Reparto Archiviazione Sogni. ☁

di artemisius
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1; E poi c’era quel vento grigio. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***



Erano fatti di sguardi spenti, di labbra morte e pelle vitrea. Le loro parole volavano al vento come sussurri, udite da nessuno. Succubi dell’ignoto sopra di loro, succubi della potenza della dittatura. Succubi di loro stessi, succubi degli altri. Che cos’erano?
Erano uomini.
Erano donne.
Era semplicemente l’umanità.

 

 

Reparto Archiviazione Sogni. ☁
✁ - - - - - - - - - - Prologo - - - - - - - - - -

 

 

 

New Tokyo.
Si soffocava a New Tokyo. O almeno così sembrava. Pareva di sprofondare nell’agonia grigia di edifici dall’aria austera e accostati ad altri malmessi. A New Tokyo vi era una dittatura. La chiamavano semplicemente “Il Partito”. Quella dittatura era diventata pressoché innominabile. Il nome del Partito veniva pronunciato solo dai suoi componenti.
Si camminava per le strada a sguardo basso; ormai avere paura era diventata un’abitudine. Non si alzava lo sguardo neppure per vedere il cielo. Si aveva paura di veder passare qualche aereo e di vedersi una bomba precipitare addosso. Delle volte capitava ancora.
New Tokyo era un mare di teste basse, inconsce della loro stessa agonia. Era ricolma di persone senza alcuna forza, senza alcuna volontà. Solo gusci vuoti che continuavano ad essere scavati con insistenza, per ottenere nulla da nulla.


A New Tokyo, se commettevi un crimine, non morivi.
Ti resettavano.
Ed era proprio un reset. Ti torturavano nel peggiore dei modi finché di te non rimaneva solo la disperazione; poi ti toglievano di mezzo, come si toglie la polvere dalla manica di un abito gessato. Cancellavano il tuo nome ovunque fosse scritto, cancellavano qualsiasi cosa ti appartenesse. L’individuo resettato non era mai esistito, semplicemente. Non era mai nato, non era mai vissuto – vivere? Era davvero questo il termine corretto? - e non era mai morto.
Era proprio come il reset di un gioco. Solo che lì non c’era nulla da giocare.

 

C’erano molte discussioni su quale fosse il peggior reparto del Partito in cui lavorare. C’era chi insisteva sul Reparto dedicato alle emozioni, chi su quello dell’Organizzazione Generale.
Ma nessuno considerava il Reparto in cui lavorava un diciannovenne.
Un diciannovenne dagli occhi castani dalla velata sofferenza, nascosta da quelle ciglia inusuali per un ragazzo.
Un diciannovenne dai capelli malva, le mani affusolate ed eleganti e il portamento maliziosamente superbo.
Un diciannovenne di nome Atsushi Minamisawa.
Nessuno considerava il Reparto di Minamisawa, a volte neppure se ne ricordavano. Ma quel Reparto esisteva. I loro uomini venivano a bussare alla tua porta quando meno te l’aspettavi.
Erano tutti convinti che fosse difficile lavorare nel Reparto Gestione Emozioni. Non è facile rimanere impassibili davanti a tutto, no? Ma quelli del Reparto Gestione Emozioni non dovevano preoccuparsi di nulla, bastava sbattere in galera coloro che mostravano un sorriso in più e poi del resto se ne lavavano le mani.

 

Atsushi Minamisawa lavorava nel Reparto Archiviazione Sogni.
Lui era uno di quegli individui pronti a strappar via tutti i sogni dell’umanità. 
Quelli del Reparto Gestione Emozioni non dovevano tornare da una qualsiasi famiglia ogni volta che si udiva un “Da grande voglio fare…”. Atsushi doveva farlo.
Loro non dovevano sedersi davanti a quei bambini dagli occhioni brillanti e vitali, così diversi da quelli dei loro genitori, e cominciare a parlare del Partito come se fosse un libro illustrato. Atsushi doveva farlo.
Non dovevano toccare sogni irrealizzabili, strapparli via e sorridere come se niente fosse, dicendo “Devi servire il Partito. È giusto così, è questo lo scopo della tua esistenza”. Atsushi doveva farlo.
E ancora il ragazzo si chiedeva come facesse a resistere. Come faceva a non scoppiare? Come faceva a non mettersi a gridare, ogni volta che sentiva quel “Impiegato 11037, Atsushi Minamisawa, hai un nuovo incarico”?
Orgoglio? No.
Forse era semplicemente codardia. Perché alzare la testa, perché peccare di tracotanza davanti al Partito, se poi la punizione era una morta lenta e dolorosa? Ne avrebbe pagato lui le conseguenze, e non i suoi colleghi. Non aveva nessuno su cui scaricare la colpa. Allora perché gridare per poi morire?
Delle volte si chiedeva se non era già morto. Forse era nato morto, chissà.

