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di coldays
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologue. ***
Capitolo 2: *** 1.|eyes open. ***



Capitolo 1
*** prologue. ***


A Martylavivace99,
che mi ha sostenuta ancora prima
che iniziassi a scrivere.
Prologue.

Era  risaputo, del resto, che le grandi idee vengono nei momenti meno opportuni. Come manne dal cielo, arrivano proprio quando non servono. Eppure a volte la loro portata è talmente sconvolgente da lasciarti boccheggiante per alcuni attimi. Anche se, riflettendoci bene, si tratta di una cosa mediamente impossibile. Ma chi, subito dopo un idea del genere, pensa all’effettiva  veridicità di codesta? Neanche Jonathan, in tutta la sua razionalità, nel bel mezzo dell’evocazione di un demone superiore. Del resto, tutto passava in secondo piano se comparato con lei, il centro più puro e avvelenato dei suoi pensieri. La dimostrazione che era un demone, ma anche un angelo in parte. Perchè gli angeli amano, ed i demoni distruggono. E Jonathan desiderava distruggere colei che amava, come lei aveva fatto con lui. Portarle via tutto, restare lì per lei, solo lui.
Oh, ci sarebbe riuscito. Presto, sarebbero stati nuovamente insieme.
 

                                                                                ********

Se ne rese conto una sera, con un bicchiere di vino rosso in mano, lo sguardo perso nei riverberi dorati del fuoco scoppiettante del camino ed una sensazione strana alla bocca dello stomaco.
Il libro sulla genetica demoniaca abbandonato in un angolo, ormai dimenticato. Era impossibile, stava impazzendo. Tutte le domande che si poneva riguardo ciò che effettivamente scorreva nelle sue vene lo assillavano, e quello era il risultato. Non aveva mai sbagliato, pensò con le labbra arricciate, quando pensava che l’amore rendesse tutti degli idioti. E lui non faceva eccezione, poiché pensava di poter davvero amare. Nel suo caso la sola idea dell’amore lo rendeva idiota. C’era tanto di quel sangue demoniaco, nelle sue vene, da averlo fatto nascere con degli artigli. Divorava tutto il –poco- buono che c’era in lui, rendendolo sempre più forte: era il suo prezzo da pagare.

Ma c’era qualcosa che non quadrava, lo sentiva nelle ossa, che era tutto profondamente sbagliato.

Eppure quelle sensazioni c’erano –come quelle descritte nei libri- anestetizzate e rese innocue. Erano frutto della sua mente provata dai sogni che l’Angelo gli inviava, voleva portarlo alla pazzia quel maledetto, probabilmente. Jonathan chiuse e riaprì i pugni, cercando di calmarsi. Era un mostro, uno stramaledettissimo mostro, e tutto quello non gli piaceva. Tutte quelle emozioni, avvelenate e pericolose, gli davano immensamente fastidio. Avrebbe dovuto agire, ed in fretta. Si, si disse alzandosi di scatto, è soltanto il mio desiderio di vendetta, la voglia di avere quello che è mio di diritto, e farne ciò che voglio. Forse perché, pensò, voleva piegare a lui anche quella furia dai capelli rossi così insolente, che si rendeva conto di ciò che faceva solo quando vedeva le conseguenze con i suoi occhi. Colei che lo accendeva di una rabbia cieca, di sentimenti sconosciuti, che voleva spegnere in lei. Perché erano fratelli, erano sostanzialmente uguali. Entrambi portatori di un destino che non avevano scelto, separati da loro stessi e dagli altri ancor prima di nascere. Lei avrebbe potuto capirlo, avrebbe compreso la solitudine che lo attanagliava da quando era nato. Perché la condividevano, anche lei avrà sentito le stesse sensazioni, di essere diversa, sbagliata, giusta, rispetto al resto del mondo, unica. Anche lei conosceva la sensazione del sangue nelle vene che brucia, come una promessa macabra? Conosceva la solitudine bruciante, l’essere fuori posto, la ricerca disperata e folle della perfezione? Jonathan conosceva la risposta prima ancora di porsi le domande; la risposta era sì, perche Clary era sua sorella, e loro condividevano lo stesso destino. Morgestern, stelle del mattino. Lui vi era stato possibilmente scagliato via, dal Paradiso, e lei ne era scesa dolcemente, ma sinceramente poco importava. Erano dettagli non degni di nota, nel grande disegno che si espandeva nella mente di Jonathan giorno dopo giorno. Aveva annunciato il suo arrivo anche troppo tempo fa. Έρχομαι*, adesso arrivava sul serio. Per lei.

