.:Not Alone in the Dark:.

di Sixter_the_Vampire
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Not alone in the Dark

Not alone in the Dark

Seven girls. One occasion.

Uhm…visto che ultimamente le mie ficcy stanno diventando scadenti (come dimostrano le mancanze assolute di recensioni o_o” domanda: ma scrivo davvero così male?), ho deciso di tornare al mio solito genere, cioè l’AU, l’Another Universe, visto che la mia prima fic di questo genere ha riscosso così tanto successo (^^”””,mancanza di originalità -____-)…Stavolta le protagonisti non sono Naruto & Co., ma le Rozen Maiden…sorpresi eh?

E invece sì e chi avesse qualcosa in contrario parli ora o taccia per sempre…gli chiuderò la bocca in ogni caso con il mio temperamento sadico °w° skeeeerzo…

Oh beh, diciamo che le nostre 7 bambole sono diventate 7 bellissime fanciulle di 17 anni, nate una a distanza di un mese dall’altra, lo stesso giorno…coincidenza? Chissà, se ci mettiamo anche un treno in comune e la passione per la musica che ne viene fuori secondo voi?

Recensite, ho davvero bisogno di tirarmi su il morale e capire che non scrivo così male da far rivoltare le budella a chi legge T____T…

Una piuma nera…

Tenuta in mano da Suigintou, rigirata tra le dita pallide, osservata nei suoi riflessi blu e viola che si sprigionavano al contatto con il sole.

Come restii a venir fuori, restii a mostrare la loro bellezza, chiusi in un cuore nero inchiostro.

Un raggio di sole piovve sul suo viso, illuminando per un momento la carnagione lattea, gli occhi di un viola intenso incorniciati da cigli lunghe e nere, in contrasto con la chioma di un argento ultraterreno, fino a metà schiena.

L’aveva trovata per terra, vicino alla vecchia stazione e se ne era innamorata perdutamente, lei, dal cuore di ghiaccio. Perché la rispecchiava, la faceva sentire come se non fosse sola al mondo, come se non fosse l’unica ad avere quel carattere che allontanava ogni cosa. Silenzioso, schivo, profondamente sadico.

“Sei come me. Sei la mia gemella. Ora siamo in tre.”

Pensò, accarezzando la custodia posta sopra le sue gambe sottili, fasciate da pantaloni neri in modo non troppo aderente, non troppo volgare, non troppo nulla.

Dentro c’era la sua vita, la sua unica speranza di incontrare il suo unico vero amore.

Una chitarra, nera come la pece, dalle decorazioni e dai bordi color argento che ricordavano tanto la piuma che teneva così stretta in mano, così come le corde, tese, come si sentiva lei in quel momento.

O forse sempre?

“Ho deciso. Ti chiamerai Meimei.”

Una gabbietta dalle sbarre dorate…

Posta vicino ad una ragazza dai boccoli verdi che parlava con il suo contenuto: un canarino tutto giallo dai liquidi occhi neri, che sembrava capire ciò che sentiva.

- Hai capito Pichikato (lett. Pizzicato, un modo di suonare il violino)? Secondo me, se Kanaria imparasse a suonare quel brano, la prenderebbero sicuro, kashira (lett. Chissà)! -

Questo era il nome della fanciulla, dalla strana abitudine di parlare in terza persona e di concludere ogni frase con “Chissà”. Gli occhi color dell’erba, perennemente spalancati in un’espressione vaga, le davano un’aria eccentrica, a completare l’esempio dei vestiti gialli e arancio che portava con tanta disinvoltura, a scapito degli sguardi incuriositi della gente.

Anche ora, mentre cianciava allegramente con il suo canarino, le persone vicino a lei le gettavano uno sguardo e scuotevano la testa in segno di disapprovazione: abituati alla loro vita normale, alle loro famiglie e lavori normali, non vedevano altro che insanità mentale.

