Seize The Day.

di _Joey_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** And when it rains will you always find an escape? ***
Capitolo 2: *** What if I say I’m not like the others? ***
Capitolo 3: *** How much is real? ***
Capitolo 4: *** So are we lost or do we know which direction we should go? ***
Capitolo 5: *** Do you care if I don’t know what to say? ***
Capitolo 6: *** Where do we go from here? ***
Capitolo 7: *** What if I say I’m not just another one of your plays? ***
Capitolo 8: *** So what if I never hold you or kiss your lips again? ***
Capitolo 9: *** And where’s hope when misery comes crawling? ***
Capitolo 10: *** I hand you my mortal life but will it be forever? ***
Capitolo 11: *** Do you remember the day when we met? ***
Capitolo 12: *** Would you stay right here if I told you that someone out there loves you? ***



Capitolo 1
*** And when it rains will you always find an escape? ***


Fan fiction sugli Avenged Sevenfold, il protagonista è Zacky (secondo chitarrista della band, per chi non lo sapesse XD). Sinceramente, dire che ci ho messo il cuore è poco: tengo molto a questa storia. L'ispirazione me l'ha data una ragazza che ho avuto l'occasione di conoscere su deviantArt, è una fotografa, non la conosco tanto ma ho colto di lei alcune cose che mi hanno colpita: questo per spiegare che la protagonista è un pò me, un pò lei. Spero che il primo capitolo vi piaccia! [=




Credits: con questo mio scritto, pubblicato senza scopo di lucro, non intendo dare una descrizione veritiera del carattere dei personaggi.


And when it rains will you always find an escape?

Piove abbastanza spesso qui a New York. Non piove mai pesantemente, è sempre una pioggia leggera, ma veloce. Veloce e sottile, quasi fosse una cascata di aghi.
E quando piove tutte le persone che affollano le strade, che rendono vive queste strade, iniziano a cercare un riparo. C’è chi lo trova in un negozio, chi in una caffetteria, c’è chi scende in metropolitana, e c’è chi rimane per strada, tranquillo, noncurante della pioggia che sbatte continuamente sul proprio corpo. Io appartengo all’ultima categoria e, proprio ora, sono ferma sul marciapiede. Sta piovendo. Estraggo dalla borsa il mio strumento di lavoro preferito e inizio a fermare il tempo, inizio ad intrappolare nella mia macchina fotografica pochi istanti delle vite di tutte le persone che sono qui: le persone che scendono in metropolitana, le persone che entrano nei negozi. Mi concentro sui giochi di luce, sui colori, sui particolari. Ma neanche la mia concentrazione, neanche le mie fotografie mi impediscono di riconoscere le voci di due ragazzi alle mie spalle.
“Johhny, ti ho detto che voglio un caffè: entriamo da Starbucks, aspettiamo che smetta di piovere e poi raggiungiamo gli altri.”
“E va bene, basta che non picchino me, poi!”
Non posso fare a meno di seguirli dentro lo Starbucks: conosco perfettamente questi due ragazzi e, a dire il vero, non credevo di poterli incontrare proprio qui, a New York.
Appena entrata vedo che i due prendono posto sulla destra, vicino alle finestre, così io mi dirigo dalla parte opposta, accanto al bancone. Devo ammettere che è il mio posto preferito: da qui si vedono bene tutti i tavoli senza che da lì vedano te. E’ il posto perfetto per scattare foto.
“Margot, tesoro, vuoi qualcosa di caldo da bere?”
E’ Mary, una signora sulla sessantina, amica di famiglia, lavora qui da Starbucks da sempre.
“Grazie mille, Mary, ma no, non mi va niente.
Vedi quei due laggiù?”
Le dico, guardando Johnny e Zacky, per non indicarli. Lei annuisce.
“Sono bassista e secondo chitarrista di una delle mie band preferite. Vengono dalla California.”
“Allora vai da loro e chiedi un autografo!”
“Mi conosci ormai, sai che preferisco qualcos’altro.”
Concludo, con un sorriso che viene prontamente ricambiato da Mary, mentre torna al suo posto dietro il bancone. Prendo subito la mia macchina fotografica e, con lo zoom al massimo, scatto alcune foto. Forse per voi sarà difficile da comprendere, o forse no, fatto sta che io preferisco dei ricordi visivi delle cose e delle persone a cui tengo, ancora di più se si tratta dei componenti delle band che, giorno dopo giorno, con le loro canzoni mi fanno provare qualcosa. Qualcosa di diverso, sempre.
Dopo più o meno dieci scatti, Zacky mi nota, mi sorride, mi fa segno di raggiungerli. Johnny lo guarda, incerto su cosa voglia fare il suo amico. Io, invece, avanzo verso di loro, tranquilla.
“Sei una giornalista?”
Mi chiede il chitarrista, una volta arrivata al loro tavolo.
“Mi dispiace deludervi ma, no, sono solo una studentessa dell’Accademia d’Arte.”
Rispondo, abbozzando un sorriso. Scommetto che molte di voi, davanti agli occhi azzurri e al sorriso di Zacky, avrebbero avuto una crisi di panico. Perché a me non è successo? Semplice, sono abituata al contatto con le persone famose. Non nel senso che le frequento, ma, dopotutto, vivo a New York da quando sono nata e ho visto milioni di star, da quelle di cui ero e sono ancora fan, a quelle di cui non mi importa nulla.
“E il tuo nome è…?”
Dice Zacky, lasciandomi completare la frase.
“Margot.”
“Vuoi un autografo?”
Mi chiede, invece, Johnny, sorridendo.
“No, grazie, ho già ciò che volevo.”
Rispondo, mentre Zack si gira verso di me, alzando un sopracciglio, quasi per farmi una domanda. Indico la macchina fotografica, in risposta.
“Posso dare un’occhiata?”
Chiede, poi, gentile. Annuisco, mentre lui guarda nel display della mia Nikon D200 tutti i miei scatti.
“Wow! Hai talento.”
Dice, dopo un po’, con un sorriso sulle labbra.
“A dire il vero credo di poter fare di meglio.”

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Capitolo 2
*** What if I say I’m not like the others? ***


Grazie a BlueAndYellow e blinkina per le recensioni *___* eccovi il secondo capitolo!



What if I say I’m not like the others?

“Allora, ragazzi, avete scelto il fotografo ufficiale per stasera?”
La voce di Larry, il nostro manager, interrompe la discussione in corso riguardante la scaletta del concerto e, improvvisamente, fa sì che nella mia mente inizino a scorrere le foto viste oggi nel display di quella macchina fotografica, da Starbucks.
“No, Larry…Ian Cosley è a LA per i The Used e noi non ci abbiamo proprio pensato.”
Risponde Matt, nervoso.
E, mentre i ragazzi parlano e pensano alle probabili ipotesi per trovare un fotografo che lavori per noi durante il concerto di questa sera a New York, oltre che alle sue foto inizio a pensare anche a lei. Non so perché abbia attirato così tanto la mia attenzione, a dire il vero. Forse perché non è una ragazza ordinaria. Se ne va in giro in pieno inverno con calze collant, minigonna, cappotto lungo di maglia, megasciarpa, stivali con il polpaccio grande due volte il suo, borsa di pelle, come gli stivali, occhiali da sole enormi, quadrati, con le lenti sfumate, e la sua macchina fotografica, Margot. Le foto che ho visto, quelle mie e di Johnny erano bellissime. E non lo dico per i soggetti, eh. Alcune in bianco e nero, altre a colori, saranno state circa dieci. E sembravano catturare la nostra essenza. Sembrava che lei avesse già inquadrato il nostro carattere, e avesse scattato quelle foto per sottolinearlo; non so spiegarmi meglio.
“Ragazzi, forse c’è una persona che può aiutarci.”
Inizio a dire, interrompendo il dialogo tra i miei compagni di band. Johnny mi guarda in un modo strano, forse ha già capito cosa voglio proporre.
“Intendi dire, una persona che conosciamo?”
Chiede subito, Matt.
“L’abbiamo conosciuta oggi io e Johnny.”
“Conosciuta?”
Dice Syn, enfatizzando sull’ultima lettera della parola.
“Si, è una ragazza.”
“Hai il suo numero?”
Chiede Larry, arrivando al lato pratico della cosa.
“No, ma ho un nome.”
“Che ce ne facciamo di un nome, Zacky?”
Esclama Matt. Siamo nervosi, oggi, eh? Stare troppo distante da Val non gli fa bene. So che è l’ultima cosa a cui pensereste, vedendo uno come il nostro cantante, che appare tanto forte e insensibile. In realtà non lo è, fidatevi.
“Non credo ci siano molte Margot, all’Accademia d’Arte di New York.”

