Nei tuoi occhi

di Alis_2691
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Alison si alzó presto quella mattina. Era il 21 Ottobre, il freddo era pungente e il tempo grigio. Dalla sua stanza da letto si poteva ammirare il Central Park e gli uccellini che si posavano sulle panchine. Si stiracchió e si alzó dal letto. Sapeva già cosa indossare, come truccarsi e come acconciarsi i capelli. Aveva già programmato tutto quanto: Marcus, il suo ragazzo storico, sarebbe passato a prenderla alle 20 in punto, indossando uno smoking e portandole un bel mazzo di rose in dono. Sarebbero arrivati al ballo alle 20 e 10 e allo scoccare della mezzanotte, come tutti gli anni, sarebbero stati eletti "re e reginetta del ballo" e avrebbero ballato un lento, illuminati dalle luci celesti e suscitato le invidie degli altri partecipanti. Nonostante la "routine classica" che ogni anno viene seguita rigorosamente, quel giorno qualcosa sarebbe cambiato. Dopo 5 anni quella serata sarebbe stata diversa, ma lei non lo sapeva. Andó sotto la doccia e quando aprì gli occhi per prendere lo shampoo si rese conto che c'era qualcosa che non andava. Avvertì una sensazione alla bocca dello stomaco, come se stesse per accadere qualcosa di brutto. Non ci volle pensare più di tanto e così, dopo essersi lavata tentando di soffocare quella sensazione, uscì dalla doccia e si coprì con un lungo asciugamano rosa pallido. Prese un altro asciugamano e si frizionó i capelli, li fermò al suo interno formando un piccolo turbante e attaccó la piastra alla presa della corrente. Rimase per un po' ad ammirarsi allo specchio facendo qualche smorfia per rendersi simpatica. Controlló accuratamente che la sua pelle fosse priva di imperfezioni e si rivolse un sorriso. " Sono perfetta!" , si disse.
Appena fu pronta scese in cucina ad attendere il suo cavaliere e appena suonó il campanello se lo ritrovó di fronte, con un mazzo di rose in mano e un sorriso smagliante sulla bocca.
"Alison, sei...sei..."la voce gli si smorzó improvvisamente in gola, era davvero bellissima, da mozzare il fiato. 
"Sono? Avanti, dillo!" 
Lo incitó lei, sorridendo.
"Sei...meravigliosa."
E aveva ragione, Il vestito le stava d'incanto. Era nero, lungo fin sotto le ginocchia, con un piccolo strascico che toccava appena terra e la scollatura a V metteva in risalto il seno prosperoso. I capelli biondi le ricadevano con dolcezza sulla schiena andando a coprire la scollatura sul retro e ai piedi portava un paio di décolleté nere e argento in punta. Si, era praticamente perfetta. 
Marcus la accompagnó alla macchina e si misero in viaggio, durante il quale lui si mostrò molto silenzioso. La cosa insospettì Alison. 
"Marcus, c'è qualcosa che non va?"
lui le sorrise. 
"No, tranquilla. Va tutto bene!"
Lo disse con molta enfasi e Alison si insospettì ancora di più.
"Avanti, cosa c'è? Perchè sei così silenzioso?"
Marcus cercó di mostrarsi più sincero possibile, effettivamente qualcosa di strano in lui c'era, ma non voleva che lei lo notasse.
"Stai tranquilla, amore. Va tutto bene. È solo che stasera sono molto emozionato e...non riesco neppure a parlare!"
Quella era la verità. Si toccò la tasca destra della giacca e pensó "si, andrà tutto bene!"
Alison cedette e guardó fuori dal finestrino, quella strana e brutta sensazione non le era ancora passata ma non voleva pensarci. Voleva godersi la serata, come ogni anno, ignara del fatto che di li a poco la sua vita sarebbe cambiata, per sempre. 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Arrivarono  alla festa e appena entrarono tutti gli sguardi erano puntati su di loro. Marcus sembrava un gigante in confronto alla sua ragazza. Era molto più alto di lei e faceva gola a molte ragazze. Forse per i suoi occhi color cioccolato, o per i capelli neri corvini sempre pettinati all'in sù, o magari per il suo splendido sorriso che le ragazze si prendevano una cotta per lui. Nonostante la fila chilometrica che lo desiderava, Marcus aveva occhi solo per la sua fidanzata. 
Prese Alison per mano e la accompagnó davanti al buffet delle bevande. 
"Che cosa beviamo?" Chiese lui
"Il solito, direi!"
Marcus prese un flut e lo riempì di punch al mandarino, il cocktail preferito di Alison. Fecero tintinnare i bicchieri e , incrociate le braccia l'uno con l'altra, se li  portarono alla bocca. Marcus continuava a sorriderle mentre lei si guardava intorno, per vedere se qualcuno li stesse guardando. Scorse qualche sguardo innocente, qualche cenno di invidia tra le cheerleader che da tempo puntavano Marcus e poi il sorriso smagliante di Brittany, la sua migliore amica. Brittany si diresse verso di loro.
"Ciao Ali!" 
Si abbracciarono e si diedero tre baci sulla guancia.
"Ehi, come stai?"
"Tutto bene, grazie. Tu? Ti vedo strana, è successo qualcosa?" 
"Chiedilo a lui, è tutta la sera che è strano."
Brittany scrutó con sguardo indagatore l'amica, poi rivolse lo stesso sguardo a Marcus.
"Che vi è successo, ragazzi?"
Marcus non smetteva di sorridere
"Ciao, Brittany! Senti, possiamo parlare un momento? Dovrei chiederti un favore."
Brittany annuì e seguì Marcus dietro ad una colonna , a qualche metro di distanza da Alison.
"Che succede?" Chiese Brittany.
"Guarda qui!"
Marcus estrasse dalla tasca destra della giacca un piccolo cofanetto di velluto blu, lo aprì mostrando un anello argento con al centro un piccolo diamante color turchese. La ragazza rimase a bocca aperta.
"Voglio chiederle di sposarmi, stasera, nel cortile della scuola."
Brittany  gli sorrise, entusiasta dell'idea di Marcus.
"Cosa pensi che ti risponderà?"
Chiese lei, tornando seria.
"dirà di si...spero."
Marcus fece rigirare tra le dita il cofanetto e poi lo richiuse, rimettendolo in tasca.  
Alison posó il bicchiere sul tavolo delle bevande e diede un occhiata al suo cellulare. Erano le 20 e 30. 
Marcus tornó da lei e le bisbiglió all'orecchio di seguirlo. La prese per mano e si diressero verso il cortile dell'istituto. Alcuni studenti li videro passare e sgranarono gli occhi appena videro Marcus a terra, inginocchiato di fronte ad Alison. 
Marcus estrasse emozionato il cofanetto e lo aprì. Alison non sapeva che dire, era totalmente bloccata e non riusciva a muovere un muscolo. 
