Crash Into You

di brisemarine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Diary: 21/03/2007 ***
Capitolo 2: *** Wake up in the morning, stumble on my life. ***
Capitolo 3: *** Don't you feel the passion ready to explode. ***



Capitolo 1
*** Diary: 21/03/2007 ***


diary1
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Dovrei smetterla. Ma come faccio? Non lo so.
Mi sveglio nel cuore della notte e
lui è lì, che mi guarda. O forse è solo una mia immaginazione?
Non importa. Dovrei, anzi, devo smetterla.
E’ partito. Mi ha lasciata.
Mi ha scorrettamente fatto innamorare di lui. E ora?
Ora rimane solo una grande e profonda ferita nel mio cuore;
Ricordi bellissimi ma allo stesso tempo dolorosi;
Frasi dette con sincerità, ma che non oserei ripetere ad alta voce, per paura che anche quelle svaniscano;
Immagini nitidi nella mia mente, che si ripropongono come flash nei momenti meno opportuni.

Devo dimenticarlo.

Che lo voglia o no, ormai fa parte del passato.
Ma come faccio a dimenticare il mio primo e vero amore?
.
.
.
.
.
.
.
.
.

Sono due mesi che tento di trovare una soluzione, ma con scarso successo.
Purtroppo, non basta un colpo di spugna per poter dimenticare.
So che non dovrei far dipendere la mia felicità da lui;
…che disperandomi in questo modo non vado da nessuna parte: lui non tornerà;
…che è solo questione di tempo, perché i ricordi piano piano diventeranno solo un alone.
Ma so anche che lui ha lasciato un grande senso di vuoto nella mia vita, che niente o nessuno potrà mai colmare;
… che non potrò amare nessun altro nel modo in cui ho amato lui.
Queste sono le certezze della mia esistenza in questo momento.
La maggior parte delle cose mi scivolano addosso, come l’olio.
Ho imparato a convivere con il mio dolore giorno dopo giorno, sperando, invano, che prima o poi sarebbe sparito.
Devo davvero smettere di essere così idiota; lo devo fare per me stessa, per Daphne, che soffre con me.
Non mi farò mai più condizionare la vita da un ragazzo, e specialmente da lui.

J.

*.*.*.*.*

Finalmente riesco a postare questa ff che avevo in mente da molto tempo. Non pensavo di riuscirci!! :D

I capitoli si alterneranno con pagine di diario della protagonista; vorrei aggiornare una volta alla settimana, o dieci giorni, ma non posso promettere nulla, in quanto sono gli ultimi giorni di scuola e ci fanno sgobbare come matti. -__-.

Vi lascio il link del forum che abbiamo aperto io ed Nihal_N: http://dailydreamers.forumcommunity.net/.

Qui troverete varie fanarts, icone, schede dei personaggi e altro! XD (insomma abbiamo dato sfogo alla nostra creatività! LOL).

Un grazie enorme quanto una casa va a Sara, Nihal_N, perché mi ha sostenuto, ascoltato, fatto da beta reader, ma soprattutto mi ha sopportato! Quindi grazie mille per tutto, davvero.

Inoltre, grazie a tutte le persone che si avventureranno in questa fic!

Giulia

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Capitolo 2
*** Wake up in the morning, stumble on my life. ***


[j]1.1

Chapter 0.1

Wake up in the morning, stumble on my life.

This is the way you left me,
I'm not pretending.
No hope, no love, no glory,
No Happy Ending.

- Mika HAPPY ENDING.

Posò la penna sul bancone, ed osservò il via-vai di persone.
Era un'afosa giornata d’Agosto, e Jean stava lavorando alla tavola calda nel campus della Berkeley.
Un anno. Era passato esattamente un anno da quando era arrivata in quell’università.
Frequentava il secondo anno della Medical School, e divideva l’appartamento con la sua migliore amica, Daphne Carter.
La loro amicizia nacque durante l’ultimo anno del liceo, quando si erano ritrovate insieme a dover seguire i corsi pomeridiani per l’esame d’ammissione.
Il loro amore per lo sport, per lo shopping sfrenato e per la Berkeley, l’aveva spinte a frequentarsi sempre di più, fino ad approfondire il loro rapporto.
E in quel piovoso giorno d’Aprile di due anni prima, entrambe ricevettero la lettera che aspettavano con ansia: erano state ammesse alla Berkley, l’università dei loro sogni.
Daphne frequentava il corso di Retorica, poi avrebbe tentato di entrare nella Graduate School of Journalism, per diventare giornalista.
Figlia di un importante avvocato di Los Angeles, e di una donna francese molto bella ed elegante, era cresciuta in un ambiente aristocratico, circondata da figli di ricchi signori e figlie con la puzza sotto al naso.
Daphne aveva sempre voluto allontanarsi da quell’ambiente, dove il valore morale più alto era di possedere più borse Chanel possibili.
Fu questo uno dei motivi per il quale preferì un’università statale come la Berkley, piuttosto che una scuola privata.
I suoi genitori accettarono volentieri la sua scelta, non volevano imporle uno stile di vita che non le piaceva.
I suoi lunghi capelli biondo platino, la pelle di porcellana e gli occhi azzurrissimi, facevano di lei la perfetta ‘regina delle nevi’; ma dietro a questo suo aspetto, si nascondeva la sua vera natura: premurosa, dolce, affidabile e soprattutto onesta.
Alzò lo sguardo ed osservò il grande orologio appeso dall’altra parte della parete: mancavano cinque minuti alle 7.
Jean finì di posare gli ultimi piatti puliti nella credenza, sciolse il nodo del grembiule e si incamminò verso la stanza riservata ai dipendenti.
Nonostante ci fosse l’aria condizionata, faceva molto caldo e la ragazza si sciacquò il viso prima di cambiarsi.
Si osservò allo specchio: scure occhiaie marcavano il suo viso asciutto.
Ultimamente non riusciva a dormire sogni tranquilli, si svegliava sempre in agitazione.
Dopo che si rigirava nel letto un paio di volte, per trovare una posizione comoda, si alzava e faceva colazione; anche se erano le 4 di mattina.
Cercava di fare il meno rumore possibile, per non svegliare la sua amica.
Dopo aver mangiato i corn flakes con un po’ di latte, rimaneva seduta, immobile, a guardare il vuoto di fronte a sé e non si accorgeva che il tempo passava; era come se venisse catapultata in un mondo parallelo, dove le cose continuano il suo corso, mentre lei e la sua mente vagano tra i ricordi.
Inizialmente non fu affatto facile accettare tutto ciò, quello stato di incoscienza, torpore, le facevano ricordare tutto, anche ciò che avrebbe voluto archiviare.
Si mise in fretta un paio di pantaloncini, la maglietta a maniche corte e si fece la coda.
Uscì dallo spogliatoio e salutò i suoi colleghi, augurando loro una buona serata.
Appena aprì la porta, una folata di vento fresco la colpì in pieno e mosse leggermente i suoi capelli.
Dal lato opposto della strada, non vi erano macchine parcheggiate, tranne una Mini rossa. Sorrise.
Daphne era venuta a prenderla.
Il suo motorino era KO per un paio di giorni, e l’amica si occupava di accompagnarla al lavoro e di riportarla a casa.
Ma non faceva solo questo; era sempre al suo fianco.
L’aiutava in ogni circostanza, cercava il più possibile di tenerla distratta, in modo che non avesse tempo per pensare, ricordare.
Lei era la sua medicina. Era l’unica che fosse riuscita ad alleviare il dolore negli ultimi mesi.
Dopo la sua partenza, Jean si era rinchiusa in se stessa, era taciturna e passava le giornate stesa sul divano di casa ad osservare il soffitto; si rifiutava di toccare cibo, di svagarsi un po’ e di andare nei posti che gli ricordavano lui.
Era come se fosse un fantasma, una morta che camminava tra i vivi.
Quel brusco ed improvviso allontanamento era stato devastante, totale.
Sembrava che dopo un periodo di assoluta felicità, in cui si vede tutto rosa e fiori, seguisse il periodo più buio che ci sia.
Dopo la tempesta c’è il sole, dicono.
Ma per lei fu il contrario. Dopo il sole ci furono tempeste, uragani, maremoti.
Solo ora, dopo tanti mesi, riusciva a vedere qualche raggio di sole filtrare dalla fitta coltre di nubi nere.
E questo lo doveva solo a lei, Daphne.
Non era facile starle accanto, lo sapeva, e per questo le era infinitamente grata.
La migliore migliore amica che si possa mai avere, le aveva sempre detto Jean.

