Noi, gente che passa e va cercando la felicità.

di motherfaca
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Day to day. ***
Capitolo 2: *** Come foglie in autunno. ***
Capitolo 3: *** Amore cieco. ***
Capitolo 4: *** Binario 18. ***



Capitolo 1
*** Day to day. ***


Smells like teen spirit dei Nirvana si fece largo nella mia camera, tra i libri mal posti sul tavolo, tra i cd perfettamente ordinati in ordine alfabetico, partendo dagli Avenged Sevenfold fino a quell'idiota di Zucchero, tra le lenzuola candide che si adagiavano sul mio corpo avvolto in un sottile strato di lana colorata, tra la fievole luce che illuminava con leggerezza la stanza.
Come sempre aprire gli occhi la mattina era un'ardua impresa per uno studente, sopratutto se si è all'ultimo anno e si vuole solamente scappare da quel carcere chiamato "scuola".
Non mi mossi di un millimetro, il mio respiro rallentò alla fine della canzone agitata e frizzante, le mie palpebre decisero di aprirsi, pesanti come macigni e appiccicose come colla.
Attraversai a lenti e corti passi il corridoio, fino ad arrivare in bagno, li sarei riuscito a guardare quella sottospecie di uomo che ero io.
I capelli arruffati, impossibili da gestire, le guance terribilmente rosse dal freddo per aver dormito con le coperte messe a caso, tolte nel sonno, le labbra sottili a muoversi su e giù per riprendere la mobilità.
L'unica cosa che feci fu sfregare con forza le mani sulle guance, riscaldandole.
Non toccai l'acqua del rubinetto, la feci andare per qualche secondo e ritornai in camera mia sistemandomi i boxer e togliendomi il pigiama, più che pigiama era una maglietta presa a caso con dei pantaloncini per far ginnastica.
Alzai pigramente la persiana, facendo entrare moltissima luce, riaccesi la radio e mi vestii sulle note dei miei fidati Asking Alexandria.
Il letto fu inutile sistemarlo, sarebbe arrivato il vecchio Spark a rovinarlo con il suo scodinzolio da Labrador.
Mi infilai una maglietta di cotone bianca, faceva assaporare la parte più evidente delle clavicole, nascondendone la maggior parte gelosamente, indossai dei jeans a caso, arrotolai la parte più bassa per mostrare una parte delle caviglie bianche e delicate, di conseguenza mi misi le mie adorate vans bianche, odiate da tutti, sopratutto da Liam.
Presi lo zaino rigorosamente nero e ci misi dentro qualche quaderno alla rinfusa, non sarebbe stato il mio più grande problema prendere appunti di filosofia o di letteratura inglese.
Passando dalla sala mi specchiai nello specchio nella parete destra, sistemai un poco i capelli e afferrai con noncuranza il telefono che feci caricare per tutta la sera.
-"Giorno donne mie, ci vediamo dopo." Gridai senza rimanere ad ascoltare le risposte delle mie sorelle o di mia madre.
Mi infilai le cuffie del telefono nelle orecchie e cliccai il tasto "shuffle", avrei ascoltato qualsiasi canzone, quella giornata sarebbe stata una merda senza Liam.
-mi manchi, ogni giorno di più- Scrissi velocemente, ricontrollando i vecchi messaggi inviati. Liam era lontano, relativamente, due ore di viaggio si possono affrontare anche in una giornata andata e ritorno, non so cosa dovevo capire dalle sue non-risposte, che era finita? Che mi aveva dimenticato? Non sarebbe mai così stronzo da lasciarti via messaggio, pensai, capendo che appena l'avrei visto mi avrebbe lasciato.
Uscii dall'ascensore con fretta e furia, controllando l'orario.
Ero elegantemente in ritardo.
Presi l'autobus 121, feci sette fermate e scesi, anche se per l'istituto Marie Michelle c'erano almeno nove fermate.
Non diedi conto al ritardo e mi incamminai, percorsi il cammino a passo svelto, poi rallentai.
Nelle mie orecchie risuonava una canzone lenta, Cold Coffee di Ed Sheeran, inconfondibile.
Presi a pensare a tutto ciò che avevo passato con Liam, l'infanzia, l'adolescenza, la vita.
Passai i momenti più belli, cose indimenticabili.