                                                                            ********                              

L’aria di New York, anche in primavera, era gelida. Le luci al neon, i grandi cartelloni pubblicitari e le insegne, la facevano sembrare calda, eppure era lo stesso fredda e pungente. Il Portale si chiuse silenziosamente alle spalle della ragazza, che si strinse nella sua giacca leggera. L’Istituto si stagliava imponente davanti a lei, sprezzante dell’aria moderna di New York, così austero che sembrava si beffasse dei grattaceli della città che lo circondavano. Entrò a passo spedito dentro l’edificio, lasciando che prima la porta della chiesa e poi la rete dell’ascensore le si chiudessero alle spalle come il portale. Quella sera voleva lasciarsi tutto alle spalle. Era una di quelle sere da cui non si faceva ritorno, di quelle che non tornavano più e non sapevi se fosse un bene o meno. Come quelle prima della tanto preannunciata fine del mondo, che possono essere le ultime, in cui non hai niente da perdere, con la paura e l’adrenalina a solleticarti i sensi ed inibirti. La portata delle sue azioni la spaventava un po’, ma come le aveva detto Luke lei doveva imparare a convivere con i suoi poteri. Non usarli in casi disperati, vederli come una risorsa estrema, e temerli. Quindi, nonostante le sembrasse abbastanza impossibile quella notte aveva ceduto alla tentazione. Certo, sicuramente Luke sarebbe stato più felice se lei li avesse usati per asciugarsi lo smalto, come le aveva ironicamente detto –e soprattutto Jocelyn-, ma si sarebbe accontentato. Aveva bisogno di Jace, di sapere che era accanto a lei e che poteva smettere di preoccuparsi, almeno per poco.
Le idee del suo ragazzo non erano sempre suicide, lo sembravano soltanto, questo lo sapeva. Ma più Clary ci pensava, più le sembrava che Jace l’avesse contagiata, con la singola differenza che le sue idee sembravano suicide e beh, lo erano sul serio. Ma lo sapeva, che sarebbe tornato a prenderla. Lo sapevano tutti, era nell’aria, avevano solo paura di dirlo. Se ne rendeva conto con la stessa intensità in cui quel pomeriggio, anello delle fate in mano e zaino in spalla, si era seduta nei gradini della casa di Luke ad aspettare Jace. Forse era la sua natura di Shadowhunter a renderla così sicura riguardo la sua sopravvivenza. Jace glielo diceva sempre, che era coraggiosa. Eppure dubitava seriamente che tutto ciò avesse a che fare col coraggio. Scosse la testa come a scacciare tutti quei pensieri; in fondo era lì per quello, per trovare pace e sfuggire ai suoi tormenti interiori rifugiandosi nelle braccia di Jace. Lui avrebbe già deciso cosa fare, dura lex sed lex, avrebbe detto, e poi salvato il mondo. Ma lei non era Jace, nessuno lo era. Che cosa diavolo sperava di fare? Stava solamente farneticando, in preda al panico. Non poteva neanche dormire, preferiva fissare il tetto in cerca di una soluzione che chiudere gli occhi ed assistere alle scene strazianti che si rincorrevano dietro le sue palpebre. Tutto ciò la riportava al motivo per cui si trovava nel corridoio dell’Istituto. Bussò lievemente a quella porta che conosceva fin troppo bene, di quante volte era rimasta a fissarla nell’indecisione, e di cui avrebbe saputo individuare le principali venature del legno ad occhi chiusi. Uno sbuffo, rumore di passi leggeri, e poi la testa bionda ed arruffata di Jace fece capolino dalla porta, con un’espressione adorabilmente interrogativa. «Clary!» Esclamò, visibilmente curioso e preoccupato. «E’ successo qualcosa?!» Chiese, aprendo di più la porta e cercando con lo sguardo la sua cintura con le armi. Lei sorrise dolcemente, facendolo rilassare. «No, volevo solo… stare con  te.» Ammise arrossendo lei, restando ancora sulla soglia della porta. Le braccia di Jace la attirarono dentro la sua stanza, chiudendole silenziosamente la porta alle spalle ed abbracciandola. A Clary venne da piangere. «Tua mamma ci ucciderà, lo sai vero?» Rise sommessamente, annuendo contro la sua spalla. «Ma come diamine sei arrivata?» Chiese ancora lui, aggrottando le sopracciglia. «Ho aperto un portale per l’Istituto. » Disse candidamente, provocando l’ilarità di Jace. Le diede un buffetto sulla guancia, facendola sorridere soddisfatta ed anche  rincuorata. Si sentiva meglio, ora che era con lui, ma quella sensazione opprimente continuava a pesare sul suo stomaco. Stava per succedere qualcosa, ma sarebbe andato tutto bene, si ripetè. Diede un bacio a Jace, «Lo sai che non possiamo fare niente, vero Morgestern?- «Oh allora tolgo il disturbo, Herondale.» Rispose poi alzando gli occhi al cielo.

