Mentre
il sole filtrava fra le spesse tende del baldacchino, Sirius
aprì
controvoglia gli occhi.
Nel
letto accanto al suo, James si agitava nel dormiveglia.
Non
aveva voglia di alzarsi, non aveva voglia di trovarsi faccia a faccia
con quella che era la realtà.
Aveva
combinato un guaio, ed ora non sapeva come risolverlo.
Molly
sembrava spaventata quanto lui.
Che
cosa avrebbero fatto?
La
madre di Sirius non avrebbe mai accettato Molly come nuora.
Non
avrebbe mai permesso che una Mezzosangue entrasse a far parte della
nobile casata dei Black, e tantomeno se fosse già stata
incinta prima del matrimonio.
Entrava
poi in gioco anche il fatto che Sirius aveva lasciato la casa dei
suoi genitori al numero dodici di Grimmauld Place l'anno precedente,
andando a vivere dai Potter.
Conoscendo
sua madre era certo che avesse rimosso il ricordo di avere un figlio
così indegno subito dopo la sua partenza, quindi decise di
lasciar perdere.
Dai
Black non avrebbe mai ricevuto appoggio.
Mise
giù i piedi dal letto, e il contatto con il freddo marmo del
pavimento del dormitorio maschile lo fece rabbrividire.
Sentiva
il bisogno di sfogarsi con qualcuno, ma non era sicuro fosse il caso
di raccontare tutto a Remus, James e Peter.
Proprio
in quell'istante si rese conto di che giorno fosse.
Era
Natale!
Il
fondo del letto del ragazzo era carico di pacchetti, ma probabilmente
qualcuno si era dimenticato di posare in anticipo il suo,
perchè
proprio in quel momento entrò Arthur, suo cugino,
porgendogli
un grosso pacchetto dalla forma strana.
Colpiti
dalla flebile luce del sole i suoi capelli rossi sembravano un
falò
ardente, mentre il viso coperto di lentiggini era aperto in un grande
sorriso.
Come
un pugno nello stomaco queste sue caratteristiche fisiche gli
ricordavano Molly.
Cercando di scacciare il pensiero dalla
testa, tornò a concentarsi sui
regali.
Prese
il pacchetto che gli porgeva il cugino e lo aprì con molta
più
cautela del normale.
Non
sapeva mai cosa ci si poteva aspettare in regalo da Arthur.
In
realtà quella volta si trattò di cose decisamente
innoque: una borsa dell'acqua calda rosa e pelosa, delle biglie
colorate (<< I bambini babbani ci giocano spesso!
>>
esclamò Arthur con entusiasmo) e una piccola sfera di vetro
che, se rovesciata, iniziava ad emettere una musichetta natalizia,
mentre al suo interno cadeva neve finta e due piccoli bambini (finti
anch'essi, ovviamente) costruivano un pupazzo di neve.
Sirius
ringraziò calorosamente il cugino, porgendogli anche lui il
suo regalo.
Quando
lo scartò emise un urlo di giubilo, infilandosela subito
sopra
alla giacca del pigiama in flanella a quadri gialli e blu.
Sirius
gli aveva regalato una maglietta del Manchester United, una squadra
inglese di calcio, e anche se Arthur non aveva la più vaga
idea di cosa fosse il calcio, lo ringraziò dicendogli che
era
il regalo più bello che avesse ricevuto in tutta la sua vita.
Corse
fuori, diretto, ancora in pantofole, verso la Sala Grande a fare
colazione.
Proprio
in quel momento anche James stava scendendo dal letto, e, indossate
le pantofole, corse ad aprire i suoi pacchetti.
Per
primo apì quello di Sirius: un tessuto argenteo cadde sul
letto, soffice come la seta ma impalpabile come niente che avesse
sentito prima.
Alzò
lo sguardo verso l'amico che lo guardava sorridendo con quel suo
sorriso sghembo ed affascinante che faceva impazzire decine di
ragazze.
<< Un
Mantello dell'Invisibilità? >>
Il
suo tono era allo stesso tempo un misto fra incredulità ed
euforismo.
<< Ho
pensato che potesse tornarti utile >>
Gli
fece l'occhiolino e si voltò, lasciandolo a godersi il
regalo
in tutta libertà.
Si
cambiò velocemente e poi, affamato, si diresse verso la
Signora Grassa, pregustando la colazione che lo aspettava, con un
gran senso di colpa che gravava sul cuore.
La
Sala Grande imbombava, i ragazzi schiamazzanti intenti a fare
colazione.
I
professori, seduti al grande tavolo infondo alla stanza, parlottavano
fra loro, più sereni e sorridendo di più rispetto
agli
altri giorni, forse per via delle vacanze iniziate anche per loro.
Un
improvviso fruscìo segnò che la posta era in
arrivo.
Come
tutte le mattine, centinaia di gufi entrarono planando dalle grandi
finestre aperte, atterrando sui tavoli, rovesciando numerosi calici
di succo di zucca e finendo nelle ciotole dei fiocchi d'avena.
