L'insanità mentale di un povero incompreso di nome Add (?)

di AlezzyaChan
(/viewuser.php?uid=209746)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio della fine ***
Capitolo 2: *** Certe cose è meglio non ricordarle ***
Capitolo 3: *** Il momento più felice ***
Capitolo 4: *** La verità ***
Capitolo 5: *** Io sono dio ***



Capitolo 1
*** L'inizio della fine ***


La città era in fiamme, anche se ero chiuso in un umida cella riuscivo a sentire tutto. Le urla disperate delle persone, il rumore delle fiamme che divampavano e degli edifici che crollavano. Riuscivo perfino a capire quale tipo di materiale stesse cadendo, se era fragile come il vetro o più resistente come il metallo. Ero lì, chiuso in quel posto buio e freddo senza neanche sapere il perché, adesso solo, fissando la porta dove uscivano urla di vario tipo. Non riuscivo a capire le parole, ma potevo comprenderne il dolore, la rabbia, la paura e la disperazione nella voce. Voci sconosciute, anonime, come se fossero di fantasmi, ed io ero lì davanti, solo. Avevano preso me e la mia famiglia per motivi a me ignoti, fuori, nella città c'era l'inferno, ed io ero lì, a fissare la porta che era stata varcata da molte persone fra cui i miei genitori. Aspettavo, speravo che i miei genitori uscissero vittoriosi da quella porta di metallo, che mia madre mi abbracciasse e mi dicesse che era tutto finito, che stavano bene e che non sarebbe più accaduto qualcosa del genere. Rimasi seduto, sbirciando da dietro le ginocchia quella fessura con paura, tremando. Dopo un po sentii un urlo che mi fece fischiare le orecchie. Mia madre. Il mio cuore cominciò a battere forte, riuscivo a sentirlo in ogni parte del mio corpo, quella voce continuava ad urlare incessantemente, mi coprii con forza le orecchie con le mani, stringendo la testa così forte che cominciarono a farmi male anche le tempie, eppure quella voce riuscivo a sentirla, insieme ai miei battiti cardiaci. Cosa le stavano facendo? Cercavo in ogni modo di non pensarci, ma nella mia mente cominciarono a prendere forma mostruosi pensieri e paure. Cominciai a sentire anche la voce di mio padre, strinsi ancora di più la testa ed urlai con forza, tremando come una foglia e sudando. Intanto gli edifici della città continuarono a crollare rovinosamente, non riuscivo ad escludere neanche quei rumori. Iniziai a pensare che prima o poi la mia testa sarebbe esplosa. Ad un certo punto le urla cessarono. Mi tolsi le mani dalle orecchie e fissai la porta con speranza e timore. Fissai la porta, che lentamente si aprì e fuoriuscì un uomo, uno di quelli che ci aveva rapiti. Il mio cuore ricominciò a palpitare forte, ed in quel momento capii qualcosa che non volevo ammettere. Il mio cervello cercava di ripudiare quell'idea, come un virus, ma più passava il tempo e più mi convincevo della realtà. Quel figuro si avvicinava sempre di più, tenendo un'arma puntata contro di me, probabilmente era una specie di pistola elettrica. -A quanto pare manchi solo tu.- disse lui, fissandomi la fronte. Il suo sguardo era tagliente come un pugnale, sentivo il mio corpo che si raffreddava sempre più, il sudore che scendeva sotto le mie ascelle. E così ero il prossimo? L'ultimo a morire? Che morte schifosa. -P-Perché l'hai fatto... ?