                                                                      ********

Il suo piano stava per essere portato a termine. Più guardava il cielo, più realizzava quanto poco gli sarebbe piegato per piegare al suo volere quell’infinita distesa blu. La soddisfazione bruciante era espressa in un sorriso sprezzante dell’aria fredda. Gli occhi rilucevano la luce delle stelle, silenziose come se segretamente approvassero il suo operato. L’universo si era svegliato, grazie a lui. Aveva tutti in pugno, era invincibile, e nessuno lo sapeva. Nessuno sapeva quello che sarebbe successo di lì a poco. Era una rete intricata e perfetta, un piano senza falle, e presto avrebbe avuto tutti gli elementi necessari per portarlo a termine. Avrebbe iniziato riprendendosi ciò gli apparteneva, la sua fiamma, il centro dei suoi pensieri. Colei che, sprezzante, osservò uscire con grazia dal portale che aveva creato ed entrare a notte fonda nell’Istituto di New York. Avrebbe voluto andare lì, uccidere Jace e portare con sé sua sorella, ma si trattenne. Mancava meno di quanto pensasse.

*Erchomai, la parola finale di CoLS, sto arrivando, in greco antico, la lingua originale. Scusatemi tutto quanti, ma dovevo metterlo lol. Anche perché io amo il greco(forse perché sono solo al quarto ginnasio), e sono al liceo classico, e questo piccolo riferimento mi sembrava d’obbligo!
bytheway, eccomi di nuovo qui! Stavolta con una long, sui Clastian, ma non solo. Ci sto lavorando moltissimo, e sarei felicissima di sentire le vostre opinioni al riguardo!:) Anche per sapere se vorreste continuassi o meno, se l’idea vi piace, insomma qualcosa! A presto spero, bacioni,
coldays.

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Capitolo 2
*** 1.|eyes open. ***


CHAPTER ONE.
even when you are sleeping, keep your eyes open.
 
Kiss me hard before you go,
I just want you to know,
that baby you’re the best.
-Summertime sadness, Lana Del Rey.

warning: il rating della storia è arancione, e negli avvertimenti è segnata l’eventuale presenza di scene lemon. Nonostante ciò, mi sembra giusto avvisarvi che sarà presente una scena di sesso, in questo capitolo, descritta secondo quanto i seguenti parametri permettono. Detto ciò,
enjoy!