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Ed era proprio vero, era la migliore in tutto.
Aprì lo sportello della macchina e salì.
“Buona sera!” esclamò la ragazza, e salutò Daphne con un bacio sulla guancia.
“Bonsoir.” Rispose l’amica in perfetto francese.
La bionda mise la marcia su D ed uscì dal parcheggio.
Il campus era ancora vuoto, le lezioni sarebbero iniziate a fine Settembre, e molti studenti tornavano solo alla fine del mese.
Dopo un mesetto di vacanza in Florida, le due amiche decisero di tornare a casa loro.
Daphne riprese il suo lavoro alla biblioteca dell’università, e Jean trovò lavoro come cameriera da Apple Bee.
Quel lavoro era molto stressante e impegnativo, ma non poteva rimanere da Starbucks, dove aveva lavorato per tutto l’anno precedente.
Si sentiva soffocare dai ricordi in quell’ambiente, perciò decise che era meglio licenziarsi.
Non voleva più essere un peso per l’amica, era riuscita piano piano a costruirsi una maschera che non lasciava trasparire i suoi sentimenti, la sua sofferenza.
Ma nonostante ciò, era consapevole che Daphne riuscisse a leggerle tutto.
Si fermarono al drive in di McDonald’s ed ordinarono la cena.
“Com’è andata la giornata?” chiese Jean, mentre aspettavano l’ordinazione.
“Bene, ora c’è tranquillità perché molti studenti ancora non sono tornati, ma quando inizierà la scuola sarà uno stress.” Rispose la bionda allungando il braccio fuori dal finestrino per prendere i panini.
Rimasero in silenzio per una manciata di secondi, e poi l’amica riprese a parlare.
“Sai di cosa abbiamo bisogno?”, iniziò Jean, “di shopping, mare e discoteca!”
Daphne guardò l’amica e sorrise.
“Una giornata interamente per noi. Tanto mancano ancora due settimane all’inizio della scuola, un po’ di svago ce lo meritiamo.” rispose la ragazza.
“In fondo, viviamo o no in CALIFORNIA? Guardaci, siamo l’una più bianca dell’altra. Dovremmo goderci di più questo sole.” Affermò Jean.
“Lontane dal lavoro, dal campus, da tutto. Ci buttiamo nel Pacifico e andiamo alle feste sulla spiaggia.” Continuò a fantasticare la giovane.
L’amica ridacchiò ed entrò nel parcheggio del loro condominio.
Avevano comprato la casa prima dell’inizio delle vacanze estive, e si erano trasferite non appena furono tornate dalla Florida.
Il loro era un piccolo appartamento, ma sufficiente; il salone e la cucina occupavano una sala unica.
Le due camere erano collegate tra loro con il bagno, il quale era abbastanza spazioso da metterci un comodino, dove le ragazze poggiavano i loro profumi, gioielli e trucchi.
Jean sistemò i panini sul tavolo e si sedette su una delle due sedie.
L’amica accese la televisione e la raggiunse.
La serata trascorse tranquillamente; entrambe non riuscivano ad andare oltre ad una certa ora, il lavoro le stancava molto.
Perciò anche quel giorno verso le 11, il sonno si fece sentire sempre di più, finchè non decisero che era meglio andare a dormire.
Jean si buttò a peso morto sul letto e rimase in quella posizione finchè non si addormentò.

