Abracadabra

di Lynx96
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo sesto ***
Capitolo 7: *** Capitolo settimo ***
Capitolo 8: *** Capitolo ottavo ***
Capitolo 9: *** Capitolo nono ***
Capitolo 10: *** Capitolo decimo ***
Capitolo 11: *** Capitolo undicesimo ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodicesimo ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo ***


Salve a tutti, questa è la mia prima storia e ho paura di miei eventuali strafalcioni.
Perdonatemi se ho personalizzato delle vicende presenti anche nel film o non ho ben precisato l'ordine temporale di alcuni eventi, ho fatto davvero del mio meglio, nonostante agli ultimi capitoli fossi letteralmente stremata.
Chiedo inoltre scusa nel caso in cui abbia reso i personaggi OOC, ho tentato con tutte le mie forze.
Spero siate clementi con me e che apprezziate comunque i miei sforzi; ricordate: una recensione è sempre di stimolo per continuare.
Lynx96.






Capitolo primo

 

 

Avvicinatevi , perchè più credete di vedere, più sarà facile ingannarvi.”

 

Central Park, New York, anno 2013

 

Era buio. Il vento sferzava delicatamente le chiome degli alberi all'entrata del parco.

Merritt aveva affrettato il passo in una frenetica corsetta alla Jack Sparrow.

Henley Reeves e Daniel Atlas erano rimasti indietro.

Alla luce di un lampione Henley poteva vedere i suoi occhi azzurri come il mare avvicinarsi. Un'onda impetuosa che stava per infrangersi su di lei. Non aveva possibilità di fuga.

 

Quando non puoi sconfiggerli, unisciti a loro.

 

Henley era immobile e Atlas continuava piano ad avvicinarsi. Il suono dei loro respiri si mescolava con i rumori della fauna e la flora del parco: lo scricchiolio di uno scoiattolo su un ramo, un uccello in volo, il vento tra le foglie dei pini.

Arrivato ad un passo da lei, Atlas mugugnò qualcosa che Henley non sentì e la prese per i fianchi prima di avvicinare il viso al suo, occhi negli occhi, nasi che si sfioravano e la bocca a pochi centimetri dalla sua.

 

Unisciti a loro.

 

Henley si tuffò. Le loro bocche si toccarono e il suo cuore perse un battito.

Poi dischiusero le labbra e le loro lingue poterono incontrarsi, insaziabili dopo la lunga attesa.

Atlas la strinse più forte e con una certa foga, come se temesse che le potesse sfuggire dalle braccia, come se in quei pochi attimi volesse farla sua e solo sua. Era un maniaco del controllo e questo Henley lo sapeva fin troppo bene.

In quella tempesta di sensazioni governava un unico sentimento: l'amore.

Sovrastava i mari tenendo alta la sua bandiera e il vento la scuoteva, invincibile.

Henley chiuse gli occhi e si abbandonò ad Atlas come se di questo ne dipendesse la sua vita. Quando il bacio si interruppe gli accarezzò i capelli e rimasero abbracciati per qualche minuto prima di discostarsi.

 

-Dovevo farlo prima della fine- Atlas sospirò.

Henley comprendeva. Se tutto quel gioco di fare i Quattro Cavalieri fosse stato tutto un bluff? Se fossero state illuse pedine di qualcosa di troppo grande per loro?

Forse era la fine, tutti loro lo sapevano.

 

-Sono contenta che tu l'abbia fatto-

 

-Maledetto cancello!-

 

Entrambi udirono un suono metallico, come di un calcio che si abbatte con vigore contro il metallo. Merritt era molto nervoso ed impaziente.

Si diressero verso il cancello d'ingresso del parco. Era chiuso, ovviamente.

L'ennesimo ostacolo verso la verità. L'ultimo.

 

Quello che accadde dopo fu troppo strano per ricordarlo con chiarezza.

Jack che apre il cancello grazie alle sue abilità di ladro scassinatore, l'inganno di Rhodes, Lionel Shrike, l'Occhio di Horus. Tutte nozioni assurde eppure fondamentali.

Ai loro occhi tutto divenne chiaro, i pezzi del puzzle andarono al loro posto, sebbene allo stesso tempo fosse tutto confuso, surreale.

I Quattro Cavalieri erano in preda allo sconcerto, ad un piacevole stupore e ad una certa dose di umiliazione riconoscendo di essere stati ingannati fin dall'inizio.

Non c'è niente di più offensivo per un illusionista, per un mago di qualsiasi sorta, di venire preso deliberatamente per il naso, di essere vittima di un trucco, del proprio stesso trucco.

 

Di aver guardato troppo vicino.

 

In balia di questa rincorsa tra paradossi, ebbero finalmente il proprio premio: vedere avverarsi le leggende sull'Occhio di Horus.

Poco dopo essere entrati in quel vortice soffuso di magia, traboccante illusioni inimmaginabili, Atlas la prese per mano, con tenerezza, dandole un piccolo bacio su una guancia. Fu delicato, a suggellare una promessa. Auspicante un importante avvenire, tutto da trascorrere, insieme.

 

 

 

 

 

 

Una spugna per cancellare il passato,

una rosa per addolcire il presente

e un bacio per salutare il futuro”

Anonimo

 

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***


Salve di nuovo!
Questo secondo capitolo mi è piaciuto più del primo, lo trovo più realistico e IC, tuttavia temo sempre di aver sgarrato da qualche parte.
Apprezzerei davvero che, oltre a fermarvi a leggere, scriviate anche qualcosina, giusto per farmi sentire più o meno sicura se continuare, capire come migliorare e se c'è qualcosa, anche la più piccola, che trovate piacevole.
Buona lettura!
Lynx96

 

 

 

Capitolo secondo

 

 

Le ferite d'amore cicatrizzano male”

Jean Josipovici

 

23 marzo 2012, ore 4:44 p.m

45 East Even Street

New York

 

Sole. Il rumore del traffico. Smog. Un bicchiere di caffè nella mano destra, quella strana carta nella mano sinistra, che indicava luogo, data e ora dell’incontro.

La Papessa. La Sacerdotessa. Giunone.

Nel Cristianesimo la fede, nell’Ebraismo la giustizia, nei tarocchi la conoscenza in tutte le sue forme. La dualità tra mondo spirituale e mondo terreno. Nella magia la conoscenza per operare bene.

Ecco, lei non si sentiva importante, non si sentiva pura, non si sentiva preveggente.

Era sempre stata fragile ed insicura, dedita alle sue passioni con decisione, ma decisamente debole. Non comprendeva le persone, il loro modo di pensare; non sopportava la loro volubilità.

Fuggire da una vasca piena di piranha era un modo per ingannarli tutti, prendersi gioco di loro, della loro credulità.

Operare bene. L’unica cosa giusta che aveva fatto in vita sua era stata la scelta di dedicare tutta se stessa all’escapologia. L’unica cosa che le aveva dato – e le dava – soddisfazione.

