ObsCure Saga: The Other Half Of Me

di HopFrog94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Connections ***
Capitolo 2: *** Pizza Delivery Boy ***



Capitolo 1
*** Connections ***


Connections





"Ehi, Sven! Attento!"

Il bambino dai capelli dello stesso colore del sole si ridestò dai suoi mille pensieri, che di tanto in tanto travolgevano la sua florida mente con la stessa violenza del più maestoso dei mari in tempesta, trasportandolo con soave e delicata voce lontano dagli sconfinati campi verdi che decoravano la sua terra natia, la sua amata Norvegia.
Doveva aver fatto qualcosa di grave, perché la bambina accanto a lui lo guardava con un ciglio non molto incoraggiante.

"Guarda che hai fatto, hai rovinato la casa di Mr. Ölev!"

Sven guardò oltre la spalla destra, abbassando lo sguardo verso la piccola area di terriccio subito dietro di lui. Aveva la mano sopra quello che rimaneva del maestoso maniero di Mr. Ölev.
Sven ritrasse subito la mano dal luogo della strage, socchiudendo le labbra e sobbalzando leggermente.
Questa volta l'aveva fatta grossa, ora non avrebbe potuto fare proprio nulla per evitare la sua ira.

Tutta colpa sua e della sua stramaledetta immaginazione.
Quando apriva le porte di quella che ormai era casa sua, la sua vera casa, non si rendeva più conto di nulla.
Prima i contorni della realtà sbiadivano, tutto assumeva una tetra tonalità di grigio e poi d'un tratto la percezione del piano fisico scompariva. 
Buio totale.
Un interruttore appariva da quell'oscurità, una volta da una parte, una volta dall'altra. Una volta premuto, una debole luce illuminava una piccola porta.
Sven, anche se non si ricorda più nulla di ciò che lo riguarda, la apre, ritrovandosi a bordo di un enorme mongolfiera, o un vasto vascello, o ancora sulla cima della sua giostra preferita, e da li riesce ad ammirare l'infinito, vede prendere forma concreta i suoi sogni.
Eccolo lì, infatti, sul campo di hockey, libero di colpire con la mazza il simbolo della catena, la prigionia, il silenzio...
quel dischetto è per lui la liberazione dallo stesso, distruggere la costrizione dell'anima attraverso l'urlo dell'eroe. l'umile servitore che decide di ergersi e gridare come una spada. Un giorno ci riuscirà...
Ma stai divagando ancora, piccolo Sven...

"Si... hai ragione... scusami."
"Che hai detto?"

Sven alzò lo sguardo. La bambina dalla pelle diafana era in piedi davanti a lui, che lo fissava con occhio adirato, ma al tempo stesso confuso.
"Cosa?", chiese Sven.
"Hai detto qualcosa... ma non ho capito, perché l'hai sussurrato! Magari erano delle scuse!", sbottò la bambina, mettendo le braccia conserte.

"Non saprei... non ricordo.", rispose lui.

La bambina si girò di scatto ed iniziò a correre giù per la collina.
Sven la guardò per qualche secondo, ammirando la grazia con la quale si muoveva. Gli era parso che mentre si voltava stesse sorridendo, ma sicuramente era stato un miraggio, perché non poteva essere... per colpa sua lei aveva perso Mr. Ölev. Prese infine a correrle dietro.

"Aspetta! Mi dispiace!", urlò con tutta l'aria che aveva nei polmoni.
Dannazione, quella bambina correva davvero veloce!
Non se lo sarebbe mai aspettato, era una ragazza davvero piena di risorse.
A Sven venne da sorridere.

Ormai però l'aveva quasi raggiunta, quando all'improvviso tutto intorno a loro si fermò...
l'atmosfera divenne densa, il cielo si tramutò. Delle nuvole che c'erano in precedenza, più nessuna traccia. Il cielo si era rapidamente tinto di un colore giallastro;
Gli uccelli avevano smesso di cantare ed il vento di soffiare.
Ma Sven era troppo impegnato a raggiungere la bambina per rendersene conto appieno.
Ormai erano nella vallata, pericolosamente vicini alla costa a strapiombo che dava su di un mare spesso agitato, ma oggi stranamente calmo.

"Ma che fa?", pensa preoccupato Sven, "Ho capito: vuole farmela pagare fino in fondo spaventandomi a morte! Beh, ci è riuscita!".
"Ehi, guarda che ho capito a che gioco stai giocando! E sappi che ce l'hai fatta! Ti chiedo scusa! Ma ora fermati, ti prego!", urla alla bambina Sven.
Ma lei pareva impassibile e sorda a qualsiasi cosa Sven pronunciasse. Stava tirando troppo la corda.
E lui ora stava pagando un prezzo troppo alto.