*.*.*.*.*

Erano solo le 10, ma il sole era già alto nel cielo e i suoi raggi picchiavano forte sulla terra.
Daphne si portò dietro l’orecchio una ciocca bionda, mentre metteva in moto la macchina.
Quella mattina si era svegliata presto e stranamente, o fortunatamente, non aveva trovato l’amica in salotto.
Da quando erano tornate dalla vacanza, Jean era diventata un vero e proprio zombie.
E lei odiava vederla in quello stato.
Anche se faceva di tutto per nascondere la sua sofferenza, dietro ad un sorriso tirato, riusciva lo stesso a capire le sensazioni dell’amica.
Lei l’aveva vista innamorarsi giorno dopo giorno, sprizzava gioia da tutti i pori, ma ecco che un giorno tutto questo svanì.
Tutto cambiò. Come quando si costruiscono i castelli con le carte, e basta un niente per farli crollare; allora è difficile ricostruire.
Doveva ammettere che entrambe non erano molto fortunate in amore.
Era sicura che, anche se l’amica non lo ammetteva, aspettasse il suo ritorno; lei, invece, aveva rotto prima dell’estate con un ragazzo con cui stava da un paio di mesi.
Niente di serio, niente di troppo doloroso.
Era un ragazzo gentile, intelligente, che la rispettava ed era onesto con lei; allora perché lo aveva lasciato?
Sentiva di non meritarlo, tutte quelle storie “scusa-non-sei-tu-sono-io”, erano vere.
Era lei il problema. Come si faceva a non voler bene ad una persona del genere?
Solo dopo tanto tempo si era accorta che il vero motivo lo aveva davanti agli occhi.
Frenò bruscamente per far passare un pedone che era sbucato dal nulla.
Si addentrò nel piccolo vialetto che la conduceva al parcheggio della grande biblioteca della scuola.
Entrò nell’edificio, facendo un lieve rumore con le sue ballerine nere; salutò i colleghi e si appese al collo la tessera dei dipendenti.
La bionda passò la mattinata a sistemare i libri nei rispettivi scaffali.
Quel lavoro le piaceva, amava i libri, il silenzio, la quiete di quel luogo.
Non c’era niente di meglio che leggere un bel romanzo nel silenzio più totale mentre si sorseggiava un ice chocolat di Starbucks.
A quel pensiero, le venne davvero voglia di quella bevanda; andò da Pierre, amico e collega, dicendogli che si sarebbe presa una pausa di una decina di minuti, giusto il tempo di fare un salto al bar.
Prese velocemente il portafoglio e si diresse a piedi, il locale era a meno di cinque minuti dalla biblioteca.
Comprò la sua bibita in formato maxi, e sorseggiandola beata, si rinfrescò.
Camminava lentamente per la piccola salita e passando vicino al parco, vide una Jeep parcheggiata.
In un primo momento non ci fece molto caso alla vettura, ma poi successe una cosa che non si era mai aspettata che succedesse: il suo cuore perse un battito.
Appena vide chi scese dal veicolo, sembrò quasi che l’organo si fosse fermato.
Non credeva assolutamente che una cosa simile le potesse accadere.
Si leggeva solo nei libri o al limite, si vedeva nei film.
Era una strana sensazione, ma allo stesso tempo era piacevole.
Daphne non l’aveva mai provato prima d’ora, effettivamente non era mai stata innamorata.
Lei era una persona molto razionale, e agiva più con la mente che con l’istinto; tutto doveva aveva una spiegazione logica, razionale, persino l’innamoramento.
E anche quel giorno attribuì il colpo allo spavento, più che all’emozione di ritrovarselo di fronte.
Il giovane si tolse gli occhiali da sole e li appese al colletto della maglietta bianca che indossava.
Inclinò leggermente la testa per guardare meglio la figura davanti a lui, e quando capì chi era, sorrise.
“Su bionda, abbracciami!” esclamò felice allargando le braccia.

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Daphne non se lo fece ripetere due volte e gli corse incontro; allacciò le proprie braccia dietro al collo del ragazzo, il quale la sollevò leggermente da terra e le baciò i capelli.
“Allora bionda, come stai?” chiese il giovane riappoggiandola a terra, ma senza sciogliersi dall’abbraccio.
“Bene, tu? E’ tuo questo colosso?” domandò dando un paio di colpetti al cofano.
“Hai visto che bellezza? E non ti dico come corre! Ti dovrò far fare un giro al più presto!” esclamò entusiasto.
Daphne gli sorride mentre lui continua a parlare delle qualità della sua vettura.
Era così presa dal suo racconto, che non si accorge che qualcuno è sceso dalla macchina.
“Tom?” lo richiama una ragazza dai lunghi capelli castani e un viso un po’ troppo truccato.
“Oh Christine.” Replica il ragazzo, allontandosi leggermente da Daphne.
La bionda li guardò per attimo confusa.
“Lei è Daphne e Daphne, lei è Christine, la mia ragazza.” Disse Tom, guardando una ragazza e poi l’altra.
“Piacere mio, Daphne. Tom mi ha parlato molto di te.” Allungò il braccio verso di lei e le sorrise.
“Molto piacere di fare la tua conoscenza.” replicò Daphne ricambiando il gesto.
Christine si avvinghiò a Tom e gli sussurrò qualcosa all’orecchio, che fece sorridere il ragazzo.
A quella scena, la bionda provò una forte morsa all’altezza dello stomaco; si congedò freddamente dai due e proseguì il suo cammino verso la biblioteca.
Quando stava per aprire la porta, sentì qualcuno che la trattenne per un braccio: Tom.
“Ehi, va tutto bene?” domandò affettuosamente spostando una ciocca bionda dal viso.
A quel tocco, Daphne sentì una scossa lungo la spina dorsale; solo lui riusciva a farle sentire certe emozioni.
Chiuse leggermente gli occhi e rispose: “Sto bene, tranquillo.”
“Sai che a me puoi dire tutto, no? C’è qualcosa che non va?” fece un passo in avanti, rendendo minima la loro distanza.
Daphne inspirò il suo tipico profumo, e ciò la mandò in tilt.
Si allontanò un poco da lui per non perdere completamente la testa.
“Certo che lo so,” gli sorrise “sono rimasta un po’ sorpresa, non pensavo che saresti tornato con la tua ragazza.” Disse infine.
“Ah Christine… è stata una sorpresa anche per me. Non pensavo che saremmo durati.” si grattò nervosamente la nuca.
Un silenzio imbarazzante cadde tra i due, l’unico rumore era quello della porta automatica che si apriva e chiudeva al passaggio delle persone.
“Ci vediamo in giro, Tom. Una di queste sere vieni a cena da noi, a Jean farà piacere rivederti.”
“Accetto più che volentieri.” Le sorrise.
Lo salutò con un piccolo bacio sulla guancia e rientrò nell’edificio.
Davanti alla reception, vide che c’erano due persone: la signora Burton ed un ragazzo.
Si avvicinò a Pierre, il quale le presentò il nuovo arrivato.
Daphne incrociò gli occhi del giovane, erano tra il verde ed il nocciola, aveva i capelli scompigliati e scuri; egli le porse la mano e sussurrò “Sebastian.”
“Piacere Daphne.” Rispose non troppo calorosamente.
Buttò nel cestino più vicino il bicchiere ormai vuoto e si mise appesa al collo la targhetta.