"Ali, tesoro mio, vuoi sposarmi?"
Alison sbiancó. Non sapeva cosa dire, o cosa fare, non si aspettava un gesto simile da parte del suo ragazzo.
"Marcus...io..."
Le parole le uscivano a malapena dalla bocca e Marcus continuava a sperare nel suo "si".
"È il tuo più grande sogno, quello di sposarti e io voglio renderlo realtà."
La ragazza si sentì gli occhi di molte persone puntati addosso, rimase immobile ancora un lungo istante, esitante sul da farsi, poi finalmente gli rispose.
"No..." 
Marcus cambió subito espressione, udendo quella risposta.
"No?" 
Le chiese, incredulo. Alison gli ribadí la sua risposta con un cenno del capo. Deluso , Marcus si rialzó. Tolse l'anello dal suo involucro e lo gettó a terra con forza. 
Alison fece un passo indietro, fissando il piccolo diamante turchese.
"Mi dispiace, Marcus. " gli disse cercando di prendergli la mano. Marcus si mosse di scatto, allontanandola bruscamente. 
"E voi? Che avete da guardare, eh? Lo spettacolo è finito, potete andarvene!" Disse Marcus, rivolgendosi ai ragazzi che li stavano ancora fissando, con sguardo attonito. 
"Marcus, ti prego, non fare così." Alison cercava di calmarlo, con scarso successo. 
"Vorrei portarti in un posto. Vieni." 
"Dove vuoi andare?" Marcus non rispose e si incamminó verso la sua auto. Ali lo seguì. In auto quella terribile sensazione tornó a tormentarla. "Uffa, cosa mi succede stasera?" Pensó. 
Marcus mise in moto la macchina e per un po' rimasero in silenzio. La visibilità era ridotta a causa della nebbia e Alison inizió ad agitarsi. 
"Marcus, vai piano!" Gli disse, guardando con aria preoccupata il conta chilometri che segnava i 140 km/h. 
"Perchè? Hai paura?" Le chiese, con tono quasi divertito.
"Ti prego! Rallenta!"
"Calmati, non succederà niente. Siamo quasi arrivati."
Seguì di nuovo un lungo istante di silenzio, finché il ragazzo sbottó.
"Io non ti capisco, che cosa vuoi? Si può sapere? Ero pronto a realizzare il tuo più grande sogno e tu che cosa fai? Mi rifiuti? Ma che diavolo ti è preso, Ali?"
"Senti, so che non è stato piacevole però io non sono pronta a sposarmi. Sono giovane, anzi siamo giovani! Dobbiamo ancora finire la scuola e poi ci sono altre cose che voglio fare, prima di sposarmi. È una cosa seria, Marcus. Il matrimonio non è da prendere alla leggera, comporta molte cose, pensavo lo sapessi."
Marcus si irrigidì ancora di più. 
"Pensi che non ci abbia pensato? Credi che mi sia svegliato una mattina pensando 'ehi, sai che faccio oggi? Le chiedo di sposarmi! Tanto non ho nulla da fare!' Ali, per favore! Come puoi dirmi queste cose?" 
L'auto correva sull'asfalto e la nebbia si fece sempre più fitta. 
"Ok, scusami. Però ti ho detto la verità. Non sono pronta."
"E quando lo sarai?"
Sbottó nuovamente Marcus. 
"Come posso saperlo? Potrebbe essere tra qualche anno, non posso dirtelo così su due piedi!" Marcus si voltó a guardarla. 
"Tu mi ami? Dimmi la verità!"
Alison lo guardó, sbigottita. 
"Certo che ti amo, che domande!"
"Allora perchè hai detto di no? Non continuare a dirmi bugie!" 
Le rispose lui, senza staccarle gli occhi di dosso.
Ali si voltó a guardare la strada.
"MARCUS, ATTENTO!!"
Gli urló, spaventata a morte. Il giovane si voltó a sua volta e vide una luce farsi sempre più intensa davanti a loro. La sua auto stava per schiantarsi contro un furgone, ma all'ultimo momento Marcus sterzó dalla parte opposta per schivare l'impatto. L'auto sfuggì al suo controllo, sfrecció  in un campo di avena e terminó la sua corsa contro un albero. 
Marcus tossì e avvertì piccole gocce di sangue scendergli sulla guancia destra. Si toccó la fronte e guardó con ribrezzo il liquido scuro sulle sue dita. 
"Ali, ti sei..." 
Non riuscì a terminare la domanda. Appena la vide gli venne quasi da svenire. Ali era ancora seduta di fianco a lui, con una grossa macchia di sangue che le era colato per tutto il viso e gli occhi chiusi. Cercó di svegliarla dandole leggeri colpi sulla guancia sinistra, ma non servì a niente. Prese quindi il suo cellulare e compose un numero.
"Pronto? Aiutatemi, vi prego! La mia ragazza non si muove, è coperta di sangue, aiuto!" 
I soccorsi arrivarono sul posto in un baleno e portarono via Alison e Marcus a tutta velocità. 
Arrivati in ospedale, i soccorritori corsero a portare Alison in sala operatoria. 
" ha subito un forte trauma cranico, continua a perdere sangue, dobbiamo intervenire alla svelta!" 
"Ci vuole il dottor Tunner!" 
"È nella seconda sala, a destra!" 
I ragazzi la portarono di corsa dal dottor Tunner, mentre Marcus venne visitato e medicato da un infermiera. 
"È tutta colpa mia..." Disse con le lacrime agli occhi. 
"Se solo avessi guardato la strada, se fossi stato più attento e se fossi andato più lentamente.."
"Non si agiti, il dottor Tunner è un ottimo dottore, vedrà che si salverà" 
Cercó di rincuorarlo l'infermiera.
"Lei dice?"
"Certo, si fidi. La sua ragazza è in ottime mani."
Dopo pochi minuti arrivarono in ospedale anche il padre di Alison, il signor Nicholson, e il fratello Andrew. 
"Dov'è mia figlia? Come sta? Vi prego, qualcuno mi dica qualcosa!"
Il signor Nicholson si mise ad urlare disperatamente, in cerca di sua figlia. 
"Lei è il padre di Alison Nicholson?" Chiese un ragazzo addetto ai soccorsi. 
"Si, sono io! Mi dica, come sta?" 
Il ragazzo gli spiegó la situazione e l'accaduto. Dopo aver udito l'intera storia, il signor Nicholson si diresse come una furia in cerca di Marcus. Appena lo trovó gli si avventó contro con violenza.  
"Figlio di puttana! Guarda come hai ridotto mia figlia!"
Marcus venne scaraventato con forza contro una parete dell'infermeria, il suo collo venne immobilizzato dalle mani dell'uomo, accecato dalla rabbia. 
