City of Angels

di AleJen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I'd come for you ***
Capitolo 3: *** Il lupo della steppa ***
Capitolo 4: *** Monster ***
Capitolo 5: *** Gabriel ***
Capitolo 6: *** The City of Angels ***
Capitolo 7: *** Un nuovo mondo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Plic… plic… plic…
[…] era anzi così poco socievole come non avevo mai visto altre persone; era realmente, come diceva talvolta, un lupo della steppa, un essere estraneo, selvatico e anche ombroso, anzi molto ombroso, quasi fosse di mondo diverso dal mio”.
Le gocce di una pioggia di fine novembre, accompagnate dalla nebbia, picchiettavano sul vetro, e Serafine stava rannicchiata sul divano a leggere, davanti al caminetto scoppiettante e alla luce della lampada, come un gatto acciambellato nella propria cuccia quando fuori fa troppo freddo. Leggeva “Il lupo della steppa”, uno dei romanzi di Hermann Hesse, mentre Lylie preparava la cena.
Era una cittadina piccola e tranquilla di nome Lewisville quella in cui si era appena trasferita Serafine, non troppo distante da New York ma abbastanza solitaria e fredda per piacerle. Sì, solitaria, esattamente come lei, la quale si definiva un “lupo della steppa” allo stesso modo in cui si definiva Harry Haller, il protagonista del libro che reggeva tra le mani.
Alzò lo sguardo e guardò fuori dalla finestra del salotto, la quale si affacciava su un lembo di prato illuminato solo dalle luci della casa e immediatamente dopo, un bosco di conifere immerso nel buio e avvolto dalla nebbiolina umida. Dev’essere bellissimo addentrarsi là… chissà quando ci sarà la neve!
<< Serafine, vieni che è pronto! >>, sentì Lylie chiamarla dalla cucina. Serafine posò il segnalibro tra le pagine e lo osservò. Era un foglio raffigurante la Scala di Giacobbe, una delle opere di William Blake. A dire il vero era una riproduzione fatta ad acquerello, ed era talmente dettagliata, esatta e fedele al modello da sembrare davvero l’originale. Ne sfiorò i bordi, attenta a non rovinarlo… Era stato un regalo di sua nonna, quello al quale era più legata in assoluto, e non se ne sarebbe mai separata. Infine richiuse il libro e si alzò.
Quando Serafine giunse in cucina, trovò il tavolo già apparecchiato e soprattutto, una cena invitante che la aspettava. A pensarci bene, un certo appetito si era fatto sentire. Si sedette a tavola e aspettò che anche Lylie si sedesse. Osservò la donna poco più che trentenne, dai capelli castani non troppo lunghi e un viso decisamente attraente, mentre stava prendendo posto sulla propria sedia.
<< Allora Serafine, ti piace qui? >>. Serafine annuì.
<< Molto. È decisamente più tranquillo rispetto a New York… Sai che io e la folla non andiamo troppo d’amore e d’accordo >>. Lylie ridacchiò.
<< Lo so bene. Starai bene qui, non avrai tutta quella gente a infastidirti. Clara mi aveva ripetuto molte volte che le sarebbe piaciuto che tu ti trasferissi a Lewisville >>. Serafine abbozzò un sorriso.
<< Mi aveva parlato spesso di questa cittadina, anche se io non ne conoscevo quasi l’esistenza. Adesso mi abituerò a vivere qui >>.
<< Puoi comunque tornare a New York quando vuoi >>. Serafine sollevò le spalle.
<< Al momento affonderò le radici qui, e se proprio sentirò la mancanza della grande città ci farò ritorno. Ma ho i miei dubbi >>. Entrambe risero, ma Serafine non aggiunse altro e si dedicò alla propria cena.
 
Un’ora dopo aver finito di cenare, con il libro sottobraccio Serafine salì la scala di legno e andò in camera sua, intenzionata a prepararsi per andare a dormire. Da una settimana ormai abitava nella città nuova, da pochi giorni si era trovata un lavoro. Era come se fosse vissuta lì praticamente da sempre. Entrò in camera e richiuse la porta. Accese la lampada e appoggiò il libretto sul comò, vicino alla foto che ritraeva lei e sua nonna Clara a Parigi. Serafine era sempre vissuta con la nonna materna, fin da piccola, ed essendo Clara francese, le piaceva ascoltarla mentre le raccontava della sua vita a Parigi così come la musica e le canzoni di Edith Piaf e di Françoise Hardy che le aveva insegnato. Osservò il suo viso nella foto, che non dimostrava la sua mezza età e incorniciato dai capelli biondissimi tagliati in un carré che non passava mai di moda. Era giovane per essere nonna di una ragazza di ventitré anni, eppure una settimana prima si era ammalata in maniera rapidissima ed era mancata un paio di giorni dopo, lasciando Serafine completamente sola. Presso la foto c’era un’altra cornice, la quale conteneva il ritratto di due persone, i genitori di Serafine. Lei non li aveva mai conosciuti, li aveva persi entrambi in un incidente d’auto, quando era troppo piccola per poterli ricordare. Infine, alzò lo sguardo sullo specchio e osservò se stessa. Serafine aveva gli stessi occhi azzurri e i lineamenti delicati erano incredibilmente somiglianti ai loro, lo si notava anche solo dal confronto con le immagini. L’unica differenza erano i suoi capelli, di colore castano. In realtà avrebbero dovuto essere biondi come quelli della madre e della nonna, ma aveva sempre odiato quel colore perciò se li tingeva di scuro. Era convinta che la facessero somigliare a una di quelle miss un po’ troppo snob e a lei piaceva andare contro corrente anche se non sempre Clara era stata d’accordo al suo cambio di colore dei capelli né al suo perenne trucco nero.
Sospirò. Tanto ormai non ho più nessuno. Lylie era sua cugina ma non si erano mai frequentate molto, e secondo lei era stata fin troppo gentile a ospitarla. Inoltre, ognuna delle due faceva una vita propria, si vedevano solo per cena dopo che Lylie tornava dal lavoro a New York.
Serafine si cambiò d’abito e indossò il pigiama, poi prese il libro e si sedette sul davanzale, dove anche quella finestra si affacciava sul bosco sul retro. Riaprì il volume dove aveva lasciato il segnalibro, e riprese a leggere.

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Capitolo 2
*** I'd come for you ***


Il profumo del caffè si stava lentamente diffondendo nella casa. Serafine si diede l’ultimo ritocco allo specchio e si fiondò in cucina a spegnere la macchinetta. Erano le otto e venti e Lylie era già andata via da un’ora. Si versò il caffè nel tazzone e lo bevve velocemente, non aveva molto tempo e per le nove doveva già essere in negozio con tutto in ordine. Sono solo al quarto giorno e già rischio di far tardi! Non è un buongiorno, questo. Recuperò il cappotto grigio e si calò sulla testa il basco di lana con un motivo a treccia di colore viola e uscì.
La giornata non si rivelò promettente. La strada secondaria sulla quale abitava era immersa nella nebbia, e in più faceva più freddo di quanto Serafine si aspettasse. Si sollevò la sciarpa a coprire la bocca, poi indossò le cuffie e fece partire la musica sul cellulare, dirigendosi alla sua sinistra verso il centro della cittadina. La canzone All love di Ingrid Michaelson la accompagnò lungo la strada, e si rivelò adatta alla giornata.
Solo quando fu giunta al centro abitato, dopo l’incrocio tra la strada principale e la sua, la nebbia sembrava diradarsi almeno un po’. Il centro di Lewisville non era molto grande, diviso in due dalla strada principale e soprattutto, era almeno di diversi chilometri spostato dall’autostrada che portava a New York, perciò non c’era un grande traffico oltre a quello locale. Serafine non si era nemmeno interessata all’esistenza di qualche locale o qualche posto dove divertirsi, in fondo non le interessava poi più di tanto, preferiva la compagnia di qualche libro.
Qualche centinaio di metri più avanti intravide nella nebbia la libreria dove lavorava, all’angolo tra la strada principale e quella che portava alla chiesa. Notò che la saracinesca era già sollevata ed erano le nove meno un quarto. Julia dev’essere già arrivata. Attraversò la strada ed entrò nel negozio.
La libreria era praticamente l’unica in città, oltre a quella c’era la biblioteca. Non era immensa, ma almeno era accogliente e ben fornita, con gli scaffali stracolmi di volumi e volumetti di ogni dimensione e colore. I suoi passi risuonarono sul pavimento di legno.
<< Ciao Serafine! >>, la salutò Julia da dietro il bancone, intenta a leggere qualcosa al computer. Poi alzò gli occhi verde scuro e la osservò. << Come siamo carine, stamattina >>. Serafine abbozzò un sorriso.
<< Grazie, Julia. Non pensavo fossi già qui >>. Julia sbuffò, e scosse i capelli rosso scuro.
<< Lascia stare, quelle del pomeriggio ieri si sono dimenticate di fare l’ordine quindi mi è toccato fiondarmi stamattina a farlo prima di rimanere senza >>. Serafine andò a lasciare cappotto, berretto e borsa nel retro, poi si sedette sullo sgabello vicino a lei. Julia era una ragazza di un paio d’anni più di lei, con uno stile tutto suo che era impossibile non riconoscerla, se la si incrociava per la strada.
<< Cosa dovevano ordinare? >>.
<< “The Picture of Dorian Gray”. Lo stanno leggendo quelli dell’ultimo anno del liceo, e praticamente ne voleranno via si e no una ventina di copie. Ieri prima di uscire le ho pure appiccicato un post-it con scritto di fare l’ordine, invece sai che hanno fatto? Pensavano a come imbellettarsi per andare a fare le miss giù a New York, e ciao ordine! Uff… >>. Serafine rise.
<< Dai, non prendertela. Tanto ormai è andata >>.
<< Lo so, ma non è il modo di lavorare. Anzi, sai che ti dico? Stasera usciamo anche noi >>.
<< Ehm… A New York? >>. Ora fu Julia a ridere, notando che Serafine non apprezzava molto quella prospettiva.
<< Ma no, sinceramente non ho voglia di fare tutta quella strada. Andiamo a un locale che c’è qui vicino, il Garage. Lì suonano dal vivo e tra loro c’è pure un mio ex compagno di classe >>.
<< Ah sì? Cosa suona? >>.
<< La chitarra. E canta, ha una voce bellissima >>. Serafine la ascoltava tutta interessata, e Julia mostrò un sorriso malizioso. << Curiosa di vederlo? >>.
<< Beh, sì. Anche se a me interessa sentirlo, più che vederlo. Trovo insensato che sia, che ne so, un tipo bellissimo paragonabile a un divo di Hollywood e poi suona pure male. Non si può! >>. Julia ridacchiò, come se nascondesse qualcosa.
<< Ehm… No dai, non ti rivelo niente. Quando stasera lo vedrai, mi dirai che cosa ne pensi. Voglio proprio vedere >>. Ah. Ma perché, che ha di speciale? Sarà una persona come un’altra, no?
<< Ma…! Cos’è, una sfida? >>.
<< No, è solo che voglio sentire il tuo parere… per confrontarlo con gli altri, e vedere se tutte la pensate allo stesso modo >>. Serafine, decisamente perplessa, sollevò le sopracciglia.
<< Ok, se mi dici così adesso sono ancora più curiosa. Stasera vedrò >>. Nel frattempo, nella libreria entrò la prima cliente della giornata.
 