I baci sul collo, i messaggi teneri, gli sguardi da innamorati, le domeniche pomeriggio abbracciati davanti ad un film, le nostre mani unite, i nostri respiri ad un soffio, i nostri bacini a contatto, le nostre labbra appiccicate.
Pensai, pensai a quanto fosse difficile dimenticare il primo bacio, il primo ragazzo, la prima scopata.
Cambiò la canzone, scesi dalle nuvole e attraversai il marciapiede a grandi falcate, raggiungendo la scuola.
I soliti sguardi di sottecchi mi fissavano, i conoscenti che mi salutavano, i professori che mi camminavano dietro per lamentarsi di qualche compito non svolto.
Sentii un grande tonfo, mi girai di scatto e vidi Stan appoggiato a terra, in ginocchia, di fronte ad un ragazzo steso a terra, con tutti i suoi libri sparsi attorno.
-"Stai attento sfigato." Sibilò, come se nulla fosse successo al ragazzo.
-"Cazzo guardate? Lo spettacolino è finito." Continuò.
Mi avvicinai al ragazzo che cercava con fatica i propri occhiali tra i mille fogli, rimetteva in ordine i quaderni e sistemava i libri.
-"Questo è quello di scienze" Soffiai, abbassandomi, cercando di raccogliere tutti i fogli sparsi per il corridoio.
-"Che casino che hai fatto, ma tranquillo, succede." Lo rassicurai, appoggiando una mano sulla sua spalla sinistra e regalandogli il mio miglior sorriso della giornata.
-"Piacere, sono Marcel." Balbettò con timidezza mentre si alzava e si sistemava il gilet marrone orrendo a dir poco.
-"Piacere, sono Louis, sei nuovo?"
Annuì senza rispondere, mi degnò solo di uno sguardo e un sorrisetto contenuto a scavargli le fossette.
-"Quindi direi che per oggi facciamo un giro insieme." Continuai, senza ricevere risposta.
Con mia sorpresa quando mi incamminai verso l'aula d'inglese mi seguì senza batter ciglio.
-"Sei così introverso con tutti? Con me puoi aprirti."
-"Scusa, sono un ragazzo riservato, non tendo ad aprirmi, tantomeno con sconosciuti."
Entrai in classe insieme al resto dei compagni, tutti si sedettero tranne Marcel, era appoggiato allo stipite della porta stretto ai suoi libri, cercando un posto libero lontano da tutti.
-"Marcel!" Gridai "Questo posto è libero, vieni?" Si voltò e venne a passo spedito verso di me, senza staccare lo sguardo dal titolo del libro d'inglese.
-"Nuova conquista Tomlinson? Dov'è Payne?" Squillò la voce irritante di Nick.
-"Liam non è qua, ma stiamo ancora insieme, tranquillo." Dissi, senza badare al mio cervello che sussurrava continuamente "speraci".
Iniziò la lezione, la professoressa Fiore non mi guardò neanche una volta, ero muto a fissare Marcel che scriveva delicatamente sul foglio bianco, con delicatezza, poco dopo riempito di scritte da me incomprensibili.
Si passò una mano tra i capelli diverse volte, si torturò il labbro per due ore e solo alla fine tirò un sospiro di sollievo, come se avesse appena finito una maratona.
-"Vero che mi passi gli appunti... Styles?" Lessi di fretta il nome in alto al libro.
-"Come faccio?"
-"Mi dai il tuo numero."
-"Bhe, okay" Mi rispose quasi tremante.
-"Tranquillo, non voglio né pigliarti per il culo, né voglio provarci con te, ho già un fidanzato."
-"Ti trema la voce."
Rimasi sorpreso da quel che disse, gli scrissi velocemente il mio numero su una pagina bianca del quaderno come se non mi avesse detto nulla e uscii dalla classe.
Entrai nell'aula di matematica, presi il telefono ed iniziai a rileggere le conversazioni con Liam, rincominciai a pensare a noi, a singhiozzare in silenzio infondo alla classe.
Nessuno mi rivolse uno sguardo, mi sentii solo come non mai, mi abbandonai sul tavolo, appoggiai la testa ed ascoltai per la prima volta la voce acutissima della professoressa spiegare, spiegare cosa non lo seppi mai.
Suonò la campanella, ritornai a casa sfinito, cuffie nelle orecchie e sguardo basso.
Arrivato bevvi un sorso d'acqua, salutai le mie sorelle e mi accesi una sigaretta tra le labbra sottili, in terrazza.
I brividi attraversarono la mia schiena con forza, i muscoli si rilassarono e cominciai a sbadigliare.
Spensi la sigaretta e la lanciai di sotto, poi mi stesi sul letto e mi addormentai vestito e distrutto, così com'ero.