L'infermiera che medicó Marcus cercó di liberarlo dalla presa. Entrarono altri due infermieri e, con molta fatica, riuscirono a staccare il signor Nicholson dal collo del ragazzo. Marcus riprese fiato e cercó di dire qualcosa, senza però riuscirci. 
"È qui il signor Nicholson?" Chiese ad un tratto un infermiere. Tutti si voltarono. 
"Si, sono io! Ci sono novità?" Chiese, speranzoso.
"Venga con me" 
Ed entrambe uscirono dalla stanza. Ciò che spetta al povero signor Nicholson sarà una brutta realtà. 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


"Mi dica dottore, come sta?"
il dottor Tunner si morse le labbra, poi parló.
"Sua figlia è viva, signor Nicholson. È stata salvata in extremis. Purtroppo però, il colpo molto forte che ha subìto alla testa le ha certamente provocato qualche disfunzione a livello cerebrale."
Il signor Nicholson rimase a bocca aperta.
"E quindi? Come starà mia figlia?"
"Non sappiamo ancora con esattezza che tipo di danno abbia subìto. Stiamo già facendo gli accertamenti necessari ad individuare quello che sarà il suo problema. Potrebbe soffrire di brevi perdite di memoria, o disturbi comportamentali."
L'uomo si mise le mani tra i capelli. Digrignó i denti, incredulo e disperato. 
"Ora dov'è? Voglio vederla!"
il dottor Tunner accompagnó il signor Nicholson al vetro della stanza in cui Alison era ricoverata. 
I suoi capelli dorati, al posto di essere adornati dalla classica coroncina di plastica che le spetta ogni anno, come simbolo di vittoria al concorso di "reginetta del ballo", sono avvolti da numerosi fili, collegati ad un monitor accanto a lei. una benda spessa le era stata legata intorno alla fronte. La pelle era molto pallida, e faceva trasparire la debolezza del suo corpo. 
"È in coma farmacologico, ora. Dovrà rimanerci ancora per un po'. Appena la risveglieremo la faremo chiamare, d'accordo?"
Il padre mise una mano sulla vetrata che lo separava da sua figlia. Non riusciva a credere che fosse successo tutto ciò, così in fretta e inaspettatamente. 
"D'accordo.."
Il signor Nicholson si sedette su una sedia. Si chinò in avanti e fissó il pavimento. "Come è potuto succedere? Alison, piccola mia. Cosa ti succederà appena ti sveglierai?" Pensó. 
"Signor Nicholson?"
La voce di una ragazza lo stava chiamando. Alzó lo sguardo, era Brittany. La sua figura esile gli si avvicinó. Si accovacció di fronte a lui e lo guardó, con sguardo compassionevole. 
"Ho saputo dell'incidente e mi sono piombata qui. Mi ha chiamato Marcus, in lacrime. Che cosa è successo ad Ali?" 
Le lacrime iniziarono a scenderle lungo il viso, bagnandole gli occhi azzurri. 
Il signor Nicholson le spostó una ciocca di capelli neri dalla fronte. 
"Temo che Ali, da domani, non sarà più la stessa." 


l'indomani l'uomo venne chiamato dall'ospedale. Sua figlia stava per essere risvegliata. Vi si precipitó con il figlio Andrew e si misero ad attendere il dottor Tunner. 
Poco dopo arrivó anche Marcus. Andrew gli lanció un occhiataccia, mentre suo padre non lo dsgnó di uno sguardo. Il ragazzo si tenne a distanza da entrambe e si appoggió alla parete di fronte alla vetrata della stanza. Appena il dottore arrivó, entró da Alison e controlló il monitor. In seguito, insieme con altre due infermiere si misero all'opera per ridestare la ragazza. 
Alison aprì gli occhi poco dopo.
"Papà..." Disse con un filo di voce.
Un infermiera fece cenno al signor Nicholson di entrare.
"Ciao piccola mia. Sono qui." 
Le accarezzó la testa mentre lei cercava di mettere a fuoco la stanza. 
"Papà, perché siamo al buio?"
L'uomo guardó perplesso la ragazza, per poi spostare lo stesso sguardo sul dottore.
"Tesoro, che dici? Non siamo al buio. La luce è accesa, vedi? Guarda in alto." 
Le rispose, in tono dolce. 
Alison cercó di nuovo di mettere a fuoco la stanza, ma non ci riuscì.
"Oh, no...no.."
Alison inizió ad agitarsi. 
"Non riesco a vedere...è buio! Non vedo niente!" 
Si alzó di scatto e le infermiere la tennero ferma. 
"Non si agiti, signorina. È sicura di quel che dice?" Chiese un infermiera.
"Certo che ne sono sicura! Che mi avete fatto? Perchè non ci vedo? Io non ci vedo!" 
Scoppió a piangere e suo padre la abbracció, cercando di calmarla.
Il dottor Tunner tiró fuori il suo cerca persone e chiese di un certo dottor Johnson. Un uomo piccolo e baffuto entró nella stanza con in mano una valigetta di cuoio marrone scuro. Fece uscire i presenti e puntó una lucina dritta agli occhi di Alison. Un po' a destra e un po' a sinistra, nessuna reazione. 
"Mi spiace, figliola. Temo che la sua vista sia rimasta provata a causa dell'incidente. Lei...è...come dire...cieca." 
Alison si rimise a piangere.
"Mi dica che è uno scherzo, la prego! Ditemi che è tutto finto! Per favore!"
Il dottore abbassó lo sguardo e con voce colma di dispiacere le disse:
"No, temo di no. Non è uno scherzo. Mi dispiace..." 
Alison con un balzo scese dal lettino e si fiondó alla cieca fuori dalla stanza. Suo padre e le infermiere cercarono di fermarla ma non ci riuscirono. Corse a tutta velocità lungo il corridoio, piangendo disperata. Ogni tanto si scontró con qualcuno ma niente la fermó. Continuó a correre finché d'un tratto rallentó, tastando con le mani la parete ruvida dell'edificio, in cerca di una porta. 
Voleva uscire da li, andarsene da quel l'incubo assurdo. 
Finalmente trovó la maniglia di una porta. Si ritrovó nei bagni, si accasció a terra e continuó il suo pianto disperato. Si mise le mani sul viso e strizzó gli occhi più e più volte. Li aprì e li chiuse innumerevoli volte, cercando di mettere a fuoco con lo sguardo. Niente. Tutto era ancora buio. 
Si alzó e a tastoni si diresse verso il lavello. Lo trovó e aprì con forza l'acqua gelida. Si bagnó il volto e nel frattempo pensó "dai Ali, svegliati! È tutto un brutto sogno, svegliati! Svegliati!". Continó a gettarsi acqua sugli occhi e sul resto del volto, ma nulla cambió. 