Una cotta finita male bastava a comprendere che l’amore non esiste, che è solo un inganno. Come la magia d’altronde. Pura illusione.

Ora, con i capelli al vento in mezzo al traffico di New York, verso una meta che poteva essere la sua fine o un nuovo inizio, si sentiva finalmente scelta, preferita, notevole.

Anche se questo avesse posto fine alla sua carriera, alla sua vita, anche se fosse stato uno squallido scherzo e lei una patetica ingenua credulona, be’, almeno era stata preferita ad un’altra casuale vittima. E questo faceva la differenza.

 

-Henley!-

 

La sua voce. Il suo nome. La sua voce che diceva il suo nome.

 

-Danny!-

 

Un Daniel Atlas trafelato era appena sceso da un taxi lungo la sua stessa strada.

Danny... Aveva un suono così intimo sentirlo dalla propria voce, come se fosse un lontano amico d'infanzia, un amico ritrovato, oppure un fratello o una vecchia cotta mai sopita.

Invece era J. Daniel Atlas, la fonte di tutta la sua sofferenza, di tutto il suo rimuginare, l'oggetto su cui riversava tutta la sua rabbia.

Per un attimo aveva sentito un certo affetto nel tono della sua voce, un bambino felice di vedere un volto conosciuto, un volto amico.

Anche lui aveva una carta in mano; la fece sentire meno sola.

E lo vide con occhi diversi, sotto un'altra luce.

Il velo della sua arroganza era come dissolto, non v'era traccia del ragazzo maniacale ed egocentrico che era stato, pensò Henley.

Solo un enorme sorriso piacevolmente sorpreso gli illuminava il volto.

Ma poi parlò.

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Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***


Ecco qui il terzo capitolo, spero sia di vostro gradimento.
Mi piacerebbe molto se qualcuno recensisse i miei scritti, anche se in negativo, perchè sarebbe davvero molto gratificante e costruttivo per me, che temo sempre di sbagliare.
Con ampia speranza,
L.


 

Quando uno ha avuto una volta la fortuna di amare intensamente,

passa la vita a cercare di nuovo quell'ardore

    e quella luce”

A. Camus

 

 

24 dicembre 2012

Ontario, Canada

 

Un giovane mago di successo stava completando il suo miglior spettacolo. Si poteva leggere sul suo viso quanta bravura emanasse. Bastava guardarlo per credere in ciò che diceva.

Finito lo spettacolo avrebbe fatto colpo su una ragazza qualsiasi con un trucco qualsiasi; dal più banale al più complesso la scala era lunga, ma la solfa sempre la stessa.

Avrebbe accompagnato la ragazza nel suo appartamento, avrebbero avuto una notte agitata e la mattina dopo l'avrebbe mollata senza ritegno per poi rimanere con la bocca amara senza conoscere niente di quella ragazza, né il nome né il colore dei suoi occhi, e senza ricordarne nemmeno gli attimi passati insieme.

Dopo tutto ciò avrebbe aperto una bottiglia di qualche super alcolico, se la sarebbe scolata in breve tempo crogiolandosi nella sua muta sofferenza.

Ma quel giorno non ne era in vena. La gioia che il giorno di Natale porta con sé lo schiacciava come un verme. La solitudine, l'apatia, l'insofferenza. Questo era diventata la vita di J. Daniel Atlas: un profondo senso di impotenza, odio per se stesso e pentimento celati sotto un velo d'arroganza.

Non gli era mai piaciuto perdere il controllo, ne aveva molta paura. Per questa ragione mal sopportava avere rapporti umani duraturi.

Un'assistente valeva l'altra.

Il fatto che tormentasse Henley con l'anonimato sul suo sito internet non significava che fosse ossessionato da lei, ma che voleva dimostrarle il suo bisogno di lui. Perchè Henley doveva aver bisogno di lui. Il fatto che si fosse fatta una carriera da discreta escapologa, che avesse dei gusti, delle idee e dei rapporti personali indipendenti dai suoi, che non si fosse mai presentata alla sua porta per chiedere di lui, magari di riprenderla a lavorare con lui erano solo una facciata, un'illusione.

Presto sarebbe accorsa, lui avrebbe fatto il prezioso e poi sarebbe tornato tutto come prima.

Non le mancava Henley, assolutamente no. Lo destabilizzava, ecco tutto.

Da maniaco del controllo quale era non riusciva ad accettare di buon grado, e senza un arco di tempo notevole, i cambiamenti. E questo era un cambiamento importante.

Il fatto che ormai fossero passati anni non significava niente.

 

-Non ti annoi a fare sempre lo stesso numero?- Anonimo.
 

Atlas era tornato a casa da poco e si stava assaporando con mesta soddisfazione il suo brandy.

 

-Prego?- H.


La sua vita era segnata dall'apatia, dall'indifferenza, dall'infelicità.

 

-Sei un'escapologa. In ogni numero riesci a fuggire da qualche gabbia, ogni numero è uguale ad un altro, cambiano le circostanze, ma è sempre lo stesso modus operandi- Anonimo.

 

Un sorriso patetico gli trafisse il viso.

 

-Vale lo stesso per gli illusionisti: non fanno altro che rigirare sempre le stesse carte e gli stessi trucchetti. Invece l'escapologia è un'arte molto più raffinata! Tutti fuggono da qualcosa mio caro Anonimo e credere in qualcosa che appare impossibile è l'elemento fondamentale per il pubblico- H.

 

Un brivido gli attraversò la schiena e il suo cuore perse un battito.

Glielo aveva insegnato lui cosa desiderava il pubblico.

Gabbia...Si sentiva in gabbia.

Mentiva a se stesso.

Tutto quello in cui credeva: un'illusione che lui stesso aveva creato.

 

Mi stai mancando Henley.

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Capitolo 4
*** Capitolo quarto ***


Hi to everyone,
sono reduce da due settimane di studio intensivo ed ora mi ritrovo con tre giorni sputati di "vacanze".
Ringrazio per chi segue questa storia così elementare, chiedo scusa come sempre per eventuali sfori in caratterizzazioni OOC e se utilizzo una scrittura poco scorrevole.
Spero di non essere noiosa e confido che, prima o poi, qualcuno si faccia vivo con un commento.
Buona lettura.

 

 

Capitolo quarto

 


 

In questo mondo non vediamo le cose come sono.

Le vediamo come siamo, perchè ciò che vediamo dipende principalmente da ciò che stiamo cercando.

John Lubbock

 

 

Las Vegas, 23 marzo 2013

 

Merritt McKinney era un mentalista, un ipnotista, un mago, e per questo motivo molti provavano timore a parlare con lui, paurosi che i loro più oscuri segreti venissero a galla.

Fin da piccolino era etichettato come un bambino pericoloso, alquanto disarmante.

Anche gli insegnanti si guardavano bene dal rivelare eventuali birbanterie ai suoi genitori.

