Tell Me I'm Angel, Take This To My Grave

di Hermione Weasley
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Gli avventimenti di questa fic sono cronologicamente successivi a quelli di No Mercy, No More.


Tell Me I'm Angel, Take This To My Grave.
Parte Prima

And say,
What I wanna say
Tell me I'm an angel,
Take this to my grave.
Tell me I'm a bad man,
Kick me like a stray.
Tell me I'm an angel,
Take this to my grave.

My Chemical Romance - House of Wolves



- Posso vederlo?
- No. E' meglio di no, non ancora almeno.
- Ma sono sicura che...
- No, Maya. Non posso. Hai già fatto abbastanza, non ti chiederò nient'altro.

*

Ed è grato di non poter osservare la scena.

*

Un continuo andirivieni di voci, sussurri soffocati in goffi tentativi di non farsi udire. Stupido pensare che non possa sentirli, né intuire che siano proprio là, dietro quella porta, intenti a confabulare tra di loro sulle sorti che gli riserveranno.
Stupido pretendere di non essere uditi.
Se fosse un po' più lucido riderebbe di quelle accortezze senza senso.
Mohinder rimane là fuori tutto il giorno, per assicurarsi che nessuno, nessuno, possa entrare. Per nessun motivo al mondo si concederà l'ennesima deleteria leggerezza... ne è stato vittima per così tante volte - ha imparato.

Il pensiero di saperlo fiero di sé, orgoglioso della sua perizia di particolari, lo fa sorridere, nonostante i sedativi che gli hanno somministrato gli permettano a malapena di aprire gli occhi.
Le palpebre sono così dannatamente pesanti, come di piombo, e tutto intorno è buio. Un buio assordante e scomodo. Il buio dell'ignoto, mura inamichevoli che lo fissano insistentemente, celando qualsiasi cosa alla vista.
Eppure la fitta di risentimento che prova ogni qual volta si renda conto di aver fallito, è gelida e perforante. La sente.
La sente amplificata e insistente. Prepotente, il senso di disfatta. Fregato da due occhioni scuri, e labbra morbide.
Per quanto amaro gli risulti il pensiero, il ricordo di quel profumo non riesce a fargli storcere le labbra. Si sente cullato in una sorta di strano torpore, e non sarebbe poi così fastidioso se la martellante consapevolezza di esser stato giocato non tornasse continuamente a stringergli il petto in una ferrea morsa.

*

- Il dottor Suresh ha detto che mi farà entrare non appena le sue condizioni si saranno stabilizzate.
- Credi che mi interessi qualcosa?

E' una voce femminile leggermente acuta, scocciata quasi, come se una malcelata risatina sarcastica fosse continuamente all'agguato.

- Voglio vederlo.
- Non ti conviene. Hai visto di cosa è capace.

Silenzio.

- Vado a vedere cosa sta facendo Molly.


*

La sente schioccare la lingua, ed è convinto di aver sentito un ovattato "ingenua" seguire l'allontanamento dell'altra.
Ingenua.
*

- Non respiro.
Gli esce di bocca senza pensarci. L'aria è pesante, la luce non filtra attraverso le tende pesanti. L'atmosfera è soffocante. Le voci continuano ad amplificarsi nella sua testa con straordinaria dovizia di particolari. Continui ticchettii e parole ripetute dieci, cento, mille volte.
Suppliche senza senso di qualcuno che vuole vederlo, continui dinieghi di chi non vuole dargli alcun contatto umano.
L'ago nel braccio gli fa un male del diavolo e una crescente sensazione di bruciore sembra attanagliargli lo stomaco. Gli sembra di star andando a fuoco, di bruciare...
E' forse quello l'inferno?
Smarrimento, fallimento, prigionia, fiamme, dannazione -
Qualsiasi cosa sia, si avvicina all'idea che si è fatto delle profondità della terra.
E poi...
Il tintinnare di un mazzo di chiavi.
La bocca è arida, la lingua impastata, gli sembra di non bere da giorni.

- Mohinder, per favore!

