Every Saint Has a Past, Every Sinner Has a Future

di The Stranger On The Moon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 - Abraham's Daughter ***
Capitolo 2: *** 2 - Jasmine ***
Capitolo 3: *** 3 - God Bless The Child ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 - I'm In Here ***
Capitolo 6: *** 6 - Just My Imagination ***
Capitolo 7: *** 7 - Lullaby ***
Capitolo 8: *** 8 - Controluce ***
Capitolo 9: *** 9 - You Spin Me Round ***
Capitolo 10: *** 10 - Back It Up ***
Capitolo 11: *** 11 - Holy Mountains ***
Capitolo 12: *** 12 - Wicked Game ***
Capitolo 13: *** 13 - Il Mare Impetuoso ***
Capitolo 14: *** 14 - Elementare ***



Capitolo 1
*** 1 - Abraham's Daughter ***


Faccio una breve premessa.
Sarà un anno che non scrivo, per mancanza di ispirazione, voglia e tempo. Quindi sarà bene sapere su di me che preferisco fermarmi prima di scrivere boiate tirate via tanto per accumulare capitoli.
Altra cosa da sapere su di me è che ho scoperto Hellsing solo quest'estate, ma adesso non lo mollo più.
Terza cosa: Nel dilemma fra Andersen e Anderson, io tifo Andersen. Senza un motivo preciso.
Ultima cosa: il titolo di ogni capitolo corrisponde a una canzone. Una canzone che ascoltavo scrivendo quel capitolo, una canzone che lo rappresenta, una canzone di cui vi consiglio (non vi obbligo, chiaro) vivamente l'ascolto durante la lettura. Casomai vi fossero canzoni con lo stesso titolo, ma di diversi cantanti, vi indicherò eventualmente l'autore che intendo in una breve nota a inizio capitolo.
Detto questo spero possa piacervi (è la mia prima fic su Hellsing, non lo dite a nessuno) e ricordate che accetto sempre ben volentieri commenti e critiche costruttive.

Buona lettura!




1. Abraham's Daughter

-Papà, papà!

Un uomo levò gli occhi dal Vangelo che stava leggendo quando sentì una stretta debole e tremante all'altezza del polpaccio.

Abbassandoli li posò su una bambina non più grande di tre anni, che non riusciva nemmeno ad abbracciargli tutta la gamba, e che guardava verso l'altro con speranza ed una lieve nota di supplica.

Al vedere il suo volto, prima seminascosto dal libro, la bambina assunse un'espressione delusa e lo lasciò andare.

-Mi perdoni, mi sono sbagliata-Mormorò, mostrando una certa difficoltà nell'articolare la r.

Fece per voltarsi e correre via, ma l'uomo si chinò e la richiamò indietro.

La bambina si voltò senza più l'ombra di un sorriso nel visino smunto, ed anzi lo guardò con una certa diffidenza.

-Hai perduto tuo padre?-Chiese l'uomo a bassa voce, cercando di non spaventarla ulteriormente.

-Se n'è andato sette giorni fa-Rispose lei con una certa fretta, come se non vedesse l'ora di essere lasciata andare. Tuttavia c'era qualcosa, negli occhi di quell'uomo, come una certa autorità, che la spinse a continuare.-Non è mai stato via così tanto, io ho freddo, ho fame, ho paura...-E si bloccò, le labbra tremanti indice di un pianto imminente.

-E la tu mamma?-Continuò l'altro, cercando di addolcire ancora il tono.

-Oh!Lei?-Esclamò la piccola, sgranando gli occhi-Lei è andata col buon Gesù.-

Lui sospirò, impensierito.

-Capisco. Come ti chiami?

-Non lo so.

-Possibile?Come ti chiama tuo padre?

-Ehi tu, di solito.

L'uomo annuì gravemente, riflettendo. La bambina intanto si strinse nel cencio lurido e sbrindellato che indossava e che non le arrivava nemmeno a metà coscia, decisamente inadatto a quell'inverno rigido. Gli lanciava occhiate occasionali di sottecchi, studiandolo. Tuttavia dopo qualche istante la sua osservazione fu interrotta da un violento accesso di tosse, e il suo interlocutore si risolse velocemente.

-Vuoi venire con me?-Le propose-Ti darò da mangiare e ti aiuterò a trovare tuo padre. Va bene?

Per lui, la bambina aveva tutte le carte in regola per essere stata abbandonata.

Abituato com'era alle reazioni di gioia che accompagnavano quella proposta, rimase sorpreso e turbato dalla reazione della bimba.

Quella, infatti, prese a tremare violentemente, azzardando un passo indietro.

-No-Rispose, a malapena udibile.

-No?-Ripetè lui, notando che, sotto lo sporco, la bambina era diventata più pallida di quanto fosse possibile-Non vuoi mangiare?Non vuoi ritrovare tuo padre?

Lei scosse la testa.

-Non mi fido di lei-Balbettò, indietreggiando di un altro passo.

-Mi picchierà come tutti gli altri. Non è così?Non è così?-Ripetè quando non ricevette risposta.

L'uomo serrò le labbra in una linea sottile, scuotendo brevemente la testa, e allungò le braccia verso di lei.

Spaventata com'era, la piccola non osò neppure muoversi. Avvezza alle violenze com'era, anzi, calcolò che sarebbe stato meglio assecondare uno così grosso che prenderle da lui.

Sobbalzò quando sentì che quelle braccia erano anche più solide di quanto avesse temuto. Venire accomodata contro il petto coperto di stoffa nera, poi, parve non esserle di alcuna consolazione: i denti le battevano come nacchere quando guardò verso l'alto.

-Adesso io e te ce ne andiamo in un bel posto, hm?Ti porto al sicuro-Sussurrò l'altro, cercando di farle coraggio e carezzandole i capelli infangati con una mano inguantata di bianco.

Fallì nel suo intento: la piccola si lasciò andare ad un pianto inframmezzato di strilli e colpi di tosse, disperato al punto di stringere il cuore anche ad un sasso.

-No, no, non voglio, per favore-Singhiozzò, serrando gli occhi-Mi picchi, per favore, non voglio...

Corrugò le sopracciglia a quella supplica, confuso.

-Non voglio affatto picchiarti, sta tranquilla-Mormorò, iniziando a camminare.

La folla, impegnata com'era nei suoi affari, di certo non badava a quei due.

-Lo so cosa vuole fare...Per favore, piuttosto mi picchi-Pianse ancora la piccola.

-Non ti farò del male, non aver paura.

-Non è vero!-Urlò, battendogli il pugno sul petto-Non è vero...

Iniziò a cullarla; non capendo la sua reazione, lasciò che piangesse finchè, stremata dalla malattia, dalla paura e dalla fame, non si lasciò cadere svenuta fra le sue braccia.

Sospirò, coprendola con un lembo del suo cappotto.

Era così leggera che se non l'avesse avuta sotto gli occhi non si sarebbe nemmeno accorto di averla in braccio. Il colore dei suoi capelli era reso indefinibile dal fango, aveva le labbra blu e spaccate dal freddo ed era tutta nera dallo sporco. Lo straccio che le cascava addosso mostrava le ossa sporgenti delle costole e il ventre rigonfio. Era sicuramente denutrita e, a giudicare dai colpi di tosse che la squassavano di tanto in tanto, doveva avere come minimo una bronchite.

Immerso com'era nei suoi calcoli, non si accorse di essere arrivato all'orfanotrofio finchè qualcuno non lo salutò con un “Sia lodato Gesù Cristo”.

-Sempre sia lodato-Rispose, come d'abitudine.

Il prete lo fermò.

-Cos'ha in braccio?

-Un'orfana, padre-Rispose, discostando appena il cappotto per lasciarlo vedere-Pare che sia stata abbandonata.

-Quella povera creatura versa in condizioni terribili-Convenne l'altro, dopo averla esaminata brevemente-È una fortuna che sia ancora viva.

-Già.-La rincantucciò nuovamente sotto le falde, poi alzò lo sguardo sul prete.

-Vedesse poi che paura aveva quando l'ho raccolta dalla strada. Ha pianto talmente tanto che è svenuta, intendo ricoverarla il prima possibile. Se vuole scusarmi..

-Prego, prego. Buona giornata, padre Andersen.

-A lei.

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Capitolo 2
*** 2 - Jasmine ***


2. Jasmine

Aprì lentamente un occhio, poi l'altro. Li richiuse subito e infine sollevò le palpebre quel tanto che bastava a spiare l'ambiente senza essere vista.

Era distesa su un letto. Ben poche volte le era stato concesso quel lusso, e nessuna di quelle era stata piacevole. Quello, però, era morbido e profumato, come mai ne aveva sentiti in vita sua: con quella coperta sopra di sé, poi, stava così bene ed al caldo che le pareva di essere in paradiso.

Richiamò alla mente gli ultimi ricordi che aveva: era in braccio ad un uomo che assomigliava vagamente a suo padre e stava piangendo a dirotto. Chissà com'era finita lì?

Analizzò la stanza: aveva le mura dipinte di un giallo caldo e rassicurante. Dal punto in cui si trovava distingueva una credenza di legno scuro, piena di boccette e bottiglie e, attaccato al suo letto, un comodino. L'ambiente le sembrava alquanto rassicurante, quindi decise di aprire gli occhi.

Appena l'ebbe fatto sentì un suono secco, come di un libro che si chiudesse di botto.

-Buongiorno!

Si voltò di scatto. Capelli biondi, occhi verdi, occhiali, massiccio: eccolo là, il tizio dell'altro giorno. Se ne stava seduto di fianco al suo letto, un Vangelo in mano, a guardarla sorridendo.

-Mi hai fatto preoccupare, sai?Menomale che ti sei svegliata!-Continuò, sorridendo contento.
Gli lanciò un'occhiata lievemente preoccupata.-Allora è vero che non vuole farmi del male?-
-Giuro solennemente di no-Rispose lui, serio-O non sono più un prete.-
-Un prete- Ripetè lei, e sembrò rilassarsi un poco.

-Come si chiama?-Domandò poi educatamente.
-Ops, non mi sono nemmeno presentato.

Sorrise colpevole e si portò una mano alla nuca, porgendole l'altra.

-Sono padre Alexander Andersen, dirigo questo orfanotrofio. Piacere!
Lei la prese cautamente e la strinse.
-Piacere-Disse a sua volta.
-Allora, vuoi farti un bagno?Poi, se ti va, potrai mangiare qualcosa.

Dalla sua pancia provenne un brontolio che non lasciò spazio ai dubbi.
-Sissignore-Mormorò, facendo per scendere dal letto.
Il prete le fece cenno di fermarsi e la prese in braccio.

-Sei troppo debole per camminare-Disse, a mo' di spiegazione.
-Grazie, signore-Rispose.
-E così-Riprese lui dopo di un po'-Davvero non sai come ti chiami?
-Nossignore.
-Non hai un soprannome?
-Nossignore.
-Beh, vedremo di trovarti un nome. Quanti anni hai?
-Tre, signore.
-Parli molto bene per avere tre anni.
-Grazie, signore.
L'uomo sorrise, scuotendo la testa.

-Non c'è bisogno di chiamarmi signore, sai?Puoi chiamarmi padre.
-Sì, padre.
Le sorrise di nuovo, gentilmente, ed entrò in una stanza. Là la fece scendere davanti ad una vasca d'acqua calda.
La bambina guardò prima la vasca e poi lui, interrogativamente.
-Che devo fare, padre?
-Mai fatto un bagno?
La bambina scosse la testa.
Sospirò: doveva essere nata in strada.

-Togli pure il vestito.
Si sfilò lo straccio, lo piegò e glieli porse. Lui lo prese, la sollevò e la depose nell'acqua calda.
Rimase a guardarla per qualche minuto mentre lei si rigirava e si immergeva, visibilmente contenta, poi si tolse i guanti.
-Ti lavo i capelli, ok?-La avvertì.
Lei annuì. La vide reprimere l'istinto di scansarsi quando la toccò, e riuscì a farla rilassare solo dopo parecchi istanti passati in tensione.
I suoi capelli, dopo essere stati abbondantemente insaponati, districati e risciacquati, si rivelarono essere di un piacevole color mogano, e lunghi quanto la sua schiena.
Intanto il prete rifletteva sul nome da assegnarle. Ci voleva qualcosa di canonico, il nome di una qualche santa, magari, di modo che rispecchiasse la benevolenza che il Signore aveva avuto nel salvarla.
Le poggiò accidentalmente una mano sulla spalla e lei sobbalzò di dolore, voltandosi a guardarlo.
-Ti ho fatto male?
Lei annuì. A quel punto corrugò le sopracciglia e prese una spugna. Sotto lo strato superficiale di fango, fuliggine e, in parte, anche sangue, scoprì che la sua pelle era coperta di brutti ematomi neri e violacei.
Si ripromise di chiederle i dettagli e, per il momento, si limitò a finire di sciacquarla.
La fece uscire, la avvolse in un asciugamano più grande di lei e la accostò al camino acceso, dove lei rimase a fissare le fiamme danzanti, incantata.
Sorrise intenerito a quella scena e le accarezzò i capelli umidi dicendo:-Vado a cercarti degli abiti puliti.
Stette via pochi minuti-lo stretto necessario- ma al suo ritorno la trovò a guardare verso la porta da cui era uscito con un'espressione confusa e impaurita.

-Oi?Sono qui-La chiamò.

Come lo vide le si dipinse sul volto un tale sollievo che pareva fosse venuto a tirarla fuori dall'inferno.
-Ecco, metti questi.

Le porse della biancheria, delle scarpe di vernice, un paio di calze pesanti, una gonna lunga, una camicia bianca e un maglione bordeaux.
Una volta vestita se la issò sulle spalle e la trasportò in sala da pranzo.
Si accomodò compostamente a tavola, guardandosi intorno con curiosità, ma quando la cuoca le pose davanti un piatto di brodo fumante divenne costernata.

-Oh, no, io non...-Balbettò, imbarazzata.

-Cosa?-Chiese il prete.

-Io non posso pagare-Disse infine, abbassando lo sguardo.

-Pagare?-L'uomo ridacchiò, e lo stesso fece la cuoca.

-La grazia del Signore non si paga, piccola mia.

Inarcò le sopracciglia, stupita. Le avevano insegnato che, in un modo o nell'altro, al mondo si paga tutto: l'acqua, il cibo, i vestiti.

L'essere venuti al mondo.

Si voltò verso la donna e la ringraziò con un trasporto tale che quella se ne andò asciugandosi gli occhi con un angolo del grembiule.

Poi, anziché avventarsi sul cibo come il prete si era aspettato, scese dalla sedia e-cosa che lo stupì non poco-intonò un breve salmo di ringraziamento.
-Chi ti ha insegnato a ringraziare prima di mangiare?Tuo padre?-Le chiese quando si fu seduta.
Lei scosse la testa, con la bocca piena, deglutì e rispose:-La mamma, prima che morisse.

Poi corrugò le sopracciglia, preoccupata.

-Perchè? Non va bene, padre?
-Va benissimo-La rassicurò.
La piccola gli sorrise, contenta.-Mi ha insegnato anche a pregare prima di andare a dormire, quando mi sveglio e qualche canto. Anche se a papà non piacciono-Aggiunse poi fra sé e sé.
-Era cristiana la tua mamma?
Annuì, entusiasta.

-Cristianava moltissimo.
Il prete ridacchiò, e lei continuò a mangiare. Dopo poco chiese:-Padre, ma qui ci sono altri bambini, non è vero?
-Sì, è così.
-E dove sono?
-Alla messa serale.
-Alla messa...-Ripetè, meravigliata-Che bello...È così bella la messa!
-Ti piace?
Lei annuì.-È bellissima, soprattutto quando c'è il coro che canta, e poi ci sono tutte le candele, e poi i fiori, e poi quando leggono il Vangelo...La domenica è il mio giorno della settimana preferito.
-Qui allora ti troverai a casa tua.

All'ultima cucchiaiata di brodo le ciondolava pericolosamente la testa, così decise di portarla in camera.

Lei sembrava averci preso gusto a quel mezzo di trasporto, così gli si accoccolò volentieri fra le braccia.
-Come si guadagna da vivere tuo padre?-La interrogò prima che si addormentasse.
A quell'argomento scattò subito sul chi vive, ogni traccia di sonno svanita.

-Mi faceva ballare e cantare, mi faceva chiedere l'elemosina...A volte invece venivano dei signori coi soldi, mi portavano in una stanza e...-Ammutolì, abbassando lo sguardo.
Al prete apparve molto più chiara la reazione dell'altro giorno.
-Ed era tuo padre a picchiarti?
-Di solito sì, se non guadagnavo abbastanza soldi...Altre volte, quando mi mettevo a chiedere l'elemosina sui gradini di una casa, erano i padroni a picchiarmi. Oppure i figli dei padroni, per divertirsi. O ancora i negozianti, se chiedevo qualcosa da mangiare...
Stettero in silenzio per un po' , finché la piccola non gli circondò il collo con le braccia e gli nascose il viso contro l'incavo, piangendo in silenzio.
Andersen le accarezzò i capelli e la schiena, cullandola e mormorando parole di conforto.
-Non ci voglio tornare là, padre-Singhiozzò ad un certo punto.-Non fanno altro che picchiarmi...
-E non ci tornerai-Promise lui-Rimarrai qui con noi. Non permetterò più a nessuno di farti del male.
La bambina tirò su col naso e lo guardò negli occhi.

-Le voglio bene, padre.
Poi si allungò a dargli un bacio sulla guancia, là dove finiva la cicatrice, e gli posò il capino sulla spalla senza più muoversi.
Andersen non fece in tempo ad entrare nella stanza che lei già dormiva tranquilla.

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Capitolo 3
*** 3 - God Bless The Child ***


3. God Bless The Child

Le fu messo nome Miryam: guarì dalla bronchite in meno di una settimana e fu subito presentata agli altri bambini.
Si riveló essere estremamente sveglia per la sua età: al tempo stesso, era così dolce e candida che si fece benvolere subito da compagne, suore e preti.

Essendo troppo piccola per essere mandata a scuola passava le mattinate a giocare con gli altri; aveva però una gran smania di imparare e rendersi utile, quindi pregò una suora di insegnarle almeno i rudimenti della lettura e le assegnarono un compito semplice, che potesse svolgere tutti i giorni: stare tra i piedi del povero Fra' Francesco, che era incaricato di rassettare la chiesa ogni sera, reggendogli secchio e spazzolone. Gli era più d'intralcio che d'aiuto, ma non poteva che sorridere intenerito davanti alla bambina che ora scorrazzava per le navate, ora ammirava questo o quello, ora gli tirava la toga chiedendogli qualche spiegazione. Uno dei modi che aveva trovato per tenerla occupata un minimo era raccontarle storie di santi o della Bibbia.

Le uniche cose che le si potessero rimproverare erano una certa ombrosità, molta diffidenza e una timidezza sconfinata: ma era un sistema di autodifesa che, crescendo in un luogo sicuro, avrebbe presto abbandonato.
Per quanto egli non avrebbe dovuto nutrire preferenze rimase sempre la protetta di padre Andersen: impegni permettendo, trovava sempre un'ora o due al giorno da passare con lei.
Fu lui a scoprire che era ben portata al canto: la mise in mano alla madre superiora e presto i suoi compagni la videro cantare col coro, la domenica, in chiesa.
Di suo, Miryam era sempre di buon umore e ben disposta verso tutti; era colma di gratitudine verso chiunque le rivolgesse un gesto gentile, ed in particolare verso colui che l'aveva raccolta dalla strada e continuava a prendersi cura di lei come non aveva fatto suo padre.

Se agli altri orfani capitava di dimenticare che erano stati salvati da morte certa, lei era sempre piena di premure con coloro che le avevano fatto del bene: non mancava di ringraziare la cuoca ogni volta che la vedeva, di portare un fiore alla madre superiora e un dolcetto a Fra' Francesco, che ne era goloso.

Inoltre ogni sera, se lo sapeva all'orfanotrofio, non si dimenticava mai di caracollare da Andersen per dargli un bacio sulla guancia e ripetergli:

-Le voglio bene, padre.

Un giorno, tuttavia, successe un fatto che impensierì il prete non poco.