E se alcuni, più attenti, notavano anche la custodia di pelle marrone vecchia e sbrecciata a fianco a lei, non pensavano che la ragazza potesse suonare il violino di mogano in essa contenuto con abilità, che nella sua musica ci fosse più della stranezza che dimostrava.

Nessuno però faceva mai caso a questo.

Un cammeo di giada con un pianoforte…

Toccato quasi ossessivamente dalle lunghe dita da pianista di una ragazza dai capelli castani, lunghi fino alle ginocchia, mentre parlava con un tono acuto della voce con la sua vicina, gli stranissimi occhi, uno verde e l’altro rosa, che mandavano lampi mentre descriveva cose che non esistevano.

- Oh Souseiseki, secondo me l’animo di ogni persona è rappresentato da un albero che ne illustra lo stato fisico e mentale, desu! Immagina una persona molto aperta e sensibile…i rami che si estendono per tutta la loro lunghezza, come per abbracciare il mondo, segnati da cicatrici inferte dal troppo badare agli altri e di conseguenza averne ricevuto gli stessi dolori e dispiaceri…ma anche pieno dei fiori della consapevolezza di aver fatto del bene…ti immagini che meraviglia, desu? -

La lunga gonna verde scuro di velluto, accompagnata da un golfino dello stesso colore bordato di pizzo nero, le dava un aspetto da signora, mentre il suo carattere era quello di una bambina: immersa nelle sue fantasie per rifugiarsi da un mondo che non le piaceva, con le sue guerre, le sue durezze e asperità che non voleva affrontare.

Solo suonando il pianoforte poteva esprimere silenziosamente ciò che sognava, l’utopia che desiderava. Come un sogno di giada che non si spezza mai. Jade Dream, questo era il nome di quel ciondolo che portava sempre con sé, ricordandole che il suo pianoforte era sempre lì, con lei, Suiseiseki.

Un anello di lapislazzuli con due bacchette incrociate…

Osservato da un occhio verde e uno rosa, nel tentativo di escludere dalla mente le chiacchiere senza senso di una lingua troppo lunga.

“Dovrebbe essere la mia sorella maggiore. Sembra una bimbetta con il corpo troppo cresciuto”

Pensò Souseiseki, i corti capelli dello stesso colore della sorella che le incorniciavano il volto perennemente serio e gli occhi dagli stessi colori, ma invertiti.

Erano gemelle, anche se sia per l’aspetto che per il carattere erano completamente opposte: l’una persa nelle sue fantasie, l’altra sempre con i piedi per terra.

Se per Suiseiseki la realtà era un optional, per Souseiseki era invece il pane quotidiano, riteneva che era assurdo poterle e doverle sfuggire poiché ci sarà sempre, nelle sue crudezze.

Gli abiti sportivi, dal taglio maschile, la facevano sembrare un ragazzo in contrasto con l’aspetto molto femminile della sorella, lei preferiva così: “Se devi affrontare la realtà, fallo almeno stando comoda”, si ripeteva continuamente, per darsi coraggio e per ignorare i commenti della gente sul fatto che dovesse essere la sua sorella maggiore ad occuparsi della baracca, non lei.

L’unica cosa che aveva in comune con la sorella: la passione per la musica. La sua batteria, Lempicka, a casa, era l’unico modo per distrarsi da tutti i problemi che le riservava la vita, di cui la sorella era felicemente ignara, lei, persa nel suo mondo.

Un ciondolo portafoto d’oro…

Pendeva sul petto fasciato da una camicetta bianca dai bottoni d’avorio, senza una piega o un filo tirato.

Occhi azzurri scrutavano un cielo dello stesso colore, sembrava che a forza di fissarlo, esso si fosse riversato nell’iride.

Una chioma bionda, dai riflessi color miele che splendevano in una cascata d’oro, accarezzati dal sole, legati da nastri rosso cupo in due code che finivano in eleganti boccoli.

“Quanto vorrei una tazza di tè…”

Pensò Shinku, annoiata dal viaggio sempre troppo lungo, nei suoi venti minuti di treno…le parevano sempre un’eternità, a lei, abituata ad avere troppo, troppo in fretta.