E il cuore gli batte più rapidamente, le orecchie gli fischiano.
Tenta di muoversi su quel letto che gli sembra fatto di pietra, ma i muscoli si tendono dolorosamente, lo costringono a bloccarsi di nuovo.
Vorrebbe urlare, gridare, minacciare alla cieca chiunque sia il colpevole di quell'atroce condizione, ma... non può.

- Ti ho detto che ci metterò pochissimo! Ti prego.

Ancora rifiuti borbottati a mezza voce, sempre meno convinti, sempre meno convicenti.
Cederà. Sa che cederà. Perché è un debole, perché è così schifosamente attaccato alla morale e al suo buonismo da quattro soldi da non riuscire a prendere in considerazione tutte le opzioni, tutte le variabili, tutti i pericoli.

- Ne ho bisogno. So difendermi.

Oh, sa che non è vero. Lo sa che sta mentendo. Lo sente dal leggero tremore della sua voce, dall'incertezza del suo tono.
Si chiede se abbia mai mentito... così ingenua, così impaurita, così stupida.
- Starò attenta, te l'ho detto.

Ma lui sa come farle perdere il controllo. O almeno... lo saprebbe se solo fosse in condizioni migliori, se solo potesse mostrare al mondo tutta la potenza di cui è capace.
Ma è rilegato su uno stupido letto di laboratorio, come una cavia, una cavia qualunque.
Una cavia come tante altre.

- Ha ucciso mio fratello! Ne ho diritto, Mohinder! Tu hai già avuto la tua occasione! Lascia che io abbia la mia!

Bingo. Stavolta lascerà cadere qualsiasi accortezza. Ha premuto il tasto giusto, e lo scrigno si è aperto. E' riuscita a piegarlo al suo volere.
Forse l'ha sottovalutata. Forse non ha paura di prendersi ciò che vuole.
Forse... forse ha imparato qualcosa da quel breve periodo di tempo che hanno trascorso insieme.
E gli viene da sorridere. Fautore della sua stessa disgrazia.
Stavolta è stato lui a non calcolare tutte le variabili.
Ed è una sordida, grottesca risata quella che vorrebbe sgorgare dalle sue labbra secche.

- Grazie, Mohinder.

Quell'accento ridicolo.

- Grazie.

Ringraziamenti che si accavallano l'uno sull'altro mentre la serratura di quello che sembra un pesante portone blindato, scatta rumorosamente.
Libertà che non gli è permesso di assaporare.
Può solo sentirne il lontano profumo, e niente più.
Il cigolare dei cardini pesanti è assordante. Nessuno gli ha dato la sua dose giornaliera di sedativi per anestetizzare il dolore, o la fame, o la sete, o il sonno che manca - e tutto è amplificato e centuplicato senza alcun riguardo, come in una perfida cassa di risonanza.
E poi passi leggeri, che si disperdono come se fossero lontani anni luce, ma che stanno appena al di là di quella porta.
E' una sorta d'insana impazienza quella che gli sembra di avvertire. Il brivido che precede l'assimilazione di una nuova, preziosa abilità.
Ha dimenticato come ci si sente. Gli manca quell'assoluta sensazione di onnipotenza che gli fa credere di poter fare o dire qualsiasi cosa gli passi per la testa.
Poter diventare qualcuno. Qualcuno al di sopra di tutti gli altri.

- Farò in fretta.

La porta si richiude con un gran fracasso e poi è solo un impazzito, insistente, familiare battito cardiaco, quello che gli riempie le orecchie.

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***



Tell Me I'm Angel, Take This To My Grave.
Parte Seconda

And say,
What I wanna say
Tell me I'm an angel,
Take this to my grave.
Tell me I'm a bad man,
Kick me like a stray.
Tell me I'm an angel,
Take this to my grave.

My Chemical Romance - House of Wolves




- Gabriel... Gabriel...

Di nuovo.
Di cosa ha paura?

- Svegliati, Gabriel...

Apre di scatto gli occhi solo quando le sue mani sfiorano le sue, in un disperato tentativo di riportarlo alla realtà.