- Dopo nemmeno una manciata di secondi il pavimento cominciò a tremare e cominciarono a cadere pezzi di calce dal soffitto. Vidi cadere dei grossi pezzi dall'alto che ricoprirono tutto, uno colpì anche quell'uomo. Rimasi lì impalato a fissare quella mano ferita e tremolante spuntare dal pezzo che lo aveva colpito, e incominciai ad indietreggiare spaventato. Spaventato dalla scena che avevo davanti a me e da quel che avrei potuto vedere sbirciando attraverso la fessura di quella porta. Così voltai le spalle e cominciai a correre, sbucando fuori da un apertura dell'edificio che si era generata in seguito da un suo crollo parziale. Urlavo, urlavo con tutto il fiato che avevo nei polmoni, ma nessuno poteva sentirmi. Il calore delle fiamme mi ustionava le guance, la maglietta ed i pantaloni che indossavo si stavano pian piano distruggendo. Ero stanco, sentivo i polmoni pieni di fumo e cominciai a tossire. La mia visione cominciò a diventare sfocata ed ingrigita, ogni cosa stava perdendo colore e forma. Caddi in ginocchio sfinito e cominciai a piangere. Ormai era finita, mamma e papà non c'erano più, la città in cui vivevo si era trasformata in un inferno e nessuno avrebbe potuto salvarmi. Ero solo. Gli edifici continuarono a crollare, e sentii il terreno sotto le mie ginocchia scricchiolare e cedere, e dopo una frazione di secondo venni risucchiato dal vuoto che si trovava sotto di me.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Certe cose è meglio non ricordarle ***


Non so se aprii gli occhi, non so che ore erano, nemmeno quale giorno fosse o dove fossi. Non riuscivo a capire nemmeno se ero in piedi, sdraiato, seduto, in ginocchio o in altre posizioni possibili. Non c'era un suono, non c'era una luce, non c'erano colori, non riuscivo nemmeno a capire se intorno a me era tutto bianco o tutto nero. Io non riuscivo a percepire nulla, nulla dell'ambiente in cui mi trovavo e nulla di me, era come se avessi perso tutti e cinque i sensi, non riuscivo neanche a fare un pensiero preciso o a muovere un muscolo, provai a dire qualcosa, ma dalla mia bocca non uscì alcun suono. Forse anch'io ero diventato parte integrante dell'indefinito. Poi, pian piano le cose cominciarono a cambiare: cominciai a vedere un punto luminoso in mezzo al nulla, che col passare del tempo diveniva sempre più definito, insieme al suo colore ed alla sua forma. Intorno divenne tutto scuro, grigio, ed iniziai ad intravedere delle macchioline più scure e più chiare, delle ombre. Solo dopo un po capii che sopra di me c'era un soffitto con un buco che aveva una forma difficile da spiegare, e da essa penetrava una luce forte, quasi accecante. Probabilmente ero caduto da lì. Poi mi resi di essere bagnato e di galleggiare su dell'acqua tiepida da un odore per niente piacevole, che mi provocava un fastidioso pizzicore al naso e nausea. In quel momento realizzai che dovevo essere caduto in una delle fogne sotterranee della città, ma cosa era successo prima? Provai a muovermi, e mi accorsi che l'acqua non era alta, riuscivo a stare in piedi senza che il livello di essa sorpassasse il mio collo, inoltre mi resi conto che il mio corpo era fortunatamente illeso. Se non ci fosse stato quel liquido dall'odore ripugnante a salvarmi, sarei sicuramente morto. Mi guardai intorno e capii all'istante di non essere in uno spazio chiuso, perché una porta di notevoli dimensioni catturò la mia attenzione. Senza esitare camminai verso di essa con un po di fatica, sforzandomi di capire cos'era successo prima di cadere in quel posto, ma non c'era nulla da fare. Il mio cervello stava cercando di rifiutare delle immagini e dei suoni che non volevo e che non dovevo ricordare. Mi avvicinai abbastanza da poter allungare una mano verso una delle maniglie e spinsi. La porta si aprì un po e dalla fessura penetrò della luce azzurrina. Rimasi così, a fissare quel fendente di luce bluastra che tagliava a metà il mio corpo, e forse solo dopo un minuto mi decisi a spostare il peso del mio corpo contro la porta, per poter entrare nell'area successiva. Quando entrai in quel posto rimasi col fiato sospeso, la testa puntata verso l'alto, la bocca aperta