Ho cambiato colore O_O”” Mi sa che farò così, a ogni
capitolo un colore diverso per il mio angolino privato *___*
Santo cielo, quando ho visto 3 e dico 3 recensioni e la
mia storia tra i preferiti di uchiha_girl
sono andata in iperventilazione!!!!
Grazie, grazie a tutti davvero, mi avete ridato fiducia
in me stessa! Adesso scriverò con piacere e convinzione, anche se non
aggiornerò molto spesso fino all’8 di giugno! Questa scuolaccia mi sta facendo
letteralmente impazzire -_________-
Nuvole. Una cortina di nuvole che non promettevano altro che pioggia.
“E pensare che prima c’era un così bel tempo…”
Jun Sakurada guardò annoiato lo scorcio di cielo che si vedeva dalla
finestra quasi completamente sprangata della sua camera.
Come una tartaruga, si era rinchiuso nel suo guscio, rifiutandosi di
uscire, rifiutandosi di avere qualsiasi rapporto sociale.
“Dannati vestiti. Dannati voti. Dannato mondo di merda.”
Shinku, la sua ragazza, aveva troncato con lui, dandogli dell’idiota, del
codardo. In una parola lo aveva pesantemente insultato e poi non gli aveva più
parlato, nemmeno quando lui la tempestava di SMS per chiederle di perdonarlo,
che non era colpa sua, di aiutarlo.
Aveva risposto solo una volta. E gli aveva detto che era un cretino doppio
se pensava che tutto il mondo girasse attorno a lui, che non fosse mai colpa
sua.
Sospirò, tenendo la penna in equilibrio sul labbro superiore, osservando il
soffitto da dietro gli occhiali spessi bordati di nero, i capelli dello stesso
colore che cadevano in ciocche spente sul viso reso quasi spettrale dalla
tremolante luce proveniente dallo schermo del computer.
“Bah, cavoli suoi.”
Si rinfrancò, riprendendo a chattare sulla rete, come faceva sempre.
Almeno, lo faceva se non era impegnato a ordinare roba su aste online, che poi
restituiva per non doverle pagare: adorava la magia occulta, la stregoneria,
tutto ciò che era complicato e misterioso.
Perché se no avrebbe scelto una ragazza come Shinku?
Bella, attraente, andava bene a scuola, anche se il suo temperamento
freddo, diciamo pure da snob, teneva tutti alla larga.
Finchè non erano capitati vicini di banco.
Gli era sembrato quasi un bellissimo sogno, avere la sua musa ad appena
pochi centimetri di distanza, i capelli color dell’oro raccolti, gli occhi
azzurri che lo squadravano dall’alto in basso, soffermandosi sugli occhiali,
sulla maglietta sformata, sui jeans fuori moda e sulle scarpe da tennis mezze
distrutte.
- Chiudi quella bocca, sembri un pesce lesso -
Erano state queste le sue prime parole per lui, il classico tipo che veniva
a scuola solo per scaldare la sedia, che passava il tempo a lanciare
areoplanini di carta sulla testa dei compagni, che veniva sempre mandato dal
preside.
Fino al giorno in cui si era presentata a casa sua.
Così, senza dire nulla, senza avvertire, come era al suo solito, la
camicetta bianca, senza un filo tirato, la gonna blu e un paio di mocassini, il
tutto aveva l’aria di essere costato una barca di soldi.
Alle sue spalle, una
limousine, con un lacchè fermo lì vicino, in divisa nera e dorata.
E lui era rimasto lì,
a bocca aperta per la seconda volta, senza parole, mentre lei gli porgeva il
quaderno di latino, dicendo:
- L’ho ritrovato per
sbaglio nella mia cartella. Vista la calligrafia, deve essere tuo –
Aveva aggiunto con una
punta di disprezzo nella voce: Jun non era famoso per la sua scrittura.
- Ehm…entra…Nori? Ci
puoi preparare ehm…del…del..-
Aveva urlato, rivolto
alla sorella che in quel momento stava lavorando in cucina, preparando la cena,
ma tentennò quando non sapeva che cosa volesse. In realtà non sapeva nulla di
lei, se non il suo nome.
- Tè con il latte
prego –
- Giusto…latte? –
Lei lo aveva guardato
interrogativa e aveva risposto, seccamente:
- E’ un’abitudine
inglese. James, ti chiamo quando torno. -
Il lacchè si inchinò,
per poi sparire dentro la macchina, che partì rombando.
- Ah…ok…allora entri?
-
Jun aveva rimpianto di
non essersi vestito più decentemente: una T-Shirt dei Metallica scolorita con
sopra una polo a maniche lunghe che aveva visto tempi migliori e un paio di
pantaloni da skater pieni di strappi.
- Jun-kun, chi è la
tua amica? Una tua compagna di classe? Piacere, Nori Sakurada. -
La sorella di Jun, i
capelli biondo cenere, legati in due codini bassi, e gli occhiali spessi
cerchiati d’acciaio era sopraggiunta con in mano un mestolo e indossando un
grembiule inamidato alla bell’e meglio.
Alla vista del
sopracciglio alzato di Shinku, Jun si era affrettato a rispondere
affrettatamente e a rispedirla in cucina, spostandosi per far passare la
ragazza, che entrò in casa con passo spedito, scrutando l’interno.
