Come il mare d'inverno

di arwriter
(/viewuser.php?uid=331307)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


                    TRAILER: https://www.youtube.com/watch?v=hAI3oALI-Ow&feature=youtu.be                         
                                      

PROLOGO

                                                 
                                                  Torino,  26 ottobre 2012
                                                         
Tante volte avrei voluto parlarti, spiegarti tutto, ciò che è successo, ciò che provavo, ma molte volte mi sono trattenuta. Forse avevo paura, forse non avevo coraggio, eppure sono ancora qui a parlare di te, dopo tanti mesi. Ma che dico, dopo un anno. Ciò che provavo per te era qualcosa di inspiegabile, che non mi era mai capitato, e che so che non capiterà di nuovo. Sei stato il mio primo amore, ma sto di nuovo mentendo a me stessa, perché tutto ciò lo provo ancora. Questi mesi sono stati difficili, sono stati sufficienti ad innamorarmi di te come non mi era mai successo. Parlarne con qualcuno non è mai stato semplice, nessuno mi capiva, tutti dicevano che era una cosa da adolescenti, una semplice cotta; ma per me è molto di più, un qualcosa che nessuno potrà mai capire. O forse quello che provo è semplicemente dovuto alla mia insicurezza, alla paura di non trovare qualcuno che mi ami come facevi tu, o almeno come dicevi. Troppe volte ho provato a dimenticarti, a non pensare più a te, a sostituirti. Ma il tuo sguardo che mi penetrava nelle vene ormai faceva parte della mia vita, e sapevo che non avrei mai potuto lasciarti andare.  Ogni cosa di te è speciale, e anche se qualcosa non lo fosse, la mia mente riuscirebbe a renderla perfetta.

Guardo ancora le tue foto, mi perdo nei ricordi. I tuoi messaggi, i miei messaggi per te che ancora conservo nel mio cellulare.
“Vorrei parlarti, ma cosa potrei dirti? Potrei spiegarti cosa provo quando ti vedo, o quanto forte mi batte il cuore se mi sfiori anche per un attimo. Quanto vorrei baciarti, e quanto vorrei che lo facessi tu. Potrei spiegarti quello che provo per te, ma non riuscirei a spiegarlo, è troppo grande !”
Rileggere tutto questo mi dà un senso di infinito, infinito come il mio amore per te.
Ancora non riesco a crederci, non riesco a realizzare che tutto ciò sia successo a me, non riesco a comprendere come quel giorno abbia cambiato radicalmente la mia vita. Non avrei mai immaginato che la vita avesse avuto in serbo per me qualcosa di così grande, qualcosa che alla fine è finito, per colpa mia, per colpa tua, per colpa del destino. Forse non eravamo davvero destinati a stare insieme, o forse la sorte ci avrebbe fatti rincontrare, preparando per noi un lieto fine. Non so cosa sperare in questo momento. E’ meglio una grande sofferenza per qualcosa che speri accada o una grande indifferenza per qualcosa per cui potresti provare a combattere?

Non c’è una risposta. Non si può fare nulla in situazioni come questa. Perché tanto non tornerai. Non torneremo.
Perciò io dovrò imparare a vivere, senza di te. Senza potermi chinare sulla tua spalla mentre piangevo. Senza potermi sfogare urlando contro lo specchio con te che mi tranquillizzi e mi abbracci. Senza poter darti un bacio mentre sorrido e mi stringi a te.         
Ora chi aggiusterà il mio cuore ridotto in mille pezzi? Chi riparerà il mio sorriso, spezzato ancora una volta? Proprio come mi chiamavi tu, “la ragazza con il sorriso spezzato.” Quel sorriso che sei stato tu l’unico a far rinascere.

Tu mi hai salvata, in tutti i modi. Hai dato una svolta alla mia vita. Stavo andando in frantumi, distruggendomi dentro, ma poi sei arrivato tu, e i miei problemi sono scomparsi. Abbiamo affrontato tutto insieme. Sei riuscito a farmi sorridere, a farmi sentire speciale in un momento della mia vita nel quale volevo solo sprofondare nella mia tristezza, nel mio vuoto, che nessuno fu capace di affrontare prima di te.
E tutto ciò che mi ricorda di te? Cosa ne farò dei ricordi? Le foto, i messaggi, i baci, gli abbracci. Come farò a dimenticare tutto questo?
I momenti più belli della mia vita li ho passati con te, e niente e nessuno potrà mai cancellare tutto ciò.
Non mi sarei mai aspettata di vivere un qualcosa di così profondo, un qualcosa che mi avrebbe sconvolta.
Questa è la storia più difficile che abbia mai raccontato. La storia di ciò che è cominciato come un gioco, ed è finito come un amore.
Ma partiamo dall’inizio, perché ancora ricordo tutto.





//SPAZIO AUTRICE//
Hellooo :D
Sono tornata con una storia tutta nuova!
Vi spiego, sto scrivendo una specie di "libro", per continuare lo sto mettendo qui così da vedere cosa ne pensate, se no non ha senso
che io vada avanti :)
Fatemi sapere se vi intriga, appena finirò il primo capitolo lo posterò, anche perchè da qui non si capisce molto!
Spero vi piaccia molto, ho tante idee per questa storia e non vorrei rimanerne delusa o deludere voi :(
Vi mando un bacio, recensite! BANNER CREATO DA @flawsnov
                           @jepsenseyes

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


                          

Capitolo 1

 E mentre continuavano a discutere tra di loro io decisi, almeno per un momento, di lasciare perdere, sapevo che non poteva capire. Invece di fare polemica, io preferivo perdermi nei miei pensieri. Notare la relatività delle realtà che ci circondano. Preferivo guardare la Luna e chiedermi perché già di giorno era sorsa, o perché faceva tali movimenti nel cielo. Preferivo guardare ciò che mi circondava, scrutare l’orizzonte e chiedermi perché mi trovo qui in questo mondo, perché sono stata creata in questo modo, perché ho questa personalità. O perché siamo tutti su questo pianeta. Ancora meglio, che cos è l’amore. Guardavo il cielo, e pensavo all’amore che c’è nel mondo, o che molti vorrebbero avere. All’amore di un padre per suo figlio morto in una guerra. All’amore di una madre per un uomo che la lasciò con un bambino in grembo. All’amore di un anziano che piange sulla tomba della donna che sempre ha amato. All’amore di un ragazzo ancora giovane, che corre con un mazzo di rose per portarle alla ragazza che deve conquistare. All’amore tra due amici, i quali sanno che tra di loro c’è un rapporto indelebile che nemmeno il tempo potrà cancellare. All’amore che ha un’adolescente per il suo cantante preferito. All’amore che un bambino adottato prova per i suoi veri genitori, e alla speranza che ha di incontrarli un giorno. All’amore che ormai si disperde nell’aria, perché ovunque c’è amore.
Ma le loro voci mi risvegliarono da quel che era la mia fantasia.
«No, Giada. Non ci puoi capire. Tu hai sempre tutto nella vita. Hai tanti amici, hai un ragazzo, non hai problemi con la tua famiglia. Io e Giulia abbiamo altre preoccupazioni. Non puoi immaginare come ci si senta a non capire qual è il proprio posto nel mondo.» rispose Chiara con convinzione. Aveva ragione. Era già un po’ di tempo che soffrivo di bassa autostima, avevo attacchi di ansia e di panico, non avevo molta serenità interiore. E la cosa peggiore è che sapevo che nessuno avrebbe potuto capirmi.
 
Mi odiavo. Mi odiavo perché non piacevo a nessuno, nessuno si sarebbe mai sacrificato per me, non sarei mai stata importante per nessuno. Ero solo un disastro.  Le persone mi dicevano che non avevo motivi per stare male perché di solito sono le ragazze grasse che si fanno i complessi. Io non ero grassa, non avevo nemmeno un brutto fisico. Ma avevo un grande vuoto dentro, che nessuno riusciva a colmare, e questo mi bastava. Non capivo in che cosa sbagliassi. Tutti mi dicevano che ero strana, e anche io mi sentivo così. Mi sentivo diversa dal resto delle persone. Gli altri mi facevano schifo. Li definivo “una generazione che non sa capire le persone e pensa solo a se stessa”. Era la verità, ma molto spesso era solo la mia invidia a parlare. Invidia della loro felicità, quella che io non potevo avere. Ma ci provavo ad essere una ragazza normale, però non ci ero mai riuscita. Mi sentivo sempre fuori luogo, in mezzo alla gente. Non parlavo per la paura di non essere ascoltata. Non mi sentivo importante per nessuno, e quando i miei genitori mi urlavano contro anche per le minime cose scoppiavo in un pianto infernale, che mi faceva sentire un disastro, ripensando a tutte le guerre che c’erano nella mia anima.
Suonò la campanella. Finalmente sarei potuta uscire da quel luogo pieno di gente che non avevo voglia di vedere. Camminai lungo il corridoio per avvicinarmi alla porta d’uscita. Nell’atrio esterno, prima del cancello, si formavano i soliti gruppetti di gente che non aveva voglia di andare a casa oppure voleva rimorchiare. Ma quel giorno c’era qualcosa di strano, c’era un ammasso più grande di gente, che circondava dei ragazzi. Li conoscevo tutti, ma scorsi un ragazzo nuovo. Lo fissavo da lontano. Mi passò in quel momento di fianco Sara, la ragazza più insopportabile dell’intero universo, che avevo per di più in classe.
«E’ il nuovo arrivato, non lo sapevi?» mi disse con un sorriso malizioso. Strano. Un ragazzo che arriva a metà del quadrimestre. «Fa quarta. Ed è un figo da paura. Quindi non guardarlo nemmeno.» e se ne andò sorridendomi in segno di sfida. In effetti aveva ragione, io facevo seconda, e poi nessuno avrebbe mai voluto stare con me, come poteva solamente passarmi per la testa di fare considerazioni su di lui?
Camminai lungo la strada per casa, quando mi voltai, e vidi che mi stava guardando.
A quel punto ritornai alle solite, a farmi problemi. Chissà cosa stava pensando di me, magari mi stava prendendo in giro, avrà di sicuro detto “che brutta ragazza”, oppure avrà detto qualche cattiveria insieme ai suoi amici popolari nella scuola.
Ogni volta che passavo vicino a dei ragazzi o a delle ragazze e mi fissavano mi facevo sempre paranoie di questo genere. Ero insicura, tanto. E non riuscivo a farci nulla, perché non avevo motivi per abbattere quest’insicurezza che si ripercuoteva sulla mia vita di tutti i giorni.
Finalmente ero arrivata a casa. Non c’era nessuno, e per me era meglio così. Stavo bene da sola, anche se molte volte avevo paura del paranormale. Ero molto ansiosa, e questo non era un bene.
Avrei approfittato di quel giorno per fare una dormita e poi un po’ di compiti, per poi rilassarmi e fare ciò che mi passava per la testa. Amavo ascoltare la musica, era una delle cose che più mi affascinavano. E poi, mi piaceva conoscere. Era anche per questo che mi definivo strana. Tutti pensano che le persone che vogliono conoscere siano studiose, ma a me non piaceva affatto studiare, anche se andavo bene in tutte le materie. Infondo quella giornata era vuota, come tutte quelle passate e quelle a venire.
 
Come sempre, la sera non riuscii a dormire. C’era qualcosa che mi turbava. Mi svegliavo sempre di notte, e non urlavo solo per non svegliare i miei genitori e la mia sorellina. Facevo incubi, sempre. Qualche sera la passavo a scrivere messaggi che non avrei mai inviato a nessuno. Scrivevo messaggi per le persone che ho perso, tra cui la più importante, la mia migliore amica. Si chiamava Melissa. Non so come spiegare cosa fosse lei per me. L’ho conosciuta per puro caso, ma tutte e due avevamo problemi di natura psicologica e ci siamo aiutate a vicenda. Grazie a lei sono stata meglio per molto tempo, ma alla fine anche lei si è unita al gruppo di gentaglia che io odio.
 
L’indomani mi svegliai presto per andare a scuola. Ero stufa di questa routine quotidiana. Mi sentivo inutile, vuota. Come buon inizio della giornata mi guardai allo specchio, e come sempre vedevo il peggio. Mi odiavo, ma non riuscivo a far nulla per non farlo. A volte mi sentivo in colpa per questo, quindi finivo per odiarmi ancora di più perché era colpa mia.
Dopo essermi preparata, mio padre mi accompagnò a scuola. Per fortuna non era una giornata pesante come materie. Sarebbe finita in poco tempo, o almeno speravo.
Arrivata a scuola, c’erano, come il pomeriggio precedente i gruppetti di ragazzi che chiacchieravano. Non potei fare a meno di scorgere di nuovo il ragazzo di ieri, che mi era rimasto molto impresso. Riconobbi il ragazzo che gli stava accanto. Era del quarto anno, si chiamava Daniel e io lo odiavo. Era stato fidanzato con una mia amica, Miriana, ovviamente bella e affascinante, e poi l’aveva tradita e presa in giro davanti a tutti. E anche a me, visto che ero sua amica. Mentre camminavo verso l’ingresso della scuola passai vicino all’ammasso di persone che popolavano il cortile, quando Daniel si avvicinò a me e mi disse: -Scusa, vieni un attimo con me, mi serve l’avvocato difensore. Sai com’è, ho litigato con un mio amico e so che tu sai difendere molto bene.- scoppiarono a ridere tutti, compreso il ragazzo nuovo. Daniel mi prendeva ancora in giro per aver difeso Miriana quella volta. Li sorpassai e continuai per la mia strada. E io che mi ero illusa pensando che potesse esserci un ragazzo diverso dagli altri. Dovevo capirlo, è arrivato ieri e frequenta già le peggiori compagnie, non ci si può fidare di lui.
«Ehi Giulia, vieni a sederti vicino a me!» mi disse Chiara in classe. Io accettai subito la sua proposta.
«Allora, raccontami un po’ qualche novità.» le dissi, tanto per chiacchierare.
«E’ arrivato un nuovo ragazzo in quarta F. Ed è bellissimo, non puoi immaginarti!» esclamò.
«Sì, posso. L’ho visto ieri e ne ho sentito parlare.» dissi discretamente. Lei non rispose.
«Cosa sai di lui?» domandai dopo alcuni minuti.
«Non molto, si è trasferito da una scuola in centro e si chiama Mattia. Credo niente di più. E perché ti interessa?» rispose.
«Tanto per chiedere.» mentii. Dovevo smettere di pensare a lui. Per distrarmi un po’ da quella noiosissima lezione di latino, andai in bagno.
I corridoi erano vuoti: potevo usare il cellulare in pace, finalmente. Ma mi venne un colpo quando sentii un urlare da dietro.
«Non si usa il cellulare!» mi voltai impaurita. Lo riconobbi subito, era il nuovo arrivato, Mattia. Non sapevo cosa rispondere, così rimasi inerme.
«Scherzavo, tranquillizzati. Piacere, Mattia.» non ci potevo credere. Rimasi sconvolta, non riuscivo nemmeno a parlare.
«Giulia» sussurrai.
«Mi fa piacere averti conosciuta.» sorrise. «Se ti va una sera puoi venire con me e il mio nuovo gruppo a bere qualcosa.»
«No grazie. Non mi sentirei a mio agio. Grazie comunque per l’invito.» me ne andai senza aspettare una risposta, ma dopo pochi secondi mi prese per il braccio, fermandomi. Un brivido di paura mi percosse il corpo.
«Aspetta, ne potremmo riparlare.» non volli ascoltare altro. Sapevo che ci provava tanto per avere una ragazza ai suoi piedi. Ma perché proprio me? Iniziavo davvero a detestarlo. Me ne andai e lui non riuscì a fermarmi nuovamente.
Rimasi scossa per tutta la giornata scolastica, non sapevo cosa fare. Un po’ mi pentivo, però sentivo di aver fatto la scelta giusta. Non ne valeva la pena. Non con i tipi come lui.
 
«Giu, ti va di venire a casa mia oggi?» mi disse Chiara. Non era una cattiva idea, mi sarei potuta svagare.
«Va bene, vengo direttamente allora.» mi sorrise.
Stavamo uscendo, e sapevo che avrei dovuto incrociare lo sguardo di Mattia, o peggio, di Daniel.
«Ciao miss “non sono a mio agio”!» scherzò Mattia. Seguì un coro di risate.
«Ora hai due soprannomi!» replicò Daniel.
Videro la mia espressione abbastanza triste, e mentre camminavo velocemente per andarmene, Mattia mi seguì.
«Ehi dove vai Mattia?» urlò Daniel. Non ricevette una risposta.
«Giulia, ti voglio parlare. Scusami io non volevo essere scortese oggi. Per favore.» mi disse Mattia. Non sapevo cosa rispondergli.
«Dai, Giu. Ascoltalo. Ti aspetto qui.» si intromise Chiara, come se non bastasse.
Dovevo cedere. Il mio cervello mi diceva di andare. Capì dal mio sguardo che avevo accettato, così mi fece segno di seguirlo, e mi portò all’angolo della strada.
«Tutto ciò che vorrei è conoscerti meglio. Perché non vieni a bere qualcosa con noi stasera?»
«Non posso uscire di sera. Mi dispiace.» risposi.
«Ah, dimenticavo che sei più piccola.» disse. «Ma possiamo uscire oggi pomeriggio. Solo una passeggiata nel quartiere. Ti va?» mi lasciò senza parole. Mi morsi il labbro per l’incertezza che avevo in testa.
«Lo prendo come un sì.» sorrise. «Ci vediamo alle 4 qui davanti. Ti aspetto.» e se ne andò.
Non sapevo cosa fare, mi sentivo confusa. E in più quello stesso pomeriggio dovevo andare a casa di Chiara. Ma lei avrebbe capito. Le mandai un sms e, come immaginavo, disse che avevo fatto bene.
Tornai a casa, ero di cattivo umore: come sempre, mi sentivo inutile. Da poco tempo avevo smesso di fare danza, lo sport che amavo. Non ce la facevo più ad andare avanti così, non riuscivo a stare dietro alle mie compagne, mi sottovalutavo, come sempre, e mi sentivo incapace. Così le mie giornate erano diventate vuote, e tornavano i pensieri. Mi sentivo limitata, ovunque c’erano limiti. Per la mia età, per tutto. Mi sentivo sottovalutata e non capita dai miei genitori. Non riuscivo a uscire da questa situazione. Speravo che l’uscita con Mattia avrebbe cambiato qualcosa, ma probabilmente mi stavo solo illudendo.
 