e gli occhi spalancati. Sopra la mia testa, sopra alla porta, intorno a me c'erano scaffali colmi di libri, e man mano che guardavo in alto essi continuavano e si perdevano nella luce che proveniva dall'alto soffitto. Mi erano sempre piaciuti i libri, così mi fiondai incuriosito sul primo pezzo di libreria che trovai vicino a me e cominciai a scorrere il dito fra i titoli delle varie collane, ed in quell'istante mi accorsi che non si trattavano di libri normali. Ne estrassi uno con cura e ne contemplai la copertina: era rigida, liscia e di un colore tendente all'azzurro, come il resto dei libri che si trovavano in quell'enorme stanza. Cominciai a girare e a rigirare il volume fra le mani, e notai la leggerezza di quell'oggetto. Lo guardai meglio, e mi accorsi che non sembrava avere delle pagine, così tornai a fissare la copertina. Purtroppo il titolo era scritto in un linguaggio che non conoscevo molto bene, mio padre aveva cominciato ad insegnarmelo da poco. Le parole erano le stesse, ma cambiavano i segni, diventando sempre più complessi, ma lui era molto bravo a spiegare e due giorni prima avevo fatto grandi progressi. Due giorni fa, prima del giorno in cui i miei genitori, insieme al resto della mia famiglia se ne andassero uno dopo l'altro dietro quella porta metallica. Improvvisamente i ricordi cominciarono a riaffiorare uno ad uno nella mia testa, piccoli dettagli rimasti impressi nella mia mente che prendevano sempre più forma e più significato. La porta metallica. I miei genitori lì dentro. Io, solo. Il buio. Il mio battito cardiaco cominciò ad accelerare e cominciai a tremare. La città in fiamme, gli edifici che crollano, le urla di uomini, donne e bambini, i suoni degli spari e dei fendenti. -No... no!- dissi con voce tremolante, mentre mi cadde il libro di mano. I lamenti di mia madre. -NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!- urlai con tutta l'aria che avevo nei polmoni, e crollai a terra a causa di un forte giramento di testa. Il mal di stomaco cominciò a peggiorare ed ebbi delle conati di vomito, ma qualcosa m'impediva di rigettare. L'odore di chiuso e la puzza di sangue, la sentivo proprio qui, dentro di me, nello stomaco e nell'esofago, fino alla gola. I suoni, ed i rumori di quella notte risuonavano nelle mie orecchie, le immagini potevo vederle in quel momento, con i miei occhi. Quei ricordi giravano vorticosamente nel mio cervello, come un ciclone, e intanto perdevo la cognizione del tempo e la consapevolezza di avere un corpo, mi giravo e rigiravo a terra, con i miei occhi rossi sbarrati nell'oscurità.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Il momento più felice ***


Sentivo la mia pelle scottare, lo scoppiettio delle fiamme cominciò a farsi assordante, poi pian piano si aggiunsero suoni come schiamazzi, urli e colpi. -No... ti prego... non di nuovo, no!- dissi con voce flebile, e mi lasciai cadere a terra in lacrime, però non sembrava ci fosse un pavimento, ed allora capii di galleggiare in mezzo a quella prigione di fiamme ed incubi. Dov'ero? All'inferno? Cosa dovevo aver fatto di male? Non riuscii a rifletterci per bene, mentre quei rumori assordanti mi stavano fracassando il cranio. Cominciai ad urlare più forte, non riuscivo nemmeno a sentire la mia voce, e così cominciai a dimenarmi, a picchiare le fiamme, senza un fine preciso. Ad un certo punto mi accorsi che sotto di me c'era qualcosa di freddo, sporco e duro, così diminuii la forza che stavo usando per dare i pugni a quella cosa. Improvvisamente ebbi un capogiro insieme ad una sensazione di nausea e mi ritrovai in un ambiente buio. Mi guardai intorno tremolante. Ero in mezzo alla gigante biblioteca in cui ero entrato prima, chissà