Si gettó così all'indietro e colpì con la schiena la parete della stanza. Si riaccasció a terra, senza più lacrime da versare. 
"È tutto vero.."
si disse, a bassa voce.
"Tutto vero.."

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Dopo averla ritrovata, il signor Nicholson e Andrew la raccolsero da terra e la portarono a casa. Quando arrivarono, Alison aveva il volto inespressivo. Qualche lacrima le scese sulle guance, ma se le asciugó subito. Non voleva piangere, non più. Era arrabbiata. Furiosa. Ce l'aveva con Marcus, era a causa sua se ora non ci vedeva più. Ce l'aveva con i dottori, che secondo lei non avevano fatto il possibile per aiutarla. Soprattutto però, ce l'aveva con se stessa. Non doveva salire su quella maledetta macchina, doveva starsene alla festa e lasciar perdere Marcus e le sue idee. 
"Marcus, ti odio. È tutta colpa tua." Pensó, mentre stava seduta su una sedia in cucina. Suo padre le andó vicino e le accarezzó una guancia. 
"Domani dovremo tornare in ospedale. Devono farti ancora qualche esame." 
Alison non rispose e non mosse un muscolo. 
"Vuoi andare in camera tua?"
"E come ci arrivo? Non vedo un bel niente." 
Disse a denti stretti. 
"Ti accompagno." 
La accompagnó nella sua stanza e la aiutó a sedersi sul letto. 
"Sarà sempre così, d'ora in poi?"
Chiese Alison, con gli occhi lucidi.
"No, tesoro. Vedrai che tutto si siatemerà prima o poi, ok? I dottori non hanno ancora accennato a nulla di definitivo e poi.."
"E se fosse definitivo? Cosa faremo?"
Il signor Nicholson si strinse nelle spalle. 
"Non lo so. Non pensiamoci ora. Pensa a riposarti  un po', ok?" 
La ragazza non rispose e suo padre uscí dalla stanza. 
"Se hai bisogno di qualcosa chiamami, ok?" Le chiese fuori dalla porta. 
"Va bene." 
Sentiva la rabbia crescere sempre di più. Voleva urlare, rompere le cose, sfogarsi, ma non fece nulla. Il cellulare le squilló da parte a lei. Stava poggiato al comodino e inizió a cercarlo, guidata dal suono che emetteva insieme con la vibrazione. Fortunatamente riuscì a trovarlo ma non seppe che fare. Cliccó un tasto, sperando che fosse quello giusto, ma non lo era. Ne cliccó un altro, niente di nuovo. Provó un ultima volta, ma vedendo che era ancora quello sbagliato si infurió e lo gettó a terra con forza. Il cellulare cadde sul pavimento e poco dopo smise di squillare. Chiamó suo padre a gran voce e lui corse subito da lei. 
"Che succede? È successo qualcosa?" 
Chiese lui, preoccupato. Vide il cellulare a terra con il vetro scheggiato. 
"Perchè è a terra il tuo cellulare?" 
"Secondo te, come faccio a rispondere alle persone se non vedo i tasti? Me lo dici?" 
Gli rispose con rabbia. 
L'uomo si passó una mano tra i capelli brizzolati. Raccolse il cellulare e controlló le ultime chiamate ricevute. 
"Ti ha chiamato Alex. Vuoi che te lo richiami?"
"Si, però quando risponde esci. Non voglio che ascolti la nostra conversazione." 
Rispose Ali, gelida. 
Il padre le compose il numero e le passó il telefono. 
"Pronto?" 
Alex rispose quasi nell'immediato. 
"Esci, papà." 
Ali gli strappò di mano il cellulare e il signor Nicholson uscì, con un velo di tristezza sul viso. Non voleva che sua figlia si comportasse così, ma comprendeva il dolore e la rabbia che doveva provare a causa di ciò che era successo. 
"Ciao Alex, hai già saputo tutto, vero?"
Alexander, il suo migliore amico, aveva saputo tutto dal fratello di Ali. 
"Si, so già tutto. Mi dispiace da morire, tesoro. Come ti senti? So che è una domanda stupida, ti sentirai molto triste o arrabbiata, però vorrei sentirlo da te."
Ali si fece scappare due lacrime.
"Sto male. Verresti qui, per favore? Solo tu mi capisci." 
Gli rispose, con voce quasi strozzata dal pianto.
"Ali, verrei volentieri ma ora proprio non posso. Sono al lavoro e non riesco a passare. Ti prometto però che appena esco passo da te, ok?"
Alison tiró su con il naso.
"Va bene. Ah, Alex?" 
"Si?"
"...ti voglio bene."
Alex sorrise tra se.
"Ti voglio bene anch'io, Ali." 
chiuse la chiamata e Ali rimase ancora per un po' con il cellulare appoggiato all'orecchio, ascoltando il suono ripetitivo della telefonata che era appena terminata. 

Più tardi Alex passó a casa sua. 
"Salve signor Nicholson. Lei dov'è?"
L'uomo si sforzó di sorridergli e, dopo aver risposto al saluto, gli indicó le scale che portavano alla stanza della ragazza. 
Quando aprì la porta la trovò accasciata a terra, con il viso premuto sul pavimento. 
"Ali?" 
Chiese, temendo che le fosse successo qualcos'altro.
Alison alzó lentamente la testa dal pavimento. 
"Alex, sei tu?" 
"Si, ma...che è successo qui?" 
Chiese guardandosi attorno. 
Alison aveva distrutto un sacco di cose. La lampada che aveva sul comodino era a terra, in frantumi. I cuscini del suo letto avevano la federa strappata. Un sacco di pagine di libri, che stavano sul davanzale della sua finestra, erano sparse sul pavimento. Sembrava essere passato un ciclone che, con la sua forza distruttrice, aveva creato un grosso caos. 
Alex la aiutó ad alzarsi e la fece sedere sul letto. La abbracció forte e le accarezzó i capelli. 
Alison rispose al suo abbraccio e inizió a singhiozzare. 
D'un tratto bussarono alla porta. 
"Ali, posso entrare?" 
Era suo padre.
"Entra" rispose lei.
"Ha telefonato il dottor Tunner, hanno novità sui primi esami che ti hanno fatto ieri notte. Mi ha chiesto di raggiungerlo il prima possibile. Ti aiuto a vestirti e usciamo subito, ok?"
"Non mi pare di avere altra scelta, papà. Alex, vieni con noi?"
Alex rispose di si è dopo averla vestita la portarono in ospedale.
il dottor Tunner spiegó che la situazione era piuttosto complicata. Dai primi esami era emerso che i danni di Alison, per il 70 % erano definitivi. Ciò significava che la sua cecità era per lo piu permanente. 