Le 3 arrivarono presto, così iniziai a prepararmi. Non volevo truccarmi o vestirmi in modo speciale, volevo farmi vedere per ciò che ero. Sapevo che non gli sarei piaciuta, ma ero così e non potevo farci nulla. Optai così per dei leggins e una maglia nera. Per il trucco applicai l’eyeliner e un po’ di fard, sarebbero bastati.
Come sempre si fece tardi, e arrivai lì 10 minuti dopo. Lui non c’era. Mi sentii tanto stupida ad aver pensato che si interessasse a me. Ma dopo qualche minuto sentii qualcuno correre affannosamente dietro di me, mi voltai ed era lui.
«-Scusami, mi ero addormentato. Mi dispiace, mi sono svegliato solo un quarto d’ora fa.» mi disse. Non avrei voluto, ma ero convinta che fosse solo una scusa.
«Non è una scusa.» rispose come se mi avesse letto nel pensiero. Annuii.
«Allora, di cosa mi volevi parlare?» gli chiesi con un po’ d’ansia.
«Ti voglio conoscere meglio. Parlami di te.» affermò, lasciandomi di sasso. Non sapevo cosa rispondere. Mi ricordai di una citazione che avevo letto: “Capisci di essere persa quando ti dicono «parlami di te» e tu non sai cosa dire.” Ero proprio così. Non sapevo cosa dire.
«Io non so nulla di me. Non mi conosco. L’unica parte che conosco di me, mi fa schifo.» risposi. Mi guardò sbalordito.
«E perché dici così? Stai male? Non è un bel periodo? Beh, a dirti la verità un po’ si nota.» ribadì.
«Si nota che cosa? E da cosa?» risposi insicura.
«Si nota che stai male. Dal tuo sorriso.»
«E perché, com’è il mio sorriso?»
«Spezzato.» rispose. La  sua risposta mi fece atterrire. Forse aveva ragione. Mi girai verso di lui e gli sorrisi.
«Me ne hai dato la conferma.» disse.
Passammo il pomeriggio a parlare del più e del meno, a conoscerci un po’ meglio. Verso le 6.30 mi riaccompagnò a casa.
«Ci vediamo domani a scuola.» dissi.
«Non vedo l’ora.» confessò. Stavo per varcare la porta di casa, quando mi fermò e mi diede un bacio. Mi allontanai subito.
«Scusami, è stato un impulso. Non ricapiterà.» disse.
«Va bene.» risposi ed entrai in casa.
Ero nella confusione più totale.
Non potevo lasciarmi abbindolare da un ragazzo conosciuto il giorno stesso. Ma allo stesso tempo mi faceva girare la testa e non sapevo che fare. Avevo molta voglia di scrivergli un sms. Lui non l’avrebbe fatto perché non aveva il mio numero, ma io avevo il suo.
Improvvisamente squillò il cellulare.
“Ciao Giu, com’è andata con Mattia?” Era Chiara, mi aveva mandato un messaggio. Non la consideravo la mia migliore amica perché dopo Melissa per me le migliori amiche non esistevano più, ma era l’amica con cui passavo più tempo. Non condividevamo proprio tutto, ma con lei mi trovavo bene. La chiamai e le raccontai tutto. Dopo una mezz’oretta le dissi che dovevo staccare perché mi stavano chiamando i miei. Ma non fu così.
“Come stai dopo oggi? Sono Mattia.” Il cuore batté all’impazzata. Non ci potevo credere. Dove aveva preso il mio numero?
“Dove hai trovato il mio numero? Comunque meglio.” Risposi. Dopo pochi minuti mi arrivò un altro messaggio.
“Me l’ha dato Luca, il tuo compagno di classe. Gli ho detto che era per una giusta causa. Allora, mi vuoi raccontare cosa passa per la tua testa?”
Non sapevo se dirgli la verità o no. Era successo tutto in così poco tempo. Gli risposi impulsivamente.
“Senti, mi ha fatto davvero piacere conoscerti. Però sta succedendo tutto troppo in fretta. Ci conosciamo da poco, non sappiamo niente l’uno dell’altra.”
“Hai ragione, è per questo che voglio conoscerti. Ma tu devi darmene la possibilità.” Rispose.
A mezzanotte mi arrivò l’ultimo messaggio della giornata.
“Buonanotte, mi ha fatto piacere conoscerti. A domani.”




SPAZIO AUTRICE
Ciao a tutti ragazzi, questo è il primo vero capitolo! Spero vi piaccia, io mi sto impegnando più che posso.

Dal prossimo capitolo le cose si complicheranno, continuate a leggere per scoprire come!
Spero di ricevere molti pareri, intanto vi lascio il mio twitter: @jepsenseyes
Fatemi sapere cosa ve ne pare, baci! BANNER OFFERTO DA @flawsnov
                                         Jepsenseyes

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


                                                                 

Capitolo 2


«Hey Hey, alla fine com’è andata col ragazzo di quarta?» urlò Luca. In quel momento lo detestai. Odiavo le persone che urlavano di prima mattina, per di più cose che non si dovevano sapere.
«Perché gli hai dato il mio numero?! Potevi almeno chiedermelo, nessuno te ne ha dato il diritto.» risposi con fermezza.
«Scusa, non pensavo ti arrabbiassi così. L’ho fatto per te. Sei sempre così triste e scontrosa, volevo farti un piacere.» Aveva ragione. Ero troppo scontrosa, non se lo meritava, era una persona fantastica. E ormai io ero diventata così, fredda con tutti.
 
Era l’ora di biologia e questo non mi dispiaceva affatto, mi piaceva come materia. Ma non riuscivo a seguire il discorso della professoressa, ero distratta da qualunque cosa mi circondasse. Il cielo, l’erba, gli alberi, persino il pavimento. Mi incantavo anche per vari minuti. E pensavo, pensavo. A me, a ciò che avrei voluto succedesse.
«Quindi, Molinari, qual è la teoria di Darwin riguardo all’evoluzione delle specie?»
Mi alzai di colpo. La professoressa aveva notato la mia distrazione e aveva voluto sfidarmi. Per fortuna avevo ripassato quest’argomento il giorno prima, così risposi correttamente. Dovevo riuscire a controllarmi meglio, non potevo far notare tutto ciò che mi passava per la testa.
Luca mi guardò come rimproverandomi scherzosamente. Ma fu solo un istante, dopo si voltò nuovamente a scrutare Sol. Sol Castro era una ragazza bellissima, più grande di un anno, che aveva perso per problemi personali. Non ero gelosa di lui, ma mi dava molto fastidio questo suo atteggiamento verso di lei. Mi dava fastidio perché lei era bella, era simpatica, era tutto ciò che potesse piacere in una ragazza. Mi dava fastidio perché, nonostante non lo volessi ammettere, ero totalmente invidiosa di lei.
 
Miriana camminò verso di me.
«Giu ma che ti sta succedendo? Non è mai successo che tu sia stata ripresa. Vieni con me a prendere qualcosa da mangiare?»
«Andiamo.» ignorai la sua precedente affermazione e mi concentrai su ciò che avrei dovuto fare subito dopo: ero sicura che al bar ci sarebbe stato anche Mattia. Non sapevo come affrontarlo. Non avevo idea di cosa dirgli.
Passai di fronte al solito gruppo, ormai sapevo le loro facce a memoria. Tra loro c’era anche Mattia, che a un certo punto mi puntò lo sguardo addosso. Gli altri lo notarono e si voltarono, per poi scoppiare in una forte risata.
«Il nostro Mattia pensava ci fossimo dimenticati della scommessa. Com’è andata con l’avvocato difensore? L’hai conquistata?» tutti scoppiarono a ridere dopo le parole di Daniel.
In quel preciso istante arrivò Sara.
«Ciao tesoro, come stai oggi?» chiese a Mattia, stampandogli un bacio sulla bocca.
Non avrei potuto sopportare altro, mi voltai e tornai in classe, con lo sguardo di Mattia ancora su di me.
Non ci potevo credere. Mi misi a piangere. Ero stata illusa un’altra volta. Ero stata oggetto di una scommessa. Mi sentivo tanto stupida, forse come mai in vita mia.
Cercai di dimenticare ciò che era successo, ma non facevo a meno di chiedermi perché non ci fosse nessun’amica a consolarmi. Andai a prendere a scuola Martina, mia sorella, rimanendo con questo dubbio.
Martina era una bambina fantastica. Aveva 9 anni. Mi faceva sempre stare meglio anche solo con un sorriso. Mi faceva felice perché era ingenua, perché lei non chiedeva nulla, lei viveva bene così, accettava se stessa, accettava la sua vita e gli altri. Io non riuscivo a farlo, non riuscivo a rassegnarmi all’essere triste, incompleta. In quel momento avrei voluto solo coricarmi su un letto, magari a baldacchino, magari sulla spiaggia, e riposare, finché non fosse finito tutto questo. Volevo chiudere gli occhi e immaginare un mondo migliore, fuggire dalla realtà che mi circondava e aprire una porta che mi avrebbe condotta ad un altro universo dove tutto era diverso e niente rispettava le leggi spazio-temporali, dove non c’erano limiti, né ostacoli, magari nemmeno il dolore. E così ci prova, serrai gli occhi, e niente cambiò. La realtà era sempre uguale, e niente poteva condurmi a qualche altro pensiero che non fosse l’umiliazione ricevuta la mattina stessa a scuola.
 
Erano le 10 di sera. Mi affacciai alla finestra. L’aria era fredda, le foglie a terra. Il cielo scuro era coperto da nebbia. La Luna appariva all’orizzonte, luminosa e brillante.
Mi voltai verso il letto e presi sonno.
                                
 
«Giulia svegliati, è molto tardi!» le urla di mia madre mi risvegliarono improvvisamente. «Non vorrai far tardi a scuola»
Si mamma, anzi vorrei proprio non andarci, pensavo. Lei non mi avrebbe capita, così mi alzai dal letto e andai a prepararmi, controvoglia. Dal giorno in cui conobbi Mattia era passata una settimana. Non ce l’avrei fatta a rivedere tutte quelle persone. Non ce l’avrei fatta a rivedere quel ragazzo dallo sguardo intrigante che mi aveva colpito già dal primo giorno in cui lo conobbi. Eppure non capivo, non riuscivo a capire. Mi sembrava sincero.
 
Andai a scuola in autobus, con Chiara. Le raccontai tutto riguardo Mattia, visto che lei non era presente. La pensava esattamente come me. Anche a lei era sembrato sincero, e non riuscivamo davvero a capire cosa fosse successo.
Non avevo alcuna voglia di stare 5 ore a scuola. Volevo andarmene subito, anche se sapevo che non avrei trovato rifugio da nessuna parte per scappare ai miei pensieri.
La prima ora passò velocemente, così decisi di andare in bagno. Non mi sentivo affatto bene.
Dovetti passare anche davanti alla 4 F, la classe di Mattia, che proprio in quel momento uscì. Io continuai per la mia strada e, davanti alla porta del bagno, mi voltai verso di lui e vidi che non mi toglieva gli occhi di dosso. Se ne andò lentamente. Furono due minuti, poi davanti a me vidi tutto nero.
 
«Spostatevi, devo vedere cosa succede.»
«Ma che cosa è successo?»
«Perché è a terra?»
Sentivo voci urlanti ovunque e riconobbi i miei compagni insieme alla mia professoressa.
«E’ stato sicuramente un calo di zuccheri, niente di importante» annuii. Odiavo essere al centro dell’attenzione, soprattutto per cose brutte. Mi incantai a guardare Sol. Luca aveva ragione, era davvero bellissima. Aveva dei capelli stupendi. Nei suoi occhi ci si poteva vedere il mare, il suo naso aveva una forma perfetta e la sua bocca era carnosa al punto giusto. Aveva un fisico invidiabile in tutto e per tutto. Avrei voluto tanto essere come lei, ma ero così, non potevo cambiare, nemmeno provandoci.
Per fortuna nessuno fuori dalla mia classe venne a sapere del mio incidente, ma dopo circa 10 minuti dal fatto mi arrivò un messaggio. Era Mattia.
“Non è come pensi.”  
Rimasi 5 minuti fissa sullo schermo del cellulare. Cosa voleva dire quella frase? In che senso? Non riuscivo a spiegarmelo. Quel ragazzo era strano, non lo capivo. E a quel punto non sapevo più che fare, così lasciai scorrere tutta questa storia. Avevo deciso di dedicarmi un po’ di più alle amicizie nella mia classe. Avevo legato più o meno con tutti, anche se il mio desiderio di avere un’amica con cui condividere tutto non si era ancora realizzato. In quel periodo mi stavo avvicinando a Sofia, una mia compagna di classe. Avevamo in comune, oltre ad interessi vari, problemi interiori. Lei non lo faceva vedere, ma io ero brava a capire le persone. Non conoscevo la sua storia e non avevo mai avuto il coraggio di chiederle qualcosa, ma vedevo nel suo sguardo la sofferenza. Riuscivamo entrambe ad immedesimarci nell’altra, e questo era molto confortevole per me. Lei era l’amica che aiutava sempre. Cercava di dare consigli, era saggia. Si faceva vedere forte agli occhi degli altri, ma in realtà avrebbe voluto che qualcun altro la aiutasse come lei faceva.
 
Tornata a casa, incontrai i miei genitori. Mia madre mi salutò amorevolmente come sempre. Mi piaceva la sua spensieratezza nei miei confronti.
Riflettei tutto il pomeriggio. In tutta la mia vita avevo sempre recitato la parte della persona felice e contenta, ma era arrivato il momento di affrontare la realtà, il momento di affrontare Mattia.
E l’indomani l’avrei fatto.
Non riuscii a dormire per tutta la notte a causa degli incubi e dell’ansia. Perciò, la mattina dopo, allo specchio, oltre a vedere un’immagine orrenda che corrispondeva al mio volto, scorsi delle evidenti occhiaie sotto i miei occhi. Nonostante ciò, non mi scoraggiai. Mi convinsi del fatto che il giorno stesso mi sarei tolta un peso parlando con Mattia.
La mattinata scolastica passò molto lentamente, ma chiacchierai molto con le mie amiche e con Luca, raccontando loro la mia situazione e viceversa. Miriana mi disse che avevo ragione e parlarne faccia a faccia era il modo migliore per risolvere la situazione. Riusciva sempre a darmi una carica positiva. E’ stata la prima persona che ho conosciuto della scuola superiore e condividevamo molte cose. Era una persona che aveva sempre il sorriso sulle labbra. Affrontava i problemi che le si presentavano con un sorriso, anche se, molte volte, dopo un po’ non ce la faceva più.
Una delle cose che mi piacevano di più della mia classe era il fatto che tutte avessimo problemi, di ogni tipo e natura, ma che si ricollegavano tutti l’un l’altro.
Io cercavo sempre di non avere conflitti con nessuno e di aiutare tutti il più possibile.
Guardai attraverso la finestra: il cielo era azzurro e limpido, senza nemmeno una nuvola. L’erba era verde smeraldo con alcune foglie rosse. Gli alberi erano quasi sfolti. C’erano panchine ovunque, ma pochissime persone. Una bambina giocava sullo scivolo insieme al nonno. Mi venne in mente la mia infanzia, ma anche il mio futuro, immedesimandomi nei passanti. Vedevo il mondo, guardavo le persone vivere. Io, invece, ero lì. Non potevo andare oltre quella finestra. Mi piaceva guardare gli altri mentre conducevano la loro vita con serenità. Mi piaceva perché sapevo di non poter farlo io. Desideravo qualcuno che mi sostenesse, esattamente come stava facendo il nonno con la bambina sullo scivolo. Le teneva le mani da dietro, e la spingeva piano per non farle fare male. Così mi voltai, ma dietro di me non c’era nessuno.
 
 
All’uscita mi incamminai verso Mattia. Le mie amiche si erano offerte ad accompagnarmi, ma avevo rifiutato: era una cosa che avrei dovuto risolvere solo io. Gli corsi incontro, per fortuna era da solo.
«Ciao, io ho bisogno di spiegaz..» non riuscii a finire la frase.
«Ho capito cosa vuoi dire e ti chiedo scusa. Mi dispiace per quello che è successo» continuava a camminare, sempre più veloce. Era così sfuggente.
«E’ tutto questo quello che hai da dire?» urlai sempre più forte. «Mi fai schifo, davvero!» piansi.
«Tu non sai niente!»
«Mi basta sapere quello che ho visto e ciò che mi hai appena detto!»
Si voltò e vidi delle lacrime sul suo viso.
«Tu non sai niente! Tu non sai perché io sono in questa scuola, tu non sai perché io sono amico con i ragazzi che odi di più nella scuola, tu non sai perché mi sono comportato così con te!» gridò.
Piangevamo a dirotto tutti e due.
«E allora perché non vuoi dirmelo? Sono qui per questo, io non voglio soffrire! E tu lo sapevi, te n’eri accorto! Mi hai illusa!» urlai con tutta la voce che avevo in gola.
«Hai ragione, io so qualcosa di te ma tu non sai nulla di me!» mi prese per il braccio e mi portò in un giardino lì vicino dove c’era una panchina. Pian piano smise di piangere, e io lo seguii.
«Guarda.» mi disse cautamente, mentre si tolse la benda che aveva sulla mano, strappandola. Aveva le falangi viola, come se avesse appena preso una botta. Lo osservai incuriosita.
«Stamattina ho tirato un pugno contro il muro. Credo di avere una frattura, ma non sono ancora andato al pronto soccorso: mia madre non lo sa.» disse.
Non dissi nulla. In quel momento non servivano parole, potevamo capirci. Ognuno aveva il proprio modo di sfogarsi.
Lo abbracciai forte.
Sul suo viso scendevano delle lacrime.
«Solo una persona che ha provato certe cose può capirle. E adesso posso comprendere come avevi fatto quel giorno a capire tutto di me, senza conoscermi quasi.» gli dissi.
Sorrise.
«Già, sei la ragazza dal sorriso spezzato.» rispose.
Gli sorrisi dolcemente e iniziai a piangere anche io.
Così mi prese il braccio e scese con la sua mano sempre di più, fino alla mia, per poi intrecciarle.
Per la prima volta, dopo tanto tempo, mi sentivo bene. Mi sentivo ascoltata e capita.
Appoggiai la testa sulla sua spalla e lui si voltò verso di me. Eravamo molto vicini e questo provocò in me una sensazione strana: non mi era mai capitato di essere in una situazione simile.
Mi guardò fisso negli occhi, per poi avvicinare il suo volto al mio e stampare lentamente un bacio sulla mia bocca. Dopo poco ritrasse la testa e mi guardò come per scusarsi. E a quel punto misi le mani sulla sua nuca, mi avvicinai a lui e lo baciai con passione, capendo che ciò che stava succedendo sarebbe stata la cosa più bella della mia vita.
«Hey Hey, alla fine com’è andata col ragazzo di quarta?» urlò Luca. In quel momento lo detestai. Odiavo le persone che urlavano di prima mattina, per di più cose che non si dovevano sapere.
«Perché gli hai dato il mio numero?! Potevi almeno chiedermelo, nessuno te ne ha dato il diritto.» risposi con fermezza.
«Scusa, non pensavo ti arrabbiassi così. L’ho fatto per te. Sei sempre così triste e scontrosa, volevo farti un piacere.» Aveva ragione. Ero troppo scontrosa, non se lo meritava, era una persona fantastica. E ormai io ero diventata così, fredda con tutti.
 
Era l’ora di biologia e questo non mi dispiaceva affatto, mi piaceva come materia. Ma non riuscivo a seguire il discorso della professoressa, ero distratta da qualunque cosa mi circondasse. Il cielo, l’erba, gli alberi, persino il pavimento. Mi incantavo anche per vari minuti. E pensavo, pensavo. A me, a ciò che avrei voluto succedesse.
«Quindi, Molinari, qual è la teoria di Darwin riguardo all’evoluzione delle specie?»
Mi alzai di colpo. La professoressa aveva notato la mia distrazione e aveva voluto sfidarmi. Per fortuna avevo ripassato quest’argomento il giorno prima, così risposi correttamente. Dovevo riuscire a controllarmi meglio, non potevo far notare tutto ciò che mi passava per la testa.
Luca mi guardò come rimproverandomi scherzosamente. Ma fu solo un istante, dopo si voltò nuovamente a scrutare Sol. Sol Castro era una ragazza bellissima, più grande di un anno, che aveva perso per problemi personali. Non ero gelosa di lui, ma mi dava molto fastidio questo suo atteggiamento verso di lei. Mi dava fastidio perché lei era bella, era simpatica, era tutto ciò che potesse piacere in una ragazza. Mi dava fastidio perché, nonostante non lo volessi ammettere, ero totalmente invidiosa di lei.
 
