Windigo

di Mariam Kasinaga
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Paura ***
Capitolo 2: *** Esilio ***
Capitolo 3: *** Windigo ***



Capitolo 1
*** Paura ***


Nome su EFP e sul forum dell’autore: Mariam Kasinaga/Mariam:Kasinaga Titolo della storia: Windigo
Lunghezza della storia: 3 capitoli
Genere: sovrannaturale, drammatico

Rating: giallo
Avvertimenti: nessuno

Note: questa storia è ambientata in una riserva indiana all’inizio del ‘900, quando molte comunità indiane avevano cominciato ad assumere usi (ad esempio le case in legno) dei coloni europei. Il Windigo è una creatura mitologica di questo popolo, di cui non consiglio di cercare informazioni prima di leggere la storia
Introduzione(breve): la storia è ambientata in un villaggio indiano al limitare una foresta, dove vivono delle creature sovrannaturali, i Wendigo. Protagonista è Naj, un ragazzo che viene esiliato proprio nella foresta, dato che è ritenuto colpevole di omicidio.

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Windigo

Capitolo 1-Paura

Non era la prima volta che percorreva da solo il sentiero che si snodava vicino alla foresta che lambiva la riserva indiana, ma l’oscurità che stava avanzando velocemente lo inquietava. Si sistemò gli spallacci della sacca, tentando di non pensare alle antiche leggende che suo nonno amava raccontargli a cena, mentre fuori i fiocchi di neve scendevano lentamente: “Non si può mai stare al sicuro, con loro. Si muovono furtivamente nei boschi, senza far rumore, aspettando accovacciati tra le radici degli alberi la loro prossima vittima. Potrebbero seguirti per ore, senza che tu te ne accorga, per poi balzare contro di te e smembrarti la gola!” bisbigliava, prima che la mamma cominciasse a sgridarlo, dicendo che “non erano argomenti adatti ad un ragazzo di tredici anni”.

Sentì un brivido corrergli lungo la schiena quando calpestò inavvertitamente un ramoscello secco, il cui suonò rimbombò nel silenzio innaturale della foresta. Naj si voltò meccanicamente a guardare oltre le sue spalle, assumendo un’espressione quasi delusa nel non vedere nulla dietro di sé, tranne i tronchi contorti delle betulle che lo circondavano. “E’ solo la tua immaginazione, non c’è assolutamente nulla qui” continuò a ripetersi, fino a quando non riuscì a distinguere le luci delle prime case della riserva.

Accelerò il passo, con la sacca che gli rimbalzava sulla schiena. Per un attimo smise di guardare davanti a sé ed il suo sguardo cadde sul terreno fangoso ricoperto di foglie secche: suo padre gli aveva insegnato ad osservare ed interpretare gran parte

dei segnali della natura, come facevano i loro antenati. Era grazie a quella sapienza orale che nessun indiano, al contrario di quei bianchi che li avevano costretti a vivere in condizioni miserevoli, si sarebbe potuto trovare in difficoltà in quel labirinto arboreo. Persino chi era stato bandito dal villaggio, molto tempo prima, sarebbe riuscito a sopravvivere in quel luogo, a meno che non fosse diventato come loro. Il ragazzo si fermò, trattenendo il respiro senza accorgersene, e si inginocchiò ad esaminare una pista che aveva attirato la sua attenzione. Le impronte appartenevano sicuramente ad un animale, ma qualcosa nella loro fisionomia lo lasciava perplesso: assomigliavano molto a quelle di un alce, nonostante vi fossero palesi tracce di artigli e qualcosa in loro gli ricordasse vagamente un’impronta umana.

Si alzò velocemente, cominciando a guardarsi attorno nervosamente, prima di cominciare a correre verso la riserva. Sentiva il vento fischiargli nelle orecchie, sovrastato dal rumore del suo respiro affannoso. I suoi piedi pestavano il terreno con foga, mentre ascoltava il proprio cuore battergli nel petto come i grandi tamburi che suo nonno suonava durante la festa del solstizio. Suo nonno, le leggende raccontate durante la cena, i loro artigli che lacerano la gola alle vittime incaute che attraversano il loro territorio, tutte queste immagini gli turbinavano nella mente come in un caleidoscopio, mentre continuava a fissare le luci delle finestre sempre più vicine. 