La ragazza non riuscì a piangere e a disperarsi come fatto fino a poco prima. Non aveva più lacrime. Alex la abbracciò forte e il padre si mise le mani sul volto, sconvolto dalla notizia. 
"Mi dispiace. Per ora è tutto ciò che abbiamo rilevato. Domani pomeriggio la ricovereremo per due, tre giorni al massimo e le faremo altri esami, per essere del tutto certi di ciò che vi abbiamo appena riferito. Le verrà affiancata una psicologa e seguirà una seduta, per verificare anche il suo stato mentale."
Ali si acciglió.
"Stato mentale? Mi credete pazza? Non ho bisogno di uno strizza cervelli!"
il dottore sospiró.
" non ti crediamo pazza, Alison. Fa tutto parte dei controlli e non c'è assolutamente nulla di strano, te lo assicuro." 
Alex le accarezzó una guancia.
"Vedrai che andrà tutto bene." 
Le disse.
Alison non rispose. Il volto sempre più inespressivo e le rabbia le continuava a ribollire. 


Dopo averle fatto alcuni esami, giunse il momento della seduta psicologica. La dottoressa le fece qualche domanda. Le chiese come si sentiva e Alison seguitava a risponderle con tono freddo e arrogante.
"Come sto? Lei che dice? In fondo è lei l'esperta. È lei che dovrebbe illuminarmi sul mio stato emotivo, perciò lo faccia, la prego. Di sicuro lo sa meglio di me."
Disse Alison. La dottoressa rimase concentrata e continuó a farle domande. Quando le chiese cosa provasse a ripensare all'incidente e a ciò che era successo Alison non rispose. La donna la incitó con calma ma Alison continuava a fare scena muta, cosi tiró un gran sospiro e le disse: 
"Bene. Per oggi può bastare, direi."
Ali alzó un sopracciglio.
"Per oggi? Se spera di sottopormi di nuovo ad un interrogatorio si sbaglia di grosso. Non ho bisogno di qualcuno che faccia finta di comprendermi, chiaro? Non ho bisogno di comprensione, ho bisogno di vedere! Ha capito? Voglio vedere!"
Inizió a sbraitarle contro "voglio vedere! Voglio vedere!" E la dottoressa fu costretta a chiamare urgentemente le infermiere. Le ragazze appena entrarono la bloccarono, la stesero a terra con fatica ed estrassero una siringa con all'interno un sedativo. 
Alison scalciò con le gambe e diede una pedata in faccia all'infermiera che tentava di sedarla. 
"Sto bene, non si preoccupi."
Disse la ragazza rivolgendosi alla psicologa, che si avvicinó preoccupata che le avesse fatto male. 
Finalmente riuscirono a immobilizzarla, con anche l'aiuto della psicologa che le tenne ferme le gambe. Alison chiuse le palpebre e si addormentó. 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


"Che è successo?" 
Chiese il dottor Tunner alla psicologa, vedendo Alison stesa a terra.
"L'abbiamo dovuta sedare, dottore. Era impazzita. Ha iniziato ad urlare e.."
"L'avete sedata solo perchè ha alzato la voce?"
Chiese il dottore ad un infermiera, sgomento. 
"Mi ha dato un calcio in faccia."
il dottor Tunner guardó Alison con espressione incerta. 
"riportatela nella sua stanza. Sorvegliatela e appena si sveglia chiamatemi. Voglio parlare con lei."
Le infermiere portarono Alison nella sua stanza e la sdraiarono sul lettino. Quando si sveglió, la ragazza raccontó cosa era successo con la psicologa e il dottore, fortunatamente, le crebbe.
"Come ti senti ora, Alison?"
Le chiese il dottor Tunner, portandosi i capelli biondi all'indietro.
"Non saprei, dottore. Vorrei poterle dire che sto bene ma...temo non sia la verità, purtroppo."
Il dottore si strinse nelle spalle.
"Tuo padre sta venendo qui. Tra poco vi faremo avere i risultati delle analisi."


Il signor Nicholson arrivó e abbracció forte sua figlia. I risultati arrivarono e il dottor Tunner li lesse ad entrambi e spiegó loro la situazione.
"Dunque, c'è una buona notizia. Alison oltre al danno alla vista non ha subito ulteriori danni al cervello. Questo però significa che d'ora in avanti dovrà convivere con la cecità."
Ad Alison venne un brivido sentendo quelle parole.
"Dottor Tunner, mi dica la verità. Alison dovrà veramente passare il resto della sua vita come una 'non vedente'? Non esiste la minima possibilità che un giorno possa tornare a vedere?"
Chiese il padre.
"In realtà una possibilità esiste ma...è molto, molto piccola. Oserei dire quasi inesistente. Mi dispiace signor Nicholson e mi dispiace anche per te Alison, davvero." 
Il signor Nicholson accarezzó una guancia di sua figlia e in seguito si fece scappare una lacrima. 
Alison tornó a casa, pensierosa e abbattuta dalle considerazioni del dottor Tunner. 
Erano le 18 e appena la accompagnarono nella sua stanza e la stesero sul letto, scoppió a piangere. Si addormentó dopo aver pianto per mezz'ora e il padre la lasció dormire. 
Alle 23 il signor Nicholson stava per addormentarsi, quando udì un forte urlo. Proveniva dalla stanza di Alison.
 Corse dalla figlia e appena accese la luce la trovó sveglia.
"Alison, tesoro. Cos'è successo? Perchè hai urlato?"
"Scusa papà. Volevo chiamare Alex ma continuavo a sbagliare tasto per far partire la chiamata. Lo faresti tu, per favore?" 
Il signor Nicholson lo fece e gli passó il cellulare. Stava per dirle che le voleva bene e che per qualsiasi cosa lui ci sarebbe stato, ma lei lo zittì e lo invitó ad uscire dalla sua stanza.
"Almeno questa volta mi ha detto 'per favore'." Si consoló l'uomo, appoggiato alla parete della sua stanza da letto. 
"Alex?"
"Ehi, che succede?" 
Rispose Alex, con voce assonnata.
"Non riesco più a dormire. Sono triste perchè il dottor Tunner oggi mi ha comunicato che la mia vista non migliorerà mai."
Alex sgranó gli occhi, sorpreso.
"Come sarebbe a dire 'non migliorerà mai'?!"
"Proprio così. Sono rimasta sconvolta, davvero."
"Mi dispiace, tesoro. Veramente." 
Restarono al telefono per un ora. Alison gli confidó tutto ció che sentiva dentro di se. Ogni minima sensazione e paura. Alex si limitó ad ascoltarla e a cercare di consigliarle, ma stavolta era davvero difficile. 
"Marcus?"
"Sono tre giorni che non lo..avverto. Sembra scomparso. Probabilmente teme che mio padre lo prenderà a calci se si fa vivo, però non può nascondersi. Dovrebbe starmi vicino invece che fare il contrario."