 

-Come si comporta Merritti? E' un bambino tremendamente vivace!-

 

-Il signorino McKinney è davvero intelligente per la sua età, ma è un angelo! -

 

La sua infanzia fu molto divertente, ma con i suoi momenti bui. Ai primi anni della sua carriera scolastica si ritrovò spesso ( e volentieri alle volte) senza amici; al liceo grazie alla sua acutezza invece attirò ammirazione.

Dal canto suo Merritt era compiaciuto di questa sua abilità, ci provava gusto a smascherare la gente. Perchè è questo che in realtà faceva, scoprire gli scheletri negli armadi delle altre persone. Nessun potere magico, nossignore. Solo tanto spirito di osservazione, notevole capacità di deduzione e una piccole dose di fortuna e di intuito.

Perchè, ammettiamolo, la maggior parte delle volte tirava a indovinare. Erano gli interlocutori a stare al suo gioco.

Quando le persone dubitano, quindi non sono nemmeno convinti ciecamente che tu sia un ciarlatano, devi insinuarti subito nella loro mente, che vorrà prestare fede a ciò che gli suggerisci. Vogliono crederti, in realtà, e tutti dubitano.

 

In quel momento, su un aereo diretto verso Las Vegas, l'unica cosa che poteva fare per passare il tempo era allenare la sua mente.

Osservare. Interpretare. Dedurre.

Il signor Tressler aveva un'unghia sporca di tempera. Un nipotino. No. Rosa. Nipotina. Probabilmente con un nome inusuale. A,B,C,D,E,F.... Probabilmente la G, come l'iniziale del nome della moglie di Tressler.

Geneva, Giselle, Gwen, Ginette, Ginger, Gwendolyn, Genevieve.

Come Genevieve Hamper, l'attrice teatrale. Il figlio di Tressler era stato un attore teatrale per qualche tempo.

Poi Jack, troppo tranquillo per avere la coscienza pulita. Sicuramente aveva appena sottratto qualcosa al suo vicino. La sua abilità era incrementata non solo dalla velocità o da mani di velluto, ma anche da diversivi, per fare il colpo. Muoveva nervosamente una mano, in modo tale che la vittima concentrasse la propria mente verso quei movimenti.

 

Guardate da vicino, perchè più vicini sarete , in realtà meno vedrete.

 

Un cavallo di Troia. Classico espediente di ogni mago che si rispetti per preparare il vero trucco.

 

Atlas invece era nervoso, continuava a lanciare sguardi in ogni direzione. Viaggiare in aereo gli impediva di avere il controllo di cui aveva bisogno.

Per una volta non aveva la situazione in pungo e questo lo disturbava.

Merritt sorrise sornionamente.

 

L'arte di essere un mentalista sta nell'osservare, ma soprattutto nel sapere cosa osservare, e, per riconoscerlo, bisogna sapere qual è l'obiettivo finale, cioè cosa cercare.

Venire a conoscenza di un pensiero, di un segreto, una caratteristica, tutta questione di pratica.

Altre volte basta chiedere, mettere in difficoltà con le proprie parole, far finta di sapere, mettere in confusione l'altro, esercitare la propria ingannevole superiorità.

 

Merritt venne distratto dal suo flusso quotidiano di deduzioni da Henley, la quale si era appena sistemata vicino a lui, probabilmente per sfuggire a quell'egocentrico di Atlas.

Non li conosceva ancora bene, ma il fatto che già si conoscessero non era mai stato un segreto.

Ora Henley stava parlando affabilmente con lui, il quale non si ritraeva certo dalla possibilità di flirtare gratuitamente con lei.

Tuttavia era evidente che Henley fosse ancora presa da Atlas, rideva più del dovuto alle sue battute e anche quando non lo erano, questo implicava una certa dose di disperazione. Voleva ingannarlo, ingelosirlo.

Inoltre poteva osservare dall'abbronzatura della scollatura, che da non molto tempo aveva deciso di liberarsi di una catenina che teneva appesa al collo. Che fosse un ricordo della sua “esperienza lavorativa” al fianco dell'illusionista?

 

-Signorina Reeves, sa che la sua bellezza è davvero folgorante? Per quale motivo la intacca con tanta infelicità?-

 

-Sei un mentalista, dovresti già sapere la risposta-

 

-Risposta arguta. Dunque...Ti senti destabilizzata dalla presenza di Atlas, il quale ti ha procurato una grande umiliazione un tempo, ma che evidentemente in passato è stato anche oggetto di somma fiducia. Ora non sai come comportarti, dopo averlo odiato per tanto tempo, o aver creduto di odiarlo. Stai lottando contro l'istinto di schiaffeggiarlo e quello di abbracciarlo (o baciarlo?). Credi che non sia cambiato, ma allo stesso tempo speri che lo sia, perchè non lo hai mai completamente dimenticato. Ed è evidente che Atlas...-

 

-Ok, touchè-

 

-Mi interrompi proprio sul più bello-

 

-Non voglio baciarlo-

 

-E’ evidente che lui lo voglia, però-

 

-E’ l’amante; qualunque essere vivente di sesso femminile farebbe svalvolare i suoi ormoni-

 

-E questo rende infelici i tuoi occhi-

 

Henley non rispose e Merritti si sentì incoraggiato ad andare avanti.

 

-Stai dubitando del tuo giudizio. Eri più decisa quando ci siamo incontrati tutti insieme per non si sa quale scherzo del Destino, ma ora dubiti. Una parte di te crede che sia davvero cambiato e la temi, hai paura di rimanere delusa-

 

-Mi ha già delusa in passato-

 

-Ma ora non è il passato, è il presente-

 

-Allora dimmelo, se rischio di rimanere delusa- poi aggiunse – anzi, no. Non farlo!-

 

-Di cosa ha paura signorina Reeves?-

 

-Temo che mi diresti che mi sto illudendo-

 

-Signorina Reeves, un illusionista non fa altro che illudere-

 

Henley sospirò. - Non mi lasci davvero scampo-

 

-Sarò molto più generoso; ti lascio il beneficio del dubbio-

 

Henley sorrise e lui le accarezzò la testolina rossa.

 

-Ehi, stai flirtando con me per caso?-

 

Henley rise, fu un attimo, ma bastò a Merritt per cogliere tutto quello che gli serviva.

 

-Avevo intenzione di farlo-

 

-Hai cambiato idea? Perchè?-

 

Merritt fece il suo solito sorriso enigmatico e non rispose.

 

Atlas si era dimenticato di respirare.

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Capitolo 5
*** Capitolo quinto ***


Buonasera, cari lettori.
Questo ritaglio della vita dei protagonisti è totalmente di mia invenzione, quindi chiedo perdono se non rispettano alcuni riferimenti che mi sono sfuggiti, se i personaggi sforano nell'OOC o se ho esagerato a tal punto con la fantasia da rendere questo testo poco credibile. Io ho fatto del mio meglio.
Vorrei tanto sperare nella vostra comprensione e che vi spogliate di qualsiasi vena pignola, permettendovi di divertirvi, almeno un poco, leggendo questo capitolo.
Come sempre: recensite!
Buona lettura.