"Ti prego!"

Ormai lei era presso la cima dello strapiombo.
Un altro passo e sarebbe caduta.
Stavolta Sven lo vide. Questa volta non si trattava di un miraggio. 
Lei rideva.
E cadde.

Cadde però solo per pochi istanti, ma poi si librò in aria.
Sven si bloccò completamente, e guardò meravigliato la sua amica che ora galleggiava in cielo, proprio davanti al sole.
Sembrava un angelo.
Sven non capì più nulla.
La bambina elargì un enorme sorriso, e disse: "Sven, ma non hai ancora capito? Il sogno non è ancora..."

"Finito...", concluse Sven, estasiato.

Un grosso sorriso dipinse il suo volto.
Iniziò a correre a tutta velocità verso la sua amica.
Cadde.
E continuò a cadere.

"Ma che succede? Perché non la raggiungo?", pensò lui.
Il mare si avvicinò sempre di più.

Buio.
Luce.

"Ehi, Sven, ma dove vai a volte? Vedessi che faccia buffa ti viene..."
"Non lo so, so solo che è bellissimo..."
I due erano distesi sull'erba.

"Mi ci porti?"
"Non lo so, ma potrei provarci... basta chiudere gli occhi e pensare intensamente l'uno all'altro."

Li chiusero.
Sven iniziò a pensare alla sua amica. Dovevano incontrarsi nel suo mondo.
Non fu difficile per Sven dileguarsi, ma c'era qualcosa di strano.
La sua amica non comparve, ma vedeva, o meglio sentiva, qualcos'altro...
Provò poi una strana sensazione. Diversa.
Una stretta al cuore, e farfalle nello stomaco.
Ma anche un'enorme tristezza.
Nero di china.
Charlotte, North Carolina, USA

"Mamma!", urlò una bambina.
Sua madre entrò camera sua frettolosamente.
"Che c'è, Amy?!"
"Ho fatto un brutto sogno!"
La madre si sedette al centro del letto.

"Tesoro, i sogni sono appunto tali... non potranno mai farti del male..."
"Sono tanto triste, ora..."
"Ma no, non ne hai motivo! Tra poche ore verrà la tua tanto cara nonna da New York!"
"Mi porterà gioia?"

Sua madre sorrise. "Ma certo!"
"E anche allo zoo?"

"Assolutamente."
Sua madre si alzò dal letto.

"Ora dormi, che la notte non è ancora finita... senza brutti sogni, stavolta, fidati di me...".

Amy posò la testa sul cuscino.
Che strana e nuova sensazione...

Buio.

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Capitolo 2
*** Pizza Delivery Boy ***


Pizza Delivery Boy
 

La portiera del modesto van si aprì.
Il ragazzo che ne era alla guida era indaffarato alla ricerca di qualcosa, un oggetto particolare, forse, magari un foglietto.
Non se ne ricordava più nemmeno lui stesso. Evidentemente non era poi così importante.
Decide di fare un ultimo tentativo, controllando nel posto più scontato e prevedibile, in cui stranamente non aveva ancora guardato: il cruscotto.
Ovviamente, dell'oggetto nessuna traccia.

"Al diavolo", pensa, "qualsiasi cosa sia salterà fuori, quando sarà il momento."

Ma quale momento? 
Farà mai il suo arrivo?
Forse tale attimo rimarrà per sempre chiuso in un cassetto, o rimarrà solo una debole speranza, o magari qualcosa destinato a rimanere sepolto.

Scende in maniera piuttosto frenetica dal grigio furgoncino Volvo acquistato a un paio di centoni da una vecchia autorimessa semi - abbandonata nella vicina cittadina di Deeptown, nota come "Il parco giochi della Bestia", epiteto con il quale venne chiamato un tale Lester MacSummoned, assassino seriale vissuto negli anni '60 che terrorizzò la città per quasi quindici anni; le sue vittime erano tutte donne gestanti, accusate di avere agito con immani atti di egoismo e da aguzzine, incarcerando nuove e fragili creature in questo immondezzaio infernale chiamato Terra.
Le torturava attraverso crudeli ed atroci metodi da Inquisizione Medievale, fino a costringere il loro corpo all'aborto; l'ultimo atto sarebbe stato lo sgozzamento.
Disponeva i corpi in grossi sacchi neri che seppelliva poi da qualche parte nei pressi della Diga di Fallcreek, nella contea più vicina, oggi in disuso.
Una notte si costituì spontaneamente alla polizia, descrivendo dettagliatamente tutti i luoghi di sepoltura.
Fu incarcerato con una condanna all'ergastolo.
Ancora oggi alcuni sospettano che ci siano altri cadaveri seppelliti in quel posto.