quanto tempo era passato dal momento in cui ero svenuto. Minuti? Ore? Non ne avevo la più pallida idea. Avvertii un odore nauseabondo provenire dalla mia destra, e mi voltai per vedere qual'era la fonte di quella puzza. Capii di aver vomitato. Mi alzai in piedi pallido, barcollando e pulendomi la bocca con un lembo della manica della maglietta bianca che stavo indossando, ormai sporca, bagnata, strappata e bruciacchiata. Dovevo assolutamente pulirmi e trovare degli abiti nuovi, il fetore che emanavo mi stava mandando fuori di testa e mi prudeva tutto il corpo. Quei ricordi cominciavano a fare capolino, a minacciarmi, pronti a farmi nuovamente collassare, ma cercai di scacciarli, di liberare la mente da ogni pensiero inerente a quell'evento che cambiò radicalmente la mia vita. Ora dovevo concentrarmi su me stesso, sul mio destino, su come sopravvivere in quel luogo sconosciuto e su come riuscire a scapparvi via. Mi guardai intorno, grattandomi sotto un'ascella: c'erano anche altre quattro porte oltre a quella da dove ero entrato, ma erano più piccole, per questo le notai solo in quel momento. Mi diressi verso la porta alla mia destra e l'aprii con un po di timore, e varcandola scoprii che la stanza era più piccola di quella che mi ero lasciato alle spalle, ed essa conteneva materiali ed attrezzature di ogni tipo. Guardai incuriosito tutti quei oggetti: c'erano mascherine, attrezzi, lastre di metallo, bulloni, stoffa, scope, cavi elettrici... più guardavo quei scaffali e più cose riuscivo ad vedere, anche quelle più inaspettate. Avrei voluto curiosare un po di più fra tutti quei scaffali e scatoloni, ma in quel momento dovevo pulirmi, e alla svelta. E dovevo anche trovare una toilette. Uscii dalla stanza di corsa e mi precipitai verso la porta più in là, e dopo averla aperta scoprii che si trattava di una stanza molto sgombra, dotata di grandi dispense. Mi avvicinai ad una di esse e l'aprii, e con mia sorpresa e meraviglia trovai delle confezioni di cibo. Allungai una mano verso la prima cosa che vidi e, leggendo l'etichetta, capii che si trattava di cibo a lunga conservazione. E' vero che avrei dovuto lavarmi le mani prima di mangiare qualcosa, ma il brontolio di stomaco mi stava mandando fuori di testa, così aprii la confezione e senza nemmeno guardare gli diedi un gran bel morso. Mi resi conto che si trattava di cioccolata, non aveva un sapore eccezionale, ma era sempre meglio di morire affamato. Così, con in mano la merendina, corsi verso la quarta porta pronto ad aprirla, ma quando spinsi con forza contro la porta mi accorsi che non si apriva. Con delusione capii che era chiusa a chiave. Mi diressi verso l'altra porta e mi accorsi che non si apriva nemmeno questa, perché bloccata. Sentivo la mia pancia gonfia, tesa, come se prima o poi dovesse esplodere, ed in preda al panico cominciai a correre su e giù per la biblioteca: mi scappava davvero troppo, non potevo di certo trattenerla. Ma non potevo nemmeno farla lì, in quel luogo. Nella stanza degli attrezzi c'era di tutto, forse anche un secchio, quindi mi diressi con velocità verso essa, ed una volta entrato iniziai a cercare qualcosa che assomigliasse all'oggetto in questione. Non fu facile, dovetti spostare molti gingilli, e dopo tanti sforzi trovai quello che cercavo: un secchio per fare le pulizie di casa. Lo gettai a terra e, proprio quando stavo per abbassarmi i pantaloni notai che sul muro davanti a me, prima ingombrato da oggetti di ogni tipo, mostrava una piccola porta socchiusa, ma abbastanza grande da poterci entrare senza piegarmi. L'aprii e con sorpresa scoprii che si trattava di una toilette. Le pareti della stanza erano coperte di piastrelle azzurre, il pavimento da mattonelle blu, e al suo interno c'erano un water, una doccia, un lavandino ed uno specchio, con tanto di accappatoio, e sapone biologico. Mi fiondai sul water senza nemmeno pensarci ed in quell'istante capii che quello era il momento più felice della mia vita dopo quella notte.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** La verità ***