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Capitolo 2
*** Esilio ***


Capitolo 2-Esilio

“Per favore, vi prego, è solo un ragazzo!” urlò la donna, mentre due uomini la tenevano per la vita, impedendole di lanciarsi ad abbracciare suo figlio. Naj osservò sua madre graffiare e mordere le persone che la bloccavano, mentre delle forti mani lo tenevano fermo per le spalle, spingendolo oltre le case del villaggio. Guardò la folla radunarsi attorno a lui, reggendo le torce che illuminavano l’oscurità della notte, proiettando al suolo le ombre minacciose di tutti coloro che si trovavano in quel luogo. Osservava la scena con distacco, come se non fosse lui che stavano esiliando, condannandolo a vivere per sempre nella foresta, senza possibilità di ritornare in quella che aveva imparato a chiamare “casa”. Si sentiva completamente separato da quel corpo che veniva trascinato in tutte le direzioni, mentre suo nonno continuava a scuotere la testa trascinandolo per una manica, ripetendo frasi sconnesse: “Non diventare come loro, ragazzo. Ricordati quello che ti ho detto!” continuava a mormorare, come se si trattasse di una sorta di mantra. Il ragazzo tentò di osservarsi dall’esterno, tentando di ignorare i pensieri che continuavano a ronzargli in testa, impedendogli di pensare lucidamente: vide un ragazzo gracile, gli occhi verdi che scintillavano alla luce delle fiamme che danzavano attorno a lui. Aveva i capelli neri arruffati ed appiccicati alla pelle sudata per il terrore, dato che erano venuti a prenderlo nel cuore della notte, bussando con forza alla casa dove, fino a poche ore prima, stava serenamente dormendo con sua madre.
Sentì un urlo sovrastare la confusione della folla, mentre la vide divincolarsi dalla presa e correre verso di lui. Fu un attimo, la sensazione che una scossa gli stesse attraversando ogni singolo nervo del suo corpo, allontanando il torpore dal suo cervello. “Mamma!” gridò a sua volta, tendendo un braccio verso di lei. Agitò la mano nel vuoto per qualche secondo, tentando di opporre resistenza all’uomo che lo stava trascinando via: vide il volto di sua madre in lacrime tra la folla, mentre cercava inutilmente di raggiungerlo e contemplò con orrore la disperazione nei suoi occhi. “Ti voglio bene” furono le uniche parole che riuscì a sentire, prima che un turbinio di persone la inghiottisse nuovamente, nascondendola alla sua vista. Il ragazzo scalciò e cominciò a divincolarsi, mentre nella sua mente si accalcavano le storie che aveva sentito nella riserva: “Hanno il cuore di ghiaccio, l’unico modo di uccidere uno di loro è usare del fuoco. Ricorda, se per nutrirti mangi la carne di qualche malcapitato morto assiderato, diventerai come loro”.
Non aveva pura del freddo, né di non riuscire a sopravvivere senza il sostegno della comunità. C’era solo un pericolo, insidioso e letale, a cui nemmeno suo padre aveva potuto insegnare a proteggersi: quando scendeva la notte, quando i predatori uscivano dalle loro tane per nutrirsi, loro vagavano senza meta tra gli alberi contorti della foresta, uccidendo ogni cosa capitasse sulla loro strada.
L’unica possibilità era uscire dalla foresta, tentare di raggiungere la strada che avevano costruito i bianchi sopravvivere nel mondo al di fuori della riserva. Si irrigidì all’improvviso, pensando a quanto fosse stupida quell’idea: non sarebbe mai riuscito a percorrere indenne tutti quei chilometri. “Mi state condannando a morte! Lasciate che faccia giorno! Mi caccerete quando sarà spuntato il sole!” cominciò a gridare. In un giorno ci sarebbe riuscito, se solo gliel’avessero concesso!
Un uomo si staccò dalla folla, sputandogli in faccia: “Tu hai ucciso mio figlio! Non resterai qui un giorno di più! Cresci e sii uomo, non crederai davvero a tutte quelle stronzate che ti ha raccontato tuo nonno?” domandò, mentre la puzza di alchool investiva il volto di Naj. Il ragazzo lo guardò con odio: “E’ stato un incidente” ripeté per l’ennesima volta. Pronunciava quella frase da giorni ormai, da quando era stato trovato con una vecchia Colt in mano ed il cadavere del suo migliore amico riverso ai suoi piedi in una pozza di sangue. “Stavamo solo giocando, non sapevamo fosse carica” concluse singhiozzante, un attimo prima che l’uomo lo schiaffeggiasse con forza sulla guancia. Sentì la pelle arroventarsi in quel punto e cercò disperatamente il volto di sua madre, inutilmente. Non era un assassino, non avrebbe avuto alcun motivo per uccidere la persona a cui voleva bene come un fratello.
“Sono innocente” mormorò, ormai privo di forza, mentre alcuni uomini lo trasportavano di peso fino al margine della foresta. Lo lasciarono andare di colpò ed il ragazzo si ritrovò a boccheggiare nel fango, disteso a terra. “Vattene!” disse uno, dandogli un calcio. Naj si alzò faticosamente, facendo un timido passo in direzione della gente del villaggio: “Per favore, mi serve tempo fino all’alba” supplicò. Li guardò in faccia uno ad uno e non riuscì a leggere sui loro volti nient’altro che odio: “Non sono un assassino” disse, avanzando ancora. Vide sua mamma discutere animatamente con delle persone, indicando prima lui poi la foresta, mentre le lacrime le scendevano lungo le guance. L’uomo che l’aveva calciato lo spinse in malo modo: “Conosci le regole della tribù. Devi pagare” commentò lapidario, indicandogli la foresta. Naj rimase immobile per qualche secondo, osservando come la luce delle torce riflettesse sui vetri delle finestre ed illuminasse gli occhi pieni d’astio dei presenti. Aprì la bocca per parlare, per tentare di discolparsi ancora una volta, ma decise di rinunciare. Si voltò e cominciò a camminare nell’oscurità, mentre le grida di sua madre continuavano a rimbombargli nelle orecchie. 