***

Tramonto: uno dei momenti che preferisco per fare foto. Un tramonto è sempre diverso da un altro; le sfumature che assume il cielo sono sempre diverse. Mi piace fotografare i tramonti.
Oggi sono al Ponte di Brooklyn, lato Manhattan.
Mentre mi accingo a scattare l’ennesima foto, sento la suoneria martellante dei Nokia: quella monofonica, quella che conoscono tutti, quella che sta perfino nei film.
Trovo il cellulare, nel caos della mia borsa e, finalmente, dopo aver letto il display, rispondo.
“Perché mi hai chiamata ora?”
“Scusami, davvero. So che odi essere chiamata al tramonto, lo so meglio di chiunque altro.
Sai che lo so.”
“Si, so che lo sai, Jack. Arriva al punto, però.”
“Ha chiamato un manager…l’Accademia gli ha dato il numero di casa e io gli ho dato quello del tuo cellulare: probabilmente chiamerà tra un po’.”
“Ah, ok. Grazie.”
“A dopo.”
“Ciao.”
Jack è il mio migliore amico da quand’ero piccola. No, aspettate. Non è il mio migliore amico. Ora come ora non so cosa sia, quindi, andiamo con ordine. Jack era il mio vicino di casa. Abitavamo entrambi in un condominio a Brooklyn, io e i miei stavamo nell’appartamento 25B, lui, suo fratello e i suoi stavano nell’appartamento 25C. Avendo la stessa età, ci ritrovavamo spesso a fare i compiti insieme. Lui mi fece conoscere i suoi amici e, dopo aver passato l’infanzia con loro, tra giochi e compiti, io mi invaghii di uno di loro, quando avevamo 14 anni. Jack fece di tutto per far sì che io e questo suo amico diventassimo qualcosa di più. Ma poi scoprii che tutto questo era accaduto perché a Jack piacevo io. E mi accorsi che, in realtà, a me piaceva lui.
In una situazione normale, tra ragazzini normali, il tipo e la tipa in questione si sarebbero messi insieme. Io e Jack no. Io e Jack ci allontanammo, non so perché. Al di là del rapporto sentimentale tra noi, una delle cause fu sicuramente la scelta delle materie opzionali per l’highschool: io scelsi solo materie artistiche, lui solo materie scientifiche. Quindi niente più compiti insieme. Poi, però, ci riavvicinammo e, di nuovo, non so perché. Forse per suo fratello minore: gli facevo spesso da baby-sitter. E così rinacque la nostra amicizia. E stavolta era solo amicizia. Amicizia vera, pura, sincera. L’amicizia che, se si trova, significa che si è davvero fortunati. Perché con Jack abbiamo condiviso di tutto: dalle speranze alle paure, dalla felicità alla tristezza. Tutto. Sempre. Anche quando eravamo distanti. Ma perché all’inizio ho detto che non è il mio migliore amico? Perché ogni tanto c’è qualcosa tra noi, qualcosa che mi lascia pensare che cioè che proviamo l'uno per l'altra vada oltre alla semplice amicizia. Quindi, ecco, ho detto che non è il mio migliore amico perché, effettivamente, forse, provo qualcosa per lui. Ma, probabilmente, ho paura di rovinare tutto. Anche perché, ora che lui va all’Università e io vado all’Accademia, che sono praticamente vicinissime, viviamo insieme.
E’ difficile da spiegare come situazione ma, ormai l’avrete capito, non sono una persona ordinaria. E la mia vita, appunto, è tutto tranne che ordinaria.
Sento di nuovo la suoneria del Nokia. Rispondo subito, curiosa di sapere chi era il manager di cui ha parlato Jack.
“Margot? Sono Larry, il manager degli Avenged Sevenfold.”
“Salve…mi dica.”
“Innanzitutto, diamoci del tu. Io e i ragazzi vorremmo proporti un contratto.”
“Ok…di cosa si tratta?”
“Si tratta di far loro da fotografa ufficiale per il concerto di stasera; mi dispiace per lo scarso preavviso, ma, sai com’è…”
“Accetto.”
“Wow. Non vuoi neanche sapere quanto ti paghiamo?”
Sembra quasi meravigliato. Larry, ho perso di tutto nella mia vita. Dagli amici al portafogli. Credi che voglia perdere anche quest’occasione?
“No, davvero, non mi interessa. Potreste anche pagarmi solo un dollaro. Accetto.”
“Allora…ti aspettiamo nel backstage dell’Hammerstein Ballroom per le 19.00.”
“Perfetto, a più tardi.”
“A dopo e, grazie.”

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Capitolo 3
*** How much is real? ***


Grazie a BlueAndYellow *_* metto il nuovo capitolo XD



How much is real?

Piove. Di nuovo. Ed è strano vedere quante persone siano qui in coda, intonando canzoni degli Avenged Sevenfold, ad aspettare. Sono le 19.00 ed io dovrei già essere dentro l’Hammerstein, ma sono troppo impegnata a scattare foto. Continuo a ripetere che “questa è l’ultima”, ma la verità è che più mi avvicino all’entrata del backstage, più mi vengono in mente delle foto da scattare. Una volta realizzati poco più della metà degli scatti a cui avevo pensato, ripongo la Nikon in borsa e mi dirigo lentamente verso il backstage.
“Il problema non è il “noi”, Syn. Il problema è solo lei, lei e il suo lavoro.
Michelle, Val, Lacey e Leana saranno con voi in tour e lei no perché vuole stare in quel dannatissimo negozio.
Voi continuate a dire che il nostro rapporto così si rafforza ma avete visto cos’è successo quando sono tornato dallo scorso tour. Non facevamo altro che litigare.”
Zacky è un fiume in piena. Riesco a scorgere lui e Synyster, stanno fumando entrambi, proprio sotto lo stipite della porta.
Faccio finta di niente, faccio finta di non avere sentito quelle parole, in fondo, poco m’importa dei problemi di Zack, così vado verso di loro, raggiungendoli.
“Ciao!”
“Margot, ciao!”
Mi saluta proprio Zacky, sorridente.
“Piacere, io sono Syn.”
Mi dice, invece, Synyster.
“Piacere, Margot.”
Dico con un sorriso, stringendo la sua mano.
“Che ne dici di entrare e conoscere gli altri?”
Propone Zacky , puntando i suoi occhi azzurrissimi nei miei. Accetto di buon grado, mentre lui e Syn spengono le sigarette, e poi mi accompagnano all’interno dell’Hammerstein.

***

Giro le chiavi nella toppa, provando a non fare troppo rumore, apro la porta e vedo la luce accesa. Entro, chiudendomi la porta alle spalle: Jack è seduto al tavolo della cucina, chino sui libri.
“Hey, che ci fai in piedi a quest’ora?”
Chiedo, buttando il cappotto di maglia sul divano.
“Studio.”
“Ah, già, l’esame di domani.”
Supero l’arco che separa il salotto dalla cucina e, dopo aver posato sul tavolo la borsa ed essermi versata del latte in un bicchiere, mi siedo anch’io, alla sinistra di Jack. Lo osservo attentamente. I suoi occhi nocciola vagano per le pagine del libro, un libro di biologia e, nel frattempo, con la mano destra giocherella con il piercing nella parte alta dell’orecchio destro: l’abbiamo fatto insieme, appena compiuti diciassette anni.
“Com’è andata al concerto?”
Chiede, dopo un po’, uscendo dal mondo della biologia.
“Bene, guarda qui!”
Rispondo, porgendogli la Nikon. Lui l’accende ed inizia a guardare le foto. Poco dopo s’interrompe e alza lo sguardo, sorridendo.
“Sai che hai un talento assurdo, vero?”
“Ma dai, non hai neanche finito di guardare le foto!
E poi, beh, me lo dicono in tanti, in effetti…potrei iniziare a crederci davvero.”
Dico, bevendo un po’ di latte, mentre Jack continua ad osservare le foto.
“Il mio giudizio è sempre lo stesso, piccola. Sei bravissima.”
Sentenzia lui, dopo aver finito, spegnendo la Nikon. Sorrido semplicemente. Un banale “grazie” sarebbe troppo poco.
“Comunque…ho notato che hai fatto molte foto a Zacky…”
“Si, lo so. Qualcosa in lui ha catturato la mia attenzione. Forse il fatto che me lo aspettavo più…non so; diverso. Invece è stato gentilissimo, è stata come una sorpresa.”

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Capitolo 4
*** So are we lost or do we know which direction we should go? ***


Scusate l'assenza prolungata; grazie alla Frà e a BlueAndYellow, davvero, ed ecco il nuovo capitolo, spero vi piaccia! :*

So are we lost or do we know which direction we should go?

Un mese dopo.