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Capitolo 2
*** Come foglie in autunno. ***


Ancora una volta mi ritrovai a rifare le stesse cose del giorno prima, a ripercorrere lo stesso tragitto, a ripensare a Liam.
Decisi di non scendere dall'autobus, rimasi sopra fino alla nona fermata.
Quando scesi mi avviai verso la scuola con un passo lento e pensieroso.
Avevo in mente il suo sorriso candido, quel sorriso che si poggiava su di me e mi mordeva la pelle.
Con leggerezza passava la sua lingua sul mio palato secco, inumidendolo, stringeva i miei fianchi mi tirava a sè con forza, si divertiva giochicchiando con i ciuffi ribelli dei miei capelli marrone siena.
Adoravo quando intrecciava le sue gambe tra le mie, baciava dolcemente il mio collo senza lasciarmi respirare, avevo sempre il cuore a mille, il fiatone e gli occhi perduti, che guardavano il nulla.
-"Non ti ho scritto per pigrizia" Disse Marcel, risvegliandomi dai miei pensieri, riportandomi alla vita reale. Non gli risposi, semplicemente mi "dimenticai"di rispondere, ero immerso nei miei pensieri.
-"Non ti ha ancora lasciato?"
-"Di cosa parli?" Chiesi, sapendo già la risposta.
-"Parliamo di Liam. Non perderci tempo se sai che è finita."
-"Oggi parli molto, vedo."
-"Già, sarà perché avrò voglia, vieni a filosofia?"
Non gli risposi, lo seguì e basta.
Oggi era vestito più normalmente, una felpa rossa con il cappuccio, una camicia completamente bianca sotto, sbottonata, a lasciar scoperto il collo.
Indossava jeans neri, non più orribili pantaloni di seta a scacchi, ma manteneva i suoi mocassini.
Gli occhiali erano sempre quelli, marroncini, richiamavano i suoi occhi verde smeraldo, li riflettevano ovunque con precisione.
Si sedette al primo banco, deciso, senza più timore, io feci lo stesso senza fiatare.

Ora non puoi fare a meno di me? È carino il fatto che tu ti sia seduto di fianco a me nonostante la mia stranezza.

Scrisse in un bigliettino e me lo passò, sorridendo al contatto delle mostre mani.

Non sei strano, sei interessante. Oggi ti sei vestito meglio, figa la felpa, dove l'hai presa? Comunque mi devi passare gli appunti di inglese.

E di filosofia, so che non scriverai niente Louis. Se vuoi questo pomeriggio ci vediamo e ti passo gli appunti.

Tenni il foglio sotto i miei occhi per qualche secondo, pensando a quello che stessi facendo.
Non stavo tradendo Liam, non sarei mai andato oltre la stretta di mano con Marcel, lo conoscevo da poco e mi sembrava solo simpatico.
E terribilmente affascinante.
Solo simpatico.
Gli sussurrai un "perfetto" all'orecchio.
Di che parlavo? Del pomeriggio che avremmo passato a scambiarci gli appunti o parlavamo del suo sorriso?
O di Liam.
Riuscì a pensare solo a lui, al suo sguardo, al suo "ci vediamo appena posso", decisi di scrivergli, decisi che sarei dovuto andare da lui a parlare faccia a faccia.
-"Sei soprappensiero da ieri, hai voglia di parlare?" Disse Marcel mentre la campanella suonava, non mi sarei mai confidato con uno che conoscevo da così poco, mai.
Così gli risposi semplicemente con un movimento di capo, sospirai e andai nell'aula di letteratura inglese, senza di lui.
Mi sedetti, contemplai la lavagna disegnata e iniziai a scrivere senza sosta il nome di Liam sul quaderno.
Una, due, tre righe.
Tre, quattro, cinque pagine.
La situazione mi stava sfuggendo di mano, dipendevo da Liam, ne ero innamorato, potevo solo piangere, sapevo che aveva solo intenzione di lasciarmi.
Andai su internet e controllai velocemente i treni per arrivare a Bath, costavano relativamente poco.
L'indomani sarei andato da lui, deciso.
La mattinata passò e mi ritrovai a camminare verso casa per l'ennesima volta da solo.
Squillò il mio telefono, facendomi risvegliare dai pensieri.

Per le quattro alla biblioteca blu?