*.*.*.*.*.*

Dopo un mese esatto posto finalmente il primo capitolo. Scusate per l'attesa, ma la scuola mi stava davvero distruggendo; ora che sono in vacanza, però, spero di riuscire ad aggiornare regolarmente. Quindi, non vi sbarazzerete facilmente di me! XD

Pinzyna: Grazie mille per la tua recensione, sono rimasta colpita. (in senso positivo). Le cose che mi hai scritto sono davvero belle e spero che continuando a seguire questa mia storia, non ti deluderà. ^___^ . Sei stata molto carina a scrivermi quelle cose, mi ha fatto un immenso piacere. (un po' perchè sei stata la prima recensitrice, e un po' perchè sei riuscita a interpretare il titolo in modo giusto. ;)).
Sono molto contenta che la scelta del titolo ti sia piaciuta, c'ho messo parecchio tempo, perchè volevo trovarne uno che si adattasse perfettamente alla storia dei personaggi. (e devo dire che sono molto soddisfatta!!! Piace moltissimo anche a me! :D).
L'amore.. eh, che cosa strana, vero? Mi piace sognare, e questa ff è una prova lampante.
Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto!

Nihal_N: dico solo questo: G-R-A-Z-I-E! Se non fosse per te, questa fic non starebbe in piedi! XD Il tuo commento mi ha fatto molto piacere; ed è anche una soddisfazione per me postare questa fic! I pensieri di Jean sono tristi, ma tu sai già per quale motivo. XD Bacione!e grazie ancora!<

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Capitolo 3
*** Don't you feel the passion ready to explode. ***


[j]1x2
Chapter 0.2


Don't you feel the passion ready to explode.



Your hands around my waist



Just let the music play


We're hand in hand


Chest to chest


And now we're face to face.







- Rihanna  DON’T STOP THE MUSIC.



La radio-sveglia suonò puntualmente alle 9:00, inondando la stanza con la voce squillante di Melanie, la DJ.
Jean era già sveglia da qualche minuto e guardava il poster di Justin Timberlake a petto nudo  appeso alla porta.
Si alzò dal letto quando sentì Daphne andare in cucina, spense la radio ed aprì la porta della sua camera.
“Buongiorno Jean!” esclamò l’amica mentre si versava del caffè nella tazza.
“’Giorno Daph.” Rispose sedendosi di fronte a lei, afferrò un toast e lo iniziò ad imburrare.
Almeno la mattina avevano un po’ di tempo per stare insieme e chiacchierare, cosa che era impossibile fare durante la giornata.
Le due amiche consumarono silenziosamente la loro colazione, quando il telefono di casa squillò.
 “Pronto?” rispose Jean alzando la cornetta.
“Ehi! Sono io, Justine.” disse la voce dall’altra parte.
“Ciao Justine! Come stai? Ti saluta Daphne.”
“Dille che le mando un bacio,” Jean simulò il gesto in direzione dell’amica, “io sto benone! Sono appena tornata dall’Australia!”
“Che bello! Poi ci devi raccontare tutto, eh!”
“Con molto piacere! Comunque ragazze,  vi volevo chiedere una cosa.”
“Dicci dicci, se aspetti due secondi ti metto in viva-voce, così sente pure Daphne.”
La ragazza posò l’apparecchio e pigiò un pulsante, subito la voce di Justine invase la cucina.
“Allora, dicevo: visto che i miei ancora non sono tornati, volevo organizzare una festa da me. Ci state? Ovviamente poi rimanete a dormire, senza dover tornare alla Berkeley. Vi prego ditemi di sì!!”
“Ma certo che sì! Sai che io non mi perdo mai una tua festa.” Rispose immediatamente Jean, sorridendo.
“E tu bionda? Dai, non farti pregare!”
“Mi dispiace Justine, ma stasera ho la cena con i miei; sono appena tornati dall’Europa.” disse con un tono dispiaciuto.
“Uffa! Se non abitassimo troppo lontano ti chiederei di venire dopo. Non ci sono altre soluzioni?”
“Dispiace moltissimo anche a me. Promettimi che ne organizzerai altre, okay?”
“Ma certo! E la prossima volta ti voglio,dovessi venirti a prendere in Alaska!”
Tutte e tre risero.
“Jean, allora ci vediamo alle 9 da me, okay?”
“Justine, oggi stacco alle 6, se vuoi posso venire un pochino prima così ti do una mano, che ne dici?”
“Sarebbe perfetto, così mi consigli anche cosa mettermi!”
“Certo, a dopo!”
“Ciao, Justine.”
“Ciao, bacio ad entrambe!”
Finita la telefonata, Jean guardò Daphne.
“Che pizza che non vieni. Poteva essere un’occasione per svagarsi un po’.” disse la mora guardando l’amica.
“Io non ho bisogno di svagarmi.”
“Mhm, dici? Da quando è tornato Tom che sei un po’ strana; è successo qualcosa tra voi?” chiese Jean mettendo nel lavandino le tazze e i piatti.
“No, è che…” la bionda alzò lo sguardo che andò a finire sull’orologio appeso al muro.
“Oh mio Dio! E’ tardissimo, Jean. Muoviti! Ti racconto tutto in macchina.”
Le ragazze si vestirono alla velocità della luce e corsero per le scale del loro condominio finchè non raggiunsero la Mini parcheggiata nel garage.
Appena la vettura partì, entrambe fecero un sospiro di sollievo.
“Che record, Daph! Ci abbiamo messo solo 17 minuti!” Fece notare Jean.
La ragazza accese la radio e subito entrambe iniziarono a cantare Umbrella di Rihanna.
La bionda si fermò davanti al segnale di STOP e fece passare un pedone.
“Non mi pare di averla vista da nessuna parte, eppure non può essere una matricola, non trovi?” disse Jean indicando la passante.
A Daphne bastò un secondo per riconoscerla. Quei lunghi capelli castani che le arrivavano fino a metà schiena, gambe lunghe e sexy, ed un bel sorriso, anche se un po’ malizioso.
“Ehi! Jean chiama Daphne.” Disse con una voce metallica ed agitando una mano davanti ai suoi occhi.
“Scusa, ero…”
“Folgorata dalla bellezza del pedone?” Completò scherzosamente la frase Jean, la quale riprese a canticchiare una canzone che passavano alla radio.
“Lei è la ragazza di Tom.” disse Daphne fissando la strada.
“Cosa?! Tom ha una ragazza? E tu come fai a saperlo?”
Sospirò un paio di volte prima di rispondere.
Si ricordava l’incontro di due giorni prima.
Era rimasta silenziosa per tutto il tempo al lavoro, risultando anche abbastanza scorbutica con il nuovo arrivato; sentì Pierre sussurrare a Sebastian “In genere è una chiacchierona, non so cos’abbia oggi.”
“L’altro ieri, mentre ero andata un attimo da Starbucks, vidi Tom che usciva da una Jeep. Ci salutammo e parlammo un po’, quando uscì quella ragazza di prima. Mi sono sentita di troppo e me ne sono andata.”
“Mhm, io l’ho vista di sfuggita, ma non mi sembra un granchè.”
“Ti sbagli, è davvero bella. Belle gambe, fisico mozzafiato, capelli lisci lisci e bel sorriso.”
“Ehi! Ma questo è il mio ritratto!” esclamò Jean, suscitando la risata dell’amica.
“Comunque sul serio, Daph.” Proseguì abbassando il volume della radio, “Sarà pure bella, ma tu lo sei di più. Insomma, non hai niente da invidarle. Hai un bel fisico pure tu e poi GTC.”
“GTC?” chiese girandosi verso la mora.
“Gambe, tette e culo. E inoltre sei bionda, hai il fascino della misteriosa; cosa vuoi di più?”
“Jean, non parleresti così se l’avessi vista. Ti giuro che è davvero una bella ragazza.” sospirò la bionda.
L’amica fece una smorfia e riprese a parlare.
“Naaah! Non ti credo.”
 