Il ragazzo buttò la sigaretta a terra, che si andò ad incastrare sotto la ruota posteriore del furgoncino.

"Maledizione", pensò con stizza quando guardò l'orologio.
Doveva sbrigarsi.

Si diresse verso il retro del van, prese un grosso mazzo di chiavi dalla tasca posteriore dei suoi smunti pantaloni color grigio tendente al nero, rigorosamente di una taglia più grande, ed aprì le ante in cui conservava le sue consegne, insieme ad altri oggetti più o meno utili.
Prese ciò che gli serviva e chiuse la vettura.
Finalmente si incamminò verso il locale, un punto di ristoro situato nei pressi di un distributore.
Appena aprì la porta, un campanello trillò sopra la sua testa, avvisando chiunque ci fosse stato dietro il bancone, o in cucina, o nel retrobottega, del suo arrivo.
Il locale era deserto.
Dalla toilet affianco uscì fuori un uomo apparentemente molto vicino alla soglia dei 50 anni, abbastanza alto, attempato, con una poderosa corazza esterna fatta di grasso ed ali di pollo. Il volto pareva un tutt'uno con il collo, gli occhi erano ridotti a due piccole fessure sotto a degli unti capelli corvini che stavano iniziando a dare segni di cedimento.
L'uomo uscì dal bagno mentre si stava ancora tirando su la zip dei suoi coraggiosi e strenui jeans vecchio stile.
Si diresse dietro il bancone, si piazzò davanti al ragazzo con aria inquisitoria da capo a piedi, con sguardo di diffidenza misto a sdegno.

"Pizza", disse solamente il ragazzo, posando i due cartoni sul bancone; 
"6 dollari e 60 cent".

L'uomo spostò lo sguardo alle spalle del giovane e dopo qualche attimo posò di nuovo lo sguardo su di lui.
Le sue pupille si muovevano a piccoli scatti.
"Non puoi tenere il furgone lì".
"6 dollari e 60 cent e me ne vado subito".
La bocca dell'uomo venne scossa da un piccolo tremito, poi si piegò in un sottile ghigno.

"Ehi, ragazzo, che faccia da funerale... di un po', ti insegnano così a trattare con i clienti? Eh.. Eh.."
Mentre sogghignava, l'uomo fu colto da un accesso di tosse che non lasciava presagire nulla di buono per la sua salute.
Ma che peccato...

Stavolta fu il ragazzo a porre l'obiettivo sull'uomo dietro il bancone.
"C'è ben poco da essere allegri, lei dovrebbe saperlo.".
L'uomo tornò serio.

"E con questo cosa vorresti dire, ragazzo?.."
Ora l'uomo aveva socchiuso le labbra, lasciando intravedere i denti serrati.
La sua mascella era leggermente tirata.

"Che la pizza viene 6 dollari e 60 cent", rispose stanco il ragazzo.
L'uomo si sporse leggermente in avanti con il busto. Il suo fastidioso ghigno tornò alla ribalta sul suo volto.
"Sai, sei in ritardo... pensi davvero che io voglia pagartele?"

"Si."

L'uomo scosse piano la testa, beffardo.
Una sensazione di bruciore si innalzò dallo stomaco verso la testa del fattorino.
"Senta...", sbottò il ragazzo, sbattendo una mano sul bancone e stringendola a pugno.

"Cosa?", rispose l'uomo con palese sfida.

Il ragazzo lo guardò con rabbia, una rabbia che ormai conosceva bene, e che era un altro segno da prendere subito in considerazione.
Non poteva perdere tempo con quell'idiota, anche se la tentazione di lasciarsi andare era forte.
Si girò ed uscì dal locale, inseguito dai ghigni dell'uomo, sbattendo la porta.
Tirò fuori dalla tasca posteriore il grande mazzo di chiavi ed aprì il van. Salì, mise frettolosamente in moto e partì.
Mentre si allontanava, la rabbia cresceva in lui sempre di più.
Si fermò nei pressi di un'area di sosta, prese dal cruscotto un piccolo barattolo di medicinali e ingollò 3 o 4 pastiglie.

Ne aveva abbastanza di tutto questo, dei medicinali, dei ricordi dolorosi e del suo maledetto destino. Poggiò la testa sul sedile e chiuse gli occhi.
Nella sua mente una sola immagine.
Dalle sue labbra si potè leggere un nome.

"Shannon..."

La rabbia piano piano si dissolse. 
La sua unica, efficace terapia.

Riaprì gli occhi, mise in moto e ripartì.
Ora l'unico obiettivo era dimenticare, ma sapeva già che sarebbe stato impossibile.

Schiacciò l'acceleratore e passò a tutta velocità un'enorme struttura, il campus universitario di Fallcreek.




 

 

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