Alex strinse le labbra.
"Quel ragazzo ha qualcosa che non va."
"Tu dici che gli è successo qualcosa?"
Chiese Alison.
"Non lo so, però ho come la sensazione che stia nascondendo qualcosa."
Non sapeva quanto avesse ragione. Marcus stava nascondendo qualcosa e, quel qualcosa, non era niente di buono. 

Marcus stava nella sua stanza, sdraiato sul letto e con gli occhi spalancati al soffitto. Le immagini dell'incidente e i sensi di colpa lo tormentavano molto, ma la cosa che più di tutte lo tormentava erano i risultati delle analisi. Le sue analisi. Quelle che gli fecero fare la sera dell'incidente. 
"E adesso cosa faccio?" 
Pensó, preoccupato. 
Il telefono gli vibró sul comodino.
"Si?"
"Ciao Marcus, come stai? Ho saputo dell'incidente. Cavoli, te l'ho detto di andarci piano la prima volta!"
Era Steve, il suo compagno di scuola. Un ragazzo dalla quale era meglio tenersi alla larga, con la passione per il gioco d' azzardo e le auto da corsa. I suoi genitori erano sempre disperati a causa dei suoi continui problemi e Marcus è l'unico amico che gli  era rimasto. 
"Smettila, scemo. Non pensavo fosse così forte." 
Rispose Marcus, irritato dall'ironia di Steve. 
"E dai, Marcus. Lo sai che la mia è roba forte! Avresti dovuto semplicemente limitarti."
"Certo, come no. Perchè mi hai chiamato, comunque?"
Steve fece una breve pausa, prima di rispondere.
"Ho bisogno di soldi. Ti ho fatto un favore, bello. Avevamo un accordo."
"Io non ho nessun accordo con te, lo sai!"
Marcus inizió ad adirarsi.
"Ok, d'accordo. Non abbiamo stipulato un patto però...resta il fatto che tu mi devi ancora pagare, amico mio."
"Ti pagheró!"
Rispose Marcus, con decisione.
"Voglio i soldi entro domani."
"Domani? E come faccio a darteli entro domani?!"
Chiese Marcus, preoccupato. 
"Questo non è un mio problema. Ma...se non li hai tu perchè non te li fai dare da papino?"
Steve sghignazzó e Marcus si mise le mani nei capelli. 
"Ti prego, Steve. Mi serve più tempo!"
Steve sbuffó, infastidito.
"Ok, ti daró più tempo."
"Grazie!" 
Marcus stava per riprendere fiato, ma Steve non aveva ancora finito di parlare.
"Ti do tempo due giorni, capito? Se entro due giorni non riavró i miei soldi...la pagherai. Stammi bene, fratello."
Marcus rimase con il cellulare attaccato all'orecchio, totalmente basito. 
Come poteva pagare Steve? A suo padre non poteva chiederli in prestito. Non più. Dopo l'incidente si era visto costretto a sborsare un sacco di soldi non solo per l'auto da riparare, anche per le visite e le cure mediche di Alison. Si offrirono spontaneamente i suoi genitori e il padre di Alison non ebbe nulla da obiettare a riguardo. Questa  era la 
sua situazione e non poteva permettersi di chiedere si suoi genitori nemmeno un centesimo. Gli sarebbe servito un miracolo per poter pagare l'amico. D'un tratto però, il display del suo cellulare si illuminó. Un messaggio di Alexander. Lo lesse. 
"Ciao Marcus, sono Alex. Volevo dirti che Alison è preoccupata per te. Mi ha detto che non vi vedete dal giorno dopo l'incidente e teme ti sia successo qualcosa. Se puoi passa da lei, le farebbe solo piacere. Scusa il disturbo. Alex."
Quel messaggio gli fece venire in mente un idea e non vedeva l'ora di metterla in pratica. 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Il mattino seguente, il signor Nicholson uscì di casa per recarsi al centro commerciale in centro a New York. Quando fu lì si fece quasi prendere dallo sconforto. Sua figlia non era più la stessa ormai, non era più la sua Alison. Era stanco della sua situazione, del rapporto che c'era tra loro dal giorno dell'incidente e si vedeva costretto ad accudire sua figlia da solo. I suoi familiari erano troppo lontani, così come i suoi due fratelli. Doveva provvedere a tutto lui. Se solo ci fosse ancora Annie, la madre di Alison, nonché suo primo grande amore. Fecero in tempo a far nascere Alison, seguirono molte complicazioni e poco dopo morì. Alison non sapeva praticamente nulla di sua madre. Non aveva alcun ricordo legato a lei, solo qualche fotografia, che amava tenere bene in vista nella sua stanza. 
Il signor Nicholson sapeva che se sua moglie fosse stata ancora con lui, tutto questo sarebbe risultato molto meno pesante da sopportare. In quel momento sentì molto la sua mancanza  e una lacrima gli scese giù per la guancia. 
"Signor Nicholson? Tutto bene? "
Si voltó e vide Brittany. 
Stava a guardarlo con occhi colmi di dispiacere, per ciò che stava passando e ciò che doveva passare la sua amica Alison. 
"Ciao Brittany. Vorrei poterti rispondere dicendoti che va tutto bene ma non sarebbe la verità. 
È cambiato tutto dal giorno dell'incidente e..." 
Sospiró forte prima di proseguire.
"Io non ce la faccio quasi più. Devo affrontare tutto da solo e Alison non è proprio gentile con me. Non la riconosco più, è molto cambiata.  È molto fragile, nervosa e arrabbiata. Sembra avercela con tutti quanti. Tutti tranne Alex."
Brittany gli si avvicinó ed estrasse dalla borsa il suo portafogli. Lo aprì e prese tra le dita un piccolo rettangolino di carta azzurra. 
"Tenga."
Gli disse, porgendogli il bigliettino.
"Questo è il mio biglietto da visita, in basso ci sono anche scritti il mio numero di casa e di cellulare. Questi biglietti li consegno a chi vuole commissionarmi un lavoro."
"Dipingi ancora, eh?" 
Chiese il signor Nicholson, rivolgendole un sorriso.
"Si, ogni tanto. Non ho mai smesso in realtà. Mi ero solo presa un po' di giorni di pausa."
"Tre anni per te sono solo 'un po' di giorni di pausa'? Immagino se avessi detto qualche anno.."
Risero insieme di quella battuta. 
"Ad ogni modo, se avesse bisogno di una mano, con Alison intendo, può contare su di me. In questi giorni sono stata un po' occupata ma se per lei non è un problema stasera vorrei passare a trovare sua figlia. È possibile?" 
"Certo, Brittany. Ora perdonami ma devo proprio scappare. Ho un po' di cose da fare e spero di riuscire a portarle tutte a termine. È stato un piacere rivederti  e...grazie, grazie di tutto."