 

Guardò l’edificio dove lavorava, prendendo un respiro rassegnato, come tutti i giorni.
Toccò con la punta del piede il primo gradino.
Passò al secondo.
Proseguì per il terzo.
Ma Atsushi non sapeva se quella scala portasse al lieto Paradiso o ai disperati meandri dell’Inferno fatto di cenere grigia e silenzio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



Hola-
Ecco qui la long che avevo precedentemente pubblicato nel mio vecchio account. Beh, sì, in fondo è sempre la stessa. La fic che ha sostituito “s o l d i e r s” adesso è qui al sicuro. Spero.

QUI CIE ATSUSHI– *v* /inciampa e muore
Okay, scusate, ma è il mio personaggio preferito, non potevo non infilarlo anche qui su su- E Atsushi Minamisawa → C’È ODORE DI ATSUMASA, ussìssì. Scusate, ma OTP e quindi sì, deve esserci altrimenti non sono contenta. /troppo fomentata per formare una frase decente.
L’AtsuMasa è l’unica shipping accertata perché devo ancora stilare una lista delle altre, lul. Quindi consigliatemi qualcosa, magari mi illuminate. (?)
Gli aggiornamenti cadranno solitamente di sabato o domenica, poiché sono le uniche giornate di respiro che ho. Quindi cercherò di darmi una scadenza precisa. 
Aspetto vostre recensioni, non mangio nessuno c:

A presto,
Aki.

 

ps: AMATE ORWELL. OK? OK.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1; E poi c’era quel vento grigio. ***



Reparto Archiviazione Sogni.
✁ - - - - - - - - - - Capitolo 1; E poi c’era quel vento grigio. - - - - - - - - - -

 

 

6.29.
Anticipò di un minuto esatto la sveglia, spegnendola ancora prima che potesse emettere qualsivoglia suono. Anche lo svegliarsi a quell’ora era diventata un’assurda parte di una soffocante routine.
Fissò per qualche secondo le pareti spoglie. Nessuna foto, nessun quadro. A nessuno era concesso il lusso del passato.
Scese silenziosamente dal letto, dirigendosi verso l’armadio. Ne tirò fuori una delle tante camicie uguali, tutte di un fastidioso celeste che caratterizzava gli impiegati del suo reparto. Sospirò sommessamente, allacciandosi anche la cravatta, sistemandola sotto la giacca. Quella camicia era l’unico punto di colore nel suo abbigliamento, nero gocciolante del colore del cielo. Scivolò in bagno, come ogni mattina, a lavarsi il viso. Si appuntò di nascosto la piccola spilla, nascondendola sotto il bavero della camicia. Nulla di che, una semplice spillina dalla forma triangolare.
Saltò la colazione, come di consueto. Odiava quell’acqua sporca di polvere scadente di caffè. Non aveva mai bevuto un vero caffè, di quelli che venivano descritti come densi e caldi, oltre che molto saporiti. Prese la tracolla di pelle nera, lucida. Era uno dei lussi che potevi concederti lavorando al Partito. Poi dipendeva anche su che grado eri.
Non emise alcun sospiro. Si sistemò la cravatta, guardò fuori ma nient’altro. Lasciò lo sguardo lontano dal teleschermo. Lo stavano fissando ora, stavano studiando ogni sua singola cellula, come sempre.
Nulla di strano nei comportamenti di Atsushi. Non aveva paura di trovarsi la psicopolizia sotto casa.
Anzi.
Non poteva aver paura e basta.