Serafine sedeva davanti allo specchio della propria camera alla luce della lampada, spazzolandosi i capelli. In cinque minuti Julia sarebbe dovuta passare a prenderla, perciò cercò di sveltirsi nel prepararsi. Dopo il fare misterioso che aveva avuto Julia quella mattina, Serafine era proprio curiosa di vedere cosa la aspettava. Non si poteva fare così, e poi pretendere che la gente non si incuriosisse. L’ha fatto apposta, così sarei andata in quel locale e avrei visto la persona che voleva lei. Ma a che scopo?
<< Serafine!! È già arrivata Julia! >>. Serafine guardò l’orologio: le dieci e un quarto. Sollevò le spalle, e finì di pettinarsi. Si osservò: portava un paio di jeans blu scuro e una t-shirt nera con stampata la bandiera inglese, e il suo solito trucco nero appena più enfatizzato. Indossò ancora gli stivaletti neri, prese la borsa e scese di corsa. Lylie era stravaccata sul divano a guardare la tivù, con il caminetto acceso. Nel vedere le fiamme calde e danzanti a Serafine venne voglia di abbandonare tutto e restare a casa. Ma in fondo era troppo curiosa, e finì per cestinare l’idea.
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<< Buona serata, Serafine! >>. Indossò una giacca scura e calda e uscì. Dall’altra parte del vialetto ancora immerso nella nebbia, Julia la stava aspettando in macchina, le luci che apparivano come in una strana dimensione avvolte da quell’umidità, perciò si affrettò a raggiungerla e a salire.
<< Serafine! Pronta, finalmente? >>. Serafine annuì.
<< Sì sì. Sei tu che mi hai incuriosita, e adesso non potevo più dirti di no! >>. Julia ridacchiò e partì.
<< Eh eh, lo sapevo che ci sarei riuscita. In realtà a me non ne viene in tasca niente, però… Va beh, non è importante >>, concluse sollevando le spalle. Uffa, ma ancora! Non vedo l’ora di arrivare, così vedrò questo benedetto musicista!
Il desiderio di Serafine si esaudì presto, e nonostante la visibilità ridotta arrivarono in tempo al Garage. All’esterno era un semplice edificio di mattoni rosso scuro con una vetrata colorata che non mostrava l’interno. Serafine seguì Julia oltre un gruppetto di ragazzi appostati sul marciapiede e entrarono.
Ciò che Serafine percepì come prima cosa fu il vociferare della gente, la maggior parte dei tavoli era occupata. Subito dopo, si dedicò ad analizzare l’ambiente dalle luci soffuse che la circondava. A sinistra c’era il bancone con un paio di baristi e un paio di scaffali straripanti di bottiglie; ai muri di mattoni erano appese chitarre di diversi colori e poster di rockband famose e addossate a essi, panche di color verde scuro. I tavoli erano sparsi un po’ ovunque e in fondo alla sala c’era un palco.
<< Ma è un posto stupendo! >>, disse Serafine a Julia costringendosi ad alzare la voce affinché la sentisse. Julia, in risposta, le fece l’occhiolino e si fece seguire di nuovo finché non adocchiò un tavolino tranquillo addossato al muro. Si levarono entrambe le giacche e presero posto.
<< Lo sapevo! A volte venire qui è come tornare al liceo, ci sono sempre le solite tre o quattro che non si perdono d’animo >>, annunciò Julia con espressione infastidita. Serafine aggrottò la fronte.
<< Che vuoi dire? >>.
<< Voglio dire che, nonostante la bidonata che si sono beccate da Gabriel ancora vengono qua ad ascoltarlo. Patetiche >>. Serafine sollevò leggermente le spalle.
<< Ah, si chiama Gabriel? Bel nome. Beh, io non ci vedo comunque niente di male, scelta loro >>. Julia assottigliò le palpebre.
<< Tu andresti ancora a vedere uno che ti ha già fatto capire svariate volte che non gliene frega niente di te? >>.
<< No, ovvio! >>.
<< Ecco, appunto >>.
All’improvviso, le luci si abbassarono di poco e una paio di note suonate con una chitarra classica fecero tacere tutta la sala. Serafine si voltò d’istinto verso il palco, e ciò che vide le sembrò una sorta di visione.
Just one more moment, that’s all that’s needed, like wounded soldiers in need of healing… Serafine restò letteralmente a bocca aperta. In mezzo al palco ora c’era un ragazzo seduto su uno sgabello, la chitarra in mano. Ha una voce bellissima… Julia aveva proprio ragione. Serafine riconobbe la canzone I’d come for you dei Nickelback. E cantata da lui non perdeva nulla del suo fascino.
Lo osservò meglio. Portava una t-shirt grigio scuro, jeans neri e un paio di anfibi neri con i lacci fuori posto. I can’t believe I said I’d lay our love on the ground, but it doesn’t matter ‘cause I made it up, forgive me now… I capelli biondi, mossi sul fondo e di media lunghezza rilucevano sotto il fascio del riflettore puntato su di lui. Di rado sollevava gli occhi dalla chitarra, ma in quei pochi momenti Serafine intravide un paio di iridi che le sembravano molto chiare. Notò anche un altro particolare, un anellino al lobo dell’orecchio sinistro. L’insieme dei suoi lineamenti, poi, erano qualcosa di straordinario, di perfetto. Ha… ha il viso di un angelo… Era convinta di non aver mai visto qualcosa di simile in nessuno, nemmeno in una città grande come New York dove aveva vissuto per ventitré anni. I’d come for you, no one but you, yes I’d come for you but only if you told me to… Serafine volse uno sguardo fugace a Julia, e anche lei come il resto della sala era rapita da quel ragazzo dal viso d’angelo che cantava con la sua voce meravigliosa. Sembra che crei un campo magnetico e tutti sono attratti da lui! Capisco la bellezza, capisco la bravura… Però non è possibile! Ora capiva perché le ex compagne di classe di Julia andavano ancora a vederlo suonare. Serafine dedicò di nuovo l’attenzione a lui, a quel Gabriel, mentre continuava la canzone dei Nickelback, cercando di non canticchiare tra sé per non coprire la sua voce, che considerava divina.
Non appena la canzone finì, tutti applaudirono, Serafine compresa. Gabriel si guardò intorno, abbozzando un sorriso decisamente forzato, e il suo sguardo cadde anche su Serafine. Lei, di fronte alla sua occhiata di ghiaccio, sobbalzò. Si sentì osservata per qualche istante, e solo quando lui distolse l’attenzione, tirò un sospiro di sollievo e Gabriel tornò a dedicarsi alla propria chitarra. Serafine si fece pensierosa.
<< Allora? Che te ne pare? >>, domandò all’improvviso Julia. Oh, bentornata tra noi!
<< È un bellissimo ragazzo, questo non lo metto in dubbio. Canta anche molto bene… >>. Julia si fece raggiante come se avesse vinto qualche cosa, ma Serafine la interruppe. << …però… >>.
<< Però cosa?! >>. Serafine si strinse nelle spalle.
<< Non so… ha qualcosa che non mi piace. Mi incute un certo timore, e… ribadisco, c’è qualcosa che non va, una specie di interferenza >>. Julia si fece scura in viso.
<< Mi sembra strano… Tra tutte le persone che mi hanno parlato di lui sei la prima a dirmi così. Poi che intendi per interferenza? >>.
<< Non saprei spiegarmi, è come se nell’insieme di bellezza e bravura ci fosse anche qualcosa di… negativo. È una sensazione che ho avuto, e non mi è piaciuta >>. Julia tacque, abbassò lo sguardo sul tavolo e non lo distolse da lì. Nel frattempo Gabriel iniziò a suonare una nuova canzone ma Serafine non si dedicò a quella. Cercò piuttosto di comprendere il repentino cambiamento che Julia aveva fatto.
<< Julia? >>, insistette Serafine affinché le desse qualche spiegazione. Improvvisamente sembrò da risvegliarsi come da un sogno a occhi aperti.
<< No niente, scusa. Pensavo >>.
<< Ho detto qualcosa che non va? >>.
<< No Serafine, stai tranquilla non è nulla di grave >>.
 
<< Grazie del passaggio. A domani! >>.
<< Buonanotte, Serafine >>. Serafine scese dalla macchina di Julia e attraversò il vialetto ancora immerso nella nebbia. Si strinse nella giacca, non tanto per l’umidità, il freddo o il buio. Da quando era stata in quel locale, un brutto presentimento non la abbandonava, era paura quella che sentiva. Aprì la porta ed entrò in casa, un po’ controvoglia.
Il corridoio era immerso nel buio, solo una luce azzurra e dei suoni provenivano dal salotto. Sarà Lylie che guarda qualche film. Aumentò il passo per andare a salutarla, ma nel salotto non trovò altro che la tivù accesa e la sua solita tazza di latte ancora fumante, senza Lylie.
<< Lylie? >>. Nessuna risposta. Serafine inspirò a fondo, e andò a perlustrare anche le altre stanze. Le sembrava stupido preoccuparsi in quel modo, ma preferiva accertarsi che non ci fosse nulla che non andava, che si stava sbagliando. Salì al piano superiore, i soliti gradini di legno che scricchiolavano sotto i suoi piedi. Provò a chiamare di nuovo, ma allo stesso modo non ottenne una risposta. Non era nemmeno nella propria camera, il letto era vuoto. Magari ha deciso di uscire… Serafine prese il cellulare dalla borsa per vedere se le aveva scritto, ma non c’erano messaggi o chiamate. Sembrava che avesse mollato tutto lì a metà, ed era sparita completamente.
Una sensazione di freddo la attanagliò al petto, e corse giù per le scale per andare a vedere se Julia era ancora là. E così era, la macchina era ancora là davanti e Julia stava leggendo qualcosa sul cellulare.
<< Julia! Julia!! >>, le urlò Serafine correndole incontro. Julia alzò la testa e vedendo Serafine nel panico, scese dalla macchina.
<< Cosa succede? >>.
<< Lylie… non c’è da nessuna parte! >>. Julia si avvicinò a Serafine e le pose le mani sulle spalle.
<< Serafine, calmati adesso. Sei sicura? >>. Serafine annuì.
<< Sì… Ho guardato ovunque, è sparita >>. Julia osservò Serafine terrorizzata.
<< Vieni, andiamo dalla polizia. Loro la troveranno >>. La voce di Julia era ferma, e sembrò tranquillizzare Serafine almeno un po’, la quale annuì.
<< Ok… >>. Julia la fece sedere al posto del passeggero, ma prima di salire e mettersi alla guida esitò per un attimo. Serafine la vide fissare il nulla di buio e nebbia per diversi istanti, come se si fosse estraniata dal nulla allo stesso modo in cui era successo nel locale. Aggrottò la fronte, non riusciva a capire. Solo quando poi si riprese, salì e girò la macchina per tornare in centro.
 
<< Come si chiama la ragazza? >>.
<< Lylian Campbell >>.
Julia e Serafine sedevano davanti alla scrivania nell’ufficio del capo della stazione di polizia della città.
<< Avete una foto? >>. Serafine prese subito il cellulare e cercò la foto che lei e Lylie avevano fatto assieme, e la mostrò al poliziotto. Mentre lui caricava la foto sul computer, Serafine si voltò verso i vetri che davano sul corridoio. La panca che poco prima era vuota, ora la vide occupata da tre figure. Due ragazzi di aspetto non proprio raccomandabile stavano parlando tra di loro, il terzo era seduto svogliatamente e teneva le mani nelle tasche del giubbotto di pelle nero. Serafine riconobbe immediatamente i suoi lineamenti. Era Gabriel. I capelli biondi erano spettinati e tendevano all’indietro, come se ci avesse appena passato la mano in mezzo. E il suo sguardo azzurro chiaro fissava un punto indefinito proprio dentro l’ufficio.
<< Farò partire immediatamente le ricerche. Se riuscite ad avere qualche notizia avvisateci subito >>. Julia e Serafine si alzarono.
<< Certo. La ringrazio >>, rispose Serafine e strinse la mano al poliziotto.
<< Se avremo nuovi aggiornamenti, la chiameremo. Buonanotte >>. Senza aggiungere altro, Serafine uscì dall’ufficio. Stava per andarsene dall’edificio ma Julia si fermò.
<< Ciao Gabriel. Cosa ci fai qui? >>, le sentì dire e si voltò. Serafine vide Gabriel sollevare le spalle.
<< Questi due stronzi hanno pensato bene di volermi fregare l’incasso della serata >>, rispose lui con voce ferma ma incredibilmente armoniosa. Sentendosi insultare, uno dei due si infuriò.
<< Stronzi a chi? Eh?! >>. Gabriel lo incenerì con un solo sguardo.
<< Taci. Sempre se ci tieni alla faccia >>.
<< Piantatela tutti, non vi è bastata la rissa che avete fatto? >>, intervenne il poliziotto in piedi lì a fianco, vicino a quello che sembrava un testimone.
<< Va beh dai, allora ci si vede >>. Gabriel annuì.
<< Ciao Julia, ‘notte >>. Serafine restò a osservarli, lui non aveva mai abbozzato a mezzo sorriso. Gabriel lanciò una breve occhiata anche a Serafine, un’occhiata terribile che sarebbe stata capace di uccidere se avesse potuto, probabilmente, poi si voltò dall’altra parte.
<< Dai andiamo >>, disse infine Julia a Serafine. << Faccio che restare da te, così non sei da sola >>.
<< Grazie, Julia >>, e finalmente uscirono dall’edificio, come Serafine desiderava già da un po’.

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Capitolo 3
*** Il lupo della steppa ***


Devo essere maledetta, non c’è altra spiegazione possibile.
Serafine sedeva sul davanzale della finestra, nella propria camera. Erano le quattro di domenica pomeriggio, e da tre giorni ormai non aveva notizie di Lylie. Abbracciava le ginocchia, la testa appoggiata su di esse, e fissava le conifere che delineavano l’inizio del bosco. Nemmeno il tempo era migliorato di tanto. La nebbia si era dissolta da un paio di giorni, ma il cielo era perennemente coperto da nuvoloni cupi e grigi, e il vento che scuoteva i rami dei pini era gelido.
Era convinta di avere una maledizione addosso. I suoi genitori, Florence e Philippe Lacroix, erano rimasti entrambi vittima di un incidente a Parigi quando lei era piccola. Serafine quindi era rimasta con sua nonna Clara ed era andata ad abitare con lei a New York. Per diciannove anni aveva vissuto con lei, le aveva dato un’educazione che quasi nessuno probabilmente avrebbe avuto. Finché non si era ammalata all’improvviso di qualcosa che non sapeva nemmeno cosa fosse. E ora, Lylie scomparsa. Julia si era offerta di tenerle compagnia, si era fermata a dormire da lei una notte sì e una no. È fin troppo gentile nei miei confronti, in fondo non mi conosce nemmeno.
All’improvviso sentì bussare alla porta, e la serratura scattare senza aspettare una risposta.
<< Serafine? Ti disturbo? >>.
<< No, vieni pure >>. Julia si sedette sullo spazio rimasto libero sul davanzale, e osservò Serafine allungandole una tazza fumante, la sua tazza decorata a rose di color rosa antico e rosa scuro.
<< Cos’è? >>.
<< Un infuso di lampone e vaniglia, con il miele. Assaggia, è buono >>. Serafine prese la tazza calda tra le mani e osservò il liquido rossastro. Poi soffiò leggermente e ne bevve una sorsata.
<< Hai ragione, mi piace. Grazie >>. E si ammutolì nuovamente. Julia sospirò.
<< Serafine, non fare così. Non ti fa bene chiuderti in te stessa >>.
<< E cosa devo fare? Sono sola. I miei genitori sono morti, mia nonna pure, Lylie è mia cugina ed è sparita. Sono maledetta >>. Julia le posò la mano su una spalla.
<< Non è colpa tua. E poi non sei da sola, ci sono io a tenerti compagnia. Lo so, non sarò parte della tua famiglia ma è il minimo che possa fare >>. Con quelle parole, Julia riuscì a strapparle un sorriso.
<< Grazie Julia. È davvero gentile da parte tua >>.
<< Ma figurati >>. Julia portò poi la sua attenzione al comò di fianco al letto. Si alzò, e Serafine la vide tornare con il suo libro in mano. << “Il lupo della steppa”, di Hermann Hesse… Ma sai che non l’ho mai letto? Com’è? >>.
<< Non male, anche se per certi versi è un po’ complesso >>. Julia lo aprì alla prima pagina, e lesse qualche riga. Poi ridacchiò.
<< Interessante, però. Un essere “così poco socievole”, mi ricorda qualcuno di mia conoscenza >>. Serafine alzò di scatto lo sguardo su di lei. Di fronte alla sua reazione, sorrise. << Sì, è proprio chi pensi tu >>. Serafine si voltò e tornò a guardare fuori.
<< Non mi piace quel ragazzo. Da quando l’ho visto per la prima volta, non riesco a scrollarmi di dosso una sensazione di… >>. Tacque, stringendosi nelle spalle. Rivide davanti ai suoi occhi lo sguardo gelido che Gabriel le aveva indirizzato quella sera, alla stazione di polizia. Sentiva freddo solo a ripensarci.
<< Di cosa, Serafine? Dimmelo >>. Julia si era fatta improvvisamente preoccupata, e Serafine abbassò lo sguardo sulla tazza.
<< Di paura >>.
Tra Julia e Serafine cadde un silenzio pesante, il quale si prolungò per diversi minuti. Non sto scherzando, pensò Serafine stringendo tra le mani la tazza con l’infuso che iniziava a raffreddarsi. Sentiva in lui qualcosa di strano e pericoloso, e in qualche modo glielo aveva letto negli occhi.
Lo squillare del telefono ruppe il silenzio all’improvviso. Julia si scaraventò fuori dalla stanza a rispondere senza lasciare a Serafine il tempo di reagire.
“Sì?... No, ma può dire a me… Certo, certo, arriviamo”, la udì borbottare dal corridoio. Poi si affacciò di nuovo alla porta.
<< Serafine, ha chiamato la polizia. Ci hanno chiesto di andare in stazione, hanno ritrovato Lylie >>. Il senso di panico in Serafine raddoppiò improvvisamente. Finì di bere il proprio infuso, poi scese svogliatamente dal davanzale e raggiunse Julia senza aggiungere una parola. Posso già immaginare cosa mi diranno.
 