La pelle di Jace riluceva sotto la luce della luna come se fosse incandescente, di un bagliore così intenso che avvolgeva anche Clary, rannicchiata contro il suo corpo che gli accarezzava i capelli. Si erano baciati per un po’, dolcemente e senza fretta, stringendosi come se stessero riprendendo a respirare dopo tanto tempo. Mentre ridevano Jace l’aveva abbracciata, posandole un bacio sui capelli rossi e poi si era addormentato stretto a lei; la tensione nel petto di Clary non era scomparsa, però le pesava un po’ meno. Non riusciva a prendere sonno, nonostante si sentisse al sicuro. Era sorpresa; Jace la abbracciava come un bambino farebbe col proprio orsacchiotto preferito mentre fuori imperversa una tempesta. Non pensava di poter ispirare così tanta fiducia in qualcuno, di poter essere così importante per lui. Non riusciva sul serio a concepire come avrebbe potuto separarsi da Jace, con la consapevolezza di ucciderlo dentro. Erano tutti così spaventati, anche lui che si comportava come se non conoscesse la paura. Sebastian non si era più fatto vivo, non si avevano sue notizie, gli Shadowhunters brancolavano nel buio. Erano passati mesi, e non mancavano le ipotesi. Ucciso da un demone superiore, resosi conto della follia del suo piano, bloccato in qualche dimensione. Tutti credevano che fosse fuori gioco, ma Clary lo sapeva. Sentiva la sensazione bruciante del suo respiro contro la propria guancia nella notte, vedeva la sua sagoma tra le ombre, aveva la sua risata che le rimbombava nelle orecchie come se le sussurrasse di essere ancora vivo. Aveva annunciato il suo arrivo mesi fa, ma Clary sentiva fin dentro le ossa che stava per farlo davvero. Non era una veggente, no, ma gli incubi che la perseguitavano la notte glielo facevano presagire. Da dieci giorni le si riempivano le orecchie di urla agghiaccianti e sicuramente non umane, dolci e dolorosi pianti rotti da singhiozzi, un dolore acuto e bruciante dove sapeva dovrebbero essere situate delle ali. E Jonathan, suo fratello, era l’artefice di tanto dolore. Non voleva pensare ad altro che a un modo per mettere fine a tutto ciò, ma ormai non ne aveva più neanche la forza. Decise di essere al sicuro tra le braccia di Jace, e pregando Raziel affinché le mandasse sogni sereni, si addormentò.                                                                                                                             

Il corpo era dilaniato da un dolore lacerante e pungente, che la faceva soffrire senza tuttavia emettere un suono. Era appoggiata contro una parete di fredda pietra, che le provocava un po’ di refrigerio alle spalle, punto da cui si propagava il dolore. Si sentiva come se fosse stata strappata dal paradiso. Aprì le palpebre, lentamente, mettendo a fuoco un ambiente male illuminato e stretto col tetto basso, mura di pietra e un ripiano su cui erano posati più fogli poco distanti. Chiuse di nuovo gli occhi; sembrava una mansarda, ma Clary non ne era sicura. Dedusse di essere nuda, dal freddo che sentiva pungerle la pelle come mille spilli. I capelli le solleticavano appena le spalle, morbidi, e nello stordimento generale si chiese chi glieli avesse tagliati. Gli occhi si aprirono nuovamente, concentrandosi su un volto che conosceva bene. Il corpo le fremette, e fu come se il fuoco esplodesse in lei. Adesso la pelle le scottava, sentiva i lineamenti del volto irrigiditi e la rabbia scorrerle nelle vene. Sentì delle catene sbattere violentemente, e poi una nuova scarica di dolore; realizzò di averle legate ai polsi. Non riusciva ad abbassare lo sguardo, ma aveva la sensazione che la sua pelle ricordasse quella di Jace, che brillasse come la sua, e fosse scottante in egual modo. Gli occhi neri di suo fratello ricambiarono il suo sguardo divertiti. «Andiamo, perché ti scaldi tanto?» Chiese ridendo, gli occhi che rispecchiavano i riverberi dorati di quella che era la sua pelle in quel momento. Perché il volto che si specchiava in quelle pozze nere non era il suo, ma uno dalle fattezze angeliche con gli occhi accesi d’ira e i capelli biondi che accarezzavano le spalle in morbidi ricci. Clary emise un suono strozzato e spalancò gli occhi, o almeno immaginò di farlo, poiché il corpo che la ospitava restava immobile. «E’ proprio una di voi, la mia Clarissa.» Mormorò soddisfatto, arricciando le labbra. «Anche lei mi avrebbe guardato con questi occhi infuocati pieni di odio senza battere ciglio, sai Micheal?» L’Angelo chiuse gli occhi, e un suono straziante e melodioso al tempo stesso, come un pianto silenzioso ma assordante, risuonò nelle orecchie di Clary. Riaprì gli occhi, le urla ancora presenti insistentemente nelle sue orecchie e, dedusse, in quelle di Sebastian che sgranò gli occhi e si allontanò inspirando bruscamente. Clary seppe che gli occhi che fissavano Jonathan erano i suoi nell’esatto momento in cui tra le pareti di pietra echeggiò la sua voce. «JONATHAN CRISTOPHER MORGESTERN!» Sembravano passati decenni, dal giorno in cui aveva gridato il suo nome come se fosse la sua unica salvezza mentre Jace voleva consegnarsi al Conclave. «Clary…» Mormorò lui, avvicinandosi velocemente all’Angelo, che chiuse gli occhi e rise.

