaccavano facilmente bottone anche
con gli sconosciuti, cosa che non facevano da sobrie.
Avevano
alternato al ballo momenti di riposo con un bel bicchiere di
alcol.
Erano
piuttosto brille e sicuramente il giorno dopo non si sarebbero
ricordate nulla.
Ripresero a
ballare, muovendosi sulle note di Sexyback.
“Wow!
Se ci fosse Justin qui, non esiterei a
farmelo!” urlò Jean alle due amiche.
“A
chi lo dici? Io gli salterei proprio addosso, gli
strapperei tutti i vestiti e…” ma Alex non
potè completare la frase che un ragazzo le passò
un braccio intorno alla vita e la tirò a sé,
scomparendo tra la folla.
“Ohhhh!
Hai visto? Dopo quattro ore, finalmente ha
rimorchiato!” esclamò Jean, scoppiando nuovamente
a ridere.
“Beh,
veramente abbiamo cacciato via i pretendenti per tutto
il tempo, non te lo ricordi?!” rispose Sophia ridendo.
Le ragazze non
si accorsero che nel frattempo due giovani stavano
ballando dietro di loro.
In quel
momento nessuna delle due era nelle proprie facoltà
mentali, avrebbero fatto qualsiasi cosa senza accorgersene.
Uno dei due
giovani abbracciò Jean da dietro e
l’allontanò dall’amica; iniziarono a
ballare lentamente, seguendo la musica.
“Io
sono Matt, tu?” le sussurrò
all’orecchio lo sconosciuto.
“Jean.”
rispose girandosi verso di lui.
Incrociò
il suo sguardo, i suoi occhi erano di un blu molto
intenso e brillavano, segno che anche lui aveva bevuto.
“E
dimmi, Jean, hai un ragazzo?” chiese
sensualmente, avvicinandosi sempre di più.
La ragazza gli
sorrise ed allacciò le sue braccia dietro il
suo collo.
“Se
lo avessi, non sarei qui con te, non trovi
playboy?” rispose rendendo minima la distanza tra le loro
labbra.
Una vocina,
ancora non affetta dall’alcol, le diceva che era
sbagliato, che non doveva lasciarsi andare in quel modo con uno
sconosciuto; ma ormai era troppo tardi, l’alcol aveva vinto
anche sul suo buon senso.
Poco dopo si
ritrovarono a baciarsi in una stanza e ciò che
era un semplice ed innocente bacio, era diventato molto passionale,
travolgente.
I vestiti
volarono a terra, mentre non si saziavano mai l’uno
dell’altro.
*.*.*.*.*.*
Prima di tutto
mi scuso per il ritardo mostruoso >_< ma
di mezzo ci sono state le vacanze e io sono stata via un mese e
mezzo... scusate tanto!
Prometto che
il prossimo capitolo lo posterò presto!
Passando ai
ringraziamenti:
avril1113
Nihal_N
_NovemberThree_
Grazie per
aver aggiunto ai preferiti questa mia storia! Vi mando un
abbraccio virtuale ;) ;)
Nihal_N:
Grazie per le fantastiche parole! E' anche grazie a te che i miei
personaggi hanno questo carattere.. non potrò mai
ringraziarti abbastanza! :* (Mi segui anche se sai già tutto
in anteprima! XD) Bacione!
_NovemberThree_:
Sono davvero contenta che la storia ti piaccia; ma la cosa che mi fa
ancora più felice è che tu ti rivedi in qualche
personaggio, vuol dire che sto riuscendo a renderli reali :D :D Grazie
mille ancora! E spero che questo capitolo ti sia piaciuto ^_^
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