La sera stessa, Serafine non cenò. Le era passata la fame, non aveva la minima voglia di mangiare.
<< Serafine, mangia qualcosa >>.
<< No Julia, non ne ho voglia. Mangerò domani mattina >>. Così, mentre Julia cenava, Serafine preferì continuare a leggere. La tivù sul mobile della cucina era accesa, e stava trasmettendo il telegiornale locale.
“Un tragico evento è accaduto oggi nei pressi della nostra città”, sentì la voce della presentatrice. Alzò per un momento lo sguardo, prestando attenzione a essa. Fu inquadrata una zona che le sembrò di aver già visto, finché non la riconobbe. Una strada sterrata che portava da qualche parte in mezzo al bosco, l’aveva notata a più di una decina di chilometri prima della città, il giorno in cui Lylie la stava portando a casa sua. In tivù l’inquadratura si spostò lungo la stradina, fino a una casa inabitata. “Lylian Campbell, trent’anni, è stata ritrovata qui. La polizia ha recuperato, vicino al suo corpo, un cadavere non ancora identificato e l’arma del delitto. La prima ipotesi è stata quella di un omicidio seguito dal suicidio dell’aggressore, ma da osservazioni più approfondite si è dedotto che l’arma sulla scena del crimine abbia ucciso solo Lylian. Le ferite da taglio rinvenute sul corpo non riconosciuto corrispondono a un’arma non presente, e ora si stanno cercano le tracce di un secondo assassino”.
<< Addirittura? >>, pensò Serafine a voce alta. Julia, invece, sembrava rifletterci su.
<< Potrebbero anche avere ragione >>, borbottò infine tra sé.
<< Tu dici? >>.
<< Sì. Non so il perché, sinceramente. Sesto senso, forse >>. Serafine annuì.
<< Mmm. Ascolta, posso chiederti un favore? >>.
<< Certo, dimmi pure >>.
<< Un giorno ti andrebbe di accompagnarmi a New York? C’erano delle cose che volevo prendere a casa della nonna e tenerle qui. Quando puoi, naturalmente >>. Julia sorrise.
<< Anche domani, se vuoi >>.
 
                                                                              *  *  *
 
The day you went away was the day I was safe, now you’re just a soul even God can’t save… La canzone The day you went away dei The Rubens stava diffondendo le proprie note nell’abitacolo dell’auto, mentre Julia cercava posto nella zona in cui c’era l’appartamento di Clara.
<< Serafine, solo tu riesci a disegnare in macchina senza sbagliare >>, osservò Julia lanciandole un’occhiata. Serafine ridacchiò.
<< Era solo per ammazzare il tempo, in realtà non sono una gran disegnatrice >>.
<< E cos’hai disegnato di bello? >>. Serafine osservò il suo disegno distorcendo le labbra.
<< Mmm, un angelo, ma non sono molto soddisfatta del risultato sinceramente >>. Finalmente trovò un posticino a due passi dal palazzo che Serafine le aveva indicato, e parcheggiò.
<< Dai, fa’ vedere >>, disse strappandole il blocco di fogli dalle mani. << Wow, ma è bellissimo. Com’è che non saresti soddisfatta? >>.
<< Non lo so, mi sembra imperfetto >>. Julia osservò meglio l’angelo a busto nudo, dai capelli chiari di media lunghezza e un paio di candide ali, soffermandosi sui lineamenti e analizzandoli. Infine, Serafine la vide sobbalzare e portare una mano davanti alla bocca per lo stupore.
<< Ma… Serafine, avevi intenzione di disegnarlo così? I tratti del viso, intendo >>. Serafine scosse la testa.
<< No, cioè avevo solo intenzione di disegnare un angelo, i lineamenti sono venuti fuori da sé, involontariamente >>. Julia corrugò la fronte.
<< Ne sei sicura? >>.
<< Ma sì, è solo un disegno a caso, Julia >>. Julia sospirò.
<< Guardalo bene, allora >>. Serafine, perplessa, riprese il blocco di fogli e scrutò il suo stesso disegno, finché, finalmente, non lo vide.
<< Oh mio Dio… >>, sussurrò incredula, restando a bocca aperta. Era Gabriel quello che aveva ritratto.
Da un primo momento in cui era completamente sbiancata, passò alla fase successiva, arrossendo fino alla radice dei capelli.
<< Non era mia intenzione disegnare proprio lui. Cioè, voglio dire… >>. Julia, notando il suo imbarazzo, rise per sdrammatizzare.
<< Sta’ tranquilla, è solo un disegno. E poi almeno hai rappresentato qualcuno degno di essere ammirato. Decisamente degno, sì sì >>.
<< Se la metti così, non posso darti torto. Oggettivamente non è per niente male, se escludo tutte le mie sensazioni e i miei sesti sensi >>.
<< Ecco, visto? Dai andiamo adesso, che Gabriel ci sta solo facendo distrarre. Beh, ovviamente >>. Serafine finì per ridere, poi ripose il blocco di fogli nella borsa e scesero dalla vettura.
 
<< Wow! Ma… ma… ma è stupendo! Mi viene voglia di trasferirmi qui >>.
Julia era affascinata da quell’appartamento affacciato sulla Fifth Avenue. Gli interni, dalle decorazioni sui soffitti ai mobili, agli oggetti sparsi qua e là per la casa, erano tutti in un elegante stile Belle Époque. Serafine sorrise.
<< Se vuoi possiamo tornarci, qualche volta. Anche se però io dubito che riuscirei a viverci ancora >>, rispose mentre apriva le ante a vetro di una libreria in legno massiccio nello studio, scorrendo con lo sguardo i titoli dei libri. Sull’ultimo ripiano trovò una versione ricercata del “Paradiso Perduto” di Milton, e si alzò sulle punte per raggiungerlo.
<< Posso andare a vedere anche il piano di sopra? >>. Serafine, per metà aggrappata alla libreria, cercò di far scivolare il volume verso il bordo e infine lo fece cadere giù, afferrandolo al volo.
<< Certo, c’è anche la mia stanza al piano superiore. Aspetta, vengo anche io >>. Ripose il volume nello scatolone, poi andò alla scrivania e aprì il cassetto. Julia, seduta su una poltrona di velluto rosso scuro poco più in là, si mise di nuovo ad ammirare il soffitto dello studio a naso all’insù. La decorazione aveva tutta l’aria di quei bellissimi affreschi dello stile barocco, rappresentava i nove cori angelici in prospettiva, restringendosi a mano a mano che si saliva, e affollate di angeli dalle ali bianche. Serafine recuperò una scatola di cartone bassa e lunga, e la lasciò nello scatolone assieme al Paradiso Perduto, che prese poi sottobraccio.
<< Andiamo di sopra, vieni >>, disse a Julia, risvegliandola dal suo stato di meraviglia. Si alzò e la seguì lungo il corridoio e su per la scala di marmo. Sul corridoio al piano superiore, aprì la prima porta a destra.
A Serafine salì un po’ di nostalgia, nel rivedere la sua camera esattamente come l’aveva lasciata quasi un mese prima. Le tende semichiuse, il letto a baldacchino con i cuscini sparsi in giro, il tappeto fuori posto. Sospirò, e andò a spalancare le tende per far entrare un po’ più di luce.
<< È enorme, direi >>, commentò Julia dopo essersi lasciata sfuggire un fischio di approvazione.
<< Sì, fin troppo >>, aggiunse mentre andava a prendere una portagioie di legno sulla cassettiera. Julia invece andò a curiosare in giro, soffermandosi poi sulla zona della scrivania vicino a una delle finestre affacciate sulla città. La avevano attirata l’insieme di fogli e foglietti, ma soprattutto di ritratti a matita appiccicati a un pannello sul muro.
<< Serafine, poi non venirmi a dire che non sei un granché a disegnare. Sei praticamente un’artista >>. Serafine arrossì leggermente, mentre controllava che all’interno del suo portagioie ci fosse tutto.
<< Immaginavo che non ti sarebbero sfuggiti. In realtà li avevo fatti qualche anno fa, più o meno alla fine del liceo >>.
<>.
<< Veramente no, non l‘ho mai visto ma lo sognavo molto spesso perciò di giorno lo disegnavo credendo che potesse portarmi fortuna >>.
Serafine aggiunse anche il portagioie alle cose da portare con sé, poi raggiunse Julia, la quale teneva lo sguardo fisso sui ritratti. Tutti riportavano il viso dello stesso ragazzo, solo in pose o con espressioni diverse.
<< Il mio preferito era quello lì >>, disse indicando il disegno minuziosamente dettagliato del ragazzo con un paio di ali da angelo che lo racchiudevano, lasciando scoperto solo il viso e le spalle nude. Julia socchiuse gli occhi, e di scatto andò a frugare nella borsa di Serafine abbandonata sul letto. Recuperò il blocco da disegno e da esso strappò il ritratto dell’angelo, che appese con una puntina sul pannello, in mezzo agli altri ritratti.
<< Ora lo riconosci? >>. Serafine restò a guardare con occhi spalancati, cercando di realizzare la situazione e soprattutto cercando di convincersi che ciò che vedeva non era reale. No, non ci credo. Non può essere possibile.
<< Non è… insomma, non posso averlo visto anni fa. Io non ho mai visto Gabriel nella mia vita, è successo solo qualche giorno fa, io… io… >>.
<< Serafine, stai tranquilla. Magari gli somigliava soltanto >>. Serafine scosse la testa.
<< No no, sono sicura che è lui, ora lo riconosco >>.
<< Saranno solo stati sogni premonitori. Può succedere >>.
Serafine restò in silenzio per qualche attimo, interiorizzando l’informazione. Sogni premonitori… forse è possibile.
<< Sì, forse hai ragione >>, rispose infine Serafine, senza distogliere lo sguardo dai propri disegni. Julia forse poteva anche avere ragione, ma Serafine non si sentiva convinta di quella prospettiva.

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Capitolo 4
*** Monster ***


‘Cause I’ve seen love die way too many times, when it deserved to be alive; I’ve seen you cry way too many times, when you deserved to be alive, alive…
Serafine faceva ritorno dalla libreria. Erano le due di venerdì pomeriggio, e camminava silenziosa sulla strada bagnata. Tutto ciò che sentiva era la musica nelle cuffie, la voce carica di Hayley Williams e il suo gruppo, i Paramore, suonare la canzone Emergency.
Imboccò la sua strada secondaria, e dopo aver percorso qualche centinaio di metri vide uno… due… quattro fiocchi bianchi scendere leggeri e vorticosamente dal cielo grigio. Proprio oggi doveva nevicare… ah, ma stasera non mi perdo la serata per nulla al mondo!
La sua scelta musicale, infatti, non era a caso. Quella sera stessa i Paramore avrebbero suonato nello stesso locale in cui si esibiva Gabriel, e Serafine non se li sarebbe persi per nessuna ragione.
Finalmente intravide casa, quella casetta di legno bianca, a due piani e con un praticello e un paio di alberi ormai spogli davanti, distanziata dalle altre. Serafine cercava sempre di non pensare che Lylie aveva abitato lì, e inizialmente avrebbe voluto andare da qualche altra parte. Ma riflettendoci bene l’avrebbe messa più a disagio tornare a New York a casa della nonna, perciò l’unica idea saggia era quella di restare. E poi c’era Julia con lei, non sempre ma abbastanza da non farla sentire sola.
<< Julia, sono arrivata! >>, le urlò non appena entrò in casa. Abbandonò cappotto, berretto e stivali all’ingresso, recuperò le pantofole e strisciò i piedi trascinandosi in salotto.
<< Ciao, Serafine >>, la salutò Julia con fare moribondo e il naso tappato. Era semidistesa sul divano, sotto la coperta di lana, con una confezione di fazzoletti formato famiglia sul tavolino, caminetto e tivù accesi. Serafine ridacchiò.
<< Come stai, zombie? >>.
<< Uno schifo… Che invidia, vai a vedere i Paramore stasera >>.
<< Ma Julia, potresti coprirti per bene e venire anche tu. Te la senti? >>. Julia ci rifletté un attimo, ma poi scosse la testa.
<< Meglio di no, poi ‘sto raffreddore mi rimbambisce e non me li godrei a pieno. Vai tu anche per me >>. Serafine le sorrise dolcemente.
<< Allora mi batterò tenacemente per recuperarti un autografo di Hayley >>. Julia si illuminò.
<< Davvero faresti questo per me? >>.
<< Ovvio. Dato che non puoi vederli, mi sembra il minimo che possa fare >>.
<< Oh, grazie mille >>. Fece per tendere le braccia e abbracciarla, ma le ritirò immediatamente. << No, meglio di no. Altrimenti va a finire che ti contagio e ciao autografo >>.
 
Il buio arrivò velocemente, e altrettanto velocemente trascorse il tempo fino all’avvicinarsi imminente dell’ora dell’evento… Serafine non stava più nella pelle. Non aveva ancora smesso di nevicare, e tutto si era già coperto di un sottile e scivoloso velo bianco. Ma Serafine non si scoraggiava così facilmente. Dopo cena era subito corsa a prepararsi, e questa volta aveva optato per un maglioncino scuro con sotto una t-shirt grigia, jeans skinny blu scuro e un paio di bikers decorati con piccole borchie e un cinturino. Almeno sarò accettabile… e non rischio di ammazzarmi sulla neve! Senza far troppo rumore per non infastidire Julia che era già andata a letto, uscì.
Fuori, le sembrò di essere entrata in un’altra dimensione. Non un rumore, solo buio, silenzio, vento e neve che rendevano tutto un paesaggio irreale. Anzi, il tempo sembrava quasi esserle ostile, il vento gelido e pungente si faceva sentire fin sotto il cappotto, le maglie, la pelle, e la neve sembrava addirittura aumentare di intensità. Serafine però si fece coraggio, si calò il berretto sulla fronte e si mise in cammino.
Il marciapiede di fronte al locale si presentò decisamente più affollato rispetto alla volta precedente. Serafine era emozionatissima, forse quella era la prima cosa positiva che le accadeva negli ultimi tempi. Vedrò i Paramore, finalmente! Avvicinandosi di più, notò che stavano facendo entrare solo quelli che si presentavano con la prenotazione. Si affrettò a mettersi in coda e a prendere il foglio con la prenotazione dalla borsa, non sarebbe mai arrivata impreparata. Non appena aveva scoperto del loro arrivo, per prima cosa aveva cercato di prenotare anche se poco convinta, credendo che fosse stato già tutto sold out. Infatti così era, ma Julia aveva già preso un posto molto tempo prima e l’avrebbe portata con lei. Non la ringrazierò mai abbastanza.
Quando Serafine si sedette allo stesso tavolo dell’ultima volta, il locale era già pieno, praticamente quello era l’ultimo tavolino rimasto libero. Si guardò intorno, ormai mancava davvero poco. Serafine osservò gli altri tavoli, erano tutti più affollati del suo. Iniziava a credere di essere l’unico “lupo della steppa” del locale, quando individuò un altro tavolino altrettanto solitario ed era quello di fianco al suo. Stava per osservare chi era il forever alone lì vicino, ma il suo senso di paura aumentò, bloccandola. Se quella sensazione non la stava tradendo, sapeva già chi avrebbe visto seduto a quel tavolo. Ma ritentò… e finalmente lo vide.
Era nuovamente vestito di scuro, l’immancabile giubbotto e i jeans neri. Teneva lo sguardo fisso sulla superficie del tavolo, immerso nei propri pensieri, e ogni tanto si passava una mano tra i capelli biondi. Serafine sospirò. Come già immaginava, Gabriel sedeva lì, poco distante da lei.
In realtà non rimase solo molto a lungo. Un momento dopo un altro ragazzo lo raggiunse, sedendosi di fronte a lui. A occhio e croce doveva essere più o meno della sua stessa altezza, ma portava  corti i capelli biondo scuro ed era decisamente più massiccio. Solo, avevano lo stesso colore di occhi, la stessa e identica sfumatura di azzurro.
<< Ciao >>. Gabriel sollevò lo sguardo, salutandolo con un cenno del capo. Il nuovo arrivato gli diede un’occhiata perplessa. << Sei sicuro di volerlo fare? >>.
<< Nick, la uccideranno >>, rispose Gabriel con voce abbastanza cupa. Serafine sentì trillare il cellulare: un messaggio di Julia.
 