- No!

La voce gli esce roca e bassa, in un disgustoso e disarmonico accostarsi di suoni esausti.
Lei sta trattenendo il respiro, il suo cuore batte più velocemente.
Lo sente di nuovo quel profumo. Quel buon profumo di... no, non è mai riuscito a ridurlo a qualcosa di materiale. Non gli è mai interessato. Né gli interessa.
Ma è l'improvviso appiglio a qualcosa di familiare in un ambiente che gli è totalmente estraneo e ostile.

- Sta' calmo.

Mormora, probabilmente sta parlando con se stessa, non vuole disturbarlo.

- Ti ho portato un po'... d'acqua.

Deglutisce. E' nervosa.
Crede che le sue condizioni gli impediscano di rendersi conto di ciò che sta succedendo?
No, non può essere così stupida. Non proprio adesso che si è deciso a rivalutarla, non proprio quando un insensato, masochistico orgoglio di maestro che riesce a farsi superare dall'allievo, si è impossessato di lui. Come in un'assurda rivalsa su una sconfitta altrimenti schiacciante.
E' stato davvero così imprudente? Così pronto a cadere su quegli errori che aveva disprezzato in altri. Ci è inciampato sopra, e adesso... adesso non sembra dispiacergli nemmeno tanto.
Ha quel profumo, lo conosce, è lì vicino, e sa di familiare, sa di suo.
E tanto gli basta.

- Aspetta...

Una mano si insinua dietro la sua nuca. Trema incontrollabilmente mentre si sente spingere leggermente verso l'alto. Dischiude le labbra in una patetica aspettativa.
E poi il vetro gli sfiora le labbra, e acqua fresca gli scivola lungo la gola, ridandogli un'insperata sensazione di speranza e vitalità.
Un rivolo trasparente scappa innavertitamente, bagnandogli il mento.
Ed è un gesto rapido e preciso quello che lo asciuga, prima che il bicchiere venga rimesso al suo posto, su un nudo comodino di fianco al letto.
Vorrebbe aprire gli occhi, ma teme che la minuscola luce appena accesa possa in qualche modo acciecarlo.
E' già abbastanza la sensazione di sentirsi fissato.
Occhi neri che non lo mollano un secondo, che scrutano ogni singolo centimetro del suo viso, studiandolo con attenzione e perizia.

- Dios mìo... come ti hanno ridotto, Gabriel.

- Tu...

Ha abbastanza voce per accusarla, per darle tutta la colpa, scaricarle addosso il risentimento di una partita persa per mancanza di cautela.

- No... no sei stato tu a farti questo.

Ride sommessamente, nonostante la gola gli faccia male.

- No, Maya.
- Hai ucciso Alejandro.
- Come...

Tossisce bruscamente, riaprendo di scatto gli occhi.
Un lampo improvviso gli sferza le pupille, costringendolo a richiuderli altrettanto velocemente.

- Sta' fermo.
- Lasciami s-stare!
- Gabriel, por favor...
- No...

Cade il silenzio. Non hanno più niente da dirsi.

- Mi dispiace, Gabriel... mi dispiace così tanto...

Un'improvvisa sensazione disagio, prova evidente che la situazione può peggiorare ancora.
Si sta scusando? Gli sta... chiedendo perdono?
Per averlo tratto in inganno, venduto alla mercé di qualcun altro per insulsi esperimenti, forse.
Magari, invece, aspettano soltanto il momento buono per ucciderlo, per liberarsi definitivamente di lui.
Sarebbe come se non fosse mai esistito. Tutto lavoro inutile, tutto... tutto per diventare il vago ricordo di cronache nere di tempi passati. Perso in archivi di scartoffie polverose in qualche commissariato di polizia del paese.
- Maya...

Suona come una richiesta. Forse una supplica, non ne è sicuro nemmeno lui.
Probabilmente non vuole nemmeno saperlo. Si sente già abbastanza umiliato da una situazione decisamente scomoda e spiacevole.
Ma sa... sa che se la caverà anche stavolta. Ne è convinto.
Deve esserne convinto.

