Achille e la Tartaruga

di _volpina_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il cerusico e la Farfalla ***
Capitolo 2: *** Il canto dell'usignolo ***
Capitolo 3: *** La maledizione della Farfalla ***



Capitolo 1
*** Il cerusico e la Farfalla ***


Perfetta.
Semplicemente perfetta, la giusta definizione per un oggetto di tale bellezza può essere solo questa.
L’ago diritto e lucente alla luce della luna, innestato sul corpo cilindrico cavo che racchiude il siero verde brillante; la canna dello stantuffo in metallo battuto, pronta per l’ultimo colpo; l’impugnatura in tre cerchi perfetti e fissati insieme per adattarsi perfettamente alla presa: un’arma sottile, insospettabile. Letale.
No, non devo pensare in questo modo, esaltarla non mi servirà a nulla…in effetti, ci sono delle macchie scure -incrostazioni di sangue rappreso, forse?- sul becco, proprio vicino all’innesto dell’ago, mentre l’impugnatura si è deformata con il tempo e i cerchi si sono schiacciati per adeguarsi alla mano. Inoltre è graffiata un po’ su tutta la superficie e lo stantuffo pare anche leggermente piegato verso sinistra.
Che sciocca. Farmi spaventare da una cosa tanto innocua e malandata.
Inoltre non mi devo preoccupare, anzi non sono preoccupata: quell’ago non raggiungerà mai il mio petto.

¤¤¤

Aria di festa a Roma, aria di risate e di stupore.
Sono arrivati i Commedianti!
Venite, bambini! Venite, massaie! Venite, miei cari signori! Venite a scoprire cosa vi riservano i Commedianti!
Stupitevi davanti all’uomo che sa imitare ogni voce! Rabbrividite davanti all’orrore di vedere due esseri intrappolati in un solo corpo umano! Commuovetevi per la voce d’usignolo e la grazia dei movimenti della Farfalla!
Venite, osservate, stupitevi!
Una fanciulla vestita sgargiante e di leggero raso celeste si separa dal carro dei Commedianti danzando sinuosamente: di incarnato olivastro, i lunghi capelli castano scuro, trattenuti solo sul capo da una ghirlanda di margherite e non-ti-scordar-di-me, le scendono lungo la schiena e incorniciano le gentili forme.
Non è bella, ma ha quel tratto tipico delle donne orientali, quel fascino che seduce, quella punta di mistero che incanta.
Si avvicina a passo danzante e sinuoso a una figura vestita di scuro, senza un lembo di pelle al sole; una maschera dal becco lungo, simile un grottesco uccello, le rivolge uno sguardo impassibile, ma dietro le lenti scure due occhi altrettanto scuri la studiano.
Gli sorride sorniona e danza intorno a lui, i veli di raso che lo sfiorano senza toccarlo mai in un vortice ipnotico di colori; il carro si è fermato, perché la Farfalla sta danzando per un cerusico: le note dolci dei flauti, i rulli leggeri dei tamburelli e i tintinnii dei sonagli riempiono l’aria solo per loro. La fanciulla ferma la danza in fronte al cerusico e gli rivolge un leggero inchino, tacito ringraziamento per essere stato il suo pubblico per quell’improvvisato spettacolo, quindi chiude gli occhi e socchiude le labbra; i musici cessano di far cantare gli strumenti, perché nessuna melodia può starle al passo.
La Farfalla canta, e molti si chiedono perché  non si chiami Angelo o Sirena, alcuni piangono, altri si lasciano trasportare dalla melodia e persino le grida chiassose dei bambini sono mutate in fiochi mormorii di stupore.
Per un istante, un brevissimo istante, tutta Roma tace per ascoltare la voce d’usignolo di una semplice commediante, né troppo bella, né troppo appariscente, e persino il cerusico, quello strano cerusico con una croce rossa sulla spalla, freme nell’ascoltare quell’insulsa melodia.
La Farfalla tace e il pubblico scoppia in un applauso fragoroso, qualche fiore di campo vola nel cerchio di persone che la stringe e la riempie di complimenti; arrossisce lievemente, ma la carnagione non lascia trapelare nulla di quel casto rossore.
Si inchina un’ultima volta al suo pubblico e ritorna fra i suoi commedianti, ma una presa salda le afferra il polso.
«Qual è il tuo nome?»
Una voce apparentemente roca, coperta dalla pesante maschera, le rivela la presenza di un giovane dietro tutta quella stoffa e quei bardamenti.
«La Farfalla.»
La presa si stringe intorno al suo polso per un breve istante.
«Il tuo vero nome.»
La commediante sorride e scivola via dalla sua presa, rivolgendogli un breve inchino prima di volgersi nuovamente verso il carro.
«Il mio nome è Hyam.»