Come va lì? Sono già arrivati i Paramore? :D
 
<< La conosci? >>, continuò Nick. Gabriel scosse la testa.
<< No, non la conosco… beh, in realtà sì anche se non di persona, non ho mai avuto a che fare con lei direttamente. Ma non credo possa cambiare qualcosa. In realtà, avrei dovuto fermare anche l’ultimo massacro >>.
Serafine corrugò la fronte dopo quella conversazione, fingendo di leggere sul cellulare e tendendo l’orecchio. “La uccideranno?” “Massacro?”…ma che…?
Decise infine di non impazzire nel tentativo di capire, e rispose al messaggio.
 
Non ancora. In compenso c’è il tuo amico qui, con un bel tipo che mi ricorda vagamente un armadio, un tale Nick…!
 
<< Non è colpa tua >>. Serafine, nel frattempo, ricevette un altro messaggio.
 
Ah, Nick! Certo, è suo fratello maggiore ;) Lo so, sono uno più bello dell’altro <3 <3
 
Serafine sorrise tra sé, e in quel momento le luci si spensero. Restarono solo dei riflettori puntati sul palco, e finalmente i Paramore fecero la loro entrata, guidati da Hayley con i suoi capelli rosso fuoco.
Non ci furono presentazioni – anche se d’altro canto non servivano -, solo l’intro a chitarra. You were my conscience, so solid, now you’re like water. And we started drowning not like we’d sink any farther. La canzone di apertura della loro esibizione, secondo Serafine, era stata scelta bene: Monster. Serafine in realtà era ancora abbastanza pensierosa, i temi della conversazione tra Gabriel e quello che, a quanto pare, era suo fratello l’avevano incuriosita e al tempo stesso allarmata. Se il termine “massacro” lo riconducevano a “omicidio”, l’ultimo di cui aveva sentito parlare era stato proprio quello di Lylie. E se sapessero qualcosa su quello che è successo? Serafine si voltò un’ultima volta verso di loro. Ma erano completamente spariti nel nulla
I’ll stop the whole world, I’ll stop the whole world from turning into a monster, eating us alive. Don’t you ever wonder how we survived, now that you’re gone the world is ours
 
<< Grazie mille, Hayley >>. Hayley sorrise a Serafine.
<< Di nulla >>.
Serafine abbandonò la fila e uscì dal locale. Era soddisfatta di essersi fermata fino alla fine, così era riuscita a raccattare un autografo per sé e uno con tanto di dedica per Julia. Le piacerà, sicuramente! Ripose i due foglietti in una tasca all’interno della borsa, ma una folata di vento gelido la fece rabbrividire. Sollevò lo sguardo, e notò tragicamente la neve che era scesa durante quelle ore e quella che stava ancora scendendo. Spero di arrivare a casa tutta intera… Indossò nuovamente il berretto e riprese la strada di casa. Non c’era un’anima per strada, solo lei. Le faceva uno strano effetto.
Massacro… La uccideranno…
Quelle parole continuavano a risuonarle nella testa, pronunciate dalla voce di Gabriel. Che cosa sapeva, lui? A cosa si stava riferendo?
Serafine rifletteva, proseguendo passo dopo passo nella neve fresca. All’improvviso le urtarono la spalla con un colpo deciso, facendole quasi perdere l’equilibrio e risvegliandola dai pensieri.
<< Ehi, ma che…?! >>, sbottò Serafine voltandosi, ma si ritrovò a parlare con le spalle di una figura vestita di scuro e la testa coperta dal cappuccio. Sospirò, aveva parlato al vento, anche se in realtà qualcosa attirò la sua attenzione. Teneva in una mano qualcosa che rifletteva le luci dei pochi lampioni lungo la strada che si faceva più buia allontanandosi dal centro di Lewisville. Aveva una forma piatta e allungata. Una lama.
Da dietro l’angolo sbucò un’altra figura, un uomo che andava incontro a quella specie di ombra che aveva colpito Serafine. Lo riconobbe all’istante, era certa di aver visto quell’uomo dai capelli corti neri all’interno del locale e l’aveva osservata a lungo, spesso mettendola a disagio. La guardò anche in quel momento, ma la figura scura raggiunse l’uomo e lo afferrò alla gola con la mano libera, sbattendolo contro il muro della casa.
<< Che vuoi? Non farmi perdere tempo >>, disse l’uomo cercando di minacciarlo, sebbene la stretta alla gola fosse decisa.
<< E perché non dovrei? Tanto non riuscirai mai nel tuo intento >>. Serafine era convinta di aver sentito la voce di Gabriel. La figura scura era pure vestita come lui. Ma no, non può essere lui. È impossibile! Continuava a ripetersi di prendere e andarsene da lì, quella persona inoltre aveva un coltello!  Eppure non riusciva a muovere le gambe, era lì bloccata.
<< E perché non dovrei? >>.
<< Perché io te lo impedirò >>. Serafine non riuscì a vedere quel viso, di profilo era ancora coperto dal cappuccio. Ma l’espressione che aveva assunto, probabilmente ironica stando al tono di voce, fece dipingere sul viso dell’uomo la pura collera.
<< Mi stai sfidando? Non ti conviene >>.  La mano gli strinse la gola ancora di più.
<< Forse. Ma non potrai mai saperlo >>.
L’urlo di Serafine squarciò letteralmente il silenzio, non appena la lama dell’arma attraversò rapidamente e violentemente il ventre dell’uomo, per poi essere ritrarsi altrettanto velocemente. La figura scura, sorpresa, si voltò di scatto e Serafine, ancora con le mani davanti alla bocca per lo shock, si ritrovò a guardare dritto negli occhi azzurri di Gabriel. Nessuno dei due osò interrompere il contatto visivo, entrambi apparivano spaventati allo stesso livello anche se per motivi divergenti. Ma questa volta Serafine percepì qualcosa di diverso rispetto alla volta precedente. La paura non era per nulla sparita, ma si era aggiunto qualcosa che le faceva percepire Gabriel in maniera differente, anche se non era in grado di descrivere come.
All’improvviso, Gabriel si voltò e scappò via senza quasi lasciare a Serafine il tempo di reagire, sparendo dietro l’angolo della casa.
<< Ehi! >>, sentì un’altra voce maschile. Sul marciapiede opposto, spuntato da dove non ne aveva idea, c’era Nick ed era rivolto a Serafine. Attraversò la strada di corsa lasciando le impronte sulla neve e la raggiunse. << Ho sentito gridare. Va tutto bene? >>. Serafine lo guardò come se fosse un fantasma.
<< L’ha… l’ha ucciso… >>, riuscì appena a balbettare. Nick si voltò verso l’uomo che ormai giaceva sulla neve fresca, una chiazza di sangue che la contaminava, ma lo guardò in maniera superficiale.
<>. Serafine, di fronte alla domanda, si fece pensierosa restando a fissare un punto indefinito davanti a sé.
<< No… non l’ho visto in faccia >>. Nick osservò Serafine, la sua espressione mostrava evidentemente il suo suo stato di shock. Le poggiò delicatamente una mano sul braccio, scatenando in Serafine una serie di sensazioni simili a scosse elettriche in tutto il corpo al punto di farla spaventare. Lei lo guardo con la paura negli occhi.
<< Ti accompagno a casa, è meglio che te ne vai via da qui il prima possibile >>. Serafine scosse la testa decisa, scrollandosi la sua mano di dosso.
<< Non… non è necessario. Posso tornarci benissimo da sola, grazie >>. La sua voce suonò più dura di quanto volesse. Nick sospirò.
<< Sicura? >>.
<< Sì, grazie >>.
Serafine si voltò e finalmente tornò sui suoi passi. Non vedeva l’ora di rimettere piede a casa, ormai le sembrava uno dei rari posti sicuri in città.

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Capitolo 5
*** Gabriel ***


Da tre giorni Julia aveva notato qualcosa di strano in Serafine. Sapeva che non era mai stata particolarmente loquace o socievole, ma da quando era andata a vedere i Paramore aveva drasticamente tagliato i contatti con gli altri e ciò incominciava a farla preoccupare. Non aveva ancora voluto raccontarle nulla di quello che era successo né semplicemente detto com’era andata la serata. Si rintanava sempre nella propria camera, limitandosi a farsi vedere solo al lavoro e per i pasti, oppure usciva per andare a fare qualche passeggiata senza volere nessuno con sé.
In quel primo pomeriggio di domenica Julia era seduta a gambe incrociate sul divano davanti alla tivù, quando sentì i passi far scricchiolare i gradini di legno della scala.
<< Serafine? >>.
<< Sì? >>. Serafine si affacciò alla porta del salotto, indossava già il suo cappotto e il berretto grigio fatto a maglia. Julia la guardò dritto negli occhi.
<< Esci? >>. Serafine annuì.
<< Porto i fiori alla nonna >>, rispose semplicemente mostrandole un mazzo di lilium bianchi.
<< Ok. Ci vediamo più tardi, allora >>. Serafine abbozzò un sorriso, girò i tacchi e uscì.
Julia sospirò e decise di alzarsi. Salì al piano superiore e raggiunse la camera di Serafine, aprendo la porta appena socchiusa. La prima cosa che notò nell’ordine sempre perfetto di quella stanza furono i disegni. Quando erano tornate da New York, Serafine aveva appeso all’armadio i suoi disegni di quello che era stato il ragazzo che vedeva nei suoi sogni, il quale portava gli stessi lineamenti di Gabriel. Adesso quei disegni erano triplicati, occupando buona parte di entrambe le ante del mobile. Dai semplici e vecchi ritratti con espressioni diverse si passava a quelli che lo ritraevano come un angelo. Oltre a quelli che aveva già visto se ne era aggiunto uno molto più grande, composto da quattro fogli attaccati assieme e mostrava Gabriel a occhi chiusi e ali spalancate e dettagliatissime, disegnato con tratti morbidi e armoniosi. Gli ultimi disegni arrivati, invece, erano diversi. I tratti a matita erano più aspri e ritraevano Gabriel con i suoi soliti abiti da ribelle e le ali piegate dietro le spalle. Il suo sguardo incuteva timore, sebbene fosse solo un disegno Julia non riuscì a guardarlo negli occhi un momento di più. Doveva essere quello che Serafine sentiva e che le aveva raccontato, il suo senso di paura.
Julia si voltò per osservare il resto della stanza. Si erano aggiunti gli oggetti e i soprammobili che si era portata da New York, e sul letto c’era un libro aperto. Julia riconobbe l’edizione del “Paradiso Perduto” che Serafine aveva preso dall’appartamento di sua nonna. Lasciò il volume aperto alla stessa pagina in cui era stato lasciato, ma solo ora notò che in mezzo c’era un foglietto piegato. Lo prese tra le mani, lo aprì e iniziò a leggerlo.
 
The wind picked up, the fire spread, the grapevine seemed left for dead. The northern sky looked like the end of days, end of days…
Serafine, a passo lento, camminava lungo la stradina in salita e coperta di neve che portava al cimitero con solamente la canzone Grapevine fires dei Death Cab for Cutie che le teneva compagnia. Intorno a lei tutto era bianco, tutto era neve, freddo e solitudine. I pini innevati insieme a tutto il resto le ricordavano i paesaggi natalizi che si vedono sulle cartoline, e ora che ci pensava mancava poco meno di un mese a Natale. Ma tanto ormai che importa? Gli ultimi giorni l’avevano decisamente turbata, e prima di tutto voleva fare un po’ di ordine nella propria vita. Non sto capendo più niente… Vedere Gabriel uccidere con freddezza quell’uomo davanti ai suoi occhi l’aveva sconvolta, e ricordava ancora la scena come se l’avesse appena vissuta. Eppure non aveva voluto rivelare a nessuno ciò che aveva visto, tantomeno aveva voluto dire a suo fratello Nick che era stato Gabriel ad aver ucciso. Non tanto perché era suo fratello… in realtà, molto probabilmente non l’avrebbe detto nemmeno se fosse stato qualcun altro ad averglielo chiesto.
Inoltre, Serafine continuava inconsciamente a fare disegni su disegni con lo stesso soggetto, rendendosene conto solo quando ormai aveva finito. Era come se la sua mano avesse acquistato un’intelligenza propria e avesse fatto quel che voleva senza chiedere il permesso al cervello. Ma ciò che l’aveva sconcertata di più era il biglietto che aveva trovato nell’opera di Milton. Aveva riconosciuto all’istante la scrittura elegante di sua nonna Clara:
 
Mia piccola Serafine, se stai leggendo questo biglietto significa che io non sono più qui. Ti prego, fai davvero molta attenzione a muoverti, troppi pericoli si nascondono nell’ombra e sono ancora invisibili ai tuoi occhi. So che tutto ciò ti è incomprensibile, ma capirai presto il significato che si cela dietro le mie parole.
Ti voglio bene,
Clara
 
Esattamente come quel foglietto diceva, Serafine non capiva di che genere di pericolo si trattasse. Ma il solo pensiero di non essere in grado di individuarlo le metteva i brividi.
Qualche minuscolo fiocco di neve iniziò a scendere dal cielo quando Serafine giunse di fronte al cancello del cimitero di Lewisville. Era isolato da qualsiasi abitazione, in mezzo al freddo e alla neve. Non c’era nessuno, ma intravide delle impronte sulla neve ghiacciata. Le osservò superficialmente e attraversò il cancello aperto. Solo seguendo il percorso per giungere da sua nonna, notò che le impronte percorrevano la stessa strada perciò decise di seguirle finché non avrebbero preso una direzione diversa. Alla fine, però, le impronte di fermarono poco prima di un paio di stivali neri che si trovavano di fronte alla tomba di sua nonna Clara. Serafine sollevò lo sguardo, domandandosi chi potesse essere. Ma trasalì, e istintivamente fece un passo indietro.
Riconobbe il giubbotto nero con il cappuccio, e riconobbe Gabriel con i capelli biondi appena scossi dall’aria gelida. Lui sollevò lo sguardo, e infine si voltò verso Serafine. Si osservarono per qualche istante, come quella sera, ma Gabriel indietreggiò di un paio di passi, lasciandole spazio. Serafine gli lanciò un’occhiata diffidente, poi decise di avvicinarsi. Tesissima si abbassò poggiandosi sui talloni, e tolse dal vaso il vecchio mazzo di fiori che ormai iniziava a sciuparsi.
<< …la conoscevi? >>, domandò di punto in bianco Gabriel, anche se c’era un filo di esitazione nella sua voce che Serafine trovava sempre stupenda.
<< Era mia nonna >>, rispose in breve, cercando di concentrare tutta la propria attenzione sui fiori. Tolse il mazzo di lilium dalla carta e lo sistemò nel vaso. Il suo sguardo però finì per cadere su un dettaglio che prima non aveva notato, qualcosa di nuovo vicino alla lanterna con la candela sempre accesa. Era una statuetta bianca raffigurante un angelo con le mani giunte. Non c’era l’ultima volta che sono venuta.
<< Quella l’ho messa io. Spero che non ti infastidisca >>. Serafine inarcò le sopracciglia, sorpresa.
<< No, per nulla. Anzi, a lei avrebbe fatto piacere >>, rispose infine risollevandosi. Gabriel teneva ancora gli occhi su di lei.
<< Mi dispiace molto, Serafine >>.
Serafine trasalì di nuovo, l’ultima cosa che si sarebbe aspettata era di sentirsi chiamare per nome da Gabriel. Lei aggrottò la fronte.
<< Come conosci il mio nome? >>. Gabriel sollevò le spalle.
<< Sei l’unica nipote di Clara, mi aveva parlato spesso di te >>.
<< Oh… Certo, capisco >>. No che non capisco, invece. Come fai a conoscere la nonna? Proprio tu?
<< Era una persona splendida. A volte non riesco ancora a credere che sia successo >>. Serafine abbassò lo sguardo, Gabriel aveva ragione.
<< Nemmeno io… >>, sussurrò, con le lacrime che inarrestabili iniziarono a scenderle dagli occhi. Abbassò la testa, i capelli che le scesero ai lati del viso coprendola in parte. Gabriel si avvicinò a lei, posandole delicatamente le mani sulle spalle. Diversamente da quanto potesse aspettarsi, le sue mani le infusero calore che percepì anche attraverso i vestiti. Velocemente cercò di asciugarsi le lacrime.
<< Scusami, non volevo…>>, disse infine Gabriel a bassa voce, ma Serafine lo interruppe.
<< Non è nulla >>.
All’improvviso Gabriel la lasciò, voltandosi verso una cappella sovrastata da alcune statue alate. Si fece scuro in viso, ma Serafine non riuscì a individuare nulla di particolare nel punto in cui si era concentrato.
<< Inizia a farsi freddo… Forse è meglio andare >>, annunciò senza distogliere lo sguardo. Serafine annuì.
 