- Che c'è?

La voce le trema. Si è avvicinata comunque.
Gli è sembrato di vederla chinata su di lui, forse in un disperato tentativo di non perdersi una sola delle poche parole che gli scivolano giù dalle labbra.

- N-non...
- Cosa?

E' lei a sembrare impaziente adesso. Vena di un'assoluta smania di sapere, nel tono della sua voce. Lo sente dalle vibrazioni irregolari delle sue corde vocali, e dal battito sregolato del suo cuore. Quel cuore così puro, eppure macchiato di atroci crimini.
Può l'intenzione influire nella gravità di un delitto?
Cos'è che cambia?
Sono entrambi assassini. Le mani di entrambi sono macchiate di sangue più o meno innocente.
Dove sta la differenza? Dove?
Tutta là dentro, forse. In quel continuo battere accelerato di chi ha solo voglia di essere felice.
E prima che se ne possa rendere conto, muove la mano a tentoni, su quelle lenzuola sgualcite che sanno di stantio e muffa, alla ricerca di qualcosa.
Se potesse guardarla, vedrebbe che sta seguendo con lo sguardo quella mano alla disperata ricerca di un contatto.

- Devo andare, Gabriel.

Non lo sente più quel profumo.
No. Vorrebbe afferrarla per un polso e costringerla a restare lì con lui.
Non tanto per la sua compagnia, ma solo per quello spicchio di familiarità che lo convince di non essere poi così perso in terra nemica.
Si limita a deglutire.

- Devo andare...

Ripete di nuovo, come se si stesse convincendo ad alzarsi davvero e andarsene.
Non vuole farlo. O almeno...
Se potesse, le rivolgerebbe un ringraziamento di scherno per quella poca acqua che gli ha portato.
Ma non ne è in grado... e prima che possa rendersene conto, i passi, il cigolio della porta, il titinnio delle chiavi, e quel profumo, se ne sono già andati.

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Penultimo capitolo! Grazie ancora a Eli e PsYcHoGIRL_SYLARtheBEST :)


Tell Me I'm Angel, Take This To My Grave.
Parte Terza

And say,
What I wanna say
Tell me I'm an angel,
Take this to my grave.
Tell me I'm a bad man,
Kick me like a stray.
Tell me I'm an angel,
Take this to my grave.

My Chemical Romance - House of Wolves



- Maya... perché non vai a dormire?
- Non ho sonno.

Pausa.

- Ti ho già detto che non faremo niente senza prima avvisarti.

Altra pausa. Probabilmente ha sollevato lo sguardo verso di lui, per potersi accertare della sua sincerità.
Ma non si fida.

- Ho detto che non ho sonno.
- E' un assassino, Maya.

Stavolta Mohinder è scocciato, come se si trovasse davanti una squilibrata.

- Anch'io.
- E' diverso.
- No... sai che non fa alcuna differenza.
- Non è vero.
- Dio non fa distinzioni tra chi uccide volontariamente o involontariamente. Sai quante volte è successo, Mohinder? Ne hai una minima idea?
- Non intendevo...
- Probabilmente sono molti di più quelli che ho ucciso io!
- Ma tu non volevi!

Silenzio.


*

Sì che voleva.

*

Passi concitati e nervosi, gesti rapidi e imprecisi. Sgrana gli occhi, ritrovandosi a fissare il soffitto pieno di crepe. Forse l'hanno messo in una cantina - non ha mai notato quei deprimenti particolari. Se non altro la stanza non gli gira più attorno come impazzita, e quell'odore...

- Che stai facendo?

La domanda gli esce naturale, come se la sua presenza in quella stanza fosse scontata.

- Credono di poterti uccidere senza che me ne accorga. Ma si sbagliano di grosso...