Stava sdraiata adesso, e provò a muovere le dita; il suo corpo rispondeva alla sua volontà. Delle labbra si posarono sulle sue, bollenti e rudi, che ricordarono a Clary i baci frenetici che le aveva strappato Sebastian. Aprì gli occhi di scatto, e si ritrovò a fissare le iridi nere che appartenevano a suo fratello. Sorrideva con gli occhi, mentre lei gli tempestava il petto di pugni, urlava nella sua bocca e si sentiva come se l’aria, la vita, le venisse risucchiata via.


Clary urlò, scattando a sedere e guardandosi intorno, realizzando di essere ancora nella stanza di Jace. Faticava a respirare, e lui la guardava preoccupato, una mano sulla sua spalla e l’altra intrecciata alla sua. Lo abbracciò di slancio, mormorando parole sconnesse. Non era la prima volta che succedeva, che sognava quella stanza, Jonathan, ma stavolta era tutto diverso. Suo fratello aveva visto i suoi occhi, ne era sicura, ed era tutto così dannatamente reale. Sentiva il suo sapore sulle labbra, il suo calore sulle mani, il suo profumo invaderle le narici. Jace le ripeteva che erano solo sogni, cercando di calmarla. Se lo ripeteva anche lei, ma non sapeva fino a che punto ci credeva. Era come vivere attraverso gli occhi di qualcun altro un incubo che altro non era se non la realtà. La mia realtà è Jace. Lui, che la stringeva preoccupato, come se potesse vederla scomparire tra le sue mani. Clary lo sapeva, che Jace avrebbe preferito farsi rinchiudere nelle Prigioni della Città di Ossa finchè non avesse imparato a controllare il Fuoco Angelico, per evitare di farle male.  Fratello Zaccaria aveva dissentito; Clary pensava fosse perché sapeva che sarebbe andata anche lì, pur di stare con Jace, e perché lui non aveva avuto belle esperienze lì dentro. «Sappiamo entrambi che Clary non ci metterebbe più di tre secondi a forzare la cella.». Gli aveva detto l’uomo, e lui aveva annuito mestamente, ma con un pizzico d’orgoglio. L’avrebbe fatto, perché Jace era tutto quello che voleva. E lui non avrebbe potuto ferirla; né col fuoco che gli scorreva dentro, né sotto il controllo di Lilith o Jonathan. E Jace era stato legato alla Madre di tutti i demoni, in sogno, e lei si sentiva come se Jonathan l’avesse prosciugata di tutta la sua felicità, lasciandola vuota.
I muscoli delle spalle iniziarono improvvisamente a tirarle, poi a bruciarle come se le ossa volessero trapassarle la pelle. Boccheggiò, aggrappandosi a Jace, che la guardò col terrore scritto negli occhi. Era preoccupato, e si sforzò di mormorare che stava bene, e non era nulla. Il dolore alla schiena si accentuò. «Cosa c’è, Clary? Che cosa?» Parlò sottovoce, trattenendosi probabilmente dal gridare, con una nota isterica nella voce che voleva apparire calma. «La schiena!» Gemette Clary in risposta, lasciando che Jace si mettesse alle sue spalle, massaggiandogliele lentamente, e le alzasse la maglietta. Sentì il suo intero corpo irrigidirsi. «Clary…» Disse, il panico perfettamente udibile nella voce. Lei vide il suo riflesso nello specchio, la pelle pallida della schiena, nel punto in cui si trovava il reggiseno, segnata da due segni rossi paralleli e perfettamente uguali, leggermente ricurvi e vicini, nel punto in cui gli angeli avevano le ali.