Spuntai dal bagno tremolante, coperto dall'accappatoio bianco che si trovava al suo interno: mi stava particolarmente grande e quando feci capolino dalla stanza degli attrezzi rischiai di inciampare e cadere, dato che m'ingombrava. Camminai infreddolito verso la scrivania che si trovava nella biblioteca, e mi sedetti sopra con un rapido slancio, stringendomi l'accappatoio ancora più forte. Purtroppo l'acqua della doccia era fredda, ed ora tremavo ed avevo la pelle d'oca, per un momento pensai che i pochi peli che avevo avrebbero potuto trapassare il tessuto spugnoso dell'indumento che stavo indossando. Non era solo l'acqua ad essere gelida, ma anche il posto in cui mi trovavo era freddo, chiuso. Iniziai a riflettere a quello che era accaduto prima. Cercai di non ricordare tutte quelle immagini e quei rumori che si erano insinuati proprio qui, nel mio cervello, ma di capire. Di capire il perché. Un gruppo di uomini armati ha catturato la mia intera famiglia e l'ha uccisa pian piano, mentre fuori la città stava andando a fuoco. Perché? Dicevano che la mia famiglia aveva delle informazioni preziose riguardanti i nasod, ma io non sapevo nulla. L'unica persona che era esperta in quel campo era mio padre, ma non avrei mai immaginato che fosse al corrente di informazioni segrete, e comunque perché avrebbero dovuto uccidere tutta la mia famiglia, comprese le persone più innocenti? Mi scesero delle lacrime lungo le guance, fino a posarsi ai lati della bocca. Mia madre, mia madre non c'entrava nulla. Non poteva sapere nulla e, anzi, spesso rimproverava mio padre dicendo che studiare i nasod era soltanto una perdita di tempo, e che nella vita c'erano cose più importanti. Di non dover passare tutto quel tempo nella sua stanza, con i suoi libri e le sue teorie. Nella mia vita le due figure più importanti era quella di mio padre e quella di mia madre. Mia madre era dolce e affettuosa, ma facilmente irritabile, mentre mio padre era severo e distaccato, ma lo avevo sempre visto come un mito, un modello da seguire. Guardai da seduto ogni angolo della biblioteca, e soltanto in quel momento mi accorsi che era dotata di un sistema di illuminazione molto complesso. Dopo un po mi cadde l'occhio sul libro che mi era caduto tempo fa, prima di perdere i sensi, così scesi dal ripiano per raccoglierlo, ma non appena mi avvicinai abbastanza da potermi abbassare e raccoglierlo il mio sguardo si posò sulla poltiglia giallastra che si trovava proprio a due passi da lì. Mi tappai il naso e pensai che la cosa migliore da fare in quel momento era pulire quell'obbrobrio dal pavimento, così posai il libro sul tavolo, mi diressi verso la stanza ingombrata di oggetti e presi un secchio ed uno straccio. Riuscii a trovare anche una specie di detersivo per pavimenti dall'odore di limone. Entrai in bagno e riempii il secchio d'acqua, trasportai il tutto fin lì e cominciai a pulire quel pezzo di pavimento, cercando in tutti i modi di non respirare la puzza rimanendo in apnea. Quando ebbi finito pulii lo straccio, svuotai il secchio, rimisi tutte le cose nell'area in cui appartenevano e mi sedetti a terra esausto: pulire il vomito non era un'impresa semplice come sembrava. Mia madre era sempre così brava a pulire. Ricominciai a riflettere a ciò che era successo, e ricominciai a lacrimare, quei suoni ricominciarono pian piano a farsi sentire. Mi