 

 

Alle otto precise, il cartellino riportava l’orario perfetto dell’inizio della giornata di lavoro di Atsushi. Si sistemò la cravatta in silenzio, spingendo la porta che dava sugli uffici. Nessuno alzò lo sguardo e i pochi che lo scorgevano, gli rivolgevano il classico sorriso tirato accompagnato da un:«Compagno».
Tutto era dannatamente bianco, lì dentro. Oppure di una particolare sfumatura azzurra. Tutto così immacolato. Ma non il bianco degli angeli, delle nuvole e delle margherite, no. Il bianco degli assassini.
Assassini di sogni, desideri, persone. Perché cos’erano le persone senza i sogni e i desideri?
“Le persone servono per servire il Partito.” si ripeté mentalmente Minamisawa, sedendosi silenziosamente alla scrivania. Anch’essa bianca.
Non ebbe tempo di sistemarsi o anche di respirare che il suo numero gli perforò le orecchie.
«Impiegato 11037, Atsushi Minamisawa.» una voce fredda parve quasi fermargli il sangue nelle vene. Per un secondo, un solo futile momento, sentì davvero fermarsi tutto. Il sangue sospeso nel vuoto delle sue vene, il respiro stroncato sul nascere.
Il diciannovenne alzò lentamente lo sguardo intenso, incontrando il ghiaccio. L’apatia. I capelli bianchi del giovane che stava davanti a lui, si fondeva con tutto l’altro bianco.
Assassini.
Doveva venire dal Reparto Gestione Emozioni considerata la distanza nel suo sguardo e nella sua voce. Aveva un non so che di familiare, di complice, ma non riusciva a spiegarsi esattamente cosa. Rimase in silenzio a scrutarlo, senza sapere come ribattere. Sicuramente l’albino sapeva tutto di lui, dal nome alla cifra di capelli malva che aveva in testa.
«Sono Suzuno Fuusuke, impiegato 8225.» tutto nel viso di Suzuno rimase perfettamente immobile. Solo le labbra si mossero per lasciar scivolare via quelle parole. «Provengo dal Reparto Gestione Emozioni.»
Atsushi annuì, senza distogliere lo sguardo ombroso da quello ghiaccio di Fuusuke. Cosa ci faceva lì un impiegato del Reparto Gestione Emozioni? Non era affatto una cosa consueta, non venivano nemmeno per delle ispezioni.
L’albino sospirò in modo sommesso, inarcando un sopracciglio e accennando con il capo alla porta d’uscita:«Devo parlarvi, impiegato 11037.»
Avete un nuovo impiego.
Era sempre il solito completamento della frase, ogni giorno. Minamisawa si alzò e seguì il compagno. Era alto almeno quanto lui, stesso abito nero ma la sua camicia era bianca.
È puro solo chi non si fa travolgere dall’impeto dell’emozione.” si recitò interiormente quella frase, perso in tutto il bianco che Fuusuke si ritrovava addosso. 
E se domandare o ragionare era peccato e illegale, allora sarebbe finito in galera. Il malva non poteva fare a meno di affogare nelle sue stesse domande. La presenza di un impiegato di un altro reparto era una cosa inaspettata. Eppure ne era certo: lui non aveva fatto nulla di male. Doveva solo mantenersi calmo. Sarebbe andato tutto liscio. Si trattava solo di una semplice conversazione tra impiegati.
Quando furono finalmente sul tetto dell’edificio, con la brezza fresca a ferire i loro visi, l’intruso aprì di nuovo bocca:«È un caso un po’ speciale.»
«Posso immaginarlo. Del resto non è consuetudine mandare altre persone di altri reparti, per darci nuovi impieghi.» mormorò appena, con il tono di voce più inespressivo di cui disponeva. Si fissavano ancora negli occhi, quasi come se fosse una sfida.
«Pft, evitate di sopravvalutarvi solamente perché sono venuto a darvi un incarico. In fondo non fate altro che dire sempre le stesse cose.» soffiò arrogantemente. Sembrava davvero un gatto vanitoso e troppo candido, dal soffio facile. Istigarlo equivaleva ad un graffio in piena faccia. Ossia una tortura al Ministero dell’Amore come minimo.
Nessuno ruppe più il silenzio, accarezzato solamente dal timido fruscio del vento leggero. Se l’aria a New Tokyo avesse avuto un colore, sarebbe stato di un pallido grigio fumo. Avrebbe avuto l’odore della rassegnazione e il sapore insipido ma doloroso della disperazione. Come delle morte braccia materne, con il loro sadico sorriso sui volti scheletrici, cullava la gente che inconsapevolmente veniva trascinata nell’agonia.
Andava tutto bene.
L’albino si voltò nuovamente verso Minamisawa, tendendogli la mano:«Null’altro da dire.»
Quando il malva strinse cordialmente la mano chiara e affusolata dell’albino, sentì pungere sul palmo. E quando Suzuno scivolò via, silenzioso come un gatto, per poco non gli cadde di mano quel che gli aveva passato. 
Era un bigliettino bianco, piccolo. Lo aprì lentamente, tenendolo saldo tra le dita e ne lesse rapidamente l’indirizzo. C’era scritto solo quello e probabilmente si trattava del nuovo incarico. Ma il nome di chi abitava in quella casa non era da nessuna parte. Sotto, in un angolino del foglietto, c’era un triangolo equilatero, tracciato di fretta.
E forse fu proprio quel triangolo, identico alla spilletta nascosta sotto il colletto azzurro della camicia, a inquietarlo di più.