Era Marcel, risposi con un "si" freddo, avevo solamente voglia di tornare a casa e piangere abbracciato al cuscino.
Mi portai davanti un sassolino, calciandolo, senza rendermi conto di aver perso l'autobus.
Mi appoggiai al lampione, guardandomi in giro.
Vidi Dave e Stan confabulare, indicandomi, facendomi capire che parlavano di me.
Probabilmente facevano battute erotiche sul conto mio e di Marcel, solo perché ci ho stretto amicizia.
Arrivò l'autobus e salì, mi sedetti in un posto singolo.
Plastica, verde e grande rumore di freni vecchi avvolgevano quel tiepido autunno.
Non feci altro che guardare fuori dal finestrino a osservare con attenzione il cammino che percorrevo ogni giorno con Liam, mano per la mano, sorridenti.
Ora ero solo, sapevo che era finita, sapevo che non sarebbe ma più stato un "noi", ma un "Louis" e "Liam".
Arrivai a casa e mi sedetti su una sedia della cucina, salutando con un cenno Lottie, mentre le gemelle mi saltavano al collo e mi abbracciavano forte.
-"Liam, vero?" Disse Lottie senza voltarsi, continuando a tagliare l'insalata.
Capii che era per lui che ero soprappensiero.
-"È un idiota se si fa sfuggire un ragazzo perfetto come te." Continuò, si asciugò le mani e mi diede un piccolo buffetto sulla spalla, lasciando un bacio sulla guancia.
Sorrisi, si vedeva quanto Lottie tenesse a me, così quando fece per allontanarsi la tirai e la strinsi a me, abbracciandola forte.
-"Questo pomeriggio vado a studiare in biblioteca, fiera di me?"
-"Bravissimo fratellone, con chi va?"
-"È così sottinteso che andrò con qualcuno? Comunque con un nuovo compagno un po' sfigato." Dissi ridendo, per continuare poi "dopo ti devo raccontare una cosa, Lottie ricordati che ti voglio bene" silenziosamente.
Mangiai di fretta mentre ascoltavo i racconti delle giornate delle mie sorelle, che carine che erano, così unite e così vivaci, le amavo.
-"Sono quasi le quattro Loulou, non devi andare?"
-"Merda." Risposi a Lottie.
Presi lo zaino e corsi alla fermata, mentre chiamavo Marcel.
-"Sono in ritardo, tra quindici minuti arrivo, mi dispiace un sacco."
-"Tranquillo" Sbuffò "Cerca di fare veloce, ti aspetto dentro."
Fortunatamente l'autobus arrivò in quel preciso momento e dopo dieci minuti mi ritrovai davanti alla biblioteca con due cartoni di caffè in mano, cercando lo sguardo di Marcel.
Vidi una mano alzata dentro la biblioteca, lo riconobbi, mi sedetti di fianco a lui facendo un po' di confusione, facendomi richiamare dalla bibliotecaria.
-"Ehi" Sussurrò.
-"Mi devi aiutare Marcel, ho bisogno di te" Gli venne la pelle d'oca, mi avvicinai ancora di più a lui, ingoiando la saliva di troppo che avevo in bocca.
-"Domani vieni a Bath con me?" Dissi a bassa voce, attaccato al suo orecchio, cercando di non farmi tremare la voce.
-"Se si tratta di Liam, bhe no, grazie. Ah, mi chiamo Harry, Marcel fa cagare come nome."
Rimasi sorpreso dalla sua prontezza e dalla falsità del nome, ma dopotutto era vero, Marcel fa schifo come nome.
Allontanai il mio viso dal suo e sbuffai, mi prese la manica della felpa per richiamare la mia attenzione.
-"Spiega almeno"
-"Non ci conosciamo neanche"
-"SILENZIO VOI DUE!" Gridò la bibliotecaria.
Noi due annuimmo, e lui mi fissò ancora, aspettando una risposta.
-"Se n'è andato e non si fa sentire, penso che la nostra storia di quattro anni sia finita."
-"Io invece sono solo, introverso e nessun ragazzo mi caga." Fece una pausa "Tranne te, ma sei occupato."
Smorzai la tensione che si era creata con una risatina, facendoci richiamare dalla bibliotecaria.
-"Copia gli appunti."
Mi sorrise, le sue labbra rosee si inclinarono verso l'alto, i denti perlacei brillarono, le fossette si fecero più profonde.
Bello, bello da star male.
Finimmo di ricopiare gli appunti e di scrivere alcuni compiti per lunedì, poi scoccarono le sette e ci alzammo.
-"A che ora partiamo domani?"
Mi bloccai, mi girai e abbracciai con forza Harry-Marcel, stringendomi tra le sue braccia.
Sarebbe veramente venuto con me fino a Bath, senza conoscere me, senza conoscere Liam, si fidava, si fidava e basta.
Quel giorno sorrisi veramente grazie a lui, anche dopo tre ore di studio.
Lo salutai e mi incamminai verso casa, pensando a cosa dire a Lottie per convincerla a non spifferare niente a mia madre.

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Capitolo 3
*** Amore cieco. ***