cinsi il capo con le mani come per proteggermi da rumori, e immagini esterne, ma tutto ciò era inutile, dato che questi si trovavano proprio nella mia testa. Dovevo trovare un modo per distrarmi, ed in fretta, non volevo sentirmi di nuovo male. Così mi precipitai di nuovo in quella stanza per cercare qualcosa, qualunque cosa, e trovai una maglietta nera ed un paio di pantaloni bianchi. Proprio ciò che ci voleva, dato che i miei vestiti erano ormai inutilizzabili, ma quando li indossai mi resi conto che erano un po troppo grandi, sopratutto i pantaloni, che mi stavano davvero lunghi, ed io già basso per la mia età. Mi avvicinai alla scrivania, tirandomi su i pantaloni più volte durante il tragitto, mi sedetti e presi in mano il volume che un giorno fa non ero nemmeno riuscito ad aprire. Prima di farlo notai un foglietto spuntare da un cassetto, così lo estrassi e lo osservai: si trattava di un alfabeto, lo stesso alfabeto che mio padre mi stava facendo studiare pochi giorni fa. Mi sarebbe tornato utile per leggere quel libro. Così aprii il libro e rimasi a bocca aperta in seguito a ciò che avevo ai miei occhi: il libro non aveva vere e proprie pagine, ma le due parti proiettavano delle pagine virtuali sotto forma di ologrammi. Allungai la mano verso quelle immagini luminose che erano a mezz'aria e mi resi conto di poter cambiare pagina. Anche se non riuscivo a capire gran che di ciò che era scritto continuavo a voltare pagina meravigliato, finché un'immagine non catturò la mia attenzione. L'immagine di una ragazza longilinea dalla posa elegante e dignitosa che aveva capelli bianchi ed occhi dorati. Era davvero bella. Accanto a lei c'erano varie informazioni, e decifrandole capii che non si trattava di una ragazza, ma di un nasod, più precisamente della Regina dei Nasod! Continuai a contemplare quell'immagine a bocca aperta, poi mi decisi a continuare a passare la mano sulle pagine virtuali, per sfogliarle. Quando mi stufai chiusi il volume e gli ologrammi svanirono al suo interno. Frugai con curiosità in fondo al cassetto e notai una un mazzo di chiavi dalle forme bizzarre, ed in quel momento pensai che una di esse doveva riuscire ad aprire la porta chiusa. Mi diressi vero essa ed infilai una chiave a caso nella serratura, ma mi resi conto che non era quella giusta. Così riprovai con l'altra, ma accadde la stessa cosa. Le provai quasi tutte ma nessuna di esse funzionava, finché non usai quella rimanente, che aveva una strana forma a stella. Infilai la chiave nella serratura, ma non riusci ad andare a fondo. Ritirai questa dalla fessura, e provai a metterla al contrario, e mi accorsi che entrava a pennello. Rimasi così, con la chiave infilata nella serratura, a fissare quella porta. Cosa ci avrei trovato? L'uscita? Lo speravo davvero tanto, e magari, chi lo sa, avrei potuto incontrare qualche viso amico sopravvissuto a quella notte di urla e disperazione. Presi coraggio e cominciai a girare la chiave verso destra e parti il primo scatto, che risuonò in quell'enorme stanza, poi il secondo e inziai a sentire il mio cuore battere forte, l'adrenalina scorrere nelle mie vene. Poi ci fu il terzo scatto. Respirai profondamente ed aprii la porta lentamente, e presto il mio sguardo s'incupì: non era un uscita, nemmeno un passaggio o qualcosa che gli somigliasse, era soltanto una specie di stanzino. Uno spazio ristretto con altre scatole ed un monitor molto grande e piatto. Deluso, mi chinai su quei scatoloni e annoiato provai ad aprirne uno. Rimossi il nastro adesivo ed alzai le alette di questo, e all'interno ci trovai qualcosa di davvero interessante: un mucchio di piccoli oggetti sferici, semisferici e di altre forme, il cui colore si aggirava