“Fammi capire, Larry, ci stai obbligando?”
Syn mi sembra alquanto contrariato: siamo qui da una buona oretta, controllando tutti i dettagli per il tour che partirà fra tre settimane.
“No, ragazzi, vi sto solo facendo notare la palese differenza che c’è tra le sue foto e quelle degli altri!”
“Ha ragione: cioè, guardatele.”
Ammetto, osservando le foto disposte sul tavolo.
“E’ che lei mi sembra un po’…strana.”
Ribatte Syn, in effetti, non credo che Margot gli abbia fatto una buona impressione.
“Credi possa essere più strana di voi cinque messi insieme? Io no.”
Gli risponde, secco, il nostro manager.
“Ragazzi, io sono per il si.”
Dico, dopo un pò, convinto. Basta guardarle, in fondo, queste foto. I colori, il contrasto, i giochi di luce: sembra che in questi pezzi di carta sia rimasta intrappolata l’atmosfera del concerto, tanto sono capaci di farla rivivere.
“Anch’io.”
Dicono gli altri, più o meno all’unisono; manca solo una voce all’appello: tutti ci giriamo verso Brian.
“E va bene, prendiamo lei.”
Dice infine, dopo qualche istante d’attesa. Sorrido, soddisfatto e, finalmente, porgo il telefono a Larry.
“Aspettate…siamo sicuri che accetterà?”
“Certo che accetterà. Sono sicuro che, al contrario di qualcuno di cui non dovrebbe più importarmi poi tanto, non ci penserà due volte prima di venire in tour.”

***

“Adesso dimmi…: di che colore sono i plastidi nei batteri autotrofi fotosintetici?”
“Blu; ma lo sa anche un ragazzino qualunque che studia al liceo! Fammi domande più difficili!”
Domande più difficili. Sai, Jack, ce ne sarebbe una, a dire il vero. Ma la pongo da settimane, da quando il manager degli Avenged Sevenfold mi ha richiamata. Dirtelo o non dirtelo?
Al momento ho scelto la seconda opzione. Se te l’avessi detto, sicuramente, non avrei goduto di tutte le piccole cose che ci sono tra noi ogni giorno. Perché sia io che tu saremmo stati troppo presi dal pensiero della mia partenza. Sinceramente, non credo che, se te l’avessi già detto, saresti caduto in chissà quale sottospecie di pseudodrepressione. O forse si, ma solo un po’, perché ci toccherà sconfiggere la lontananza, perché mentre io visiterò città diverse ogni giorno, tu continuerai a portare avanti la tua vita qui, nella Grande Mela. Sicuramente, se te l’avessi già detto, mi avresti ripetuto che è la mia grande occasione, mi avresti ripetuto che avrò concerti gratis per tre mesi. Tre mesi. Lontana da te, lontana dall’Accademia, lontana dai miei frappuccini da Starbucks e da tutta New York.
Sicuramente, se te l’avessi già detto, mi avresti ripetuto che vivrò con cinque dei miei idoli musicali. Synyster Gates, M. Shadows, The Rev, Johnny Christ e Zacky Vengeance. Syn, lui è sembrato quasi ostile nei miei confronti, non so perchè. Matt, invece, è stato simpatico, me lo aspettavo un po’ più duro, un po’ più spaccone. Rev e Johnny, con loro è impossibile trattenere le risate, ridono per qualunque cosa e ti contagiano immediatamente. Zacky; Zacky è l’incognita. Perché l’ho denominato così? Perché non so cosa aspettarmi da lui. Perché la sua gentilezza e la sua simpatia, un mese fa, sono state tanto piacevoli quanto sorprendenti e disarmanti.
Ma, Jack, siccome non ti ho ancora detto nulla di tutto questo, siccome sei ancora all’oscuro di tutto ciò che succederà fra tre giorni, credo sia meglio continuare a godermi i tuoi occhi, il tuo sorriso, il tuo viso, le tue parole, prima che possa pentirmi di non averlo fatto.

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Capitolo 5
*** Do you care if I don’t know what to say? ***


Grazie davvero a BlueAndYellow *ç* posto l'altro capitolo!



Do you care if I don’t know what to say?

I’ve had enough it’s time for somthing real.
I don’t respect the words you’re speaking.
Gone too far, a clone.

Finisce Critical Acclaim e Leana mi guarda, sorridendo, come per dirmi: “Guarda quanto è bravo il mio Rev.”
Ricambio il sorriso, poco dopo averlo fotografato, il suo Rev.
E’ strano, io e Leana siamo proprio agli antipodi, eppure, è quella con cui ho socializzato di più, insieme a Val. Michelle e Lacey cercano sempre di stare al centro dell’attenzione; magari è solo una questione di carattere o, forse, devono ancora abituarsi alla mia presenza, visto che sono entrata nel loro gruppo solamente da due settimane. Anche Leana, a dire il vero, cerca sempre l’attenzione di tutti ma, al contrario delle altre, lo fa sempre in modo simpatico, spontaneo e sempre con quel sorriso che ha il potere di metterti subito a tuo agio. Con Val, invece, c’è un particolare feeling; è la più simile a me: spesso i nostri dialoghi sono fatti di sguardi e non di parole o frasi. Ho l’impressione che mi capisca sempre meglio di chiunque altro, attualmente. E’ un po’ come Jack, come se mi conoscesse da una vita. Ecco, ora vi sarà sicuramente tornato in mente che non avevo detto nulla del tour a Jack e vorrete sapere quando gliene ho parlato. La risposta è semplice: a cose già fatte. L’ho chiamato quando sono arrivata all’aeroporto di Los Angeles, quando ormai non potevo più tornare indietro.
L’intro di batteria di Remenissions mi riporta dal mio mondo di riflessioni in cui, ultimamente, mi rifugio spesso, alla realtà. Leana mi sorride nuovamente ed io la raggiungo, proprio davanti Matt, nello spazio tra pubblico e palco destinato, appunto, ai fotografi e, ai lati, alla security. Leana, parlando di regole, non dovrebbe star qui ma a lei poco importa. Ama questi concerti. Ama Rev e non le interessa di dove lui e lei stiano, le basta che stiano insieme. E’ questo che, oltre alla sua simpatia e al suo sorriso, mi ha colpita: quest’amore incondizionato.
Leaves at my feet, blown to the round, their echoes are reaching my ears.
Nights coming fast, suns going down.
Confused, I don’t know the answers but neither do you.

Anche Remenissions giunge alla fine e, dopo un breve dialogo tra Matt e il pubblico, sento il suono degli archi dell’inizio di Afterlife. Ho spesso ripetuto ai ragazzi che è una delle mie canzoni preferite del nuovo album: l’intro è meravigliosa, affascinante, quasi elegante e poi la batteria, le chitarre e il basso che si insinuano in quell’insieme delicato con tanta forza, con un contrasto stridente e poi, il testo, una storia: una persona che si ritrova nell’aldilà e realizza che ha ancora tanto da fare sulla terra e che vuole tornarci perché sa di poter fare di meglio, sa di poter vivere meglio, e allora prova a scappare dall’aldilà.
Mentre penso tutto questo, noto che Zacky ha raggiunto Syn, al centro del palco, sono spalla contro spalla e mi guardano entrambi, sorridono: hanno deciso di regalarmi delle foto diverse. E colgo al volo l’occasione, mi avvicino più possibile al palco, cercando angolazioni diverse dal solito, giochi di luce migliori, e inizio a scattare, mentre il mio cuore batte veloce, insieme alla batteria, mentre sul mio viso si estende un sorriso, sincero.
Unbreak me, unchain me, I need another chance to live.
E poi, quest’assolo. Un assolo che ti squarcia l’anima, te la segna in profondità. Per la bravura di Syn, che di per sé è sconvolgente, per il contesto in cui è inserito: una canzone per cui l’aggettivo “meravigliosa” risulta, a mio parere, riduttivo.
Quest’assolo che mi fa venire i brividi, e, certamente, la Glendale Arena di Phoenix non è un posto dove sentire freddo, specialmente con un concerto in corso.
E dopo altre due canzoni, eccola, l’altra che mi ha segnata più delle altre, in qualche modo.
Seize the day or die regretting the time you lost.
It’s empty and cold without you here: too many people to ache over.

Zacky canta queste parole, accompagnato dalla sua chitarra acustica e, di nuovo, un brivido mi attraversa la schiena. Sarà per la canzone, sarà per quella sua voce calda, sarà perché mi guarda e sorride, fate voi. Ma il mio cuore sta per scoppiare. Tante, troppe emozioni in una sola sera, dopo due settimane di tour. Nessun concerto era stato così, finora. Non mi ero mai lasciata andare così tanto. Mai. Forse perché sentivo la mancanza di casa, di Jack, di ogni cosa che c’è a New York, che ho lasciato a New York. Eppure ora sto bene. Forse perché amo i concerti, forse perché amo proprio i loro di concerti, quelli degli Avenged Sevenfold, forse perché so quanto amano fare musica, quanto amano il loro pubblico, forse perché ormai posso dire di conoscerli, non so perché, ma mi sento come a casa. Mi sento bene. Con le mie foto e la loro musica.