Capitolo quinto


 

La cosa importante nel mondo è non tanto dove stiamo,
quanto in che direzione stiamo andando”

Oliver Wendell Holmes

 

 

Chicago, 11 novembre 2007

 

Nel primo pomeriggio di quella domenica nuvolosa, il vento forte di Chicago cercava di rischiarare il cielo con tanta violenza da costringere i passanti ad utilizzare i numerosi sottopassaggi per attraversare la città.

Henley era avvoltolata nella sua sciarpa preferita color vinaccia. Con una mano teneva una cartellina stracolma di crediti e certificati, con l'altra cercava di contrastare il freddo tenendo premute le dita sul colletto del suo giaccone. Il vento le aveva intorpidito le mani e i piedi, causato spasmi di freddo e le aveva momentaneamente accecato gli occhi, che vedevano tutto sfocato.
Era in ritardo e avrebbe perso il lavoro ancora prima di presentarsi, lo sapeva. Tuttavia preferiva tentare la sorte; il vento poteva aver causato ritardi anche ai suoi datori.
Ma non poteva certo aspettarsi che gli abitanti di Chicago fossero inesperti quanto lei! Sicuramente erano già sul proprio posto di lavoro affaccendati con le loro pratiche, i loro numeri, le loro prove.
La giovane si rabbuiò a quel pensiero e decise di fermarsi a prendere fiato e a bere qualcosa di caldo. Sarebbe stata in ritardo comunque, tanto valeva esserlo di cinque minuti in più.
Fu mentre si stava girando verso la direzione opposta che si scontrò con un passante.
Caddero rovinosamente a terra. Henley poteva sentire il viso dello sconosciuto a pochi centimetri dal suo, la sua barba lunga gli solleticava la mandibola.
Con un'abile mossa si liberò e aiuto il passante ad alzarsi.

-Oh, mi scusi, non l'avevo vista, questo vento mi ha praticamente accecata, spero di non averle fatto male...-

-Non si preoccupi signorina, è stato un piacere!- Le rispose una voce flebile e gentile. -La prossima volta si premuri di mettere degli occhiali da sole!-

-Grazie, me ne ricorderò!-

Scombussolata, Henley ritornò sulla sua strada e si diresse in un cafè tranquillo e molto pittoresco all'angolo del sottopassaggio.
La sua vita sembrava sempre sul punto di decollare, ma puntualmente perdeva il suo volo e rimaneva a terra.
Stanca di pensare si godette quei pochi momenti di tranquillità, poi uscì, intenta a raggiungere la sua prossima sconfitta.
Non aveva ancora percorso tre metri che un ragazzo dinoccolato che passava lì vicino le afferrò i polsi e le legò stretta una benda sugli occhi.
Completata questa prima azione la spinse in un vicoletto, dove la legò ulteriormente con qualcosa di metallico ad un bidone.
Per tutto il tempo trascorso Henley non aveva avuto il coraggio di dire niente. Non si sentiva in pericolo, sapeva destreggiarsi bene grazie alla sua perfetta coordinazione.

-Non devi essere di Chicago per andare in giro senza occhiali da sole con questo vento, oppure devi essere molto stupida-

La sua voce era arrogante,ma suadente, calma e intrisa di mistero.
Quella voce era più rivelatrice in realtà, nascondeva una tenera incertezza e una dolce timidezza abilmente nascoste dalla presunzione. Provo un certo affetto per quello sconosciuto.

-E tu non devi essere molto modesto, ma sicuramente molto sfrontato-

-Ti ho vista prima-

-Di cosa stai parlando?-

-Prima, quando sei sfuggita con maestria alla morsa di quello con cui ti sei scontrata-

-Ebbene?-

-Credo che tu abbia delle potenzialità-

-In che cosa? Scontrarmi con le persone? Perdere un lavoro prima di presentarmici? Fare tardi? Farmi rapire? -

Il ragazzo allampanato le mise la mano sulla bocca e avvicinò la propria a pochi centimetri dal suo orecchio.
In quel momento Henley decise di liberarsi e con grande abilità si svincolò da quel marasma di fili, cavi, nodi, braccia e gambe.
Si tolse la benda dagli occhi e si girò verso il suo “aggressore”.
Due occhi celesti la fissarono da uno sguardo profondo e scrutatore.

-Sono Daniel Atlas-

Le tese la mano.

-Sono un illusionista e vorrei che diventassi la mia assistente?-

Tutto questo era profondamente irragionevole e privo di senso.

-Piacere, sono Henley Reeves-

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Capitolo 6
*** Capitolo sesto ***


Eccoci di nuovo qui: un altro capitolo, un'altra storia.
Come sempre grazie a chi segue la storia, a chi la apprezza e a chi non l'apprezza, perchè comunque ci spende del caro tempo. Vi prego di rendere il tempo che trascorrete a leggere questa storia utile almeno per me se non lo è per voi e di recensire, anche una recensione di tre righe sarebbe più che sufficiente.
Grazie e buona lettura!


Capitolo sesto

 

“Un sentimento ben circoscritto è un sentimento mutilato”

Paul Valéry

 

 

20 marzo 2013

Las Vegas, Nevada

 

 

Tra pochi giorni ci sarebbe stata la prima di una serie di spettacoli che sarebbero passati alla storia come i più grandi misteri dell'illusionismo. Per alcuni sarebbero stati di certo non legali, per altri un'azione Robinhoodiana e in particolare, per gli spettatori in sala una grande compensazione ai soldi spesi per il biglietto.

Si stavano preparando da mesi, a volte con entusiasmo, a volte pieni di dubbi.

Sembrava tutto lontano, troppo lontano per prenderlo sul serio, per credere che fosse realtà sembrava tutto un'illusione.

E lo era ancora. Da quando avevano escogitato il piano a quando si erano infiltrati nel camion dei trasporti, pronti ad addormentare al momento opportuno la guardia durante il trasferimento del denaro al caveau.

 

-Ahi, il tuo gomito è appuntito!-

 

-Sei tu che non mi lasci spazio!-

 

Il suono di un colpo secco e un dolore lancinante allo stinco.

Atlas represse i piagnucolii per assestare ad Henley una battuta pungente, ma il suono metallico di un portellone che si apriva invase il retro del camion.

 

-Cerca di fare silenzio, se non vuoi che ci scoprano Henley!-

 

Henley stranamente tacque, aveva smesso persino di respirare, così Atlas si sentì stimolato ad infierire.

 

-Sarai sempre un'assistente nella tua essenza-

 

Henley continuò a non rispondere e Atlas la vide contorcersi nel buio.

Il suo corpo era premuto a terra vicino al suo ed era come preso da orribili spasmi, come se cercasse di reprimere un attacco di tosse.

Quando stava cominciando a preoccuparsi seriamente, parlò.