Brittany gli sorrise e gli rispose: 
"Si figuri. Buona giornata, signor Nicholson."
"Puoi chiamarmi anche solo Dave. Mi fa sentire vecchio essere chiamato signor Nicholson."
Risero lievemente di nuovo e Brittany gli fece sì con  la testa. 
"Allora, buona giornata Dave."
"Anche a te Brittany."
Dopo che ebbe terminato le commissioni al centro commerciale, il signor Nicholson si recó verso l'uscita. Quando salì in macchina tiró fuori dalla tasca dei jeans il biglietto di Brittany. Se lo rigirò tra le mani e poi emise un sospiro. Sorrise fra se, pensando 'finalmente, qualcuno che si offre di aiutarmi'. Se lo rimise in tasca e si avvió verso casa.


Nel pomeriggio, il signor Nicholson salì le scale e aprì la porta della stanza di sua figlia. 
"Alison? Scusa se entro senza bussare. Vorrei.."
D'un tratto un oggetto sfrecció a tutta velocità verso suo padre. Il signor Nicholson si mise la porta davanti a sé per proteggersi e l'oggetto finì per cadere sul pavimento, era la spazzola di Alison.
"Ma sei impazzita?"
Tuonó rivolgendosi a lei.
"Mi hai quasi preso, lo sai?"
Alison non rispose.
"Ora basta. Ti porto di nuovo dal dottor Tunner."
"Perchè? A che serve il dottor Tunner?"
chiese Alison, con tono di sfida.
"A farti guarire! A trovare una soluzione, accidenti! Non puoi andare avanti così! Su, alzati. Ti aiuto a vestirti e andiamo da lui."
Si recarono all'ospedale. Il dottor Tunner chiese quale fosse il problema e ascoltó il signor Nicholson mentre parlava del comportamento della figlia. 
"Capisco. Una soluzione a questo problema c'è. Le dia queste." 
Il dottore prese delle pillole contenute in un tubetto arancione, posto assieme ad altri medicinali nell'infermeria. 
"Che cosa sono?"
"Sono dei calmanti. Non si preoccupi, ne basta una al giorno, al massimo due. Sono pillole dagli effetti molto blandi ma che saranno d'aiuto a sua figlia." 
Il signor Nicholson si mise in tasca le pillole.
"La ringrazio, dottore."
"Si figuri. Potreste scusarmi un attimo? Arrivo subito."
Il dottore uscì dal l'infermeria  e lasció Alison e suo padre soli. 
Alison era immobile, seduta al tavolo con le braccia conserte. Suo padre stava in piedi, di fronte a lei. D'un tratto il suo sguardo si posó su una cartella clinica posta sulla mensola, a fianco dei medicinali. Lesse di chi era. "Marcus Andersen". 
Guardó prima fuori dalla porta, se stesse arrivando qualcuno. Poi la prese in mano e la aprì. 
Su un foglio vi era scritto 'risultato analisi tossicologiche'. 
Continuó a leggere e gli venne quasi un mancamento quando vide la scritta "positivo".
"Oh, cavolo.." 
Disse a bassa voce. 
il dottor Tunner fu di ritorno ma non notó nulla poiché il signor Nicholson aveva già rimesso il fascicolo al suo posto. 
Si salutarono e si diedero appuntamento per la settimana seguente, per poter togliere i punti dalla testa di Alison. 
Appena arrivarono a casa, il signor Nicholson parló alla figlia della sua scoperta. 
"Ma come? Non può essere, papà. Ne sei sicuro?"
Chiese lei, scioccata. 
"Si, purtroppo ne sono sicuro. I risultati del test tossicologico sono positivi. Ora però dimmi la verità, ne sai niente?"
Alison rimase per un po' a bocca aperta, poi rispose.
"Certo che no, papà. Non ne so niente! E non so cosa pensare, davvero."
"Spero sia la verità."
Disse lui, con tono freddo.
"Papà, ti prego. Lo sai che non lo frequenterei nemmeno se sapessi che fa queste cose, mi conosci!"
Si irrigidì lei. Dopo un lungo attimo passato in silenzio, il signor Nicholson la accompagnò nella sua stanza. Appena chiuse la porta si fermó sulla soglia delle scale. 
"Ti conoscevo Ali, ora non più.." 
Pensó tra se. 


Suonarono alla porta. Era Brittany. 
"Buonasera, signor Nicholson." 
Gli sorrise lei. Lui la fece entrare.
"Buonasera, Brittany. Alison è di sopra, nella sua stanza." 
"La ringrazio."
Brittany salì le scale e bussó alla porta. Alison le permise di entrare e si abbracciarono forte. 
"Scusa se non sono passata subito a trovarti, sono stata un po' impegnata. Come stai?" 
Le chiese l'amica.
"Sto...non lo so. Ultimamente non lo so neanche io in realtà. So solo che vorrei che tutto tornasse come prima. Prima dell'incidente."
Brittany l'abbracció forte di nuovo, poi le chiese di Marcus. 
"Sono un po' di giorni che non lo sento. Non è ancora neanche passato a trovarmi e non so perchè. Probabilmente teme una reazione di mio padre."
"Perchè? Come reagirebbe tuo padre? Ok, magari non lo accoglierebbe molto volentieri in casa ma non penso che ti impedirebbe di vederlo, no?"
"Beh.." 
Alison si bloccó.
"Che c'è?"
Chiese Brittany, curiosa.
"Mi faresti un favore? Mi chiuderesti le ante della portafinestra? Inizio ad avere un po' freddo."
"Certo!"
Brittany si alzó dal letto del l'amica e si diresse verso la portafinestra che portava fuori, sul balcone. 
"Anche quelle di tuo padre sono aperte, le devo chiudere?"
"Si, grazie."
Rispose Alison.
Brittany uscì sul balcone. Spostò le ante verso l'interno e le chiuse. Quando si voltó per rientrare e chiudere quelle di Alison lanció un urlo. Marcus era davanti a lei e la spaventó. Scavalcó la ringhiera dopo essersi arrampicato fin su per il balcone. 
"Marcus, che diavolo stai facendo?"
"Non lo vedi? Sto venendo a trovare la mia ragazza." 
Rispose lui, un po' affannato per la fatica.
"Perchè in questi giorni non ti sei fatto vedere da lei? Lo sai che ha bisogno di te? Soprattutto di te? Diamine, sei il suo ragazzo!"
"E a te che importa? Ora sono qui, no? Non mi rompere e dimmi piuttosto dov'è lei."
Brittany si acciglió.
"E se non fosse in casa?"
Le rispose, facendo un sorriso a mezza bocca.
"Certo che è in casa, altrimenti che ci faresti sul suo balcone?"
"Mi ha fatta entrare suo padre e mi ha chiesto di chiuderle le ante, lei non c'è."