Era seduto su un gradino del cortiletto interno, col dovere di sorvegliare i bambini: quel frangente della giornata di solito passava tranquillo, quindi la maggior parte della sua attenzione era rivolta al suo prossimo incarico.

Assorbito nei suoi affari, non si accorse del trambusto che si era andato formando fra i bambini finchè non udì Miryam gridare:
-Pazzo!

Alzò la testa di scatto, gli occhi sbarrati. L'inflessione di quella voce infantile gliene aveva ricordata un'altra, di donna...

Pazzo!

Un ricordo che lo fece sudare freddo.

Uno dei bambini più grandi venne a scuoterlo per un braccio.

-Padre, venga, svelto!Miryam è impazzita, sta picchiando Shelomon!

Lasciò i fogli sul gradino e si tirò in piedi, ma...

-Cane miscredente!

Di nuovo...

Cane miscredente!

Tentò un paio di passi, ma quella voce...

-Come hai osato...

...Insultare il Signore nostro Dio?

Veniva dall'Inferno...

-Padre, cosa le prende?Si sbrighi!Shelomon sta sanguinando!

Ormai era quasi là davanti, ma l'aveva assalito una vertigine strana: vedeva ogni cosa come se niente fosse veramente lì.

Vedeva il bambino rannicchiato a terra sanguinare dal naso; vedeva gli altri, in cerchio, assistere attoniti;e vedeva la bambina prendere a calci l'altro urlando frasi che gli echeggiavano in testa, terribilmente familiari.

-Miryam...

Lei sembrava averci preso gusto.

-Miryam!-Ruggì.

L'orfana si voltò verso di lui con una luce folle negli occhi.

La prese per un braccio e la strattonò via. I bambini si strinsero intorno al ferito.

-Stai male, Shelomon?

-No, non è niente. Ha solo tre anni.

Lui, infatti, ne aveva sette di più.

-Ma che le hai fatto?

-Non lo so, m'è saltata addosso!

-Strano, non è da Miryam.

-Infatti ci sono rimasto male solo per quello.

-E adesso?Credi che padre Anderson la picchierà?

-Spero di no, mi dispiacerebbe. Sembrava arrabbiato, ma non sarebbe da lui.

Il prete intanto si era chiuso con Miryam nella stanza più vicina.

-Chi ti ha insegnato quelle frasi?-Tuonò, lasciandola.

-Nessuno-Rispose lei, senza l'ombra di un rimorso-Le sentivo nella mia testa.

Sospirò, massaggiandosi le tempie.

-Non devi fare mai più una cosa del genere. È chiaro?

-Ma padre, dovevo,-Miryam incrociò le braccia al petto, tranquilla-Shelomon aveva insultato Dio.

-Allora saresti dovuta venire da me. Capito?

-Capito.

La congedò con un gesto brusco.

Aveva notato che, nonostante mostrasse sempre un grande rispetto verso di lui e si mostrasse costernata a qualsiasi rimprovero volesse farle, in quel frangente era rimasta tranquilla e per nulla pentita delle sue azioni; probabilmente tutt'ora rimaneva convinta che punire Shelomon per le sue parole fosse la cosa più giusta da fare, checché ne dicesse lui.

Guardandola uscire un pensiero si fece strada nella sua testa: accoglierla nell'Iscariota.


Non ebbe mai il tempo di attuare quell'idea.
Due mesi dopo si presentò all'orfanotrofio un uomo piuttosto male in arnese chiedendo di Miryam.

Il prete non voleva rassegnarsi a lasciargliela.

-Non può venire con lei, proprio non può. E a far cosa, poi?A morire di stenti?-

-Quello che viene a fare non è affar tuo, prete-Ghignò l'uomo. Puzzava talmente tanto d'alcol che si portò una mano alla bocca, infastidito.

-Sa, non lasciamo gli orfani al primo disgraziato che viene a chiederceli.

-Sono Domingo Vega, e quella che stai trattenendo, facendomi perdere tempo e denaro preziosi, è la mia bastarda.

Lanciò sulla scrivania un mazzo di fogli alquanto malridotti, ma leggibili.

-Ecco qua. C'è tutto quello che serve per riavere indietro quella mocciosa.

Ghignò di nuovo vedendo il prete irritarsi sempre di più, sfogliando i documenti. -Che c'è, prete?Credi sia la prima volta che la portano in orfanotrofio? Hah! Spiacente. Ci hanno provato in tanti prima di te, hombre.

Andersen serrò le labbra in una linea sottile e abbassò lo sguardo, furioso.

-Così sia. Ripassi domattina.


Il giorno dopo la condusse personalmente davanti a lui, tenendola per mano.
-Dove andiamo, padre?
Non rispose. Non lo fece perchè se avesse parlato sarebbe stato troppo brusco, impegnato com'era a sopportare la rabbia che lo aveva attanagliato.
Miryam decise di non domandare oltre: se il prete non le rispondeva doveva pur esserci un buon motivo.
Scoprì quel buon motivo quando si trovò davanti ad un uomo alto e robusto, anche se non quanto colui che la teneva per mano, coi capelli di un biondo sporco, gli occhi neri e un tremendo odore di alcol su di sé.
Miryam attaccò a tremare appena lo vide, e guardò disperata verso l'alto.
Andersen, impassibile, disse solo:-È questa sua figlia?
L'uomo annuì.

-Sicuro!Eccola lì, la mia bambina. Su, bella, vieni da papà-La invitò, tendendo le braccia.
Miryam si attaccò alle gonne del prete.

-Cosa ci fa lui qui, padre?
-È qui per portarti a casa, Miryam.
Lei scosse la testa.

-Non è possibile, padre. È questa casa mia, l'ha detto anche lei.
-Non dire sciocchezze, ragazza-Intervenne l'uomo biascicando-Tu vieni con me.
La piccola strattonò le vesti dell'altro, disperata.

-Lei mi aveva promesso che non ci sarei tornata-Sussurrò con le lacrime agli occhi-Lei me l'aveva promesso, padre.
Andersen si chinò di fronte a lei.

-Non posso tenerti qui. Tuo padre ha il diritto di portarti via.
A quel punto Miryam gli saltò al collo, scoppiando a piangere.
-Lei me l'aveva promesso, padre, non ci voglio andare, non ci voglio andare, mi faranno male!-Singhiozzò intanto, affondandogli il viso nella spalla.
Il prete la abbracciò stretta.

-Non posso fare altrimenti, Miryam. Devo lasciarti andare-Rispose, ponendola delicatamente a terra.
-Ma tornerò a cercarti-Aggiunse, facendosi udire solo da lei.
Se la staccò delicatamente dal collo, e la spinse appena verso il padre con l'impressione di mandare un agnello nelle mani del macellaio.
-Arrivederci, Miryam- Concluse.
Uscì velocemente.

Dietro di lui, ormai nelle mani del padre, la bimba lo implorava ancora di non lasciarla lì.

L'indomani gli fu assegnata una missione che lo tenne impegnato tre giorni. Al suo ritorno, senza nemmeno passare per l'orfanotrofio, tornò alla strada dove aveva trovato Miryam.
Frugò ogni cantone con lo sguardo, percorse il selciato più e più volte, avanti e indietro, chiese ai passanti e ai negozianti: ma in nessun modo riuscì a trovarla.
L'unica informazione che ottenne fu da un pescivendolo;gli disse che, appena tornati dall'orfanotrofio, l'uomo aveva riempito Miryam di bastonate e se l'era portata dietro, senza farsi più vedere.
-E nessuno ha detto nulla?-Esclamò il prete-È una vergogna.

-Nessuno si impiccia degli affari di quell'uomo-Gli rispose l'altro con un'alzata di spalle-Non ha rispetto per nessuno, quello, nemmeno per i preti. Si metta il cuore in pace, padre: quando ha finito la piccolina non si muoveva neanche più. Non mi sorprenderebbe se l'avesse ammazzata, figurarsi; violento ed ubriacone com'è. Sembrava avere una gran fretta poi. Mi dispiace, ma lei qua non può fare più niente.
Fu costretto, deluso e amareggiato, a ritirarsi.
Mentre si voltava gli parve di sentire una voce infantile gridare "Padre!";ma probabilmente, si disse, era solo quel che restava della sua coscienza.



La donna era intenta a contare delle banconote quando una silhouette sottile si stagliò sulla porta.

Alzò gli occhi a fissare l'uomo che si stava avvicinando al bancone a passo lento, osservando gli arredi del posto: un corridoio lungo e stretto con pareti verniciate di rosso scuro, qualche sedia ed un divano di legno scuro e di velluto color vino, delle lanterne appese alle pareti che davano un atmosfera soffusa e notturna a quella sala nonostante fossero da poco passate le quattro. Affianco a lui c'era una scalinata di legno che portava ad un piano superiore.

Si appoggiò al bancone con fare indolente.

-È lei la proprietaria di questo posto?-Domandò, con una vena di arroganza nella voce.

Quella -una vera e propria matrona, pesantemente truccata e vestita a colori sgargianti, anche se concordi fra loro- tese le labbra rosso fuoco in un sorriso lascivo, alzando gli occhi su di lui.

-Sì, sono la matriarca. Cosa cerchi, carino?

-Cerco una ragazza.

-Allora sei nel posto giusto. Che donne preferisci? Alte? Formose? More? Bionde?

L'altro scosse la testa e fece scivolare una fotografia sul bancone.

-Cerco questa ragazza.

La donna scrutò brevemente la persona ritratta e poi tirò il primo di una serie di cordini dorati che, fino a quel momento, non aveva notato.

Quasi immediatamente si udirono dei passi che scendevano le scale, finchè una terza figura non fece la sua comparsa in fondo al corridoio.

-Come posso essere utile?

L'uomo si calzò un paio di guanti immacolati con un sorriso compiaciuto.

-Ho un affare da proporle.

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Capitolo 4
*** 4 ***


-Sovrappensiero, Andersen?
-Huh?
Un uomo magro, dagli occhi viola, raggiunse il prete al davanzale della finestra.
-Non ti facevo tipo da riflessioni- Soggiunse, ghignando.
-Non mi si farebbe nemmeno tipo da orfanotrofi, ma vedi un po' chi ti ha allevato-Ribatté l'altro, tranquillo.
-A che pensavi?
-Nulla, nulla.
-Un'orfana che ho perso-Aggiunse dopo qualche istante di silenzio.
-Ah, povero-Commentò Maxwell, una nota di scherno nella voce.
Il prete decise di soprassedere.
-Abbiamo una nuova recluta nell'Iscariota- Riprese il vescovo-Indovina chi l'addestrerà.
-Non è questo il mio lavoro, Enrico- Saltò su l'uomo-Io non addestro reclute, tranne che in casi come il tuo. E se è un bambino, gradirei tenerlo fuori da questi affari.
-Quanti scrupoli...Stai proprio diventando vecchio-Sbuffò Maxwell.

-Comunque non è un bambino-Continuò-Ma una ragazza, ventitré anni. Mi ha incuriosito, e ho pensato che potesse interessarti.
-Che miracoli ha mai fatto un comune mortale per interessare Vossignoria?
-Ricordi quel vampiro a cui tenevi dietro, tempo fa?
-Quello che ho perso, sì-Storse la bocca in una smorfia insoddisfatta.

-Beh, lei l'ha trovato prima di te. E doveva sapere quello che aveva davanti, perchè l'ha ammazzato. Con una croce d'argento. Un ciondolo.
Il prete inarcò un sopracciglio, impressionato.

-Era un osso duro.
-E non è tutto-Continuò il vescovo-Dopo avergli piantato la croce nel cuore, gli ha staccato la testa a mani nude. Così-Sorrise il vescovo, mimando il gesto-E senza riportare neanche una ferita.
Andersen mostrò un ghigno interessato.

-Quand'è così...Sarà un ottimo acquisto per l'Iscariota.
-È quello che ho detto anch'io.
-Quando arriva?
-Domani.
-E qual è il suo nome?
-Quanto interesse!Prima non ne volevi neanche sapere-Ridacchiò Maxwell.
-Be', ma un così buon articolo...
-Ad ogni modo, non me l'ha detto. Pare sia una tipa che tiene alla privacy.
-Ah, ma quindi l'hai vista.
-Certamente.
-E che tipo è?
L'uomo rise sotto i baffi.

-Il tipo di donna che farà rimpiangere il voto di castità a tutta la sezione maschile dell'Iscariota, me compreso.
-Ahi ahi...
-Quasi quasi ti invidio, Andersen.
-Invidia e lussuria sono peccati capitali, Enrico.
Maxwell sbuffò, divertito.

-Così come l'ira. Nessuno di noi andrà comunque in Paradiso, Anderson. Inferno per inferno...
-Tanto vale andarci divertendosi.
Un secco bussare interruppe il colloquio dei due.
-Avanti-Rispose il vescovo.
La porta si aprì e una ragazza fece il suo ingresso nella stanza.
Si diresse verso i due a passo sicuro, ma guardandoli con un certo timore reverenziale.
Portava una camicetta bianca logora ma pulita, così malridotta che aveva qualche strappo ai bordi e i primi tre bottoni mancanti: lasciava infatti vedere una larga parte del suo décolleté ed un ciondolo d'argento a forma di croce piuttosto grande ed elaborato. Indossava una gonna di un verde chiaro che spazzava il pavimento, con uno spacco che partiva da metà coscia.
Gli occhi erano grandi e di un particolare grigio argento, abbracciati da lunghe ciglia castane; badavano bene a non fissare direttamente nessuno dei due. Aveva la carnagione estremamente pallida, lineamenti molto delicati e portava i capelli castano-rossicci raccolti in una treccia lunga quanto la metà della sua schiena; era poco più bassa di Maxwell e snella, ma dalle forme decisamente invitanti.
Squadrandola, Andersen dovette date ragione all'altro: quella ragazza faceva gola alla prima occhiata. In più con quelle mosse ammiccanti aveva il fascino della meretrice, reso più elegante da una sua certa grazia naturale.
-Signore-Mormorò, inchinandosi al vescovo; poi si voltò verso di lui e ripeté il saluto.
Il prete avvertì qualcosa -come una certa familiarità- quando disse:-Padre-; ma la ragazza parlava a bassa voce, pensò di essersi ingannato.
-Andersen, ecco la nuova recluta-La presentò Maxwell.

-È arrivata in anticipo-Disse rivolto alla ragazza, per poi piantare gli occhi nella porzione di pelle lasciata scoperta dallo scollo.
-Signor sì, signore-Rispose lei con voce melodiosa, fingendo di non essersene accorta-Hanno spostato il mio volo.
-Capisco. Tanto meglio-Concluse l'altro in trance.

All'occhiata feroce che Andersen gli lanciò si schiarì la voce, alzando lo sguardo verso la ragazza.

-L'altro giorno non ha voluto presentarsi, signorina-Soggiunse, cercando di riacquistare un contegno.
-Signornò, signore.
-Per quale motivo?
-Nessuno nello specifico, signore. Intendo presentarmi a breve, signore.
-D'accordo, d'accordo. Immagino che lei voglia riposarsi: l'addestramento comincerà domani.

Si voltò verso il prete.

-La sua camera è quella affianco alla tua, accompagnacela.
L'uomo assentì con un breve cenno della testa e fece segno alla ragazza di seguirlo. Quella si inchinò nuovamente a Maxwell, che la congedò con un gesto compiaciuto, e si incamminò dietro di lui.
Rimasti soli nel corridoio, la ragazza esordì:-Lei non si ricorda di me, vero, padre?Io l'ho riconosciuta subito.
Andersen si voltò a guardarla.

-Perchè, ci siamo mai visti?
Lei annuì. Allo sguardo ulteriormente interrogativo del prete rispose tendendo la mano e dicendo con un sorriso misterioso: -Candide Lacroix.
Le prese la mano e la strinse, ancora confuso.
Alla vista del suo smarrimento la ragazza allargò ulteriormente il sorriso e aggiunse:-Ma forse lei mi conosce meglio come Miryam, hm?
-Mi...
Ecco dove aveva già visto quegli occhi grigi, quei capelli color del mogano, quel sorriso timido. Ecco dove aveva già sentito quella voce che lo chiamava" padre".
La abbracciò stretta mentre lei scoppiava a ridere, argentina.
-T'avevo data per morta-Disse ridendo a sua volta, quando si separarono.
-E c'è mancato poco!Ma io ho trovato il modo di tornare da lei. Visto?
-Vedo, mia cara, vedo.

La prese a braccetto e ripresero a camminare.
-E così vuoi davvero entrare nell'Iscariota?-Chiese con una vena di preoccupazione nella voce.
Lei annuì.

-Voglio servire Cristo nostro Signore e proteggere i miei fratelli e le mie sorelle. E poi-Aggiunse, dopo un momento di pausa-Anche mia madre era nell'Iscariota. Una donna coi capelli neri e gli occhi del mio stesso colore, forse lei la ricorda.

Sì.
-Ma certo, ora che me lo dici. Christiane. Christiane Lacroix. Le assomigli molto.
Miryam rispose con un semplice sorriso.
-E dove eri finita?Sono tornato a cercarti tre giorni dopo averti lasciata...
-Ed io l'ho vista, padre, e l'ho anche chiamata. Purtroppo non l'ho notata solo io-Proseguì, con una smorfia-Mio padre mi ha portata via subito dopo.
-E cos'hai fatto per tutto questo tempo?
-Fino agli otto anni mi ha fatto chiedere l'elemosina. E poi...
Il prete la guardò, in preoccupata attesa.
-La prostituta-Mormorò infine, in tono amaro-Fino a che Maxwell non è venuto a cercarmi, l'altro ieri.
-Mi dispiace- Rispose l'altro, costernato.
-E di che, padre?-La ragazza sorrise, riprendendo il piglio mite.

-Se sono rimasta viva è stato solo per la speranza che lei sarebbe tornato a cercarmi. O che io potessi venire a cercare lei, cioè-Aggiunse frettolosamente, per non farla suonare come un'accusa.

In fondo, dentro di lei, aveva sempre saputo che non era affatto speciale: perchè un uomo di quel calibro, con tutti gli orfani di cui doveva preoccuparsi, si sarebbe dovuto scomodare per lei?No, in realtà si era sempre aggrappata alla seconda ipotesi.
-Capisco- Commentò seccamente lui, arrabbiato con se stesso.
Miryam si pentì, in cuor suo, di aver parlato.
-Questa è la tua camera.-Fermatosi, Andersen le indicò una porta con un gesto della mano.

-Se ti serve qualcosa, io sono in quella alla tua destra.
Fece per salutarla con un cenno, ma lei si alzò in punta di piedi e gli posò un bacio sulla guancia.
-Le voglio bene, padre.
La guardò sparire dietro la porta e si poggiò la mano dove lei aveva posato le labbra, là dove finiva la cicatrice, piacevolmente sorpreso.
-Ma tu guarda...-

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Capitolo 5
*** 5 - I'm In Here ***


5. I'm In Here

La nottata di Miryam fu terribile.
Si girava ora su un fianco, ora sull'altro, si metteva supina o sulla pancia, si copriva la testa col cuscino o lo lanciava via; in nessun modo le riusciva di prendere sonno.
E, ad ogni momento, guardava il muro che la separava dal prete.

-Sveglia!
Miryam aprì un occhio, sentendosi incline all'omicidio come mai in vita sua.
-Giù dalle brande!-Urlò ancora Anderson, più allegro di quanto fosse sano esserlo alle sette di mattina-Su, che è già tardi!
-Sta scherzando, spero-Mugugnò lei, voltandosi dall'altra parte.
-Affatto!In piedi, forza, forza!-Esclamò lui, avvicinandosi alle tapparelle per alzarle.
-Io non lo farei, se fossi in lei-Lo avvisò, con voce improvvisamente carezzevole.
-E perchè no?-Chiese il prete, che aveva già tirato il cordone sin quasi a metà.
-Perchè dormo nuda.
Sentì un poderoso SLAM!, segno che l'uomo aveva mollato le tapparelle tutto d'un colpo, un balbettio che non le fu dato di decifrare e poi lo udì battere in ritirata in tutta fretta.
Si alzò ridacchiando, già vestita di tutto punto. Uno a zero per lei.

