Per chi
ancora crede che il
primo amore
non si scorda
mai.
Per chi
è convinto che
siano solo sciocchezze,
ma ogni tanto
ci pensa ancora.
Per chi non
crede nell’amore,
ma che forse un
giorno
cambierà idea.
Echoes
from the past
Prologue
Helsinki, 1992
La
ragazza nascose
il viso tra le ginocchia che teneva strette in un abbraccio,
lasciando che i lunghi capelli biondi le ricadessero davanti.
“Non c’è
nulla da fare” bisbigliò in un singhiozzo sommesso
“Sono
costretta a partire, Ville”
Il
sedicenne la
raggiunse, sedendole accanto e iniziando a carezzare con dolcezza i
lunghi fili dorati. “Shh, non vorrai mica farci
affogare?”
cercò di sdrammatizzare, asciugandosi velocemente una
lacrima,
prima che lei potesse accorgersene. Non doveva piangere. Non doveva,
per lei. L’avrebbe fatta soffrire ancora di più.
La
ragazza sollevò
un poco il capo, quel tanto che bastava per mostrare un leggero e
insicuro sorriso, sorriso che però non riusciva a
raggiungere
i grandi occhi nocciola, umidi di pianto.
“Non voglio
lasciarti ” biascicò lei, prendendo una mano di
Ville e
aggrappandocisi con forza, come se stesse per sprofondare e quello
fosse l’ ultimo appiglio rimasto a sostenerla
Lui
portò le
fragili dita alla bocca e sfiorò la pelle morbida con labbra
tremanti.
“Non voglio
lasciarti andare Tarja” mormorò con voce roca,
mentre le
lacrime rompevano gli argini della decisione .
Si
maledisse per la
sua debolezza “Non è giusto”
“La vita non è
mai giusta ”gli fece eco lei con rassegnazione
“E’
uno schifo!” proclamò piena di rabbia, scagliando
il
primo oggetto capitato a tiro.
“No, non
finirà così” le assicurò
Ville,
avvicinandola a sé e stringendola teneramente. Tarja
abbandonò
la testa contro il suo petto, allacciando le braccia intorno alla sua
vita.
“Non so come,
non so quando. So solo che succederà”
Lei
si risollevò
ancora una volta , per scrutare nei suoi bellissimi occhi verdi
“Me
lo prometti?”
“Te lo
prometto: questa non sarà la fine ” Tarja si perse
in
quei pozzi profondi di sincerità e amore senza riserve.
Le
loro labbra si
incontrarono per sigillare la promessa e, mentre si baciavano con
trasporto, Ville giurò a se stesso che non sarebbe stata
l’ultima volta.
Seattle, Fifteen years
later
Seduto
al bancone di un bar nel centro di Seattle osservavo con aria stanca
il bicchiere di vodka che mi stava davanti .
Mi
ero ripromesso di farla finita almeno con i superalcolici -
abbandonare la birra era fuori questione per me - ma si sa, le
decisioni prese dopo l’ ennesima sbornia colossale non sono
mai
troppo attendibili.
Certo
sarebbe stato molto meglio per la mia salute fisica e mentale
lasciare quel bicchiere dov’era.
Da
altra parte, un solo bicchiere non mi avrebbe fatto certo ubriacare,
ma almeno mi avrebbe tirato un po’ su di morale e…
“Hey,
tutto bene amico?” Domandò il barista,
sottraendomi ai
miei disconnessi pensieri.
“Tutto
a posto, sto solo pensando a cosa fare della mia vita”
risposi
sinceramente.
“Beh
non credo che troverai la risposta in quel bicchiere”.
Spiritoso
il ragazzo. Resistetti all’impulso di tirargli un pugno sul
naso.
In
fondo voleva recitare la parte del confidente delle povere anime
perdute ed io ero incazzato soprattutto con me stesso.
“Grazie
del consiglio” borbottai, tornando a fissare il bicchiere.
Hey,
solo perché mi ero trattenuto dallo scatenare una rissa non
voleva dire che ero pronto a spiattellare la mia vita privata ad un
coglione con lo straccio in mano.
Almeno
non ancora.
Certo
quella situazione doveva finire.
Ancora
una volta mi ero ritrovato a blaterare con me stesso, come un pazzo.
Forse
preoccuparsi della mia salute mentale non era poi più
necessario.
Probabilmente
non era rimasto più nulla di cui preoccuparsi.
Ero
in quello stato da mesi, da quando Jonna mi aveva lasciato.
Ormai
nemmeno i miei amici mi sopportavano più e, nonostante fossi
troppo orgoglioso per ammetterlo, era solo colpa mia.
Erano
diventati sempre più rari i momenti in cui potevo dirmi
sobrio, e questo aveva iniziato ad incidere anche sulla mia musica.