¤¤¤

Non devo avere paura.
Anche se sembra aver accorciato lo spazio che lo separa dal mio petto, l’ago non mi raggiungerà mai.
Perché Achille non può raggiungere la Tartaruga.

 

Questo non è un bel racconto; potrebbe essere scritto bene, potrebbe emozionarvi, potrebbe invece non piacervi per nulla, ma non è un bel racconto.
Questa è una storia brutta, perché è una confessione bugiarda; per questo, pur essendo la mia prima fanfiction, non provo né felicità, né orgoglio per me stessa, ma solo senso di colpa.
Di una cosa siate certi: nessun nome e nessun personaggio sono stati scelti a caso, nemmeno quello di Hyam che pare tanto campato per aria e tantomeno ho campato per aria
Achille e la tartaruga, ma vi chiedo di avere pazienza.
Dunque, siccome questa è una storia brutta, invece dei soliti ringraziamenti chiederò scusa ai diretti interessati: chiedo scusa a te, Veronica, perchè ti cito qui quando in realtà vorrei ringraziarti perché sei stata la mia ‘mentore’ e perché tutt’ora sei il mio modello e il mio ostacolo da superare (un giorno o l’altro ti lascerò senza parole io e non tu come fai sempre, mannagg-); chiedo scusa a te, Stefano, che non leggerai mai nulla di tutto questo, anche se dovresti farlo; e chiedo scusa a te, mio sventurato lettore, perché ti sei dovuto subire questa sviolinata. La prossima volta ti avviso fin dall’inizio di quest’angolo di autore.
Un mare di saluti c:
_volpina_

.


 

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Capitolo 2
*** Il canto dell'usignolo ***


L’ho perso di vista per un istante e si è mosso. Lo sapevo, sapevo di non potermi distrarre nemmeno un attimo perché sarebbe avanzato di poco, ma la paura fa presto spazio alla consapevolezza che, in ogni caso, sono salva.
La prima volta che ne sentii parlare fu dal vecchio Antiochio, un greco tanto decrepito quanto saggio,  mentre il mare tentava di ghermire e rovesciare il piccolo vascello che aveva osato solcare le sue acque.
Un giorno una tartaruga sfidò l’eroe Achille, figlio di Peleo, a una gara di velocità. Il guerriero rise della sua avversaria, affermando che essa si sarebbe resa ridicola nel competere con lui; data però l’insistenza del cocciuto animale, l’eroe, fiducioso nelle proprie capacità, decise di concedere un vantaggio alla tartaruga e nel frattempo di riposarsi all’ombra degli arbusti. Così il testardo animale si incamminò lungo il percorso stabilito, perché altro non poteva fare. Quando il sole distava solo due spanne sopra l’occidente, l’eroe si svegliò dal proprio riposo e iniziò a correre per raggiungere la tartaruga che era giunta solo a metà del percorso. Eppure, per quanto Achille fosse veloce, per quanto si sforzasse per inseguire la propria avversaria, non riuscì a raggiungere la tartaruga, che per prima giunse al traguardo.”
“Tu menti, Antiochio!”

Ricordo ancora la mia vocetta stridula e di come avesse interrotto il silenzio di sacralità della stiva.
“ Non è possibile che un eroe sia stato battuto da una semplice tartaruga! O si è svegliato troppo tardi o quella non era così lenta!”

Ricordo ancora la sua mano rugosa sulla mia testa e il suo sorriso dolcissimo.
“No, piccola mia. Semplicemente Achille doveva attraversare un piccolo tratto che lo separava dalla tartaruga, ma questo tratto può essere diviso in due metà che l’eroe avrebbe dovuto percorrere, inoltre la metà della metà può essere divisa a sua volta in altrettante parti, tutte da percorrersi, e così all’infinito; nel frattempo dunque che l’eroe aveva percorso una delle tante parti,  uno tratto di egual lunghezza l’aveva percorso la tartaruga, ormai con un vantaggio schiacciante sul guerriero acheo, mantenendo la stessa distanza che Achille aveva permesso di farle guadagnare fin dal principio*. Per questo, piccola Hyam…”