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Capitolo 6
*** Where do we go from here? ***


Come al solito grazie a BlueAndYellow :* ed ecco il sesto capitolo!


Where do we go from here?

E’ mattina. Sono le 8.40. Sono almeno tre anni che non mi sveglio a quest’ora. Stanotte non sono riuscito a dormire, non so perché. Forse perché avevo ancora stampato in testa il suo volto, durante Afterlife e Seize The Day. Dalla sua espressione traspariva la felicità di una bambina la mattina di Natale. I suoi occhi scuri brillavano, il suo sorriso illuminava la Glendale Arena più di tutte le luci del palcoscenico. E’ stato diverso dagli altri concerti fatti fino ad ora, in questo tour. E’ stato sorprendente, più entusiasmante degli altri. E, credetemi, non so davvero il perché.
Esco dal bagno del nostro tour-bus, dopo essermi lavato e vestito, e mi dirigo verso la cucina, dove trovo Margot. Non sapevo si alzasse così presto.
E’ seduta al tavolino, proprio accanto la finestra. La luce dorata si riflette sulla sua pelle chiara e sui suoi capelli rossicci, mentre lei è china sulla sua macchina fotografica.
“Hey.”
La saluto, sedendomi di fronte a lei.
“Zacky, buongiorno!”
Mi risponde, sorridente.
“Sono venute bene?”
“E’ strano ammetterlo ma…stavolta sono soddisfatta.”
“Posso vedere?”
“Certo.”
Mi porge la macchina fotografica ed io inizio ad osservare bene tutte le foto.
“Hanno qualcosa di…”
“Diverso.”
Dice, completando la mia frase. Sorride di nuovo, con questo suo sorriso che mi ricorda tanto quello che aveva ieri sera.
Rimaniamo pochi secondi in silenzio, poi, la suoneria di un Nokia interrompe quel silenzio.
Margot si scusa e, afferrando il cellulare, scende giù dal bus. Chissà chi è. Sarà un’amica? Un amico? Il suo ragazzo?
Non so perché, ma non avevo pensato che potesse avere un ragazzo. Ha ragione Syn, dopotutto: è strana. Sembra sempre chiusa nel suo mondo, immersa in quella serie di pensieri che scorrono veloci, veloci come il vento, ed è come se solo pochi eletti potessero entrarne a far parte. Eppure, senza troppe parole, riesce a catturati. Riesce a farlo con i suoi sguardi: mai vuoti, mai inespressivi. Perché possono anche comunicarti tristezza, ma almeno comunicano qualcosa. Quegli sguardi che riescono ad affascinarti, così come le sue fotografie. Quegli sguardi pieni di sogni, di speranze. Quegli sguardi che, quando li ricevi in risposta ad una tua affermazione, ti fanno pensare ore e ore a cosa volevano dire, ti fanno fantasticare. Quegli sguardi, gli sguardi di una persona a cui manca la sua città. E, stamattina, gli sguardi di una persona che, in una sera, ha trovato un pezzetto di sé stessa in questo tour. Gli sguardi di una persona che non si sente più così fuori posto.

***

Una settimana dopo.

Sopravvivere ad un tour: molti dicono che è solo questione di equilibrio. Io l'equilibrio non ce l'ho mai avuto, ma neanche lui. Tra me e Jack sta cambiando qualcosa, ed io continuo a ripetermi che è inevitabile, che non siamo più presenti l'uno nella vita dell'altra, come invece era tre settimane fa e, quello che più mi preoccupa, è che devono passare altri tre mesi.
Cosa saremo io e lui alla fine di questo tour?
Una vecchia amicizia i cui ricordi riaffiorano nei momenti sbagliati?
Non è possibile che tutto quello che c'è tra noi mi sfugga tra le mani così facilmente, come fosse acqua. Ma la verità è che non so cosa fare. Perchè, nonostante il fatto che con Jack stia cambiando tutto, io sto bene. Ed è strano crederci perfino per me, che lo vivo in prima persona.
Sto bene con Syn, che non è più così scontroso nei miei confronti, che ora ci scherza anche, con me; sto bene con Matt, Val e Leana, che hanno sempre un occhio di riguardo per me, la più piccola del gruppo, specialmente se andiamo a bere qualcosa; sto bene con Michelle e Lacey, che si sono rivelate più simpatiche di quanto mi aspettassi; sto bene con Rev e Johnny, che mi fanno divertire come nessun altro ha mai saputo fare; sto bene con Zacky. Perchè ho trovato l'incognita, perchè so che quest'incognita è maggiore di zero, ovvero positiva. Perchè è positivo il nostro rapporto. Perchè ci sono i nostri caffè alle 9.00 di mattina, ci sono le nostre conversazioni, ci sono i nostri sguardi. Perchè c'è che l'incognita Zack è forse la parte migliore del tour. Perchè c'è che il mio cuore batte: batte normalmente, ma non lo sento bene. E c'è che quando Zacky è con me il mio cuore batte forte e chiaro. C'è che quando lui è con me io sorrido di più. C'è che quando lui è con me posso anche dire la cosa più idiota del mondo, perchè so che non mi giudicherà e si limiterà a sorridere. C'è che quando lui è con me posso anche iniziare a fare un discorso complesso, perchè so che mi capirà e inizierà a discutere con me. C'è che quando lui è con me posso fargli tante foto, perchè inizierà a lamentarsi soltanto dopo circa venti scatti.
C'è che quando Zacky è con me io sto dannatamente bene.

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Capitolo 7
*** What if I say I’m not just another one of your plays? ***


BlueAndYellow grazieeee *_* però povero Jack X°°°D



What if I say I’m not just another one of your plays?


Un’esercitazione sui particolari. Mi era stata assegnata all’Accademia, pochi giorni prima di partire. Sono stata un giorno intero a casa, pensando a cosa avrei potuto fotografare. C’era chi avrebbe fotografato particolari di libri, chi avrebbe fotografato particolari di fiori, chi avrebbe fotografato particolari di pennelli e colori e altri attrezzi per la pittura; io ero alla ricerca di qualcosa di originale: ma ora mi sono data da fare. Perché? Perché sto fotografando i particolari di un tour. Strumenti, tour-bus, concerti, serate a base di alchool, città diverse ogni giorno. Al momento sono nel backstage del Bayfront Park di Miami, sto fotografando gli strumenti musicali, ora che non ci sono tecnici di mezzo.
Troppo presa dalle linee della chitarra di Syn, non sento un rumore di passi che poi si ferma improvvisamente. Noto delle scarpe con gli strap e alzo lo sguardo, fino ad incontrare gli occhi di Zacky.
“Hey! Ero venuto a fare un sopralluogo prima del concerto…”
“Io, invece, stavo…ricordi quell’esercitazione sui particolari di cui ti avevo parlato?”
“Si…hai trovato l’idea?”
“Esatto! Fotograferò il tour, e non intendo solo i concerti; fotograferò i particolari che preferisco del tour.”
“Geniale.”
“Già!
Comunque, ho finito poco fa di usare le tue chitarre come modelle…sai che quella dorata e marrone è proprio tamarra?”
Dico, volendolo prendere in giro.
Non so da quando io sia diventata così incline allo scherzo, ma so che prima non lo ero per niente. So che prima ero più chiusa, riservata, mi aprivo solo con le persone di cui ero sicura di potermi fidare. Jack, per esempio. Non dico di essere diventata il clown di turno, quel posto sarà sempre di Jimmy, ma, sicuramente, sono cambiata. Questo tour mi ha cambiata e lo sta facendo tutt’ora.
“Non è tamarra!”
Esclama Zack, mettendo su un piccolo broncio.
“Oh, invece lo è!”
Ribatto, ridendo. Lui mi fa una linguaccia e, voltandomi le spalle, fa per andarsene.
“Avanti, Zack, aspetta! Sai che scherzavo!”
Dico, inseguendolo e, una volta raggiunto, mettendomi proprio di fronte a lui.
“Scherzavo.”
Dico, abbassando la testa.
Il mio sguardo si è scontrato mille e più volte con quei due pezzetti di cielo che sono gli occhi azzurrissimi di Zacky, eppure, non so perché, ora ho quasi paura della reazione che potrebbero scatenare in me, quegli occhi. Ho paura della reazione che potrebbero scatenare nel mio cuore. Ma sento una mano calda sotto il mio mento, che manda abilmente a quel paese tutti i miei buoni propositi, e fa si che incontri quegli occhi.
“So che scherzavi.”
Un sorriso appena accennato e torno a sorridere anch’io. I nostri volti sono incredibilmente vicini. Non che non ci sia abituata, siamo sempre vicini: negli sguardi, nelle chiacchiere, negli abbracci. Ma stavolta c’è qualcosa di diverso, qualcosa che mi fa venire voglia di fermare il tempo. E lo faccio. Lo faccio nell’unico modo a me conosciuto. Con gli occhi ancora puntati in quelli di Zacky, in modo che non si accorga di nulla, faccio una foto. Prendo più lui che me. Ma faccio una foto. Fermo il tempo a mio modo. E lui se ne accorge.
“Basta con le foto, Margot! Me ne hai fatte più di cinquanta tra ieri e oggi!”
Dice, di nuovo con un piccolo broncio stampato in viso.
“Avanti, non dirmi che speravi in un bacio!”