-Sarà il caso che poi discutiamo di alcune tue abitudini-Le mormorò il prete a colazione, rosso in viso e senza guardarla negli occhi.
Inutile dirlo, Miryam la prese come una vittoria personale e iniziò a sghignazzare come una iena.
-E non c'è nulla da ridere! -Esclamò l'altro, ancora più rosso, con l'unico esito di far raddoppiare le risa dell'allieva-Piantala!
-Quando iniziamo l'addestramento? -Chiese lei, asciugandosi le lacrime.
-Subito dopo colazione.
-D'accordo.
-Miryam.
A sentirgli pronunciare il suo nome così seriamente, dal volto della ragazza scomparve ogni traccia di ilarità. Lo guardò, in attesa.
-Questo non è un gioco. Se accetti di entrare nella divisione e di farti addestrare devi essere pronta a non avere paura di nulla, ad essere ferita e a ferire, a sacrificare la vita e ad uccidere a tua volta, a non provare più pietà. L'Iscariota è la divisione più oscura del Vaticano: noi siamo i sacerdoti maledetti, le armi di Dio, cani fedeli che non andranno in Paradiso. Se accetti tutto questo, accetti di essere...
-La bestia di Dio, il boia degli infedeli e la giustizia divina. Non c'è dolcezza nè misericordia, solo la legge del Signore. Ho capito l'antifona, padre, lo so. Lo sarò. Ormai non posso piú essere nient'altro che questo. Quello che ho fatto mi mette contro Dio, ma al tempo stesso nel mio cuore credo fermamente in lui-Concluse con un sorriso amaro.
Anderson le posò le mani sulle spalle.

-Sei ancora in tempo per tornare indietro, Miryam- Le disse guardandola negli occhi, forse con una nota di supplica. Ti ammazzeranno, qui dentro.
-Indietro?Non torno piú indietro, padre, ho deciso. Nessuno mi ridarà la vita che mi è stata tolta ed io, del resto, non ho più nulla da perdere. Tanto vale essere utile almeno a qualcosa. Almeno a Cristo.
Il prete le lasciò una mano sulla spalla, mentre sospirava. Poi tolse anche quella.
-Ho perso quella bambina, ormai-Disse fra sé e sé-E di certo non la riavrò indietro.
-Se è questo il tuo proposito molto bene- Ribattè ad alta voce-Avanti con l'addestramento.
-Confesso a Dio onnipotente e a voi fratelli che ho molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni-La sentì citare mentre lo precedeva-Per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa. E supplico la beata sempre vergine Maria, gli angeli, i santi, e voi fratelli...
-Se inizia a sbarellare adesso-Pensò il prete-Figurarsi che farà alla fine...


-Preferisci le armi da fuoco o le armi bianche?-

-Le armi bianche.-

-Pare che tu sia portata nel corpo a corpo.-

-Abbastanza.-

-È una buona cosa, ma non conterei solo su quello.-La portò davanti a una parete coperta di armi di qualsiasi tipo.

-Scegli.-

Miryam esaminò ogni oggetto con occhio esperto. Evitò per principio le armi da fuoco - le trovava insopportabili da maneggiare - e le armi troppo pesanti, che sarebbero state fuori dalla sua portata ed avrebbero richiesto un addestramento molto più lungo: lei aveva la smania di entrare in azione quanto prima.

Si fermò infine di fronte a due bag'hnak, li staccò dal muro e li mostrò al prete.

-Questi.-

-Gli “artigli di tigre”?Scelta singolare, ma comoda. Bene, allora: cominciamo.-

Le giornate, per Miryam, passavano tutte uguali:sveglia alle sette, colazione, addestramento fino alle due; pranzo, fermo di un'ora nella quale, normalmente, pregava o si esercitava nel canto: poi di nuovo allenamento, fino alle sette;dopodiché prendeva i vespri, cenava e attaccava a studiare.
A studiare perchè sapeva sì leggere, ma gli unici due libri che avesse toccato in vent'anni erano stati Bibbia e Vangelo.
-E dove li hai trovati?-Chiese il prete, quando lo venne a sapere.
-Il Vangelo me lo regalò un prete: mi vedeva ogni domenica in fondo alla chiesa, da sola, ad ascoltare la messa con aria estatica; e alla fine si impietosì.- Rispose lei-La Bibbia mi ha toccato rubarla.-
-È il colmo-Sospirò l'uomo, coprendosi gli occhi con una mano.
-Che ci dovevo fare?Il Vangelo ormai lo sapevo a memoria, volevo leggere il prequel- Concluse lei con un'alzata di spalle, tornando al tomo di storia che stava studiando.
Ebbe il modo di scoprire che padre Andersen era tanto affettuoso come prete quanto inflessibile come maestro: pretendeva da lei disciplina incondizionata, precisione millimetrica e ordine maniacale.
E scoprì anche che il piatto delle baionette faceva male.
-Su con quella testa!Giù con quelle gambe!Dritta con quella schiena!-Ripeteva il prete mentre la osservava allenarsi, andando a colpire ogni volta la parte del corpo che gli sembrava posizionata scorrettamente.
Dopo il terzo giorno si trovò coperta di lividi.
-Guardi qua!-Esclamò a fine allenamento, mostrandogliene uno particolarmente grosso su una spalla.
-Preferisci un livido adesso o un buco in testa più avanti?-Rispose l'altro, impassibile.
-Perchè non ne ho prese abbastanza per vent'anni, nossignore- Mugugnò, riponendo la sua arma.
-E silenzio!I membri dell'Iscariota agiscono in silenzio-La riprese ancora.
-Ma se sibila come una pentola a pressione ogni volta che prende in mano una baionetta...-
Il prete si voltò a lanciarle un'occhiata severa.
Sibilando.

A fine allenamento, tuttavia, entrambi tornavano a rilassarsi.
Miryam doveva chiedere l'aiuto dell'uomo, ancora una volta, nello studio: non era in grado di scrivere, nè conosceva le nozioni più basilari di storia, geografia, scienze o matematica.
Quelle lezioni erano però molto piú piacevoli degli allenamenti: stanchi com'erano, non chiedevano di meglio che stare fermi e a riposo per un'ora o due, con l'unica fatica del voltare pagina o dell'impugnare la penna.

La cosa era nata per caso, una sera.

Andersen era in giro a cercare la ragazza, dovendo comunicarle che l'indomani non avrebbe potuto allenarla a causa di una missione: ma lei sembrava essersi fatta di nebbia, e non si trovava da nessuna parte.

Girovagò a lungo per il Vaticano, ma senza esito: decise quindi di ritirarsi in biblioteca a cercare alcune informazioni.

Mentre sfogliava un dossier sentì un gran trambusto e uno strillo di donna: ebbe il tempo di alzare la testa che gli piovve addosso una pancia e una dozzina di libri.

E fu così che trovò in un sol colpo quello che aveva cercato tanto a lungo da rinunciarci: Miryam, e nove tomi antichi sulle Crociate.

Si guardarono un attimo intorno-o meglio, lei guardò;lui aveva la visuale soffocata da ben altro-poi la ragazza si grattò la testa, smarrita.

-Ah, devo aver fatto un bel volo. Menomale che sono caduta su un tappeto...-Guardò verso l'alto dove la scaletta che stava usando era rimasta, con un piolo spezzato.-Potevo ammazzarmi.-

-Scusa, Miryam, sposteresti mica l'equipaggiamento di bordo?Mi si stanno storcendo gli occhiali.

-Oddio!

La ragazza si tirò in piedi all'istante, rossa in viso.

-Padre!

-Figlio, e Spirito Santo, figliola: amen-Rispose il prete, alzandosi a sua volta e sistemandosi le vesti.

-Mi dispiace da morire!-Esclamò, raccogliendo i suoi fogli e stringendoseli al petto, quasi per pudore.

-Ma ti pare, per così poco-La tranquillizzò contemporaneamente lui, chinandosi per aiutarla.

Si scontrarono in una mastodontica capocciata.

Portarono entrambi una mano alla testa, doloranti.

-Cosa ci fa qui?-Chiese Miryam, chiudendo un occhio.

-Ti stavo cercando...Hm, cos'è questo?-

Scrutò il foglio che aveva in mano. Lei si allungò per toglierglielo di mano, ma il prete fu più veloce.

Trovò scritta una massa di segni incomprensibili, di cui solo alcuni avevano una vaghissima somiglianza con delle lettere.

Alzò lo sguardo sulla ragazza che si fissava le scarpe, imbarazzata.-Non sai scrivere, è così?

Miryam annuì, pensando che sarebbe potuta morire dalla vergogna.

-Perchè non me l'hai detto subito?Avrei potuto insegnarti.

La ragazza mormorò qualcosa che l'uomo non capì.

-Avanti, non mordo nessuno-La incoraggiò.

-N-non volevo...Non volevo che lei mi credesse una stupida - Balbettò - E poi non volevo infastidirla. Insomma...Non è questo il suo lavoro.-

- Miryam!Davvero ti fai questi scrupoli con me?Sono a disposizione per qualsiasi cosa ti serva. Forza, prendi quella penna e vieni qua.
In fondo, lei era l'allieva migliore che un insegnante potesse desiderare: ansiosa di imparare, assorbiva ogni nozione che le veniva impartita ed era estremamente precisa.

Aveva una memoria prodigiosa: durante i ripassi arrivava a correggere il suo maestro sin nelle virgole.
Anche Andersen, comunque, aveva il suo merito come insegnante: era provvisto di una pazienza sconfinata - almeno per il lato culturale delle lezioni- e riusciva sempre a non far sentire Miryam stupida od inadeguata, ma anzi a spronarla a colmare le lacune che aveva: nel giro di una settimana le aveva insegnato a scrivere e dopo un mese la ragazza padroneggiava un corsivo che avrebbe fatto invidia ad un monaco amanuense.
-Ha visto, padre?-Esclamò elettrizzata una sera, dopo aver ricopiato fino in fondo un testo senza errori di grammatica né sbavature-Questo è tutto merito suo!-
Il prete sorrise.

-Il merito è tuo, Miryam. In un mese hai fatto passi da gigante: sono molto orgoglioso di te.
La ragazza gli sorrise piena di gioia, come se non avesse mai ricevuto complimento piú bello in vita sua-cosa che, probabilmente, corrispondeva a verità.
-Beh, non credere che sia finita qui-Scherzò l'uomo, scompigliandole i capelli-Abbiamo appena iniziato. Hai ancora tanto da imparare...
Lei socchiuse gli occhi, soddisfatta.

Poi lo guardò con un'ombra di tristezza nello sguardo.

-Sa, padre, io...

Lui la guardò, in attesa.

-Nulla-Sospirò infine-Solo...Grazie di tutto. Davvero.

-Non devi ringraziarmi. Questo è quello che avrei fatto vent'anni fa, se avessi potuto.

Ma forse vent'anni fa le cose non sarebbero state così.

-Ce ne torniamo in camera?-Propose lui, offrendole il braccio.


Quella era un'altra delle loro abitudini: terminato lo studio tornavano insieme alle rispettive stanze, a braccetto, parlando del più e del meno.

Anche quello era nato per caso.

-Miryam!Vai a dormire?Ti accompagno. Tanto stiamo sullo stesso piano...-

-Oi, Miryam!Facciamo la strada insieme anche stasera?-

-Ehilà!Chissà che non diventi un'abitudine...-

Nonostante passassero la giornata insieme-salvo pasti e riposo, in cui ognuno andava per la sua strada-nessuno dei due riusciva a stancarsi dell'altro. Parevano riuscire a trovare sempre un argomento di conversazione, qualcosa di cui ridere o di cui discutere: Miryam pensava a colmare la differenza di età, essendo stata costretta a crescere più velocemente del dovuto; a ventitré anni ragionava già come una donna fatta, pur conservando una certa ingenuità.

Gli unici due argomenti che evitavano accuratamente di toccare, per un tacito accordo, erano i soprusi subiti dalla ragazza e gli esperimenti condotti su Andersen: per il resto erano capaci di conversare anche sul tema più stupido.

-Lei sa com'è morta mia madre?-Chiese Miryam quella sera.

Il prete scosse lentamente la testa.-So che è successo poco prima che ti trovassi-Rispose.

-Sì...La ricordo a tratti-Continuò lei, corrugando appena le sopracciglia-Più di tutto ricordo le preghiere che mi ha insegnato. Desiderava che crescessi cattolica e timorata di Dio, e non credo di averla delusa.-Concluse, sorridendo.-Lei la conosceva bene, padre?-

-Certo. Christiane era una delle migliori.-Rispose seccamente lui.

Miryam capì che, se non voleva guastare l'atmosfera di pace, per quella sera era meglio lasciar cadere l'argomento.

Si alzò quindi in punta di piedi a portargli quel saluto che, di norma, riparava a qualsiasi malumore della giornata.

-Le voglio bene, padre.-

Scomparve dietro la porta. Come ogni sera il prete si portò la mano alla guancia, piacevolmente sorpreso, e si ritirò nella sua stanza.

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Capitolo 6
*** 6 - Just My Imagination ***


6. Just My Imagination

 

Le notti erano, per Miryam, il momento peggiore della giornata. Rimasta sola si rivoltava nel letto, incapace di prendere sonno, senza riuscire a trovare tregua, senza poter chiudere occhio.
Passava le notti a fissare una parete. Un muro di divisione, di spessore banale.
Eppure aveva occhi solo per quello.

I suoi risvegli erano diventati ormai una leggenda in tutto il Vaticano.
Padre Andersen amava provvedere personalmente al dolce risveglio della sua allieva, e per Miryam era un diletto rispondere soavemente al suo maestro.
I loro scambi di battute mattutini erano attesi con trepidazione dalla maggior parte delle giovani reclute e anche da qualche membro anziano. Lo stesso Maxwell, anche se non l'avrebbe mai ammesso, adorava la maniera in cui la ragazza rispondeva a colui che per tanti anni l'aveva buttato giù dal letto allo stesso modo.
Quel giorno, però, era destinato a rimanere impresso negli annali dell'Iscariota.
-Oooooiii!Ancora a letto?In piedi, scansafatiche!-Gridò gioiosamente Andersen, spalancando la porta della stanza, soave come un capodoglio con la raucedine.
-Pazzo- Borbottò la ragazza, seppellendo la testa sotto il cuscino.
La congrega clericale che assisteva allo scambio di battute, nella stanza del poveretto affianco a quella della ragazza, diede in un sospiro deluso.
-Stamattina non è in forma-Commentò un prete.
-Sono in ritardo?!-Esclamò Maxwell, caracollando dentro.
-Si è perso solo un" pazzo", Eccellenza- Gli fu risposto.
-Non è in forma, stamattina- Mugugnò il vescovo, accostandosi al muro.
-In piedi, in piedi!Il sole splende, il cielo è azzurro, gli uccellini cantano, i fiori si sono aperti...-
-E lei è qui a scartavetrarmi i maroni.-

-E su, tirati in piedi!Cos'è,pesi troppo?-

-Può almeno far finta di essere dispiaciuto per lo strillarmi nelle orecchie a quest'ora antidiluviana?-
-Fooorza, Miryam! Cosa direbbe nostro Signore Gesù Cristo se ti vedesse in questo stato?Guarda che l'accidia è un peccato capitale! Dobbiamo essere pronti e combattivi sin dalla mattina a glorificare il Signore con le nostre vite, perché Egli non riposa mai! Anche nel Vangelo è scritto che coloro che dormiranno durante la venuta del Regno dei Ciel-- -
-LA VUOLE PIANTARE DI STARNAZZARE, OCA GIULIVA?!-
Per miracolo, la risata collettiva della stanza affianco fu coperta da quella tonante e incontenibile del prete.
-Questo è il miglior...-Annaspò, prima di tornare a piegarsi in due.
Suo malgrado sorrise anche Miryam.

L'aveva sentito ridere tante volte, ma mai così di cuore.

Padre Andersen era preoccupato. Ormai da diverso tempo aveva notato un cambiamento, nella sua allieva, come una certa inquietudine: ogni volta che lo guardava i suoi occhi parevano mari in tempesta, le frasi che gli rivolgeva erano più tese del solito, durante gli studi sembrava sovrappensiero, la sera spiccicava con lui qualche parola a malapena. La notte scorsa, addirittura, aveva quasi dimenticato di dargli la buonanotte, e la mattina i loro scambi di battute non erano più vivi come al solito.
Cosa le stava succedendo?
Dal basso della sua conoscenza delle donne stilò due ipotesi: o era arrabbiata-ma non le aveva fatto nessun torto-oppure, l'opzione che si profilava più terribile, era innamorata.
-Oh cielo- Pensò-E se fosse così? Bell'affare avrei combinato! Devo esserle stato troppo attaccato, sì: del resto non ha più tre anni. Mio Dio! E se si venisse a sapere? Spero solo quella ragazza abbia giudizio; prima o poi le passerà. Ma sì, Miryam è intelligente, non farebbe mai scenate in pubblico: probabilmente terrà la cosa per sé finché non la dimenticherà. Innamorata di un prete, che guaio! Spero capisca che non è proprio il caso.-
Figurarsi la sua faccia quando, ancora immerso in simili pensieri, vide Miryam marciare verso il suo tavolo con la decisione dipinta in viso.
-Miryam...-Fece subito, alzandosi. Che coda di paglia.
-No, mi ascolti!-
Tutti i frati, preti, suore, cardinali e vescovi presenti, Maxwell compreso, si voltarono verso di loro.
Con gli occhi di tutti addosso, Andersen cominciò a sudare freddo.
-Ascolta, che ne dici se ne parliamo in un'altra sede?-Tentò, passandosi un dito nel colletto clericale.
-No, lo devono sapere tutti!-
-Ecco qua, sputtanato per tutto il Vaticano. Grazie mille, Miryam- Pensò l'uomo, massaggiandosi la fronte.
-Sono due mesi che non dormo a causa sua!Due mesi che la notte mi rigiro nel letto!Due mesi che sto sveglia a fissare il muro!Due mesi!-
Il pubblico aveva raddoppiato la sua attenzione, Maxwell lo stava impalando con lo sguardo, e lui non sapeva che fare. E se se la caricava in spalla e correva via?No, non era proprio il caso. L'avrebbero letteralmente trucidato.
-Che ci posso fare io per-- -
-Cosa?! È tutta colpa sua, le sto dicendo! Possibile che lei non se ne accorga? Possibile che faccia finta di niente?-
-Ma di cosa stai-- -
-Aaah, basta, non posso piú stare zitta! Se lei non lo capisce glielo dirò io! Lei...Lei...-
Ci fu un momento di silenzio col fiato sospeso. Tutti fissavano il prete, in attesa della confessione della ragazza.