 

-N-non hai mai dei dubbi in proposito?- balbettò.

 

Fu sorpreso dalla domanda, che era tutt'altro che irragionevole.

Loro erano gli unici a conoscersi già in precedenza, tuttavia non si erano mai fatti confidenze dal primo incontro in quell'assurda vicenda.

In quel momento sentì l'impulso di stringerla a sé.

Si avvicinò lentamente, come un bambino indeciso ad accarezzare un animale che potrebbe attaccarlo, male interpretando le sue intenzioni attraverso gesti impercettibili.

Henley era in preda a movimenti scostanti,ma non gli si oppose, così cerco di circondarla con un braccio, ma era troppo stretto là sotto, così si dovette accontentare di accarezzarle una guancia, accorgendosi del liquido caldo che vi sgorgava.

Al buio gli parve di scorgere uno sguardo grato nei suoi confronti.

 

-Ho paura anche io-

 

Ora vedeva in lei puro terrore.

 

-I-io non ho affatto paura-

 

Ora affanno.

 

-E allora perché stai piangendo?-

 

Rabbia.

 

-Perché sei un idiota!-

 

Freddezza.

 

Era stata questione di un attimo: vivere con l'illusione di potersi rivelare per quello che erano, assassinare i sentimenti attraverso la loro corazza indifferente, pura delusione.

Resasi conto di essersi sbottonata troppo, di aver ceduto ai sentimenti, Henley si riassestò e ricominciò a rivolgerglisi con disprezzo.

Resasi conto di aver ammesso di avere paura, di aver cercato di consolarla, di essere stato debole a cadere in quel tranello, di essersi creduto capace di comprendere, di essere tornato il solito ragazzo imbranato vittima del gioco dei sentimenti, di cui non ha mai capito nulla e di cui non aveva mai ricevuto le istruzioni, Atlas si rintanò nella sua arroganza.

 

-Sarei dovuto venire da solo, ci farai scoprire!-

 

Si morse la lingua, ma poi si riprese e continuò.

 

-La Papessa...AHI!-

 

Un altro calcio sullo stinco, questa volta coperto dal suono della chiusura del portellone.

 

 

Ama come se un giorni tu dovessi odiare

e odia come se un giorno tu dovessi amare.

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Capitolo 7
*** Capitolo settimo ***


Here we are, again.
Questo capitolo è fondamentalmente introspettivo e non ha un legame propriamente importante con il resto della trama, tradotto: volendo è possibile anche saltarlo a piè pari.
Come sempre, spero di essere rimasta IC, se lo sono mai stata, e che vi faccia piacere leggere le mie storie.
Concludo implorando recensioni, recensioni, e ancora recensioni!
Passo e chiudo.



Capitolo settimo



Le promesse sono bolle di sapone,

ma i sentimenti sono reali”

Gabriel Martin – The code

 

 

New Orleans, aprile 2013

 

 

-Buonasera signore e signori!-

 

Un enorme applauso esplose nella sala.

 

-Quest'oggi vi illustreremo l'arte della magia...-

 

-... I cui trucchi, che cercate di vedere...-

 

-...Sono sempre sotto i vostri occhi!-

 

L'applauso divenne un boato, non si sarebbe mai stancata di quell'adrenalina magica.

 

Quella serata era cominciata bene, tutto era andato secondo progetto: il coniglio, l'ipnosi, la camicia di forza... Ed ora si ritrovava a dover levitare in una bolla di sapone.

Si stava preparando allo scatto, Atlas era pochi metri davanti lei e la raggiungeva con lo sguardo. Era apprensivo...

 

1...

 

Rassicurante...

 

2...

 

Dolce...

 

E tre!

 

Henley si lanciò lungo il palco e scattò in avanti, pronta a buttarsi verso il pubblico per poi rimanere racchiusa dentro quella bolla d'acqua e sapone. Lo sguardo di Daniel fisso su di lei insieme a quello stupito dell'intero pubblico in sala.

Quel salto durò pochi attimi prima di essere smorzato dalla bolla, che si adattò perfettamente al suo corpo.

Ora levitava tranquilla sopra la platea, che la fissava di rimando, strabiliata.

Quello scambio tra il mago ed il suo pubblico è qualcosa di indimenticabile, una sorta di alleanza, di complicità intrinseca nello stupore, credere a cose impossibili è ciò che tutti vorrebbero, per sentirsi meno vulnerabili, per avere meno paura. Credere alla magia significa questo: non avere più paura di niente.

Anche credere in un cambiamento di Atlas era impossibile?

Non lo sapeva, ma in quel momento, ammirata da migliaia di occhi, volle crederci.

Si sentì improvvisamente sciogliere ed intiepidire, come se avesse aspettato un'intera vita il momento di tirare il fiato per poi ricostruire la sua barriera contro i nemici, contro il mondo.

Momentaneamente si sentì al sicuro, si sentì disillusa, finalmente in pace.

Ma forse era solo una sciocchezza, una stupida speranza che sarebbe scoppiata come una bolla di sapone.

Per qualche attimo, il cuore a mille e la felicità alle stelle, rimase sospesa nella sala, fino a quando la bolla si infranse e lei precipitò in caduta libera tra le braccia di Atlas.

Un fuoco strano la pervase fino alle orecchie: un grande senso di sicurezza, come se lui fosse lì per dirle: “Ehi, io ti salverò, sempre”, lo guardo con riconoscenza. Era previsto che venisse afferrata da Merritt o da Jack, quel cambio di programma tuttavia non la sorprese.

La bolla di sapone era scoppiata, ma i suoi sentimenti permeavano l'aria smossa.

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Capitolo 8
*** Capitolo ottavo ***


Rieccoci qui con l'ottava vicenda di questa storia.
Spero abbiate apprezzato fino a qui e, se così è, che apprezziate ancora in seguito.
Rivelo che i capitoli in totale sono dodici già stesi da tempo, quindi c'è ancora tempo per la conclusione.
Come sempre mi scuso, ringrazio e agogno recensioni!
Bonne lecture!