Il cielo si era incupito ancora rispetto a un paio d’ore prima. Aveva smesso di nevicare, ma ne minacciava altra. Gabriel e Serafine stavano percorrendo la via del ritorno in città, l’uno di fianco all’altra.
<< Oh, mi stavo dimenticando di presentarmi >>, disse di punto in bianco Gabriel, spezzando il silenzio. Si fermò e, sorridendo appena, le tese la mano. << Mi chiamo Gabriel >>.
Serafine ricambiò il sorriso e gli strinse la mano che, sebbene lui portasse abiti abbastanza leggeri e facesse decisamente freddo, notò essere tiepida. Gabriel ridacchiò.
<< Anche se suppongo che lo sapessi già >>. Serafine aggrottò la fronte.
<< Perché? >>.
<< Per via di Julia. Vi avevo viste alla stazione di polizia due settimane fa >>.
<< Giusto. Eravate compagni di classe? >>.
<< Sì, al liceo. Ma solo negli ultimi anni >>.
Tra loro cadde nuovamente il silenzio, entrambi si erano fatti pensierosi. Serafine aveva notato una cosa importante fin da subito. Il suo senso di paura era completamente scomparso. In realtà non ne capiva il motivo, involontariamente era arrivato e altrettanto involontariamente se n’era andato. Inoltre stava quasi per dimenticarsi che Gabriel aveva ucciso un uomo davanti ai suoi occhi, e ora stava camminando al suo fianco. Impossibile pensare di essersi sbagliata, era certa che fosse lui quella sera – i suoi lineamenti erano troppo particolari per poter essere scambiati per quelli di qualcun altro.
Appena giunsero al bivio, Serafine si fermò.
<< Ehm… Io abito giù di qui >>, disse lei dal nulla, non senza un certo imbarazzo, indicando la sua stradina. Non che l’argomento fosse imbarazzante, era che rivolgersi a Gabriel le faceva un effetto strano. Gabriel le rispose con un sorriso più evidente, che di rado si faceva vedere sul suo viso. …wow. Sì, vale decisamente tutte le lodi che Julia ha fatto alla sua bellezza.
<< Posso accompagnarti, se vuoi >>.
<< Mmm… ok, grazie >>.
Gabriel e Serafine percorsero quelle centinaia di metri che mancavano fino a casa, o meglio, alla casa di Lylie. Gabriel proseguiva con le mani nelle tasche dei pantaloni neri e attillati, mentre Serafine di tanto in tanto lo spiava con la coda dell’occhio. Rispetto a quanto credeva, con Gabriel si trovava stranamente a suo agio. Si era pure dimostrato gentile nei suoi confronti, perciò aveva dovuto ricredersi. …ma ha ucciso un uomo!
<< Abiti là per caso? >>, le domandò Gabriel indicando la penultima casa della via, una casa bianca, non molto grande e distanziata dalle altre, dietro a un paio di alberi spogli. Serafine sollevò le sopracciglia, stupita.
<< Beh, sì. Ma come fai a saperlo? >>.
<< Mmm… Intuizione, diciamo >>. Serafine sorrise appena.
<< Hai avuto l’intuizione giusta >>. Esitò un attimo, ma decise che era ora anche per lei di mostrare un minimo di gentilezza. << Ehm… Posso offrirti un caffè? C’è anche Julia >>.
<< Mah… Visto il freddo, non posso proprio dirti di no >>, le rispose con aria abbastanza divertita. Serafine scrutò il suo abbigliamento, poi alzò gli occhi al cielo.
<< Ma una sciarpa o un paio di guanti no? >>. Gabriel le fece gli occhi dolci.
<< Dai, non criticare il mio stile. A questo ci penserà già Julia >>. Serafine inarcò un sopracciglio, trattenendo una risata.
<< Seriamente? >>.
<< Sta’ a vedere >>.
 
Serafine e Gabriel entrarono in casa senza fare una parola né il minimo rumore. Gabriel seguì Serafine in cucina e si sedette al tavolo, guardandosi intorno mentre Serafine preparava la macchinetta del caffè. Pochi istanti dopo, Julia apparve sulla soglia.
<< Ciao Serafine >>, disse sorridendo, ma quando si voltò involontariamente alla sua sinistra e vide Gabriel seduto al tavolo, sobbalzò. << Oh, ehm… Ciao Gabriel. Qual buon vento ti porta qui? >>. Gabriel sogghignò, incrociando le braccia sul petto.
<< Mmm… non sapevo cosa fare e ho deciso di fare l’infiltrato in casa altrui >>. Julia lo fulminò con lo sguardo e lo raggiunse, sedendosi vicino a lui.
<< Ha ha, che simpatico >>. Julia osservò meglio l'abbigliamento di Gabriel, poi sospirò. << E tu sei andato in giro così? Non vorrei dire, ma l’hai vista la neve? Quella materia bianca che c’è praticamente su tutto, fredda, fatta di acqua? >>.
Serafine, ascoltando le parole di Julia, si voltò verso di loro e subito Gabriel le lanciò un’occhiata d’intesa.
<< Che ti dicevo? >>. Serafine rise, e Julia guardò prima l’una poi l’altro.
<< Perché? Che vi siete detti? >>.
<< Nulla Julia, non preoccuparti >>.
 
<< E quindi adesso tu e Gabriel vi conoscete. Bravi >>, disse Julia a braccia incrociate e con una certa soddisfazione nella voce, mentre dalla finestra guardava Gabriel che si allontanava nella ormai semioscurità. Serafine sospirò.
<< Non è stato per mia scelta >>.
<< Dai dai, raccontami com’è andata >>. Serafine si strinse nelle spalle.
<< Era davanti alla tomba di nonna, si conoscevano. Mi è sembrato strano però, io sono certa di non avere mai visto Gabriel prima >>.
<< Certamente non sarà casuale. Tu lo sognavi, e ora scopri che conosceva tua nonna >>.
<< Mmm non lo so, può essere però non riesco a capire… Voglio dire, nonna mi parlava sempre di qualsiasi persona con cui faceva conoscenza, ma di lui non mi ha mai detto nulla. Lui però mi ha chiamata per nome ancora prima che mi presentassi >>. Julia spalancò gli occhi.
<< Ah. Quindi lui sapeva di te mentre tu non sapevi di lui sebbene io non gli abbia detto niente di te >>. Serafine inarcò un sopracciglio perplessa davanti al giro di parole.
<< Ehm… sì, così sembrerebbe >>.
<< Però è bello, vero? >>.
<< Beh, non posso dire che non lo sia >>. Julia la indicò con aria trionfante.
<< Ahaaaa sei arrossita! >>.
<< Uffa dai smettila, mi stai mettendo in imbarazzo >>.
<< Ok ok, la smetto. La prossima volta che vi vedete, però, promettimi che farai meno la timida >>.
<< Ci proverò  >>.

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Capitolo 6
*** The City of Angels ***


There’s a black crow sitting across from me, his wiry legs are crossed. He is dangling my keys, he even fakes a toss. Whatever could it be that has brought me to this loss?
On your back with your racks as the stacks are your load…
Le note di Re: Stacks di Bon Iver riempivano l’ambiente della libreria. Serafine, arrampicata sul suo sgabello, era alle prese con la lettura. Era un libro dalla copertina consumata sui bordi che aveva ripescato dalla libreria di nonna Clara quel giorno a New York, un libro che spesso Clara aveva spesso sfogliato ma che lei non aveva mai letto.
“Ed accadde, da che aumentarono i figli degli uomini, che in quei tempi nacquero, ad essi, ragazze belle di aspetto. E gli angeli, figli del cielo, le videro, se ne innamorarono, e dissero fra loro: "Venite, scegliamoci delle donne fra i figli degli uomini e generiamoci dei figli". E disse loro Semeyaza, che era il loro capo: "Io temo che può darsi che voi non vogliate che ciò sia fatto e che io solo pagherò il fio di questo grande peccato". E tutti gli risposero e gli dissero: "Giuriamo, tutti noi, e ci impegniamo che non recederemo da questo proposito e che lo porremo in essere ". Allora tutti insieme giurarono e tutti quanti si impegnarono vicendevolmente ed erano, in tutto, duecento. E scesero in Ardis, cioè sulla vetta del monte Armon e lo chiamarono Monte Armon poiché su esso avevano giurato e si erano scambiati promessa impegnativa“.
Era prossima l’ora di chiusura e la libreria era deserta. Nessun cliente, né qualcun altro a farle compagnia. Una delle due ragazze del pomeriggio era malata, perciò Serafine si era offerta di restare anche per quel turno. Poi la ragazza con cui era restata era andata via prima, perciò ora Serafine era rimasta sola.
Sul monitor del computer era fissa la schermata di Wikipedia, la quale mostrava l’articolo sul Libro di Enoch. Serafine l’aveva aperta per fare una specie di ricerca, ma continuava a leggere.
“Si presero, per loro, le mogli ed ognuno se ne scelse una e cominciarono a recarsi da loro. E si unirono con loro ed insegnarono ad esse incantesimi e magie e mostraron loro il taglio di piante e radici. Ed esse rimasero incinte e generarono giganti la cui statura, per ognuno, era di tremila cubiti. Costoro mangiarono tutto il frutto della fatica degli uomini fino a non poterli, gli uomini, più sostentare.
Serafine sollevò lo sguardo sullo schermo. Fece scorrere la pagina fino a un punto che era convinta di avere visto poco prima, il paragrafo dal titolo “Libro dei Vigilanti”. Eccoli qui! “Nella Bibbia, la parola Nefilim viene spesso tradotta come Giganti o Titani. Serafine ricordava che sua nonna Clara più di una volta aveva citato i Nefilim, ma non le aveva mai spiegato nulla di più. Perciò spostò il cursore sul collegamento e aprì la pagina.
 
Gabriel proseguiva lungo la strada deserta, con le mani in tasca. Teneva solo lo sguardo sul marciapiede, e sui propri passi, sul paio di stivali neri ormai coperti di neve che indossava. Portava il giubbotto di pelle, quello nero con il cappuccio che era il suo preferito, che teneva con la zip abbassata fino al petto lasciando che si vedesse la t-shirt. Uno schermo presso un cartellone pubblicitario indicava -5°C ma non sentiva freddo, per nulla. In realtà Gabriel non sentiva mai freddo, nemmeno a temperature decisamente più rigide, infatti ben più di una volta la gente si era voltata a guardarlo con aria perplessa per il suo abbigliamento ben poco adatto e soprattutto troppo leggero. Anche Serafine era rimasta sorpresa di ciò, ma aveva capito che non era certa di volerglielo far notare.
Gabriel sorrise tra sé. Serafine non sa ancora nulla… non ha idea di quale mondo la sta aspettando. Lui, quella sera, non aveva intenzione di spaventarla in quel modo ma non aveva avuto scelta. Gabriel aveva sicuramente preferito spaventarla ma garantire la sua incolumità, piuttosto che lasciare che quell’essere la uccidesse. Prima o poi capirà… ma non posso assolutamente permettere che la uccidano. Sarebbe la fine per la sua stirpe, e sarebbe un pericolo per tutti gli altri.
Giunto all’incrocio tra la strada principale di Lewisville e la strada che portava alla chiesa, Gabriel si fermò. Aggrottò la fronte, sicuro di percepire qualcosa, perciò cercò di concentrarsi meglio. Infine alzò lo sguardo, e lo indirizzò all’altro lato della strada. All’angolo c’era la libreria con tutte le luci ancora accese, avrebbe dovuto chiudere in circa dieci minuti. Gabriel osservò meglio, notando una persona da lui conosciuta seduta dietro al bancone.
Non riuscì a non riconoscere al volo Serafine, e soprattutto era impossibile non percepire la sua presenza. Era immersa nella lettura, i capelli castani che le scendevano ai lati del volto. Non si può non vedere che discende dai Laurent… Stessi occhi e stessi lineamenti della madre e della nonna… Anche se a quanto pare non le andavano a genio i capelli biondi e la loro aria angelica. Ma la vedeva turbata. Era convinto che tutto ciò che le era successo negli ultimi tempi l’avevano sconvolta, ma in fondo non poteva che essere diversamente.
All’improvviso, un rumore distrasse Gabriel facendolo voltare di scatto. Ma le strade erano deserte, non c’era nessuno oltre a lui. Solo un repentino susseguirsi di immagini si schermò nella sua mente. Una strada buia, una lama che rifletteva la luce di un lampione, la neve accumulata a lato del marciapiede, delle sagome scure nella luce debole.
Gabriel andò velocemente a nascondersi nell’ombra, e in quel momento si spensero le luci della libreria.
 