Le mani posate in grembo con una grazia quasi irreale facevano capire il suo alto lignaggio, che non esitava a sbandierare in ogni occasione, come biglietto del treno o per avere l’edizione rara della musica di Vivaldi che tanto amava al negozio dei CD…ovviamente quello nei quartieri alti.

Non riusciva ancora a capire perché era dovuta salire su quel treno, in quella stazione vecchia e decrepita, senza nemmeno Jun a tenerle compagnia.

“Jun…razza di stupido…solo per il giudizio degli altri ti sei chiuso in camera tua…razza di cretino…”

Quel fenomeno, che coinvolgeva il 20% degli adolescenti di sesso maschile in tutto il Giappone, aveva un nome “hikikomori” ma Shinku lo chiamava semplicemente “stupidaggine”, tutta una questione di testa diceva sempre lei.

Due fattori avevano spinto Jun Sakurada ad entrare nella percentuale: uno, il fallimento dell’esame per entrare in una scuola privata, due, la scoperta della sua passione nel disegnare degli abiti femminili sia a casa che a scuola.

“Tutta questione di testa…”

Una fragola rossa…

Cucita sulla salopette rosa di una ragazzina dai boccoli color miele, tenuti fermi da nastri color confetto, e gli innocenti occhi verdi, che canticchiava tra sé una canzone per bambini.

Hinaichigo, l’incarnazione stessa dell’infantilità, sembrava non rendersi conto del mondo che le passava intorno, seduta a gambe raccolte sul sedile vicino al finestrino, intenta ad osservare il colore della custodia rosa e rigida, sulla salopette e le calze a righe verdi e rosse, contenente il suo basso rosa con l’immagine di Hello Kitty sopra.

Il suo abbigliamento, così strano per una ragazzina di quasi 16 anni, rispecchiava il suo mondo, con le sue stampe allegre, i suoi colori vivaci e un sole che splendeva sempre, in ogni caso, voltato verso l’aspetto positivo delle cose.

- Lallala…lallala…-

Canticchiava lei, finchè una signora vicino a lei, spazientita, le impose di smettere, facendo assumere al visetto rotondo un’espressione arrabbiata, identica a quella di un bambino di cinque anni quando gli rubano il suo giocattolo preferito ed efficace quanto essa, cioè nulla.

- Assurdo come i giovani di oggi non crescano mai…-

Sospirò la donna, intenta a parlare con la sua vicina.

Beh? Piaciuta? Vi fa schifo? Siete corsi in bagno a vomitare?

Ditemelo per favore, così o continuo o cancello XD

Ho provato a metterci tutta me stessa qui…mi sono successe tante cose ultimamente e non sto molto bene, sul lato psicologico, perciò vorrei almeno che ci badaste…speriamo ^^

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Ho cambiato colore O_O”” Mi sa che farò così, a ogni capitolo un colore diverso per il mio angolino privato *___*

Ho cambiato colore O_O”” Mi sa che farò così, a ogni capitolo un colore diverso per il mio angolino privato *___*

Santo cielo, quando ho visto 3 e dico 3 recensioni e la mia storia tra i preferiti di uchiha_girl sono andata in iperventilazione!!!!

Grazie, grazie a tutti davvero, mi avete ridato fiducia in me stessa! Adesso scriverò con piacere e convinzione, anche se non aggiornerò molto spesso fino all’8 di giugno! Questa scuolaccia mi sta facendo letteralmente impazzire -_________-

 

Nuvole. Una cortina di nuvole che non promettevano altro che pioggia.

“E pensare che prima c’era un così bel tempo…”

Jun Sakurada guardò annoiato lo scorcio di cielo che si vedeva dalla finestra quasi completamente sprangata della sua camera.

Come una tartaruga, si era rinchiuso nel suo guscio, rifiutandosi di uscire, rifiutandosi di avere qualsiasi rapporto sociale.

“Dannati vestiti. Dannati voti. Dannato mondo di merda.”