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Arrivarono davanti alla tavola calda dove lavorava Jean, l’insegna luminosa ‘Apple Bee’ era ancora spenta.
“Ci vediamo più tardi, allora. Buona giornata Daph. E non pensare troppo a quella Christina.” Stampò un bacio sulla guancia dell’amica e scese dalla vettura.
“Christine. Comunque grazie altrettanto, Jean.”
Vide l’amica entrare nell’edificio e si diresse pure lei al lavoro.
Si sentiva più stanca del solito, era come se qualcosa le avesse risucchiato tutta l’energia che aveva.
Jean aveva ragione, non doveva pensare a Christine.
E poi, a cosa sarebbe servito? Lei rimaneva sempre la ragazza di Tom.
Aprì lo sportello della macchina, ma colpì qualcosa. O meglio, qualcuno.
“Ahi!” esclamò una voce.
“Scusami tantissimo, non ho controllato prima di aprire. Mi dispiace molto, ti sei fatto male?”
La bionda scese rapidamente dalla vettura e si avvicinò all’infortunato.
“Non ti preoccupare, sto bene.” La rassicurò il ragazzo.
Daphne lo riconobbe, era il nuovo arrivato.
“E’ colpa mia, andavo di fretta per paura di fare tardi al lavoro.” Le sorrise guardandola nelle iridi azzurre.
La ragazza fece un sorriso timido ed abbassò lo sguardo, i suoi occhi sembravano in grado di leggerle dentro.
Sebastian l’affiancò e camminarono in silenzio.
“Non abbiamo avuto modo di parlare molto.” Cominciò il ragazzo.
“Sì… mhm… io… in questi giorni ero molto in sovrapensiero.”
“Sì, l’ho notato. Pierre ti doveva chiamare almeno una dozzina di volte, prima che ti voltassi.”
Daphne sorrise a quella battuta, era proprio vero che aveva la testa fra le nuvole.
Le capitava sempre più spesso di pensare a Tom; era finalmente riuscita ad ammettere a se stessa che le piaceva, ma era troppo tardi, perché lui aveva già un’altra.
“Prima le signore.”disse il giovane, interrompendo i pensieri della bionda e facendola passare per prima attraverso la porta automatica.

*.*.*.*.*.*

“Ehi Sam, un doppio cheeseburger e un baconburger, grazie!” disse Jean al ragazzo nella cucina.
Si sistemò il grembiule ed andò a servire un altro tavolo.
Il locale si stava piano piano riempiendo, era quasi l’ora di pranzo.
Era felice quella mattina. Forse per la serata a casa di Justine, oppure perché non si sentiva più tanto oppressa dai ricordi.
Ultimamente riusciva a dormire per 7 ore di fila, senza svegliarsi nel cuore della notte. Un nuovo record da segnare.
Canticchiava mentre puliva un tavolo e pensava a cosa mettersi quella sera.