Dovrei smetterla di andare in giro di notte. Non mi piace per niente. Serafine cercava di allungare il più possibile per arrivare a casa. Non era ancora riuscita ad abituarsi alla poca illuminazione che c’era a Lewisville, visto il tempo in cui aveva vissuto tra le mille e più luci di New York. Anche là avrebbe potuto nascondersi chiunque dietro a qualsiasi angolo, ma la componente del buio e il fatto di non poter vedere peggiorava tutto.
Inoltre, la storia dei Nefilim non l’aveva convinta più di tanto. Il Libro dei Vigilanti, sezione del volume che stava leggendo poco prima, parlava di essi come figli degli angeli e degli umani, dipingendoli soprattutto come esseri spietati e crudeli, e gli angeli vigilanti erano stati rinchiusi nelle viscere della Terra poiché si erano ribellati. Le era sembrato strano non tanto per la storia in sé, ma per il fatto che sua nonna le aveva sempre raccontato qualsiasi genere di storia o episodio riguardante gli angeli, ma di quello non le aveva mai fatto parola. Eppure quel volume l’aveva ritrovato proprio nella sua libreria e soprattutto, era uno dei più vecchi.
<< Serafine! Vieni via da lì!! >>, le urlò improvvisamente una voce dal nulla, facendola risvegliare dai propri pensieri. Ma chi…? Si guardò intorno, non vedeva altro che il lampione sotto il quale si era fermata e la neve accumulata presso il marciapiede che brillava sotto la luce, realizzando che in verità quella voce non seguita da alcun rimbombo nella strada vuota aveva gridato solo nella sua mente. Ma osservando meglio, tre sagome scure si stavano avvicinando da tre direzioni diverse convergendo verso un punto che sembrava essere proprio lei.
Il cuore iniziò ad accelerare i propri battiti, il respiro si fece più pesante. Erano tre uomini tutti vestiti di scuro e nel buio era difficile distinguerne i lineamenti del viso. Ciò che Serafine riuscì a notare, però, fu la sfumatura rossa nelle iridi dei loro occhi che man mano che si avvicinavano alla luce artificiale del lampione, si facevano sempre più nitide.
L’uomo esattamente davanti a lei strinse la mano sull’impugnatura di un’arma da taglio che non riusciva a distinguere, e i suoi occhi mandarono dei bagliori color rosso vivo. Serafine, terrorizzata, mosse lentamente e automaticamente un paio di passi indietro. Ma fu fermata dalla neve accumulata sul bordo del marciapiede, facendola inciampare all’indietro e rovinare sull’asfalto. Lui sollevò l’arma senza proferire una sillaba, con freddezza. È la fine… è la fine… Serafine portò le braccia davanti al viso come uno schermo, una difesa sebbene sapesse bene che era tutto inutile. Questo è il mio destino, finire uccisa come tutti gli altri… Serafine chiuse gli occhi in attesa del colpo, senza lottare, senza reagire. Ma tutto ciò che udì fu un gemito, e null’altro.
Si scoprì il viso, o almeno solo gli occhi. Davanti a lei, l’uomo si stava accasciando a terra trafitto da una lama. Nuovamente il cuore riprese a batterle all’impazzata, come se poco prima si fosse arrestato e poi ripartito. Al suo posto, ora, riuscì a scorgere un’altra figura sotto la luce del lampione. Era Gabriel. I capelli biondi rilucevano, era lì di fronte a lei con l’espressione fredda e immobile di un angelo vendicatore sul viso. Con un passo scavalcò il cumulo di neve e si chinò su di lei, cingendola saldamente con entrambe le braccia e sollevandola da terra. Serafine, ancora scioccata, si lasciò sollevare senza muovere un muscolo e Gabriel la strinse al proprio petto. Non appena Serafine percepì il calore che Gabriel le stava trasmettendo, scoppiò a piangere come reazione alla paura che fino a pochi attimi prima l’aveva bloccata.
<< Sshh, Serafine stai tranquilla adesso. È tutto finito >>, le sussurrò Gabriel poggiandole una mano sulla testa, tra i capelli.
<< Uccideranno anche me… come tutta la mia famiglia… >>, rispose Serafine con un tono di voce troppo acuto e innaturale rispetto al suo. Gabriel sciolse l’abbraccio e spostò entrambe le mani sul suo viso, sollevandolo e obbligandola a guardarlo dritto negli occhi.
<< No Serafine, nessuno ti ucciderà. Ci sarò io a proteggerti e giuro che nessuno ti farà del male >>. Il tono di Gabriel era dolce, ma deciso. << Lo so, mi hai già visto uccidere due volte, so che sei diffidente nei miei confronti e non posso darti torto. Ma devi fidarti di me, Serafine >>. Gabriel cercò continuamente una risposta nei suoi occhi finché Serafine non diede un segno di vita, annuendo appena. Interiorizzata la risposta, Gabriel abbozzò un sorriso. << Vieni, andiamo via da qui. Seguimi >>. Lui avanzò di qualche passo in direzione opposta rispetto a dove abitava Serafine, ma lei restò immobile, guardandosi intorno. L’uomo che stava per aggredirla stava sul marciapiede con un’enorme chiazza scura che contornava la voragine sul cuore, ma degli altri non c’era più traccia. Gabriel, poco più avanti, si voltò verso di lei facendole nuovamente cenno di seguirlo.
<< Dove… dove andiamo? >>.
<< A casa mia, è più al sicuro. C’è Julia che ci aspetta >>. Serafine si fece perplessa.
<< Ma… >>, aggiunse, anche se tacque immediatamente. Tutto stava diventando sempre più confuso, anche se realizzò che non era il momento adatto per fare domande. Gabriel la osservava, aspettando con pazienza. << …ok >>, decise infine, raggiungendolo e accostandosi a lui.
Proseguirono in direzione opposta rispetto alla casa di Serafine senza proferire parola, a debita distanza e ognuno con le mani cacciate nelle tasche delle proprie tasche. Ora che Serafine aveva riacquistato lucidità, iniziarono a sorgerle mille e più dubbi. Non capiva come facesse a sapere tutto ciò, aveva la sensazione che la diffidenza nei suoi confronti gliel’avesse letta dentro. Certo, ora che le aveva salvato la vita non poteva non fidarsi di lui. Ma perché l’ha fatto? E perché ha giurato di proteggermi? Facendo un riassunto di tutto, Serafine si era resa conto che il ragazzo che appariva nei suoi sogni alcuni anni prima ora era davanti a lei, l’aveva difesa e le aveva detto che l’avrebbe protetta. Qualcuno mi spieghi che cosa sta succedendo, per favore…
 
Non appena Gabriel aprì la porta del proprio appartamento ed entrarono, Julia si fiondò da Serafine e la abbracciò.
<< Serafine! Dimmi che stai bene! >>. Serafine sollevò lo sguardo, vedendo Gabriel che le osservava con distacco per poi voltar loro le spalle e andare ad appoggiare la giacca sull’appendiabiti, restando in t-shirt.
<< Sì… sì, sto bene >>, rispose sciogliendo subito l’abbraccio. Serafine osservò l’appartamento, il quale era abbastanza piccolo ma ben tenuto. Al centro della stanza c’era un divano con sopra una chitarra e dei fogli con gli spartiti. Niente tivù e una cucina minuscola in un angolo in fondo al salotto. Sulla sinistra invece c’erano due porte.
<< Gabriel, cos’è successo? >>, domandò improvvisamente Julia, avvicinandosi a lui. Gabriel inspirò a fondo.
<< Un gruppo di nefilim ha tentato di ucciderla >>. Julia aggrottò la fronte.
<< Ma com’è possibile? Dovevi… >>.
<< So bene cosa dovevo fare, Julia! >>, tuonò Gabriel, ammutolendola. << Avrei dovuto evitare che accadesse. Ma mi hanno tratto in inganno, c’erano due gruppi di nefilim e mi hanno attirato verso uno allontanandomi da lei mentre gli altri l’hanno raggiunta. La prossima volta provaci tu ad affrontare da sola altri sei nefilim, e poi dimmi com’è andata >>. Serafine restò presso la porta d’ingresso osservando i due che discutevano. Nefilim? Ma che stanno dicendo?
<< Scusa Gabriel, hai ragione >>.
<< Comunque credo che qui a Lewisville lei non sia più al sicuro. Ci sono troppi nefilim, non può rischiare in questo modo >>.
<< E dove dovremmo portarla? >>.
<< A New York sarà meno esposta. Là sarà più facile nasconderla, so già dove >>.
<< Ma chi va con lei? Non può restare da sola, lo sai >>.
<< Posso sapere anch’io che diavolo succede?! >>.
Silenzio. La domanda di Serafine era piovuta improvvisamente dal nulla, mettendo tutti a tacere. Gabriel e Julia la guardarono come se fosse un alieno.
<< Vado io con lei >>, disse infine Gabriel, poi si rivolse a Serafine. << Succede che adesso prepari le tue cose. Torniamo a New York >>, e in un paio di falcate andò a spalancare una delle due porte, la quale rivelò la sua camera. Serafine restò senza parole.
<< Ma… ma… come sarebbe a dire “torniamo a New York”? Perché? >>. Si voltò verso Julia e verso Gabriel da qualche parte in camera sua, ma non ottenne una parola da nessuno dei due. E iniziò a spazientirsi. << Qualcuno vuole degnarsi di rispondermi?! >>. Gabriel si affacciò sul salotto dallo stipite della porta.
<< Ti basta pensare a quel che ti è accaduto questa sera, ecco, quello è il perché >>.
<< Sì, ma… Non ne capisco il motivo. E poi perché parlavate di nefilim e di cose che mi riguardano senza che io ne sappia nulla? >>. Julia mostrò un’espressione addolorata sul viso.
<< Io non posso risponderti Serafine, mi dispiace >>. Gabriel, invece, tornò da lei e le poggiò le mani sulle spalle, guardandola negli occhi e assumendo un tono del tutto differente rispetto a quando aveva discusso con Julia.
<< Serafine, ascoltami. Se fossi al tuo posto sarei anch’io tanto confuso quanto te in questo momento, lo capisco. Ma per ora tutto ciò che posso dirti è che se non vieni via di qui subito rischieresti di nuovo la vita >>. Serafine non riusciva a distogliere lo sguardo dagli occhi azzurri di Gabriel, era come se si fosse creato un contatto visivo impossibile da interrompere. Ma sentiva anche del calore provenire dalle sue mani, attraverso i vestiti e lo spessore del cappotto. E tutte quelle sensazioni, unite alla sua voce calma, riuscirono a rasserenarla almeno per qualche attimo. << La situazione è complicata e non c’è tempo per spiegarla, non qui e non adesso. Vedrai che andrà tutto bene >>, aggiunse infine cercando di confortarla con un sorriso. All’improvviso però si voltò di scatto, verso le finestre che si affacciavano sulla strada. << Julia, accompagna Serafine a preparare le sue cose. Stanno tornando. Vi raggiungerò il prima possibile >>.
<< Andiamo subito >>, rispose la voce di Julia alle spalle di Serafine.
 
Un’ora dopo Serafine era già in autostrada diretta a New York, a diversi chilometri da Lewisville. Era rannicchiata sul sedile di un fuoristrada e guardava perennemente fuori dal finestrino, mentre Gabriel guidava. Erano passate le nove, e ogni tanto a interrompere il silenzio che c’era nell’abitacolo era il suo stomaco che si lamentava perché non era ancora arrivata la cena.
<< Fame? >>, domandò di punto in bianco Gabriel, dal tono si sentiva che stava sorridendo. Serafine annuì.
<< Sì, tanto direi. Quanto c’è fino a New York? >>.
<< Un po’ di chilometri… Però mancano solo alcune centinaia di metri alla stazione di servizio. Se ti accontenti di un panino possiamo fermarci lì >>. Serafine sospirò.
<< Qualsiasi posto in cui non ci sia qualcuno che sta tentando di farmi la pelle va benissimo >>, rispose con sarcasmo. Gabriel ridacchiò.
<< Dai, Serafine! Non essere così tragica >>. Serafine decise di girare la testa e guardare Gabriel, il quale aveva un’aria abbastanza divertita.
<< Tragica io? Noooo, ma va! Qualcuno ha mai tentato di ucciderti, mister-so-tutto-ma-non-te-lo-dico-perché-sono-troppo-favoloso? >>, terminò con tono amareggiato.
<< Stavo solo cercando di sdrammatizzare. Però sì, delle volte sinceramente ho perso il conto >>. Questa volta, Serafine restò seriamente a bocca aperta.
<< Ah >>.
<< E non chiamarmi più in quel modo, o salti la cena >>, aggiunse Gabriel in maniera poco seria. Serafine invece gli mise il broncio.
<< Uffa. E comunque ti si addiceva >>.
<< Se porti pazienza almeno fino all’arrivo poi ti spiegherò… E comunque non ho capito perché dovrei essere “troppo favoloso” >>. Serafine non riuscì a trattenere una risatina.
<< Perché vai in giro con fare da figo e non consideri nessuno come se non fossero all’altezza. Potresti tirartela meno >>. Gabriel inarcò un sopracciglio, perplesso.
<< Boh, se lo dici tu >>, disse infine poco convinto facendo spallucce e spostandosi sulla corsia di decelerazione che portava alla stazione di servizio. << Comunque siamo arrivati >>.
In una decina di minuti, Gabriel e Serafine si sedettero a uno dei tanti tavoli vuoti, vicino alle finestre. Per cena – un panino e una lattina di coca cola a testa.
<< Non vuoi proprio anticiparmi niente? >>, ritentò Serafine parlando a bocca piena.
<< Potrei anche farlo, ma non voglio farti andare il boccone per traverso. Sarebbe inutile averti salvato la vita due volte e poi farti soffocare con un panino, no? >>. Serafine aggrottò la fronte.
<< Due volte? E… quando sarebbe stata la seconda? >>.
<< La seconda era stasera. La prima volta è stata dopo il concerto dei Paramore, quando mi hai fatto venire un infarto con quell’urlo >>.
<< Ma senti, ti avevo visto due volte e nemmeno ti conoscevo, e hai ucciso quell’uomo così a freddo… >>.
<< Nemmeno adesso mi conosci >>.
<< Appunto. E… >>.
<< …e poi quello non era un uomo qualunque, era un nefilim che voleva farti la pelle e ti aveva tenuta d’occhio da quando eri entrata al Garage >>.
<< Ecco. Però scusa, c’è qualcosa che non mi torna. Non ho ancora capito perché continui a parlare di nefilim. Voglio dire, non… >>.
<< …esistono? >>, la interruppe Gabriel sorridendo. << Certo che esistono. Fino a poco tempo fa a Lewisville non ce n’erano, era un luogo sicuro e infatti Clara ti aveva mandata lì. Ultimamente però le cose sono andate un po’ diversamente, purtroppo >>.
<< E supponendo che io ci creda, che cosa vorrebbero proprio da me? >>. Gabriel scosse la testa.
<< Finiamo di mangiare adesso >>. Serafine sbuffò.
<< Testardo >>.
<< Impaziente >>. Si guardarono per qualche istante, poi Gabriel rise. << Dai Serafine, solo un momento. E poi quando saremo arrivati, saremo entrambi più tranquilli >>. Serafine annuì.
<< Va bene, non insisto. Ma solo perché mi hai offerto la cena >>.
 