O Signore, è arrivata la mia ora.
Miryam prese un respiro profondo e, puntandogli il dito contro, urlò:
-Lei la notte russa come un cinghiale!-
Poco ci mancò che Andersen non crollasse sul tavolo dal sollievo, mentre la sala scoppiava nell'ilarità generale.
Lei si voltò verso il capo dell'Iscariota, che rideva talmente tanto da far pensate che sarebbe caduto dalla sedia.
-Sua Eccellenza, la prego!-Lo implorò a mani giunte-Gli dica qualcosa almeno lei!Fosse solo per me sopporterei; ma quest'uomo tiene svegli pure padre Rossi, il cardinale Giannini, suor Elisa e suora Grazia!-
-È vero-Confermarono gli interpellati, ognuno dei quali mostrava un bel paio di occhi cerchiati-Padre Andersen è insostenibile!-
-Va bene, va bene-Deliberò lui con un gesto noncurante-Gli insonorizzeremo la stanza. Entro stasera le cose dovrebbero essere a posto.-
-La ringrazio, Sua Eccellenza.-Miryam si inchinò al vescovo, per poi lanciare un'occhiata trionfante ai suoi compagni di sventure.
-Non è nulla-Rispose lui, compiaciuto come al solito, per qualche misterioso motivo, dalla deferenza della ragazza.-Bene, signori, tornate pure alla vostra colazione.-

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Capitolo 7
*** 7 - Lullaby ***


7. Lullaby

Una cosa di Andersen non riusciva davvero a sopportare, però: vederlo tornare dalle missioni.
Era sempre più stanco, spesso lo era tanto da non riuscire nemmeno a camminare, a volte anche ferito: e mai che si lasciasse aiutare.
Miryam iniziava a nutrire per lui un affetto incondizionato, pari a quello di un cane per il padrone: e se c'era una cosa che quel cane non sopportava, quella era di veder soffrire il suo padrone.
-Si lasci aiutare, padre- Lo supplicò una sera, vedendolo più distrutto del solito.
-Lascia...Lasciami stare, Miryam- Mormorò lui, aggrappandosi alla ringhiera e apprestandosi a fare le scale.
-Non ce la fa, padre, lasci almeno che la aiuti a salire.-
-Ce la fac-- -
Lo afferrò per la vita un attimo prima che stramazzasse a terra.
-Vede che non ce la fa? Lasci fare a me, da bravo, Metta il braccio qui...Sì, così. Adesso saliamo, un gradino per volta.-
-Questo qua pesa come un bove- Pensò intanto fra sé e sé.
-È ferito, padre?-Chiese.
Lui scosse la testa, ma quando andarono accidentalmente a sbattere contro il muro si morse il labbro inferiore e si portò di colpo una mano al fianco, rantolando.
-Allora è ferito! Strano, un rigeneratore come lei... Dev'essere stato qualcosa di particolarmente infernale, eh? Non importa. In camera mia ho delle bende, di medicina so qualcosa, ci darò un'occhiata io.-
Lo portò in camera sua e lo fece stendere. Si guardò brevemente intorno, curiosa:la camera del prete non era dissimile dalla sua. Aveva le pareti bianche, con una grande finestra in stile gotico su quella di destra e una su quella di fronte a sé, sopra al letto; ovunque c'erano pile più o meno alte di libri, in mancanza di una libreria; di fianco alla porta, a destra, stava una bella scrivania intagliata, di mogano, e sopra questa alcuni fogli scritti in grafia elegante, assieme ad un calamaio.

Sulla parte sinistra c'erano solo libri: su quella di destra invece c'era un piccolo televisore.
Attaccato alla parete frontale c'era un letto a due piazze, come il suo: pensò sorridendo che però lei poteva stare totalmente stravaccata, mentre uno della sua stazza occupava come minimo una piazza e mezzo.
Posto fra la finestra e il letto, quasi a protezione, stava un crocifisso di dimensioni abbastanza grandi: subito a fianco, un quadretto con l'immagine della Madonna.
A sinistra del letto c'era un comodino e, sopra di questo, due foto: una era con tutti i bambini dell'orfanotrofio, mentre l'altra raffigurava un piccolo Maxwell con un libro in mano, Yumie alla sua destra e Heinkel alla sua sinistra, intente a sbirciare dentro; dietro il trio, lui.
Sorrise, alla vista di quelle foto: quelle mostravano la parte umana dell'uomo che aveva la fortuna di conoscere e che tutti gli altri identificavano solo come il mostro di Dio.
Il mostro: che sciocchezza. Ora che lo vedeva sofferente sul letto, avrebbe detto piuttosto il martire di Dio.

Era solo un uomo. D'accordo, un uomo che, quando gli sparavano, sudava proiettili; ma era pur sempre un uomo. L'unica sua colpa era voler proteggere la sua religione ed i suoi fedeli a qualsiasi costo: era davvero così imperdonabile? Era davvero peggiore di coloro che ammazzavano tanto per il gusto di farlo? Lei non se la sentiva di condannarlo, né di chiamarlo “mostro”.
Spostandosi, notò una piccola cornice ovale accuratamente nascosta dietro alle altre, caduta all'avanti.
Si allungò ad alzarla - per amore dell'ordine più che per ficcanasare - e scoprì una foto in bianco e nero di lei da piccola, in braccio a lui. Notò che il vetro mancava, tranne per un bordo frastagliato che sembrava essere stato frantumato, e la fotografia era macchiata da tre piccole gocce di sangue. Ipotizzò che, in un accesso di rabbia, l'avesse sfondato con un pugno e ne fosse rimasto ferito.

Già. Eccolo là, il mostro.
Gli si accostò, sedendosi sul letto.

-Adesso guardo cos'ha. Ok?-
Se anche avesse avuto qualcosa da ridire, era troppo stanco per farlo.
Miryam gli sbottonò delicatamente la camicia, lasciandolo a torso nudo. Ignorò per abitudine lo spettacolo - nonostante di fisici così ben fatti ne avesse visti molto pochi in vita sua - e si concentrò sul fianco che sapeva ferito: il danno consisteva in un brutto foro, probabilmente da arma da fuoco, che gli aveva portato via parte della carne.
Attese un po', giusto per vedere se si rimarginava: ma passato un quarto d'ora le condizioni della ferita erano le stesse.
-Va bene; vado a prendere il necessario-Disse, alzandosi.
Tornò poco dopo con un asciugamano, delle bende e una bacinella d'acqua.
-Adesso le lavo la ferita: potrebbe farle un po' male-Lo avvertì.
Gli stese sotto l'asciugamano e prese a tamponargli l'area insanguinata con un panno; terminata l'operazione lo tirò a sedere e cominciò a bendargli la vita.
Si fermò più di una volta, preoccupata d'avergli fatto male, perché lo vedeva rabbrividire: non poteva sapere che rabbrividiva perché non aveva mai sentito mani così leggere e delicate sfiorargli la pelle a quella maniera, nonostante non avessero malizia.
Andersen, intanto, pregava Dio che non lo guardasse in faccia, perché era arrossito violentemente.
Quand' ebbe finito gli poggiò le mani sulle spalle.

-Ecco fatto. Adesso a nanna.-
Lo infilò sotto le coperte e gli sfilò gli occhiali dal naso, poggiandoli sul comodino. Ormai era quasi del tutto addormentato, quindi si azzardò ad accarezzare una volta soltanto quei capelli che stavano ritti come spine. Poi lasciò scivolare le dita sino al mento, un sorriso dolce a curvarle le labbra.
-Buonanotte;le voglio bene, padre.-
Gli depose il solito bacio sulla guancia e se ne torno in camera sua.

-Dio, che brutto affare-Pensò appena sveglio.
Poggiò l'avambraccio sulla fronte, fissando il soffitto con gli occhi socchiusi. Il pensiero gli corse alla notte prima e, suo malgrado, sorrise.

Gli era piaciuto essere toccato da una donna? Sì.

L'avrebbe rifatto? Sì.

Avrebbe dovuto pensarci anche solo lontanamente? Assolutamente no.
Che gli prendeva?Non gli era mai successo niente di simile. Era sempre stato uno al sicuro da tutti i vizi: bere, non beveva; fumare, non fumava; mangiava solo quel che gli serviva a campare; pigro non era; i soldi non gli interessavano; si credeva soltanto un'arma al servizio del Signore; non invidiava nessuno; e dalle donne poteva stare lontano. L'unico suo peccato era l'ira, ma era l'ira di Dio; e quindi era quasi giustificato.
Ma adesso... Adesso le cose stavano prendendo una piega che non gli piaceva.
Prima trovava gradevole la compagnia di Miryam, ma non gli era indispensabile averla affianco: da un po' di tempo a quella parte, invece, la mattina era ansioso di vederla, e gli doleva lasciarla, la sera, nonostante aspettasse tanto quel bacio. E adesso quando lo toccava gli andava il sangue al cervello... Era davvero finito.
Povera ragazza, proprio a lei era dovuto toccare il prete! Come se di maniaci non ne avesse già visti abbastanza.
Però, ieri sera, quel sorriso... Non se l'era sognato, vero? Gli aveva davvero accarezzato i capelli e il volto con quel bel sorriso...
Oi, oi, che stava dicendo? Lui era un prete, un uomo fatto e finito; figurarsi se era il caso di sospirare come una scolaretta per un sorriso e una carezza!
Spina dorsale, Andersen, spina dorsale! Erano forse quelli pensieri da farsi? Era un uomo di Dio, lui, sposo della Chiesa e della Vergine Maria, non poteva certo lasciarsi andare a cose simili! Era una prova, una tentazione, ecco cos'era, come Cristo nel deserto; e lui si era mostrato già abbastanza debole nella carne.
...Ma perché mai il Signore avrebbe dovuto mandargli un suo emissario e Satana nella stessa persona?

-Huh, Miryam...
-Sì?
-Riguardo a ieri sera... Grazie...
Ma non farlo più. Dillo, idiota, dillo!

Lei gli sorrise.

Lui si bloccò.
-Si farà aiutare da me anche la prossima volta, allora?
-I-io...Uh, s-sì.
Perfetto, deficiente!
La lingua gli si stava ammutinando contro il cervello.
-La ferita va meglio?
-Ah, sì. Ha iniziato a guarire stamattina.
-Cos'è stato?Lei di solito non torna ferito.
-Proiettili d'argento. Ci metto di piú a guarire, ma non è nulla di grave.
-Se vuole dopo le cambio la fasciatura.
Disse "D'accordo" prima di potersene rendere conto.
-Hm!Allora passi dopo pranzo in camera mia.

-Beh...Va molto lenta-Commentò la ragazza, esaminando la ferita. Era quasi nelle stesse condizioni della sera precedente, e ancora sanguinava, anche se meno copiosamente.
-Ok, ci metto un attimo.
-Fa' pure con comodo.
E basta!
Ripeté le operazioni della sera precedente, ma stavolta lui era ben sveglio:gli ci volle del bello e del buono per non arrossire e rabbrividire ad ogni piè sospinto.

Non era del tutto colpa sua: con la paura di fargli male che aveva Miryam finiva più ad accarezzarlo che a fare altro, ed era pur sempre cresciuta in un bordello.

-Dio mio, potevi anche scegliere una prova più facile-Pensò, mentre lei gli faceva scivolare le mani sul petto-Questa avrebbe corrotto anche San Francesco, altro che Babilonia.-

Alzò gli occhi al cielo e diede in un lunghissimo sospiro quando, girandogli intorno, gli aderì accidentalmente alla schiena.

-Mi scusi, padre!-Saltò su lei-Le ho fatto male?-

-No, no, tranquilla.

Non è quello il problema.

-Non si preoccupi, ho praticamente finito. Ecco!-Esclamò, dandogli una pacca sulla spalla.

Sia lodato il cielo.

-Ascolta, Miryam...

-Hm?

-Ceneresti con me, stasera...? Sempre se non ti infastidisco, ecco...

-Certo che no, padre, ma si figuri!

-Molto bene. Pensi che guarirà in giornata?

-Spero di sì. Altrimenti viene da me prima di andare a dormire, stasera, e le cambio le bende di nuovo.

-Certamente.

Ma porc...

 

Ah, finalmente una notte di riposo senza quel rumore abominevole.

Stanca com'era, si concesse solo un istante per ripensare alla giornata.

La ferita del prete era guarita verso l'ora di cena, restituendogli l'appetito di un pachiderma.

Ridacchiò fra sé e sé, al ricordo. L'aveva rimproverata tutta la sera, tra una masticata e l'altra, perché lei mangiava lentamente, a spizzichi e bocconi, come un uccellino. Del resto lei a quell'abbondanza non c'era abituata, e poi le avevano insegnato a non mangiare più di un tot per non prendere peso – rovinando così la merce che era il suo corpo - e perché, comunque, più di un tot da mangiare non c'era. Anzi, spesso e volentieri non c'era affatto.

Ad ogni modo, avevano parlato tanto che s'erano dimenticati anche di andare a studiare.

Visto che era guarito, non c'era stato bisogno di cambiargli la fasciatura; l'aveva salutato come al solito ed eccola là, a ciondolare dal sonno.

Sbadigliò. Era stata proprio bene...

Nemmeno il tempo di finire di pensare che già stava dormendo.

 

Chi non dormiva, una volta tanto, era Andersen.

Quella serata era stata una tortura.

Era stato un pazzo a chiederle di cenare con lui. Per far cosa, poi? Per spingersi meglio fra le braccia del demonio?

Si voltò sul fianco non ferito. L'altro non era ancora guarito del tutto, anche se le aveva detto il contrario. Non sarebbe davvero riuscito a sopportare tutto...Tutto quello una terza volta.

Dio, ma perché doveva essere così difficile resistere? Perché una donna così bella ed invitante?

E che ti aspettavi?Una racchia che ti dicesse “Non te la do neanche se butti fuori dalla testa il numero esatto di colpi esplosi nella battaglia di Waterloo”?

No, però...

Non una ragazza bellissima e scodinzolante che aveva iniziato ad idolatrarlo, che pendeva dalle sue labbra e a cui avrebbe potuto chiedere qualsiasi cosa.

Basta, doveva controllarsi.

E poi avrebbe dovuto pensare anche a lei, povera Miryam: solo perché Dio gliel'aveva inviata come prova non significava che fosse il diavolo, anzi; con tutte le probabilità lei era lì perché voleva solo servire Cristo, e fra quelle mura si sentiva al sicuro, protetta dal Signore.

Figurarsi se le doveva capitare tra i piedi anche il prete in crisi mistica.

Si trattava solo di aspettare: la cosa avrebbe fatto il suo corso...

Delle urla terrorizzate spezzarono il filo dei suoi pensieri e lo fecero scattare in piedi: il suo allarme raddoppiò quando capì che venivano dalla camera di Miryam.

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Capitolo 8
*** 8 - Controluce ***


8. Controluce
 

Entrò di corsa nella camera della ragazza, preoccupato.

-Miryam!
Era là, rannicchiata sotto le coperte. Le si avvicinò un po' meno allarmato, e si chinò a lato del letto.

-Stai bene?Mi sei sembrata spaventata.
Lei scosse le testa, il lenzuolo che la copriva completamente. Notò che tremava come una foglia, quindi alzò un lembo della coperta e guardò sotto.

-Un incubo?
Annuì, reprimendo a stento un singhiozzo.
Beh, forse per quel momento Satana aveva battuto in ritirata.
Già da quand'era piccola aveva dovuto combattere coi suoi incubi, particolarmente orribili perché erano veri: nient'altro se non tutto quello che le era successo.
Ora che era riuscita a dormire tranquilla per una notte i vecchi fantasmi dovevano essere tornati anche più spaventosi di prima.
Protese le braccia verso l'alto, come quando era piccola: e ad abbracciarla non ci trovò niente di male.
Ed eccola là, intenta a piangere anche l'anima addosso a lui, gli occhi rossi e lucidi, raggomitolata come a volersi fare il più piccola possibile.
Gran bella tentazione, eh?
Andava singhiozzando che le avevano fatto male, che in mezzo alla strada non voleva più tornarci, che avrebbe preferito le bastonate al bordello.
E, ogni tanto, gemeva:
-Ho paura, padre, ho paura...
Dal canto suo non poteva fare altro che tenerla stretta e ripeterle che oramai era tutto finito.
Gli ci volle del bello e del buono per calmarla, ed anche quando smise di piangere si aggrappò a lui così disperatamente che non ebbe davvero il cuore di staccarsela di dosso; si rassegnò a passare la nottata bloccato, braccia e gambe.

Poco ci mancò che non lanciasse un urlo quando la mattina avvertì che c'era qualcun altro nel suo letto.
Le ci volle un po' per spiegarsi che cosa diamine ci facesse padre Andersen a dormire saporitamente con la testa posata sul suo petto.
Ah, era perché ieri sera aveva avuto un incubo e lui era rimasto a rassicurarla. E difatti era abbrancata a lui gambe e braccia, impedendogli il movimento.
Slacciò l'abbraccio e gli sistemò meglio la testa, che ciondolava in bilico: poi gli affondò delicatamente una mano fra i capelli, badando a non svegliarlo.
Che le prendeva?Di uomini ne aveva avuti a palate: si era svegliata schiacciata dal loro peso decine di volte; li aveva sempre visti affondare il volto nel suo seno con disgusto, per loro e per se stessa, che li lasciava fare; si era tolta dalla strada con le sue stesse forze pur di non dover più vedere quello spettacolo mattutino e sopportare tutto il resto.
Eppure adesso aveva un uomo nel suo letto, anche se non di sua volontà; lei stessa gli aveva sistemato la testa sul suo petto; sempre lei che, ora, gli stava carezzando il volto, osservandolo con un misto di desiderio e timore; lei che non voleva svegliarlo.
Qual era il problema? Voleva togliersi la soddisfazione di averlo per una notte soltanto?
Ma non era solo attrazione fisica, anzi - e fece scivolare le dita lungo la nuca, provocandogli un fremito - era qualcos'altro, qualcosa che non avrebbe saputo definire: lei aveva in odio gli uomini, eppure per lui era diverso. Non si era mai preoccupata troppo della sua istruzione, eppure aveva il timore di apparire stupida ai suoi occhi; coi suoi clienti non scambiava mai più di due parole, mentre traeva grande piacere dalla conversazione con lui.

Ma la differenza sostanziale era che, mentre di solito dagli uomini desiderava solo allontanarsi, cercava in tutti i modi di avvicinarsi a lui. Si sentiva al sicuro fra le sue braccia, protetta, benvoluta; se avesse potuto, sarebbe rimasta così per sempre.
Gli tracciò il profilo delle spalle con la punta delle dita.
Fosse stata questione di sedurlo, non ci sarebbe stato alcun problema: tempo due giorni e sarebbe stato ai suoi piedi. Non per niente era uno dei suoi maggiori talenti. I preti, poi, erano una delle razze più facili da far capitolare: legati com'erano dal voto di castità e disabituati alle donne, bastava qualche grazia più terrena che divina a farli impazzire. Lui, nello specifico, le rendeva il gioco ancora più semplice: col temperamento violento che aveva, si infiammava per un nonnulla; di rabbia, e - ci avrebbe scommesso - anche di passione.
Bastava scovare i suoi punti deboli.
Iniziava anzi a vedere segni di cedimento senza aver fatto alcunché. Anche Maxwell, fra l'altro, stava iniziando ad interessarsi - un po' troppo, per i suoi gusti.
E lei che era venuta in Vaticano per stare lontano dagli allupati.
Ma comunque non era solo lussuria, non voleva quello: c'era dell'altro, qualcosa di molto più complicato.
Lui era come un insieme di modi di fare, pensieri, sorrisi e gesti che le piacevano riunitisi in una sola persona: e da quella persona voleva essere desiderata per i suoi modi di fare, per i suoi sorrisi, per i suoi pensieri, per i suoi gesti; e non solo per il suo corpo.
Era forse quello l'amore di cui aveva letto?
Poteva, dopo tutto, provarlo anche lei?
Ma non era il momento di farsi quel genere di domande: oramai con le mani era arrivata sino all'addome, e lui era in tensione; rischiava di svegliarlo.
Decise di non troncare affatto quel gioco; anzi. Per la prima volta nella sua vita non solo non si trovava disgustata nell'accarezzare un corpo, ma addirittura lo desiderava: l'importante era lui.
Risalì passando le dita sul fianco caldo dell'uomo, che ansimò leggermente. Tornò quindi al petto, e lo lambì col palmo aperto e un movimento languido, chinandosi intanto sino a sfiorargli l'orecchio con la bocca.
Iniziò a stuzzicargli il lobo con le labbra, badando a non utilizzare i denti per non destarlo: sarebbe stato decisamente imbarazzante trovarsi in quella situazione.
Ma lei amava il rischio.
-Alexander- Sussurrò appena, leggerissima. Lo sentì reagire con un sospiro basso.
Chissà quanto tempo era che non lo chiamavano più per nome. Faceva uno strano effetto anche a lei chiamarlo: sentiva come una sorta di vuoto allo stomaco.
Una mano gli strisciò alla gola, l'altra gli si insinuò fra i capelli. Lui diede in un altro sospiro, più sonoro del primo.
-Ti piace?-Mormorò ancora, seguendo il profilo della mascella con le dita. Sentì i polpastrelli della sinistra venire graffiati dalla barba ispida che gli cresceva sulle guance, interrotta dalla cicatrice; con la destra gli stava lentamente facendo il contropelo alla nuca. Doveva essere un punto particolarmente sensibile per lui, perché fremette di nuovo e mosse appena la testa.
Le piaceva da morire che fosse così massiccio: gli uomini mingherlini e ossuti la schifavano più del normale, perché le sembrava di avere un cadavere nel letto. Lui, invece di ossa in vista non ne aveva, eccetto quelle delle costole, e le ricordava vagamente un cinghiale od un orso: qualcosa di imponente, comunque, e di molto selvatico. In effetti, sebbene avesse il suo lato dolce, non sembrava il tipo che si lasciava domare facilmente.
Gli baciò il collo un paio di volte, poi si accostò di nuovo al suo orecchio.
-Devo continuare, Alexander?-Soffiò, facendogli scorrere le mani per tutta la lunghezza delle braccia.
Le rispose un "Hmmm" basso.