Miriana camminò verso di me.
«Giu ma che ti sta succedendo? Non è mai successo che tu sia stata ripresa. Vieni con me a prendere qualcosa da mangiare?»
«Andiamo.» ignorai la sua precedente affermazione e mi concentrai su ciò che avrei dovuto fare subito dopo: ero sicura che al bar ci sarebbe stato anche Mattia. Non sapevo come affrontarlo. Non avevo idea di cosa dirgli.
Passai di fronte al solito gruppo, ormai sapevo le loro facce a memoria. Tra loro c’era anche Mattia, che a un certo punto mi puntò lo sguardo addosso. Gli altri lo notarono e si voltarono, per poi scoppiare in una forte risata.
«Il nostro Mattia pensava ci fossimo dimenticati della scommessa. Com’è andata con l’avvocato difensore? L’hai conquistata?» tutti scoppiarono a ridere dopo le parole di Daniel.
In quel preciso istante arrivò Sara.
«Ciao tesoro, come stai oggi?» chiese a Mattia, stampandogli un bacio sulla bocca.
Non avrei potuto sopportare altro, mi voltai e tornai in classe, con lo sguardo di Mattia ancora su di me.
Non ci potevo credere. Mi misi a piangere. Ero stata illusa un’altra volta. Ero stata oggetto di una scommessa. Mi sentivo tanto stupida, forse come mai in vita mia.
Cercai di dimenticare ciò che era successo, ma non facevo a meno di chiedermi perché non ci fosse nessun’amica a consolarmi. Andai a prendere a scuola Martina, mia sorella, rimanendo con questo dubbio.
Martina era una bambina fantastica. Aveva 9 anni. Mi faceva sempre stare meglio anche solo con un sorriso. Mi faceva felice perché era ingenua, perché lei non chiedeva nulla, lei viveva bene così, accettava se stessa, accettava la sua vita e gli altri. Io non riuscivo a farlo, non riuscivo a rassegnarmi all’essere triste, incompleta. In quel momento avrei voluto solo coricarmi su un letto, magari a baldacchino, magari sulla spiaggia, e riposare, finché non fosse finito tutto questo. Volevo chiudere gli occhi e immaginare un mondo migliore, fuggire dalla realtà che mi circondava e aprire una porta che mi avrebbe condotta ad un altro universo dove tutto era diverso e niente rispettava le leggi spazio-temporali, dove non c’erano limiti, né ostacoli, magari nemmeno il dolore. E così ci prova, serrai gli occhi, e niente cambiò. La realtà era sempre uguale, e niente poteva condurmi a qualche altro pensiero che non fosse l’umiliazione ricevuta la mattina stessa a scuola.
 
Erano le 10 di sera. Mi affacciai alla finestra. L’aria era fredda, le foglie a terra. Il cielo scuro era coperto da nebbia. La Luna appariva all’orizzonte, luminosa e brillante.
Mi voltai verso il letto e presi sonno.
                                
 
«Giulia svegliati, è molto tardi!» le urla di mia madre mi risvegliarono improvvisamente. «Non vorrai far tardi a scuola»
Si mamma, anzi vorrei proprio non andarci, pensavo. Lei non mi avrebbe capita, così mi alzai dal letto e andai a prepararmi, controvoglia. Dal giorno in cui conobbi Mattia era passata una settimana. Non ce l’avrei fatta a rivedere tutte quelle persone. Non ce l’avrei fatta a rivedere quel ragazzo dallo sguardo intrigante che mi aveva colpito già dal primo giorno in cui lo conobbi. Eppure non capivo, non riuscivo a capire. Mi sembrava sincero.
 
Andai a scuola in autobus, con Chiara. Le raccontai tutto riguardo Mattia, visto che lei non era presente. La pensava esattamente come me. Anche a lei era sembrato sincero, e non riuscivamo davvero a capire cosa fosse successo.
Non avevo alcuna voglia di stare 5 ore a scuola. Volevo andarmene subito, anche se sapevo che non avrei trovato rifugio da nessuna parte per scappare ai miei pensieri.
La prima ora passò velocemente, così decisi di andare in bagno. Non mi sentivo affatto bene.
Dovetti passare anche davanti alla 4 F, la classe di Mattia, che proprio in quel momento uscì. Io continuai per la mia strada e, davanti alla porta del bagno, mi voltai verso di lui e vidi che non mi toglieva gli occhi di dosso. Se ne andò lentamente. Furono due minuti, poi davanti a me vidi tutto nero.
 
«Spostatevi, devo vedere cosa succede.»
«Ma che cosa è successo?»
«Perché è a terra?»
Sentivo voci urlanti ovunque e riconobbi i miei compagni insieme alla mia professoressa.
«E’ stato sicuramente un calo di zuccheri, niente di importante» annuii. Odiavo essere al centro dell’attenzione, soprattutto per cose brutte. Mi incantai a guardare Sol. Luca aveva ragione, era davvero bellissima. Aveva dei capelli stupendi. Nei suoi occhi ci si poteva vedere il mare, il suo naso aveva una forma perfetta e la sua bocca era carnosa al punto giusto. Aveva un fisico invidiabile in tutto e per tutto. Avrei voluto tanto essere come lei, ma ero così, non potevo cambiare, nemmeno provandoci.
Per fortuna nessuno fuori dalla mia classe venne a sapere del mio incidente, ma dopo circa 10 minuti dal fatto mi arrivò un messaggio. Era Mattia.
“Non è come pensi.”  
Rimasi 5 minuti fissa sullo schermo del cellulare. Cosa voleva dire quella frase? In che senso? Non riuscivo a spiegarmelo. Quel ragazzo era strano, non lo capivo. E a quel punto non sapevo più che fare, così lasciai scorrere tutta questa storia. Avevo deciso di dedicarmi un po’ di più alle amicizie nella mia classe. Avevo legato più o meno con tutti, anche se il mio desiderio di avere un’amica con cui condividere tutto non si era ancora realizzato. In quel periodo mi stavo avvicinando a Sofia, una mia compagna di classe. Avevamo in comune, oltre ad interessi vari, problemi interiori. Lei non lo faceva vedere, ma io ero brava a capire le persone. Non conoscevo la sua storia e non avevo mai avuto il coraggio di chiederle qualcosa, ma vedevo nel suo sguardo la sofferenza. Riuscivamo entrambe ad immedesimarci nell’altra, e questo era molto confortevole per me. Lei era l’amica che aiutava sempre. Cercava di dare consigli, era saggia. Si faceva vedere forte agli occhi degli altri, ma in realtà avrebbe voluto che qualcun altro la aiutasse come lei faceva.
 
Tornata a casa, incontrai i miei genitori. Mia madre mi salutò amorevolmente come sempre. Mi piaceva la sua spensieratezza nei miei confronti.
Riflettei tutto il pomeriggio. In tutta la mia vita avevo sempre recitato la parte della persona felice e contenta, ma era arrivato il momento di affrontare la realtà, il momento di affrontare Mattia.
E l’indomani l’avrei fatto.
Non riuscii a dormire per tutta la notte a causa degli incubi e dell’ansia. Perciò, la mattina dopo, allo specchio, oltre a vedere un’immagine orrenda che corrispondeva al mio volto, scorsi delle evidenti occhiaie sotto i miei occhi. Nonostante ciò, non mi scoraggiai. Mi convinsi del fatto che il giorno stesso mi sarei tolta un peso parlando con Mattia.
La mattinata scolastica passò molto lentamente, ma chiacchierai molto con le mie amiche e con Luca, raccontando loro la mia situazione e viceversa. Miriana mi disse che avevo ragione e parlarne faccia a faccia era il modo migliore per risolvere la situazione. Riusciva sempre a darmi una carica positiva. E’ stata la prima persona che ho conosciuto della scuola superiore e condividevamo molte cose. Era una persona che aveva sempre il sorriso sulle labbra. Affrontava i problemi che le si presentavano con un sorriso, anche se, molte volte, dopo un po’ non ce la faceva più.
Una delle cose che mi piacevano di più della mia classe era il fatto che tutte avessimo problemi, di ogni tipo e natura, ma che si ricollegavano tutti l’un l’altro.
Io cercavo sempre di non avere conflitti con nessuno e di aiutare tutti il più possibile.
Guardai attraverso la finestra: il cielo era azzurro e limpido, senza nemmeno una nuvola. L’erba era verde smeraldo con alcune foglie rosse. Gli alberi erano quasi sfolti. C’erano panchine ovunque, ma pochissime persone. Una bambina giocava sullo scivolo insieme al nonno. Mi venne in mente la mia infanzia, ma anche il mio futuro, immedesimandomi nei passanti. Vedevo il mondo, guardavo le persone vivere. Io, invece, ero lì. Non potevo andare oltre quella finestra. Mi piaceva guardare gli altri mentre conducevano la loro vita con serenità. Mi piaceva perché sapevo di non poter farlo io. Desideravo qualcuno che mi sostenesse, esattamente come stava facendo il nonno con la bambina sullo scivolo. Le teneva le mani da dietro, e la spingeva piano per non farle fare male. Così mi voltai, ma dietro di me non c’era nessuno.
 
 
All’uscita mi incamminai verso Mattia. Le mie amiche si erano offerte ad accompagnarmi, ma avevo rifiutato: era una cosa che avrei dovuto risolvere solo io. Gli corsi incontro, per fortuna era da solo.
«Ciao, io ho bisogno di spiegaz..» non riuscii a finire la frase.
«Ho capito cosa vuoi dire e ti chiedo scusa. Mi dispiace per quello che è successo» continuava a camminare, sempre più veloce. Era così sfuggente.
«E’ tutto questo quello che hai da dire?» urlai sempre più forte. «Mi fai schifo, davvero!» piansi.
«Tu non sai niente!»
«Mi basta sapere quello che ho visto e ciò che mi hai appena detto!»
Si voltò e vidi delle lacrime sul suo viso.
«Tu non sai niente! Tu non sai perché io sono in questa scuola, tu non sai perché io sono amico con i ragazzi che odi di più nella scuola, tu non sai perché mi sono comportato così con te!» gridò.
Piangevamo a dirotto tutti e due.
«E allora perché non vuoi dirmelo? Sono qui per questo, io non voglio soffrire! E tu lo sapevi, te n’eri accorto! Mi hai illusa!» urlai con tutta la voce che avevo in gola.
«Hai ragione, io so qualcosa di te ma tu non sai nulla di me!» mi prese per il braccio e mi portò in un giardino lì vicino dove c’era una panchina. Pian piano smise di piangere, e io lo seguii.
«Guarda.» mi disse cautamente, mentre si tolse la benda che aveva sulla mano, strappandola. Aveva le falangi viola, come se avesse appena preso una botta. Lo osservai incuriosita.
«Stamattina ho tirato un pugno contro il muro. Credo di avere una frattura, ma non sono ancora andato al pronto soccorso: mia madre non lo sa.» disse.
Non dissi nulla. In quel momento non servivano parole, potevamo capirci. Ognuno aveva il proprio modo di sfogarsi.
Lo abbracciai forte.
Sul suo viso scendevano delle lacrime.
«Solo una persona che ha provato certe cose può capirle. E adesso posso comprendere come avevi fatto quel giorno a capire tutto di me, senza conoscermi quasi.» gli dissi.
Sorrise.
«Già, sei la ragazza dal sorriso spezzato.» rispose.
Gli sorrisi dolcemente e iniziai a piangere anche io.
Così mi prese il braccio e scese con la sua mano sempre di più, fino alla mia, per poi intrecciarle.
Per la prima volta, dopo tanto tempo, mi sentivo bene. Mi sentivo ascoltata e capita.
Appoggiai la testa sulla sua spalla e lui si voltò verso di me. Eravamo molto vicini e questo provocò in me una sensazione strana: non mi era mai capitato di essere in una situazione simile.
Mi guardò fisso negli occhi, per poi avvicinare il suo volto al mio e stampare lentamente un bacio sulla mia bocca. Dopo poco ritrasse la testa e mi guardò come per scusarsi. E a quel punto misi le mani sulla sua nuca, mi avvicinai a lui e lo baciai con passione, capendo che ciò che stava succedendo sarebbe stata la cosa più bella della mia vita.


SPAZIO AUTRICE
Ciao a tutti, ecco il secondo capitolo :) qui si entra nel vivo della storia, ma ovviamente ci saranno sempre più novità e colpi di scena.
Inoltre vorrei ringraziare le persone che hanno letto la mia storia, le poche( ma buone) persone che hanno messo la storia tra preferiti/seguite.
Il più grande ringraziamento va ai miei amici, grazie per il sostegno e per l'ispirazione che ogni giorno mi date, perchè nella storia c'è un qualcosa di tutti voi.
Appena potrò pubblicherò il terzo capitolo.
Fatemi sapere che cosa ne pensate!
Un bacio

                                  @jepsenseyes
Banner creato da @flawsnov

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


                               

CAPITOLO 3



Non potevo crederci. Ero invasa da emozioni di tutti i generi. Avevo paura, ma nel frattempo sicurezza, sapevo ciò che volevo. Ero felice ma sorpresa. Non riuscivo a comprendere che tutto ciò stesse succedendo a me.
Mi guardò negli occhi e mi sorrise. Mi chiedevo perché non dicesse nulla, ma poi mi accorsi che era lo stesso che stavo facendo io.
«Non so nemmeno spiegare cosa io abbia provato in questi secondi. So solo che sono forse stati i migliori della mia vita.» disse infine. «Ma ora voglio chiederti una cosa.» mi fece incuriosire.
«Dimmi, non farmi stare in ansia.»
«E’ stato il tuo primo bacio?» disse. Lo guardai imbarazzata, forse arrossii. «Non fraintendermi, non voglio dire che mi hai baciato male o altro. Non voglio nemmeno intromettermi nelle tue faccende personali, so che non vuoi parlare del passato. Ma credo che dovremmo iniziare a parlare di più tra di noi, anche di cose complicate da tirar fuori.»
«No, non è stato il mio primo bacio.» affermai. «Ma è come se lo fosse stato.»
Mi guardò sorpreso e inarcò il sopracciglio. «Che cosa vuol dire?»
«Vuol dire che sei stato il primo che mi ha fatto sentire emozioni tanto forti. Con gli altri era solo un gioco, per loro.»
Mi diede un bacio sulla fronte.
 
Camminammo tutto il giorno nel parco, mano nella mano, e io non potevo sentirmi meglio. Il sole splendeva, gli alberi fiorivano, gli uccelli cantavano, ed io ero felice.
Mattia era molto dolce con me. Avevamo tantissime cose in comune: oltre alle nostre situazioni personali, quel pomeriggio scoprii che la pensavamo in maniera uguale su molte cose. Gli piaceva viaggiare. E io non potevo desiderare di meglio da un ragazzo. Amavo viaggiare, scoprire nuovi posti. Ero una sognatrice nata, e sentivo che lui era come me.
Molte mie amiche mi avevano detto, prima di conoscere Mattia, che dopo un po’ che stai con una persona ti stufi. Beh, io non potevo dimostrarlo, ma fino a quel momento, non riuscivo a stancarmi di lui. Fosse per me gli avrei scritto tutte le ore del giorno e della notte. Ma questo non fu necessario: la sera stessa mi chiamò lui.
Parlarci al telefono era una cosa meravigliosa. Mi sentivo a mio agio, forse per la prima volta nella mia vita. Parlammo del più e del meno, per conoscerci di più, ma quasi mai uno di noi faceva qualche accenno sul proprio passato. Nonostante fossimo molti uniti e avessimo tante cose in comune, c’era una grande ostilità tra di noi riguardo quest’argomento. Il passato. Il mio forse non si poteva nemmeno definire “difficile”, anzi, una persona qualunque mi avrebbe detto che non ho motivi per pensarlo, ma la realtà è che nessuno ha provato le mie emozioni e nessuno ha vissuto le situazioni che ho vissuto io. Penso sia lo stesso per Mattia. Era un ragazzo simpatico, si trovava bene con tutti, ma io avevo capito che c’era qualcosa di oscuro in lui, e il suo lato oscuro ancora non mi aveva permesso di vederlo.
La nostra chiamata si concluse circa alle 22. Il giorno dopo avrei avuto la verifica di matematica, ma non mi importava più di tanto. Sentivo mia madre urlare dalla stanza adiacente, aveva sempre qualcosa da dire e io non la sopportavo più. Ma quel giorno non mi importava di nulla, era come se non appartenessi più al mondo.
Mattia, durante la chiamata, mi aveva promesso che sarebbe venuto a prendermi a scuola alle 14 il giorno seguente, sebbene lui uscisse alle 13, e dopo saremmo andati a fare una passeggiata. Nessuno sapeva ancora di noi, e non mi sentivo ancora psicologicamente pronta a farmi vedere con lui negli intervalli. Ovviamente l’indomani lo raccontai alle mie compagne, a Giada, Chiara, Sofia, Sol e Miriana. Si congratularono, erano davvero felici per me. Sentivo, per la prima volta, di possedere amiche vere. Le mie compagne delle medie erano del tutto diverse, per loro contavano solo la bellezza e la popolarità. Invece in quel momento mi sentivo finalmente capita.
 
La giornata di scuola andò tutto sommato bene, a parte le solite prese in giro dei miei compagni. Ormai ci avevo fatto l’abitudine, ma soprattutto non mi importava più: io avevo Mattia. Però per tutta la giornata mi chiesi cosa ci trovasse in me. Avevo una grande paura di perderlo. Magari si sarebbe pentito e mi avrebbe lasciata come fanno tutti. O magari sarà il primo che trova qualcosa che va per il verso giusto in me.
Soppressa dai pensieri, mi avvicinai verso l’uscita della scuola. Varcata la porta d’ingresso, scorsi Mattia tra la folla.
Era lì per me. Ma io non sapevo come comportarmi. Mi vide e mi fece segno di camminare: ci saremmo visti oltre il vicolo di uscita della scuola, per non farci vedere.
Quando finalmente fummo vicini, mi sorrise.
«Dove vuoi andare?» mi chiese.
«Non lo so. Andiamo a casa tua?» osai. Volevo scoprire il suo passato.
Esitò per un attimo, poi trovò una scusa abbastanza convincente. «No, è una bella giornata, preferisco stare all’aperto.» accettai la sua proposta, non me la sentivo di insistere. Sarei stata bene comunque, con lui stavo sempre bene.
 