Sirius
era così perso nei suoi pensieri che non aveva praticamente
notato le bellissime decorazioni che adornavano la Sala Grande: dal
soffitto incantato cadevano candidi fiocchi di neve, i quattro tavoli
delle Case erano ricoperti da tovaglie rosse e verdi, dagli orli
dorati che riflettevano, creando un uncredibile gioco di colori, la
luce del sole proveniente dalle ampie vetrate.
L'atmosfera
generale era di grande allegria, ma Sirius aveva un incredibile peso
sullo stomaco che neanche con lunghe sorsate di succo di zucca
riusciva a mandare giù.
Ben
presto si trovò circondato dagli altri ragazzi di
Grifondoro,
chiassosi ed esuberanti.
Ma
in quel momento lui non si sentiva così in vena di
festeggiare, e soprattutto non voleva che i suoi amici, vedendo il
suo volto tetro, lo interrogassero su ciò che gli era
successo.
Avrebbe
tanto voluto starsene da solo, a riflettere.
Si
alzò dal tavolo, lasciando a metà la sua ciotola
di
porridge (oramai aveva perso l'appetito), biascicando qualche scusa e
dirigendosi verso la Sala d'Ingresso.
Anche
il tempo esterno rifeltteva quello del soffitto della Sala Grande,e,
mentre fuori il prato era già ricoperto da uno spesso strato
di neve, Sirius salì per l'imponente scalinata.
In
realtà non aveva idea di dove stava andando, ma sapeva solo
che voleva starsene da solo con in suoi pensieri, e così,
camminando con la testa piena di sensi di colpa e rimorsi, si
ritrovò
al settimo piano, accanto al quadro di Barnaba il Babbeo che insegna
danza classica ai troll.
All'improvviso
davanti a lui comparve una porta che, dello stesso colore della
parete, si mimetizzava perfettamente.
Sirius
ci si fermò davanti, incuriosito.
Il
senso della prudenza gli suggeriva di proseguire diritto, ma il suo
spirito d'avventura, invece, come una vocina nell'orecchio, lo
incitava ad avvicinarsi e a dare un occhiata.
E
infatti quest'ultima prevalse.
Si
guardò attorno, e poi si avvicinò alla porta, da
sotto
la quale proveniva una tenue luce.
La
spinse con cautela, tirando fuori la bacchetta dalla tasca.
Tredici
pollici, legno di acero e capello di elfo, Sirius ricordava ancora
quando si era recato da Olivander, sette anni prima, per acquistarla.
Tutte
le volte che si recava a Diagon Alley con sua madre, diretta a
Nocturn Alley, si fermava estasiato davanti alla vetrina del
costruttore di bacchette, immaginando il giorno in cui sarebbe andato
lì per comprarene una.
<< Ottima
scelta >> gli aveva detto Olivander, quandonla bacchetta
che
stringeva nella mano aveva emesso sbuffi dorati e scintille purpuree.
<< Il
capello dell'elfo contenuto in questa bacchetta proviene dal grande
principe Ruthur, principe della tribù degli elfi delle
Grandi
Foreste e signore delle Sorgenti della Salvezza. Sono sicuro,
signorino Sirius, che questa bacchetta la renderà capae di
compiere grandi cose. E sono oltremodo sicuro che è proprio
ciò che si aspetta la sua famiglia da lei >>.
Detto
questo si girò sorridendo verso la donna, che, nascosat
nella
penombra, osservava la scena senzaproferire parola.
Lei
non rispose al sorriso, anzi, parve rabbuiarsi ancora di più.
Indossava
un lungo mantello nero, dello stesso colore dei capelli e degli
occhi.
La
pelle pallidissima rifletteva spettrale alla flebile luce delle
candele, le labbra sottili incurvate in un espressione torva ed
impassibile.
<< Ha
perfettamente ragione, signor Olivander >>.
La
sua voce era bassa e roca, in contrasto con la corporatura sottile
come un giunco e non molto alta.
I
lunghi capelli, corvini e boccoluti, le cadevano soffici sulla
schiena, incorniciandole il viso.
Gli
occhi scurissimi sembravano lanciare lampi, e a tratti si potevano
cogliere sguardi carichi di disprezzo verso chi non era ritenuto un
suo pari.
Nonostante
l'incredibile bellezza dei suoi lineamenti, in quegli occhi c'era un
fugace barlume di follia che incuteva terrore.
Mentre
Sirius tornava ad abbassare gli occhi sulla sua bacchetta, la madre
si avvicinò al bancone.
Pagò
il conto ed uscì dal negozio.
Improvvisamente
destato dai suoi pensieri, il ragazzino la seguì, prendendo
la
scatola polverosa, il suo prezioso contenuto e lanciando un ultimo
saluto ad Olivander.
Quando
la porta fu chiusa dietro di lui, l'anziano mago tirò un
sospiro di sollievo e si lasciò cadere sulla vecchia sedia
dietro al bancone, improvvisamente esausto.
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