Lo osservò per un istante: le tapparelle erano quasi del tutto abbassate, e una lama di luce li disegnava come null'altro che due nere figure in controluce.

A malincuore slacciò anche le gambe e scivolò fuori dal letto.
Si cambiò velocemente, controllò l'orario-perfetto, le sei e mezza-e poi si chinò su di lui, scuotendolo gentilmente per una spalla.

-Padre-Chiamò.
L'uomo voltò leggermente la testa verso di lei, ma non dette segno di volersi svegliare.

-Padre, è tardi- Ripetè, scuotendolo un po' più energicamente.

Per tutta risposta, l'altro diede in un mugolio incomprensibile.

-Ehi!- Esclamò, assestandogli un buffetto leggero sulla guancia.

Di malavoglia, Andersen dischiuse gli occhi.
Il paio d'occhi verdi più bello di tutta Roma, pensò suo malgrado.
-Mi dispiace averla tenuta qui, stanotte. Ha dormito bene?-Si informò educatamente.
-I-io...Sì...Che ore sono?-Farfugliò, guardandosi intorno spaesato e cercando gli occhiali a tastoni.
-Le sei e mezza. Ha tutto il tempo di tornare in camera sua e far finta di venirmi a svegliare-Rispose, porgendoglieli.
-Ah, bene...
-Mi scusi ancora, capisco quanto la situazione sia sconveniente...
-Ma no, tranquilla...-Si tirò in piedi e si stiracchiò-È solo che mi sei sembrata spaventata...Come quando eri piccola, se non di più.-
Buttò lì un vago suono di assenso, imbarazzata.
-Dev'essere stato terribile, non è così?- Disse ancora, comprensivo.
-Ad altri va peggio- Commentò lei, con un sorriso che diceva tutto il contrario.
-Quando vuoi sono qui- Concluse, strofinandole una mano sulla spalla. Poi uscì.

-Ci vediamo fra mezz'ora.
-Ah!-Si voltò a guardarla un'ultima volta. Lei lo fissò di rimando, perplessa.
-Sai che hai dei cuscini davvero comodi?

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Capitolo 9
*** 9 - You Spin Me Round ***


*You Spin Me Round - Marilyn Manson

9. You Spin Me Round

-Ora, stammi dietro e non mi intralciare. I ghouls non sono intelligenti come i vampiri o le draculine, ma possono essere ugualmente pericolosi. Un morso da parte loro, e sarei costretto ad ucciderti. Perciò stai all'erta e osserva.-
Queste erano le parole che si rigirava in testa la ragazza, riparandosi dietro la mole dell'uomo.
E avrebbe voluto seguirle, davvero. Lei non era un tipo invadente: era lì per imparare, si sarebbe mossa solo se glie l'avesse ordinato lui.
Però alla vista dei ghouls fu colta da una febbre, una strana follia fulminante che le annebbiò il cervello e la portò a spintonare via il prete per poter correre avanti, le armi sguainate.
-Miryam!
Nulla da fare: prima che potesse anche solo mettere mano ad una baionetta più di venti ghouls stavano crollando a terra, seguiti dalle rispettive teste.
Guardò con una certa impotenza la ragazza che volteggiava all'intorno, macellando mostri finché ne vedeva - ora piantando una lama nel collo di questo, ora facendo saltare le cervella a quest'altro con un calcio - e poi, finiti i bersagli, si fermava un istante a tirare il fiato: dopodiché saltò sopra all'ultimo cadavere che aveva decapitato, gli praticò uno squarcio verticale per tutta la lunghezza del torace e prese a devastarlo con gli artigli che teneva fra le dita, ansimando come un animale.
Poteva anche lodare la tecnica elegante e pulita con la quale aveva messo fuori combattimento l'orda di mostri, ma tornare ad infierire sui cadaveri in quella maniera bestiale gli sembrava inutile e ributtante: ed era già abbastanza arrabbiato perché gli era balzata davanti ignorando tutti gli avvertimenti.
-Miryam!-Ruggì quindi, prendendola per un braccio ed allontanandola dal cadavere con uno strattone.
Lei lo fissò senza vederlo, gli occhi di un grigio lattiginoso quasi bianco e le mani rosse di sangue fino ai gomiti. Lo degnò per un istante soltanto; poi iniziò a tirare per liberarsi, tendendo verso la carneficina che aveva lasciato a metà.
Ritenne opportuno assestarle un violento scossone, nel tentativo di farla tornare in sé.
-Cosa credi di fare, idiota?- Urlò intanto a pieni polmoni -Quello che stai facendo è da senza Dio!-
Gli toccò fermarsi a metà, perché da un angolo del corridoio - li avevano spediti in un dannato ospedale psichiatrico in Francia - saltò fuori una nuova ondata di ghouls.
La scaraventò indietro con tutta la forza che aveva, sperando che ci rimanesse, e si slanciò in avanti senza guardarsi alle spalle: pensò solamente a distribuire baionette in gola a quegli esseri immondi, borbottando qualcosa a proposito della Bibbia, dell'Iscariota e della punizione divina sulla Terra in tono crescente. Fu con immenso piacere che spaccò il cranio dell'ultimo di quegli abomini con un "EEEIMEN!" e un bel sorriso: si fregò le mani, soddisfatto, e se ne andò a perlustrare il resto dell'edificio completamente dimentico della ragazza.

Quando si batté il manico di una baionetta sulla fronte, mezz'ora dopo, colto da un'illuminazione, non si allarmò più di tanto: se Miryam era ancora in preda a quella brama di sangue allora probabilmente stava strappando il fegato ad uno dei corpi che si era lasciato dietro; altrimenti stava seguendo la scia di sangue per ritrovarlo, e lui non doveva fa altro che voltarsi e andarle incontro.
Non si aspettava certo di trovarla in mano al vampiro che aveva scatenato quel macello, semi svenuta.
-E tu che ci fai qui?- Lo interrogò il mostro, un ex dottore dal camice più rosso che bianco -Non è un posto da preti, questo.-
-Io sono il boia di Dio, l'agente del castigo divino sui miscredenti...-Iniziò trionfante, finché l'altro lo zittì con un gesto noncurante.
-Splendido, davvero splendido. Ora rimani fermo dove sei o la ammazzo senza neanche morderla.
Ah, già. Miryam.
-Oi, ragazza-La chiamò quello, infilandogli le mani sotto la camicia-Vuoi diventare immortale?-
Miryam aprì lentamente gli occhi. Inquadrò lui a malapena.

-S-sì...
-Mir--!
-Zitto!-Urlò il medico, serrando la presa attorno alla vita della ragazza -Prima però devi unirti a me-, riprese, tornando a rivolgersi a lei-e poi sarai sotto il mio comando. Lo farai?-
-S-sì...Sì, mio signore...-Rispose, girandosi verso di lui.
Deglutì, stringendo la presa sulle baionette e digrignando i denti. Cosa stava dicendo? Le aveva dato di volta il cervello? Che fosse sotto ipnosi?
-Ah, una donna che collabora-,ghignò il vampiro.
La vide portare le mani alla scollatura, come a volersi slacciare la camicetta...
E prima che lui potesse fare alcunché si strappò la croce d'argento dal collo, piantandola dritta nel cuore del vampiro.
Mentre crollava in ginocchio gli prese la testa fra le mani e lo guardò negli occhi.
-Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo...
Con l' "amen" e una rapida torsione gli staccò di netto la testa dal collo. Non contenta, la gettò a terra e spappolò il cranio sotto lo stivale.
-Cane miscredente-Borbottò, tergendosi il volto dal sangue con un angolo della camicia. Poi alzò lo sguardo sull'uomo esterrefatto davanti a sé.

-Mi raccomando, mi mandi a sbattere contro lo spigolo del termosifone con più violenza, la prossima volta- Ironizzò -non sono riuscita a rompermi la testa del tutto.-
Poi crollò a terra.

-È stato un, uhm, un ghoul- Spiegò all'infermiera, quando si presentò con Miryam svenuta fra le braccia -Già. Un ghoul. Molto grosso.-
Quella, preoccupata, la trasportò nella sua stanza e, diagnosticatole un trauma cranico, le bendò la testa dicendo:-Speriamo si svegli presto.-
-La veglio io-Si offrì lui, in preda ai sensi di colpa.
-Ah beh, padre-Commentò la suora-Se non ha niente di meglio da fare.-


Passò le prime tre ore a sonnecchiare e a leggere il breviario.
Poi si stufò e iniziò a bighellonare per la stanza.
Gli unici elementi che la distinguevano dalla sua erano la minor quantità di libri, un leggio con un libretto di inni aperto al "Canto del mare"e una maggior quantità di cose ammonticchiate sul comodino.
Visto che era quello l'elemento più interessante ed era di fianco a lui, decise di ficcare il naso.
Il primo oggetto che gli capitò sotto mano fu un libro, una favola per la precisione: la Bella e la Bestia. Forse lo leggeva prima di andare a dormire.
Il secondo fu un altro libro di inni, con un segno al Cantico delle Creature in italiano.
Il terzo fu piccolo astuccio di legno,vuoto: suppose che contenesse il ciondolo a forma di croce, visto che aveva una preghiera incisa nell'interno del coperchio.
Il quarto era un diario, che aveva iniziato a tenere quando aveva imparato a scrivere: lo ripose immediatamente senza aprirlo.
I seguenti due erano il Vangelo e la Bibbia, due libriccini decisamente consunti.
In fondo a tutto c'era una foto vecchia, ingiallita e con gli angoli arrotondati dall'usura. Nel retro c'era scritto, in un corsivo sottile:"Che il tuo angelo custode ti protegga, che la Madonna vegli sul tuo riposo e che il Signore ti custodisca nella tua innocenza, Candide".
Voltò la foto: c'erano Christiane e Miryam a sorridergli, simili in una maniera straordinaria.
Christiane aveva però qualcosa di malinconico nel suo sorriso, come la consapevolezza che di lì a poco non avrebbe più potuto abbracciare sua figlia.
E lui ne sapeva qualcosa.
Ora che la esaminava meglio, però, notava che in alcune parti era sbiadita, così come la scrittura sul retro: Miryam doveva averci pianto sopra parecchie volte.
Lui lo sapeva, sua madre l'aveva amata sino all'ultimo.
Volse lo sguardo su di lei, che dormiva tranquilla. Coi capelli color del mogano sparsi sul cuscino e i tratti distesi, sembrava il ritratto della purezza.
Non una spietata assassina a sangue freddo.
Ma che le era preso dentro a quel posto? Non la credeva capace di una simile crudeltà. Aveva anche disobbedito agli ordini, cosa che normalmente non si sarebbe mai sognata di fare. E poi aveva avuto dei nervi d'acciaio con quel vampiro, nonostante la botta in testa.
Era stata senz'altro brava, ma... Ricordava d'aver visto quella crudeltà in una recluta poche volte. Una soltanto, in realtà.
Sospirò e tornò ad osservare la ragazza, tanto per il gusto di farsi male, e il diavolo non gli passò nemmeno per la testa.
Certo che era proprio bella, eh. Aveva una straordinaria perfezione dei lineamenti, e la pelle bianca e liscia come la carta.
Allungò quasi involontariamente una mano, poi si bloccò, incerto. Ma lei non avrebbe comunque sentito niente, no? Era svenuta...
Si tolse il guanto. Tant'è che doveva accarezzare una donna, voleva sentirla sulla propria pelle.
Accostò le dita alla sua guancia e fece scorrere lentamente il pollice sullo zigomo.
Era minuta: anche i bambini lo erano, e ci era abituato, ma lei era minuta in una maniera diversa, fragile, tutta femminile. Una maniera che gli rimescolava il sangue nelle vene.

Senza che l'avesse veramente voluto, le dita scivolarono sul collo e indugiarono sulle clavicole.
Si irrigidì e ritrasse la mano di scatto, come se si fosse scottato.
Cosa gli stava succedendo? Aveva veramente pensato di scivolare sotto la scollatura? Era davvero arrivato a quel punto, lui che di pensieri simili non ne aveva mai fatti? Idiota!
Si portò una mano alla testa, imbarazzato. Quei pensieri lo turbavano profondamente. E poi, l'altra notte, quel sogno... Era successo quando aveva dormito con lei. Gli era parso di essere nelle mani d'una sirena o di una meretrice, che lo sfiorava voluttuosamente e lo chiamava con parole di miele.
Poteva non essere stato un sogno, ma... Miryam? Lei che non sarebbe mai riuscita nemmeno a dargli del tu, toccarlo in quella maniera? Era ridicolo.
Si era svegliato sconvolto... E affascinato. Totalmente sedotto, anzi. Poterlo vivere anche nella realtà, almeno una volta... Sarebbe stato perfetto.
Già. Perfettamente perverso, idiota.
E perché? Non sarebbe andato nemmeno contro al voto di castità...E forse sarebbe riuscito a calmare i bollori, cedendo parzialmente.
Cedere parzialmente a Satana, è questo che vuoi?
Basta con quella storia!Lui doveva proteggere quella ragazza, lei non poteva essere il demonio. Forse era addirittura un angelo.
Della morte?
Che assurdità. Lui ammazzava freaks a palate e non per quello era una cattiva persona.
Comunque sei un prete. Non puoi farlo. C'è il voto di castità.
Già, bella roba. La Bibbia diceva anche "non uccidere", eppure non lo chiamavano "Ghigliottina Andersen" perché era un appassionato della rivoluzione francese.
Ma perché ti stai cercando tutte queste scuse?Tu non hai mai avuto bisogno di una donna, i piaceri della carne non ti interessano!
E allora, forse, non era la lussuria a tormentarlo, e nemmeno il demonio.
Oh no.
Eh sì.
No, non pensarci neanche. Non può essere.
Non osò dirlo nemmeno nella sua testa, tanto era sconvolgente l'enorme semplicità della cosa, ma ogni minuto che passava sentiva quel pensiero farsi sempre più forte.
Quella tortura senza fine non era il richiamo del peccato. Gli occhi per cui sospirava di giorno e che sognava di notte non erano opera dell'Inferno.
I pensieri che lo assalivano non erano di perdizione.
Non c'era alcuna prova divina.

Amore.
Era innamorato, ecco il fatto.
Ne rimase talmente sconvolto che decise di dormirci su.

 

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Capitolo 10
*** 10 - Back It Up ***


10. Back It Up

 

Lo svegliò lo scroscio dell'acqua.
Guardò il letto: vuoto. Unì i puntini e concluse che Miryam doveva essere a farsi una doccia.
Però, si era svegliata alla svelta.
Fissò la porta con una pessima idea in mente.
Oi! Oi! Solo perché sei innamorato non vuol dire che puoi comportarti come un maiale!
Si alzò ignorando bellamente la voce della sua coscienza. Avrebbe dovuto sprecare un'opportunità così buona? E poi, al diavolo! Guardare non aveva mai fatto male a nessuno.
Nel momento stesso in cui sentì Miryam smettere di canticchiare - una melodia davvero piacevole, tra l'altro - spinse la maniglia ed entrò, fingendo tutta la naturalezza di cui era capace.
La sorprese proprio mentre usciva dalla doccia, senza che nemmeno avesse preso un asciugamano.
La vista della ragazza così, nuda come l'aveva fatta la madre, lo colpì come un cazzotto alla tempia: rimase a fissarla a bocca aperta senza nemmeno tentare di darsi un contegno.
Lei invece, dopo la prima alzata di sopracciglia sorpresa, non sembrò nemmeno infastidita: si voltò solo a cercare l'accappatoio, offrendogli anche il panorama retrostante.
-Faccia con comodo, eh-Commentò, divertita.
Come se non l'avesse capito che l'aveva fatto apposta.
A quella l'uomo, imporporato, nascose il viso contro la porta-S-sono mortificato!-
-Oh, sì, ne sono sicura-Rispose lei sorridendo e allungandosi verso di lui per prendere un asciugamano -Se ha visto tutto mi copro.-
-I-io...Esco-Concluse capitombolando fuori, rosso sino alla punta dei capelli.
Perché l'aveva fatto se poi non riusciva a sopportarne le conseguenze?!
Che idiota. Che grandissimo idiota. Che... Bellissima donna.
Era tutta vera? Perché era perfetta. Semplicemente perfetta. Le spalle, i seni, la vita, il ventre, i fianchi, le gambe... L'incarnazione del paradiso.
Rimase a contemplare il vuoto per qualche istante, incantato: poi tornò in sé soffocando un gemito di sconforto. Come poteva anche solo pensare di ottenere una donna così? Non era nemmeno lontanamente attraente, lui. Ed era pieno di uomini, là fuori, figurarsi. Non aveva la benché minima speranza. Gli sarebbe toccato stare a rodersi il fegato per il resto dei suoi giorni, e basta.

Così imparava ad innamorarsi.
Sospirando lasciò la stanza.

Miryam rise fra sé e sé, soddisfatta.
Se l'aveva portato al punto di non sapersi nemmeno fermare per vederla uscire dalla doccia allora era sulla buona strada.
Per non parlare poi della reazione che aveva avuto! L'aveva fissata per due minuti buoni come se avesse visto la Madonna, a bocca aperta.
Solo che la Madonna non aveva la quinta e le gambe da gazzella.
Bene, doveva continuare così.
Si pettinò i capelli, piacevolmente scombussolata. Non le dava fastidio essere guardata da lui, e probabilmente non l'avrebbe fatto nemmeno essere toccata. Avrebbe dovuto provarci, però indurlo a tanto era difficile.
Ci avrebbe pensato. Intanto poteva stuzzicarlo un altro po' a cena.

-Ehilà!
Lo punzecchiò ai fianchi e lui diede in un sussulto da manuale.
-Le va di farmi compagnia, stasera?
-P-prego?
-A cena, dico. Cena con me?
-Ah, sì. Però ceniamo presto.
-Sono a sua disposizione-Rispose, con una punta di malizia.
L'altro parve accusare il colpo, perché vide le orecchie diventargli viola.
-Abbiamo una missione-Continuò stolidamente-Andiamo in Irlanda del Nord.-
-Perfetto-Disse lei, porgendogli il braccio. Si avviarono in sala da pranzo.

-Che c'è di nuovo? Ghouls?
-Anche, ma soprattutto l'Hellsing. Dobbiamo batterli sul tempo.
-Quei cani protestanti-Ringhiò lei-Quel territorio è sotto la nostra giurisdizione.-
-Per questo dobbiamo sbrigarci. Hanno una nuova recluta, forse ti farà piacere occuparti di lei.
-Una draculina?
-Agli ordini di Alucard. L'hanno dotata di buona artiglieria, quindi ti consiglierei di stare attenta.
-Chiaro. Prenderò i bag'hnak d'argento. Me li benedirebbe?
-Sicuro.
-Allora non temo rivali
-Però...-Iniziò, incerto.
Lei lo guardò.
-Insomma, si può sapere che ti è preso l'ultima volta?
-No, io vorrei sapere cos'è preso a lei-Rispose la ragazza, corrugando le sopracciglia-Insomma, mi ha preso per i capelli e mi ha sbattuto contro il termosifone. Perché l'ha fatto?È uno scherzo che si fa alle reclute?-

-Non ricordi cosa stavi facendo?-

Al suo diniego spiegò:-Stavi profanando i cadaveri dei ghouls che avevi già decapitato. Ho provato a fermarti, ma non accennavi a smettere: m'ha toccato darti una botta in testa.-

-Io?-Chiese lei, incredula.

-Già, proprio tu.

-Quella voce...Oh.-Disse soltanto, portandosi una mano alla testa e abbassando lo sguardo.

-Vedi di non fare così anche con la draculina-Proseguì, senza accorgersi dello sconforto che l'aveva assalita-Perché non avrò tempo di pensare anche a te. Però, se arrivi a metterla alle strette...-

-Devo ucciderla. Lo so.