«Hai paura?»
La fanciulla sorride, le guance bollenti per quella maschera buffa che le rivolge un’espressione così grottesca e profonda.
Il muschio aggrappato ai mattoni di argilla umida del Colosseo le solletica la pelle ambrata delle spalle, nude per l’appariscente costume di scena, schiacciata più dalla presenza della figura che dalle braccia appoggiate al muro che non le lasciano via di scampo.
Si alza in punta dei piedi e fa scivolare le piccole mani dietro alla nuca del cerusico, finchè non raggiunge le due estremità dei nastri della maschera.
«No.»
Sussurra sciogliendo il nodo. Il muso d’uccello bianco traballa sul viso del dottore, non più trattenuta dai nastri, e infine vi scivola via e rintocca sul selciato con un suono sordo.
Capelli scuri, occhi ancora più neri, lineamenti squadrati ma non marcati.
Non è bello, ma qualcosa in lui l’attrae, ma non ha tempo di rifletterci troppo perché i suoi guanti le afferrano il viso, la sua bocca brama quelle labbra piccole e infantili e il suo corpo vuole quella pelle ambrata.
E non importa che la paglia del Colosseo puzzi di piscio e vomito, non importa che la stiano cercando per lo spettacolo, non importa che le lacrime le righino il viso senza saperne il motivo, perché ora si sa di essere parte di qualcosa, anzi di qualcuno, sa di essere desiderata e amata e sa di non essere più solo la Farfalla, la voce d’usignolo dei Commedianti.
E il mondo cessa di esistere  tra il profumo di salvia e l'odore di piscio.
Dopo le fiamme rimangono solo le braci, e per qualche momento si chiede se dopo un incendio tanto devastante rimangano veramente solo carboni tiepidi.
«Canta, Hyam.»
«Eh?»
«Canta ancora una volta per me.»
Una voce di usignolo lacera l’aria del mattino, inaspettata come un germoglio in un campo arido.

 

Se almeno potessi cantare, riuscirei a farmi coraggio e a pazientare, ma se apro la bocca quell’ago mi trapasserà il cuore.
Dunque taccio, e le parole del vecchio Antiochio mi danno forza.
“…Per questo, piccola Hyam, per quanto si sforzi, Achille non raggiungerà mai la tartaruga.”



®

 

NOTE: *Paradosso di Achille e la tartaruga: elaborato dal filosofo Zenone, vissuto nell’antica Grecia intorno al 490 a.C., e descritto nella storia in realtà sancisce che il più veloce (Achille) non raggiungerà mai il più lento (la tartaruga), poiché chi insegue deve prima raggiungere il punto in cui era in precedenza colui che fugge, ma nel frattempo quest’ultimo avrà percorso un tratto ulteriore, e così all’infinito (da tenere il conto è il fatto che Zenone non considerasse la velocità dei soggetti ma solo la distanza da percorrere) .
Il paradosso (letteralmente ragionamento che sovverte l’opinione comune) in realtà poggia sul postulato dell’infinita divisibilità del continuo (no, vi prego, non guardatemi così), poi ripreso come fondamento basico della geometria da Aristotele: data una qualsiasi linea, essa potrà sempre essere divisa all’infinito, senza mai pervenire a un elemento minimo o ultimo. Insomma, ho fatto un miscuglio di due postulati quando in realtà sono comunque la stessa cosa, quindi questa nota era completamente inutile.
Semplice, no? *autrice usa filosofia e si colpisce da sola*
P.s.: se avete dubbi, fate una ricerca ma non chiedetemi nulla perché sono una capra in filosofia.

ANGOLO D’AUTORE (questa volta vi ho avvisati): Come vedete siamo giunti (ma davvero?) al secondo nonché penultimo capitolo e finalmente è stato svelato per i pochi eletti che hanno avuto le palle così coraggiosi da leggere la storia il significato del titolo.
Vi ringrazio ancora una volta per aver letto questa lagna fanfiction e mi scuso ancora con i diretti interessati che cito qui sotto, perché so già che molti di loro si farebbero violentare da un branco di orsi (?) piuttosto che vedersi coinvolti qui.
Mi scuso dunque con voi, Agnese, Lara e Ilaria, perché sicuramente non ne potete più di questa storia e specialmente di me, ma  continuate ad ascoltarmi e a picchiarmi (si chiama amore) con pazienza infinita; mi scuso con Federico, il mio primo fun (sì, ‘ventilatore’) e anche primo fangirl masculo (evviva i nonsense) che mi segue con tanto amore sotto minaccia di sublimazione (grazie <3); infine mi scuso con Lechatvert perché devo averle provocato qualche trauma con la mia primissima recensione tanto da averla indotta a scrivere la prima recensione (positiva, peraltro!) della mia prima fanfic causandomi uno scompenso emotivo. Grazie.
Spero che questa mia confessione bugiarda vi entusiasmi almeno un po’.
Baci e shalom
_volpina_
p.s.: mi scuso anche per aver scritto un prologo così lungo, ma era necessario. Per quanto riguarda la storia, penso invece di averne dette fin troppe.
p.p.s.: giuro che accorcerò i ringraziamenti. Giuro.