***

Lei lo dice sorridendo, lo dice senza pensare. Va verso la sua borsa, prendendola, ripone la chitarra di Syn e torna da me. Si fa spazio tra le mie braccia e, dopo un rapido sguardo, ancora con un braccio sulle sue spalle, iniziamo a camminare, fuori dal Bayfront Park.
Tra le mie braccia c’è sempre stato posto per lei, in questi due mesi. Nella mia routine giornaliera c’è sempre stato posto per lei. Io ci sono sempre, da due mesi a questa parte, per lei. Ed è strano, quasi incredibile, oserei dire: perché per le altre, prima, c’ero sempre e solo per una cosa, che potete chiaramente intuire, invece per Margot ci sono per ogni cosa tranne che per quella. Ci sono per parlare; per parlare di musica, di arte, di fotografia, di moda, di attualità; ci sono per i pianti, per i sorrisi, per gli abbracci, per le linguacce, per i dispetti, per gli scherzi, per tutto. E non ho mai provato nulla che assomigliasse anche solo vagamente a quello che sto provando ora per lei, per Margot. O forse si, tre anni fa: qualcosa di simile c’era. Per Gena. Ma non è mai stato un sentimento così schietto e sincero, mai. Quindi, Margot, vuoi la tua risposta? Si, speravo in un bacio. E te lo direi, lo ammetterei, ma qualcosa mi blocca, non so neanche perché. Non so neanche cos’è. Forse la paura che questo possa rovinare tutto il resto. Devo ancora decidere se rischiare o no. Perché la posta in gioco è alta. La posta in gioco è altissima: sei tu. Perché ho perso di tutto nella mia vita. Dagli amici al portafogli. E non posso permettermi di perdere anche te, non ora.

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Capitolo 8
*** So what if I never hold you or kiss your lips again? ***


Grazie mille ancora a BlueAndYellow, ormai fedele alla lettura XD e anche a Chemical Lady, son contenta che la storia ti piaccia! *_* ecco a voi il capitolo 8.



So what if I never hold you or kiss your lips again?

“Tieni, prova questo: è la tua ultima opportunità!”
Leana mi passa un vestito nero, in shantung di seta, corto. Oggi un ragazzo dello staff fa il compleanno e, visto che per la prima volta in due mesi siamo in un hotel, gli Avenged Sevenfold e gli altri hanno deciso di festeggiare. E da qui il problema vestito. Non solo le ragazze non sanno cosa mettersi, visti tutti i vestiti che hanno portato con loro, il problema principale è che io ho la taglia 40 e loro si creano mille problemi perché i loro vestiti – quelli che potrebbero prestarmi – mi stanno troppo larghi.
“Di chi è?”
Chiedo, mentre socchiudo la porta del bagno per provare il vestito.
“Della ragazza di Zacky…”
“Zacky ha una ragazza?”
“Si…o almeno, credo ce l’abbia ancora. Aveva prestato questo vestito a Michelle, lei s’è scordata di ridarglielo e l’ha portato qui, sperando che Gena, la ragazza in questione, venisse con noi, ma, come vedi…”
Leana si interrompe quando apro la porta del bagno, rivelando che quel tubino nero, aderente, veste alla perfezione.
“Wow!”
Sussurra, meravigliata. Le sorrido, un po’ imbarazzata.
“Ragazze, abbiamo trovato il vestito per Margot!”
Esclama poi, attirando davanti a noi Michelle, Lacey e Val.
Le prime due iniziano a snocciolare complimenti su complimenti: per quanto è perfetta e invidiabile la mia linea, per quanto mi sta bene il vestito e altri argomenti assolutamente futili.
Val sorride semplicemente, mentre Leana sceglie per me anche le scarpe ( un paio di “stiletto” nere.) e poi mi trascina dentro il bagno per la cura dei capelli, delle mani e del trucco. Michelle inizia subito a pettinare i miei capelli, rossicci, ondulati e di lunghezza media, rendendoli setosi come non mai; Val è l’addetta al trucco: l’ho pregata sottovoce di non esagerare; Lacey, dopo una piccola discussione, ha iniziato a togliere dalle mie unghia lo smalto nero smanghiucchiato e, ora, me ne sta mettendo uno rosso scuro: il tutto sotto l’occhio vigile della donna del Rev.

*

“Abbiamo finito!”
Esclamano in coro Val, Michelle e Lacey.
Leana si avvicina e mi esamina attentamente: vedo farsi strada sul suo volto un ampio sorriso.
“Allora…posso vedermi?”
Chiedo, entusiasta, ma anche un po’ nervosa. Annuiscono tutte e Val si sposta velocemente da davanti lo specchio.
Wow. Se non sapessi che quella lì sono io, stenterei a riconoscermi. Non vorrei peccare di superbia, però sono bella. E non ho mai pensato di esserlo, nella mia vita.
“Ok…non so cosa dire.”
Ammetto, voltandomi verso le ragazze, tutte sorridenti.
“Io ti suggerirei di andare a preparare la borsa, non vorrai dimenticarti qualcosa!”
“Grazie del suggerimento, Leana.”
Rispondo, sarcastica: ovviamente stava facendo riferimento alla mia sbadataggine durante i primi giorni di tour.
“Dai, ti accompagno.”
Dice Val, facendomi l’occhiolino. Andiamo davanti il cassettone della camera, dove sono disposte cinque borse: la mia è bianca e nera, con stampe di un motivo optical, è grande, si distingue dubito dalle altre. Inizio a controllare che ci sia tutto e, una volta finito, mi lascio cadere sul letto.
“Ti sta stressando, questo tour, eh?”
Chiede Val, con un sorriso appena accennato in volto.
“Già…ma mi sto divertendo!”
“Poi c’è Zacky.”
“Che c’entra Zacky?”
“Farai colpo, stasera…!”
“Ma stai scherzando? Tra me e lui c’è solo amicizia…e poi lui ha una ragazza, l’ha detto prima Leana.”
“Oh, non credo stiano ancora insieme.”
Improvvisamente, mi torna in mente un dialogo tra Zacky e Syn, sentito a New York. Zacky era come un fiume in piena, lui e Gena avevano dei problemi. Mi ricordo questa frase, quest’insieme di parole.
Voi continuate a dire che il nostro rapporto così si rafforza ma avete visto cos’è successo quando sono tornato dallo scorso tour. Non facevamo altro che litigare.
Ah, basta, Margot: non sono affari tuoi.

*

Io e le ragazze camminiamo tranquillamente verso il bar dell’hotel, parliamo, scherziamo, ridiamo; poi, a poco a poco, inizio a sentirmi osservata. Uno, due, tre, quattro, cinque paia di occhi sono su di me: gli Avenged Sevenfold al completo, poco distanti da noi. Uno sguardo in particolare presta attenzione ad ogni dettaglio, per poi arrivare ai miei occhi. Sorrido appena, mentre Syn e gli altri fanno i complimenti alle ragazze per il lavoro svolto. Ci avviamo verso il salone riservato per tutto lo staff e, mentre Lacey si avvicina a Johnny, Michelle a Brian, Val a Matt e Leana a Jimmy, sento una mano sul mio fianco sinistro. Sorrido, perchè riconosco perfettamente il calore di questa mano.
“Hey.”
“Hey.”
“Devo ammettere che gli altri hanno ragione, le ragazze sono state brave: quasi non sembri tu…”
“Cosa vuoi dire: che normalmente non vado bene?
Ti offro un’altra possibilità, Zack!”
Dico, scherzando.
“No, è solo che non volevo essere banale.”
Risponde semplicemente. Sorrido di nuovo, mentre i miei occhi incontrano quei due pezzetti di cielo, che ormai avrete imparato a riconoscere come gli occhi di Zacky. Poi, un sussurro che mi sorprende, che mi fa sorridere ancora e ancora e ancora, anche se è banale, anche se è scontato.
“Sei bellissima.”