                                                                            ************

Alec non era mai stato un ragazzo romantico, e probabilmente non lo sarebbe mai stato. Né particolarmente incline a crisi isteriche e scenate degne delle peggiori adolescenti in crisi ormonale.
Non era neanche un tipo avventato e in cerca del pericolo. O almeno così pensavano tutti, fino a qualche mese fa. Ma, dopo aver capito che la sua avversione improvvisa verso i bersagli colorati del tiro dell’arco che gli ricordavano in qualche modo lui e Magnus, non era dettata dal romanticismo più spassionato, e che lo stesso si poteva dire per la foto dei due che sorridevano felici a Parigi che faceva la sua bella mostra sul suo comodino, Alec si rese conto di sembrare ridicolo. In effetti, era stato ridicolo bruciare tutte le altre foto sue e di Magnus nel camino dell’Istituto, così come tutta la sua scorta di bagnoschiuma al sandalo e la sciarpa blu che lo stregone gli aveva regalato, riempiendo mezzo Istituto di fumo. Ci aveva pensato un po’, poiché il bagnoschiuma al sandalo lo faceva sentire in un certo modo più vicino a Magnus, gli dava l’illusione che quell’odore fosse come quello che si ritrovava sui vestiti, nei capelli, attaccato alla pelle, la mattina quando si svegliava in quel letto abbracciato al primo uomo che aveva davvero amato, o quando semplicemente lo stringeva a sé come per sincerarsi che in quel momento era lì, ed era reale. Poi, un giorno, si rese conto che lui non era più lì, che non era reale, e che era davvero diventato ridicolo. Capì anche che bruttarsi a capofitto nello studio, più di quanto facesse di solito, non lo aiutava; concentrarsi era impossibile, il centro dei suoi pensieri era Magnus. In allenamento rischiava di uccidersi solo, talmente si distraeva a volte. Quindi, tanto valeva morire nel modo più valoroso possibile. Combattere contro i demoni, in situazioni impossibili quasi, lo eccitava in un modo che non avrebbe creduto possibile. Si sentiva Jace, a volte, con la singola differenza che lui si rendeva conto di ogni sua singola azione suicida, delle sue possibili conseguenze. Aveva smesso di importargli da un pezzo. Quando combatteva non pensava ad altro, era concentrato perché beh, l’alternativa era morire. Ma adesso anche i demoni si prendevano gioco di lui. Eppure, non ricordava che fossero così bene informati sulle vite dei Cacciatori e degli stregoni. Il sorriso di Alec scintillava nel buio, mentre il demone che gli stava di fronte lo supplicava affinché non lo uccidesse. «Non ho intenzione di ammazzare nessuno, Cacciatore. Lasciami andare, ho una missione pacifica.» Rantolò atteggiando il volto dai lineamenti umani in una smorfia sofferente. «Dovrei crederti?» Ridette Alec, affondando di più la punta della spada nel petto del demone. Quello si contorse dal dolore, iniziando ad assumere la sua vera forma. «Devo solo parlare con Magnus Bane!» Ringhiò, mulinando i lunghi tentacoli; la spada di Alec cadde a terra con un tonfo sordo. Anche i Demoni si prendevano gioco di lui, adesso? Magnus, il nome sibilato dalla voce roca del demone gli ricordò quando era lui a sussurrarlo, con la voce arrochita dal piacere. Magnus Bane. Il nome del suo stregone, l’uomo che gli aveva rovinato la vita, e a cui lui aveva tentato di toglierla, in un certo senso.
Magnus.
Gli mancava da far schifo; lui faceva letteralmente schifo senza Magnus. Era stato come avere le porte del Paradiso d’avanti, averle forzate, ed essere stato scaraventato all’Inferno. Alec aveva il fiatone, come se avesse corso per kilometri, ed il dolore al petto era lo stesso. Estrasse un pugnale dal fodero, avvicinandosi di scatto al demone, tranciandogli i tentacoli e facendo in modo da poterlo bloccare all’asfalto sovrastandolo. «Cosa vuoi da Magnus Bane?» La domanda gli uscì come un ringhio. «Tanto mi ucciderete…» Borbottò l’essere sotto di lui, cercando di liberarsi. «Io lo farò sicuro, ma chi altro?» «Oh, il Principe non sarà affatto contento, no, no…» Fu come un pugno allo stomaco, per Alec. Il Principe. Magnus. Non pensava di poter avere una tale lucidità ma, forse a causa di tutte le ipotesi sul padre Principe dell’inferno di Magnus, collegò subito che suo padre lo stava cercando. Non fu abbastanza veloce da evitare il tentacolo appena riformato del demone che si abbatté violentemente sul suo fianco, sbalzandolo lontano, fino a sbattere contro un muro sudicio.
                