 -Flashback-


“Così giochi a calcio?” chiese il ragazzo avvicinandosi al bancone dove Jean stava lavorando.
“Sì.” rispose la ragazza guardandolo timidamente, ancora non si era dimenticata la figuraccia che aveva fatto poco prima.
Ma cosa le era saltato in mente? Entrare nello spogliatoio ballando e cantando? Ovviamente il destino le aveva voluto fare uno scherzo: in quell’istante, in quel luogo, c’era il proprio datore di lavoro che parlava con Justine.
Era sicura che l’avrebbe licenziata, per atti osceni in pubblico. O per la poca serietà che mostrava. Ma il signor Scott scoppiò in una fragorosa risata, sorprendendo la ragazza.
Solo in seguito Jean si accorse che accanto a lui c’era un ragazzo. Un bel ragazzo, a dire il vero. Alto, capelli biondo cenere, spalle larghe, bel didietr… ehm, sorriso.
La prima cosa che la colpì furono gli occhi. Non soltanto perché erano di un azzurro che ricordava molto il ghiaccio, ma perché erano magnetici. Due calamite da cui era difficile staccarsi.
Jean rimaneva ipnotizzata, non riusciva a distogliere lo sguardo.
“Ho per caso qualcosa in faccia?” chiese il ragazzo, portando la giovane alla realtà.
“No, no… è che i tuoi occhi… sono…”
“Freddi?” completò la frase ironicamente.
“No… cioè sì… però sono belli.” Le parole le uscirono dalla bocca automaticamente, senza chiedere prima il permesso al cervello di dire una cosa simile.
“Grazie. Anche i tuoi sono molto belli, intensi e hanno un bel taglio.”
Ancor più imbarazzata, Jean iniziò a pulire freneticamente il bancone con uno straccio.
“Comunque,” riprese a parlare, rompendo il silenzio imbarazzante che si era creato, “io sono Jason, piacere.” Allungò la mano in direzione della ragazza, la quale gliela strinse mormorando il proprio nome.
“Sai Jean, che gioco pure io a calcio?”
Se fino a quel momento desiderava che un fulmine la colpisse, ora si sentiva senza vergogna né imbarazzo; aveva pronunciato la parola magica. Calcio.
Aveva una vera e proprio passione per quello sport fin da quando era una bambina. La madre era disperata, le ripeteva che sarebbe diventata un maschiaccio a forza di giocare con gli altri bambini.
“Davvero?” chiese, il ragazzo potè notare che i suoi occhi si illuminarono.
“Sì, amo il calcio da quando ho imparato a camminare. Gli altri bambini giocavano con le macchinine, robot, ed altro, mentre io volevo solo una palla e quando non c’era, me la costruivo da solo.”
Jean rise di gusto, anche lei da piccola preferiva giocare con la palla piuttosto che con le bambole: era inutile regalargliele, le staccava sempre la testa.
“E giochi nella squadra della scuola?”
“No, ma ho visto che tra due settimane fanno le selezioni per i nuovi arrivati. Mi allenerò e spero di poter entrare.”
“Ah giusto, le selezioni. Fatti valere, allora.”
* Fatti valere? Ma che cavolata ho detto? Non potevo starmene zitta? * pensò subito dopo aver pronunciato quelle parole. Forse era il caso di pensare prima di parlare. Forse.
“Grazie.” Le fece un sorriso, in quel momento i suoi occhi erano diventati dolci.

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Jean avrebbe voluto continuare a parlare con lui, ma il lavoro la chiamava.
Dopo circa 20 minuti, quando pensava che ormai Jason se ne fosse andato, ritornò alla sua postazione al bancone, ma con sua sorpresa vide il giovane seduto con la testa appoggiata al palmo aperto della mano.
“Vuoi che ti porti qualcosa?” chiese Jean.
“Ah sì, grazie. Un bicchiere d’acqua è più che sufficiente.”
Quando la ragazza gli porse il bicchiere, le loro dite si sfiorarono.
A quel tocco, Jean arrossì un poco. Si maledisse mentalmente di essere così idiota, non l’aveva mica baciata, a quel pensiero arrossì più vistosamente.
Il momento imbarazzante venne interrotto quando i giocatori di football entrarono e, soprattutto, quando si avvicinò uno in particolare.
“Buondì, Cameriera!” La voce inconfondibile di Milo Parker la chiamò.
“Parker, posso fare qualcosa per te?” chiese un poco scocciata.
Quel ragazzo veniva ogni sera alla stessa ora e si metteva lì a chiacchierare con lei, o meglio a prenderla in giro con varie allusioni sessuali.
“Molto più che qualcosa.” rispose maliziosamente il ragazzo.
Jean roteò gli occhi prima di ricominciare a fare i calcoli e scrivere i conti della giornata su un piccolo quaderno.
Justine le si avvicinò e le diede una gomitata.
“Allora, me lo dici come fai?” chiese a bassa voce.
“A fare cosa?” domandò senza distogliere lo sguardo dalla calcolatrice.
“Come a fare cosa?! Ad attirare ragazzi! Dici che dovrei iniziare a giocare a calcio pure io?”
“Jus, non so se ti rendi conto quando dici ‘che attiro ragazzi’. Milo Parker non si può nemmeno definire ‘ragazzo’. Tratta le donne come oggetti, le uniche cose che gli interessano sono il sesso e il football. E’ un pallone gonfiato, buffone, pieno di sé ed arrogante. Jason, invece, mi ha chiesto delle cose sul calcio e stop. Quindi non credo proprio di aver ‘attirato’ qualcuno.” Concluse la frase imitando la sua voce.
“Bella mia, fattelo dire ma, hai proprio bisogno di un paio d’occhiali: Milo è arrogante e blablabla, ma è un super figo. Questo Jason direi che lo possiamo aggiungere alla lista.” Si girò un momento per osservare la figura del ragazzo giocare con il bicchiere ormai vuoto.
“Quale lista?” chiese inarcando un sopraciglio.
“Oh mio Dio, Jean! Ma ti devo insegnare proprio tutto? La lista dei ragazzi che dovremmo farci entro la fine dell’università!”
“E non dirmi che c’è pure Parker.”
“Ovvio che c’è!”
“Justine, un giorno mi spiegherai cosa ci trovi in lui.”
“Certo, certo. Ti racconterò tutti i dettagli!”
Jean sorrise,  prese uno straccio e glielo lanciò scherzosamente.