Blue jeans, white shirt, walked into the room you know you made my eyes burn.
Serafine riaprì gli occhi e si stiracchiò. Dovrei svegliarmi più spesso con la musica di Lana del Rey, è decisamente piacevole. Oltre al vetro di fronte a lei intravide migliaia di luci, e realizzò che era Manhattan con i suoi grattacieli. In fondo un pochino le era mancata.
Si sfilò le cuffiette e si voltò verso Gabriel, il quale era concentrato a guidare. Lo osservò, anche se non le sembrava tranquillo. Era teso per qualche motivo, stringeva di continuo le nocche sul volante. E poi è davvero bello.
<< Dove andiamo? >>.
<< In un posto che di sicuro ti piacerà, piace molto anche a me. Qui è Brooklyn, ci siamo >>. Gabriel svoltò su una via residenziale, con case di mattoni su entrambi i lati della strada. Era dicembre ormai da diversi giorni, e Serafine intravide qualche albero di natale addobbato dietro le finestre o in giardino. Gabriel accostò di fronte a una casa dalla luce accesa al piano superiore.
<< Ok, questa sarà casa nostra per un po’. Che ne pensi? >>.
<< Non è male. Ma mi piace la zona, è tranquilla >>. Lui nel frattempo spense il motore e scese dal fuoristrada per aprire il baule e scaricare qualche valigia e qualche borsa. Serafine si fiondò subito ad aiutarlo.
<< Ovviamente la chitarra non poteva mancare >>, osservò lei ridacchiando. Gabriel annuì.
<< Certo, mica la abbandonavo a Lewisville >>.
<< Però trovo che canti molto bene >>. Gabriel si voltò verso di lei, sorpreso del complimento, e le sorrise.
<< Grazie >>.
Man mano che scaricavano le proprie cose dalla macchina le lasciarono sui gradini davanti alla porta d’ingresso, e solo quando ebbero finito Gabriel bussò. Trascorsero alcuni minuti e solo quando Serafine iniziava a spazientirsi si udì una chiave girare nella serratura.
<< Sì? >>.
Un uomo altissimo, decisamente più alto di Gabriel (il quale comunque raggiungeva il metro e ottanta) dai capelli neri e gli occhi verde smeraldo si era affacciato alla porta d’ingresso, che non aveva aperto più di tanto. L’altezza e la sua espressione ferma incutevano timore, anche se non appena vide Gabriel cambiò atteggiamento.
<< Ah ciao Gabriel, siete arrivati finalmente >>.
<< Sì, c’era traffico per entrare in città. Possiamo entrare? >>. L’uomo, diventato improvvisamente cordiale, si scostò spalancando la porta.
<< Ma certo! Scusatemi, sai bene che devo rispettare le regole con tutti >>. Serafine corrugò la fronte. Regole? Ma che posto è? E ‘sto tizio?
<< Meglio così. Ci pensi tu alle nostre cose? >>.
<< Come sempre >>. Gabriel annuì, poi si mise in spalla la chitarra e raccolse i due borsoni. Seguendo l’esempio, Serafine prese le sue cose e lo seguì in casa. L’ingresso era abbastanza piccolo con la tappezzeria alle pareti, sulla sinistra c’erano le scale che portavano al piano di sopra, sulla parete a destra le porte che davano sulla cucina e sul salotto, e in fondo la porta che probabilmente portava al retro della casa.
<< Lasciate pure tutto qui per terra. Ah, Gabriel? >>. Gabriel riportò la propria attenzione sull’uomo, il quale abbassò leggermente la voce. << L’hai marchiata? È la prima volta che viene qui >>. Serafine spalancò gli occhi, comprendendo che stavano parlando di lei. Che cosa?! Marchiata? Come gli animali?! Gabriel scosse la testa.
<< Non ne ha bisogno >>. L’uomo si voltò quindi verso Serafine e la fissò per qualche istante, mettendola abbastanza a disagio.
<< Capisco, allora aggiungerò Serafine Laurent ai nostri abitanti. Posso vedere il tuo? >>. Gabriel abbassò lo sguardo e sollevò la manica del giubbotto. Serrò la mano in un pugno e su tutto l’interno dell’avambraccio, dal polso al gomito, lentamente apparvero dei segni dorati, dei simboli che ricordavano vagamente l’alfabeto runico, che riflettevano la luce non troppo forte della stanza. Serafine però, nel frattempo, si era fatta pensierosa.
<< Mi scusi, ma io mi chiamo Serafine Lacroix. Laurent era il cognome di mia nonna materna >>.
<< Lo so, Serafine >>.
Di punto in bianco, Gabriel afferrò il polso di Serafine facendola sobbalzare.
<< Allora noi andiamo >>, annunciò con fare frettoloso. << Buona serata >>.
<< Anche a voi >>. Gabriel strattonò Serafine, obbligandola a seguirlo fino alla porta che dava sul retro. La spalancò e oltrepassata quella soglia, si ritrovarono catapultati nel buio.
 
Quando la vista di Serafine si abituò alla pochissima luce, pensò che quello le sembrava troppo strano per essere il retro di una casa. Ogni volta che muoveva i piedi affondava nella neve fino alla caviglia, ed era proprio la neve a dare il poco chiarore e a distinguere il suolo dalle sagome scure degli alberi spogli. Più che il retro di casa, quello aveva tutta l’aria di un bosco.
<< Scusa se sono stato un po’ brusco, prima, ma non potevamo soffermarci ulteriormente. La casa del Guardiano è solo un luogo di passaggio, una specie di dogana >>. Serafine vide la figura scura di Gabriel maneggiare qualcosa, e poi si accese una piccola luce che gli illuminò il viso. Aveva acceso una lanterna, anche se la fiamma che danzava al suo interno non stava bruciando lo stoppino di una candela. Era sospesa nel nulla, e inoltre faceva molta più luce.
<< Il “Guardiano” hai detto? >>.
<< Sì, è l’uomo che abbiamo incontrato prima. Nessuno sa il suo nome, quindi tutti lo chiamiamo così. Gli basta una semplice occhiata a una persona per sapere tutto sulla sua vita, così come ha fatto con te >>.
<< E perché ti ha chiesto se mi hai marchiata? >>.
<< Il marchio identifica ogni persona che vive qui, per tenere lontano gli intrusi. Consiste nel marchiare a fuoco sulla pelle dell’individuo il suo nome nella Prima Lingua. Sei fortunata a non averne bisogno, è decisamente doloroso >>.
<< Ma scusa, sbaglio o la Prima Lingua è quella creata dagli angeli e dalla quale hanno avuto origine tutte le altre? >>. Gabriel sorrise.
<< No che non sbagli. Vedo che sei preparata. Ti spiego tutto a casa, vieni >>. Lui proseguì dritto davanti a sé, in mezzo agli alberi senza seguire un sentiero, o se ci fosse stato sarebbe comunque stato nascosto dalla neve. Serafine non capiva che posto era quello, era convinta ancora di sognare. Fino a pochi attimi prima era a Brooklyn, a New York, e non era possibile che quel luogo esistesse fisicamente. Eppure la neve era vera, non sentiva più i piedi per il freddo.
Il loro cammino rischiarato dalla lanterna non durò a lungo, in realtà. Serafine notò che dopo un po’ gli alberi iniziavano a diradarsi, e c’era più luce. In fondo, oltre agli ultimi alberi, Gabriel si fermò in mezzo alla neve e Serafine lo raggiunse. Improvvisamente restò a bocca aperta per lo stupore.
<< Wow! Ma… ma dove siamo? >>.
<< Benvenuta nella Città degli Angeli, Serafine >>.
Il panorama davanti a loro era a dir poco mozzafiato. Si trovavano su una collina e più in basso c’era una piccola cittadina tutta illuminata e incastonata in mezzo alle montagne innevate. Sembrava fosse il paesaggio di una cartolina natalizia che aveva preso forma. Non si soffermarono a lungo, Gabriel infatti riprese subito il cammino e scese dalla collina.
Appena giunsero in città, Serafine proseguiva ammirando tutte le case addobbate con ghirlande alle porte e luci.
<< Si festeggia Natale anche qui? >>.
<< Certo, forse anche di più rispetto alla dimensione terrestre >>. Gabriel però svoltò improvvisamente su una via laterale e proseguì dritto fino all’ultima casa. Da lì salì per un sentiero sul fianco della montagna, e in fondo a questo si intravedeva una casetta solitaria. Serafine faceva fatica a mantenere il passo di Gabriel, la salita era ripida e il sentiero stretto, lei era stanchissima mentre lui sembrava fresco e riposato. A un certo punto si fermò, poggiando le mani sulle ginocchia e prendendo fiato.
<< Gabriel… aspetta… >>. Gabriel tornò subito indietro, raggiungendola in un attimo.
<< Va tutto bene? >>. Serafine annuì appena, e lui le portò un braccio sulle proprie spalle accompagnandola per l’ultima ventina di passi che li dividevano dalla casa.
Era una casetta di legno a due piani, con un piccolo giardino davanti dal quale si poteva ammirare in basso tutta la città, ed era l’unica abitazione in quella zona in mezzo ai prati ora coperti di neve. Gabriel accompagnò Serafine in casa, dove li accolse un salotto dal soffitto abbastanza basso e un bel caminetto acceso. Serafine andò immediatamente a sedersi su una delle poltrone davanti al fuoco, appoggiando i gomiti sulle gambe e tenendo lo sguardo fisso sul pavimento.
<< Come ti senti? >>. Si sentì poggiare una mano sul braccio, e vide Gabriel piegato sulle ginocchia di fronte a sé.
<< Mi gira la testa >>.
<< La prima volta che vieni qui è normale. Vedrai che da domani andrà meglio, ti basta solo dormirci un po’ sopra >>. Lo sguardo di Gabriel era semplicemente stupendo, e Serafine non riuscì a non sorridere.
<< Qual è la mia camera? >>. Lui si alzò e le tese la mano, che Serafine prontamente afferrò e si lasciò sollevare.
<< Vieni, aggrappati a me >>. Serafine, con un po’ di imbarazzo, si aggrappò al braccio di Gabriel e lo seguì fino al piano di sopra. La porta era spalancata e Serafine intravide le proprie borse sul pavimento. Come diamine hanno fatto ad arrivare qui?
Gabriel la fece sedere sul letto, poi indietreggiò di qualche passo.
<< Io vado a disfare i bagagli, se hai bisogno chiamami, ok? >>. Serafine annuì, e lui sorrise. << Buonanotte, Serafine >>.
<< Buonanotte >>, e lo osservò uscire e richiudere la porta alle sue spalle.

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Capitolo 7
*** Un nuovo mondo ***


Beep… beep…beep…
Serafine si stiracchiò, allungando il braccio fuori dalla trapunta e tastando il comodino finché non trovò la sveglia e la spense. Uffa, ancora cinque minuti! Non voglio andare a lavorare! Infine spuntò dalle coperte, mettendosi a sedere. Si strofinò gli occhi e si guardò intorno. Notò che non era la sua camera, ma una stanza più spaziosa tutta in legno, con una vetrata che portava a un balcone e un letto enorme. Ah già. Sono in questo posto apparso in qualche modo dietro a una casa di Brooklyn. Allora ieri sera non stavo sognando!
Si alzò e strisciò i piedi fino alla vetrata. Era affacciata sulla cittadina sottostante, la quale sembrava già sveglia da un pezzo, e il cielo sovrastante era cupo. Stava già considerando quel posto come normale, ma pensandoci bene non lo era affatto. Non trovava possibile la sua esistenza, così come non capiva tutto il resto e pur di rendere le cose un po’ più chiare avrebbe chiesto a Gabriel di spiegarle per l’ennesima volta, dato che non l’aveva ancora fatto. Perciò si vestì e scese al piano inferiore.
Gabriel era in cucina alle prese con la colazione, e nella stanza aleggiava il profumo del caffè. Non appena Serafine scese dall’ultimo gradino, lui si voltò. Portava un paio di jeans scuri con qualche piccolo strappo qua e là, e una camicia grigio chiaro che gli dava un’aria diversa e ne metteva in risalto il colore degli occhi.
<< Ciao Serafine. Ti senti meglio? >>. Quegli occhi azzurri la guardavano dritto nei suoi. Lei annuì.
<< Sì va molto meglio, grazie >>. Andò a prendere posto al tavolo apparecchiato e prese un biscotto dal piatto.
<< Caffè? >>.
<< Sì, grazie >>, rispose a bocca piena. Guardandosi intorno si rendeva conto sempre di più che quella casa le piaceva decisamente. Era tutta di legno, ordinata e ben arredata, distante dalle altre e con una bella vista. Praticamente perfetta. Gabriel le lasciò il tazzone fumante sul tavolo e si sedette davanti a lei.
<< Gabriel? >>, domandò lei mentre mescolava lo zucchero nel caffè. Gabriel alzò lo sguardo su di lei, anche se lei non fece lo stesso. << Perché mi hai portata qui? >>.
<< Per permetterti di non rischiare la vita in ogni momento >>. Dal tono non sembrava in vena di fare molte parole. Peccato, proprio ora che volevo chiedergli delle cose… Beh, tanto vale provarci.
<< E questo posto come fa a esistere? Voglio dire, dal bel mezzo di Brooklyn siamo finiti… >>.
<< È una dimensione nascosta, Serafine. Un luogo creato molti anni fa da alcuni nefilim che si erano ribellati ai loro simili >>.
<< Quindi non tutti possono accedervi >>. Gabriel scosse la testa.
<< Solo coloro che portano il proprio marchio, così vengono riconosciuti dal Guardiano che li lascerà passare >>. Serafine sospirò, continuava a darle risposte generiche e non aveva ancora menzionato nulla che la riguardasse.
<< Ma io cosa c’entro in tutto questo? Perdonami ma non riesco a capirlo >>. Ora fu Serafine a ritrovarsi a fissare Gabriel in attesa di una risposta. Lui appoggiò la tazza sul tavolo, tenendola comunque tra le mani.
<< Hai mai sentito parlare di Iliaster? >>. Serafine aggrottò la fronte.
<< No, cos’è? >>. Gabriel poggiò la mano aperta sul tavolo, con il palmo verso l’alto.
<< Dammi il braccio >>. Perplessa, Serafine fece ciò che le aveva chiesto, e Gabriel le afferrò il polso. Improvvisamente, le vene nell’interno del polso furono evidenziate da un debole bagliore azzurrino e Serafine trasalì.  << Vedi? Questo è ciò che viene chiamato Iliaster, ed è ciò che i nefilim cercano per impossessarsene. Per questo hanno cercato di ucciderti, e quindi ti ho portata qui >>.
<< Oh… Ma qui non succederà, giusto? >>. Gabriel questa volta sorrise.
<< No, stai tranquilla. Non succederà >>.
Serafine ritrasse il braccio e tornò a bere il proprio caffè. Quindi io nelle vene avrei questa cosa che i nefilim vogliono anche se non si sa il perché…
<< Beh, mi sembra già qualcosa. Comunque stamattina mi piacerebbe scendere in città per visitarla >>. Serafine fece per alzarsi, ma Gabriel la bloccò.
<< Aspetta. Ci sono ancora un paio di cose che devi sapere prima di scendere in città. Non vorrei che ti cogliessero alla sprovvista >>.
<< Che vuoi dire? >>.
<< Siediti ancora un attimo, per favore. È molto importante >>. Serafine fece come le fu detto, sotto lo sguardo serio di Gabriel. Lui proseguì.
<< Come ti ho detto prima, questo posto è stato creato da dei nefilim. Vedi, non tutti i nefilim sono uguali. La maggior parte uccide gli angeli per impossessarsi del loro iliaster, la loro linfa vitale, per assicurarsi un potere immenso e garantirsi l’immortalità. Alcuni di loro però si sono ribellati, e hanno creato questo luogo irraggiungibile per proteggerli… Serafine? >>.
Gabriel aggrottò le sopracciglia, vedendo Serafine che stava pensando a tutt’altro. Fissava un punto indefinito e sembrava non ascoltarlo più.
<< Aspetta, aspetta, aspetta… Hai detto che gli angeli vengono uccisi per l’iliaster. Ma vuol dire che… >>.
<< …vuol dire che tu sei un angelo, Serafine, come tua madre, tua nonna e anche tua cugina Lylian >>.
Tra Gabriel e Serafine cadde un silenzio pesante. Dapprima lei lo guardò come se avesse visto un fantasma, poi all’improvviso scoppiò a ridere.
<< No no, tu stai scherzando. Non è… >>.
<< Non sto scherzando, levatelo dalla testa >>, tuonò lui. << Appartieni ai Laurent, la famiglia di angeli discendente dall’angelo Cahetel e la più potente sulla Terra. Clara mi aveva affidato il compito di portarti al sicuro nel caso fosse mancata lei, in quanto sei l’unica della discendenza rimasta viva. Se uccidessero te sarebbe una catastrofe, perciò ti proteggerò con la mia vita >>. Serafine fu decisamente stupita di quelle parole, e scosse la testa.
<< Ma Gabriel, io non voglio che la tua vita venga messa in pericolo a causa mia. Non è giusto >>.
<< Non c’è alcun bisogno che ti preoccupi per me, la mia vita è sempre e comunque messa in pericolo anche se tu non ci fossi >>.
<< E perché? >>. Lui sospirò.
<< Questo te lo spiego la prossima volta. Scendiamo in città? >>. Serafine finì per annuire.
<< Certo, andiamo >>.
 