Ucciderlo.
Da quando Mohinder deve chiedere il permesso di qualcuno per ucciderlo?
Il pensiero lo fa ridere. E' un'infantile presunzione quella di avere la situazione in pugno.
Non ha alcun diritto su di lui, non ce l'ha mai avuto.
Reclamare qualcosa... pretendere un pezzo della sua vita... ridicolo. Semplicemente e innegabilmente ridicolo.
Vorrebbe dirle qualcosa, prenderla in giro, schernirla per quell'assurda aspettativa, ma lei si siede di fianco al letto, gli afferra una mano e la stringe con entrambe le sue.

- Non è troppo tardi, Gabriel.

E ne è convinta.
E' paralizzato da quell'affermazione apparentemente priva di senso.

- Vattene, Maya.
- No, non voglio.

Non vuole.

- Non mi interessa cos'è che vuoi... o non vuoi.
- Sì, invece.

Lo sta contraddicendo. Alla cieca. Ha bisogno di farlo. Per che cosa poi?

- Maya...
- Sei rimasto solo tu...

Solo.

- Solo tu, Gabriel.

Solo lui. Le ha portato via l'unico appiglio che aveva. Suo fratello. Gliel'ha strappato via per poterla avere completamente nelle sue mani, per avere il pieno possesso di lei, della sua mente, della sua abilità.

- Sei sola. Così come lo sono io. Vattene, non mi interessa.
- Lo so che non lo pensi...
- Smettila! Smettila...

E quello che segue è un silenzio insopportabile. Non l'ha mai trovata fastidiosa quell'assenza di suono, anzi, gli è sempre risultata necessaria, ma non adesso.
Non quando l'equilibrio della sua vita sembra precariamente sospeso su un filo teso a mezz'aria.

- Gabriel...
- Non mi chiamo Gabriel.

Lo ignora, non ha intenzione di assecondarlo.

- Gabriel, davvero non...
- Non mi chiamo Gabriel!

Stavolta la sua voce è tagliente, frustrata, roca, come di urlo represso.
Tenta di strattonare via la mano dalla stretta di quelle di lei. Sente la pelle bruciargli, senza alcun senso, scottato da quel contatto al quale non è abituato.

- Ti prego.

Ha di nuovo cambiato tono di voce. Lo sta supplicando.
Ancora.

- Il perdono non esiste, Maya. Il perdono è solo per i deboli e gli stupidi.

Debole e stupida. Aggettivi che è così semplice affibbiarle.
Non risponde, non sa cosa dire, o non vuole dirgli niente. E pensa di aver colpito nel segno, di averla convinta, persuasa a lasciar perdere, quando in realtà un'insensata voce dentro di lui prega perché non lo faccia, perché insista, perché non lo abbandoni di nuovo a quel buio senza appigli, senza vie di fuga o salvezza.

- Perdona solo chi è abbastanza forte per farlo. Non accetta il perdono solo chi è abbastanza stupido per non vedere al di là del proprio naso.

E se prima era un sorriso ironico quello che voleva rivolgerle, adesso non c'è che un'ombra di amarezza sul suo volto.

- Tu lo sei abbastanza?

Tenta di provocarla, non può permettersi di mollare il colpo.
Deve controbattere, e deve farlo rapidamente. Ne ha abbastanza di partite perse per mancanza di accortezza e velocità.

- Lo sono. Ma tu no.

Sono occhi indagatori quelli che scrutano il viso di lei, quasi la volessero divorare, e far sparire nel niente, nella calura di una stanza immersa in una polverosa oscurità.

- Tu non sai niente di me.

Sta portando il discorso su altri livelli. Come può permettersi una sconosciuta di avanzare l'ipotesi di capirlo? Come?

- Nemmeno tu.

Ha ragione.

- Continuerò a fare quello che faccio.
- Puoi non farlo.
- No, non posso.

Ed è con tutte le forze che tenta di rimettersi seduto, improvvisamente animato da un nuovo folle entusiasmo.

- Mi è stata data questa preziosissima, irripetibile opportunità. Io non sono come tutti gli altri... nemmeno tu lo sei. Siamo speciali, Maya.