*

Alba. Il contrario del tramonto. Con il tramonto il sole va a dormire, con l’alba si risveglia. Eppure, il tramonto e l’alba sono così simili tra loro. Proprio come noi due. Io, persa nella mia arte. Tu, perso nella tua musica. Entrambi persi in una cosa. Entrambi complicati, entrambi difficili da capire. Siamo fianco a fianco, qui, seduti sul tetto dell’hotel, appoggiati al muro, la mia testa poggiata sulla tua spalla destra, una tua mano mi accarezza i capelli, mentre parliamo, parliamo senza sosta, ed i nostri discorsi sono così densi che quasi si possono toccare, sia si parli di pettegolezzi inutili che di sogni, sogni che stanno ovunque, tranne che nel cassetto, forse perché di quel cassetto abbiamo entrambi perso la chiave. E guardiamo l’alba. Guardiamo il cielo assumere le più svariate sfumature sui toni del rosso, del giallo e anche del rosa e dell’azzurro, e sorridiamo, e parliamo. E ci chiediamo come diavolo siamo finiti qui sul tetto, e giungiamo alla conclusione che l’alchool si era insinuato talmente bene nel nostro cervello da comandarci alla perfezione ma, probabilmente, volevamo salirci già da un po’, qui, non so perché. Forse le nostre menti sono ancora annebbiate dall’alchool, ma poco ci importa, perché siamo insieme. Ed eravamo insieme mentre bevevamo quell’alchool che ci ha giocato lo scherzo del tetto, eravamo insieme mentre ci sorreggevamo a vicenda, salendo i pochi gradini che ci separavano da questo panorama assurdo, sensazionale, con i colori dell’alba che si stagliano su Orlando, e il suono del mare, il suono delle onde che s’infrangono, udibile addirittura da quassù, perché tutto il resto della città dorme ancora.
“Ehi, Margot, ti ricordi quando ieri abbiamo litigato per la mia chitarra tamarra?”
Annuisco, ridendo, alla domanda di Zacky, anche se ancora non capisco dove vuole arrivare, ma non m’importa poi granchè.
“Mi hai chiesto se speravo in un bacio.”
“Lo so.”
“Credi che io possa ancora rispondere alla tua domanda?”
“Non è mai troppo tardi.”
Lo guardo negli occhi, ridendo ancora. Ora si che so dove vuole arrivare. Lo so e ne sono felice. Nessun sentimento complicato, stavolta, nessun sentimento difficile da esporre a voi, semplici spettatori della nostra storia, nessuna spina tra il reparto dei ricordi, quello dei rimpianti e quello delle paure - se il cuore non si dividesse in atri e ventricoli - perché credo questa sia felicità, questo è quello che la felicità rappresenta per me: sentire il viso di Zacky vicino al mio, sentire chiaramente il battito del suo cuore, sentire il suo respiro sulle mie labbra, regolare, e poi sentire quelle labbra sulle mie, dolci, morbide, che, in confronto, tutti i sentimenti e le emozioni provate in tutta la mia vita sembrano solo ammassi sfocati di semi-sensazioni.
Forse avremo tutta la vita sogni ovunque tranne che nel cassetto, forse avremo milioni di altri momenti come questo, milioni di altri momenti assieme, o forse no. Forse torneremo alle nostre normali vite dopo questo tour, io con Jack, lui con Gena, ma ci sarà sempre qualcosa, perché quello che provo ora è troppo profondo per sparire dopo un tour, saremo per sempre, esisteremo per sempre. Ed uso il plurale, perché noi siamo in due.

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Capitolo 9
*** And where’s hope when misery comes crawling? ***


Grazie BlueAndYellow :* capitolo nove, dopo questo ce ne saranno solo altri tre.



And where’s hope when misery comes crawling?

Ci sono dei giorni in cui ci si sveglia con un certo senso di malinconia e alcuni ricordi appiccicati addosso; per il nervosismo che questo provoca arrivate anche a fumare l’ultima sigaretta dell’ultimo pacchetto di quello che si potrebbe quasi chiamare il vostro ragazzo e cercate con tutte le forze di concentrarvi su quel fumo che, a piccoli passi, vi sta distruggendo i polmoni, ma quando pensate al verbo “distruggere” pensate automaticamente alla parola “amicizia”. E allora vorreste riuscire a salvarvi da quel mare inesplorato di pensieri e rimpianti, vorreste saper nuotare, o magari avere solo un salvagente, per salvarvi dall’alta marea che sta per arrivare. A volte il salvagente arriva, a volte no. Nel mio caso il salvagente è Zacky, mi basta guardarlo un attimo negli occhi per riuscire a stare a galla e, nei casi più fortunati, tornare a riva. Ma oggi il cielo è grigio, è nuvoloso, e lo sono anche quei due pezzetti di cielo: annunciano una tempesta. Perché oggi siamo a Boston e domani saremo a New York e fine.
Fine del tour.
Tutto torna come prima.
Il problema è che dopo un tour così è difficile tornare alla normalità. Sarà difficile tornare alla colazione di mattina presto con Jack, a casa nostra, ora che mi ero abituata ai caffè alle 9.00 con Zacky, ogni giorno in una città diversa. Sarà difficile tornare a studiare, ora che ho imparato che l’esperienza sul campo è l’unica che ti fa realmente imparare qualcosa. Sarà difficile tornare alla musica amplificata solamente dalle cuffie dell’iPod, ora che mi ero abituata ai live, e che live. Sarà difficile tornare a New York, perché la persona a cui ho affidato più di metà del mio cuore sarà ad Huntington, dall’altra parte dell’America, probabilmente con un’altra ragazza, anche se, a dire il vero, non ne sono certa, perché in questi due mesi di relazione non ne abbiamo parlato, abbiamo solo vissuto quello che c’era tra noi, perché entrambi sapevamo che tutto sarebbe finito insieme al tour, per forze maggiori. Qualche tempo fa avrei detto che niente finisce per forze maggiori, avrei detto che se qualcosa si vuole davvero portare avanti non ci si cura di quelle che possono essere le forze maggiori, si va avanti e basta, si sconfigge tutto; ma ora penso che la distanza è distanza, è una cosa materiale, è un limite fisico, non un blocco mentale che non si riesce a superare, la distanza è reale, esiste e non si può sconfiggere. Ed io ormai sto annegando nei miei pensieri, in questo mare burrascoso e letale, e stavolta neanche il salvagente mi può aiutare, perché stavolta i miei due pezzi di cielo sono grigi e annunciano una tempesta.

*

Stiamo ridendo. Strano, direte voi, avevo detto che, ultimamente, sto vivendo giornate in cui il malumore non se ne va neanche se si prova a scollarselo di dosso con una miriade di calci ben assestati; infatti stiamo vedendo un film. Dieci persone che ricorrono a “L’alba dei morti dementi” per ridere e sorridere un po’. Probabilmente, dall’esterno, la situazione appare piuttosto patetica, ma non lo è, e lo sapreste, se solo vi trovaste al mio posto o, comunque, al posto di uno di noi.
Ad un certo punto sentiamo qualcuno bussare alla porta, Jimmy mette in pausa il film, mentre Matt va ad aprire. Nel frattempo, io mi stringo ancora un po’ a Zacky, mentre lui mi guarda negli occhi, sorridendo; mi aggrappo a lui con tutte le forze, per non tornare a pensare a Jack o a ciò che sarà di noi. Mi ricordo quello a cui pensavo mentre lui mi baciava per la prima volta, me lo ricordo come se lo stessi pensando ora.
Forse avremo tutta la vita sogni ovunque tranne che nel cassetto, forse avremo milioni di altri momenti come questo, milioni di altri momenti assieme, o forse no.
Ce li abbiamo avuti, i momenti assieme. Sono stati splendidi, più di quanto avrei potuto immaginare. Ma è così che si dice: rimpiangiamo sempre il passato. Per me, a dire il vero, non è sempre stato così. Anzi, durante questi quattro mesi non lo è stato proprio, ogni momento che vivevo volevo soltanto continuare a viverlo e viverlo. Non so spiegarmi meglio.
Forse torneremo alle nostre normali vite dopo questo tour, io con Jack, lui con Gena, ma ci sarà sempre qualcosa, perché quello che provo ora è troppo profondo per sparire dopo un tour, saremo per sempre, esisteremo per sempre. Ed uso il plurale, perché noi siamo in due.
Eppure ora non sono così convinta di questo. Ho paura. Ho paura che tutto quello che abbiamo vissuto finisca nel reparto delle cose belle a cui non pensare. Ho paura di non rivederlo più, se non in televisione. Ho paura del futuro. Ho paura perché non voglio che i momenti passati insieme finiscano nel dimenticatoio, non voglio che questo noi finisca nel dimenticatoio.
“Ehi, Margot, Sam dice che c’è un ragazzo che ti vuole vedere…dice che è alto, biondo, con gli occhi scuri…”
La voce di Matt giunge alle mie orecchie ed è come se tutte le mie paure si materializzassero davanti a me.
Zacky alza un sopracciglio, guardandomi con espressione interrogativa. Non gli ho mai parlato di Jack.
“Ok…arrivo.”
Dico, risoluta, alzandomi dal divano.
“Ma…”
Inizia a dire Zack, trattenendomi per una mano.
“E’ Jack, un amico.”
Sorrido appena. E lui ricambia il mio sorriso, convinto che il fatto che questo mio amico sia qui possa essere qualcosa di positivo, qualcosa che mi aiuterà a stare meglio. Non sa che in realtà è tutto il contrario. Non sa che Jack è quasi l’incarnazione delle mie paure, perché è la sua presenza che segna il ritorno a New York, è la sua presenza che segna la fine del tour.
“Ragazzi, riprendete pure a guardare il film, credo sarà una cosa piuttosto lunga.”