-A posto.

Ci fu un istante di silenzio in cui entrambi continuarono a camminare guardandosi le scarpe. Poi alzarono la testa nello stesso momento.

-Miryam...

-Padre...

-Ops, scusa.

-Dica, dica.

-No, prima tu.

-Partiamo subito?

-Era quello che volevo chiederti. Andiamo.

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Capitolo 11
*** 11 - Holy Mountains ***


11. Holy Mountains

-Pensa che siano già qui?

-No, affatto. Entriamo.

Appena varcato l'ingresso, dei versi disumani li accolsero. Lui si voltò a controllare Miryam, ed ecco che la sua espressione prudente stava già trascolorando in un sorriso famelico.

-Miryam-La chiamò, fermo-Guardami. Controllati.-

Il sorriso non sparì, però almeno gli rivolse un cenno d'assenso.

Quando vide i ghouls scattò avanti come la prima volta: lui sfoderò due baionette e la guardò volteggiare tutt'intorno, aspettando.

Stavolta, però, quand'ebbe decapitato l'ultimo mostro si voltò a lanciargli una lunga occhiata.

-Che fa, non viene?Si perde tutto il divertimento, così- Disse, per poi correre in avanti.

Si affrettò ad andarle dietro.

Dall'angolo del corridoio volò un braccio mozzato.

 

Stava giusto finendo di impalare coscienziosamente il vampiro che aveva creato tutti quei freaks quando Miryam corse ad informarlo dell'arrivo dell'Hellsing.

D'altronde non ce ne sarebbe nemmeno stato bisogno: qualcuno, al piano inferiore - la recluta, probabilmente - stava sparando come un ossesso in tutte le direzioni.

-Che metodo inelegante-Commentò la ragazza, storcendola bocca.

Non poté che essere d'accordo. Nemmeno a lui piacevano le armi da fuoco. Troppo rumore.

-Andiamo, padre?- Lo incalzò lei, eccitata ed impaziente come una bambina davanti ai regali di Natale.

Annuì. Suo malgrado si lasciò contagiare dal suo entusiasmo: sentì un ghigno farsi strada sul suo volto, l'adrenalina corrergli a mille nelle vene. Quello era un vampiro vero, non un mostro da quattro soldi.

-Io passo per quelle scale là- La istruì -Tu vai per quelle lì. Ci ritroveremo comunque sullo stesso piano. Io attaccherò Alucard e li terrò occupati, in modo che badino solo a me. Tu prendi questi- e le porse alcuni pugnali d'argento -fonditi con l'ombra e prendi la draculina. Voglio morta almeno lei.-

-Quella cagna protestante ha firmato la sua condanna- Assicurò Miryam, ripulendo le lame sulla sua camicia.

Infilò le dita negli anelli e strinse la presa intorno al manico. Agganciò i pugnali alla cintura e alzò la testa a fissare il prete, ghignando. Lui le rispose con lo stesso suo sorriso ferino.

Come se si fossero dati un segnale, presero a camminare contemporaneamente nelle direzioni opposte.

 

Scese le scale allo stesso ritmo di Andersen, in modo che il suono dei propri passi fosse coperto da quelli di lui.

Il prete doveva attirare tutta l'attenzione: lei doveva rendersi invisibile.

Si concesse di analizzare un istante l'ambiente. Che tenero, aveva già affisso la Bibbia ai muri e piantato una baionetta nella spalla della draculina: la sua vittima era già spaventata.

Da brava cacciatrice esaminò la sua preda: una bionda, circa della sua età se non più piccola, più bassa e maggiorata da far schifo. E cos'era quella...cosa striminzita che indossava? Sembrava l'apoteosi dell'inadeguato. Stretto com'era doveva intralciarle tutti i movimenti: l'unica cosa a cui era utile era mostrare le cosce. Svergognata.

E quel cannone, poi!Avrebbe anche potuto prendere qualcosa di più discreto e maneggevole.

La osservò piagnucolare in una maniera insopportabile per quella singola ferita alla spalla con uno sguardo che era disprezzo puro: lei era stata decine di volte in punto di morte senza sputare un singolo lamento.

Beh, un essere inutile. Sarebbe stato un piacere annientarla.

Lanciò un'occhiata di sfuggita ad Alucard - ah, lui sì che era un vampiro coi controcazzi - e si concesse di pensare che Andersen, con quella sua tiritera, la figura che si stagliava controluce e gli occhiali scintillanti faceva la sua porca figura: poi cercarono l'uno gli occhi dell'altro e si scambiarono uno sguardo di perfetta intesa.

Il prete fu subito addosso ad Alucard: la draculina si trovò quattro pugnali nella schiena prima che potesse squittire uno solo dei suoi patetici ”Master!”.

-Vai da qualche parte, cagna dell'Hellsing?- Le sghignazzò in faccia, comparendole davanti per un istante. Le strappò la baionetta dalla spalla e gliela conficcò in mezzo al petto, poi sparì di nuovo dietro di lei per assestarle due calci di tacco in rapida successione, uno alla nuca e l'altro alla schiena.

Chinandosi ad effettuare una spazzata la mandò schiena a terra, aiutando i pugnali a penetrare ancora più a fondo.

Udì un botto e si voltò a guardare: il vampiro aveva sparato in testa all'altro.

Non se ne preoccupò nemmeno.

Lo vide prendere la mira su di lei: quando esplose cinque colpi, in rapida successione, li schivò senza neanche pensarci.

Un istante dopo Andersen era di nuovo in piedi, feroce ed operativo.

Tornò a guardare la draculina, che nel frattempo stava pateticamente strisciando verso il cannone.

Non tentò nemmeno di fermarla: rimase a guardarla con le mani nelle tasche.

-Dai, sparami-La canzonò mentre quella si appoggiava al muro per rialzarsi.

Sparò, ma lei non era neanche più lì: era già alle sue spalle, gli artigli sfoderati davanti al suo collo.

-Bu.

Tirò in verticale, sfregiandola. Non contenta, la pugnalò alla spalla sana.

-Non c'è affatto gusto a giocare con te, puttana protestante- Commentò annoiata mentre la draculina crollava in ginocchio davanti a lei.

Alzò una gamba, si avvitò sull'altra e la scaraventò al muro con un calcio alla tempia.

-Amen!- Esclamò, divertita, vedendola scivolare a terra in un lago di sangue.

Alzò gli occhi giusto in tempo per vedere la capoccia di Alucard compiere una parabola perfetta sopra di lei.

Si volse verso la finestra e si godette lo spettacolo di Andersen che rideva senza controllo davanti ad una notte di luna piena e al corpo decapitato del nemico.

Un sorriso soddisfatto le spuntò sulle labbra.

Adorabile. La perversione di quell'uomo era semplicemente adorabile.

Quando si fu svuotato i polmoni le fece cenno di raggiungerlo.

-La draculina?-Chiese.

-Sistemata. Debole in una maniera imbarazzante.

-Ottimo lavoro. È morta?

-No, ma poco ci manca. Oh, s'è trascinata via con la testa.

-Ah, che carina. Ti va di finirla, Miryam?

-Che domande, padre.

 

La lasciò andare avanti: voleva lasciare che ammazzasse il suo primo mostro di una certa importanza da sola.

La vide camminare in avanti lentamente, senza nessuna fretta. Recitava un passo della Bibbia in latino che non riconobbe.

Quella la fissava come un topo in trappola.

Si volse verso la finestra, ma la barriera crepitò e lei si ritrasse come scottata.

-Sono pagine sacre, idiota!- Rise Miryam, seccamente -I mostri come te non possono attraversarla. Adesso sta' ferma lì e ti prometto che non sarà una morte troppo dolorosa. Forse.-

Nessuno dei due badò alla testa di Alucard che, nel frattempo, s'era trasfigurata in scritte di sangue.

La ragazza continuò a camminare a passo lento. La draculina le voltò le spalle.

Andersen ridacchiò, a braccia conserte.

Si fermò quando fu alle sue spalle, le lame posizionate a forbice davanti al suo collo.

-Nel nome del Padre...

Si interruppe con un grido soffocato. Avevano sparato alle lame dei bag'hnak, colpendola anche alle spalle.

-Quella ragazza appartiene a me!

Alzò lo sguardo ringhiando. Integra Hellsing.

-Cosa credi di fare...

-Miryam!- Chiamò -Dietro di me, subito!-

Gli obbedì scivolando indietro, senza staccare gli occhi dalle tre figure che erano comparse.

-Sir Integra Farburke Wingates Hellsing. Dev'essere una questione seria, se si è scomodata la direttrice.

-Padre Andersen, questa è una violazione al trattato. Questo posto è di nostra giurisdizione. Ritiratevi immediatamente, o causerete un conflitto fra il Vaticano e la nostra curia. Non farete i vostri comodi solo perchè siete della sezione XIII.

-Ritirarci?-Ghignò lui, scettico-Ci stai dicendo di ritirarci?-

Sfoderò due baionette.

-Noi siamo gli agenti della punizione divina sulla terra, la Squadra Speciale Iscariota XIII! Non mi provocare, puttana! Credi davvero che lasceremo passare dei bastardi protestanti come voi?-

Scattò in avanti, uccidendo gli agenti a scorta della direttrice, ed incrociò le lame con lei.

-Tu sei un prodotto della bioingegneria rigenerativa e la tua compagna ha sete di sangue quanto i miei vampiri. Siete dei mostri!

Nessuno dei due diede segno di prendersela. Andersen si avvicinò ulteriormente al volto della donna.

-Siete troppo deboli- Sussurrò con un sogghigno -Sai che fine ha fatto il tuo potente servitore?L'ho decapitato!-

La donna non sembrò neppure impressionata.

-Decapitato?Soltanto?

-Cosa?

-Non fare una mossa, mostro!

Miryam si voltò, trovando la draculina che le puntava contro il suo archibugio.

-Cosa credi di fare, succhiasangue da quattro soldi?- La dileggiò con una risatina gutturale. Poi alzò le sue lame.

-Non ho certo paura di te.

-Non potete vincere, Padre Andersen-Continuò Integra-Andarvene adesso sarebbe la cosa migliore da fare.-

-Non dire scemenze. Quando avremo finito con voi...

-Allora sbrigatevi- Lo interruppe Integra -O quello a cui hai tagliato la testa tornerà in vita!-

Gli toccò assistere con rabbia impotente allo spettacolo del vampiro che si rigenerava tramite uno stormo di pipistrelli. Quando l'ebbe davanti si lanciò verso di lui, mozzandogli le braccia, ma quello le ricreò dal nulla e puntò il mirino sulla sua testa, deridendolo.

-Cosa volete fare, Andersen?

Lanciò uno sguardo verso Miryam. Avrebbe volentieri dato battaglia - come anche avrebbe voluto lei, ne era sicuro - ma nonostante gli sguardi di puro odio che lanciava verso la draculina stava sanguinando troppo.

-Ho capito- Commentò, piegando la testa di lato- Con il nostro attuale equipaggiamento non possiamo uccidervi.-

Tirò fuori la sua Bibbia e afferrò la ragazza per un braccio.

-Ci rivedremo, Hellsing. La prossima volta vi spedirò tutti all'Inferno!

-E tu sarai la prima della lista, cagna- Ringhiò Miryam in direzione della draculina.

Sparirono in un turbinare di fogli e vetri rotti.

 

-Che il demonio la porti- Brontolò Miryam, stringendosi una spalla -Potevo ucciderla. Ero a tanto così dall'ucciderla.-

Hai fatto comunque un ottimo lavoro- La consolò il prete, caricandosela in braccio -Ci hai quasi rimesso le penne. E, soprattutto, ti sei controllata. Dovremmo lavorare di più su questa tua dote.-

-Non credo sia una cosa che si possa ricreare in allenamento, sa.-

Corrugò le sopracciglia, concentrata.

-È come una specie di...Voce, una nebbia che mi cala nella mente, si impadronisce di me e mi dice cosa fare e cosa non fare. Succede solo quando sono davanti ad un mostro.

-Non importa. Più sarai agile e preparata al momento di servirti di questa tua voce, più ci sarai utile.

Miryam annuì e lui continuò a camminare in silenzio. Dopo qualche minuto disse:

-Sai che i tuoi occhi si vedono, al buio?

-Davvero?

-Sì. Mentre scendevo le scale vedevo solo quelli, dietro alla draculina. Sembrano d'argento.

Attenzione, il mago del rimorchio.

-Mi avevano detto che ho degli occhi magnetici, ma che scintillassero come quelli dei gatti no-Commentò lei, sistemandosi meglio.

Andersen ridacchiò fra sé e sé.

-Micia.

-Meow-Scherzò lei, dandogli un buffetto affettuoso sulla guancia.

La poggiò delicatamente davanti alla porta dell'infermeria.

-Eccoci qua. Fatti bendare e poi corri a riposarti, per domani l'allenamento è sospeso.

-Mi svegli comunque verso le sette, se non le dispiace. Mi adopererò almeno a studiare.

Gli posò il solito bacio sulla guancia.

-Le voglio bene, padre.

Lui tornò in camera sua scuotendo la testa, la mano sulla mandibola.

Quelle labbra cominciavano a bruciare.

Ma scottava anche il resto del volto o...? Nah. Doveva essere una sua impressione.

 

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Capitolo 12
*** 12 - Wicked Game ***


12. Wicked Game

 

Si alzò a sedere di punto in bianco.

Si guardò intorno: penombra, come al solito.

Portò una mano alla bocca per coprire uno sbadiglio, poi si fregò un occhio. Controllò l'ora: le sette della mattina. Il suo orologio biologico era preciso come un prete rompicoglioni.

L'unico problema era che quel prete non stava facendo il solito fracasso della malora. Anzi, quel prete non c'era proprio.

Si strinse nelle spalle. Forse aveva pensato di lasciarla dormire un po' di più, però lei non aveva più sonno.

Chissà perchè, chissà.

Brontolando lanciò le gambe giù dal letto e andò ad alzare le tapparelle.

Guardò fuori: era una bella giornata di fine Maggio. Visto che non aveva allenamento sarebbe stato piacevole passare qualche ora all'aperto. Poteva portarsi dietro qualche libro... Oppure poteva fare un salto all'orfanotrofio: era un po' che non andava a trovare i bambini, e Yumiko l'avrebbe certamente accompagnata.

Fece per stiracchiarsi, ma le spalle le esplosero in un dolore lancinante che la costrinse a piegarsi in due, portandosi le mani alle ferite.

Già.

Non era nulla di grave - aveva avuto una fortuna sfacciata - però faceva un male cane se non stava attenta ai movimenti bruschi.

Sospirò. Niente allenamento per due o tre giorni. Minimo.

Lanciò un'occhiata alla sé stessa nello specchio: aveva i capelli sciolti e nessuna voglia di rifarsi la sua treccia chilometrica. Decise di lasciarli così com'erano.

Agguantò un cambio pulito dall'armadio, una camicia bianca e un paio di jeans chiari, e si cambiò velocemente.

Uscì dalla stanza e scese per le scale a passo allegro.

 

-Suor Elisa, suora Grazia, buongiorno!Come andiamo stamani?

Le due novizie - l'una di tre anni più grande di lei, l'altra di un anno più piccola - la salutarono con un sorriso luminoso, facendole posto al loro tavolo. Si sedette reggendo un bicchiere di latte e tre biscotti, poi si guardò intorno.

Rivolse un sorriso cordiale a padre Rossi e al cardinal Giannini, uno più largo al brizzolato fra' Francesco e rispose con un sorrisone a quello di Heinkel, due tavoli più in là. Incrociò anche gli occhi viola di Maxwell e chinò rispettosamente la testa, ricavandone un sorriso compiaciuto: sempre così, quello.

Ma di Andersen nessuna traccia.

-Yumiko?- Chiese a suor Elisa, addentando un biscotto. Era solita sedersi con loro, ma quella mattina non la vedeva in giro.

-Oh, una missione- Rispose l'altra -Tornerà nel pomeriggio.-

-Perfetto- Sorrise, prendendo un sorso di latte -Se non è troppo stanca le chiederò di accompagnarmi all'orfanotrofio...È tanto che non vedo i bambini.-

-Uh, come no.

-Huh?

Le due suore la fissarono con un sorriso furbetto.

-Vai per i bambini, eh?

-S-sì-Rispose confusa.

-Non è che ne cerchi uno in particolare...- Alluse suora Grazia.

-Alto, magari...- Continuò suor Elisa.

-Robusto...

-Biondo...

-Con gli occhi verdi...

-Gli occhiali...

-E una cicatrice...

-...Esattamente come lo cercavi cinque minuti fa?

-Oh, andiamo ragazze- Bofonchiò, coprendosi la bocca con un tovagliolo -Mi stavo solo chiedendo dove si fosse cacciato.-

-Certo, certo...Intanto sei tutta rossa- Insinuò la più giovane, ridacchiando.

-Non è vero!Io...

-Ah, via Miryam. Sei giovane, non hai preso l'abito...Non te ne faremo certo una colpa: a noi puoi dirlo.

-Ma vi pare!Non potrei mai!- Protestò, imbarazzata.

Poi vide gli sguardi indagatori delle suore e capì che non la bevevano affatto.

-D'accordo, forse...Un pochino potrei- Borbottò, fissando un biscotto con aria truce -Ma proprio un poc...-

-Quantifica.

Guarda 'ste due che si fanno Beautiful sui cazzi miei pensò sospirando.

-Beh...Gli voglio bene. Un sacco di bene. Un sacco un sacco un sacco di bene. Però...

-Però lui è un prete- Completò suor Elisa a bassa voce.

-Ed è un po' troppo vecchio per me. Insomma, ha quarant'anni da quanto?Vent'anni?Dai.

-Peeerò?

-Però cosa?Ve l'ho detto!

-Miryam...

La ragazza sbuffò, alzando le mani.

-D'accordo, d'accordo!Mi piace come persona, ha un bel carattere!Fine delle trasmissioni!

-E?

-Ragazze!- Nascose il volto negli avambracci poggiati sul tavolo -Cosa mi fate dire?-

-La verità. Sputa il rospo.

L'interrogata emise un suono disarticolato e poi ammise:

-D'accordo, non è nemmeno brutto.

-Ecco qua- Commentò soddisfatta suora Grazia.

-Anche se de gustibus non disputandum est- Aggiunse suor Elisa, arricciando il naso.

-Su, Miryam, non è la fine del mondo- La incoraggiò la più grande, battendole una mano sulla spalla -Una bella confessione e passa tutto.

-Occhio però al confessore!- Esclamò l'altra ridacchiando e trascinando nell'ilarità anche le altre due.

 

Stava passeggiando sotto i portici del Vaticano, immersa nella lettura di un libro, quando qualcuno le posò una mano sulla spalla.

-Buongiorno.

Chiuse il libro di scatto e si voltò: Maxwell la stava guardando da sotto le lenti degli occhiali.

-Non intendevo spaventarla...Miryam.

'Sta confidenza la dai a tua sorella, pensò, ma chinò la testa e rispose:

-Oh, no, Sua Eccellenza, ero solo assorta.

-Ah, capisco. Leggeva?

-Sì, Eccellenza, stavo studiando. Dal momento che non posso allenarmi...

Sperò di scrollarselo di dosso con quella risposta, ma lui iniziò a passeggiarle affianco.

-E cosa stava studiando, di preciso?

-Filosofia- Rispose, asciutta.

-Interessante- Commentò, con l'aria di sapere tutto sull'argomento. Che non li conosceva abbastanza gli uomini per sapere che cercava solo un pretesto per fare il figo.

-Platone?Aristotele?Socrate?Antistene?- Snocciolò infatti, ostentando sicurezza.

-Zenone di Cizio- Lo interruppe, prendendolo in contropiede. Vide il suo sguardo vacillare per un attimo, confuso.

Hah!Nel culo, saccentone.

-Lo stoicismo, Eccellenza- Spiegò cortesemente.

-Ah!Ma certo,- Si riscosse, salvandosi in corner -Marco Aurelio. Me n'ero quasi dimenticato.-

-La trovo una disciplina affascinante, la filosofia- Commentò, rigirandosi il libro fra le mani -Non trova anche lei, Sua Eccellenza?