Arrivai davanti casa, le luci bianche e calde coloravano le strade fredde, le sagome delle gemelline si vedevano scorrazzare di stanza in stanza, potevo intravedere l'ombra di mia madre.
Entrai, mi diressi verso la cucina e salutai mia madre lasciandole un bacio sulla guancia.
-"Hai studiato?" Disse, sorridendomi.
-"Si, tanto, infatti ti volevo chiedere una cosa" Sospirai "Non è che domani potrei andare a Bath per vedere Liam?"
-"No." Si irrigidì, tornò a guardare sui fornelli accesi e mosse le padelle a caso.
-"Per favore, si tratta di poco tempo."
-"Devo ripetermi?"
-"Per favore." Gridai, sbattendo un piede per terra, facendo calare il silenzio nella casa, si sentivano solo i passi di Lottie che percorreva le scale per arrivare fin sotto.
-"Ho detto di no, non andrai da nessuna parte signorino."
Me ne andai dalla cucina, bestemmiai, una, due, tre volte.
Sapevo che avrebbe detto di no, non dovevo dirglielo proprio.
Tirai un pugno alla porta.
Un altro.
-"Quando fai così spaventi le piccole, anche me a volte." Sentii Lottie dall'altra parte della porta.
La aprì, la presi con forza e la portai in braccio fino al mio letto, la strinsi e feci scendere qualche lacrime dal nervoso.
-"Non le dirò niente, promesso."
-"Come fai a coprirmi? Lottie è impossibile, mi sgama sempre. Ho bisogno di vedere Liam, ho bisogno di parlarci, un'ultima volta almeno."
-"Ti fidi di tua sorella?"
-"Amore." Sussurrai, mentre la attingevo ancora più forte a me.
Io e Lottie eravamo come due migliori amici, lei sapeva tutto di me, io sapevo tutto di lei.
Se dovevo parlare con qualcuno lei c'era, c'è sempre stata, ci somigliamo così tanto di carattere che a volte le parole non servono per capire come ci sentiamo.
Amavo mia sorella, la amavo alla follia.
-"Dico che sei da Stan a dormire?"
Annuì con il capo, le sorrisi e la feci andare via.
Presi il telefono e chiamai Harry, non so perché lo feci, ma mi ritrovai a parlare tutta la sera con lui.
-"Quindi per che ora?"
-"Per le sei c'è il primo treno, ti vengo a prendere sotto casa e andiamo."
-"Spiegami una cosa, mentre sarete la a sbaciucchiarvi io cosa faccio? Mi giro i pollici?"
-"Oppure matematica. Dai Harry ti prego, la notte dormi sul suo divano."
-"Anche la notte? Sei cretino?" Gridò infuriato dall'altra parte del telefono.
-"Harry, ti faccio conoscere qualche mio amico gnocco."
-"No grazie, sto bene così. Alle sei ti voglio sotto casa mia, notte Louis."
Riagganciò il telefono, lasciandomi da solo a fissare il tetto bianco.
Mi infilai sotto le coperte, puntai la sveglia, mancavano precisamente sei ore alle sei.
Non chiusi occhio, pensai solamente al bellissimo sorriso di Liam, mi alzai e iniziai a vestirmi.
Non feci nessun rumore, non accesi la luce, mi limitai a passare più volte la mano tra i capelli e a mettermi vestiti presi alla rinfusa nell'armadio.
Passai per la camera di Lottie, la guardai dormire e sorrisi, scesi dalle scale e mi ritrovai al gelo con una maglietta a maniche corte.
Merda.
Perché non ho preso una giacca? Mi incamminai velocemente verso la biblioteca, li avrei aspettato Harry.
Alle sei precise vidi arrivare Harry tranquillamente, con un cartone di caffè in mano.
-"Ma una felpa no?" Disse ridendo.
-"Sono troppo agitato, ti prego andiamo."
Sospirò e mi porse il suo zaino e il cartone di caffè, senza capire presi il tutto e lo fissai.
Si stava togliendo la giacca.
-"Cazzo fai"
-"Ti salvo il culo"
Mi mise la giacca sulle spalle, riprese lo zaino e il caffè e ci incamminammo verso la stazione di treni.
-"Stai meglio?" Disse sorseggiando il caffè.
-"Molto meglio, ma sempre più agitato."
Rose e buttò il cartone in un cestino, nel mentre arrivammo alla stazione.
-"Dieci minuti e arriva il treno, pronto?" Mi sorrise.
Annuì, iniziai a tremare ancora di più.
-"Sai Louis, sei bellissimo anche vestito a casaccio, vedi che Liam si renderà conto di quanto è idiota."
Sorrisi come non mai.
Mi fece tranquillizzare, arrivò il treno e ci sedemmo, Harry stava già dormendo.
Pensavo al perché Harry fosse seduto di fianco a me con la testa appoggiata sulla mia spalla, al perché stesse facendo tutto questo per uno sconosciuto.
Liam mi faceva sentire importante, tra le sue braccia enormi e le sue gambe lunghe, mi diceva sempre che ero perfetto, che ero tutto quello che tutti volevano.
Ero perfetto, eppure per due settimane non mi scrisse niente, non mi cercò neppure.
Smisi di respirare, iniziai a singhiozzare e guardai in silenzio fuori da finestrino.
Non sapevo cosa volesse significare soffrire per amore, quando Lottie mi parlava delle litigate con Jack non pensavo che le sue lacrime fossero vere, invece eccomi, seduto come un coglione a sognare di trovare il mio ormai ex fidanzato a braccia aperte pronto a volermi, a farmi suo.
Si può essere più scemi di Louis Tomlinson? Era il mio tutto, ora è il mio niente.
Ha lasciato un vuoto incolmabile, uno di quei vuoti che neanche l'alcol e l'erba guariscono, avevo solo voglia di stare da solo con Liam, a parlare di quanto mi facesse soffrire.
Una volta parlando delle nostre paure mi disse “ho paura che tu possa finire tra le braccia di uno sbagliato…” e mi strinse.
È inutile essere innamorati, è solo uno stupido sentimento.