                                                                             ************

Jace iniziò a bruciare, una vampata improvvisa che non scottò Clary, e si spense all’improvviso com’era arrivata. La stanza tremava, come se ci fosse stato un terremoto. Clary non riusciva a muoversi.
Si avvicinò a Jace, per vedere se stava bene. Lui annuì, crollando sul materasso, osservando la ragazza intensamente. «Che succede, Clary? Cosa hai sognato?» Una runa le occupava i pensieri, rendendole difficile riorganizzare i ricordi. «Ero dentro il corpo di un Angelo, cioè, credo. Vedevo attraverso i suoi occhi, ma in realtà non potevo muovermi.» Prese un respiro profondo. «Era incatenato, l’Angelo, e si chiamava Micheal. Per lo meno, Sebastian l’ha chiamato così.» «Sebastian?!» Scattò Jace allarmato, ancora più preoccupato. Clary annuì, raccontando il resto del sogno. Jace la abbracciava, accarezzandole la schiena. Non l’aveva interrotta, ma adesso non parlava. Clary credeva di poter sentire i suoi pensieri frenetici, se solo si fosse concentrata. «Micheal è il nome di un Angelo, vero? Più potente di Ithuriel?» Lui annuì, decidendosi a parlare, nonostante la voce fosse incerta. «Sì, il suo nome è anche usato per le Spade Angeliche. Non è un… angelo facile da evocare. E incatenare.» Respirò a fondo, prendendole il viso tra le mani. «Clary, non voglio che ti succeda niente. Non è normale, ciò che sta succedendo. E i sogni… non sono solo sogni, lo sai cos’è successo a me. E guarda, non ti scotto neanche.» Era vero, il contatto con la pelle di Jace, quando aveva preso fuoco, non l’aveva scottata. «Lo so, Jace, lo so! Non posso impedirmi di sognare, non so cosa fare, mi sento la stessa di prima. Jonathan sta tornando, è solo un avviso questo. Possiamo solo essere preparati all’evenienza, nient’altro.» Le parole le uscivano sole di bocca, Clary non aveva tutta questa sicurezza, non l’aveva mai avuta. Aveva più che altro un brutto presentimento, che la Runa comparsale poco fa in mente non faceva altro che accentuare. Se era vero, le restava poco tempo. Sebastian, Jonathan, stava tornando, ma prima voleva lei. Prese il volto di Jace tra le mani, guardandolo negli occhi, che brillavano e la guardavano con amore e preoccupazione.
Clary non voleva più pensare; lo baciò con foga, attirandolo a sé passandogli una mano tra i capelli. Jace ricambiò il bacio, posandole una mano alla base della schiena in modo da far aderire i loro corpi, e l’altra sul collo, mentre lei lo spingeva verso il materasso, sdraiandosi su di lui. Scese a baciarle il collo, spostando le mani sui suoi fianchi. Tornò a baciarla con passione, e le mani di Clary vagavano delicate sul suo petto, alzando la maglietta che si sfilò velocemente lanciandola sul pavimento. La sua pelle, alle prime luci dell’alba, risplendeva in tutta la sua perfezione. Clary si prese due secondi per ammirarla, prima di lasciare una scia di baci dalle sue labbra fino all’ombelico