-Sa che le dico, Miryam?Ce ne sono abbastanza a chiamarmi “Eccellenza”. Mi chiami solo...Enrico.

-D'accordo, Enrico- Rispose, suo malgrado. Vide che la guardava, in attesa, e si odiò per quello che doveva dire.

-Può darmi del tu, se vuole.

-Altrettanto.

Eccolo là. Adesso si credeva chissà quanto soddisfatto perchè le toccava chiamarlo per nome e dargli del tu. Che bastardo arrogante.

Vabè, forse lui poteva aiutarla.

-Enrico...

-Sì?-Rispose subito lui, alzando la testa.

-Hai visto padre Andersen?

-Ah. Andersen. No.- Disse secco, e poi serrò le labbra in una linea sottile.

-Perchè ti interessa?

-Nulla. È solo che non l'ho visto a colazione-Spiegò.

Maxwell alzò le spalle, infastidito-A volte capita. È lunatico.-

Poi la investì con una profonda occhiata indagatrice.

-Come ti trovi con lui?

-Beh, bene-Rimase leggermente stupita da quella reazione-Voglio dire, è un ottimo maestro.-

-Tutto qua?

-Che altro?

-Mi è stato riferito- Cominciò, congiungendo le punte delle dita -Che passate la maggior parte del tempo insieme, al di fuori degli allenamenti.

-Oh, sì.-Sorrise gentilmente, inclinando la testa di lato.

-In fondo ha provato a salvarmi dalla strada. Gli voglio bene come ad un padre. E poi è una bella persona.

A quelle parole il vescovo si rilassò visibilmente.

-Ah, come ad un padre...Capisco. Be', sì. Suppongo sia così anche per me.

Proprio. Figurati se lo sputtano con uno come te.

Improvvisamente lui si fermò e si voltò completamente verso di lei, che a sua volta smise di camminare.

-Miryam-Disse in tono solenne, portandosi la mano destra al petto e la sinistra dietro la schiena, in un inchino-Mi faresti l'onore di cenare con me, questa sera?

Checkmate.

Ma era normale che tutti quegli ecclesiastici la invitassero a cena?Mah.

Rifiutare non poteva: era pur sempre il suo capo.

-Con piacere-Rispose quindi, fingendo un bel sorriso.

Lo guardò esibirsi in un impeccabile baciamano e sopportò l'ennesimo sorrisetto compiaciuto col quale l'uomo si congedò, reprimendo un brivido di disgusto.

Quello là era viscido come un serpente e leccato come un vitello.

Pessima combinazione.

 

Lesse ancora un po', a spizzichi e bocconi, ma Maxwell le aveva messo un fastidio tremendo addosso, come un irritante prurito sottopelle.

Decise quindi di muoversi e andarsene a cercare Andersen, se non altro per stare con qualcuno che non fosse tutto cerimonie e salamelecchi.

Chiese di lui ad una suora e poi ad un frate che stavano nell'atrio, ma non l'avevano visto scendere.

Andò a chiedere a padre Rossi, che si occupava della biblioteca, ma nulla. Domandò a quelli dell'armeria: zero assoluto. Nemmeno Heinkel sapeva dirle qualcosa.

Concluse perciò che doveva essere rimasto in camera.

Di solito lei non era affatto una persona invadente, anzi: odiava che le toccassero i propri spazi e per questo non sconfinava in quelli altrui.

Ma se padre Andersen rimaneva in camera sua fino alle dieci e mezza allora doveva proprio essersi sentito male.

Bussò alla sua porta, preoccupata. Caprone com'era poteva starsene là dentro tutta la giornata senza dir niente a nessuno.

-Avanti- Le rispose lui, la voce attutita.

Entrando notò che le tapparelle erano ancora abbassate: la stanza era immersa nella penombra, e la mole dell'uomo si profilava sotto le coperte.

-Padre?- Mormorò, fermandosi accanto al letto e chinandosi appena su di lui.

Il prete sporse la testa e la guardò con un'espressione annebbiata: aveva gli occhi lucidi, era rosso in viso e non sembrava affatto in salute.

-C...Christiane?- Balbettò, confuso.

-Miryam, padre.

-Ah, Miryam...- Si alzò la coperta fino al naso.

Lei gli posò una mano sulla fronte, preoccupata.

-Ah, sei fresca...- Sospirò socchiudendo gli occhi.

-Lei invece scotta come un tacchino bollito, secondo me ha l'influenza. S'è misurato la febbre?

Andersen scosse la testa e lei sospirò, raddrizzandosi.

-Un momento solo...

Uscì, per poi ricomparire con un termometro che gli sistemò sotto braccio. Attese qualche minuto e poi lo recuperò.

-Quaranta di febbre!-Esclamò, leggendo-E ci credo che non mi riconosceva!

Il prete sospirò, fissando il soffitto.

-Padre! A fine Maggio!

-Dopodomani sarò in piedi-Assicurò debolmente lui-Sono pur sempre un Rigeneratore.

-Sarà-Commentò l'altra, stendendogli sopra una coperta-Ma io resto qua con lei. Si faccia un pisolino: qualsiasi cosa le serva non ha che da dirmelo.

Prese una sedia e s'accomodò di fianco al letto. Quando alzò gli occhi su di lui dormiva come un sasso.

 

Si assopì anche lei, alla fine, ma non per molto.

Ad un tratto, nel suo riposo, percepì un'anomalia: qualcuno le stava toccando i capelli senza il suo permesso.

Sospirò brevemente. Non c'era da chiedersi chi potesse essere.

Ed infatti eccolo lì, seduto con la schiena appoggiata alla testiera, intento ad esaminare una ciocca dei suoi capelli come se fossero una bestia rara.

Si schiarì la voce e lui alzò lo sguardo, sorridendo.

-Hai i capelli sciolti, oggi.

-Però padre, che intuito-Sorrise lei di rimando, senza cattiveria.

-Non li tieni mai sciolti...

-Anche questo è vero.

-Vorrei che li lasciassi così più spesso-Concluse, arrotolandosi la ciocca intorno all'indice-Stai meglio.

-Lo farò.

Il prete sorrise di nuovo, lievemente malinconico.

-Mi ricordi tanto tua madre...

Pensò che forse era il momento giusto per farsi raccontare qualcosa.

-Può parlarmi un po' di lei, padre?Io la ricordo tanto poco...

-Hm, beh...Da dove cominciare? Le piaceva la musica, come a te, però lei preferiva suonare l'organo. Passava la maggior parte del suo tempo libero ad esercitarsi, perchè era una persona molto precisa: sempre troppo severa con sé stessa e troppo indulgente con gli altri. Aveva la rara dote di farsi amare da chiunque le stesse intorno, probabilmente perchè aveva sempre una parola buona ed un pensiero gentile per tutti. Adorava prendersi cura delle reclute perchè, diceva, tutti quei ragazzi le sembravano “pulcini bagnati”. Spesso e volentieri mi aiutava con l'orfanotrofio: metà delle camere le ha riempite lei coi suoi trovatelli. Era una donna molto dolce e portata alla carità.

-Era brillante, amava la cultura e le arti: disegnava parecchio bene, che io mi ricordi, ma ovviamente si perfezionava di continuo. Siete molto simili, ma la differenza sostanziale fra voi due è, credo, che lei era molto più aperta di te. Faceva amicizia e si fidava degli altri molto facilmente...Troppo, forse. Ma aveva un carattere molto forte, poteva sopportare che le si voltassero le spalle. Perdonava difficilmente, ma se lo faceva si poteva star sicuri che per lei la questione era morta e sepolta: non ci sarebbe più tornata sopra. Avete assolutamente in comune due cose, tu e lei: la risata e quel vizio di mordicchiarvi le labbra quando siete concentrate.

Miryam - che sino a quel momento aveva ascoltato mordicchiandosi, appunto, il labbro - si riscosse e sorrise.

-E quando combatteva?

-Ah, siete identiche. Alle volte mi pare di avere ancora lei, affianco...- Disse il prete, assorto.

-Aveva dei soprannomi?

-Oh, sì, parecchi. I suoi preferiti erano Arcangelo, Braccio della Morte e Maschera. Portava infatti questa maschera d'avorio che si toglieva solo nel momento in cui uccideva qualcuno. Si diceva che fosse così bella che valeva la pena di morire in battaglia per vedere il suo viso come ultima immagine.

-Questo però è lusinghiero- Ridacchiò la ragazza.

-Ah, presto o tardi lo diranno anche di te. Non ci sono molte donne nell'Iscariota, e così belle poi...

-La pianti- Rise lei, lanciandogli un cuscino che lui prese al volo. Poi controllò l'orologio e constatò che era ora di pranzo.

-Vado a prendere qualcosa da mangiare. Si misuri la febbre, intanto.

-Comunque ero sincero- Mormorò al vuoto quando fu uscita dalla stanza.

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Capitolo 13
*** 13 - Il Mare Impetuoso ***


13. Il Mare Impetuoso

 

Passò il resto del pomeriggio un po' a chiacchierare col prete, un po' a leggere e un po' a cantare, visto che a lui piaceva molto la sua voce associata ai salmi - cosa che le disse personalmente, assieme ad un'altra manciata di complimenti, visto che da febbricitante i suoi freni inibitori venivano piacevolmente a meno.

-Te l'ho già detto che sei molto bella coi capelli sciolti?

-Una decina di volte, padre. Ma faccia pure, non mi da' fastidio.

-Maxwell t'ha messo gli occhi addosso, eh?

-Ma che dice?

-Ah, non prenderlo come uno scandalo!Ti guarda come Giuda deve aver guardato i suoi trenta denari prima di riceverli.

Ok che si fidava di lui, ma non era il caso di sparlare di Maxwell quando era in quello stato. All'attimo corrente sarebbe stato capace di alzarsi, andarlo a cercare e spiattellargli tutto in faccia giusto per avere la soddisfazione di vedere la sua espressione.

-Lo sa di cosa sta parlando? È un vescovo!

-Ed un grandissimo cascamorto. Vuoi che non lo sappia?Bah. L'ho tirato su io. Ti ha già invitata a cena?

-Ah, la cena!- Esclamò, battendosi il palmo sulla fronte -Me l'ero completamente scordata!

-Visto?Un marpione.- Concluse il prete, incrociando le braccia al petto -E in più non ti ha certo invitata a cena per mangiare in sala da pranzo.

-Lei dice?

-Io dico.

Sospirò sconsolata lanciando una veloce occhiata all'orologio. Le sette. Per quando le aveva dato appuntamento quando s'era congedato? Si mordicchiò il labbro, cercando di ricordare. Le otto...? No, le otto e mezza. Nell'atrio.

Alzò uno sguardo costernato verso Andersen.

-È il caso che io mi preoccupi? Non sono qua per questo, voglio solo stare tranquilla.

-Ma no, ma no- La rassicurò lui, sorridendo -Probabilmente vuole solo studiarti da vicino. Maxwell sa qual è il suo ruolo, non ti darà fastidio. E se proprio dovesse dillo a me: non mi si metterà contro.

-Sa cosa?Oggi stavamo parlando, io le ho chiesto se l'aveva vista...E lui si è subito innervosito. Mi è sembrato quasi geloso.

Il sacerdote liquidò la questione con un gesto noncurante.

-È nulla. È solo che non gli va che qualcun altro tocchi i suoi giochi. Essendo capriccioso come un bambino, perderà interesse per te alla svelta se non lo assecondi.

-Non ho alcuna intenzione di assecondarlo. Io sono qui solo per fare il mio lavoro.

-Ne sono sicuro. Comunque fare buona impressione sul proprio capo non è peccato. Magari potresti interessargli perchè sei intelligente, che ne sai?

-Oh, certo- Commentò lei, scettica -Avrebbe dovuto vedere che luminari della filosofia moderna venivano a trovarmi prima che venissi qui. Un simposio di acuti pensatori.

-Come non detto. Ma sta' tranquilla, vai a prepararti: a Maxwell non piace affatto aspettare- La incoraggiò lui, dandole un buffetto sulla guancia.

-Sì, e lei?- Sospirò, abbassando lo sguardo -Dovrei restare qua ad aiutarla, altrochè.-

-Non ti preoccupare per me, io sto bene. Probabilmente sarò in piedi già domattina.

Scosse la testa, poco convinta, e si chinò a posargli le labbra sulla fronte.

-Be', almeno la febbre le sta scendendo-Commentò, raccattando le sue cose-Chiederò ad Heinkel o a Yumiko di portarle la cena. Ci vediamo domattina, padre, buonanotte.

 

Filò a farsi una doccia perchè era già tardi.

Quando fu davanti all'armadio, però, diede una testata all'anta, sull'orlo delle lacrime.

Lei non ci voleva andare a quello schifo di cena. Non le interessava Maxwell né qualsiasi cosa lui avesse da dirle. Voleva solo starsene in pace, per i fatti suoi, senza che quello o quell'altro le mettessero gli occhi addosso. Lo sapeva come andavano a finire quelle cose.

Aveva finito di fare la puttana, lei.

Inspirò a fondo, raddrizzandosi, e riprese il controllo di se stessa.

Ormai doveva andare, non aveva scelta. L'unica cosa che poteva fare era sorridere e annuire per tutta la serata, senza mostrare alcun tipo di interesse - rimanendo nei limiti della cortesia, naturalmente. Non le conveniva nemmeno inimicarsi uno potente come quello.

Bene. La prima cosa da fare per mantenere un uomo a distanza di sicurezza era non provocarlo, anzitutto visivamente.

Aprì l'armadio, riflettendo. Non che avesse una vasta scelta, ma niente di precisamente normale. Non poteva tenere le spalle scoperte perchè erano bendate?Tanto meglio.

Se Andersen aveva ragione, però, e lui aveva intenzione di portarla fuori a cena, non poteva neppure presentarsi in calzoncini e maglietta. Tantopiù che quello girava in tiro come un damerino persino a colazione.

Ad ogni modo, lei di vestiti ne aveva avuti sempre e solo tre, due dei quali erano scollati in una maniera improponibile.

Risolse per un tranquillissimo tubino nero che le arrivava poco oltre le ginocchia e che sprizzava decenza e contegno da tutti i pori.

-Mai usato questo vestito in vita mia, troppo sobrio- Pensò, guardandosi allo specchio alla ricerca di un qualsiasi punto troppo scoperto.

Passò a raccogliersi i capelli in una crocchia visto che, come il prete le aveva ribadito una decina di volte, coi capelli sciolti stava meglio.

Non si truccò: non lo faceva più da quand'era nell'Iscariota, le ricordava troppo i giorni in cui, invece, doveva bistrarsi pesantemente gli occhi tutte le mattine.

Si mise due semplici cerchioni d'argento alle orecchie e adagiò la croce sul petto. Infilò dei sandali neri ai piedi - era già alta quanto Maxwell - e si ricontrollò un ultima volta.

Perfetto: assolutamente niente di lascivo o inverecondo, tutto nella norma.

Pronta ad affrontare il drago.

 

-Bellissima- Commentò Maxwell vedendola scendere le scale, alle otto e mezza spaccate. Lui era nella solita impeccabile tenuta bianca e viola, la croce d'argento sostituita con una d'oro lucidata e poggiata sul petto come d'ufficio.

-Troppo buono- Rispose lei, sorridendo leggermente.

Quando gli fu davanti l'uomo si esibì - di nuovo - in un impeccabile baciamano, per poi porgerle il braccio con fare galante.

Lo accettò con una certa indifferenza. Poteva anche avere classe, ma non la incantava.

-Non ho intenzione di cenare in sala da pranzo, stasera...- Esordì il vescovo, conducendola verso l'ingresso.

-L'avevo intuito-Lo interruppe lei, rivolgendo un sorriso di saluto ad una suora di passaggio-Però potevi avvisarmi.

-Sono desolato, mi è passato di mente: lo davo per scontato. Ad ogni modo sei perfetta così. Andiamo in uno dei ristoranti più rinomati di Roma.

-E sei proprio sicuro di volerti far vedere con una come me al fianco?

-Perchè?

Gli rispose soltanto un sorriso misterioso.

 

-Prego.

Accettò con un sorriso la sedia che Maxwell le aveva cavallerescamente accostato, accavallò le gambe e si guardò intorno.

Il ristorante era grande, illuminato dai due lampadari di cristallo più grossi che avesse mai visto e arredato con mobili antichi in legno scuro: i tavoli, almeno alla prima occhiata, sembravano di mogano ed erano coperti da tovaglie di lino immacolate; la sedia su cui si era appena accomodata, invece, era foderata di velluto rosso. Le posate erano d'argento, i piatti di porcellana, i bicchieri di cristallo e a centro tavola c'erano -grazie al Signore- un candelabro ed un'elaborata seppur inodore composizione floreale che le coprivano Maxwell per metà.

Lui fissò i fiori, improvvisamente a disagio.

-Avevo pensato a prenderti un bouquet, ma...

Lo zittì con un gesto, sorridendo.

-A me i fiori piacciono quando crescono nei campi.

Il vescovo si rilassò, sorridendo a sua volta.

-Allora è meglio così.

Un cameriere rigido come un'asse da stiro si affiancò al loro tavolo, comicamente simile alle caricature dei fumetti.

-Buonasera signori, questa sera mi occuperò del vostro tavolo. Cosa desiderate mangiare?

Maxwell le rivolse uno sguardo interrogativo.

-Oh, io...Mangio poco e leggero, solitamente non pesce. Cosa mi consiglia?-Domandò, volgendosi verso il cameriere.

-La signorina forse gradirà un delicato carpaccio di manzo, insaporito con erbe e sale rosa himalayano. Altrimenti abbiamo un'ottima arista di maiale con patate dolci, molto saporita.

-Vada per il carpaccio, grazie.

-Io prendo l'arista.

-Signori.-

Il cameriere chinò leggermente la testa e segnò l'ordinazione su un blocchetto.-Posso suggerire un eccellente rosso dell'86, corposo e piacevolmente fruttato, per accompagnare?-

-Tu bevi?-Le chiese l'uomo.

-Di solito no.

-Posso tentarti, per questa sera?

Gli concesse un “d'accordo” ed un sorriso indulgente. Reggeva bene l'alcol, non sarebbe stato certo un bicchiere di vino a mandarla fuori di testa.

Maxwell congedò il cameriere-che si defilò dopo un breve inchino-e poi le rivolse la sua completa attenzione.

-Come vanno?-Domandò, accennando alla stola color avorio che le copriva le spalle.

-Meglio-Rispose lei, aggiustandosi una ciocca ribelle dietro un orecchio-Si rimarginano più velocemente di quanto credessi.

-Mi fa piacere. Non mi sono ancora complimentato per la missione: Andersen mi ha detto che hai fatto un ottimo lavoro.

-Ha detto così?Mah. Avrei preferito finirlo fino in fondo.

-Non è stata colpa tua. Andare oltre significava rompere un accordo che...Be', mi sta già dando abbastanza da fare. Probabilmente dovrò incontrare la Hellsing, quella...-Si fermò con una smorfia di disgusto-Ad ogni modo, non è colpa tua. È Andersen che tende a voler fare sempre più del dovuto.

-Crede nei suoi ideali molto fermamente. È da biasimare?

-No, ma potrebbe contenersi. L'hai poi trovato?Mi dicono che non l'hanno visto in giro, oggi.

-Avrà avuto da fare-Mentì-Io non l'ho più cercato. Ho studiato per tutto il giorno.

-Capisco. È probabile. Ti piace studiare?-Aggiunse, dopo una breve pausa.

Cielo, quell'uomo era interessante come un blocco di polistirolo.

-Sì, mi diverte.

-Cosa in particolare?

-Be', la filosofia, come sai...La storia dell'arte e le scienze.

-Argomenti interessanti. Che mi dici della musica?Ho saputo che hai una voce stupenda.

-Andersen?

-E chi altri?

-Così dicono, ma io continuo ad esercitarmi un paio d'orette al giorno, dopo pranzo.

-Sarei curioso di sentirti cantare.

-Forse, un giorno...

-Ci conto.

Si interruppe perchè il cameriere era tornato con le pietanze. Appoggiò i piatti davanti a loro e tirò fuori il vino, versandolo nei calici.