-"Ti amo Louis" Sussurrò Liam al mio orecchio, mentre spingeva il bacino contro il mio.
-"Ti amo davvero" Continuò, ansimando, potevo sentire la saliva muoversi nella sua bocca, la lingua a sbattere contro il palato asciutto, contro i denti perfetti.
-"Tomlinson ti amo" Ripeteva continuamente, mentre con forza mi penetrava e mi rendeva suo, fino allo sfinimento andava avanti.
Imprecò, venne sui miei pettorali.
Continuò ad imprecare, continuamente, mentre mi spostava come se fossi uno straccio.
-"Rispondimi" Urlò mentre mi rivestivo e mi allontanavo da quella stanza.
Era diventato violento, troppo, violento quanto affascinante, violento quanto bellissimo.
Corse verso di me e con forza mi diede uno schiaffo sulla guancia destra, mentre le prime lacrime mi spuntavano dall'iride azzurrina.

-"Sei aggressivo" Mi limitai a dire.
Da quel momento iniziarono i suoi comportamenti bruti, i suoi toni alti ed aggressivi, la sua abitudine di usarmi a scopi sessuali.
Sapeva tutto, sapeva che per lui avrei dato tutto, sapeva che sarei andato contro tutti, sapeva che ero follemente innamorato di lui.


Ero stupido ed indifeso, ora mi ritrovavo a mentire a mia madre e a trasgredire le regole per lui, ancora.
Sulla guancia destra ora c'erano solo i folti ricci di Styles che pian piano contornavano il mio volto sempre di più, cercava più contatto fisico, tremava, mi ritrovai ad abbracciarlo asciugandomi le lacrime, lui dormì ancora.

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Capitolo 4
*** Binario 18. ***