-Fine flashback-

“Ehi compagno!” esclamò un ragazzo moro con i capelli corti, avvicinandosi all’amico.
“Nathaniel.” Rispose il biondo dando una leggera pacca sulla sua spalla.
“Hai da fare questa sera?” chiese Nat.
“Niente di particol… azzz! Sì! Ho la cena dai miei. Avevi in mente qualcosa?”
“Dimmi un po’, Carter,” iniziò la frase con aria solenne, “da quant’è che non ci imbuchiamo ad una festa?”
“Mhm…” l’amico fece finta di pensare strofinandosi il mento con una mano. “Due settimane?”
“Esatto! E cosa c’è stasera? Una festa a casa di una ragazza, un’amica di un’amica di Francesca. Che ne dici, allora?”
“Devo andare a Los Angeles, non so se faccio in tempo.” Disse l’amico.
“Eddai! Mica ti puoi perdere una festa del genere? Scommetto che ci saranno un sacco di ragazze!”
“Ma i miei sono appena tornati, devo andarli a salutare...”
“E se ci vai a pranzo, invece che a cena? Così poi vieni? Che te ne pare? Non abbandonarmi in questo modo, Matt!”
“Veramente sei tu quello che mi abbandona, Nat. Ti infratti con Francesca appena hai l’occasione.”
“Però mica ti lascio da solo, sei sempre in compagnia di qualche bella pulzella.”
“Non posso darti torto amico.”
Entrambi risero. Si divertivano in quel modo: si imbucavano alle feste, rimorchiavano e poi fine. Nessuna relazione duratura, nè si facevano risentire con le ragazze; anzi, la maggior parte delle volte si dimenticavano persino il loro nome. Giusto il gusto dell’avventura.
Nat aveva conosciuto Francesca due settimane prima, e si era divertito così tanto con lei che l’aveva contattata. Ma chissà quanto sarebbe durata.
Matt invece era il classico ragazzo da ‘una botta e via’, odiava qualsiasi vincolo, legami, relazione; ai tempi del liceo stava con una ragazza, Lina, e credeva di esserne innamorato, finchè non scoprì che lei se la faceva con un altro.
Era rimasto così scottato che decise di non voler mai più una relazione. Tanto l’amore non esisteva.
Il biondo tirò fuori il cellulare dalla tasca e compose il numero di casa, avvertendo i genitori che sarebbe arrivato per l’ora di pranzo.

*.*.*.*.*.*

“Daph! Mi serve il tuo aiuto!” urlò Jean dalla sua camera.
“Arrivo, arrivo!” rispose la bionda mentre si metteva un orecchino.
Daphne trovò l’amica in accappatoio ed i capelli legati in una lunga coda.
“Ma sei uno schianto, Daph!” esclamò Jean appena la vide.
La ragazza indossava un abito viola scuro con le bretelline nere, era molto aderente e le arrivava fin sopra il ginocchio; teneva i capelli sciolti che le ricadevano morbidi sulle spalle.
“Grazie J, ma direi che anche tu stai molto bene con l’accappatoio; lancerai una nuova moda.”
“Spiritosa.” Prese un cuscino dal letto e glielo lanciò.
“Comunque pensavo di mettermi i pantaloncini neri, che ne dici? Però il problema è cosa mettermi sopra.” disse la mora guardando le magliette che aveva posato sul suo letto.
“Mhm… potresti provarti questo, non l’hai indossato spesso.” Rispose Daphne, prendendo una maglietta blu elettrico con le bretelle larghe ed un’ampia scollatura
“Ora me la provo, però direi che mi metto un top nero sotto, sennò sono con le tette all’aria!”
Si mise velocemente i vestiti e si guardò allo specchio.
“Mhm… mi piace questa combinazione! Grazie mille Daph.”
“Figurati, vedrai che stasera rimorchierai! Poi voglio un resoconto dettagliato. Io scappo che sennò rischio di perdere il pullman.” Le si avvicinò e le stampò un bacio sulla guancia.
“Grazie ancora Daph. Ci vediamo domani mattina! Bacio.”
Vide l’amica uscire dalla stanza e si diresse verso il comodino.
Si truccò leggermente, indossò un cerchietto nero, un paio d’orecchini grandi ed il braccialetto della Tiffany che le aveva regalato Daphne.
Completò il tutto con un paio di sandali dello stesso colore della maglietta.
Prese la borsa, le chiavi del motorino ed uscì di casa.
Salì sulla vettura ed imboccò la via principale.
La casa – o meglio, la villa – di Justine si trovava nel cuore di S. Francisco, un’ora da Oakland.
Riuscì facilmente a trovare la via dell’amica, e subito si trovò di fronte ad una grande villa a due piani.
Entrò nel vialetto che conduceva verso la porta d'ingresso, ma svoltò a destra e parcheggiò il motorino nella parte posteriore della casa.
In quella parte del giardino vi era una grande piscina, circondata da sedie ed ombrelloni.
La governante fece entrare Jean e subito la ragazza si trovò nello spazioso ingresso di casa Collins.
Si diresse verso il salotto, il quale era stato trasformato in una vera e propria discoteca: vi era un piccolo palco con accanto l’angolo del DJ, dalla parte opposta c’erano delle poltroncine nere e il bar.
“Jean!” esclamò la padrona di casa andandole incontro.
“Justine! Ti sei data da fare, eh? Comunque il salotto è perfetto, non vedo l’ora di inaugurare il palco!”
“Grazie tesoro! Adesso seguimi che ti mostro la stanza dove dormirai.”
La prese sotto braccio e salirono le scale; la camera che le mostrò Justine era molto spaziosa ed aveva anche il bagno.
Jean posò la sua borsa in una poltroncina vicino al letto matrimoniale.
* Qui si potrebbe dormire persino in tre! * pensò la ragazza.
“Grazie per l’ospitalità, Jus. Ma veniamo a te: hai già deciso cosa metterti?”
“Scherzi? Sono nel panico più assurdo! Aspettavo solo te!”