Domandò se serviva altro e, alla loro risposta negativa, si congedò con un altro breve inchino.

Miryam fissò a lungo la disposizione artistica del suo piatto, prima di decidersi ad intaccarlo. Tutto quel lusso davvero non faceva per lei.

-Qualcosa non va?-Le chiese Maxwell, le posate sospese a mezz'aria nell'atto di tagliare la carne.

Lei si riscosse dall'osservazione e sorrise.

-No, nulla. Notavo solo che il piatto è molto ben disposto.

-Eh?Ah, sì-Abbassò lo sguardo sul suo piatto come se l'avesse visto solo in quel momento.

Figurarsi, uno del suo rango doveva essere abituato a mangiare così tutti i giorni. Non che lo invidiasse, comunque: per lei la mensa frugale del Vaticano era più che perfetta.

-Sai che posate usare?Perchè io non ci ho...

Lo fermò prendendo forchetta e coltello corretti e mostrandoglieli.

Lui diede in un'alzata di sopracciglia stupita.

-Il corso di galateo era offerto dalla matriarca del bordello, ed io lavoravo anche come accompagnatrice. Una delle più richieste...Buonasera, Onorevole-Salutò amabilmente al passaggio di un tizio in smoking dall'aria terribilmente snob.

Quello sussultò come se fosse stato punto da un ago e spostò gli occhi da lei a Maxwell, fermandosi su quest'ultimo con uno sguardo sorpreso e leggermente contrariato.

-Eccellenza!-Salutò, con una lieve nota di rimprovero nella voce.

-Onorevole...-Ricambiò il vescovo, deponendo le posate.

L'uomo sostò accanto al tavolo.

-Lei conosce la signorina Shiva...?-Chiese a bassa voce.

-Lavora per il Vaticano-Rispose freddamente l'altro.

-Be', ottima scelta. Ma le sembra prudente così allo scoperto, un uomo di chiesa come lei...?

-Ho detto che lavora per il Vaticano, non sotto il Vaticano-Ribadì l'uomo con tutta la superiorità di cui disponeva, indicandosi con un gesto.

-Ho dato una svolta netta, Onorevole, non sono più sul campo-Intervenne lei, sorridendo.

-Quand'è così...Un vero peccato. Una delle migliori. Be', buon proseguimento.

-Tu lo conosci?-Le chiese Maxwell quando se ne fu andato.

-Se mi alzassi e facessi un giro, mio caro, saluterei tutta la sala-Rispose lei prendendo un sorso di vino-Ma preferirei evitare l'imbarazzo agli illustri ammogliati.

Il vescovo inarcò un sopracciglio, fissando il suo piatto, e poi tornò a guardarla.

-Si può sapere quanti nomi hai?

-Uno per ogni ambiente. Nel bordello mi chiamavano Shiva. Mia madre mi chiamava Candide. Qui mi chiamate Miryam.

-Ed il tuo preferito?

-Miryam-Rispose, tagliando la carne.

Non ebbe bisogno di guardarlo per percepire il fastidio che l'aveva assalito.

-Perchè te l'ha dato Andersen, suppongo.

-Perchè è l'unico a non essere stato infangato-Replicò alzando lo sguardo, con un'intensità che lo fece vergognare-Davvero, Enrico, smettila di tirare in mezzo quel povero Cristo. Sembri innamorato. Non te lo tocco, va' tranquillo.

-Ma che dici?!

Sospirò, snervata. Senso dell'umorismo non pervenuto.

-Scherzavo.

-È che c'è sempre qualche problema, con Andersen-Borbottò prendendo in mano il calice.

-A me finora non ne ha creati, tutt'altro.

Inarcò un sopracciglio, in disapprovazione-Potresti mostrare un po' di riconoscenza, comunque. Senza di lui saresti ancora in strada, e allora ti saluto guanti bianchi e camicie di seta.

-Non è che non gli sono riconoscente, cerca di capire...-Sospirò brevemente, tamponandosi il tovagliolo sulle labbra.-È che quell'uomo, da subordinato, è pressoché ingestibile. Fa sempre di testa sua. Ed io devo renderne conto al Papa, non ad un tizio qualunque.

-Va bene, non importa-Disse, addolcendo il tono.

-Noi due ci siamo già conosciuti, comunque, sai?

-Hm?

-Forse tu non ti ricordi di me, in orfanotrofio sono stata solo due mesi. Io mi ricordo di te, comunque: stavi sempre da solo, da piccolo. Con me però ti piaceva giocare.

Lo vide corrugare le sopracciglia, concentrato, e poi rilassarsi in un sorriso.

-Quindi eri tu quella piccolina che ronzava sempre attorno ad Andersen e a fra' Francesco?

-E chi altri?

-Anch'io mi ricordo di te, allora. Eri l'unica che non mi prendeva in giro. Mi è dispiaciuto quando te ne sei andata.

-Eh, già. Ma mio padre non aveva ancora fatto abbastanza soldi, con me.

-Come hai fatto ad andartene, a proposito?

-L'ho ammazzato-Rispose lei, sorridendo.

Maxwell la fissò, interdetto.

-Scherzi.

-Affatto. Dopo la tua visita ho parlato con lui e gli ho riferito che avevo intenzione di smettere con quel giro. Lui, ovviamente, si è opposto e non voleva lasciarmi andare. Io allora gli ho tagliato la gola e l'ho buttato in un vicolo. A nessuno importa se muore uno strozzino come lui. Che c'è?Scioccato?

-Onora il padre...-Mormorò il vescovo a mezza bocca.

-Ah, già. Be', sono sicura che da qualche parte, nella Bibbia, ci sia scritto qualcosa anche contro il picchiare a sangue la figlia treenne e venderla ad un branco di pedofili. Ma andrò a confessarmi, se la cosa ti sconvolge tanto.

-Forse è meglio.

-Occhio per occhio, dente per dente-Citò freddamente.

-A chi ti schiaffeggia tu porgi l'altra guancia, e a chi ti toglie il mantello non negare la tunica-Replicò lui.

-Io di guance ne ho due, dopodiché mi incazzo. E se ti fossi tolto la tunica e il mantello tante volte quante me li sono tolti io, saresti anche peggio di me. Forse dubiteresti persino dell'esistenza del Signore.

Il suo tono era calmo, ma il suo sguardo era più affilato di una lama.

-Forse, ma non c'è modo di saperlo. Mi dispiace sia toccato a te-Commentò l'uomo, come a voler chiudere la questione.

-Tanto meglio. Io, almeno, adesso so riconoscere chi mi fa del bene.

La frecciatina andò perfettamente a segno. Lo vide abbassare la testa e occuparsi del cibo come se non ci fosse altro.

-Comunque mi dispiace davvero-Mormorò dopo un po', e sembrandole sincero lei si concesse di rilassarsi. Del resto aveva anche lui i suoi pregi: se l'argomento fosse saltato fuori con Andersen, sospettava, ne sarebbe nata una sfuriata di dimensioni ciclopiche.

-D'accordo. Non c'è bisogno di scusarsi, quel che è stato è stato.

Gli vide fare il primo vero sorriso della serata, senza ombra di ipocrisia o superiorità.

-Vuoi un dolce?-Le chiese.

-Oh, no. Perdo la linea!-Aggiunse in tono melodrammatico.

Lui scosse la testa, sorridendo, ma non insistette oltre.

Chiamò il cameriere e pagò il conto. Quando si fu alzata le porse il braccio e la scortò all'esterno.

Tutto sommato non era stato troppo malvagio.

 

La lasciò solo quando furono nuovamente nell'atrio.

-Grazie per la serata.-Sorrise cortesemente, separandosi dal suo accompagnatore.

-Nulla. Grazie a te per la compagnia.

Fece per congedarsi da lei come al solito, baciandole la mano, ma quel gesto le sapeva troppo di viscido: così, si sporse e gli sfiorò con le labbra prima la guancia destra e poi la sinistra.

-Buonanotte-Lo salutò, e senza dargli il tempo di replicare si dileguò rapidamente su per le scale.

Non che si fidasse di lui, ovvio. Però ora le sembrava un po' più rispettabile.

Si fermò fra la porta della sua camera e quella di Andersen, indecisa.

Concluse che l'ora era troppo tarda per disturbare, e sicuramente stava già dormendo.

Sospirò. Nonostante tutto, avrebbe di gran lunga preferito essere rimasta con lui.

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Capitolo 14
*** 14 - Elementare ***


14. Elementare

 

La mattina dopo bussò alla porta del prete verso le dieci, ora che le sembrava abbastanza ragionevole. Yumiko, a colazione, l'aveva informata che la sera prima la febbre gli era scesa a trentotto, quindi non era troppo preoccupata.

-Chi è?-Chiese lui con voce stranamente affannata-Chi è?

-Miryam, padre-Rispose lei, leggermente titubante.

Ci fu un attimo di silenzio, dopodiché lo udì armeggiare con la serratura.

Poi tutto successe in un attimo: si ritrovò dentro la sua stanza, la porta chiusa alle sue spalle, stretta convulsamente fra le braccia del prete.

Aprì la bocca, ma sorpresa com'era non ne uscì niente: rimase ferma e incollata al torace dell'uomo, che spostava il peso da un piede all'altro singhiozzando violentemente.

-M-ma...Padre, che ha?-Balbettò infine, quando riuscì a recuperare l'uso della lingua. Alzò la mano sinistra e gliela strofinò cautamente sulla schiena. L'altra gliela portò al volto, visto che schiacciata com'era non riusciva neppure a girare la testa.

Lui accostò, spinse la testa contro il suo palmo col fiato corto come se, per lungo tempo, non avesse aspettato altro che una sua carezza.

Miryam sentì, passandogli la mano sulla fronte, che scottava anche di più della mattina precedente, e ne dedusse che fosse in pieno delirio febbrile: lo lasciò fare, quindi, continuando ad accarezzargli i capelli.

Quando parlò la fece sussultare di sorpresa: era così vicino al suo orecchio che sentiva il calore del suo respiro, e le sue labbra le solleticavano il padiglione.

-Mi dispiace...-Disse in un sussurro tremante, facendola rabbrividire-Mi dispiace così tanto...

-Non...-Esitò appena. Tanto stava delirando, non si sarebbe ricordato di niente.

-Non è stata colpa tua.

Non sapeva nemmeno se l'avesse sentita.

-Io non volevo farti del male...-Continuò, sempre tenendola stretta-Non volevo, capisci?Mi hanno costretto...-

-Lo so che non volevi. Non preoccuparti.

Scese con le dita a cercargli il volto, e constatò che non stava ancora piangendo. Capì però, sentendo le rughe che gli accartocciavano la pelle, che era contratto in una smorfia di tristezza e dolore.

-Ho dovuto, ma non volevo...-Sussurrò, con un tono che le strinse il cuore.

Trovò finalmente le sue labbra e vi posò sopra la punta dell'indice, per zittirlo.

-Ssssssh, Alexander...Qualsiasi cosa tu abbia fatto, io ti perdono.

Lo sentì cercare ancora le sue carezze, e gli appoggiò il palmo contro la guancia. Poco dopo, però, sentì anche le sue lacrime bagnarle i polpastrelli.

-Ti prego, no...-Febbre o meno, sentire un uomo di quel calibro piangere come un bambino era un pugno allo stomaco, e le lasciava l'amaro in bocca.

-Come puoi perdonare un mostro? Non sai quello che ho fatto!

Ora aveva un volume di poco più alto, ma in compenso aveva la voce strozzata, come se parlasse con un enorme nodo in gola. Sembrava completamente spiazzato.

Le sue braccia la stringevano tanto forte che faceva fatica a respirare ed era perfino sollevata a un paio di centimetri da terra, ma era sicura che non intendesse farle del male. Era una stretta spaventata, in un certo senso anche protettiva, come se temesse di perderla da un momento all'altro.

-Qualsiasi cosa- Ripeté dolcemente, pettinandogli i capelli a lato della testa con le dita -Qualsiasi cosa, Alexander.

Avrebbe voluto guardarlo negli occhi, ma non poteva, con la testa bloccata voltata da un lato.

-Davvero...?- La sua voce era ridotta ad un sussurro roco.

-Davvero.

-Perchè lo fai...?

Sospirò indecisa, non sapendo se parlare o meno. Poi gli spinse gentilmente la testa verso il basso, in modo di avere il suo orecchio a portata di labbra.

-Perchè, anche se non sei mio, sei tutto quello che ho.

Fu poco meno di un sospiro, ma bastò a farle capire che aveva confessato il più grande tormento della sua anima.

Da dove le veniva quel coraggio non lo sapeva: probabilmente era perchè sperava che si sarebbe dimenticato tutto, o forse perchè non poteva più tenerselo dentro. Malgrado ciò riuscì, ameno in parte, a calmarlo.

Sentì la stretta allentarsi e i suoi piedi toccare di nuovo terra; poi lui posò la mano sulla sua, sulla guancia, e chinò leggermente la testa di lato.

Alzò la testa e lo guardò in volto.

Teneva il capo chinato, il mento che toccava il petto: la sua espressione era ancora addolorata, ma di un dolore più sereno; dolce, a suo modo. Le lacrime gli rotolavano giù dagli occhi, ma meno fitte, e i singhiozzi gli scuotevano il petto solo di tanto in tanto.

Cercò i suoi occhi: erano lucidi e visibilmente privi di coscienza, ma le iridi verdi erano limpide come non le aveva mai viste.

Le spostò delicatamente la mano dalla guancia ai capelli e lei, recepito il messaggio, riprese a passarci le dita in mezzo.

Lo sentì rilassarsi in un lungo sospiro di sollievo, mentre la sua mano le scivolava sul polso.

In quel momento vide un'enorme bestia ferita acquietarsi alle carezze di una bambina.

Oh, sì, aveva visto tanti uomini piangere di rabbia o di vergogna: eppure la toccava molto di più lui, che piangeva più che altro a causa della febbre. Forse era a causa del fatto che sbuffava e si agitava, a tratti, impacciato, come a dire:”Cos'è questa roba? Non è possibile, io non ho mai pianto”.

Gli prese il volto fra e mani e cercò di guardarlo negli occhi: lui però si rifiutò di incrociare i suoi.

-Alexander?

Era un peccato non poterlo chiamare davvero così: a lei quel nome piaceva tanto e lui sembrava rilassarsi un po' di più ogni volta che lo usava. Probabilmente fu per questo che accettò, suo malgrado, di alzare lo sguardo.

-Guardami, su. Così, sì, da bravo... Basta piangere, adesso, ok? Vieni con me.

Ottenne di essere lasciata del tutto – la sua schiena sospirò di sollievo - e lui si lasciò guidare verso il letto, sempre con la mano posata sulla sua.

Lo fece stendere e lo coprì; ad un tratto provò a lasciarlo ed andare a prendere una pezza bagnata, ma lui le serrò il polso in una stretta d'acciaio. Le ci volle un certo autocontrollo per non fare una smorfia di dolore.

-Non te ne andare- La supplicò, tirandola verso di sé -Resta qui...

-Vado a prenderti uno straccio bagnato, bruci di febbre.

-Per favore...- Insistette, strattonandola un po' più forte. Sicuramente non si rendeva conto della sua forza, perchè la fece quasi cadere.

-Va bene, va bene...- Si sedette sul bordo del letto.

-Contento?

Andersen annuì e le lasciò il polso.

Gli fece scivolare la punta delle dita dalla tempia al collo, sospirando. Lo vide socchiudere gli occhi e sorridere. Aveva smesso anche di singhiozzare.

-Potresti rifarlo...?

-Cosa, questo?-Disse, ripetendo il gesto.

Annuì, contento come un bambino. Riprese ad accarezzargli i capelli e, dopo di un po', vide che gli ciondolava la testa di lato. Dopo di un po' lo lasciò, andare convinta che stesse dormendo.

-Miryam...

Sobbalzò di sorpresa e si voltò a guardarlo. Aveva gli occhi ridotti a due fessure, ma non completamente chiusi.

-Ti...

Lei piegò la testa, in ascolto, ma il prete sospirò e reclinò il capo di lato.

La ragazza si alzò ed uscì dalla stanza.

 

-Miryam...

Non alzò nemmeno la testa dalla sua lettura. Da quando s'era addormentato - un'ora, forse due - l'aveva chiamata almeno una decina di volte, ora scusandosi, ora invocandola e basta.

-Miryam, io ti...

A quella la alzò , la testa.

-Ti...

Lo fissò, in attesa, mentre un turbine di pensieri le attraversava la testa. Il più gentile di essi era “Finisci quella cazzo di frase, idiota”.

Ma come si sa, ogni momento importante è destinato ad interrompersi sul più bello.

-Miryam?

Le servì una gran forza di volontà per non snocciolare tutte le imprecazioni che conosceva.

Lo guardò stiracchiarsi di gusto, ribollendo in silenzio.

-Come mai qui?

-Niente, volevo solo vedere come stava.

-Ah, ti ringrazio. Cos...?-Si tastò la fronte, dove aveva posato la famosa pezza bagnata.

-Le era salita di molto la febbre, stamattina. Qualcosa come quarantadue.

-Ho delirato? Perchè quando mi ammalo ho questa spiacevole tendenza a non avere più il filtro fra il cervello e la lingua.

Tutte scuse autentiche, quindi, come pure le lacrime. E se avesse finito quella frase...

-No, o almeno non in mia presenza.

-Strano, perchè ho dei flash...-Si portò una mano alla testa, confuso-Boh, forse me lo sono sognato. Comunque la febbre m'è passata.

-Che?Ma lei scherza. Fino a stamattina scottava come una stufa.

-Certo: prima mi fa lo svarione e poi mi passa del tutto. Non ci credi?Passami il termometro.

Fece quello che le aveva chiesto, scettica. Lui si sedette sul bordo del letto e attese dondolando le gambe, e qualche minuto dopo tirò fuori la risposta: trentasei e due.

-Stupefacente.

-Bene!

Il prete si alzò in piedi e si stiracchiò di nuovo.

-Com'è andata con Maxwell?

-Una cosa normale di noia normale. Non è stato nemmeno troppo viscido.

-Povera ragazza...- Commentò togliendosi il pigiama -Sai che ti dico?Ti ci porto io a cena, domani sera.

-Eh?

Sbirciò da sopra la spalla: boxer, peccato.

-Ma sì: ti porto fuori a cena. Ci stai?

-Certo che ci sto.

-Allora domani sera alle otto.

-Formale?

-Spero tu stia scherzando.

 

-Buongiorno!

Eccolo là. Capitava sempre nei momenti più inopportuni, quello: per esempio quando era nel clue di un allenamento, mezzo svestita e lucida di sudore.

-Enrico-Salutò a sua volta col suo miglior sorriso finto, fermandosi-Cosa posso fare per te?

Sottotitolo: perchè non te ne vai alla svelta, ratto albino?

-Ricordi l'altra sera, quando ti ho detto che probabilmente avrei dovuto incontrare l'Hellsing?

-Sì.

-Domani devo, per l'appunto, discutere di una faccenda di non poco conto con loro. Dobbiamo incontrarci al Museo dell'Esercito Reale, e Renaldo...Beh, non può seguirmi. Ti dispiacerebbe accompagnarmi?

Oh Signore, e smettila.

-Sarebbe una missione?

Prese tempo, elucubrando intanto una scusa plausibile da opporre alla sua richiesta.

-Beh, no.

Fece una pausa che, l'avrebbe giurato, era studiatissima.

-Però preferirei portarmi dietro sia te che Andersen, in affari come questo. Sai com'è...

Ah, allora non c'era alcun motivo per restare.

-D'accordo. Non avevo comunque niente da fare-Rispose sospirando.

-Benissimo. Sarà una cosa veloce, non preoccuparti: intendo sbrigare la questione il più rapidamente possibile.



Nota: Per coloro che non avessero ben presente che razza di arma Miryam usi, vi allego sotto un paio di foto.


E' un'arma indiana comunemente nota come bagh nakh o "Artigli di tigre". Quella di Miryam, in particolare, è combinata ad un bichwa, che è il pugnale laterale che vedete in foto. Nei buchi vanno fatti passare l'indice e il mignolo, cosicchè è possibile colpire sia frontalmente, con gli artigli, che lateralmente, col pugnale.

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