di Jace, che la osservava con gli occhi socchiusi. Tornò a baciarlo, e lui ribaltò agilmente le posizioni. Le sfilò la maglietta, baciandole l’incavo tra i seni, mentre armeggiava col gancio del reggiseno. Imprecò contro la sua pelle, sentendola poi ridere; con un sorrisetto soddisfatto riuscì nel suo intento, e le tolse anche il reggiseno. Clary strinse il suo bacino con le gambe, attirandolo di più a sé, nel tentativo di non essere troppo scoperta ai suoi occhi. «Se non ti senti possiamo…» Lei scosse la testa, passando le mani sulla sua schiena, sbottonandogli i jeans. Le carezze diventavano sempre più spinte, ed i loro vestiti finirono interamente sul pavimento, ad eccezione della biancheria. «Sicura che…?» Chiese Jace titubante, gli occhi annebbiati dal desiderio. Per risposta, Clary gli sfilò le mutande. «Non mi brucerai col Fuoco, Jace.» Non ebbero bisogno di altre parole; Jace entrò lentamente dentro Clary, sentendola irrigidirsi. Il dolore passò poco dopo, e lei iniziò a muoversi andando incontro alle spinte di Jace. Erano racchiuse, in quell’amplesso, tutte le parole che nessuno dei due aveva detto. Tutta la loro paura, la disperazione, erano espresse in ogni singola spinta. Le loro mani gridavano che si appartenevano, che non avrebbero sopportato di essere divisi ancora una volta. Ed i loro nomi sussurrati erano una promessa destinata ad infrangersi. Clary guardò il viso di Jace, e desiderò non averlo mai fatto; vide i suoi occhi neri, i capelli biondissimi, quasi bianchi, la pelle diafana: Jonathan. Boccheggiò, trattenendo un singhiozzo, ma era tornata a vedere Jace, che si accasciava su di lei, baciandola leggermente.

                                                                          **********

Jonathan sorrideva come un bambino il giorno di Natale. Aveva visto i suoi occhi, gli occhi di sua sorella nel volto dell’Angelo. Era il momento. Il sole baciava il suo volto come una benedizione mentre, seduto su una panchina a Central Park, aspettava che sua sorella arrivasse. Le avrebbe fatto una bella sorpresa; del resto, non contando l’ incontro di quella notte, era da tanto che non si vedevano.


autor’s corner.
Come promesso, eccomi di nuovo qui, con questo nuovo capitolo!
Sinceramente, mi piace poco, però l’ho letto, riletto e riletto molte volte, quindi beh, spero che a voi piaccia!
Vi voglio ringraziare di cuore per l’entusiasmo dimostrato, non me l’aspettavo e beh, siete tutti dolcissimi! Grazie mille ragazze<3. Sarei davvero felicissima se mi fareste sapere che ne pensate. Io posso dirvi soltanto che dal prossimo capitolo le cose si movimenteranno parecchio! Conto di aggiornare prima dell’anno prossimo ma, in tutti i casi, BUON NATALE E FELICE ANNO NUOVO A VOI SHADOWHUNTERS E NASCOSTI.
A presto,
coldays.

                 
                                                                                                     

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