Il Sole era alto nel cielo e soffiava un vento debole, che per qualche secondo mi scompigliò i capelli. Mattia mi sorrise, come se non mi avesse mai vista prima. Anche io, ogni volta che lo guardavo, era come se fosse la prima.
Era seduto su una panchina, mentre io ero sdraiata su di lui. Mi accarezzava il volto e mi sorrideva. Mi spostava i capelli dal viso e a volte li scompigliava. C’erano molti momenti dove il silenzio regnava, bastava guardarsi negli occhi e capire che non c’erano parole per esprimere i nostri sentimenti.
Spesso ci baciavamo e ci abbracciavamo, ed io ogni volta, tra le sue braccia, mi sentivo al sicuro.
Seduta sulle sue gambe, girai la testa verso di lui.
«Ci tieni a me?» gli chiesi sorridendo.
«No, per niente.» disse ironicamente, per poi sorridere. Sogghignai.
«Che scemo, mi hai fatto spaventare.»
«Ma guarda che io ero serio eh, signorina.» mi sorrise e iniziò a farmi il solletico. Non riuscivo a smettere di ridere. Quando finalmente smise, iniziai a rincorrerlo e a fargli il solletico anche io.
«Tanto non riesci a prendermi» disse.
«Scommettiamo? Invece ci riuscirò.»
«Va bene, se riesci ti do un bacio, se no dimmelo e corro più piano.» Questa sua affermazione mi fece sorridere. Corsi ancora più veloce e gli diedi un bacio, uno dei più belli, che ricordo ancora benissimo, ricordo il profumo di quel bacio, ricordo le sue labbra morbide e le sue braccia che mi stringevano la vita. Ricordo la felicità che regnava nei nostri occhi, una felicità che niente e nessuno avrebbe potuto spegnere, o forse era ciò che pensavamo.
 
Verso le 18.30, mi riaccompagnò a casa. Mia madre ebbe, come sempre, da lamentarsi. Capii che era giunta l’ora di parlarle di Mattia, ero stufa di mentirle, non se lo meritava. E poi non era affatto una cosa brutta, anzi, era una cosa meravigliosa e doveva esserne felice.
«Mamma, devo parlarti.» dissi con convinzione.
«Va bene, dopo cena parleremo.» rispose.
«No, io ho bisogno di parlare adesso.»
«Come mai così tanta urgenza? Qualcosa non va?»
Sì, mamma. Sto per dirti che quella sfigata di tua figlia si è fidanzata per la prima volta nella sua vita.
«No, va tutto bene. Ma io ho bisogno di parlarti ora.»
Posò lo strofinaccio e tirò via una sedia da sotto il tavolo, sedendosi. –Dimmi tutto.
«Ecco.. Beh.. Volevo dirti che.. Ormai sono abbastanza grande.» esitai.
«E che cosa vorresti dire con questo?» insinuò dubbiosamente.
«Che ho l’età per avere un ragazzo.» dissi infine.
«Beh, se tu avessi un ragazzo io non avrei nulla in contrario, quindi quando lo avrai potrai dirmelo.»
«Ecco, quel momento è arrivato.» sorrise.
«Allora congratulazioni, non vedo l’ora di conoscerlo. Come si chiama? E’ in classe con te? E’ simpatico?»
In quel momento sarebbe arrivato il difficile. Avevo paura di deluderla.
«Ehm.. si chiama Mattia, non è in classe con me e ha quasi 18 anni.» mi guardò un po’ sbalordita.
«Non credi sia un po’ troppo grande?»
«No, ha solo due anni più di me. Io mi trovo bene con lui. Te lo farò conoscere e vedrai che è un bravissimo ragazzo. Se per te va bene, domani, quando torno a casa. Sempre se mi dai il permesso di uscire.»
«Si vedrà.» lo presi come un sì. Non vedevo l’ora di dirlo a Mattia, anche se non sapevo come l’avrebbe presa.
Mentre stavo componendo il suo numero sul cellulare, mi fermai a pensare. In quel momento avrei avuto bisogno di un’amica. Un’amica che mi avesse capita. Avrei avuto bisogno di Melissa. Non riuscivo a cancellarla dalla mia vita, spesso avevo bisogno di lei. Solo lei sapeva consolarmi, aiutarmi, ridere con me. Solo con lei riuscivo ad aprirmi. Solo lei c’era sempre per me. Ma in quel momento no, io ne avevo bisogno, ma lei non c’era.
Mi distrassi dai miei pensieri quando arrivò un messaggio sul cellulare, era Miriana.
“Ciao Giu, come stai? Raccontami qualche novità.”
Sembrava mi avesse letto nel pensiero. Era proprio ciò di cui avevo bisogno, quindi le chiesi se potevo chiamarla.
Pronto, ciao Miry.”
“Ciao, allora che hai da raccontarmi di bello?”
“Niente, oggi sono uscita con Mattia ed è sempre più bello. Inoltre l’ho raccontato a mia madre, domani, se tutto va bene, glielo presento.”
“Ma è fantastico! Sono tanto felice per te, te lo meriti.”
“Anche tu ti meriti di avere una persona al tuo fianco, e arriverà, te lo assicuro. Basta crederci un po’. E fidati, te lo dice una che, fino a due giorni fa, pensava non sarebbe mai arrivata.”
“Grazie per tutto.”
“Grazie a te.” Attaccai. Ero sollevata. Questa chiamata mi aveva resa felice, più di quanto già potessi esserlo. Presi coraggio e chiamai Mattia.  Squillava.
“Ciao amore.”  Arrossii.
“Ehi ciao. Ti devo dire una cosa.”
“Non farmi preoccupare. Dimmi.”
“Ho parlato con mia madre riguardo noi. Domani te la faccio conoscere. Ti va?”
“Ehm.. Certo.”
“Sicuro?”
“Ho solo paura di non piacerle. Ma per te questo e altro.”
Andai a dormire con il sorriso sulle labbra. Tutto stava andando per il verso giusto.
 
Giovedì 1 Dicembre 2011. Ecco arrivato il giorno in cui avrei dovuto affrontare i miei genitori. Mi alzai più presto del solito, a differenza degli altri giorni oggi ero più motivata ad andare a scuola.
Mi vestii e mi truccai un po’ più del solito. Mi sentivo diversa, felice, e questo provocò un cambiamento in me anche riguardo l’aspetto. Iniziai a notare che tutti i vestiti che avevo indossato fino a quel giorno, o almeno la maggior parte, erano orrendi. Optai quindi per una maglia lunga e dei leggins, che mi ero sempre vergognata di portare.
Arrivata a scuola, quasi in ritardo, mi sedetti vicino a Sol. Non fu una mia scelta, era l’unico posto libero, ma non mi dispiacque.
«Ciao Giulia, come stai?» mi domandò Sol, con un sorriso tra i più belli che avessi mai visto.
«Ciao Sol, tutto bene e tu?»
«Anche io molto bene. Sono felice che tu sia seduta vicino a me.»
A differenza di tutte le ragazze bellissime, lei era molto intelligente e umile. Non era egocentrica. Era anche simpatica, ma la trovavo troppo perfetta.
«Anche io sono contenta.»
«Ragazzi, ho corretto le verifiche di matematica.» ci interruppe la professoressa. In classe calò il silenzio.
Non avevo studiato molto per quella verifica, ma non mi interessava più di tanto. Accanto a me, Sol aveva un’espressione di preghiera. Forse l’unico suo difetto era il rendimento scolastico: non era una cima.
La professoressa distribuì i compiti in classe. Presi 8 ed ero molto contenta. Giada ottenne un 7 e ne fu molto felice. Chiara prese 7+, mentre Miriana e Sofia 6 e mezzo. Purtroppo Sol e Alessandro furono gli unici della classe, tra le persone che ritenevo simpatiche, a prendere un’insufficienza: rispettivamente ottennero 5 e 4 e mezzo. Sol era molto triste.
«Giulia, ti dispiacerebbe venire a casa mia domani, così da aiutarmi in matematica? Questa verifica è andata davvero malissimo, non vorrei ricapitasse. Mi faresti un grande favore.» mi chiese cordialmente.
Non sarei potuta uscire con Mattia. Ma, pensandoci, capii che un pomeriggio non guastava nulla.
 
Non vidi Mattia nell’intervallo: continuavamo a far finta che tra noi non ci fosse nulla, all’interno della scuola. All’uscita finalmente lo scorsi. Mi aspettava all’angolo della strada, come sempre.
«Ehi ciao, com’è andata oggi?» mi chiese, dandomi un bacio sulle labbra.
«Abbastanza bene, grazie, a te?»
«Bene.»
A volte sembrava non fossimo nemmeno fidanzati, ma a me stava bene così. Non mi piacevano quelle coppie che non facevano altro che farsi complimenti o sbaciucchiarsi, mi piaceva la complicità tra le due persone, il comportarsi da fidanzato ma allo stesso tempo da amico.
Fece una pausa di silenzio più lunga del solito.
«C’è qualcosa che non va?» domandai stupita.
«Beh.. Non esattamente.»
«Guarda che puoi dirmelo.»
«E’ una cosa mia.»
Abbassai lo sguardo. Non mi piaceva essere trattata così, ma era una sua scelta.
«Non ti sembra che stiamo correndo troppo?» mi domandò.
«In che senso?» Ecco che mi sovrastò l’ansia. Forse voleva troncare. A pensare che io ero così felice. Magari si era già stufato.
«Non fraintendermi. Intendo.. Forse è troppo presto per dirlo ai tuoi genitori. In fondo usciamo solo da qualche giorno.» tirai un sospiro di sollievo.
«Ma non centra, non dev’essere una cena formale, solo una presentazione, così che mia madre sappia con chi esco. Lei è un po’ apprensiva e io voglio che non mi proibisca di uscire con te.»
«E’ che ho paura. Magari le starò antipatico. Io sono un po’ asociale. E poi non so parlare in maniera sensata. E quando vedrà la benda sulla mia mano? Cosa penserà?»
Risi. Mi piaceva il suo modo di fare. Era ansioso quasi quanto me. Ero contenta del fatto che si preoccupasse di piacere a mia madre. Lo faceva per me.
«Perché ridi?!» domandò curioso.
«Tu non devi avere paura di niente. Sei simpaticissimo, parli benissimo e beh, per la benda.. le diremo che ti sei slogato il polso.»
«La tua sicurezza mi fa stare bene.» mi abbracciò.
Passammo una giornata bellissima e infine arrivò il momento di tornare a casa. Mattia era agitato.
Suonai il campanello e mia madre venne ad aprire.
«Ciao tesoro.» disse dandomi un bacio. «Tu devi essere Mattia, giusto?» domandò.
«Buongiorno signora Molinari. Sono felice di conoscerla.» notai il suo imbarazzo.
«Puoi chiamarmi Antonella. Entra pure. Vuoi fermarti a cena?»
In quel momento mi sentii io in imbarazzo.
«Ehm.. Mamma, credo che Mattia abbia da fare.» risposi al suo posto.
«Smettila, Giulia. Allora caro, ti va di restare?»
«Non si preoccupi, Antonella. Devo tornare a casa per cena, mia madre mi aspetta. »
«Oh, come vuoi. Sono felice di averti conosciuto, sei proprio un bel ragazzo!»
Lo accompagnai alla porta e lo salutai con un bacio sulla bocca. Proprio in quel momento notai che quella fu la prima volta che lo sentii parlare dei suoi genitori.
Mia madre aveva ragione, era bellissimo. Aveva un viso meraviglioso. I suoi capelli erano neri e ricci, mi piacevano tantissimo. E poi aveva un sorriso magnifico, che mi incantava ogni volta solo al guardarlo. Aveva le labbra non troppo carnose e i denti perfetti. I suoi occhi erano azzurro mare. Era il tipico ragazzo bellissimo, e io non capivo come potesse stare con me. Ma in quel momento ero felice, niente poteva turbarmi.
Cenammo circa un’ora dopo della visita di Mattia. Mia madre parlò solo di Mattia, con certe pause nelle quali rimproverava Martina perché non mangiava.
«Mi sembra un ragazzo a modo.» concluse infine.
Ero sollevata. Andai a dormire felice.
L’indomani andai a scuola. Per fortuna era l’ultimo giorno della settimana. Mi sedetti nuovamente vicino a Sol, stavolta per scelta. Il giorno stesso sarei dovuta andare a casa sua, quindi preferivo parlarle un po’.
Lei rimase stupita quando mi sedetti al suo fianco.
«Ehi ciao, come stai?» mi domandò.
«Tutto bene e tu?»
«Bene grazie. Con Mattia?»
«Tutto bene.»
«Menomale, sono molto felice. Si vede che siete una bella coppia. Da quanto state insieme?»
«Da qualche giorno.» era strano si interessasse così tanto a me e lui.
«Siete bellissimi.» sorrisi in segno di risposta.
Non parlammo quasi più per tutta la giornata scolastica. All’uscita vidi Mattia e mi sorrise.
Andai con Sol verso casa sua. Non era molto lontana, arrivammo dopo qualche minuto. Era molto grande. I colori erano coordinati tra loro, i mobili nuovi e le pareti senza né buchi ne macchie.
Tutte le stanze erano spaziose. La sua era una delle più belle. Aveva un letto a baldacchino e un comò elegantissimo. Per passare tempo al computer o a studiare aveva un’altra stanza.
«Hai fratelli o sorelle?» domandai.
Tacque per un po’.
Poi si decise a rispondere. «No, sono figlia unica.»
Ci dirigemmo verso lo studio, che si trovava vicino all’ingresso. Dentro di esso c’era un’enorme libreria, così iniziai ad osservare i volumi. C’erano i più celebri libri degli autori italiani, ma anche libri di letteratura inglese e sudamericana. Aveva anche molti libri in lingua. Amavo leggere, mi sarebbe piaciuto avere una libreria così.
«Scusa, vado un secondo in bagno.» mi disse sorridendomi.
Intanto feci un giro per la casa, nell’ingresso. Mi arrivò un messaggio:
Ehi Giu, credo di aver lasciato le chiavi di casa nella tua borsa. E’ un mazzo con tre chiavi e un portachiavi a forma di maglia con scritto “Madrid”. Potresti controllare se lo hai tu?” Era Mattia. Controllai nella borsa, ma voltai subito la testa verso il mobile d’ingresso di casa di Sol. C’erano delle chiavi che corrispondevano alla descrizione del messaggio.
Che diamine ci facevano le chiavi di Mattia in casa di Sol?!



SPAZIO AUTRICE
Ciao a tutti. Inizio col dirvi che questo è forse il capitolo che mi convince di meno, ma l'ho pubblicato per vedere se magari a voi piace. Se non sarà così, lo riscriverò.
In questo capitolo c'è molto mistero. Voi come vi immaginate Mattia? E Giulia? Come li vedete come coppia? E soprattutto, secondo voi qual è la risposta all'ultima domanda del capitolo?
Mi piacerebbe leggere vostri commenti!
Colgo nuovamente l'occasione per ringraziare i 9 RECENSORI, grazie a tutti per ciò che mi avete scritto, e le persone che hanno aggiunto la storia tra seguite/preferite/ricordate. Ringrazio come sempre i miei amici e le persone che mi circondano.
Grazie a tutti quelli che hanno letto la storia, quasi 500!
Fatemi sapere che ne pensate, un bacio! PS: SE TROVATE ERRORI DI QUALUNQUE GENERE ( GRAMMATICA, RIPETIZIONI..) VI PREGO DI DIRMELO. GRAZIE!

                            @jepsenseyes

BANNER CREATO DA @flawsnov

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


                                         

 Capitolo 4

 
Per tutto il pomeriggio in casa di Sol decisi di far finta di nulla, nonostante il tormento che c’era dentro di me, che si sfogò tornando a casa, scoppiando a piangere. Non riuscivo a capire. Io sentivo che era sincero e non mi spiegavo perché si fosse comportato così male, non riuscivo a comprendere il perché, che cosa gli mancava stando con me, cosa aveva ottenuto uscendo anche con Sol.
Cosa c’era di sbagliato in me? Perché tutte le persone, dopo avermi conosciuto, se ne andavano? Piansi fino a farmi colare il trucco sul volto. Gli occhi diventavano rossi, il viso bagnato, le labbra sempre più chiare e secche. Presi le cuffiette dalla tasca, ne avevo bisogno. Quando la canzone partì, il morale mi si risollevò, anche se di poco. La musica scorreva nelle cuffiette e poi nelle mie vene fino ad arrivare al mio cuore e coinvolgere ogni parte di me. Ascoltavo canzoni in base al mio umore. In quel momento ascoltai una canzone molto triste, così piansi ancora di più.
Arrivata nel vialetto di casa, mi sedetti sul muretto, mi sfogai ancora cinque minuti e mi asciugai le lacrime: non potevo permettere che i miei genitori mi vedessero in quelle condizioni.
Entrai in casa come se niente fosse. Mia madre stava preparando la cena, mio padre la aiutava mentre chiacchieravano e mia sorella piangeva in camera.
«Ehi Marty, che cos’hai?» le chiesi. Ebbi l’impressione che in quel momento stesse piangendo la maggior parte delle persone del mondo. Forse era contagioso.
«I miei compagni mi prendono in giro.» con quest’affermazione mi pianse il cuore. Stava iniziando a conoscere il mondo. Non ero brava a consolare le persone riguardo cose che succedevano anche a me.
«Oh tesoro, e che cosa ti dicono di tanto brutto da farti stare così?»
«Mi dicono che sono brutta e grassa, e poi che i miei capelli sono troppo corti per una femmina.»
«Amore tu non sei affatto brutta, sei la bimba più bella e dolce che esista! Non devi farti abbattere, tu sei meglio di loro, e se a te piaci così nessuno deve farti cambiare! Sei una principessa e le principesse vincono sempre!»
Mi abbracciò forte. Una lacrima scese sul mio viso, peggiorando la situazione antecedente.
 