Capitolo ottavo

 

Finché si odia si ama ancora”

Alphonse Karr

 

QI dei quattro cavalieri, New York

25 marzo 2013

 

Per Jack lavorare sui trucchi elaborati da altri non era granché divertente.
Il tempo sembra non passare mai mentre si studiano dei nuovi ed impropri numeri.
Preferiva di gran lunga vedere un mago all'opera, osservarlo e studiarne minuziosamente le tecniche, arrivandoci indipendentemente da altri,con la propria mente, nel suo caso, più che allenata. Adorava avere pane per i suoi denti, potersi confrontare con qualcosa di nuovo, sfidare la propria abilità.
Tuttavia per lui non era adoperarli o imitarli la parte migliore, era sempre e comunque progettarli, esprimendo il proprio ingegno, il proprio talento e la propria inventiva.
Purtroppo per lui in quel momento si stava dilettando a sfidare il proprio corpo a concentrarsi sui progetti lasciatogli da Merritt, si stava impegnando a rimanere focalizzato su quel lavoro, davvero, ma c'era sempre qualcosa di più interessante. Uno scricchiolio, una mosca che vola, il traffico all'esterno del palazzo, un programma televisivo, una rivista, un libro di qualsiasi genere, anche apocalittico, un rumore sconosciuto oppure noto, una canzone che non riusciva a scordarsi, un ricordo prepotente o pensieri e dubbi sull'esistenza, sulla vita e sull'essere in quanto tale.
Ebbene sì, preferiva qualsiasi altro tipo di noia alla noia di quei progetti fatti e finiti.
Stava appunto pensando a come avrebbe potuto quantificare la sua noia, che Henley entrò furiosa dalla porta d'ingresso, buttò per terra facendo un gran fracasso ogni cosa che le capitò a tiro e cadde rovinosamente a terra inciampando nello spigolo inferiore del lungo divano.
Jack rise e lei, divincolandosi dal proprio cappotto, sbottò qualcosa di irripetibile.
Fu in quell'istante che un Atlas perennemente trafelato si catapultò a soccorrerla, ma lei arretrò offesa, offendendolo a sua volta, o ferendolo?
Jack guardava divertito loro due che si fissavano intensamente con astio, provo compassione per Atlas ed empatia per Henley, ma nel complesso un gran senso di ilarità.
Quei due erano davvero una coppia bizzarra e, per quanto si ostinassero a odiarsi e a scambiarsi parole sarcastiche e frecciatine pungenti, non erano un mistero per nessuno.
Henley si rialzò in fretta e si avviò sbuffando verso la credenza, i due ragazzi che la fissavano.

-Si può sapere che cosa hai combinato questa volta? -

-Non sono affari tuoi, pivello-

-Abitiamo insieme ed è evidente che c'è un problema, pertanto sono tenuto a sapere cosa succede oppure la smettete di deconcentrarmi durante lo studio di questi piani con le vostre occhiatacce al vetriolo!-

Nonostante quello che aveva appena detto, Jack sperava ardentemente che non lo lasciassero in pace, affinché potesse godere di un ghiotta distrazione.

-Non è successo niente e non ho bisogno di un analista!-

In quel momento si sentì un rumore secco: Henley aveva sbattuto gli oggetti più disparati davanti alla vetrina per poterne aprire l'anta destra. Nessuno rovistava mai in quella credenza, vi erano tutti gli oggetti personali dell'unica ragazza in quella casa e per questa ragione era off-limits. Neanche un imbecille avrebbe desiderato tanto ardentemente scoprire cosa contenesse prevedendo le conseguenze di questo gesto se Henley lo avesse scoperto. Tuttavia Jack aveva visto Atlas curiosarci qualche volta mentre lei non era presente, ma solo per qualche secondo, sentendosi braccato.
Atlas non era un idiota, a volte era peggio, proprio come in quel momento: Henley stava cercando affannosamente di prendere un oggetto troppo in alto stando in equilibrio sopra uno sgabello, così il mago le si avvicinò non proprio cautamente e cercò di aiutarla, anche se non molto più alto di lei.

-Atlas, stammi lontan.....-

Mentre inveiva contro di lui, la ragazza perse quel poco di equilibrio che le era stato conferito dalla nascita. Jack la poteva vedere crollare come un sacco di patate sul pavimento e rialzarsi dolorante e umiliata, infuriata e offesa contro qualsiasi essere vivente pensante. Ma Atlas la prese al volo.
Jack non poté trattenere un risolino.
Entrambi erano arrossiti.

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Capitolo 9
*** Capitolo nono ***


Nove su dodici: ci siamo quasi; ecco un altro scorcio di un passato mai raccontato nei dettagli.
Ho acquistato il DVD appena è uscito e ho adorato le scene tagliate. Mi è dispiaciuto le abbiano rimosse da una parte, ma dall'altra credo che forse è stato un bene per il film, nessuno sa cosa sarebbe saltato fuori...
Buona lettura.



Capitolo nono

 

L'inferno è la sofferenza

di non poter amare”

F. Dostoevskij

 

 

Lo spettacolo stava procedendo proprio bene, un successo dopo l'altro. Parallelamente la carriera di Atlas, quindi anche la sua.Atlas era felice, anche se non lo sembrava. La sua espressione furba ed tracotante non lasciava trasparire molti sentimenti, ma i suoi occhi si illuminavano di gioia ad ogni buona critica. Henley lo conosceva da abbastanza tempo per cogliere la differenza tra il bacio di un Atlas felice e sincero, un Atlas contrito e malinconico, e un Atlas pacifico, ma ambizioso. Prima di cominciare l'aveva abbracciata con trasporto, tanto bastava a renderla fiera della sua vita.
Ogni spettacolo si susseguiva su schemi più o meno simili, ma sempre con un nuovo colpo di scena fatale per l'ammirazione del pubblico.
Atlas metteva passione nell'arte dell'illusionismo, lei metteva passione nell'aiutarlo, nell'ascoltarlo e nell'amarlo. Lui ricambiava insegnandole la sua arte, affinando l'espressione dei suoi sentimenti, ma solo con lei e per lei.
Tuttavia a volte era davvero pieno di sé, il suo orgoglio ferito era quanto di più disastroso potesse irrimediabilmente colpire e ferire entrambi.

-Ora è il momento del gran finale signore e signori!-

Il pubblico si fece silenzioso, trepidante d'attesa.

-Siete pronti a vedere la mia collaboratrice fatta a fettine?-

Il pubblico emise un boato d'assenso.

Henley era pronta a procedere. Scese lentamente nella cassa e si preparò a scendere dalla botola. Una volta aver steso completamente le gambe, stava per calarsi fino al busto.

Merda.

-Vieni!-

Merda.

-Non ci passo, Daniel!- Strepitò – E' troppo stretta!-

Atlas sgranò gli occhi, il volto pieno di terrore. Stava andando tutto storto. Impallidì visibilmente.
Sapeva che quella botola era troppo stretta, sapeva che quel numero andava provato, sapeva che Henley non era Temperance. Avrebbe dovuto insistere nonostante Henley arrivasse a casa molto tardi e stanca. Avrebbe dovuto avvisarla.

-Daniel!- Una richiesta d'aiuto. -Aiutami!-

Non c'era niente che lui potesse fare. Si sentì prigioniero dei suoi sentimenti erronei.
Il suo affetto per lei lo aveva indotto a sbagliare, a trascurare, a perdere di vista ciò che sarebbe stato ragionevole.
Si sentì in trappola, in balia tra i sentimenti che provava per lei e la paura di sbagliare di nuovo.
Avrebbe saputo perdonarsi un errore previsto?
In caso contrario, avrebbe saputo perdonarsi se avesse abbandonato Henley all'umiliazione?

-Signore e signori, la mia collaboratrice è troppo in carne per passare dalla botola, quindi vi prego di mandarmi una sostituta-

Il pubblico rise.