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Capitolo 10
*** I hand you my mortal life but will it be forever? ***


ancora grazie a BlueAndYellow *_* per quanto riguarda il lieto fine.....vedrai! XD
decimo capitolo, cortino.


I hand you my mortal life but will it be forever?

Il mio cuore è diviso in scomparti. Come una cabina armadio, o meglio, come una di quelle strutture metalliche che fanno da armadio, quelle dove si mettono delle enormi scatole. Bene, oggi, con le mani gelide e tremanti, mi stavo preparando a riporre nella scatola dei ricordi il rapporto con Zacky, ma, quando ho rivisto Jack, fuori dal tour-bus, la scatola mi è caduta dalle mani e si è aperta. E' scivolata pesantemente e ha lasciato fuori tutti i ricordi; e in ogni ricordo c'è Jack. Perchè lui c'è sempre stato: c'era quando mi sono trasferita con i miei al 25B di quel grattacielo al confine tra Brooklyn e il Queens; c'era quando ho comprato la mia prima macchina fotografica; c'era quando mi sono invaghita di qualcuno per la prima volta; c'era quando ho scelto le materie per l'highschool; c'era quando stavo male per i ragazzi; c'era quando mi sono iscritta all'Accademia. C'era sempre. Ed ora è qui davanti a me, dopo quattro mesi di telefonate ogni cinque giorni, è qui e si sta scusando di non essersi fatto sentire come avrebbe voluto, perchè era arrabbiato, perchè gli avevo detto che non ci saremmo visti per quattro mesi quando ero già dall'altra parte dell'America, ed io rispondo che non importa, che lo capisco, perchè lui è sempre Jack, lui c'è sempre stato, ed ora che mi ha chiesto di dirgli come sto, di raccontargli del tour, non posso fare a meno di raccontargli di Zack, perchè Jack è la persona che mi conosce meglio di chiunque altro al mondo, conosce alla perfezione tutto quello che mi ha resa ciò che sono, a parte questo tour che, si, mi ha cambiata tanto ma, sotto sotto, sono sempre la stessa Margot: quella che passa troppo tempo a pensare e poi magari si scorda di vivere come vorrebbe, quella che quando vive, vive di fotografie e musica, vive di dettagli e piccoli gesti; in fondo sono sempre io, con i miei sogni ovunque, tranne che nel cassetto, sogni che avevo iniziato a condividere con una persona, che ora mi scivolerà tra le mani, così come altre mille persone, così come la scatola dei ricordi.

*

Oggi ci sono tutte, ci siamo tutte; oggi c’è l’ultimo concerto, le ragazze non potevano rimanere nel tour-bus. E così è possibile vedere sui volti di tutti i membri degli Avenged Sevenfold un ampio sorriso, tranne che per uno di loro, Zacky Vengeance. Lui non ha sorriso per tutta la sera, il suo sguardo è fisso su un punto preciso dell’Hammerstein Ballroom, il suo sguardo è fisso sui miei occhi. Occhi che non si danno pace, da cui sgorgano fiumi di lacrime, lacrime con un decorso lento, silenzioso, lacrime che finiscono sulle mie labbra, queste labbra che hanno sfiorato quelle di Zacky milioni di volte e che non lo faranno mai più. Perché bastano un arpeggio triste e poche parole cantate da Matt per farmi andare via, perché non lo voglio salutare, non voglio dirgli addio, non voglio rassegnarmi, perché, nonostante tutto, spero che il destino abbia qualcosa in serbo per noi, perché sono ancora la Margot che sogna ad occhi aperti, quella che spera fino alla fine, quella che si lascia trascinare dalle ragioni del suo cuore, questo cuore danneggiato e maltrattato, fatto di tante scatole perché, nonostante oggi pomeriggio volessi riporre tutto ciò che c’è tra me e Zack nella scatola dei ricordi, non ci sono ancora riuscita, non sono ancora pronta, perché non credo che questo aiuterebbe il mio cuore a riprendersi, anzi, lo ridurrebbe peggio o, forse, lo distruggerebbe totalmente, perchè Zacky mi stava aiutando a trovare il tasto “repair” o “fix” del mio cuore e, sicuramente, se l’avessimo trovato l’avremmo premuto, quel tasto; ma, d’altronde, non è sempre detto che le cose vecchie e malandate si possano riparare, a volte l’unica soluzione è buttarle via.
Please don’t forget me, or cry while I’m away.

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Capitolo 11
*** Do you remember the day when we met? ***


BlueAndYellow eccoti il seguito, scusa l'attesa XD questo capitolo è il penultimo...spero ti piaccia :*

Do you remember the day when we met?

Non sono mai stata una persona ordinata. A casa, nel tour-bus, in sala prove, mai. Neanche nella mia testa c’è ordine. Eppure, nel mio caos personale riuscivo a non perdermi quasi mai. Uso il passato perché, ora, credo di essermi perso. Questo vortice di pensieri, che non si ferma mai, non si stanca mai, mi sta risucchiando. Perché mi alzo la mattina, mi lavo, mi vesto e, quando entro in cucina per fare colazione, mi sembra quasi di vederla; lei, con la sua pelle chiara e i suoi grandi occhi castani e i capelli rossicci, lei e il caffè che preparava ogni mattina. Allora mi accendo una sigaretta, sperando di trovare un po’ di pace, di scacciare via quelle visioni, o allucinazioni, come volete chiamarle; ma è un tentativo vano, perché mi ricordo di quando, a colazione, poggiavo la sigaretta sul posacenere, mentre bevevo il mio caffè, e lei la prendeva e la finiva, così alla fine ne accendevamo sempre due. Allora esco di casa, visto che niente sembra potermi aiutare, esco e cerco di distrarmi, ma penso a quando mi annoiavo in tour e lei mi trascinava per le vie della città in cui eravamo, e fotografava chiunque, qualunque cosa, ogni particolare, ogni dettaglio, e sorrideva, come sa sorridere solo lei, con quel sorriso che ti toglie tutte le parole e ti fa solo venire voglia di fermarti e guardarla, senza smettere mai. Questa è la routine di ogni giorno, ormai. Perché non smetto di pensarla neanche per un attimo, le sue parole, i ricordi di quelle parole, sono ancora vivi più che mai nella mia testa, e si mischiano ai ricordi delle mie, di parole, e alle immagini di noi due insieme, e tutto questo mi sta risucchiando, perché è troppo; semplicemente, è troppo da sopportare, è troppo da vivere, è troppo da ricordare o da dimenticare. E’ troppo.