Ero totalmente confusa, non sapevo come affrontare Mattia. Optai per l’indifferenza: a tutti i messaggi che mi arrivarono quel giorno non risposi. Dopo essersi giustamente stufato di scrivermi, provò a chiamarmi, ma ovviamente invano, non avevo intenzione di parlargli. Aiutava il fatto che il giorno dopo ci sarebbe stato il weekend, così non l’avrei potuto vedere, ma la situazione non cambiò: due giorni dopo, in seguito a varie telefonate e messaggi, suonò alla porta. Mia madre gli aprì, ma io, immaginando fosse lui, l’avevo avvertita prima.
«Ciao Mattia, come stai? Sei venuto a trovare Giulia? Mi dispiace non è in casa.» sentii mia madre dall’altra stanza.
«Buongiorno Antonella. Mi dispiace rivolgermi a lei in questa maniera, ma io ho assolutamente bisogno di vederla e so che è in casa. La prego, lei può capirmi. E’ mai stata innamorata davvero? Allora mi capisca, e se non mi fa entrare aspetterò tutta la sera qui fuori, non ho niente da perderci. La prego.»
Per mia sfortuna mia madre cedette.
«Entra.»
Arrivò il momento in cui non sapevo assolutamente come comportarmi. Mi rifugiai in camera.
«Ciao Mattiaaaaa.» mancava solo mia sorella, il quadretto completo.
«Giulia è in camera sua.» affermò mia madre.
Si avvicinò alla mia stanza e, sulla soglia della porta, bussò. Non so cosa mi passò in quel momento per la testa, ma andai ad aprire e lui mi si buttò addosso, baciandomi.
«Scusami era troppo che non lo facevo. Dove sei finita?»
«Vattene. Non ti voglio più vedere.»
«Ma.. Cosa stai..?»
«Ho detto vattene. Io e la mia famiglia tra poco andiamo a dormire, non vogliamo disturbi.» mi vergognai per averlo trattato tanto male, ma se lo meritava. Nei miei occhi si poteva notare l’odio.
«Guarda che sono le nove. Perché mi tratti così? Dici a me che ho sbalzi di umore e ti tratto da schifo, ma tu non fai di meglio.»
«Io magari ho buone ragioni per farlo. Ti ripeto, vattene. Ho sonno stasera.»
«Ti prego, Giu. Esci un attimo con me, così parliamo. Non puoi fare così. Almeno dimmi cosa ti ho fatto. Per favore.» non riuscii a rifiutare.
«Ho trovato le tue chiavi in casa di Sol, chissà come ci erano finite.»
Abbassò la testa come segno di colpevolezza.
Fu come se le parole uscissero da sole dalla mia bocca, non riuscivo a fermarmi, non ci capivo più nulla.
«Mi vuoi dare una spiegazione? Ah no, giusto. Ovviamente non c’è. Me lo potevi dire subito che non te ne fregava niente di me e di noi, potevi dirmi di non illudermi, di non pensare anche solo per un momento che persino per me ci potesse essere un lieto fine. Potevi dirmi che uscivi con me mentre andavi a casa di un’altra ragazza, che oltretutto è una mia compagna di classe. Mi hai illusa, io ti credevo diverso.»  gli urlavo con le lacrime agli occhi. «Mi hai ferita profondamente. Da te non me lo sarei mai aspettata. Ma è colpa mia, solo questo so fare, illudermi. Mi sento così stupida. Come ho potuto pensare che dietro tutto questo non ci fosse qualcosa? Era troppo bello, dovevo capirlo.» singhiozzavo. «Mi fai schifo, solo questo. Ma ti giurò che lo supererò, perché, anche grazie a te, sono diventata forte. E per me resterai una parte fondamentale della mia vita, malgrado tra di noi ci sia stato poco. Non voglio più parlarti, mai più. Non farti più vedere, voglio dimenticarti.» feci per andarmene, ma mi prese per un braccio e mi diede un bacio. Ricambiai con uno schiaffo.
«Come puoi giungere a conclusioni così definitive senza nemmeno avermi lasciato parlare? Tu non capisci! Scusami se sono stato troppo fragile, ma non è facile. Scusami se non te ne ho parlato. Scusami se non ho avuto forza per resistere.  Ma come potrei farti solo capire che sei diventata il senso di ogni mio giorno? Come potrei dirti ora come ora che senza te non potrei vivere? Scusami se ora non sto facendo altro che confonderti, ma vorrei fare tutto per non perderti. Di’ qualcosa oppure abbracciami. Ne ho bisogno.»
Piansi ancora di più e lui mi seguì.
«Perché mi menti ancora? Perché mi illudi nuovamente con frasi che non potranno mai essere vere? Io non ti capisco, te lo ripeto, ti credevo diverso. E ora vattene!»
«Non è come pensi tu, io non sto con Sol! Perché non vuoi capire?» tirò un pugno contro il muro e gli sanguinò la mano. Urlai dal pianto.
«E allora perché le tue chiavi erano da lei? Perché non so niente della tua vita, del tuo passato? Perché, spiegamelo!» ancora oggi non capisco come riuscii a pronunciare una sola parola. Il mio pianto era incessante.
«Vuoi saperlo davvero?» gridò.
«Sì, voglio saperlo, dimmelo e anche subito, voglio proprio vedere cosa..» non riuscii a finire la frase.
«Sol è mia sorella.»
 Le sue parole risuonavano nella mia testa. Mi ritornò quella sensazione che ormai da tempo non avvertivo, gli occhi mi divennero lucidi, probabilmente sbiancai. Iniziai a farmi domande di tutti i generi, mi chiesi perché stessi vivendo tutto ciò, perché non andasse tutto bene solo per una volta. Non ero più in me, avrei potuto dire di tutto in quel momento, ma tacqui. Mattia si accorse del mio malessere.
«Giulia, Sol è mia sorella.» ripeté, quasi apposta. Sentivo che stavo per svenire, lo guardavo negli occhi e non dicevo nulla.
«Giulia va tutto bene? Sei sconvolta.» non sapevo perché avessi quella reazione, ma non potei fare altrimenti: dalla mia bocca non usciva una parola. Seppe come prendermi.
«So che in questo momento non sai cosa dire, ma ascoltami. Ora ti racconterò tutto.» lo guardai in segno di approvazione. Era incredibile come riuscissimo a capirci con un solo sguardo.
«Giocavo a calcio, fino all’anno scorso. Tutti mi dicevano che sarei diventato un campione, che ne avevo la stoffa, dicevano sarebbe stato il mio futuro: mia madre, i miei compagni di squadra, il mio allenatore..» fece una pausa e sorrise mentre ricordava il passato. Finalmente era arrivato il momento della verità e io non vedevo l’ora di saperla.
«Sol era una ballerina; spesso lei e il suo gruppo venivano alle nostre partite per fare le cheerleaders. Non aveva un fisico adatto alla danza, era sovrappeso, glielo dicevano in tanti e questo la faceva stare veramente male. Io, invece, ero felice per la mia carriera, ma la mia situazione familiare mi ostacolava: ero cresciuto senza mio padre. Lui vive in Germania, se ne andò quando avevo solo 6 anni, diciamo che non gli ho mai perdonato la sua partenza. Non si è mai preso cura di me come un padre dovrebbe fare. Dentro di me ho moltissima rabbia verso di lui, ma nello stesso momento vorrei che fosse con me.» mi spiegò. Rimasi sempre più sorpresa, aveva taciuto per molto tempo e ora gli uscivano tutte le parole di bocca senza potersi fermare. «Ma questa è un’altra storia. Io e Sol ci conoscemmo e diventammo amici, avevamo molte cose in comune. Lei mi raccontava sempre dei suoi problemi alimentari, io le raccontavo di mio padre, insieme ci completavamo. Un giorno di marzo, ad una partita, mi successe il peggio che potesse succedere ad un calciatore: caddi a terra e, con una storta, mi ruppi il perone.» lo guardai sbalordita. Non sapevo cosa dire, ma, purtroppo o per fortuna, non mi diede nemmeno il tempo per farlo.
«Dopo l’incidente rimasi traumatizzato per mesi, sapendo che non avrei potuto giocare a calcio forse per sempre. Sol mi stette molto vicino e io a lei: dimagriva a vista d’occhio, ad aprile pesava appena 35 kg. I suoi genitori non notavano che la situazione stava degenerando. Lei non riusciva più ad andare avanti, mangiava a sforzo e vomitava sempre. Non voleva vedersi grassa, voleva poter ballare. Un giorno svenne e andò al pronto soccorso, così finalmente i suoi genitori si accorsero di tutto e iniziò ad andare da uno psicologo. Così iniziò pian piano a mangiare nuovamente, fino ad ora, che ha un fisico perfetto. Ha fatto tanti sacrifici per riuscire nel suo intento.» non riuscivo a crederci, più ascoltavo le sue parole più ero incredula.
«Ci aiutammo a vicenda, superando tutto, ma non dimenticando nulla. Ora Sol sta bene, ha un fisico bellissimo, ma non può scordare il suo passato.»
«E tu?» azzardai.
«Nemmeno io. Dopo l’incidente iniziai a cambiare anche caratterialmente, diventai scontroso e costantemente arrabbiato, non potevo sfogarmi giocando a calcio, iniziai così a farlo dando pugni sui muri, procurandomi ferite come quella che hai visto. In quel periodo mia madre mi disse che Sol era mia sorella: non mi stupii, anzi, a quel punto capii come mai avevamo così tante cose in comune e ci capivamo con un solo sguardo. Mia madre mi raccontò che mio padre era stato fidanzato con la madre di Sol e l’avevano avuta, ma io non capivo perché non me l’avesse detto prima. Non riuscii a perdonarla per questo nei primi tempi, ma ora il mio rancore è finito, voglio godermi mia sorella.
Riguardo il calcio, dopo tanta fisioterapia ed esercizi, il medico mi ha detto che potrei tornare a giocare, non da professionista, ma provare a ricominciare. Ma io ho paura.
Avevo bisogno di cambiare aria, così decisi di cambiare scuola e optai per la stessa di Sol.  Si è rivelata la scelta migliore della mia vita, perché ho conosciuto te, che ora sei una parte fondamentale della mia vita.» cercai di non piangere, ma non riuscii. Le lacrime scorsero sul mio viso e lui mi sorrise, iniziando poi a piangere. Secondo me si era trattenuto durante tutto il suo discorso e in quel momento si stava sfogando.
«Io non so davvero cosa dire. Mi hai reso migliore, in tutti i sensi. Io sarò al tuo fianco, sempre. Insieme supereremo tutto, te lo prometto.» risposi.
Se ne andò e io non riuscii a dormire per tutta la notte. Pensavo a Sol, pensavo a come fossi stata cieca a non essermi accorta di nulla. Immaginavo il suo sorriso, che forse è sempre stato finto, io non mi ero mai accorta di nulla. Pensavo a Mattia, non mi aspettavo una storia tanto travagliata. Doveva aver sofferto molto. Ma io sarei rimasta con lui, nonostante tutto, nonostante tutti.
 
Riflettei riguardo al suo discorso per tutta la notte, persino chiedendomi se fosse tutto vero o solo una mia fantasia. Dal primo momento che l’avevo conosciuto avevo pensato che fosse diverso dagli altri, ma che non lo esternasse. E’ incredibile come le persone possano nascondere la propria vita agli altri, sentendosi oppresse dal peso del loro passato, delle persone che li circondano, del mondo intero. Ancora oggi mi chiedo come sia possibile tutto ciò, come si possano superare i momenti nei quali nessuno è lì ad ascoltarti e in cui devi tenerti tutto dentro, stringere i denti ed aspettare che tutto finisca, urlare dentro te stesso, consapevole che nessuno potrà sentirti. Queste sensazioni allora mi erano già capitate ormai molte volte, quindi potevo comprendere il dolore di Mattia nel raccontarmi la sua storia. E come potevo essere sicura che mi avesse raccontato tutto?
 
Dopo aver acceso il cellulare il mattino seguente, lessi un messaggio di Mattia.
Dopo scuola vieni a casa mia.” Quel messaggio mi mise una tale paura, ma anche felicità. Ero contenta perché finalmente iniziava a fidarsi di me e voleva farmi entrare nel suo mondo, ma avevo timore che si potesse pentire di tutto ciò.
A scuola mi sedetti nuovamente accanto a Sol, ma, prima di lasciarla aprir bocca, la abbracciai forte. Ne avevo bisogno, ed ero sicura che per lei fosse lo stesso. Sentivo che, molto presto, saremmo diventate molto amiche.
Dopo l’abbraccio, potei vedere i suoi occhi azzurri che mi fissavano con uno sguardo spensierato, e il suo sorriso davvero sincero.
«Mattia ti ha detto tutto, vero?» disse. Annuii. «Scusami se non te l’ho raccontato prima, ma non è facile per me. Per noi.»
«Non devi preoccuparti.»
«Sei la persona che sento più vicina a me in questo momento.» affermò. Le rivolsi un sorriso, stupita. Erano parole bellissime che, non sapevo per quale motivo, provavo anche io.
«Anche tu.» ci fu un attimo di silenzio. «Oggi pomeriggio vado a casa di Mattia.» non capivo perché gliel’avessi voluto dire, ma mi venne naturale. Con lei riuscivo a confidarmi meglio che con chiunque altro.
«Andrà tutto bene, te lo garantisco. Mattia ci tiene tantissimo a te, vuole farti diventare parte della sua vita più di quanto tu già lo sia ora.» quelle parole mi resero felice.
«Ho paura di non essere abbastanza.» Sol sogghignò. «Perché ridi?»
«Non sai quante volte ho detto questa frase.» fece una pausa. «Ma chi lo decide chi o cosa è abbastanza? Chi detta le regole? Chi giudica ciò che sei o ciò che fai? Nessuno ne ha il permesso, io purtroppo l’ho capito troppo tardi, ma tu sei ancora in tempo per ritirare quello che hai appena detto. Se una persona si autorizza a darti giudizi, è perché ha paura che ne vengano dati ad essa. Mattia non è così, è diverso e lo sai anche tu. Non rovinare tutto con le paranoie e l’ansia, fidati di me.» le sue parole mi lasciarono spiazzata. Non la credevo così, la credevo totalmente diversa. Si dimostrò molto decisa.
«Grazie di tutto.» affermai.
 
Sol mi aveva ridato la speranza, era riuscita a fare qualcosa che io avevo sempre tentato di fare: salvare qualcuno. Salvare dal pericolo, salvare dalle persone e, perché no, salvare da se stessi. Ognuno ha bisogno di qualcuno che, in qualche modo, possa salvarlo. Io, ormai, ne avevo bisogno da tanto tempo, ma nessuno era ancora stato disposto a farlo. Ho passato mesi avendo paura, temendo di cadere nel vuoto che io stessa mi ero creata a insaputa di tutti, ma ora tutto ciò non mi bastava più: avevo toccato il fondo, ma volevo rialzarmi e tornare a vedere la luce che c’era oltre le nubi che mi circondavano, volevo vedere ciò che fino ad allora non ero stata in grado di notare, volevo scoprire ciò che aveva in serbo il mondo per me, volevo uscire dal vortice di negatività creatosi intorno a me. Avevo intenzione di farlo quello stesso pomeriggio, superando le mie paure.
 
All’uscita, Mattia era con Daniel ed altri suoi compagni. Dall’espressione che avevano quando si voltarono, capii che avevano intuito qualcosa.
«Giulia ti sta aspettando.» disse un ragazzo, di cui non conoscevo il nome, a Mattia. Forse gli aveva raccontato tutto. Mattia salutò i suoi amici e si diresse verso di me, dandomi un bacio, provocando così lo stupore nella folla di ragazzi che ci circondavano.
Ero molto felice, tutto ciò mi diede più forza per il superamento delle mie paure che avrei dovuto affrontare dopo pochi minuti. Ci dirigemmo appunto verso casa sua: non era molto lontana dalla scuola, ma in direzione opposta rispetto alla mia.
Arrivammo dopo qualche minuto. Viveva in un appartamento al piano terra. Mi chiesi se ci fosse qualcuno in quel momento e, come avendomi letto nel pensiero, mi tranquillizzò.
«Non c’è nessuno.» tirai un sospiro di sollievo, sorrise. «Entra pure.»
Vivendo solo con sua madre, non aveva una casa molto grande, ma aveva una stanza tutta per sé. Ci dirigemmo verso di essa.
«Scusami, non ti ho fatto vedere le altre stanze.» il silenzio regnava tra noi. Potevo notare il suo imbarazzo, che era pari al mio. «Ehm.. Questa è la cucina.. Di qui c’è il salotto, la camera di mia madre e beh.. Questa è la mia stanza.» le pareti erano di un blu acceso e il pavimento in parquet. C’era un letto a una piazza e mezza quasi al centro della stanza,  davanti al quale c’era un grande armadio. Possedeva anche una piccola scrivania con un computer. Su di essa potei notare dei fogli scritti a penna stilografica.
«Che cosa sono?» domandai prendendoli in mano. Mi fermò subito.
«Oh, lascia stare, non è niente.» lo guardai alzando un sopracciglio. Dopo qualche secondo rispose. «Mi piace scrivere. Principalmente poesie.» abbassò lo sguardo, come vergognandosi. Sorrisi.
«Potrei leggerne una?» annuì, abbassando lo sguardo.
 
“Sento il battito del tuo cuore, in questa notte fredda e buia.
Sento che la mia testa scoppierà, oppressa da tutti i miei pensieri.
Ma poi tu ti volti, mi contempli, mi sconvolgi.
E così il controllo della mia mente prendi.
Perché quello che fai io faccio, e quello che vuoi io voglio,
giacché ormai tu sei tutto quel che io sono.”
 
Non sapevo cosa dire, le parole non sarebbero bastate. Ogni attimo andavo scoprendo cose nuove e inaspettate. Sapeva esprimersi in una maniera incredibilmente meravigliosa.
«E’ davvero stupenda.» fu tutto ciò che riuscii a dire. Sorrise imbarazzato. Non l’avevo mai visto così prima d’ora, era totalmente diverso. Si distese sul letto e mi invitò a stare accanto a lui.
Mi baciò in modo lieve e appassionato, per poi sussurrarmi all’orecchio: «Ciò che hai appena letto è, in misere parole, quello che penso di te.»
«Sono le parole più belle che abbia mai sentito.»
Si sollevò per guardarmi bene negli occhi.
«Io mi fido di te.» mi insospettii, sapevo che c’era qualcosa sotto. «Tu ti fidi di me?»
«Certo! Perché me lo chiedi?»
«Io con te mi sono aperto.» abbassai lo sguardo, sapevo cosa voleva dirmi. «Dicevi che di me non sapevi nulla, ora invece sai praticamente tutto, ma io di te non so nulla. Sai che prima o poi dovrai dirmi qualcosa.»
«Forse quel momento è arrivato.» non so come riuscii a pronunciare quelle parole, ma mi sentii meglio al solo pensiero di parlargli, di dirgli tutto ciò che avevo taciuto per tanto tempo.

 



//SPAZIO AUTRICE//
Ciao a tutti, dopo un po' di tempo eccomi tornata! :)
Per scrivere questo capitolo ci ho messo davvero tanto, non ho avuto molte idee ma alla fine eccomi qui. Come vedete, si entra sempre di più nel vivo della storia e si scoprono più cose.
Come sempre, ringrazio le 20 recensioni, le persone che hanno inserito la storia tra seguite/preferite/ricordate e i miei amici. Se trovate errori di qualunque genere vi prego di dirmelo.
Al prossimo capitolo!
PS: una recensione non costa nulla :)
 BANNER BY @flawsnov
                                                             @jepsenseyes

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


                                                   

Capitolo 5

Respirai profondamente. Un nodo mi riempiva lo stomaco e si estendeva fino alla gola, in modo da non farmi riuscire a pronunciare una singola sillaba. L’aria diventava più fredda, poi più calda, per poi ritornare più fredda. La mia pelle era più bianca del solito, potevo sentirlo dal dolore che si propagava nella mia testa. Nella mia vita non mi era mai capitato di dover raccontare una storia, la mia storia, ad altre persone, forse perché mai me l’avevano chiesto, forse perché mai avrei voluto farlo. Magari le due cose erano una la conseguenza dell’altra.
Tacendo, continuavo a compiere gesti involontari come arrotolarmi i capelli o mangiarmi le unghie. Avevo questi vizi fin da piccola, anche se cercavo di smettere.
Mattia poté notare la mia situazione d’imbarazzo e mi sorrise, come per incoraggiarmi.
«Io, ecco..» non riuscii a finire.
«Ciao, Mattia! Sono tornata, dove.. Oh, ciao, scusate il disturbo, davvero, non volevo disturbarvi..» entrò nella stanza una donna dai capelli scuri e dagli occhi grandi e azzurri, vestita in maniera molto elegante. Capii subito che era la madre di Mattia. Arrossii imbarazzata, ma forse lei lo era addirittura più di me. Non mi voltai verso Mattia, così non seppi che reazione ebbe.
«Non importa, mamma. Lei è Giulia. Giulia, lei è mia madre, Laura.» Mattia pronunciò queste parole con un tono abbastanza scorbutico.
«Piacere» dissi.
«Piacere cara.» mi rispose.
«Bene, mamma. Direi che ora puoi lasciarci da soli.» affermò Mattia.
«Non si preoccupi, signora, me ne stavi giusto andando.» dissi.
«No. Non te ne andare.» mi sussurrò Mattia a bassa voce. Io ormai stavo camminando verso la porta, Laura decise di accompagnarmi all’ingresso, mentre Mattia rimase coricato sul letto. Al varcare la porta, sentii il rumore di un oggetto appena caduto a terra.
«Con lui devi avere pazienza, ti posso capire.» mi disse Laura dolcemente.
Arrivammo quasi subito alla porta d’ingresso. «Sono molto felice che tu sia la ragazza di Mattia. Abbi cura di te, cara.» mi disse infine.
«Grazie mille, a presto.» conclusi. Ero davvero felice per ciò che la madre di Mattia mi aveva appena detto.
Nel cammino di ritorno, riflettei a lungo riguardo a Laura, per poi ricordarmi solo infine della conversazione interrotta. Non ero dispiaciuta, probabilmente non era il momento giusto, non me la sentivo ancora di dirgli tutto. Inoltre l’indomani Mattia non sarebbe potuto uscire, perciò sarei riuscita a sfuggire dall’argomento per un po’.
 