Mi svegliai di colpo, Harry mise la sua giacca su di me come se fosse una coperta, era davanti a me e confabulava tra sè e sè.
-"Oh, sei sveglio." Si irrigidì, smise di parlare, prese una cicca e iniziò a masticare, mi fece un sorriso, tacque ancora.
Mi limitai a guardare l'orologio del telefono, mancava mezz'ora, solo trenta minuti e sarei stato a due passi da Liam. 
La nostra storia, se così si può definire, era contorta, complicata, io lo amavo, tantissimo, ma lui? Lui non si sa, si limitava a dedicarmi qualche "ti amo" quando lo soddisfavo, quando gli facevo compiere ogni suo desiderio carnale. 
Vivere nello stesso isolato era fantastico, era come vivere insieme, sempre con lui, tranne la domenica. 
La domenica la passava fuori città, non mi ha mai detto dove, né con chi, né perché, non mi rispondeva alle chiamate o ai messaggi.
Harry interruppe i miei pensieri con un forte colpo di tosse, si coprì la bocca con le mani e si piegò leggermente avanti, tossendo ripetutamente. 
Non lo aiutai, non gli diedi nessuna pacca sulla spalla, lo guardai, guardai come si risistemava il colletto della maglietta, come si risiedeva composto, stringendosi su se stesso, educatamente.
-"Manca poco, sei pronto?" Balbettò Harry, interrompendo l'imbarazzante silenzio.
-"Assolutamente, sono pronto e deciso, devo solamente dirgli che è finita."
-"Tutto qua? Scherzi? Io sarei qua perché lo devi lasciare? Volevo vedere una rissa tra froci."
Scoppiai in una sonora risata, feci battere diverse volte i piedi sul pavimento e mi passai una mano tra i capelli, nervoso.
Passò quella mezz'ora tra cicche da masticare, discorsi sulla vita e imbarazzanti silenzi che creava Harry.
Cercai il mio zaino e me lo misi in spalla, presi con forza la mano di Harry e, una volta fermatosi il treno, mi catapultai giù dal vecchio e rumoroso freccia verde che ci aveva portato fino a Bath. 
Scrissi con noncuranza un messaggio a Lottie, avvisandola che ero arrivato e stavo bene, andai alla fermata.
Ed ecco la sfiga di Tomlinson che appare ancora, sciopero dei mezzi. 
Dietro si sentivano solo gli insulti di Harry, non gli risposi, lo presi per l'ennesima volta per la mano e lo trascinai sul ciglio della strada, saremmo andati camminando.
-"Tu scherzi."
-"Ci metteremo al massimo un quarto d'ora, ormai siamo qua."
Lui capì quanto io stessi morendo dentro, le lacrime volevano farsi vedere per l'ennesima volta.
Aumentai il passo, il riccio mi seguì a ruota libera.
Controllai la cartina sul cellulare, mi trovavo di fronte alla via di casa Payne con i capelli spettinati, uno zaino in spalla e un cuore rotto in mano.
Attraversai la via a grandi e lente falcate, tutto il mondo intorno a me tacque per quei lenti minuti, mi fermai, respirai.
Eccola, casa Payne si trovava davanti a me.
-"Non posso."
Crollai, caddi a terra come un bambino, ma Harry mi rialzò in quel preciso istante, mi abbracciò forte.
-"So come ci si sente."
Non risposi.
-"Respira, tranquillo, possiamo venire in un altro momento."
Diceva calmo al mio orecchio sinistro, mentre gli stringevo senza accorgermene la maglietta gelida.
-"Busso."
Posai lo zaino, lasciai Harry fermo appoggiato ad un albero, si accese una sigaretta, ormai ero davanti alla porta.
Suonai.
Sentì dei passi, inconfondibili, erano i passi delle scarpe nere di Liam, quelle che lui non voleva consumare ma che metteva sempre, quelle che non abbandonava mai.
Aprì la porta, mi ritrovai di fronte il ragazzo che amavo.
Era cresciuto, non aveva più i capelli lunghi alla rinfusa, ora aveva un taglio militare, da uomo duro, aveva si e no un centimetro di capelli.
Avevo molti più muscoli, era tonico, affascinante, bellissimo.
Lo guardai negli occhi, sempre quelli, maliziosi e terribilmente profondi.
-"Possiamo parlare?"
-"Sono le dieci del mattino, non potevi venire più tardi?"
Sbottai, iniziai a vomitare tutte le parole che mi passavano per la testa.
-"Stronzo, stronzo al massimo, mi dicono. Non rispondi a nessuna chiamata, a nessun messaggio, te ne sei andato senza dire nulla, mi hai lasciato solo sapendo che per te avrei dato tutto, ero terribilmente innamorato di te, cazzo Liam, sei uno stronzo."
Sputai acidamente, mettendomi le mani tra i capelli, guardando in basso per non cadere nel suo sguardo che riusciva sempre a stregarmi.
Rise, continuò a ridere di me, di quella situazione.
-"Louis, non ci amiamo da tempo, stavamo insieme per modo di dire, scopavamo e basta."
-"Non mentivo quando dicevo di amarti."
-"Louis, devi capire che niente è per sempre. Ora puoi andartene?"
-"Ero venuto per chiarire, voglio chiarire Liam, io ti amo ancora."
Dissi, abbassando il tono della voce, quasi sussurrando, guardandolo.
Ero caduto ancora nella sua trappola, nei suoi bellissimi occhi. 
Mi prese il volto, lo alzò, portò la sua bocca sulla mia, mi baciò.
Mi baciò con passione, le nostre lingue danzarono insieme, come una volta, mi strinse a sè, mi stava cercando di portare dentro casa.
D'istinto non risposi, anzi, lo incitai a continuare, quando dei passi veloci interruppero i miei pensieri perversi all'idea di Liam nudo.
Uno strattone riuscì a staccarmi da Liam, mi girai, Harry con il fiatone mi stava tenendo da dietro.
-"Tu chi cazzo sei?" Sbottò Liam, odiava essere interrotto, sopratutto quando si parlava di fare sesso.
-"Sono l'amico sfigato che si è portato dietro per impedire che qualcuno gli faccia del male una volta ancora."
-"Senti levati." Disse Liam prendendomi una mano, tirandomi a sè.
Mi opposi.
Mi opposi a Liam, mi schiacciai sul petto di Harry, quasi cadevamo per terra. 
-"Louis, disobbedisci?" Disse ridendo sguaiatamente.
Stavo per rispondergli, quando Harry mi trascinò via.
-"Fammi fare quello che voglio." Gli sussurrai all'orecchio, mentre mi trascinava come una mamma trascina un bambino.
Cercavo la sua attenzione, lo seguivo controvoglia, fin quando sentì la porta di Liam qualche metro dietro di me chiudersi.