***

A volte mi capita di non trovare le parole per descrivere qualcosa, generalmente capita per un sentimento, o un evento particolare, ma, questa volta, non si tratta di trovarle, le parole, questa volta non ci sono proprio; spariscono, si annientano, vengono devastate. Perché sto cercando di devastare quello che provo, sto cercando di lasciarmelo alle spalle e, se non ci riesco, se me lo ritrovo davanti, per paura che mi possa inghiottire del tutto, cerco di annientarlo, devastarlo. Così come viene totalmente devastato ogni modo possibile per descrivere questi miei sentimenti: potrei provare a fare un disegno, un dipinto, ma, probabilmente, non saprei neanche che colore scegliere per iniziare, rimarrei a fissare il foglio o la tela per ore.
“Jack, mi sto annoiando, ho bisogno di trovare qualcosa da fare.”
“Ma vuoi spiegarmi perché hai così tanto bisogno di fare qualcosa?”
Mi chiedi troppo, Jack. Mi chiedi troppo perché anche se provassi a spiegarti, il tutto risulterebbe così confuso che non capiresti nulla, perché le parole spariscono, si annientano, vengono devastate.
“Non sei mai stata così attiva in tutta la tua vita…mi preoccupa.”
Si, in effetti è preoccupante. Perché non faccio altro che correre; corro per le strade di tutta New York, corro avanti, corro in fretta, perché scappo costantemente dai pensieri, perché se inizio a pensare la prima cosa a cui penso è Zacky e già ora sto sbagliando anche solo a sfiorare questo pensiero.
E allora devo continuare a correre e correre, veloce, perché non devo curarmi di quello che ho lasciato dietro, devo guardare avanti, corro, per evitare di perdere chissà dove la mia vita, perché se non corro non ce la faccio a fare tutto quello che devo fare, non riesco a mantenere tutti gli impegni che ho preso, come quello di fare le foto ad una mostra per la professoressa Stevenson, anche se, a dire la verità, avrei delle altre foto per il laboratorio, ma quelle foto mi fa male solo guardarle, perché mi fanno rivivere troppe sensazioni, troppe emozioni, troppi sentimenti. Perché, se le riguardassi, penserei troppo a loro, a lui, ai suoi occhi; e oggi il cielo è grigio, su New York, e io mi chiedo come saranno quei due pezzetti di cielo, grigi anche loro? O saranno azzurri, felici? Mi sembra ieri che li guardavo, ogni mattina, e mi ci perdevo dentro, mentre bevevo caffè, mi sembra ieri che trascinavo Zacky per le vie delle città in cui eravamo, facendo foto e ridendo, vivendo con il sorriso sulle labbra ogni istante.
“Margot, mi ascolti? Tu hai qualcosa che non va…”
“Ma no, è tutto a posto.”
“Non lo è.”
“Sta’ tranquillo, ti ho detto. E’ tutto ok.”
“Guardami negli occhi. Lo so che non è tutto a posto.”
Mi stringe le spalle, Jack, mi costringe a guardarlo negli occhi, di un colore così caldo, avvolgente.
“Cos’è successo? Perché stai così? Non vai mai di fretta, non è da te.”
Vuoi saperlo davvero?
Abbasso lo sguardo, istintivamente. E Jack, con una mano, mi costringe ad alzarlo di nuovo.
“Cos’hai?”
Ed ecco che trovo la parola, l’unica che non è stata devastata, l’unica che non riesco a devastare.
“Zacky.”
E, senza volerlo, senza neanche avere il tempo di trattenerle, le lacrime iniziano a scendere, e provo a nasconderle tra le dita, ma non ce la faccio, non ci riesco.
“Piccola, sai meglio di me che la vita è fatta di tante sfumature. A volte bisogna imbattersi anche nelle sfumature del nero.”
“Si, ma…non si tratta di sfumature. Non si tratta di nero o bianco o colori. E’…è come quando ti tagli con la carta. All’inizio il taglio non lo vedi, o forse fingi solo di non vederlo. Ma poi inizia a sanguinare e sanguinare e non puoi più ignorarlo. Ecco cosa mi è successo in questi giorni. In questo caso la carta è il ricordo, il ricordo di Zack, che sta facendo sanguinare il mio cuore come non è mai successo prima d’ora.”
E poi sento la pioggia, battere insistentemente sulle finestre, e ricordo quella giornata, quella giornata che è stata l’inizio di tutto, e continuo a piangere perché, si sa, le lacrime, per quanto dolorose, sono un perfetto fertilizzante per l’anima.

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Capitolo 12
*** Would you stay right here if I told you that someone out there loves you? ***


graziegraziegrazie Marta (ora che sei sul Delirium posso pure chiamarti per nome XD), che hai seguito sempre la ff :* ecco l'ultimo capitolo, spero ti piaccia!


Would you stay right here if I told you that someone out there loves you?

“Non ce la faccio più a vederti così.”
Potrebbe sembrare una frase triste, detta con voce bassa e inevitabilmente tremante, invece Jack me l’ha detta con il sorriso sulle labbra e un biglietto aereo in mano. Questo biglietto che è importante, questo biglietto che è come la chiave per la porta della felicità, porta che si trova ad Huntington, e che devo assolutamente aprire. Ed ora sono qui, in aeroporto e non so cosa fare, dove andare, non so come arrivare a quella porta, ma poco m’importa, perché so che ci arriverò, ci devo arrivare, perché è tutto quello di cui ho bisogno per stare bene.

*

In aereo ho conosciuto una ragazza. Maggie ha 15 anni.
E’ al suo secondo anno all’highschool e la sua finta responsabilità potrebbe ingannare chiunque. Suo padre è un importante produttore e lei lo sta raggiungendo ad Orange County. E’ curiosa, mentre sfogliava svogliatamente le pagine di una rivista per ragazze mi chiedeva di parlarle di me, della mia vita: mi ha chiesto che ci facevo in un aereo per Long Beach, le ho spiegato che anch’io sto per raggiungere qualcuno, lei mi ha sorriso, ma non mi ha chiesto chi e l’ho apprezzato. Maggie mi ha chiesto che lavoro faccio ed io le ho risposto che sono una fotografa, perché credo di esserlo diventata, grazie ad un tour che mi ha cambiata e migliorata molto. Lei invece mi ha raccontato del suo disprezzo per il mondo in cui è costretta a vivere, e di quanto abbia perso la testa per una persona che non la calcola nemmeno, dell’amore che prova per questa persona, un amore troppo immaturo per crescere in modo costruttivo. Solo quando l’aereo è atterrato Maggie mi ha chiesto come mi chiamo, ed io non ho risposto, ho preferito lasciarla con poche parole, parole che spero la aiutino con il suo amore immaturo, che spero la aiutino con la persona per cui ha perso la testa, perchè prima si impara, meglio è.
“E’ così bello perdere la testa.”

*

E’ strano quanto il tempo passi velocemente, a volte. Sono arrivata qui, a casa di Zacky, dopo aver chiesto a Leana l’indirizzo, di sera tardi, saranno state le 23.00. Quando la porta si è aperta ed ho incontrato gli occhi di Zack è stato come se avessi ripreso la ricerca del tasto “repair” o “fix” del mio cuore, ed ho sorriso, di nuovo, sinceramente, dopo un mese.
Durante il tragitto in taxi avevo pensato a cosa dire a Zacky, avevo pensato che forse sarebbe stato meglio preparare qualche frase, ma, alla fine, ho lasciato perdere l’idea, forse perché odio i discorsi costruiti e le frasi fatte, forse perché sapevo che, qualche istante dopo averlo visto, le parole sarebbero venute fuori da sole, senza la necessità di nessun aiuto, spontanee, come è spontaneo comprare i regali a Natale, come è spontaneo fare gli auguri ad una persona che fa il compleanno, come è spontaneo fare una foto quando qualcosa mi colpisce. Ed ora sono le 5.00 di mattina, ed io e Zack non abbiamo fatto altro che parlare, perché c’era tanto da dire, c’era tanto da spiegare, c’erano giorni tristi passati a pensare, e giorni ancora più tristi passati a cercare di non pensare. Ed ora che, dalla vetrata che da sul balcone, vedo i colori dell’alba farsi avanti nel cielo ancora leggermente scuro, penso che quel cielo è un po’ come la mia vita, ora; e la luce dell’alba, i colori dell’alba, nella mia vita sono racchiusi in una sola persona, Zacky. Lui, che ora prende la mia mano destra e mi porta sul balcone, perché questo è il nostro momento, l’alba ci rapresenta, con le sue infinite sfumature, perché è l’inizio di tutto, è l’inizio del giorno ed ha rappresentato l’inizio della nostra storia.
“In aereo ho conosciuto una ragazza, Maggie, mi ha colpita, mi ha raccontato tanto…mi ha raccontato di un amore troppo immaturo per essere costruttivo, o così a detto lei. Mi ha detto di aver completamente perso la testa. E indovina cos’ho fatto quando mi ha chiesto il mio nome?”
Dico, ricordando Maggie, mentre mi appoggio alla ringhiera del balcone.
“Non gliel’hai detto.”
Risponde Zack, poggiando le sue mani sui miei fianchi, stringendomi a sè.
“E’ così ovvio?”
“Un po’.”
“Ma tanto non sai cosa le ho detto dopo!”
“Cosa le hai detto?”
“Che è bello perdere la testa.”
Sorrido, ancora una volta, e mi avvicino un altro po’ a Zacky; rimaniamo alcuni istanti in silenzio, guardandoci negli occhi, persi nell’eloquenza del nostro silenzio, perché questo silenzio significa “mi sei mancato”, significa “non mi lasciare più”, e Zacky lo sussurra piano sulle mie labbra, rompendo quel silenzio, poco prima di baciarmi.
“Ora che sei qui non ti lascio più andare via.”
“Giuramelo.”
Mormoro, sorridendo appena. Giurami che mi terrai sempre con te, giurami che non te ne andrai come hanno fatto un po’ tutti, giurami che se dovrai andare lo farai facendomi meno male possibile, giurami che questi pezzetti di cielo saranno sempre miei e sempre azzurri e splendenti, e che mi guarderanno sempre così,con allegria e mai con disprezzo, e giurami che mi farai sempre sentire come lo sono ora.
Giuramelo.

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