 

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Capitolo 3
*** La maledizione della Farfalla ***


A Stefano.
Spero un giorno di poterti perdonare.



Il mio nome è Hyam.
E’ la mia unica certezza, l’unica cosa a cui posso aggrapparmi saldamente per impedire alla mia mente di vacillare e di distrarsi, per impedire a me stessa di impazzire.
Il mio nome è Hyam e sono la Farfalla: non smetterò mai di ripeterlo, perché ogni nome è ciò che siamo, ciò che le madri ci appongono alla nascita come marchi indelebili; un nome è una maledizione e la donna che mi generò mi maledisse a denti stretti prima di esserle strappata dal ventre.
Non mi devo distrarre, perché se perdo la concentrazione quello si avvicina…Dio, se si avvicina.
Eppure Achille non dovrebbe raggiungere la tartaruga.

 


♦♦♦
 


«No, Malfatto.»
La fanciulla si alza dalle lenzuola candide coprendosi il corpo nudo con un lembo di stoffa stropicciato. L’uomo non le risponde, si limita a fissare il soffitto come se non gli avesse detto nulla, ma sa che per un istante lui ha trattenuto il respiro.
«Canta, Hyam.»
«No.»
La voce è ferma, salda; è convinta della sua scelta, ma le pare di sentire il suo animo sbriciolarsi come un cristallo e il suo cuore implorarla di ripensare a ciò che sta facendo.
«Io canto per chi mi ama, Malfatto. Per te sono un pezzo da collezione, una delle tante.»
Si volta e lo guarda negli occhi, cercando di rievocare tutta l'angoscia che ha patito, tutta la vergogna delle lacrime versate in silenzio, tutto il dolore che le ha inciso nella carne.
«Lo so, anzi: lo sento. Una vita che ti scorre fra le mani, l’eccitazione di possederla e goderne come più ti pare. Questo non è amore. E’ possessione.»
Il suo sguardo è gelido, lo sguardo di chi non osa essere contrariato, di chi vuole tutto.
«Canta, Hyam.»
Un brivido le risale la schiena e la bocca si socchiude per cantare, intimorita da quell’imperativo così terrificante.
«No, Malfatto. Io non canterò più per te.»
Un fruscio di abiti, una porta che si richiude. Il silenzio, poi un tintinnio metallico e il luccichio sinistro di una siringa.


♦♦♦


Cade.
La fanghiglia è gelida, l’odore di escrementi è nauseabondo. Tenta di rialzarsi, l’abito celeste si lacera, l’ombra scura la incalza ma non corre: sa di avere già vinto.
Alza una mano, tacita implorazione al posto della voce che non esce, ma la figura in nero con un viso d’uccello bianco è sorda anche a quel muto gesto, e solleva un braccio.
Riflettendo la luce della luna, la siringa sovrasta il buio del vicolo per poi abbassarsi.
Un fiore rosso sboccia, ma non è vivo. Non ci sono grida, non ci sono paure, non ci sono lacrime. Solo un sottile filo rosso che sfugge da piccole labbra socchiuse.
La figura nera ride, ride folle e disperata, e stringe fra le braccia un corpicino inerte.
«Sei mia, Hyam. Mia, e di nessun altro.»



Non posso più fare nulla, non posso più rallentarlo.
Alzo una mano anche se so che non serve a nulla, ma non ho paura.
Perché io sono Hyam, sono l’amore folle e fedele*, e amo l’uomo che mi sta strappando la vita.
Quell’ago è già sul mio petto, lacera la pelle, trancia i muscoli e trapassa il cuore, ma non serbo rancore, non provo rimpianto o dolore.
Il mio corpo si abbandona al buio, sui miei occhi spalancati cala un’ombra, ma le mie labbra riescono a sussurrare la peggiore delle maledizioni.
Ti amo, Malfatto.
La Farfalla ti ha incantato con i suoi colori; l’hai catturata e l’hai trafitta con uno spillo, perché ne bramavi il canto, eppure la Farfalla ti ha ucciso, cerusico, perché ti ha condannato a un amore delirante.

Oh Antiochio, Antiochio...quanto ti sbagliavi!
Alla fine Achille ha raggiunto la tartaruga.


 


 


NOTE: *Hyam significa letteralmente ‘Amore folle’, ‘Amore delirante’; in altri contesti anche ‘fedeltà’. Se per il primo significato sono abbastanza sicura, per il secondo un po’ meno, anche perché su internet non ho trovato nulla a riguardo...chiedo venia.
 

 

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