Alza la mano, senza nemmeno rendersene conto, fingendo di non avvertire quel cocente dolore al braccio martoriato dalle flebo, dagli aghi. Veleni che pretendono di spazzare via le sue abilità. Illusorie speranze di un dottore con ridicoli principi moralistici.

- Siamo assassini.

Bisbiglia, in un soffio che pare sfuggirle dalle labbra in un'orrida affermazione. Detesta sentire quella parola rimbombare nell'aria, palesarsi in tutto il suo devastante significato, ricordarle i crimini commessi senza concederle alcuna via di scampo.

Assassini.

- Siamo speciali.

Ribatte seccamente. Speciale. Lui è speciale. Non come tutti gli altri. Mai come gli altri. Mai.
E mentre lo dice, alza la mano per poterle accarezzare i lunghi capelli neri. La guarda, ma non la vede.

- Assassini, Gabriel. Siamo assassini.
- Perché non vuoi capire, Maya?
- Sei tu che non capisci.

Oh ma lui ha capito molto di più di quanto lei possa credere.
E' il suo battito cardiaco accelerato, la tachicardia di una nuova esaltante convinzione, che cresce e gli fiorisce in petto. Speciali, come aveva potuto dimenticarlo? Come?

- No...

Lo sta fissando, scruta in fondo ai suoi occhi nel disperato tentativo di trovarci qualcosa di diverso da follia o manie di grandezza. Forse un barlume di sincerità, un accenno di umanità ormai andata perduta in un lento, sanguinoso stillicidio.

- Gabriel...

Un altro inospportabile richiamo a qualcuno che non esiste, una presenza evanescente.
Ed è rabbia quella che gli cresce violentemente in petto, risalendogli lungo lo stomaco e facendogli bruciare le vene.
Serra istantaneamente la presa sul viso di lei, senza curarsi di quanta forza ci mette. Vuole solo farle male, farle capire come stanno realmente le cose, mostrarle la differenza che c'è tra lui e un semplice, dozzinale assassino.
La sente trattenere il respiro, la vede sgranare quei grandi occhi neri in un'espressione sospesa a metà tra lo spaventato e il sorpreso.

- Mi stai facendo male.

Non le risponde.

- Gabriel, mi stai facendo male.

Si lamenta, vuole convincerlo, farlo ragionare, dimostrargli che c'è ancora un essere umano da qualche parte dentro di lui.

- Me lo prenderò tutto... fino all'ultima goccia, Maya. L'ho detto a tuo fratello, ma lui non mi capiva.
- Che stai... ?

La sente fremere sotto la sua debole presa. Perché non si libera?

- Gliel'ho detto che vi avrei uccisi entrambi.
- L'hai già fatto.

L'ha già fatto. E' vero. Ha anche avuto la leggerezza di permettere a Mohinder di riportarla in vita dopo che le aveva piantato quel proiettile in petto.
Detesta sentirsi dire cosa dovrebbe e non dovrebbe fare.

- Ho solo commesso un errore.
- Mi ha già uccisa, Gabriel. Nemmeno te ne rendi conto.
- SEI TU!

Urla. Sta perdendo la pazienza.

- Sei tu che non capisci!

Preme le unghie nella guancia di lei, provando un irresistibile bisogno di farle male.

Male.

E riesce di nuovo a sentirlo, il suo cuore battere furiosamente in quel petto violato.
Smette di respirare, avverte l'aria tendersi fino all'inverosimile, rumori lontani, voci concitate, passi rapidi, urla -

Sbatte violentemente la porta, uno sparo improvviso fende il silenzio e lo infrange di colpo.

- Allontanati.

E' il perentorio ordine di Mohinder che risuona per la stanza. Talmente perentorio da risultare quasi ridicolo, con quell'accento stentato e la continua aria spaesata negli occhi, in totale contrapposizione con l'immagine che vorrebbe dare.

- Mohinder, no!
- Maya, sta' zitta!

Resta in silenzio, senza mollarla, infastidito da quella frase pronunciata con voce altrui.

- Allontanati, Sylar. Lasciala andare.
- Perché altrimenti?