sempre intorno all'azzurro, ed essi erano lucidi, quasi trasparenti. Ne tirai fuori uno e lo contemplai incuriosito, girandolo e rigirandolo fra le dita delle mie mani, e lì notai una serie di scritte da un lato, vicino al retro: con stupore capii che quei oggetti erano dei nuclei contenenti codici nasod. Li avevo studiati, ma non avevo mai avuto modo di averne uno fra le mani. Aprii anche gli altri scatoloni, e contenevano quasi tutti la stessa cosa insieme ad altri componenti nasod. In quel momento realizzai di trovarmi in un'antica biblioteca che conteneva informazioni riguardanti i nasod, dimenticata da tutti. Oppure nascosta, ed io ero finito proprio lì. Forse conteneva le stesse informazioni che cercavano quei uomini. Allora mi precipitai nella stanza principale e cominciai a leggere e a rileggere il foglietto con la traduzione del linguaggio in cui erano scritti tutti i libri di quella stanza. Decisi che prima di lasciare quel posto dovevo informarmi e sapere tutto ciò che c'era da sapere su quelle creature artificiali così affascinanti, non solo perché ne ero sempre stato interessato, ma anche perché volevo scoprire cos'è che teneva nascosto mio padre.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Io sono dio ***


Quanto tempo era passato da quando ero finito in quel posto? Mesi? Anni? Ormai avevo perso il conto, e passavo le mie giornate a leggere e rileggere tutti i libri presenti in quella biblioteca. Riuscivo a ricordare ogni riga, ogni paragrafo ed ogni capitolo di ogni volume. Ogni volta che andavo in bagno guardavo il mio aspetto cambiare, davanti allo specchio. Il mio viso, da tondo e paffuto come era ,con il tempo diventava più diverso: cominciarono ad apparire brufoli, peluria, il naso stava pian piano cambiando forma, il mento diventava più sporgente e appuntito e le mie guance perdevano morbidezza, insieme alla forma del viso. Ma gli occhi erano gli stessi, grandi e sporgenti, carichi di tensione. Vivevo così gli ultimi anni della mia infanzia e quelli della mia adolescenza: da solo, senza qualcuno che mi aiutasse o che semplicemente mi facesse compagnia. O che mi spiegasse con cura e dolcezza come andava avanti il mondo, ed invece dovevo scoprirlo io, da solo e con vergogna. Stavo cominciando anche a lavorare su una mia invenzione che avevo chiamato “Nado Dynamo”, che doveva essere in grado di proteggermi e di farmi uscire da quel luogo. La notte non avevo scampo: i ricordi mi perseguitavano come fantasmi, con i loro lamenti, i loro dolori ed i loro visi sfigurati. Spesso finivo per piangere e rimpiangendo di non essere morto insieme alla mia famiglia. Presto la mia voglia di sapere si trasformò in una vera e propria ossessione, i pianti divennero risate e mentre io divoravo i libri, i libri divoravano me. Mi svegliai sdraiato per terra. Rimasi in quella posizione e ripensai all'incubo che avevo fatto quella notte, come ogni notte passata lì dentro, d'altronde. Rielaborai le immagini rendendole più dolorose ed inquietanti, ormai quella notte viveva in me: le fiamme le sentivo proprio qui, scorrere nelle mie vene, il mio cuore palpitava in unisono con i crolli e le esplosioni, la mia mente era trivellata da urla e lamenti, e sopra vi erano sparpagliati pensieri, maledizioni ed immagini. Scoppiai a ridere. -Sono solo, solo, solo... e nessuno può sentirmi ridere. Non importa se piango, non importa se rido, ma questo non interessa nemmeno a me.