Shinku, la sua ragazza, aveva troncato con lui, dandogli dell’idiota, del codardo. In una parola lo aveva pesantemente insultato e poi non gli aveva più parlato, nemmeno quando lui la tempestava di SMS per chiederle di perdonarlo, che non era colpa sua, di aiutarlo.

Aveva risposto solo una volta. E gli aveva detto che era un cretino doppio se pensava che tutto il mondo girasse attorno a lui, che non fosse mai colpa sua.

Sospirò, tenendo la penna in equilibrio sul labbro superiore, osservando il soffitto da dietro gli occhiali spessi bordati di nero, i capelli dello stesso colore che cadevano in ciocche spente sul viso reso quasi spettrale dalla tremolante luce proveniente dallo schermo del computer.

“Bah, cavoli suoi.”

Si rinfrancò, riprendendo a chattare sulla rete, come faceva sempre. Almeno, lo faceva se non era impegnato a ordinare roba su aste online, che poi restituiva per non doverle pagare: adorava la magia occulta, la stregoneria, tutto ciò che era complicato e misterioso.

Perché se no avrebbe scelto una ragazza come Shinku?

Bella, attraente, andava bene a scuola, anche se il suo temperamento freddo, diciamo pure da snob, teneva tutti alla larga.

Finchè non erano capitati vicini di banco.

Gli era sembrato quasi un bellissimo sogno, avere la sua musa ad appena pochi centimetri di distanza, i capelli color dell’oro raccolti, gli occhi azzurri che lo squadravano dall’alto in basso, soffermandosi sugli occhiali, sulla maglietta sformata, sui jeans fuori moda e sulle scarpe da tennis mezze distrutte.

- Chiudi quella bocca, sembri un pesce lesso -

Erano state queste le sue prime parole per lui, il classico tipo che veniva a scuola solo per scaldare la sedia, che passava il tempo a lanciare areoplanini di carta sulla testa dei compagni, che veniva sempre mandato dal preside.

Fino al giorno in cui si era presentata a casa sua.

Così, senza dire nulla, senza avvertire, come era al suo solito, la camicetta bianca, senza un filo tirato, la gonna blu e un paio di mocassini, il tutto aveva l’aria di essere costato una barca di soldi.

 

Alle sue spalle, una limousine, con un lacchè fermo lì vicino, in divisa nera e dorata.

E lui era rimasto lì, a bocca aperta per la seconda volta, senza parole, mentre lei gli porgeva il quaderno di latino, dicendo:

- L’ho ritrovato per sbaglio nella mia cartella. Vista la calligrafia, deve essere tuo –

Aveva aggiunto con una punta di disprezzo nella voce: Jun non era famoso per la sua scrittura.

- Ehm…entra…Nori? Ci puoi preparare ehm…del…del..-

Aveva urlato, rivolto alla sorella che in quel momento stava lavorando in cucina, preparando la cena, ma tentennò quando non sapeva che cosa volesse. In realtà non sapeva nulla di lei, se non il suo nome.

- Tè con il latte prego –

- Giusto…latte? –

Lei lo aveva guardato interrogativa e aveva risposto, seccamente:

- E’ un’abitudine inglese. James, ti chiamo quando torno. -

Il lacchè si inchinò, per poi sparire dentro la macchina, che partì rombando.

- Ah…ok…allora entri? -

Jun aveva rimpianto di non essersi vestito più decentemente: una T-Shirt dei Metallica scolorita con sopra una polo a maniche lunghe che aveva visto tempi migliori e un paio di pantaloni da skater pieni di strappi.

- Jun-kun, chi è la tua amica? Una tua compagna di classe? Piacere, Nori Sakurada. -

La sorella di Jun, i capelli biondo cenere, legati in due codini bassi, e gli occhiali spessi cerchiati d’acciaio era sopraggiunta con in mano un mestolo e indossando un grembiule inamidato alla bell’e meglio.