Appena scesi in città, Serafine si guardò intorno e scrutò le facce che la circondavano. Le sembravano persone qualsiasi, come tutte le persone normali che vivevano nella dimensione degli umani. E invece sono tutti angeli e nefilim… figo, però! Serafine cercava di convincersi a entrare nell’ottica, e anche lei ne faceva parte dopotutto. Metà della sua famiglia era composta da angeli, lei compresa, e non l’aveva mai saputo. In compenso lo sapeva Gabriel, ma il come era ancora un mistero.
Sollevò appena la manica della giacca osservandosi di nuovo il polso, ma non succedeva nulla. Sentì Gabriel ridacchiare.
<< Non ti vedo convinta >>.
<< Vedi bene >>, rispose con fare imbronciato.
<< Dai, non fare quella faccia. Non c’è mica niente di male, no? >>. Serafine si fermò all’improvviso, incrociando le braccia sul petto.
<< Ma scusa, quando l’hanno detto a te non ti sei sorpreso neanche un filino? Per te era tutto perfettamente normale? >>. Gabriel inarcò un sopracciglio.
<< Detto cosa? >>.
<< Quello che mi hai raccontato poco fa. Qualcuno ti avrà dovuto raccontare l’esistenza della dimensione parallela, angeli, nefilim e chi più ne ha più ne metta. Poi non capisco che cosa ho di speciale >>, disse lei inclinando leggermente la testa.
<< A me non ha mai detto niente nessuno, ma la mia è un’altra situazione. E poi quel che hai di speciale è che sei più potente di quel che credi, ma anche più facilmente rintracciabile. Ti si potrebbe percepire anche in mezzo a un concerto >>.
<< E io che ci posso fare? >>.
<< Nulla, mica è colpa tua. Solo puoi evitare di prendertela con me, io non c’entro niente. So solo come stanno le cose, tutto qui. Clara mi ha dato il compito di badare a te e io mantengo la parola >>.
<< Che senso ha? …cioè, mi sembra di essere grande abbastanza per badare a me stessa >>. Gabriel allargò le braccia, alzando gli occhi al cielo.
<< E va bene, allora se sei in grado di badare a te stessa fa’ pure. Verrai poi a dirmelo quando ti cresceranno le ali e avrai una febbre da non stare in piedi. Credo che ormai non manchi più di tanto >>. La guardò negli occhi, poi si allontanò.
<< Ehi, ehi Gabriel. Aspetta! >>, scattò subito Serafine, ma lui era già sparito dietro l’angolo. Brava, brava, continua così. La gente si preoccupa per te e tu fai la saputella, genio. Sospirò, e proseguì lungo la via fino a quella che le sembrava la strada principale. Iniziava a nevicare e non c’era molta gente in giro, anche se quei pochi la stavano osservando e iniziò a sentirsi a disagio. Cercò di far finta di niente e proseguire per la propria strada.
Di lì a poco giunse in piazza. Al centro troneggiava un bellissimo abete carico di luci colorate e sotto la neve era reso ancora più suggestivo. Ma ciò che attirò la sua attenzione fu l’edificio sul lato opposto della piazza, in stile antico, il quale si differenziava dal resto della città. Non ci pensò due volte e si diresse verso l’edificio, finché non lesse “Biblioteca” sulla targhetta accanto alla porta di legno. Magari posso scoprire qualcosa di più.
L’ingresso era scarsamente illuminato, e soprattutto era deserto. Pure dietro il bancone non c’era un’anima. Eppure era aperto… boh, qualcuno arriverà. Serafine proseguì verso gli scaffali altissimi e carichi di libri, e quando si accostò a uno di essi l’ambiente si illuminò all’improvviso.
<< Ha bisogno, signorina? >>, domandò una voce femminile alle sue spalle. Si voltò, trovandosi davanti a una signora dai capelli castano chiaro raccolti in uno chignon abbastanza austero, come il suo stile dopotutto.
<< Ehm… Stavo dando un’occhiata, ho trovato aperto e… >>. La signora annuì.
<< Faccia con comodo. Se trova qualche volume passi da me, prima di uscire >>.
<< Certamente, grazie >>. La signora andò a sedersi dietro al bancone, prese un libro e si immerse nella lettura.
Dopo aver passeggiato tra gli scaffali, un volume attirò la sua attenzione. Non portava titolo, ma il dorso della copertina era consumato. Non trattenendo la curiosità, tirò giù il libro dal ripiano e lo appoggiò sul tavolo che c’era tra i due scaffali. La copertina era di cuoio, colorata di blu con decorazioni argentate in bassorilievo. Non c’era titolo, o almeno non era un normale titolo. Al posto delle lettere c’erano dei simboli che ricordavano le rune, gli stessi che aveva visto sul braccio di Gabriel la sera precedente, e aprendo il volume in una pagina a caso notò che i testi erano tutti scritti allo stesso modo. È scritto nella Prima Lingua… Peccato che non ci capisco un tubo. Magari Gabriel sa qualcosa di più! Ora che ripensava a Gabriel, realizzò che sarebbe stato meglio scusarsi, in fondo lui davvero non aveva colpa di nulla. Perciò richiuse il libro e andò dalla bibliotecaria.
 
Sulla strada del ritorno, l’aria si era fatta più pungente costringendo Serafine a chiudere la lampo della giacca fino in cima. Teneva il volume tra le braccia, il quale ormai iniziava a coprirsi di neve. È meglio che arrivo a casa il prima possibile, se lo rovino credo che non me la faranno passare liscia.
Stava per svoltare su uno dei viottoli sulla sinistra, quando sentì delle voci e si fermò dietro l’angolo.
<< Hai visto? L’hanno portata qui >>.
<< Almeno non è rimasta là fuori. Le avrebbero sicuramente fatto del male, povera ragazza >>, rispose una voce femminile.
<< È stato quel nefilim, quello sempre vestito di nero. Non so come lei abbia fatto a fidarsi, non mi piace quel tipo >>.
<< Ma non ha mai fatto niente di sbagliato. Insomma, è sempre stato per conto suo senza infastidire nessuno >>.
<< È un Thornston, Elizabeth. Il suo nome spiega già tutto >>. Poi il silenzio totale. Serafine aspettò qualche istante e si affacciò sulla via, ma non c’era più nessuno.
Non so perché, ma ho come il sospetto che stessero parlando di me… Finora mi hanno guardata tutti come se fossi un alieno di chissà quale pianeta!, pensò Serafine proseguendo verso casa. Ma poi, il nefilim vestito di nero? No, non può essere Gabriel. Gabriel non è un nefilim, perché… perché no, ecco.
All’improvviso, un piede scivolò e perse l’equilibrio, quando un paio di braccia la afferrarono saldamente evitandole la caduta.
<< Non ti si può lasciare sola un momento che già vai a farti del male >>. Serafine riconobbe subito la voce alle sue spalle e sospirò.
<< È tutto coperto di neve, il ghiaccio non si vedeva >>, osservò Serafine abbassando lo sguardo sul ghiaccio che affiorava da sotto la sua impronta.
<< Allora sei perdonata >>, rispose Gabriel ridacchiando e sollevandola definitivamente, rimettendola in piedi. Serafine si voltò, restando a osservare Gabriel. Doveva per forza essere lui, il famoso nefilim di cui parlavano poco prima. Era l’unica persona vestita di nero che aveva visto finora.
<< Quando la smetterai di vestirti da rockstar? >>. Gabriel sollevò le spalle.
<< Dipende, forse quando mi stancherò di farlo. Perché, non ti piace? >>. Non è che non mi piace, è che ti sta divinamente.
<< Sì che mi piace. Ma vedere il proprio angelo custode in stile ribelle fa un effetto un po’ strano >>.
<< Mmm, angelo custode dici? >>.
<< Certo! Quando mi capita qualcosa tu ci sei sempre. Ok, forse questa volta era un po’ meno importante delle altre ma almeno mi hai evitato una bella ammaccatura all’osso sacro e diverse imprecazioni >>. Gabriel rise.
<< Beh, è buona come prospettiva essere visti come angelo custode di un angelo. Non l’avevo considerata >>.
<< Ehi, non montarti la testa adesso >>, disse Serafine puntandogli scherzosamente l’indice contro. In risposta, Gabriel incrociò le braccia al petto e ridacchiò.
<< Sbaglio o la Serafine di qualche giorno fa era una ragazza riservata che mi rivolgeva appena la parola? >>.
<< Sono sempre così quando non conosco qualcuno. Ma dato che tu sei così gentile da ospitarmi a casa tua, cerco di prendere un po’ più di confidenza. Andiamo a casa, adesso? Sto gelando >>.
<< Certo, andiamo >>.
 
Nel pomeriggio, Serafine era salita in camera propria con l’intenzione di disfare le borse che stavano ancora quasi integre in fondo al letto. Più vedeva quella camera, più le piaceva. L’armadio era abbastanza grande per contenere tutti i suoi vestiti, anche se molti erano rimasti a Lewisville. Pace, ne troverò degli altri. O andrò a prenderli, prima o poi. Ripensando a Lewisville, ripensò anche a Julia. Le era dispiaciuto lasciarla lì da sola così, venendo via da un momento all’altro con appena il tempo di salutarsi. Spero di avere ancora occasione di vederla, in fondo lei e Gabriel si conoscono.
But if you loved me, why’d you leave me? Take my body… take my body… All I want is, and all I need is to find somebody. I’ll find somebody like you…
Alla luce soffusa della lampada accesa, Serafine appese il penultimo vestito nell’armadio, canticchiando il ritornello di All I want dei Kodaline mentre veniva riprodotto dal lettore musicale del cellulare abbandonato da qualche parte sul letto. E sentì bussare.
Voltandosi, trovò Gabriel appoggiato allo stipite della porta a braccia conserte, con le maniche della camicia sollevate fino al gomito, che la osservava. Le sorrise. …wow.
<< Finito il trasloco? >>.
<< Quasi. Mi piace tantissimo questa camera, poi da qui c’è una vista stupenda >>.
<< Lo so, infatti è la mia preferita >>. Serafine piegò anche l’ultimo maglione, appoggiandolo insieme agli altri e richiuse le ante. Mancavano altre due borse con i suoi oggetti e i libri, ma le ignorò e si avvicinò a Gabriel.
<< Senti Gabriel, io… Volevo chiederti scusa per stamattina. Non sono stata molto corretta nei tuoi confronti. Scusami >>. Gabriel sospirò.
<< Non è necessario, Serafine. Non era nulla, è normale che tu sia confusa e… >>. Serafine scosse la testa.
<< No no no, ci tengo a scusarmi con te, davvero. Sono stata maleducata e non lo meritavi >>. Si osservarono per un lungo momento, ognuno dei due si perdeva negli occhi azzurri dell’altro finché, infine, Gabriel sorrise.
<< Scuse accettate. Comunque ho notato che sei andata in biblioteca >>. Serafine si illuminò.
<< È vero, il libro! Avrei giusto un paio di cosette da chiederti a riguardo >>.
<< Tipo? >>.
<< Tipo tutto. Non so, il libro mi ispirava e l’ho preso ma in realtà non ci capisco niente >>.
<< Il libro ti ispirava perché è stato l’intuito angelico a portarti in biblioteca e a prendere esattamente quel volume >>. Serafine sollevò le sopracciglia.
<< Ah sì? Wow. Ciò significa che è un libro importante, o…? >>.
<< Sì, proprio così >>.
<< Allora dimmi tutto, sono curiosa. Qui finisco dopo >>. Seguita da Gabriel, tornò al piano di sotto e si piazzò in salotto, sedendosi a gambe incrociate sul tappeto vicino al caminetto. Gabriel si sedete sul lato opposto del tavolino, di fronte a Serafine, e sfogliò velocemente il volume.
<< Sì, il libro è questo. Insieme ad altri due volumi crea una specie di enciclopedia sulle “creature” che vivono qui, ce n’è uno per ognuna e questo è quello sugli angeli >>. Serafine aggrottò la fronte.
<< Mi avevi detto che qui vivevano angeli e nefilim, allora vuol dire che c’è anche una terza specie >>.
<< C’è anche una terza specie, sì, ma è minore. Saranno al massimo una ventina di esemplari in tutta la dimensione, quindi è più importante che tu conosca la tua specie e i nefilim. I nefilim che vivono qui sono innocui, quelli che ci sono fuori dalla dimensione sono dei veri bastardi >>.
<< Non si era notato >>, disse Serafine ridacchiando. << Quindi se ho capito bene, questo libro parla degli angeli >>.
<< Esattamente >>. Gabriel si allungò per prendere un blocco di fogli e una penna dalla poltrona, poi iniziò a scribacchiare le lettere dell’alfabeto sul lato sinistro del foglio, e a fianco di ognuna di esse disegnò un simbolo. Serafine restò a osservarlo rapita e decisamente curiosa. << Per prima cosa devi assolutamente imparare questo. Non ti servirà solo per i libri, ma per altre cose altrettanto importanti >>.
<< Mmm… questo è l’alfabeto della Prima Lingua, giusto? >>. Gabriel annuì.
<< Per la lingua in sé non devi preoccuparti, non appena saprai l’alfabeto la capirai in automatico >>. Serafine spalancò gli occhi.
<< Veramente? Figo! >>. Poi osservò meglio il foglio, analizzando i simboli uno a uno. << Ma sai una cosa? La nonna aveva un ciondolo con questi simboli, la metteva sempre >>.
<< L’hai portata con te, spero >>.
<< In realtà no, nonna l’aveva messa in cassaforte e l’ho lasciata lì. Non mi sembrava molto preziosa >>.
<< Solo perché non è d’oro non significa che non sia preziosa. Qualsiasi oggetto che è stato scritto con la prima lingua contiene parte del potere di chi l’ha scritto. Non può restare là >>.
<< Potevo portarla con me. Forse è meglio che vada a prenderla >>, disse Serafine distogliendo lo sguardo e alzandosi. Fece per prendere la propria giacca, quando Gabriel si fiondò da lei e la voltò afferrandole un braccio.
<< Serafine, non potevi saperlo. E non ti lascio andare da sola, verrò con te >>. La guardò negli occhi, uno sguardo profondo che quasi le fece tremare ginocchia. Poi le sorrise. << Andremo domani, con calma, così guardiamo bene tutto ciò che dobbiamo prendere. Va bene? >>. Serafine annuì, e poggiò la testa al suo petto, abbracciandolo. Gabriel ebbe un piccolo sussulto, non aspettandosi la sua risposta, ma finì per ricambiare l’abbraccio e stringerla a sé.  

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