Tornata a casa, mia madre si arrabbiò con me perché in quel periodo non ero mai a casa, dicendomi che stavo mettendo da parte la scuola, cosa che non era mai successa. Io non la pensavo così, e oltretutto mi dava fastidio che le persone mi imponessero qualcosa; studiavo per me, e sapevo organizzarmi da sola. Odiavo litigare con i miei genitori: qualunque cosa mi dicessero non potevo ribattere, perché se no ero considerata arrogante.
Preferii assicurare loro che mi sarei impegnata molto a scuola invece che litigare, così tornai in camera mia e mi venne un’idea in mente: il giorno dopo avrei invitato Sol a casa mia per studiare, ma anche per parlare, visto che entrambe avevamo molte cose da dire. Non so cosa ci fosse in lei di diverso dalle altre amiche che avevo avuto, ma stranamente con Sol riuscivo a stare bene. Nella mia vita non avevo mai avuto amiche particolarmente presenti, forse a causa mia, perché non mi trovavo a mio agio con nessuno. Ma qualcosa mi spingeva a fidarmi di Sol, magari l’impellente desiderio di trovare una vera amica. Volevo molto bene alle mie compagne di classe, ma molte volte con loro mi sentivo fuori posto.
Inviai un messaggio a Sol: “Ehi, domani dopo scuola ti andrebbe di venire a casa mia?”
In attesa di una risposta, riflettei per qualche minuto su ciò che stavo vivendo; avevo una tale confusione in testa. In poco tempo avevo incontrato un ragazzo più simile a me di quanto potessi immaginare, che non aveva avuto una vita facile, e avevo scoperto che una mia compagna di classe, con cui non avevo praticamente mai parlato, era sua sorella. Mi chiesi cosa stavo davvero cercando nel mondo, se tutto ciò sarebbe stato la mia strada, se sarei stata felice. Prima la mia vita era totalmente vuota, passavo le giornate a far nulla sperando che qualcosa cambiasse. Era come se fossi affondata nelle profondità del mare: tutti si immergevano, ma nessuno aveva il coraggio e la voglia di arrivare agli abissi, per poi salvarmi.
Il suono del cellulare mi fece sobbalzare.
Ehi, certo va benissimo. Grazie dell’invito.”
Sapevo che si chiedeva perché l’avessi invitata; in realtà me lo domandavo anche io. Negli ultimi tempi avevo lasciato da parte tutto ciò che non fosse Mattia, forse questa sarebbe stata un’opportunità di avere qualcuno al mio fianco oltre lui.
Trascorsi la serata riflettendo di tutto ciò, per poi addormentarmi.
 
Il giorno seguente arrivai in classe in ritardo. Sulla lavagna il professore aveva già scritto la data, martedì 6 Dicembre 2011.
Come tutte le mattine, mi chiesi perché lo facesse, ma dopo poco lo ignorai. Inoltre non avevo la minima voglia di ascoltare la sua pessima lezione di matematica, non vedevo l’ora che fosse il pomeriggio stesso.
Al sedermi vicino a lei, Sol sembrò nuovamente soddisfatta. Ipotizzai che si chiedesse sempre cosa ci trovassi in lei, ma sembrava avesse lo stesso atteggiamento con me.
Le ore sembravano infinite, potevo sentire solo la voce del professore: tra me e Sol  regnava il silenzio, quel silenzio di due persone che hanno troppo da dire.
Passavo il tempo in cui mi annoiavo a contemplarla, a guardare i suoi magnifici occhi azzurri, ricchi di sfumature giallognole. Continuavo a invidiarla, ma stavolta non solo per il suo aspetto, ma per la sua continua forza, la sua tenacità, la sua capacità di essere sempre sorridente, nonostante tutto.
Negli intervalli intravidi Mattia più volte e lui mi notò, ma non ci salutammo neanche. Io camminavo per la scuola in compagnia di Chiara, Sol e Luca e, per pura casualità, al passare davanti al gruppo di Mattia, stavo chiacchierando e ridendo con Luca. Mattia ci fulminò con lo sguardo, facendomi arrabbiare molto: lui si trovava nell’atrio della scuola in compagnia di Daniel, Alessandro, un ragazzo di cui avevo appena saputo il nome che era quasi più antipatico di Daniel, e quell’odiosa oca, Sara. La detestavo. Dopo avermi vista con Luca, Mattia fece per andare ad abbracciarla, ma lo guardai malissimo e capì che sarebbe stata un’azione infantile.
 
Dimenticai l’accaduto da quando, all’uscita, mi concentrai su Sol. Ci avviammo verso casa mia, scambiandoci ogni tanto qualche sorriso, o parlando solo per mantenere attiva la conversazione, facendo considerazioni sul tempo o sulla giornata scolastica.
«Non passi molto tempo con Mattia» affermai a testa bassa «A scuola, dico.» mi guardò sorridendo.
«Si potrebbe dire la stessa cosa di te.» sogghignai.
Entrammo in casa, mangiammo velocemente e ci dirigemmo verso la mia stanza.
«Mi piace casa tua.» disse Sol. Mi limitai a sorriderle.
«Allora, che si fa?» chiese.
«Puoi sederti, fa’ come se fossi a casa tua. Studiamo biologia?»
Non mi rispose; notai che stava osservando le mensole della mia stanza nelle quali si trovavano i miei libri. Si soffermò su uno in particolare, “Il freddo dell’inverno”. Avevo letto quel romanzo  qualche mese fa, parlava di anoressia.
«L’hai mai letto?» osai chiedere.
«Me l’aveva consigliato Maria.» rispose a testa bassa. Inarcai il sopracciglio. Non avevo il coraggio di chiederle di più sull’argomento, ma lei lo capì da sola. «Era la mia psicologa. E’ la mia psicologa.» si corresse. Parlava del suo passato quasi apertamente.
«E ti è piaciuto?»
«Mi ha aiutata.» disse tranquillamente. «Iniziamo biologia?» concluse infine.
Non avevo alcuna intenzione di studiare, volevo solo parlare con lei. Aprì il libro per poi richiuderlo, quasi leggendomi nel pensiero.
«Come va con Mattia?» mi domandò.
«Non c’è male.»
«Vi siete sentiti dopo stamattina?»
«No.» risposi freddamente.
«E cosa aspetti a scrivergli?»
«Non ho intenzione di farlo.» mi guardò sbalordita.
«Sai che lui non lo farà mai?»
«E’ un problema suo. Lui ha sbagliato.»
«Lui invece pensa lo stesso di te. Non aspettare che siano sempre gli altri a chiedere scusa, farlo non ti costa nulla. A te importa di lui e questo lo so bene.»
Abbassai lo sguardo, non sapendo cosa rispondere.
«Fallo.» mi passò il cellulare, che si trovava sulla mia scrivania.
Esitando, accettai. Componendo il messaggio, ogni tanto alzavo gli occhi verso Sol come per chiederle se stavo agendo correttamente.
“Ehi, come stai? Non ci siamo sentiti per niente oggi.”
Ciò che avevo scritto non mi convinceva affatto, ma comunque inviai, facendo poi un cenno di affermazione a Sol, che mi sorrise.
«Hai fatto la scelta giusta.» disse.
La scelta giusta. Continuavo a ripetermi quelle parole mentre l’ansia aumentava aspettando la risposta di Mattia. O magari non avrebbe nemmeno risposto. Odiavo quando le persone non rispondevano ai messaggi, dimostravano quanto fosse inutile ciò che avevo scritto loro. Avrei preferito una risposta negativa invece che l’essere ignorata dalla gente.
Per fortuna quella volta non fu così: dopo qualche minuto Mattia mi rispose, il cellulare vibrò e sia io che Sol sobbalzammo.
“Scusami per oggi. Dove sei?”
Con lo sguardo fisso verso lo schermo, sorrisi buffamente, mentre Sol mi guardò divertita.
«Quindi? Ho fatto bene a dirti di scrivergli?»
«Mi ha chiesto scusa per oggi. Direi proprio di sì, grazie per tutto.»
«Sono io che devo ringraziare te.»
«No. Non so cosa ci trovi in me, come fai a sopportarmi.»
«Hai ragione, una qualunque persona forse non riuscirebbe. Una qualunque persona, subito dopo averti conosciuta, rifiuterebbe una seconda conversazione con te, penserebbe che sei strana, magari anche pazza.»
Alle sue parole, rimasi sbalordita. Inarcai il sopracciglio.
«Ma la realtà è che lo sono anche io, la realtà è che noi siamo molto simili. E’ per questo che riusciamo a “sopportarci”.» concluse infine.
Queste sue frasi mi permisero finalmente di comprendere ciò che mi sfuggiva, il motivo per cui volevo così tanto essere sua amica.
«Hai proprio ragione. Non so se te l’ho mai detto, ma ti voglio davvero bene.»
«Anche io.» affermò. «Ricordati che per te ci sono sempre.»
«Anche io per te, ovviamente.» risposi. «E con la nostra conversazione ho imparato molte più cose che studiando biologia.»
Rise.
«Se domani prendo un’insufficienza sarà colpa tua!» ridemmo entrambe.
«A me stranamente non importa nulla, potrei persino fare un’interrogazione da muta. La vita non è solo studio, e io in questo momento ho bisogno di confrontarmi con qualcuno. Purtroppo nessuno me ne ha mai dato l’opportunità.»
«Nemmeno a me, solo Mattia.» sorrisi, fiera di lui. «Non te lo lasciar scappare. Forse ha qualche difetto, anche molti, ma è davvero il migliore.»
 
La mattinata seguente, a scuola, continuavo a pensare alla chiacchierata con Sol del giorno prima: parlammo per molto tempo, fin quando sua madre non la venne a prendere. Ero davvero felice, non potevo chiedere altro. Avevo un’amica fantastica, avevo un ragazzo.. E, a proposito di Mattia, la mattina stessa non l’avevo ancora visto, ma decisi di andare a parlargli nell’intervallo. Era un po’ che non discutevamo e mi mancava.
Le ore passarono velocemente e la ricreazione arrivò quasi subito. I corridoi erano affollati, la moltitudine di gente si avvicinava al bar e alle macchinette. Mattia era seduto sul davanzale della finestra del bar, che dava sul cortile, e sorseggiava la sua coca cola insieme ai suoi soliti amici. Cercai di chiamarlo, ma non mi sentì, così fui costretta a raggiungerlo.
Alessandro fu il primo a notare il mio arrivo.
«Mattia, abbiamo visite.» scherzò. Lo fulminai con lo sguardo. «Stai tranquilla eh.»
Lo ignorai. «Vieni?» mi rivolsi a Mattia. Mi prese la mano e camminammo per i corridoi.
«Scusami ancora per ieri. Però anche io voglio delle scuse.»
«E di che? Stavo solo parlando con un mio compagno, non ho commesso un reato.»
«Ehi, non parlarmi così.» mimò una faccia dispiaciuta scherzosamente. Risi.
«Che scemo!»
«Dammi un bacio.» lo guardai alzando il sopracciglio, con espressione soddisfatta, ignorando la sua richiesta. «Muoviti!» il suo modo di scherzare mi faceva sorridere. «Dai, non chiedo molto.»
Afferrai la sua testa e la avvicinai al mio viso, dandogli un tenero bacio sulla guancia.
«Mi aspettavo di meglio.»
«Ah sì? Ok, mi hai offesa.»
Tentò di baciarmi e, ormai molto vicino alla mia bocca, suonò la campanella. Sorrisi soddisfatta.
«Troppo tardi.»
«Dopo non mi scappi.»
Niente avrebbe potuto rattristarmi in quel momento, o almeno così pensavo.
 
Quando tornai in classe, non era ancora arrivato alcun professore e i miei compagni erano divisi in gruppetti, seduti sui banchi.
Vicino alla finestra che dava sul cortile c’erano Miriana, Sofia, Giada e Chiara, mentre i maschi accerchiavano Sara, come sempre.
Mi domandai dove fosse Sol, quando improvvisamente entrò il professore. Sebbene l’intervallo fosse appena finito, avevo ancora bisogno di svagarmi un po’, così gli chiesi di andare in bagno, e mi rispose positivamente.
Camminai per i corridoi della scuola passando davanti a molte classi, tra cui quella di Mattia, affacciandomi alla porta per cercare di intravederlo, invano.
Arrivata al bagno delle ragazze, mi soffermai davanti allo specchio. Non mi piacevo, ma non era una novità; ci avevo ormai fatto l’abitudine. Aprii la porta del bagno e, con grande spavento, vidi Sol a terra.
Urlai d’impulso, ma dopo pochi secondi notai che non si era sentita male, era solo accovacciata in un angolo.
«Perché urli?!»
«E tu perché stai piangendo?»
«A volte mi succede, mi sfogo.»
«Mi hai fatta spaventare. Vieni in classe, il prof. si arrabbierà.»
«Mi interessa poco, ma va bene.» si alzò lentamente per poi seguirmi verso l’aula. Stranamente l’insegnante quasi non ci notò, pensai che probabilmente sapeva già dove si trovasse Sol.
Guardai il cellulare, c’era un nuovo messaggio da parte di Mattia.
“Oggi da me?”
Mia madre non voleva che io andassi a casa di Mattia, soprattutto se in casa non c’era sua madre, ma io la ignoravo.
Sapevo che, a casa sua, Mattia avrebbe voluto che finalmente gli raccontassi tutto, ma io non ce la facevo, avevo bisogno di essere sostenuta, avevo bisogno di qualcuno che mi aiutasse. Mi vergognavo perché la verità di Mattia era molto più dura della mia, ma nonostante ciò con me si era aperto liberamente, mentre io non ne avevo ancora avuto la forza.
«Ehi, che hai?» Sol notò la mia espressione perplessa.
«Oggi vado a casa di Mattia.» al principio mi guardò insospettita ma, dopo qualche secondo, capì.
«Non sai quanto vorrei dirgli tutto, sfogarmi con lui come lui ha fatto con me, ma io non riesco. Non ho mai avuto l’abitudine di parlare con nessuno, sono sempre stata sola.» dissi.
«Verrei con te.» quel condizionale mi incuriosì. «Ma non lo faccio perché ti voglio bene e voglio che reagisci. Di cosa potresti avere paura? Mattia ti accetterà sempre e comunque. Smettila di esistere, inizia a vivere.» sorrisi. Sapeva usare le parole giuste al momento giusto.
 
Il letto era in ordine, la biancheria nei cassetti, i libri sulle mensole, tutto era sistemato, forse anche i miei pensieri. Quando pochi minuti prima entrai in casa di Mattia, un brivido di ansia percosse il mio corpo. Ma, al varcare la porta della stanza di Mattia fu come entrare in un tunnel, il tunnel del passato. Tutto ciò che c’era in quella stanza rappresentava il suo passato, ed io non me n’ero mai accorta. Sulla mensola più alta della libreria potei notare una statua d’argento di un calciatore, circondata da qualche foto di lui da piccolo, con sua madre, ma la mia attenzione si soffermò su una in particolare. Si trovava dietro altre cornici e rappresentava un bambino e un uomo. Si trovavano entrambi in una strada, il bambino portava uno zaino in spalla e aveva un sorriso smagliante. Un uomo alto e robusto gli teneva la mano; portava dei pantaloni neri con giacca e cravatta abbinate. Lo riconobbi immediatamente.
«Ehm..» mi interruppe Mattia.
«Sì, scusami, mi ero incantata.» si avvicinò a me e mi baciò. Il nostro bacio non durò molto, ma in seguito rimanemmo inermi, guardandoci, mentre stringeva il mio collo con le sue mani. I suoi occhi azzurro ghiaccio erano così profondi che mi sembrò, per un momento, di affondarci dentro. Amavo scrutare ogni centimetro della sua pelle; da così vicino potevo notare le piccole imperfezioni del suo viso, che lo rendevano ancora più bello. Mi guardava in modo possessivo, quasi facendomi paura.
«Sono un disastro.» dissi infine.
«Anche io.» mi fece sorridere.
«Dico sul serio.»
«Non lo sei.»
«Rifiuto il mondo ma al tempo stesso il mondo rifiuta me.» mi guardò senza dire nulla. «Non dici niente?»
«Ora è il tuo momento di parlare.»
«Io.. Non so da dove cominciare. Non c’è un principio.» feci una pausa. «Ero innamorata.» strinse gli occhi. «Lui non corrispondeva, io ci stavo male, mi chiedevo cos’avessi di sbagliato. Dopo tanto tempo, l’anno scorso l’ho capito: ero diversa. Non capivo bene che significato avesse quella parola, ma era l’unico modo in cui riuscivo a definirmi. Iniziai a scoprire il mondo, il vero mondo, con occhi diversi, non più con gli occhi di un’ingenua. Pian piano persi quasi tutte le amiche che avevo. Fu come sognare e poi risvegliarsi di colpo, scoprendo un mondo mai visto, un mondo coperto di nero. L’unica persona diversa dalla moltitudine che mi circondava era Melissa, la mia migliore amica. Non la conoscevo da molto, ma già dai primi momenti mi aveva dimostrato di essere l’amica che sempre cercavo. Con lei riuscivo a parlare di qualunque cosa, dalle più misere alle più importanti, di segreti o di cose buffe. Era più piccola di me di un anno, nei suoi occhi c’era una grande ingenuità, ma quella ragazza riusciva a farmi credere, anche solo per alcuni istanti, che tra tante tenebre ci potesse essere un raggio di luce.» mi ascoltò molto interessato, senza dire una parola. «Lei riusciva a capirmi. E’ stata l’unica che è riuscita a capire quasi tutto di me. Sentivo che con lei potevo essere me stessa, raccontarle tutto. Condividevamo qualunque cosa; anche lei non stava passando un bel periodo a causa della sua famiglia. Era come se noi due, entrambe deboli, ci completassimo per formare qualcosa di più forte.» ripresi fiato, una lacrima scese dal mio viso. «La situazione stava degenerando; sentivo i miei genitori distanti, ma allo stesso tempo opprimenti, la scuola mi riempiva a tutti gli effetti. Detestavo tutti, ero sicura che nessuno sarebbe stato in grado di capire come mi sentissi. Tutto sembrava perso nella mia vita, e io mi sentivo vuota. Non c’è niente di peggiore che sentirsi il vuoto più totale, un disastro. Piangevo spesso, avrei voluto andarmene lontano, in un luogo dove le persone fossero state diverse. Non mi trovavo a mio agio con nessuno; molto spesso avevo tentato di uscire, anche con brutte compagnie, per tentare di essere come loro, per cercare la vera me stessa. Ma non ci riuscii.» rimasi per qualche secondo a fissarlo.
«C’è qualcos’altro, me lo sento.»
«Melissa era come te, molto spesso tirava pugni o calci contro il muro. Ma successivamente il suo modo di sfogarsi diventò l’autolesionismo. Per lei era molto difficile tutto ciò,  le sono stata molto vicino, ma anche io stavo molto male.»
«Hai mai provato a farlo anche tu?» abbassai lo sguardo.
«Una volta.» alzò un sopracciglio. «Qualche volta.»
«E quando è stata l’ultima?»
«Non me lo ricordo.» mi fissò dritto negli occhi. Aspettai qualche secondo, ma non disse nulla. «Forse un mese fa.» non riuscivo nemmeno a piangere. «Ora Melissa è solo cenere.»
«Cosa è successo?»
«E’ entrata nel mondo dei grandi.»
«E il ragazzo?»
«Edoardo appartiene al passato.»
Mattia iniziò a baciarmi sulle labbra per poi scendere al collo. Sentivo brividi ovunque, mentre le mie lacrime continuavano a scendere lentamente. Ritornò con il viso davanti al mio, asciugandomi le lacrime.
«Non voglio vederti così.» mi voltai per evitare il suo sguardo. «Te l’ho mai detto che ti amo?»
«No.»
Esitò, poi si avvicinò al mio orecchio.
«Ti amo.» mi sussurrò.
«Anche io.» risposi.
SPAZIO AUTRICE
Ciao a tutti, dopo tanto tempo ho aggiornato!
Devo dire che questo è stato il capitolo più difficile da scrivere, nella parte di Giulia non è stato facile.
Voi che ne pensate? Secondo voi come continuerà? Fatemi sapere le vostre aspettative!
Ringrazio come sempre i lettori sileziosi, le 29 recensioni e le persone che hanno inserito la storia tra preferiti/seguite/ricordate, GRAZIE!
Non aggiornerò a breve per via delle vacanze di Pasqua e perché ho bisogno di un momento di pausa.
Grazie ancora a tutti, buone vacanze!
 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