Alla vista del sopracciglio alzato di Shinku, Jun si era affrettato a rispondere affrettatamente e a rispedirla in cucina, spostandosi per far passare la ragazza, che entrò in casa con passo spedito, scrutando l’interno.

- Vieni…ehm…questo è il salotto…se vuoi ti puoi sedere qui…io…io vado a mettere a di sopra il quaderno…e…grazie ancora…-

- Di nulla. –

Quella semplice risposta, seppur fredda, gli aveva riscaldato il cuore, come un bagno caldo, facendogli fare gli scalini due a due, per far prima, per vedere il prima possibile il suo viso ancora una volta.

Aveva abbandonato il quaderno su un mobiletto, senza entrare in camera sua , e ridisceso le scale il più velocemente possibile, trovando Shinku che sorbiva il tè in silenzio, ascoltando Nori che le chiedeva come andasse il fratellino a scuola.

- Non mi dice mai nulla…vorrei tanto sapere come…-

Poi, intravedendo Jun, aveva ringraziato educatamente per la compagnia ed era ritornata velocemente in cucina, con le tazze in mano, sorridendo sotto i baffi.

Senza dire una parola, Shinku si era alzata e si era diretta verso Jun, fermandosi a pochi centimetri da lui, con aria risoluta.

Lui era arrossito fino alla radice dei capelli, non era pratico con le ragazze, non sapeva neppure da dove cominciare!

- Ho deciso che d’ora in poi ti aiuterò a studiare. Domani alle quattro in punto. -

Lui era rimasto di sasso.

Poi si era voltata, aveva ringraziato per il tè ed era uscita, trovando la limousine ad aspettarla.

L’unica cosa che aveva pensato Jun in quel momento era stata:

“Ma come ha fatto ad arrivare senza nemmeno essere chiamata, quella macchina?”

Da allora, ogni giorno tranne la domenica, Shinku, puntuale come un orologio, suonava alla porta di casa Sakurada, una ventiquattrore in mano.

Poi, dalle quattro alle sette, la ragazza dava una mano a Jun nello studio, gli correggeva gli errori, gli migliorava la calligrafia, gli dava approfondimenti, il tutto con un’inflessibilità e una severità invidiabili.

Piano piano, i voti di Jun migliorarono, non era più l’ultimo della classe, non bigiava più la scuola, rispondeva alle domande quando lo chiamavano interrogato.

Quando aveva chiese a Shinku il perché lo aiutava, lei gli aveva risposto, come se fosse una cosa ovvia:

- Mi dà fastidio avere un compagno di banco che non sa nemmeno la prima declinazione. -

 

Ma quei tempi erano spariti. Come un bel sogno al risveglio.

All’esame per entrare al liceo vero e proprio, Jun era stato bocciato. Non perché non sapesse le cose, ma perché non si era presentato.

Infatti, era dall’altro capo della città, accanto agli occhiali rotti, inginocchiato nella pioggia battente, diversi fogli di carta che si bagnavano e si distruggevano a causa dell’acqua.

E piangeva.

Piangeva per i sogni distrutti, piangeva per la reputazione, a poco a poco conquistata con tanta fatica e tanto impegno, distrutta, piangeva per l’esame, distrutto.

Lacrime che andavano a confondersi con la pioggia, con un cielo che sembrava condividere i suoi sentimenti, piangendo le sue lacrime da scuri occhi nuvolosi.

L’avevano scoperto, l’avevano picchiato. Avevano scoperto il suo segreto, custodito gelosamente per tanti e lunghi anni.

I suoi disegni. Disegni che ritraevano vestiti femminili, modelle che indossavano sue creazioni, disinvolte e impossibili. Il lavoro di anni distrutto.

Era andato, con loro, a presentarli ad una casa stilistica, visto che l’edificio si trovava a pochi passi dalla scuola, ma all’andata, Hokuragi, il bullo della scuola, con la sua cricca, lo aveva malmenato e gli aveva strappato la cartellina con dentro il suo segreto.

E aveva riso. Riso a più non posso, a crepapelle, tenendosi la pancia, asciugandosi gli occhi. Di lui.