 

 

Nel corridoio risuonavano solo i suoi passi. Era assurdo come Il Partito avesse tentato di dare colori diversi ai muri dei vari Reparti e Ministeri. Fallendo miseramente anche in quello. Il Reparto Archiviazione Sogni doveva essere di un azzurro etereo come il riflesso del diamante, ma era anche lì solo bianco.
Noi del Partito siamo puri.
Fuusuke trovava il bianco sporco, opaco e crudele. Tutto fuorché puro. Soffocò un sorrisetto, rimanendo immobile nel corridoio spoglio di teleschermi. E per la prima volta, in quella giornata, si disse che tutto ciò era un incredibile suicidio e che forse nemmeno il 11037 avrebbe saputo cambiare le cose.

 

 

La cravatta nera era in perfetto ordine.
La giacca nera stirata e lisciata ottimamente.
La spilla, che tanto aveva cominciato ad angosciarlo, sotto il bavero.
Atsushi prese un respiro abbastanza profondo, senza lasciar trapelare emozioni dai movimenti del viso e del corpo. C’era sempre quel martello che gli percuoteva le viscere, ad ogni nuovo incarico. Chiuse gli occhi per alcuni secondi. A chi sarebbe toccato ora? Ad un bambino aviatore? O ad una bambina cantante?
Premette il dito sul campanello, riaprendo poco gli occhi ombrosi. Quando la porta si aprì, rivelando un giovane che a occhio e croce doveva avere diciassette anni, per l’ennesima volta tutto crollò.
C’era qualcosa di sbagliato in tutta la perfezione del Partito. Non sapeva cosa, ma qualcosa c’era.
Una spilla.
Degli occhi dorati.
E capì che il disordine aveva inizio.





 



Okay sono perfettamente consapevole del fatto che sono in ritardo. È una long che richiede tempo e anche abbastanza fatica, ngh, e poi tra vacanze e scuola mi è mancato un po’ il tempo per dedicarmi a questa long. E quindi uhm. L’ho aggiornata. Non mi dico soddisfatissima ma nemmeno delusa. Lascio ai lettori l’ardua sentenza nella speranza di vedere qualche recensione
Avrete sicuramente notato che Fuusuke ha circa la stessa età di Atsushi (anno più, anno meno, pft). Ho dato per scontato che essendo un’AU anche l’età dei personaggi mutasse in base alle mie esigenze-
Ringrazio come sempre Clau (alias S t o r m_) per aver testato il capitolo prima di tutti quanti. (?) 

E quindi boh, scusate se vi ho portato via del tempo. 
Avrei qualche cos’altro da dire ma tengo la bocca chiusa. Va bene così.

Aki.

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