Solleva lo sguardo oltre le spalle di Maya, incrociando quello del dottor Suresh. E gli sembra di vedere il pugno tremare, stentamente stretto attorno al calcio dell'automatica con cui lo sta minacciando.

- Ti uccido.

Scoppia a ridere. E' più forte di lui.

- Già... prima o poi ti andrà bene. Tentar non nuoce, dopotutto, dottor Suresh.
- Gabriel, per favore...

Carica la pistola. Un clic che risuona innaturalmente amplificato.

- E' il mio ultimo avvertimento.
- Sai che non è vero.
- Smettila di scherzare.
- Non lo sto facendo.
- Mohinder, ti prego!

La lascia andare. Non gli interessa.

- Mi ucciderai così, dottor Suresh! Un infermo che non ha possibilità di difendersi.

Ride ancora, innaturalmente.

- Così vilmente, come sei sempre vissuto.
- Non mi fai paura.
- Non ho intenzione di fartene. Uccidimi.
- Non mi tentare.

Gli sorride ampiamente, invitandolo ad agire.

- Tutte parole e niente fatti, il povero... dottor Suresh.

E il suo braccio si tende, le dita si stringono attorno al grilletto, lo solleticano.

- Non vali nemmeno la metà di quanto valesse tuo padre. Non sei degno di portare il suo nome.
- Adesso basta.
- Sì, basta.

E il sorriso non cade quando l'ennesimo sparo infrange il silenzio.
La traiettoria è precisa, la parabola perfetta, il bersaglio immobile, pronto per essere colpito.

Nessuna variabile da considerare.

*

O forse sì.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Finisce qua :) Scusate per il ritardo, ma non ero molto sicura del finale. Rileggendolo, mi piace, e chissà se non avrà pure uno continuo. Chissà.


Tell Me I'm Angel, Take This To My Grave.
Parte Quarta

And say,
What I wanna say
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Take this to my grave.
Tell me I'm a bad man,
Kick me like a stray.
Tell me I'm an angel,
Take this to my grave.

My Chemical Romance - House of Wolves




E il sorriso non cade quando l'ennesimo sparo infrange il silenzio.
La traiettoria è precisa, la parabola perfetta, il bersaglio immobile, pronto per essere colpito.

Nessuna variabile da considerare.


*

O forse sì.

*

Sente solo sangue caldo colargli addosso, macchiargli la maglia bianca.
Ma non sente alcun dolore, solo un grande, enorme vuoto all'altezza del petto.

Non gli passa davanti tutta la sua vita.
Semplicemente perché non sta morendo.

- No...

E' la voce di Mohinder che infrange nuovamente il silenzio.

- No, maledizione, no!

Impreca, ma Sylar non capisce perché, o forse non lo ascolta, non gli sta prestando realmente attenzione.

Si ritrova invece ad osservare due grandi occhi neri, spalancati, in fissa dei suoi.

- Maya...

Mormora soltanto, aspettandosi di vederla rialzarsi e rimettersi in piedi.
Ma non si muove, la sente solo tremare sotto le sue mani.

Le si è gettata addosso.

Nessuna variabile da considerare.

- Maya.

Ripete, con una strana nota della voce, fastidio o impazienza, questo non lo sa.

L'unica cosa di cui è totalmente convinto è che macchiarsi le mani del suo sangue non è come se l'era immaginato.
E' caldo, e sembra bruciarlo, ustionarlo -

Ma non è stato lui a far fuoco stavolta.
Non è stato lui a decidere della sua vita in un attimo di rabbia.

Sgrana gli occhi quando si rende conto che il battito del cuore di lei è sempre più flebile e lento, come un'eco lontana che va via via affievolendosi.

- I-io...

Un tonfo improvviso: Mohinder ha lasciato cadere la pistola a terra.

- L'hai uccisa, Suresh.

E l'accusa suona disgustata, terrorizzata, impanicata e non ammette repliche.

- Non l'ho fatto apposta.