Frocetto l’avevano chiamato. Un frocetto che se la fa con la bella della scuola e che disegna abitini striminziti come Dolce e Gabbana. Sarai frocio come loro, gli avevano detto, l’avevano urlato, l’avevano reso pubblico insieme all’insegnante, l’avevano sparso ai quattro venti,.

E quei quattro venti gli avevano portato via la voglia di vivere.

 

Uuuuf…e anche questo capitolo è fatto!

Scusate il perenne ritardo, ma è davvero un problema studiare e scrivere allo stesso tempo e nella stessa giornata! A proposito, domani credo di avere anche un tema di italiano, perfetto -___-

Che ne pensate? Questo capitolo è ancora una descrizione della vita e della personalità di uno dei protagonisti, dal prossimo mi distaccherò sicuramente!!

Uhm...il nome del bullo è inventato sul momento, la storia è leggermente differente, anche se spero di non aver sbagliato nulla, in tal caso perdonatemi ma seguo solamente l’anime perché il manga non si trova dove vivo…e scusate anche le parolacce, mi sono scappate XD

Hidan: Per forza, su Marte non esistono i manga, stupida oca! Io: Perché non provi a venire a trovarmi, così finisci decompressurizzato, che sarebbe anche meglio per tutti U____U

 

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Uhm…oggi darkosa *___* che bello, il 4 a scuola ho un ballo anni 30 e mi presenterò vestita da ballerina di charlestone yuppi

Uhm…oggi darkosa *___* che bello, il 4 a scuola ho un ballo anni 30 e mi presenterò vestita da ballerina di charlestone yuppi!

Passato il momento di emozione, vi chiedo immensamente scusa per il ritardo estremo ma ho avuto due settimane con una verifica o un’interrogazione importante al giorno e ho un debito da recuperare -______-

Ecco cosa mi sono dimenticata di dire la volta scorsa…Kirakishou in questa fiction avrà un ruolo marginale, perché non sapevo né che strumento assegnarle né il carattere…e non potevo farla restare muta XD Ma in compenso Barasuishou…Deidara: Zitta, non fare spoiler! Io: Oh caspio (esclamazione che dico spesso e non si sa da che mondo provenga o___O), hai ragione! Se non ci fossi tu…

Coooomunque, è giunta ora dell’angolino delle recensioni!!

candy candy: Molte grazie, hai ragione, sono stata per diversi anni in un club anti bullismo…e diciamo che ne ho anche picchiato qualcuno alle medie, ho un temperamento da testa calda che quasi sempre mi fa reagire così… ^^

uchiha_girl: Grazie mille, fai con calma ^^

Shinku: Grazie davvero, in effetti è l’unica coppia esistente in questo manga a parte le yuri XDXD

A_chan: Grazie *__* il tuo nick per caso è preso dal film “Paprika”? Perché lo a-d-o-r-o!!! In effetti anche io vedevo bene Souseiseki alla batteria, visto il suo comportamento da maschiaccio mi sembrava adatto uno strumento da maschiaccio U___U e dovrebbe anche essermi grata visto che è lo strumento preferito di mio marito, nevvero Dedi?

 

- Stazione di Okinawa -

Suigintou sentì un tuffo al cuore, mentre afferrava la sua chitarra e si precipitava fuori dalle porte prima che si chiudessero. Non poteva permettersi un altro biglietto del treno.

Mentre guardava nella tasca esterna della custodia del suo strumento, notò un’altra ragazza, più o meno della sua stessa età che camminava impettita, in un vestito rosso cupo, così scuro da sembrare sangoire. Di certo era molto, molto ricca, aveva visto quello stesso vestito nella vetrina di un negozio, una delle poche volte in cui era uscita alla luce del sole. Costava una cifra che non avrebbe potuto permettersi neppure in tutta la vita, eppure era lì, su di lei, con la sua aria snob.

Il suo cuore saltò un bel po’ di battiti quando si accorse che non c’era. Non c’era.

“Oh no. OH NO.”