Aveva fatto la sua scelta.
L'amore era ancora una gabbia troppo stretta per lui.
Atlas sentiva lo sguardo ferito di Henley su di sé e poté percepirne il dolore.
Ne fu trafitto, ma ormai era troppo tardi. Assunse la sua maschera arrogante e la guardò sprezzante.

-Puoi andare, Henley-

Una lacrima percorse sentieri sconosciuti sulla guancia di Henley e simmetricamente una ne sfuggì dall'occhio azzurro di Atlas non appena voltò il viso verso la platea con il suo sorriso infallibile e deciso.
Un dolore lancinante le scoppiò in gola: voleva solo scomparire da lì, tornare indietro a quel giorno sfortunato che aveva deciso di andare a cercare impiego a Chicago, a quel giorno in cui si trovava nella città ventosa, in cui si era ritardata tra i sottopassaggi, a quel giorno in cui aveva deciso di rinunciare al colloquio di lavoro che l'attendeva, a quel maledettissimo giorno in cui aveva incontrato Atlas.
Pianse, pianse silenziosamente, in una sorta di muto dolore che nessuno poteva percepire e che nessuno poteva consolare. Una ferita lacerante si era aperta in lei. Una delusione che sovrastava l'inimmaginabile. Una verità che l'aveva colpita come uno schiaffo e come un soffio si era insinuata nel suo cuore.
Soffriva perchè lui non poteva amarla.

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Capitolo 10
*** Capitolo decimo ***


Prima decade, direi che è un bel traguardo!
Questo capitolo non è molto lungo, come gli altri del resto... Quindi è meglio dire che è più corto del solito.
Spero comunque di aver fatto un lavoro abbastanza decente e IC.
Come sempre: chiedo umilmente perdono per ogni cosa esasperata, straziata e rovinata da me medesima.
Ah, un'ultima cosa: vi prego di RECENSIRE.


Capitolo decimo

 

 

Il vero mistero del mondo è il visibile,

non l'invisibile”

Oscar Wilde

 

 

5 Points, 19 aprile 2013

 

Il buio della tarda sera copriva l'edificio. Una folla in attesa gridava al di là delle pareti.
Si potevano sentire indistintamente le voci, le acclamazioni e gli animi ardenti di aspettativa.
Il terzo spettacolo stava per cominciare e quel capitolo della loro vita per concludersi.
C'erano quasi, Merritt c'era quasi.
Non era ancora in grado di metabolizzare il grande successo acquisito, anche se la sua mancata modestia ne facilitava il processo.
Jack aveva fatto la sua teatrale scomparsa, loro avevano risposto con falsa contrizione e con vera sfida. Ora stavano per uscire vittoriosi dalla luce artificiale per essere illuminati dalla luce delle stelle notturne. I loro misteri stavano per venire allo scoperto per poi evaporare nel vuoto, nell'insignificante impopolarità, nell'anonimato, nel dimenticatoio.
Stavano per scomparire drammaticamente per sempre; i loro spettacoli solo un capitolo chiuso tra i misteri del mondo, una ferita aperta nel corpo della polizia di New York.
Tutto ciò era magico. Un'atmosfera irreale gli obliava la mente.
Tanta emozione, tanta incertezza, tanti dubbi erano per lui una novità a cui non voleva fare l'abitudine. Tuttavia provava un senso di sicurezza in quella ignoranza.
Per una volta si sentiva come tutti gli altri, non era più innalzato a onnisciente mentalista, ma a uomo, di carne, ossa e mente più sviluppata.
Ora aveva degli amici. Sì, erano amici.
Sapeva cogliere i loro stati umorali, sapeva come confortarli, come farli arrabbiare; sapeva come farli ridere e come farli piangere; sapeva come convincerli e come dissuaderli; i loro sentimenti e i loro pensieri erano per lui come carte scoperte.
Ma la cosa che faceva la differenza era che la loro vulnerabilità era per lui qualcosa da proteggere e non più da colpire.

-Ragazzi, volevo dirvi che vi voglio bene-

Henley aveva la voce intrisa di commozione, così cuore di Merritt.
Poté vedere lo sguardo colmo di tenerezza che Atlas le aveva rivolto e provò un senso di speranza per i due colleghi.
In quell'attimo gli sguardi dei due ragazzi si incontrarono e si risposero con sicurezza, qualcosa tra loro era cambiato e stavano rammentando una promessa.
Merritt non capiva e per una volta non gli importava.
Qualcosa di incondivisibile li rendeva complici e questo a lui non dispiaceva.
Fare la parte dello psicologo lo incuriosiva, del confidente lo inteneriva e del sarcastico lo divertiva.
Vedere tutto degli altri a volte lo annoiava, lo limitava; le persone diventavano prevedibili, sciocche, insensate, tediose, inferiori... Ma i maghi no, erano un libro spassoso da interpretare, un mistero da svelare, un indovinello da risolvere, una risposta da ricercare, un'informazione da carpire, una vita da vivere e non da sopravvivere.
Loro erano diventati amici, la sua famiglia e la sua vita.
Una volta separatasi sapeva che qualcosa sarebbe per sempre rimasto di loro in lui e di lui in loro, niente sarebbe andato perduto e sprecato.
Quell'affetto era diventato tale da legarli con un filo invisibile l'uno all'altro, anime unite da un profondo segreto che si sarebbe risolto con l'Occhio.
Quell'occhiata piena di significato che i due si scambiavano era più profondo di tutto ciò, eppure ne era anche parte.
Un segreto inconfessabile li univa e li divideva da lui e da Jack: era stimolante.
Un trucco svelato fa venir meno la sua illusione.

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Capitolo 11
*** Capitolo undicesimo ***


Buonasera, tutto ok? Si è giunti al penultimo flash.
Essendo tutto già pronto potrei anche farvelo avere prima di Natale, basta sapere.
Vi auguro buona lettura e buone feste!
RECENSIIIIIIIIITE!
I wish you a merry Christmas.






Capitolo undicesimo

 

L'odio deve rendere produttivi.

Altrimenti è più intelligente amare.”

Karl Kraus

 

 

 

Q.I. Dei Quattro Cavalieri

aprile 2013

 

 

-A questo punto dovresti estrarre la carta, quante volte vuoi provare ancora?-

-Se la tua rincorsa è così fiacca non è colpa mia Reeves!-

-Cosa intendi dire con “fiacca”?-

-Innaturale, rigida, sembri quasi una modella che non sa camminare sui tacchi!-

-Come dovrei correre, allora? Come un toro inferocito?-

-Con grazia invece che con affettazione-

-Adesso ti metti anche a dirmi come devo correre!-

-Se facessi quello che ti dico una volta tanto, riusciresti a non rovinare ogni spettacolo!-

Henley si infervorò come non mai a quelle parole aspre.

-COME?!-

Strillò come un soprano stonato e Atlas rabbrividì.