Mi bloccai, aspettai che Harry mi lasciasse i polsi e mi appoggiai con il cranio ad un albero vicino.
Respirai profondamente, inspirai, esperirai, scivolai sulla corteggia e mi sedetti sulle radici sporgenti.
Scoppiai a piangere.
Harry mi guardò, mi lanciò un fazzoletto e si sdraiò di fianco a me, guardando le forme intricate delle nuvole.
-"Ti racconto una cosa."
Aspettò, mi sdraiai di fianco a lui, quasi ad udire solo i suoi respiri.
-"Non sempre sono stato così menefreghista, anzi, ero uno di quei classici sfigati che studiano. Oh bhe, tuttora studio molto, ci tengo a me un pochino."
Risi, lo guardai mentre sorrideva verso il cielo, azzurro come non mai.
-"Anch'io ero fidanzato, ho avuto un ragazzo per circa tre anni, ma non un semplice fidanzato, uno di quelli passeggeri, per me era quello giusto, la mia dolce metà, il mio tutto. Prima di uscire con lui avevo l'ansia, per qualsiasi cosa, per la maglietta non abbinata, per i capelli mal composti, per le scarpe senza una macchia. Ogni suo bacio era qualcosa di speciale."
Si fermò, mi girai una seconda volta verso di lui, ora non sorrideva, si mordeva velocemente le labbra, sbatteva altrettanto velocemente le palpebre.
-"Lui si chiamava Niall."
Si interruppe ancora, potevo capire quanto fosse difficile raccontare una storia ad uno conosciuto da poco.
-"Il giorno del nostro primo anniversario mi confessò che era malato, nel senso, mi disse che non stava molto bene. Non mi disse mai cosa, finché un giorno mi ritrovai a fare la strada verso casa senza di lui."
Si sedette a gambe incrociate, strappò qualche ciuffo d'erba e riprese.
-"È morto, lui è morto Lou. E sai una cosa? Ai suoi non andava bene che fosse gay, già, indovina chi non poteva gridare al mondo di amarlo? Bhe, ovviamente io. Sono diventato Marcel, non ero più Harry-il-fidanzato-gay-di-un-morto, ero diventato Marcel, un certo vecchio amico di data di Niall che andava a visitare la sua tomba, che stringeva sua madre come se fosse la propria."
Respirò profondamente svariate volte.
-"Oh Lou. Ho vissuto un anno infernale a nascondermi da tutto e tutti, a nascondere il vero me. Io sono Marcel, Harry ormai non si vede da anni."
Mi rattristai ancor di più, ma le mie lacrime smisero ben presto di scendere.
-"C'è qualcosa di più brutto di non scopare più, semplicemente questo."
Disse mentre si alzò, gli tesi il braccio e mi sollevò di peso.
-"Quindi ora si torna a casa?" 
Soffiai, smorzando la tensione che si era creata.
-"Può sembrare una proposta strana, ma ti giuro che non ci sono secondi fini, ti va di venire a casa mia a studiare?"
Così ci incamminammo, prendemmo il primo treno e uscimmo da quella città, io con il cuore rotto e Harry anche, lui riaprì la ferita solo per farmi vedere quanto delle situazioni siano più delicate delle mie, quanto sia stato stupido a sentirmi così male per Liam.
Arrivati davanti casa Styles vidi che non c'era nessuna luce, non sentì nessun rumore dentro.
Sgattaiolai dentro per coprirmi dal freddo, salutai all'entrare, nessuna risposta mi arrivò.
-"Vivo da solo, non ricordarmelo, ti prego."
-"Ma è una figata!" Esclamai, mentre mi intrufolai nella cucina a vista.
-"Non fare casino."
Mi disse, mentre sorridendo mi mostrava tutta la casa.
Al piano di sotto un enorme salone e la cucina, con un maestoso tavolo da pranzo, al piano di sopra due camere da letto, una immacolata e curata perfettamente e l'altra disfatta e pitturata di blu cielo, alla fine del corridoio un bagno.
Mi raccontava che i suoi genitori lo mandarono a Londra a studiare perché nel suo paesino di nascita non c'era niente di interessante per un ragazzo sveglio come Harry, apparteneva ad una famiglia benestante, si potevano permettere di mantenere Harry e una casa a Londra senza problemi.
-"Dio, vorrei essere te."
-"Perché mai? Fa schifo vivere da soli, preferivo avere mia sorella tra i piedi e mia madre che mi urlava dietro."
-"Se ci tieni io ho quattro sorelle, un cane e una madre."
Squillò il telefono ad interrompere la conversazione.
Mia madre.
-"Si?"
-"Dove cazzo sei alle undici e mezza del mattino di un sabato signorino?!" Gridò dall'altra parte della cornetta.
-"Mamma sono a casa di un amico che si è sentito male."
-"Uno di quei fattoni che conosci tu? O sei da Liam?" Gridò ancora una volta.
Harry mi strappò il telefono di mano e lo appoggiò al suo orecchio.
-"Buongiorno signora Tomlinson, mi chiamo Harry, piacere. Sono nuovo in città e conosco solo Louis, ieri sera ho mangiato qualcosa che non mi ha fatto sentire bene e, abitando da solo, mi sono preso la briga di chiamare suo figlio. Oh, mi scusi ancora, non sono pratico in cucina e devo ancora imparare, non disturberò più suo figlio, si tranquillizzi, non bevo."
-"Ragazzo mio, tranquillo, però fai tornare a casa mio figlio."
-"Ma mamma è sabato!" Urlai, come mia madre, da dietro la testa riccia di Harry.
-"Infatti torna a casa o non esci questa sera." 
Ripresi il telefono in mano, prima che rispondessi mia madre attaccò.
Presi lo zaino e andai verso la porta.
-"Invece di stare a casa di Liam, siamo qua, quindi, stasera dove si va?"
Incalzai, mentre Harry mi apriva la porta da gentiluomo qual'era.
-"Direi che se non conosci nessun locale figo, poi ti chiamo e ci mettiamo d'accordo."
Harry annuì e mi chiuse la porta alle spalle, mentre camminavo verso casa, attraversando svariati isolati al freddo, con la sua giacca ancora addosso.
Arrivai a casa e mi gettai sul letto, respirai profondamente e raccontai tutto d'un fiato quello che era successo a Lottie, che mi guardava con occhi sgranati e sognanti.
-"Che bella persona che è Harry." Se ne uscì, sospirando con occhi sognanti.
-"Amore mio, è gay." 
-"Ma che palle!" Disse, sbattendo i pugni sul letto, tornandosene in camera sua sbattendo anche i piedi a terra e sbuffando, io ridevo come sottofondo.

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