*.*.*.*.*.*


“Daphne, devi assolutamente andare in Italia! I ragazzi sono davvero bellissimi, pensa che la maggior parte di loro sono calciatori, quindi non ti dico il fisico che possono avere! E poi si sa, gli italiani sono più bravi…”
 
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“Noto con piacere che hai ammirato le città italiane, Cassandra.” La interruppe il padre scherzosamente.
La biondina abbassò lo sguardo e diventò rossa per l’imbarazzo.
I genitori e Daphne scoppiarono a ridere, quella ragazza era un terremoto.
Aveva sempre qualche aneddoto da raccontare, era dotata di carisma ed attirava tutti come una calamita.
 I suoi lunghi capelli biondi, marchio dei figli della famiglia Carter, incorniciavano il suo bel viso sempre allegro.
Anche quella sera si era lasciata andare, raccontando le loro – soprattutto sue – avventure in Europa.
La prima mezz’ora aveva passato ad elogiare la romantica Parigi e poi si era buttata a capofitto su una classifica dettagliata dei ragazzi più belli.
Alla fine avevano vinto gli italiani, secondo lei, perfetti.
“Sai Daph che Matt è diventato veramente figo? Ora che si è fatto crescere il pizzetto ha un’aria più matura; poi ha messo su i muscoli, prima mi ha fatto sentire i suoi bicipiti.”
“Matt è venuto? Perché stasera non c’è?” chiese sorpresa.
“Sì, cara. Era venuto a pranzo, perché stasera aveva una festa importante.” rispose dolcemente la madre.
* Immagino la festa importante, solo per rimorchiare! * pensò Daphne facendo una smorfia.

*.*.*.*.*.*

C’erano circa centocinquanta persone nel grande salotto, molti si scatenvano al ritmo della musica, altri erano seduti sulle poltroncine nere e cercavano di chiacchierare – e non solo - con la loro conquista.
Jean, Sophia ed Alex stavano ballando da circa quattro ore, mentre Justine era sparita.
“Ehi, sto morendo di caldo ci prendiamo qualcosa da bere?” urlò Alex per sovrastare la musica.
“Okay!” risposero le due ragazze.
Come ogni party che si rispetti, l’alcol non era mancato; Justine aveva trovato un modo per introdurre gli alcolici senza che la polizia s’intromettesse.
Al bar vi erano cinque baristi – molto giovani ed affascinanti – che servivano i drinks.
“Tre vodka lemon, grazie.” disse Sophia al ragazzo più vicino.
“Chissà che fine avrà fatto Jus.” disse Jean mentre sorseggiava il drink.
“Io l’ho vista allontarnarsi con un ragazzo moro…” rispose Alex.
“Moro? Ma se io l’ho vista con un biondo!” esclamò Sophia.
Le tre amiche scoppiarono a ridere. L’effetto dell’alcol si stava facendo sentire: cominciarono a sentirsi allegre, ridevano per un niente ed attaccavano facilmente bottone anche con gli sconosciuti, cosa che non facevano da sobrie.
Avevano alternato al ballo momenti di riposo con un bel bicchiere di alcol.
Erano piuttosto brille e sicuramente il giorno dopo non si sarebbero ricordate nulla.
Ripresero a ballare, muovendosi sulle note di Sexyback.
“Wow! Se ci fosse Justin qui, non esiterei a farmelo!” urlò Jean alle due amiche.
“A chi lo dici? Io gli salterei proprio addosso, gli strapperei tutti i vestiti e…” ma Alex non potè completare la frase che un ragazzo le passò un braccio intorno alla vita e la tirò a sé, scomparendo tra la folla.
“Ohhhh! Hai visto? Dopo quattro ore, finalmente ha rimorchiato!” esclamò Jean, scoppiando nuovamente a ridere.
“Beh, veramente abbiamo cacciato via i pretendenti per tutto il tempo, non te lo ricordi?!” rispose Sophia ridendo.
Le ragazze non si accorsero che nel frattempo due giovani stavano ballando dietro di loro.
In quel momento nessuna delle due era nelle proprie facoltà mentali, avrebbero fatto qualsiasi cosa senza accorgersene.
Uno dei due giovani abbracciò Jean da dietro e l’allontanò dall’amica; iniziarono a ballare lentamente, seguendo la musica.
“Io sono Matt, tu?” le sussurrò all’orecchio lo sconosciuto.
“Jean.” rispose girandosi verso di lui.
Incrociò il suo sguardo, i suoi occhi erano di un blu molto intenso e brillavano, segno che anche lui aveva bevuto.
“E dimmi, Jean, hai un ragazzo?” chiese sensualmente, avvicinandosi sempre di più.
La ragazza gli sorrise ed allacciò le sue braccia dietro il suo collo.
“Se lo avessi, non sarei qui con te, non trovi playboy?” rispose rendendo minima la distanza tra le loro labbra.
Una vocina, ancora non affetta dall’alcol, le diceva che era sbagliato, che non doveva lasciarsi andare in quel modo con uno sconosciuto; ma ormai era troppo tardi, l’alcol aveva vinto anche sul suo buon senso.
Poco dopo si ritrovarono a baciarsi in una stanza e ciò che era un semplice ed innocente bacio, era diventato molto passionale, travolgente.
I vestiti volarono a terra, mentre non si saziavano mai l’uno dell’altro.

*.*.*.*.*.*

Prima di tutto mi scuso per il ritardo mostruoso >_< ma di mezzo ci sono state le vacanze e io sono stata via un mese e mezzo... scusate tanto!
Prometto che il prossimo capitolo lo posterò presto!
Passando ai ringraziamenti:

avril1113
Nihal_N
 _NovemberThree_

Grazie per aver aggiunto ai preferiti questa mia storia! Vi mando un abbraccio virtuale ;) ;)

Nihal_N: Grazie per le fantastiche parole! E' anche grazie a te che i miei personaggi hanno questo carattere.. non potrò mai ringraziarti abbastanza! :* (Mi segui anche se sai già tutto in anteprima! XD) Bacione!
_NovemberThree_: Sono davvero contenta che la storia ti piaccia; ma la cosa che mi fa ancora più felice è che tu ti rivedi in qualche personaggio, vuol dire che sto riuscendo a renderli reali :D :D Grazie mille ancora! E spero che questo capitolo ti sia piaciuto ^_^



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