-Chiedi a Jack allora per il tuo schifoso numero!-

-Non è colpa mia se mi serve una ragazza, è più ragionevole considerando il peso e la portata del numero in questione, fa più scena e...-

-Ah certo, sono solo uno strumento per arrivare a fare breccia nel pubblico, sei davvero patetico Atlas-

Fece per andarsene, quando Atlas la fermò per un braccio. Si guardarono. Atlas aveva una luce negli occhi.

-Henley...- sussurrò -Sei importante...L-lo sei sempre stata.-

Disse queste parole con fatica, quasi ansimando.

-Hai sempre pensato solo al pubblico, Danny...- sospirò – Sempre...-

Atlas ebbe uno spasimo di sorpresa e si chinò verso di lei per baciarla sulla testa, lei non si ritrasse. Rimasero abbracciati per qualche minuto, poi le riversò in faccia tutta la sofferta verità.

-Mi sentivo in gabbia Henley, ma ci tenevo davvero a te-

Lei non disse una parola, così continuò.

-Quella sera il mio cuore si è fermato, un velo di apatia è calato su di me, ero vittima della mia stessa illusione: che tutto potesse essere sotto il mio controllo-

Un velo di lacrime gli appannò gli occhi tristi, si mescolavano perfettamente al colore dell'iride.

-Ho perso il controllo quella sera invece. Dello spettacolo, di te, ma soprattutto di me.

Stavo per esprimere la mia vulnerabilità, le mie debolezze al pubblico e a te. Il mio orgoglio ha avuto la meglio e, armato di arroganza e suscettibilità, sono partito per la tangente. Perdonami Henley. Sono stato uno stronzo-
Le lasciò il braccio e una lacrima gli scese lungo la guancia.
Henley aveva la bocca serrata, seria, incorruttibile.

-Stronzo...- Disse.

Una smorfia di dolore stava per corrompere il viso di Atlas già sofferente, prima di colorarsi di viva sorpresa quando Henley lo abbracciò.
Sapeva di pesche, di sole, di vita. I suoi capelli rossi erano tizzoni ardenti che illuminavano il suo sguardo, le mani di lei sulle sue guance roventi erano petali morbidi di infinita dolcezza, la sua stretta una boccata d'aria dopo un'immersione lunga anni. Quanto le era mancata!
Sorrise e l'abbracciò a sua volta, mentre dentro rideva di gioia.
Fu lei a staccarsi per prima.

-Quando tutto questo sarà finito, forse ci daremo una possibilità-

Sfoggiò un sorriso spavaldo e assunse la sua aria tronfia.

-Rebecca ci è passata davvero per anni- disse baldanzoso.

Henley gli tirò un pugno sul braccio, seriamente offesa.

-Ma sei la più splendida assistente che io abbia mai visto-

Gli sorrise, grata.

-Questo però non me lo hai mai scritto con l'anonimo-

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Capitolo 12
*** Capitolo dodicesimo ***


Eccomi con l'ultimo capitolo, l'epilogo, la conclusione, la fine di questo viaggio fuori dal tempo, forse anche un po' sconclusionato e inconsistente.
Vi auguro buone feste, sperando che questa piccola storia a flash sia stata apprezzata, abbia riempito la ricerca di alcuni di storie simili, possa aver allietato altri e che sia rimasta fedele ai personaggi.
Vi chiedo solo una cosa, un piccolo regalo di Natale: RECENSIONI, e ringrazio chi già mi ha sostenuta, chi ha scoperto, seguito (spero anche assaporato) e speso del tempo leggendo questa storia.
Mi commiato, ma prima... BUON NATALE!




Capitolo dodicesimo

 

 

 

“L'unica cosa senza mistero è la felicità,

perché si giustifica da sé”

Jorge Luis Borges

 

 

 

21 agosto 2016

Boston

 

Un applauso irruppe nel silenzio: lo spettacolo stava per giungere al termine, l'ultimo numero ormai incombente.
I due maghi salirono su una piattaforma metallica sopra una vasca piena d'acqua.
Si inchinarono.

-Signore e signori, questo è il nostro ultimo numero prima di terminare con voi la serata...-

-State pronti!-

-...Siete stati davvero un ottimo pubblico e siamo felici del vostro apprezzamento...-

-...Ma come tutte le cose belle, prima o poi bisogna porvi una fine...-

Henley era davvero felice, ma non un'illusa. Aveva imparato a riconoscere l'effimero dalla realtà, i fattucchieri dai maghi, la menzogna dalla verità.
Daniel invece poteva dire di essere davvero innamorato, senza mezzi termini. Oramai aveva imparato a gestire i suoi sentimenti, o quantomeno ad accettarne l'illimitata indipendenza. Non tentava più di controllarli, eppure riuscivano a infondergli una confortante sicurezza. Henley gliela infondeva quando sorrideva, quando gli parlava, quando lo guardava, perchè era innamorata di lui e lui di lei, questo era tutto ciò che contava.
Si guardarono per un attimo prima di buttarsi nella vasca. Incatenati dai loro stessi sguardi.
Henley era un'abile escapologa, ma lo sguardo di Atlas era l'unica cosa da cui non riusciva a sfuggire, il suo affetto per lui l'unica cosa di cui non riusciva a liberarsi. E nemmeno avrebbe voluto farlo.
Questa appartenenza l'uno all'altro era qualcosa di meraviglioso e di quanto più confortante avessero mai provato.

-Buonanotte gente!-

Si tuffarono e per un attimo il mondo parve scomparire, con i suoi colori, le sue forme, i suoi suoni. Tutto era attutito dalla forza dell'acqua e sfocato dal suo movimento.
Danny strinse Henley in un abbraccio bisognoso e avvicinò la sua bocca a quella della ragazza.
Chiusero gli occhi e si lasciarono trasportare dal movimento sinuoso dell'acqua.
Le loro bocche si sfiorarono appena prima di cercarsi e quindi toccarsi con infinita dolcezza.
Henley non ricordava più il suo odio, non ricordava più come era riuscita a percorrere in solitudine parte della sua vita.
Il buio era tutto ciò che vedeva, ma Atlas era ciò che sentiva.
I loro capelli si intrecciavano in modo surreale, privi di gravità e i loro corpi erano come uno solo. Le gambe avvinghiate, i busti stretti, le mani di Daniel sul viso di lei e le sue mani sulla nuca di lui. Il tutto in piena vista degli spettatori, ma cosa importava?
Entrambi si sentirono completi, perfettamente compatibili, ritrovati.
Una certezza: l'uno per il futuro, il passato e il presente dell'altro, e viceversa.
Il suono di una sirena li fece tornare in sé ma aspettarono coscientemente qualche secondo prima di lasciarsi.
Henley dischiuse gli occhi e tutto quello che vide furono il sorriso arrogante di Daniel e i suoi occhi colmi di tenerezza. Celesti, come l'acqua che li avvolgeva. Vi si immerse completamente prima di procedere.

-ABRACABRA!-

E scomparirono.

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