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Capitolo 3
*** Windigo ***


Capitolo 3-Windigo

Un mese dopo...

La donna si riscosse dai suoi pensieri, rivolgendo un ultimo sguardo verso la foresta che lambiva il lato nord del villaggio. Da un paio di giorni, quasi senza accorgersene, i suoi piedi sembravano portarla sempre lì, in quel luogo maledetto, quasi sperando in una sorta di miracolo. Si sfiorò la guancia con un dito e si accorse che era bagnata: dalla notte in cui Naj le era stato strappato dalle braccia le lacrime le scendevano all’improvviso, senza lasciarle il tempo di cercare inutilmente di ricacciarle indietro. Si lasciò cadere in ginocchio a terra, lasciando che quel fiume inesorabile si estinguesse da solo, mentre urlava tra i singhiozzi il nome di suo figlio.
Era la sua consapevolezza che la portava a disperarsi ogni giorno, a farla svegliare nel cuore della notte senza fiato, prima di ricominciare a singhiozzare affondando la testa nel cuscino: sapeva che il suo Naj non era riuscito a raggiungere il villaggio dei bianchi, ma vagava da qualche parte in mezzo agli alberi, solo ed affamato, trascorrendo le notti all’agghiaccio. Probabilmente era per quello che i suoi piedi sembravano condurla ogni giorno in quel luogo, mentre i suoi occhi vagavano tra gli alberi: quella notte avrebbe dovuto difendere Naj, ma non era stata in grado di impedire che lo esiliassero in quell’inferno gelido di neve ed abeti.
Si asciugò furiosamente il volto con il dorso della mano, maledicendosi per la sua debolezza di fronte a quel dolore talmente grande da sovrastarla completamente, facendola quasi annegare nella sua stessa sofferenza. Diede l’ennesima occhiata ai fusti contorti degli alberi centenari che si trovavano ad un centinaio di metri da lei, poi si voltò per raggiungere il villaggio.
Non le era sfuggito il movimento tra i bassi arbusti, ma aveva preferito ignorare quel corpo umano ridotto ad uno scheletro e ricurvo su se stesso, ricoperto di una rada peluria ispida incrostata di sangue. C’erano stati dei giorni in cui i suoi occhi si erano posati sugli arti simili a quelli di un animale e sulle lunghe corna che ricordavano quelli di un alce. Era riuscita, qualche volta, a sostenere lo sguardo di quegli occhi iniettati di sangue che si posavano su di lei, quasi volessero accusarla di una colpa che non sarebbe mai riuscita ad espiare. Dalla foresta si levò un gemito gutturale, una nota bassa e profonda che sembrava esser stata prodotta dalla creatura più immonda della terra, ma la donna continuò a camminare, mentre le lacrime avevano ripreso a scorrerle copiose sulle guance.
Era per quello che si spingeva ogni singolo giorno fino al limitare della foresta: per tentare non solo di mondare un peccato che non sarebbe mai riuscita a cancellare, ma per punirsi nel vedere cosa era diventato suo figlio per colpa sua.

“Possono scegliere di non ucciderti. Possono morderti e lasciarti morire dissanguato sulla neve.
Si muore, ragazzo, e si rinasce come uno di loro. Un Windigo” 

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