- Ricominciai a ridere, immaginando cose ancora più orribili, che nemmeno un pazzo sarebbe riuscito ad inventarsi. Soffrire in questo modo era una vera e propria droga, e non era mai abbastanza. Mi diressi in bagno e mi guardai allo specchio: di brufoli non ne avevo più, ma la barba stava ricominciando a crescere, così presi un coltello storto e rotto e cominciai a tagliarmela. Il mio viso, il mio corpo non erano più quelli di un bambino, ma di un nuovo uomo. I miei occhi da bambino erano rimasti grandi e sporgenti, ma mentre prima erano colmi di innocenza adesso erano quelli di uno psicopatico. Mi diressi sul ripiano che avevo creato da poco, poco più distante dalla scrivania che c'era sempre stata fin da quando ero arrivato lì, e cominciai ad osservare la mia creazione. Rimanevo così, con gli occhi spalancati e puntati su quelle lastre di metallo, con un sorriso insano sul viso, finché non mi decisi ad attivarle: mi avvicinai una mano al viso, mi concentrai e le sei lastre si librarono in aria e mi coprirono le spalle. Mi incamminai verso la scrivania, i Nasod Dynamo mi seguivano alla perfezione, fissai il vuoto. Sorrisi ancora di più, fino a scoprire i denti. Di colpo cominciai a dare calci e pugni a tutto ciò che trovavo davanti: scrivania, sedie, libri, documenti, cominciai a distruggere tutto e le mie creature seguivano e supportavano i miei movimenti, anch'esse iniziarono a colpire con la precisione, la direzione e la velocità che desideravo. Scoppiai in una risata rumorosa, quasi isterica: avevo creato qualcosa di perfetto, che mi avrebbe accompagnato in ogni mia pazzia. Sentivo salire l'adrenalina e continuai distruggere qualunque cosa io avevo dinanzi a me, sentivo divampare fuoco e fiamme dentro il mio corpo, volevo distruggere, distruggere, distruggere tutto. E fare tutto ciò che volevo. Senza neppure pensarci mi strappai i vestiti di dosso e cominciai a scorrazzare fra le macerie nudo, urlando e sghignazzando come un pazzo. Anzi, lo ero, ne ero consapevole e la cosa mi piaceva. -IO SONO DIO! KHAHAHAHAH! POSSO CREARE E DISTRUGGERE CIO' CHE VOGLIO!- Ero solo, e l'unica entità che mi faceva compagnia era lei: la Pazzia. Mi aveva detto di fidarmi, di consegnarmi a lei, ed io, privo di alcuna speranza lo abbracciata, ma lei non sa che è lei ad essere diventata mia. E così iniziai a ballare da solo un valzer senza musica, tenendo un corpo immaginario stretto a me. Poi corsi vero lo stanzino e tirai fuori tutte quelle scatole che contenevano nuclei nasod e cominciai ad abbracciarli ed a baciarli. -Io sono dio... ahah... e so tutto, so proprio tutto! E nessuno riuscirà a sconfiggermi: dovranno temermi tutti, devono temermi tutti quanti!- Raccolsi il libro che era caduto a terra dopo alcuni colpi e lo sfogliai di fretta, fino ad arrivare alla pagina virtuale che trattava della Regina dei Nasod e continuai a contemplare quell'immagine. Allungai un dito verso il nucleo che aveva sulla fronte. -S-Sì, sarai mio anche tu.- Poi mi alzai in piedi di scatto e salii in cima alle rovine in mezzo alla stanza principale. -Questo momento segna la mia salita al trono come nuovo dio di questo mondo! No... anzi, il primo dio di questo mondo! Tutte le regole della fisica saranno cancellate e riscritte da me!- Ricominciai a ridere istericamente con le lacrime agli occhi, alzando la testa all'insù, con gli occhi spalancati nel vuoto. Non riuscivo a smettere di ridere, quasi soffocavo, mi facevano male stomaco, esofago, la lingua, la bocca e la mascella, e per un momento pensai che la vescica mi sarebbe esplosa. -Le regole di questo mondo... le deciderò io!- Continuai a sbraitare isterico, finii per accasciarmi a terra, con il corpo pervaso e contratto, teso per via del dolore. Le lastre giacevano accanto al mio corpo e ne strinsi una al petto, abbracciandola. Ormai quelle non erano più risate, ma risucchi convulsi, che mano mano si trasformarono in lacrime e sospiri.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2351531