TRAILER: https://www.youtube.com/watch?v=hAI3oALI-Ow&feature=youtu.be

                                             

 
Capitolo 6

Tre settimane dopo..
Misi a soqquadro la stanza; il letto era pieno di vestiti, maglie, gonne e quant’altro, al contrario l’armadio era vuoto, c’erano alcune borse sparse per la camera e un paio di calze a terra. Non me ne stavo andando di casa, anche se forse il desiderio c’era, stavo semplicemente scegliendo l’abito per la sera stessa e preparando lo zaino per dormire da Sol. Era l’ultimo giorno dell’anno, perciò io e Mattia avevamo deciso di unirci al suo gruppo di compagni di scuola, quelli che io odiavo, e andare ad una festa fuori città, poi avrei dormito a casa di Sol. I miei genitori erano inizialmente contrari e io li appoggiavo, non sopportavo gli amici di Mattia. Non sono come credi tu, mi aveva detto lui qualche giorno prima, ma ovviamente non avevo dato peso alla sua affermazione. Sapevo di non esser loro molto simpatica, avevo paura di ciò che avrebbero potuto dirmi. Dopo poco tempo i miei genitori accettarono, così non ebbi più scuse per rifiutare. Però l’idea del capodanno con Mattia non mi dispiaceva affatto, avrei passato tutto il tempo della mia vita con lui. Il giorno antecedente era stato il nostro primo mesiversario, ma non avevamo avuto l’occasione di festeggiare, così l’avremmo fatto la sera stessa. Il nostro rapporto era cambiato molto rispetto ai primi giorni, ora ci conoscevamo meglio, condividevamo tutto. Anche la mia insicurezza e le mie paure stavano diminuendo, ero sempre più certa di voler stare con lui. Molto spesso, però, non riuscivo a controllarmi, quando stavamo insieme ero talmente presa da lui che tante volte ho rischiato di spezzare l’equilibrio che tra di noi si era creato, spingendomi troppo oltre. Passavamo molto tempo insieme, così pian piano la sola sua presenza non riusciva a bastarmi, sentivo come se mancasse qualcosa. Sentivo come se quelle giornate, piene di emozioni ormai già vissute, fossero prive di sensazioni ancora sconosciute, che io desideravo scoprire.
Il giorno di Natale purtroppo non lo passammo insieme, bensì ognuno con la propria famiglia, e decidemmo di non farci regali, ma solo dei pensieri, anche se alla fine non fu così da parte sua. Io gli scrissi una lettera, mi impegnai molto, ma sapevo che non sarebbe stata al suo livello: nella scrittura migliorava sempre di più. Mi fece trovare la sua lettera sotto il cuscino; ancora oggi non capisco come ci sia riuscito, credo sia stato aiutato da mia madre.
 
“Se qualche mese fa avessi saputo che avrei dovuto scrivere una lettera, per la prima volta destinata a qualcuno, forse non lo avrei saputo fare. Non sono mai stato capace a dedicare poesie, canzoni o quant’altro, non sono mai stato capace ad essere fidanzato. Forse è questo ciò che mi accomuna a te, per entrambi è la prima volta. Ogni cosa che vediamo, che facciamo, è nuova per tutti e due. Dal primo giorno che ti ho vista ho capito che sarebbe cambiato qualcosa in me, che tu, una ragazza all’apparenza così piccola e indifesa, avresti potuto aggiustare ogni pezzo della mia vita che stava frantumandosi. Ora, a un mese da quel giorno meraviglioso, vedo ancora nei tuoi occhi la paura, l’imbarazzo, il timore di sbagliare, ma anche la volontà di superare i tuoi limiti, di spingerti oltre ciò che ti imponi, di riuscire a guardarmi senza vergognarti, essendo te stessa. E secondo me non c’è niente di più bello della tua semplicità, della tua spontaneità, del tuo modo di essere, dei tuoi piccoli atteggiamenti e modi di fare. Per non parlare del tuo sorriso. Quando sorridi ti brillano gli occhi, e io immagino che il mondo si possa fermare e possa, anche solo per un secondo, esistere solo il tuo sorriso. Forse sarebbe un mondo migliore. Forse non avresti più paura di aprire gli occhi al mattino e lasciarti trascinare nelle incongruenze dell’universo intorno a te.
Ho capito in questo mese che sei forte, sei intelligente rispetto alle altre ragazze della tua età. Tu stessa ti definisci diversa, e ti confesso che mi sono chiesto molte volte il perché. In seguito ho capito cosa intendessi, ma la tua “diversità” non è come pensi, il tuo essere diversa equivale ad essere migliore, distinguersi dalla monotonia della moltitudine di persone intorno a noi. Riflettendo però ho compreso che questo tuo modo di vedere il mondo ti avrebbe reso difficile vivere, perché nessuno può stabilire qual è il modo giusto di comportarsi e qual è quello “diverso”. Non potrai sfuggire alla gente per sempre. Supera le tue paure, io grazie a te l’ho fatto.
Ora come ora non saprei nemmeno come ringraziarti per questo fantastico mese passato insieme. Potrei spiegarti cosa provo quando ti vedo, quanto forte mi batte il cuore se mi sfiori anche per un attimo. Potrei spiegarti quello che provo per te, ma non riuscirei a farlo, è troppo grande!
Perciò non mi resta altro che dirti grazie, per tutto ciò che hai fatto e continui a fare per me. Non cambiare mai perché sei perfetta così come sei. Sono sicuro che passeremo molti altri mesi in modo meraviglioso come quello appena trascorso, io ce la metterò tutta affinché ciò avvenga, perché non voglio perderti. Perché ti amo.
                                                                                                                                        Mattia
 
 
Rimasi talmente colpita dal contenuto della lettera che mai riuscii a capire come mia madre avesse voluto aiutarlo, vista la sua quasi indifferenza nei confronti di Mattia. Non avendo mai avuto un ragazzo, non l’avevo mai vista così prima di quel periodo. Spesso aveva atteggiamenti diversi con me, ma ora capisco che ciò era dovuto alla paura. Sono sempre stata una persona con molta voglia di vivere senza limiti e, quando iniziò a pormeli lei, dentro di me si creò una profonda rabbia.
Inoltre mi ero finalmente abituata a vivere in un altro mondo, il mondo dell’amore, dimenticando la confusione iniziale che c’era nella mia testa. Quando mi fidanzai con Mattia fu come entrare in un altro mondo, che avevo desiderato per tanto tempo, ma una volta arrivata mi sentivo sperduta, avevo paura. Tutto cambiò con l’aiuto di Sol. Col tempo confermai la mia ipotesi, era davvero una ragazza fantastica, che riusciva a riempire i vuoti lasciati dal passato. Anche lei stava meglio, la vedevo abbastanza felice. Anch’io ero contenta, quella sera avrei dovuto dormire da lei, per la prima volta, ma nulla mi toglieva la paura della serata che avremmo passato con Mattia e i suoi amici. Non ce l’avrei fatta, non ne ero abituata. Non porti dei limiti, mi aveva detto Sol, sei una persona normale, come tutti, che esce con gli amici, non trattarti diversamente. Le sue parole riuscivano sempre ad arrivare dritte al mio cuore, e a cambiare i miei pensieri. Ancora oggi penso sia una delle persone migliori che abbia mai conosciuto, una persona che fu davvero capace di starmi accanto come nessuno riuscì a farlo.
 
La sala della festa si trovava a un paio di chilometri dalla mia città, in una lugubre zona di periferia, e all’interno di essa c’era una luce soffusa  che andava spegnendosi sempre di più, dall’ingresso verso la pista da ballo. Guardai Sol con una faccia sconvolta, mentre lei sorrise e mi trascinò in pista per ballare. Cercai di divertirmi come lei, ballammo insieme tutto il tempo. Non vidi più Mattia per un po’ di tempo, così iniziai a preoccuparmi, ma dopo un paio di minuti mi abbracciò da dietro, urlandomi nell’orecchio:
«Allora? Ti stai divertendo? Venite al tavolo, vi presento i miei amici.» Feci un cenno a Sol e mi seguì verso il tavolo. 
C’erano molti ragazzi che non conoscevo, tra loro riuscii a distinguere Daniel, qualche volto già visto a scuola, e Sara. Al nostro passaggio, un ragazzo dai capelli seduto al nostro tavolo disse a me e Sol:
«Ciao belle, desiderate qualcosa?» la serata era appena iniziata e lo sconosciuto era già totalmente ubriaco. Lo ignorammo.
Tentai più volte di riuscire a sentirmi a mio agio, ma per me era come un altro mondo. Vedevo ovunque ragazzi ballare, bere, fumare, io non ero affatto così. Dopo aver ballato ancora circa un’ora con Sol, non riuscii più a trattenermi e uscii fuori dalla sala a fare una passeggiata. Notai solo qualche istante dopo che Mattia mi stava seguendo, e mi prese dal braccio, stringendomi molto forte.
«Dove stai andando?» disse.
«Avevo bisogno di prendere un po’ d’aria. Perché?»
«Torna dentro.» mi ordinò.
Risi buffamente. «E perché scusa?» la sua espressione si fece sempre più seria.
«Ti ho detto di entrare.»  era arrabbiato e aveva gli occhi completamente rossi, non sembrava nemmeno lui. Inarcai il sopracciglio.
«Che cosa hai bevuto?» ignorò la mia domanda e tentò di trascinarmi dentro la sala.
«Aspetta! Se mi dici che cos’hai entro.»
«Non ho nulla!» urlò. Il suo alito sapeva di alcool e fumo.
 «Perché puzzi così tanto? Cos’è successo? Vado subito da Sol!» mi fermò con il braccio.
 «No, tu non vai proprio da nessuna parte.» è come se ad un certo punto i suoi occhi fossero diventati neri, nerissimo, un nero profondo dove cadevi dentro e non uscivi più, un’oscurità completa che acceca.
Scoppiai a piangere, così pian piano Mattia tornò ad essere come sempre, e i suoi occhi da neri tornarono ad essere rossi. Mi diede una carezza sul viso e mi asciugò una lacrima.
 «Andiamocene. Non ti farò mai più del male.» mi disse con un forte senso di colpa.
 «No, non ora. Tra poco sarà mezzanotte, stiamo qui e festeggiamo.»
 «Vedi come sono ridotto? Sono totalmente ubriaco e stanco, ricordo a stento ciò che è successo prima di venire qui da te.»
 «Non importa. Siamo solo io e te adesso.» lo abbracciai dolcemente, notando la tristezza nei suoi occhi. «Che cos’hai?» chiesi infine.
 «Non so più niente. Non so chi sono né dove sono. Cosa ci faccio qui stasera?!»
 «Sei un ragazzo come tanti che stasera è venuto qui a divertirsi.»
 «Io voglio solo stare con te, non mi importa del resto. Scusami se ti ho portata qui.» sorrisi.
 «Tra poco sarà mezzanotte, inizierà un nuovo anno. Potrò dire di averlo passato nel miglior modo possibile, soprattutto l’ultimo periodo.»
 «E’ stato un anno di sorprese e di grandi colpi di fortuna. Non avrei mai pensato di innamorarmi così tanto. E, anche se ti vedo doppia e non riesco a metterti bene a fuoco, so che stasera sei bellissima, più che mai.»
Cinque, quattro, tre, due, uno, zero!
Si sentivano le urla delle persone dentro la sala. L’anno nuovo era cominciato, il 2013. Io e Mattia ci demmo un bacio molto passionale che sembrò durare un’infinità. Ci guardammo sorridendo, senza trovare alcunché da aggiungere. Eravamo soli, spensierati, e maledettamente felici.
 
 
 «Sol, svegliatevi, è molto tardi!» la mattina seguente mi svegliai con la voce di Carmen, la madre di Sol.
Ci svegliammo entrambe e ci guardammo negli occhi, sorridendo. La serata si era conclusa molto meglio di com’era iniziata, forse era la prima volta che mi divertivo così tanto. Tornammo a casa per le tre di notte e crollammo subito nel letto.
Carmen entrò nella stanza di Sol pochi minuti dopo averci chiamate, ma la sua espressione si fece molto più sconvolta.
 «Sol, devi alzarti immediatamente.» era molto nervosa. Sol sobbalzò. «Vieni subito!»
 «Arrivo mamma, che cosa succede?!» Sol andò nell’altra stanza, ma io, preoccupata, mi avvicinai alla porta per provare ad ascoltare cosa non andasse.
 «Ecco, tesoro.. In pratica.. Stamattina..»
 «Mamma, mi fai stare in ansia. Dimmi tutto.»
 «E’ che.. Non so come dirtelo.. E’ un po’ difficile.»
 «Dimmelo e basta!»
 «Stamattina ha chiamato tuo padre.»
Successivamente non riuscii a sentire nient’altro, tranne i pianti e i lamenti di Sol, che erano l’unica cosa che in quel momento avesse potuto consolarla. Non sarei mai riuscita a capire ciò che provava, perché non ero nella sua situazione, ma non l’avevo mai sentita così. Piangeva, urlava. Gli occhi di sua madre la guardavano colmi di lacrime, pieni di dolore, pervasi da paure. E lei piangeva, singhiozzava, gemeva, in quel momento le sue lacrime avrebbero riempito gli oceani. Lacrime di dolore, di paura. Lacrime d’amore. Un amore tra figlia e padre ormai perso e forse ritrovato, dopo tanti anni.
 
Ciao a tutti!
Pubblico ora dopo tanto tempo, ma sono stata molto impegnata con la scuola e in generale. Beh, che dire? Avevo persino pensato di smettere di scrivere, poi però ho constatato che non ci sono molti libri di questo genere, e magari molte ragazze ne hanno bisogno. Così ho ripreso a scrivere. Questo capitolo è molto corto rispetto ai precedenti, ma doveva finire così, non c'era nient'altro da aggiungere. Non so se mi convince molto e se vi piacerà, quindi vi prego di dirmelo!
Questo capitolo si può dire che è il vero inizio della storia, da qui ci sono tutte le basi degli avvenimenti che accadranno nei prossimi. Quindi, detto questo, spero vi piaccia, spero che continuiate a seguire la storia, perché io ci tengo moltissimo. Un grazie alle recensioni e a tutti i lettori.
Continuerò tra un po' di tempo, causa vacanze. Un bacio, fatemi sapere cosa ne pensate.
@jepsenseyes

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


                                    

Capitolo 7

 
«Il 17 gennaio arriverò all’aeroporto di Torino per un congresso di lavoro, mi piacerebbe rivedere te e tuo fratello.» Queste furono le parole di Nicola, padre di Sol e Mattia, dette al telefono alla prima.
Rimasi anch’io allibita; Mattia non sapeva ancora nulla. Sol era confusa, non sapeva cosa fare, decise d’impulso di andare subito da Mattia. Senza il minimo dubbio, la seguii.
Arrivammo sotto casa di Mattia, poco distante dal punto di partenza, sua madre ci aprì il portone, accogliendoci con la gentilezza di sempre, notando però l’espressione sconvolta di Sol che, appena varcata la porta, corse a cercare Mattia. Al vederlo, scoppiò in un pianto e corse ad abbracciarlo, mentre lui aveva lo sguardo fisso su di me come per chiedermi cosa fosse successo. Sol gli sussurrò qualcosa all’orecchio e così lui la strinse più forte, mentre anche a lui iniziava a scendere qualche lacrima. A vederli così mi si spezzava il cuore, erano diventate le persone più importanti della mia vita dopo la mia famiglia, non riuscivo a sopportare il loro dolore, ma mi sentivo impotente.
Il 17 gennaio arrivò molto presto. Dopo una faticosa giornata di scuola per Mattia e Sol, molto ansiosi, ci riunimmo all’ingresso e augurai loro buona fortuna, mentre stavano per entrare in macchina accompagnati da Laura, la madre di Mattia. I due fratelli erano entrambi confusi, terrorizzati, Mattia era bravo a nascondere questo stato d’animo che ormai provava da tempo, Sol non riusciva a trattenersi. Prima di andarsene, lei mi abbracciò forte con le lacrime dagli occhi.
«Andrà tutto bene, ne sono certa.» le dissi.
«Per favore, vieni con noi.»
«Non mi sembra il caso..» mi interruppe.
«Ti prego, fa’ come ho detto. Laura, viene anche Giulia.» la madre di Mattia acconsentì per non creare ai ragazzi altri danni. Così ci avviammo in macchina verso l’aeroporto, mentre tenevo stretta a me la mano di Mattia e quella di Sol.
 