Cercò freneticamente nella borsa, dentro lo scomparto della chitarra, dentro la cassa di risonanza di essa. Niente. Rien. Nada. Nothing.

“Porca puttana!”

Imprecò dentro di sé, quando sentì una mano toccarle la spalla.

Si girò di scatto e si accorse della stessa ragazza di prima che le porgeva quello che tanto aveva cercato: il foglietto dell’indirizzo dove si svolgeva il provino della sua vita.

I capelli biondi rilucevano come oro fuso sotto i gentili raggi del sole che parevano accarezzarli piano, i seri occhi azzurri, brillanti come zaffiri che la guardavano con un’espressione indecifrabile.

Afferrò il foglietto di colpo, brontolando un “grazie” mentre si rialzava e la fissava con uno sguardo seccato, detestava essere osservata in quel modo. Sentì già di odiarla. Si voltò e fece per andarsene, quando lei le chiese in tono calmo:

- Quel foglietto è l’indirizzo dello stabilimento radio dove si svolge il concorso per incontrare Rozen, vero? -

Si raggelò, la mano destra che stringeva allo spasmo il manico della custodia. Celò la sorpresa dietro una maschera indifferente e annuì.

- Farsi gli affari propri è diventato un optional per caso? -

Voleva apparire brusca e ci riuscì perfettamente; l’espressione della bionda si indurì, mentre le rispondeva:

- Anche la gentilezza a quanto pare. Ho ricevuto anche io l’invito, per questo l’ho riconosciuto. La carta profuma di rose. -

La sfrontatezza di Suigintou si incrinò sotto quell’affermazione, perciò si limitò a dire, per salvare la faccia:

- Di solito uno li legge i biglietti, non li annusa. Comunque grazie. Sei anche tu una fan del “Padre”? -

Il viso della ragazza addolcì leggermente, evidentemente aveva toccato il tasto giusto.

- Lo amo più della mia stessa vita. Darei qualsiasi cosa per incontrarlo. E a quanto pare anche tu, l’appellativo di “Padre” lo conosce solo chi è una vera e propria fan. Comunque mi chiamo Shinku. -

- Era un complimento? Suigintou. –

- Può darsi. Hai un bel nome: molto sciolto. –

- Anche il tuo non è male, ha un significato molto diretto. –

- E il tuo molto complicato. Facciamo la strada insieme? –

- D’accordo. Non vedo strumenti…che cosa suoni? –

Suigintou aveva fatto quella domanda di getto, senza pensarci. In teoria quella lì era una sua rivale, un ostacolo per il successo postosi davanti alla sua strada, ma non poteva fare a meno di provare curiosità verso di lei, e anche se non voleva ammetterlo, invidia.

- Suono unicamente la mia voce, anche se sono una discreta suonatrice di organo. -

- Oh. Io sono troppo ovvia. –

Shinku sorrise impercettibilmente, rispondendo:

- Invece no. Dentro quella custodia potrebbe esserci un basso o una chitarra. Elettrica o classica per di più. Sono io che sono troppo evidente. -

La ragazza rimase spiazzata dalla chiarezza cristallina di quell’affermazione così ovvia e non disse nulla per un buon pezzo di strada.

All’improvviso si ritrovò per terra, con addosso a lei una strana bambina troppo cresciuta, vestita di rosa e i capelli biondo miele che la fissava con un verde sguardo innocente.

- Tante scuse. Mi chiamo Hinaichigo e tu? –

 

AAAAAAAH, scusate il capitolo del cavolo, troppo breve e troppo stupido, ma dovevo postare. Mi sono appena resa conto che quasi nessuna frase dura più delle 6 o 7 parole.

Latino del cavolo -____- mi impedisce di formare frasi intelligibili…*rimane più spiazzata di Suigintou per la colta parola che ha appena pronunciato*.

Ehm…RECENSITEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE O VI SPACCO TUTTI XD scherzo ovviamente, potete anche sputarmi in un occhio per quel che vi riguarda ^^

 

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