Non
sono mai stato considerato una persona troppo solare (sono in molti a
giudicare i testi delle mie canzoni a dir poco deprimenti) ma ero in
uno stato pietoso.
Dicono
che quando uno ha toccato il fondo non può far altro che
risalire; chissà per quale arcano motivo questo saggio
proverbio non era valso per me: avevo continuato a scavare. A
scavarmi la fossa. Ma questo è un’altra storia.
Dopo
un concerto andato decisamente male e l’ennesima sfuriata con
i
ragazzi, avevo deciso di prendermi una vacanza da tutto e da tutti.
Ma
in quel momento, seduto a quel bancone, mentre il locale andava a
poco a poco riempiendosi, mi resi conto di quanto poco fosse servito.
Mandai
giù in un solo sorso il bicchiere di vodka.
Ebbene
sì, la carne è debole.
“Pene
d’amore?” domandò una voce femminile
alla mia
sinistra. Cazzo, ma avevo un cartello attaccato in fronte con su
scritto ‘Rompete i coglioni’? Quasi quasi preferivo
le
orde di far urlanti al gruppo di sostegno per tristi e depressi.
Quasi.
Mi
voltai, trovandomi davanti una ragazza che avrà avuto
più
o meno la mia età, i lunghi capelli castani sciolti sulle
spalle, e gli occhi un po’ troppo vicini e gli zigomi
decisamente pronunciati Non era certo una gran bellezza, ma aveva,
come dire, altri pregi…che cercava di mettere bene in
mostra.
Forse, dopotutto, non era del telefono amico; no, temo che le sue
intenzioni non fossero così caste. Ma non ero interessato.
Nutrivo troppi risentimenti verso il gentil sesso al momento. I’m
a solitary man, baby.
Cercai
di liquidarla il più in fretta possibile: “Nessun
problema dolcezza. E scusami, ma devo proprio andare”. Mi
alzai
tirando fuori dalle tasche il denaro per pagare il mio drink e lo
lasciai sul bancone.
Indispettita
la ragazza mi squadrò un momento con sufficienza:
“Come
vuoi “sibilò, prima di voltarsi dall’
altra parte.
Non
vorrei sbagliarmi, ma mi parve di sentirla anche darmi dello stronzo.
Uscii
dal locale e mi accesi una sigaretta. L’aria era fredda e il
vento sibilava attraverso i miei vestiti, gelandomi le ossa fino al
midollo e ghiacciandomi il cervello.
Mentre
camminavo, iniziò anche a piovere: solitamente la pioggia
non
mi disturba, ma non si trattava di qualche goccia, stava
letteralmente diluviando.
Mandando
a quel paese il tempo, mi misi a correre sotto l’ acqua, ma
quando finalmente raggiunsi il mio hotel ero ormai completamente
zuppo.
Gocciolando
come uno straccio strizzato entrai nella hall, beccandomi uno sguardo
pieno d’odio da parte del calvo conciérge, vestito
in
modo impeccabile, la qui testa sembrava una palla da biliardo
perfettamente lucidata.
Sta
a vedere che adesso era colpa mia se era esploso un acquazzone!
Mi
domandai per quale dannato motivo mi fossi fatto mettere in un hotel
di lusso pieno di gente con la puzza sotto al naso, quando anche un
fottuto ostello sarebbe andato benissimo.
Non
ero certo dell’ umore di ostentare la mia ricchezza.
Volevo...
o non avevo idea di cosa volessi. Un miracolo forse? Mi avrebbe
fatto comodo.
Ma
di certo Dio, ammettendo la sua esistenza, non avrebbe perso il suo
tempo con un miscredente come me.
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Tarattatatatataaaaaaaaaa!
Ed eccomi
qui con una nuova fic!
Cioè…poi nuova non è xD In
realtà questa
storia ha quasi un anno ormai. Soltanto che per la stupidità
e
pigrizia di Mors è rimasta ad ammuffire sul quaderno per
lungo, lungo tempo.
Ma proprio
l’altro giorno,
mentre pensavo a come concludere ‘Lost in your
eyes’ ho
deciso di legare insieme le due storie. Si, lo so che adesso non si
capisce nulla xD Ma presto comprenderete il nesso! Oddio, non so
quanto presto xD Comunque teoricamente questa storia ha luogo poco
prima dell’altra, diciamo sempre nel periodo dopo
l’uscita
di dark light, quando Ville stava male dopo essere stato lasciato da
Jonna.
E’
solo un piccolo
prologo! Fatemi sapere cosa ne pensate^^
Ciaoo!
La vostra
Fallen Angel
Ahhh
naturalmente questa
storia è totalmente frutto della mia fantasia, non
è
stata scritta a scopo di lucro e non ha nessuna attinenza con la
realtà. Inoltre, non ha intenzione di offendere i personaggi
citati in alcun modo.
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