Capelli corvini, occhi azzurro ghiaccio, sguardo profondo, corpo alto e snello, abito elegante e valigetta tra le mani, così si presentava la figura di Nicola all’aeroporto. La sua espressione era cupa e seria. Al vederlo, Sol scoppiò a piangere e Mattia la seguì, ma lo fece notare meno. Sol singhiozzava. Iniziai a pensare che il motivo del suo pianto non fosse solo l’aver rivisto quel padre che non era mai stato presente e l’aveva abbandonata, ma anche il fatto che sua madre non fosse lì in quel momento a condividere un dolore così grande. Abbracciava Mattia, lo stringeva a sé. Io non mi sentivo nel luogo giusto, mi sentivo fuori posto, non c’entravo molto, ma avevano insistito così tanto per farmi venire. Mi unii al loro abbraccio, ed entrambi strinsero ancora più forte.
Al suo arrivo davanti a noi, Nicola sorrise per qualche secondo, per poi tornare nuovamente alla sua espressione cupa.
«Ciao Laura. » le diede due baci sulla guancia. Si fermò poi davanti a Mattia, e diede lui un bacio sulla guancia.
«Come stai?» disse.
«Bene..» balbettò Mattia.
Sol continuava a piangere, e le lacrime uscirono ancora di più quando suo padre si chinò sulla sua fronte per darle un bacio.
«Siete cresciuti così tanto.» disse Nicola. Sol tentò di dire qualcosa, ma il pianto la faceva singhiozzare e così non riuscì. Laura notò che la situazione stava cominciando a degenerare e a diventare imbarazzante:
«Vogliamo andare a casa, ragazzi?» annuirono, mentre Sol mi abbracciò.
La conoscevo ormai troppo bene, non avrebbe voluto presentarsi in quel modo davanti a suo padre, ovviamente per questione d’orgoglio. Lui non meritava che lei stesse così male, dopo tutti quegli anni.
 
 
Improvvisamente squillò il mio telefono, era mia madre. Nelle ultime ore mi ero completamente scordata del mondo esterno, forse non l’avevo nemmeno avvertita che sarei andata con Sol e Mattia, e ne ebbi la conferma vedendo il numero di chiamate senza risposta che avevo. Riuscii a rispondere, e lei era furiosa. Tentai di spiegarle le mie ragioni, ma mi ordinò di rincasare all’istante. Dovetti abbandonare Mattia, che aveva un’espressione davvero sconvolta, e Sol, che continuava a piangere. Mia madre arrivò a prendermi a casa di Mattia circa 5 minuti dopo la chiamata. Come potevo aspettarmi, iniziò a farmi una lunghissima ramanzina, noiosa al punto che, dopo pochi minuti, cominciai a chiedermi perché i genitori non capiscono nessuna situazione, perché devono sempre ostacolare tutto. Perché mia madre non voleva lasciarmi con Sol e Mattia per aiutarli? Perché Laura e Carmen non avevano detto già all’inizio a Mattia e Sol che erano fratelli? Perché Nicola li aveva abbandonati?
Continuai a pormi interrogativi fino al mio arrivo a casa, dove dopo tanto tempo riaprii gli occhi sul mondo esterno. Non stavo più studiando praticamente nulla, non pensavo alla mia famiglia, era come aver cambiato vita. Me ne fece accorgere Martina.
«Dov’è finita la mia sorellina? Non sei più tu. Mi manchi tanto, ma io ho bisogno di te.» la abbracciai, per poi avvicinarmi alle sue orecchie e sussurrarle: «Anche io ho tanto bisogno di te, più di quanto credi.»
Non ero solita parlare con i miei genitori, però stavolta raccontai loro ciò che succedeva nella mia vita. Non avevano ancora conosciuto la madre di Mattia, perciò non capivano a fondo la situazione, ma mi dissero che non era un problema che mi toccava più di tanto, quindi questo accaduto non avrebbe dovuto più distrarmi dai miei impegni scolastici e familiari.
Dopo aver passato un po’ di tempo con Martina, mi dedicai interamente a Sol: le scrissi un messaggio per sapere come procedesse la situazione. Mi chiamò piangendo.
«Non so più che cosa fare, quell’uomo ha tentato di parlare a me e Mattia, ci ha detto delle cose orrende, ci ha detto che lui non avrebbe saputo fare il padre, che lui viveva per il lavoro, per questo è andato in Germania e non ci ha mai più parlato, ma ora vuole cominciare ad avere un rapporto con noi. Come si può recuperare un rapporto se non riesco nemmeno a guardarlo negli occhi?» mi disse Sol al telefono, singhiozzando.
«E’ dura, ma ci devi provare. Cosa ne pensa Mattia?»
«Dice che forse si potrebbe provare a superare il dolore e accettare le sue scuse. Io non voglio, io non lo sopporto, era meglio se fosse rimasto in Germania, per me è sempre stato morto. Ora si ripresenta dopo tanto tempo, è solo un opportunista.»
 
 
Labbra bianche come il latte, viso pallido, e capelli biondi che sembrano quasi scuri a contatto col suo viso. Occhi azzurri e allo stesso tempo rossi, sguardo sognante, ma ormai spento. Così si presentava il giorno seguente a scuola quella che ormai era diventata la mia migliore amica. Nessun altro però fu capace di accorgersene. Mi viene in mente tutte le volte che è successo così a me, ne ricordo ancora molte. Forse ciò che la gente sbaglia è il limitarsi a guardare il fisico perfetto, i capelli ordinati, i vestiti all’ultima moda, nessuno nota mai gli occhi spenti. Ogni tanto qualcuno guarda anche i sorrisi, ma non arrivano a capire che sono falsi, maschere create per la paura di esprimersi, le persone non notano mai uno sguardo che ormai da tempo non dà più luce. Gli sguardi non li sanno leggere.
Ormai ero abituata a essere ignorata nei miei momenti più bui, tutti fanno così, e penso che lo fosse anche Sol. Era proprio questo ciò che più ci univa: l’avere esperienze di pensiero praticamente comuni. Ci capivamo.
 
 
Decisi di andare da Mattia quel pomeriggio freddo di gennaio dove tutto sembrava potesse crollare da un momento all’altro. Nonostante la sua situazione, riusciva a darmi l’affetto di sempre, e io amavo questa sua qualità. Dimostrava il suo amore in tutti i modi che aveva a disposizione. Mi piaceva scherzare con lui, mi mancavano le nostre lunghe giornate passate insieme, a parlare di tutto. Tutto ciò era come una canzone meravigliosa, che ascolti milioni di volte ma non ti ci riesci a stufare. Come ci si può stufare di qualcosa che desideri da troppo tempo e che finalmente è arrivato?
Dopo una passeggiata arrivammo a casa di Mattia.
«E’ da stamattina che mi succede una cosa strana, come se mi sfuggisse qualcosa.» mi disse poi.
«Cosa vuoi dire?» inarcai il sopracciglio.
«Ti spiego: ieri sera purtroppo è capitato di vedere con mio padre un video di quando ero più piccolo, mentre giocavo a calcio. Non sto a spiegarti ciò che ho provato, perché credo tu possa immaginarlo da sola. Ma per di più stanotte ho fatto un sogno strano, dove rivedevo quel video, e pensavo che mancasse qualcosa, che qualcosa mi sfuggisse. Non capisco.»
«Io invece ho capito perfettamente.»
«Cioè?
«Hai mai pensato di ricominciare gli allenamenti?» si voltò verso di me e mi guardò sbalordito. Non rispose. «Intendo.. beh.. ritornare a giocare a calcio.» si alzò dalla sedia e, con un’espressione pensierosa, si avvicinò ad un cassetto della scrivania, da dove prese un foglio medico.
«Non ho mai pensato di riprendere a giocare, ma il medico mi aveva detto che dopo circa 4-5 mesi avrei potuto ricominciare, pian piano, gli allenamenti.»
«Perfetto! Che cosa ti ferma adesso?!»
Passammo un pomeriggio perfetto, regnavano la serenità, la speranza e i sogni. Mi fece leggere molte sue poesie, alcune risalenti a molto tempo fa, altre più recenti. Mi colpì una in particolare.
 
“Negl’ultimi tempi sguardo sbiadito,
viso cereo e sorriso spento,
così pare, frustrato dal tormento,
il suo tenero corpo già ferito.
 
Non compare più ormai quel bagliore,
dentro di sé ha un cuore ghiacciato,
ed il proprio spirito colorato
sta perdendo il suo sapore.
 
Con un dolce sguardo perso nel vuoto,
osserva il mondo attorno a lei:
sta pian piano distruggendo se stessa.
 
Ma dopo esser già stata oppressa
scoprirà un mondo fatto per costei:
un universo per lo più remoto.”
 
Senza chiedere spiegazioni, capii immediatamente per chi fosse quel sonetto. Provai per un attimo un po’ di gelosia, ma successivamente me ne pentii e fui davvero felice.
 
 
Nei giorni successivi riuscii a far leggere a Sol quella poesia su di lei: ne rimase affascinata, si sentiva davvero così. Intanto suo padre le aveva detto che era tornato per restare, così si stabilì in un hotel vicino alla scuola, pronto a recuperare il rapporto perduto con i suoi figli. Mattia riuscì a non mostrare odio, ma cercò di andarci d’accordo. Sol non poteva capire come riuscisse. Io intanto passavo le giornate in casa a studiare, per riabituarmi alla vita quotidiana, finché il sabato decisi di uscire con Sol. Non aveva molta voglia, ma capì che poteva farle bene.
Il centro di Torino di presentava affollato e inquinato, c’era la nebbia e faceva freddo. Sembrava una giornata cupa per molti, l’atmosfera era davvero inquietante.
«Tu vuoi davvero essere la ragazza della poesia?» provai a parlarle.
«In realtà no, ma lo sono.» rispose.
«Sai che puoi cambiare questa tua condizione?»
«Ho paura.»
«Come puoi aver paura di non essere più una persona triste? Hai paura della felicità?»
«Ho paura di sbagliare.» disse. «E ho paura di dimagrire.» aggiunse poi.
Inarcai le sopracciglia. «Perché hai queste fobie?»
«Di solito più sto male e più dimagrisco.»
«Ne hai parlato con Maria?»
«Sì, pensa che dovrei sperimentare: dovrei dare una possibilità a mio padre, passare una giornata con lui e vedere se sto bene, se no posso anche dirgli addio, ma dice che devo assolutamente provarci.
«Concordo pienamente con lei.» mi sorrise.
«Mi ha detto Mattia che forse tornerà a giocare a calcio.» abbassò lo sguardo, incerta.
«Sì, spero davvero che giochi di nuovo. Starà molto meglio. E tu invece, perché non riprendi danza?» con questa domanda finalmente capii la sua inquietudine. Aspettò prima di rispondere.
«E’ da quando ho finito le cure e sto meglio che mi chiedo il perché. Come ti ho detto prima, ho paura, sono troppo coinvolta nella danza.»
«Non saprei dirti qual è la scelta giusta, da quando ci conosciamo sei sempre stata tu ad aiutare me. L’importante è che tu sia felice, sperimenta ogni giorno nuovi metodi per esserlo.»
«Ti sbagli, tu mi hai sempre aiutata, forse non te ne sei mai accorta. Non ho praticamente nessun’amica a scuola, tu sei stata l’unica a volermi conoscere e ad accettarmi.»
«Ti voglio bene.» le sussurrai, prima che ci abbracciassimo. In quel momento pensai a come fossi fortunata ad avere lei, la mia unica vera amica, quella che avevo sempre desiderato.
 
La settimana ricominciava e io avevo sempre meno voglia di andare a scuola. Inoltre mi ero totalmente dimenticata dei miei compagni in quel periodo, e in fondo un po’ mi mancavano.
Tra i banchi della mia aula erano già arrivati quasi tutti, c’erano Luca, Miriana, Giada, Chiara e Sofia che chiacchieravano insieme e decisi di unirmi a loro. Non avevo tanta confidenza con ognuno di loro, ne avevo soprattutto con Sofia.
«Si può sapere cosa ti succede in questo periodo?» mi disse poi Sofia, mentre eravamo sole.
«Niente di particolare, Mattia è in alcune situazioni familiari alquanto spiacevoli.»
«Mi dispiace, sai che quando ne vuoi parlare io ci sono sempre per te.»     
Ero contenta che qualcuno si interessasse a ciò che succedeva nella mia vita, mi sentivo considerata. Mentre ero immersa nei miei pensieri, la professoressa mi chiamò per parlare con lei dopo il suono della campanella. Come immaginavo, mi parlò della mia situazione riguardo la sua materia, biologia, poiché le ultime due verifiche erano andate non bene come al solito. Non mi era mai successo, ma stranamente non mi importava. Mi consigliò di ripassare tutto il programma scolastico svolto finora, per un’interrogazione completa. Non potevo fare altro che studiare.
 
Carboidrati, proteine, lipidi, cellule, enzimi, metabolismo, energia, divisione cellulare, mitosi, ciclo cellulare, ereditarietà, vita, biodiversità.. stavo impazzendo! Tante nuove parole in un colpo solo! Dopo due pomeriggi passati a studiare senza uscire con Mattia né con Sol, ripassai benissimo la maggior parte degli argomenti. Uno solo non riusciva ad entrarmi in testa: l’origine della vita.
“La vita può nascere solo da un’altra vita. Ma allora come si è formato il primo organismo? Ci sono due teorie prevalenti: le molecole biologiche sono arrivate da fonti extraterrestri, la vita è nata dall’evoluzione chimica del pianeta.”
Non riuscivo a studiare questi argomenti, sebbene fossero abbastanza semplici, perché mi facevano pensare ad altro: pensavo alla vita vera e propria. Da secoli, millenni anzi, si va avanti cercando di scoprire com’è nata la vita, io, come molti altri, mi concentravo di più sul perché. Me lo sono chiesto tantissime volte, perché mi trovavo in quel luogo, in quelle situazioni, in quella vita che era cambiata così tanto in così poco tempo.
Nessuna risposta.
 
«Hey, non farti più sentire eh!» la voce di Sol mi svegliò dai miei pensieri il mattino della mia interrogazione. La incontrai nel vialetto che porta a scuola.
«Dite tutti così, non è possibile!» dissi ridendo.
«Come va lo studio?»
«Potrei ripetere tutto a memoria da quanto ho studiato! Spero vada bene. Così sarò finalmente libera, pronta per le pagelle, e potrò dedicarmi a te e Mattia come sempre.» ci abbracciammo. «Tu come stai?»
«Si va avanti..»
«Tu ce la farai, sei forte.»
«Sembro forte.»
«Lo sei.»
Io e Sol entrammo in classe puntuali, erano quasi tutti al proprio posto e io mi sedetti subito per cogliere un ultimo momento di ripasso prima della mia interrogazione.
«Buongiorno ragazzi! Come state? Come stai, Molinari? Spero bene, oggi è la tua giornata!» il cotanto buonumore della professoressa suonava parecchio inquietante. «Allora, di che cosa vogliamo parlare? Scegli un argomento.»
«Ehm.. io.. vorrei parlare dell’origine della vita.» cosa mi era saltato in mente?! Era l’argomento che non mi entrava in testa, che non capivo, e nonostante questo l’ho scelto!
«Oh, perfetto. Parla pure.»
«La prima teoria sull’origine della vita dice che la vita è nata da un meteorite arrivato da Marte che contiene delle molecole caratteristiche della vita..» le parole mi uscivano di bocca come un fiume in piena, non riuscivo a fermarmi, volevo dire tutto ciò che sapevo e pensavo, ma i miei pensieri intanto divagavano.
Melissa.. «Questo è per ogni dolore che ti ho causato, amica mia. »
«..la datazione radioattiva e lo studio di minerali determinano che il meteorite aveva 4,5 miliardi di anni..»
Edoardo.. «Quando mi hai detto che ti piacevo ho fatto i salti di gioia..»
«..la seconda teoria riguarda l’esperimento di Miller e Urey circa l’evoluzione chimica..»
Sol.. «Più sto male e più dimagrisco..»
«Per concludere, le teorie sull’origine della vita sono due e non si sa ancora quale sia quella esatta. L’evoluzione invece viene trattata da Darwin e..»
«Ok, basta così. Sei stata brava, hai studiato molto. 8.» tirai un sospiro di sollievo: ce l’avevo fatta. Non credevo sarei riuscita, mentre parlavo mi venivano così tante scene già vissute in testa, mi distraevano, per fortuna l’interrogazione è finita in tempo.
«Ciao amore! Non ci posso credere, ho recuperato biologia!» mi abbracciò, ma non sembrò molto contento. Non ci vedevamo da ieri a scuola e non uscivamo da parecchio, mi chiedevo perché si comportasse così.
«Ehi, c’è qualcosa che non va?» gli chiesi.
«No, nulla. Usciamo per festeggiare?»
«Perfetto, dove vuoi tu!»
Passeggiammo per quasi l’intero pomeriggio, con lui il tempo non bastava mai. Chi lo sapeva che sarebbe andata così, probabilmente se l’avessi saputo l’avrei abbracciato forte senza mai farlo andar via da me.
«Vuoi venire a mangiare a casa mia? Mia madre di certo ne sarà contenta.» accettai.
Ovviamente i presentimenti di Mattia furono corretti.
«Ciao Giulia, che piacere averti qui!» mi disse Laura.
«Ciao Giulia.» per un momento mi ero dimenticata di Nicola. Ero un po’ imbarazzata.
La cena trascorse tutto sommato bene, a parte molti momenti di silenzio. Mattia e suo padre avevano ricominciato a parlare un po’, ma si mostravano ancora ostili uno nei confronti dell’altro. Erano entrambi orgogliosi e questo peggiorava la situazione.
Dopo cena io e Mattia andammo in camera sua a guardare un film e a parlare un po’. Mia madre però aveva stabilito di venire a prendermi entro le 22, così Mattia stoppò il film un bel po’ prima del finale.
«Hai lo sguardo strano, come oggi dopo scuola. Va tutto bene?» dissi.
«No, in realtà no.»
«Cosa c’è che non va?»
«Non te lo posso dire.»
«Come no? Io e te ci diciamo sempre tutto.»
«Questa è una cosa più complicata.»
«Mi hai raccontato la tua vita, mi hai detto che Sol è tua sorella, mi hai avvertito quando tuo padre è tornato.. Cosa c’è di più complicato?» diede un pugno al muro, quando faceva così mi metteva timore.
«Tu non c’entri.»
«Sai che quando vuoi parlare io ci sono sempre.»
«Io voglio stare con te, sempre. »mi accarezzò il collo con le mani e i nostri visi si avvicinarono.
«E qual è il problema? Anche io voglio!»
«Forse quando ti dirò ciò che mi turba non vorrai più.»
«Vorrò sempre, te lo prometto.»
«Mio padre parte tra circa tre settimane.» fece una pausa. «E io andrò in Germania con lui.»
Le sue parole furono come una freccia ghiacciata conficcata nel cuore: non si riesce a capire se si prova più dolore per la freccia o per il ghiaccio. In questo modo io non capivo se provavo più dolore per lui o per me, o forse, visto che ormai eravamo diventati una cosa sola, per entrambi. Una coesione ormai destinata a spezzarsi, o forse no.
 
SPAZIO AUTRICE:
Buonasera! ^-^ dopo molto tempo sono riuscita a scrivere ancora, e questo è solo grazie a tutte le persone intorno a me che come sempre mi motivano, mi danno ispirazione ma soprattutto leggono ciò che scrivo. In questo capitolo mi sono impegnata forse più che in tutti gli altri, spero sia venuto bene, spero la storia sia coinvolgente e intrigante. Ringrazio i lettori, augurandomi che possano aumentare. Per favore, recensite, così posso capire se ne vale la pena di continuare o no! se volete, questa è la mia email: arianna.pascale.99@gmail.com e wattpad! http://www.wattpad.com/72310658-come-il-mare-d%27inverno-capitolo-7
Un bacio a tutti, alla prossima!

@jepsenseyes
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2343572