Marcus la guardó attonito. 
"E tu pensi veramente che possa bermi questa storia?" 
Le chiese, ridendole in faccia.
"Come ti pare, non credermi."
"Finiscila Brittany. Lo so che è in casa!"
"Ma se ti ho appena detto che non c'è!"
Sbraitó lei. 
"Brittany? È tutto a posto?"
Chiese Alison dalla sua stanza.
Marcus la guardó freddamente poi entró nella stanza della sua ragazza. 
"Ciao amore! Sono io, Marcus!" 
Alison restó per un attimo senza parlare. 
"Marcus? Che ci fai qui? Come sei entrato?"
Le chiese, meravigliata. 
"Sono entrato dalla finestra! Come stai?"
Le si avvicinó e le diede un bacio delicato sulle labbra. 
"Sto un po' così, in realtà. Ma tu piuttosto, perché non ti sei fatto più vivo in questi giorni? Mi sarebbe bastata anche solo una telefonata o un messaggio.."
"Ah si? Un messaggio? E come avresti fatto a leggerlo?" 
La prese in giro, ridendo tra se. 
"Stronzo!" 
Sbottó Bruttany. 
"Tu pensa ai fatti tuoi! Scusa amore, pessima battuta."
La abbracció e le disse nell'orecchio:
"Devo chiederti un favore, amore mio."
Lei si staccó dal suo abbraccio, lentamente. 
"Dimmi. Di che si tratta?"
"Di un prestito. Hai 150 dollari? Te li restituiró subito, promesso."
"Che devi farci con 150 dollari?"
"Una cosa, ora non posso spiegarti."
Rispose Marcus, in modo sbrigativo.
"Devi comprarti quella robaccia?" 
Chiese Alison, in modo schietto.
"Quale robaccia?"
"Sai a cosa mi sto riferendo."
"No, davvero! Non so niente, di che parli?"
Marcus mentiva, sapeva benissimo a cosa si stesse riferendo Alison ma fece finta di essere confuso. 
Brittany li guardó entrambe, poi si mise a fissare Marcus e capì dalla sua espressione che stava mentendo. 
"Mio padre ed io siamo stati in ospedale. Abbiamo trovato il tuo fascicolo in infermeria, probabilmente il dottor Tunner se lo era dimenticato nel riceverci e mio padre lo ha letto. Sei risultato positivo al l'esame tossicologico."
Marcus sbiancó e Brittany rimase a bocca aperta. 
"Mi credi un tossico? Pensi che possa essere capace di usare quella roba? Ma dai, Alison!"
Rispose Marcus, infastidito. 
"E allora perchè sei risultato positivo al test?"
Le chiese lei, con calma. 
"Come fai a dire che quel fascicolo è mio? Lo hai visto per caso?"
Le chiese con tono di sfida. 
"Bastardo! Certo che non lo ha visto! Come puoi parlarle così?"
Sbottó di nuovo Brittany. 
"Tu stanne fuori! Rispondimi Ali, lo hai visto per caso? No! Come puoi quindi trarre certe conclusioni? E in più sai quanti Marcus Andersen esistono su questa terra? Il fascicolo poteva benissimo essere di qualcun altro e non per forza il mio! Ci hai pensato a questo?"
Alison non rispose. Il tono di Marcus era disarmante e non seppe più cosa dire. 
"Allora, li hai 150 dollari da prestarmi? Prometto che appena posso te li restituisco. Vorrei tanto fare un regalo a mia sorella che a breve compirà gli anni, tutto qui. " 
Le disse lui, tornando a parlarle con dolcezza. 
"Sono nel secondo cassetto del mio armadio, sotto il portagioie bianco. 
Brittany si diede un colpetto con la mano sulla fronte e stavolta si mise a fissare Alison, sempre più confusa e sbalordita. 
Marcus prese i soldi e se li mise in tasca. 
"Grazie, amore. Grazie, davvero! Ora scusa ma devo scappare. Torneró a trovarti presto, d'accordo?"
"Aspetta! Non ti va di rimanere un po' con me? Vorrei stare un po' in tua compagnia, anche solo cinque minuti, ti prego. " 
Imploró Alison. 
"Mi spiace, tesoro. Ho delle cose da fare. Ci rivedremo presto, promesso."
Le diede un bacio veloce sulle labbra e in un lampo uscì dalla sua stanza. Scavalcó di nuovo la ringhiera del balcone e scese arrampicandosi giù per la grata di legno. 
Alison restó in silenzio, triste per il fatto che Marcus se ne era andato via così in fretta. 
"Ali, ma che ti prende? Perchè gli hai dato i soldi? Sai benissimo a cosa gli serviranno e sono pronta a scommettere che il fascicolo è suo!"
"Tu non lo hai visto."
Rispose freddamente Alison. 
"Ok, io non l'ho visto, ma tuo padre si! Non ti direbbe mai una bugia, non su una cosa di questo genere e soprattutto non avrebbe mai detto niente se non ne fosse così sicuro!"
Insisté Brittany. 
"Magari stavolta si è sbagliato e Marcus forse ha ragione quando dice che di persone che si chiamano come lui al mondo ne esistono parecchie."
Brittany rimase scioccata dalle risposte di Alison. 
"Come sarebbe a dire che Marcus forse ha ragione? Sveglia, Ali! Ti sta abbindolando! Non lo vedi? Come puoi farti abbindolare così? Fossi stata in te col cavolo che glieli avrei dati i soldi. Specie dopo aver sentito in che modo ti rispondeva!"
"Brittany, la vita è mia. La gestisco io, come voglio. Ok?"
rispose acida Alison.
"Ma che risposta è?"
chiese Brittany, alzando un sopracciglio.
"Ti dico che la vita è mia e i soldi ne fanno parte. Sono parte della mia vita e sono miei, quindi scusami ma decido io quando e in che modo usarli. Riguardo a Marcus, lui mi ama e io amo lui. Secondo me è stato sincero ed è per questo che glieli ho dati."
Brittany lasció cadere le braccia lungo i fianchi.
"Sai che ti dico? Fa come ti pare. Per me Marcus è un gran bugiardo e ti sta prendendo in giro. Ah! Un' altra cosa...tuo padre ha ragione. Sei cambiata. Non ti riconosco più."
Detto ciò, Brittany uscì arrabbiata dalla stanza e Alison rimase immobile. Cercó a tastoni il letto e appena lo trovó ci si sdraió sopra. ripensó al dialogo avuto con Brittany. 'E se avesse ragione? Se Marcus mi stesse prendendo in giro?' 
Pensó tra se. 
'No, non ha ragione. Lei non mi capisce, nessuno può capirmi. Nessuno.' 
E le lacrime iniziarono a rigarle il viso. 






 

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