La stringe tra le braccia, tentando di tenerla su, ignorando il sangue che gli impregna i vestiti e le mani e macchia le lenzuola chiare.

- L'HAI UCCISA!

Urla.
E non pensa che si è gettata là nel mezzo solo per non veder lui in quelle condizioni.

Non l'avrebbe sopportato, forse.
O semplicemente non ci ha pensato, e ha fatto la prima cosa che le è passata nella testa.

- Davvero non...
- Sta' zitto, Suresh!

Non smette di fissare quegli occhi vuoti, che tentano disperatamente di guardarlo e vederlo sul serio.

- Gabriel...

Bisbiglia con un esile soffio di voce.

Trema di colpo, e crede che sia lei, non capisce che in realtà sono le sue mani a non voler restare ferme.

- Maya, non... non parlare.
- Mi d-dispiace...
- Lo so.

Vorrebbe dirle qualcos'altro, ma non trova le parole.
Sente solo un'orrenda sensazione all'altezza del cuore, e una rabbia estranea ribollirgli furiosamente nelle vene, togliendogli per un attimo il respiro.

- Il sangue della cheerleader, Suresh.
- Non ce n'è... non ne abbiamo più.

Ma non alza lo sguardo per guardarlo, è troppo occupato a cogliere qualsiasi parola o scintillio negli occhi di Maya, che sembra farsi fredda di colpo.

Non vuole che muoia.

- Non...
- Sssh.

Per la prima volta ha paura. Una paura del diavolo.
Paura di sentirle dire qualcosa che non sarebbe capace di gestire.

Qualcosa con cui né Sylar, né Gabriel, potrebbero mai convivere.

Adam.

E' un pensiero che lo colpisce improvvisamente, senza alcun preavviso.
Serra improvvisamente la presa su di lei, tirandola su e scendendo giù dal letto.
Rabbrividisce al contatto dei piedi scalzi col pavimento freddo.

Non è sicuro che le gambe siano in grado di sorreggerlo, ed è convinto di non poterla portare da solo.

Deve portarla da Adam.

- Dove stai andando? Dobbiamo portarla in ospedale.
- Sta morendo.
- Lì riusciranno ad aiut-
- No, taci e basta.

Deve andarsene da lì. O sarà troppo tardi.

Troppo tardi.

Le passa le braccia sotto alle ginocchia, tirandola su a stento, sentendo le ginocchia tremargli incontrollabilmente sotto al peso di lei.

- Lasciami passare.

Esita.

- Non posso, lo sai.
- Credi che mi interessi?

Sa di poter giocare sul senso di colpa. Sa com'è fatto, sa come funziona la sua logica.

- Non posso lasciarti andare.

Si tortura le dita, non sa cosa fare.

- Non mi lasci altra scelta, Dr. Suresh.

*

Non credeva che sarebbe stato così facile.

*

- Non posso fare miracoli.

Vorrebbe ridergli in faccia.

- Tu vivi in eterno.

Ribatte senza voltarsi per poterlo guardare. E allora è Adam a ridere.

- Tendo a dimenticarlo.

Silenzio.

- Potevi almeno vestirti.

Commenta di nuovo.
Non si è ancora abituato alle sue idiozie totalmente fuori luogo.

- Più tardi. Prima voglio assicurarmi che tu non sia completamente inutile.
- Ne abbiamo già parlato, Sylar.

Lo sta prendendo in giro, come sempre.
E come sempre, Sylar finisce per ignorarlo.

- Quando si sarà ripresa dovremmo riportarla da qualche parte.

Mormora, più a se stesso che all'altro.

- Credevo volessi tenerla.

Borbotta in risposta, come se stesse parlando di un cane.

No, non è possibile.

- Non posso.
- Aaah, e chi l'ha detto?
- Sta' zitto, Monroe.
- Sei crudele.
- Sta' zitto e basta.

Non lo sente ribattere, si è già stufato.
Ha già imparato a conoscerlo. Non è un tipo poi così interessante.

- Si riprenderà. Dalle solo un po' di tempo.

*

Solo un po' di tempo.

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