- Vieni…ehm…questo è
il salotto…se vuoi ti puoi sedere qui…io…io vado a mettere a di sopra il
quaderno…e…grazie ancora…-
- Di nulla. –
Quella semplice
risposta, seppur fredda, gli aveva riscaldato il cuore, come un bagno caldo,
facendogli fare gli scalini due a due, per far prima, per vedere il prima
possibile il suo viso ancora una volta.
Aveva abbandonato il
quaderno su un mobiletto, senza entrare in camera sua , e ridisceso le scale il
più velocemente possibile, trovando Shinku che sorbiva il tè in silenzio,
ascoltando Nori che le chiedeva come andasse il fratellino a scuola.
- Non mi dice mai
nulla…vorrei tanto sapere come…-
Poi, intravedendo Jun,
aveva ringraziato educatamente per la compagnia ed era ritornata velocemente in
cucina, con le tazze in mano, sorridendo sotto i baffi.
Senza dire una parola,
Shinku si era alzata e si era diretta verso Jun, fermandosi a pochi centimetri
da lui, con aria risoluta.
Lui era arrossito fino
alla radice dei capelli, non era pratico con le ragazze, non sapeva neppure da
dove cominciare!
- Ho deciso che d’ora
in poi ti aiuterò a studiare. Domani alle quattro in punto. -
Lui era rimasto di
sasso.
Poi si era voltata,
aveva ringraziato per il tè ed era uscita, trovando la limousine ad aspettarla.
L’unica cosa che aveva
pensato Jun in quel momento era stata:
“Ma come ha fatto ad
arrivare senza nemmeno essere chiamata, quella macchina?”
Da allora, ogni giorno
tranne la domenica, Shinku, puntuale come un orologio, suonava alla porta di
casa Sakurada, una ventiquattrore in mano.
Poi, dalle quattro
alle sette, la ragazza dava una mano a Jun nello studio, gli correggeva gli
errori, gli migliorava la calligrafia, gli dava approfondimenti, il tutto con
un’inflessibilità e una severità invidiabili.
Piano piano, i voti di
Jun migliorarono, non era più l’ultimo della classe, non bigiava più la scuola,
rispondeva alle domande quando lo chiamavano interrogato.
Quando aveva chiese a
Shinku il perché lo aiutava, lei gli aveva risposto, come se fosse una cosa
ovvia:
- Mi dà fastidio avere
un compagno di banco che non sa nemmeno la prima declinazione. -
Ma quei tempi erano spariti. Come un bel sogno al risveglio.
All’esame per entrare al liceo vero e proprio, Jun era stato bocciato. Non
perché non sapesse le cose, ma perché non si era presentato.
Infatti, era dall’altro capo della città, accanto agli occhiali rotti,
inginocchiato nella pioggia battente, diversi fogli di carta che si bagnavano e
si distruggevano a causa dell’acqua.
E piangeva.
Piangeva per i sogni distrutti, piangeva per la reputazione, a poco a poco
conquistata con tanta fatica e tanto impegno, distrutta, piangeva per l’esame,
distrutto.
Lacrime che andavano a confondersi con la pioggia, con un cielo che
sembrava condividere i suoi sentimenti, piangendo le sue lacrime da scuri occhi
nuvolosi.
L’avevano scoperto, l’avevano picchiato. Avevano scoperto il suo segreto,
custodito gelosamente per tanti e lunghi anni.
I suoi disegni. Disegni che ritraevano vestiti femminili, modelle che
indossavano sue creazioni, disinvolte e impossibili. Il lavoro di anni
distrutto.
Era andato, con loro, a presentarli ad una casa stilistica, visto che l’edificio
si trovava a pochi passi dalla scuola, ma all’andata, Hokuragi, il bullo della
scuola, con la sua cricca, lo aveva malmenato e gli aveva strappato la
cartellina con dentro il suo segreto.
E aveva riso. Riso a più non posso, a crepapelle, tenendosi la pancia,
asciugandosi gli occhi. Di lui.
Frocetto l’avevano chiamato. Un frocetto che se la fa con la bella della
scuola e che disegna abitini striminziti come Dolce e Gabbana. Sarai frocio
come loro, gli avevano detto, l’avevano urlato, l’avevano reso pubblico insieme
all’insegnante, l’avevano sparso ai quattro venti,.
E quei quattro venti gli avevano portato via la voglia di vivere.
Uuuuf…e anche questo capitolo è fatto!
Scusate il perenne ritardo, ma è davvero un problema
studiare e scrivere allo stesso tempo e nella stessa giornata! A proposito,
domani credo di avere anche un tema di italiano, perfetto -___-
Che ne pensate? Questo capitolo è ancora una descrizione
della vita e della personalità di uno dei protagonisti, dal prossimo mi
distaccherò sicuramente!!
Uhm...il nome del bullo è inventato sul momento, la
storia è leggermente differente, anche se spero di non aver sbagliato nulla, in
tal caso perdonatemi ma seguo solamente l’anime perché il manga non si trova
dove vivo…e scusate anche le parolacce, mi sono scappate XD
Hidan: Per forza, su Marte non esistono i manga, stupida oca! Io: Perché non provi a venire a
trovarmi, così finisci decompressurizzato, che sarebbe anche meglio per tutti
U____U