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di Frayx9
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** She closed her eyes. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** She closed her eyes. ***


Capitolo 01.

She closed her eyes.


 

Il petto si abbassa e si alza ritmicamente.
Il cuore pulsa senza sosta nella gola.
Le palpebre improvvisamente si fanno pesanti.
Le braccia diventano ingombranti.
Le mani che dapprima gesticolavano nervosamente, adesso sono chiuse in piccoli pugni.
Le unghie penetrano sempre più nei palmi. Ma non mi curo del dolore che esse possono provocare-anzi infliggere- volontariamente: l'epicentro di un dolore incomparabile proviene dall'interno del mio corpo, e lo sento crescere e crescere, crescere alimentato da parole immagazzinate nella mente.
Un...buco. Una...voragine.
Il mio stomaco è risucchiata da essa. Sento di esserne quasi priva.
Il tremolio delle labbra diventa ingestibile.
Gli zigomi- oh, zigomi. Probabilmente sono loro la causa della mia malsanità temporanea!
Bruciano. Bruciano. Bruciano. B r u c i a n o con passione, loro.
Il fiammifero che ha dato vita all'incendio sono sempre loro; piccoli rivoli di acqua! Scendono fluide, senza alcun pudore o ritegno, le lacrime, ignare di ciò che stanno causando: echi.
Echi di sentimenti repressi, echi di parole mai dette, echi di immagini sfocate.
Echi...di echi già ascoltati.
Echi già conusciuti.
Sento la mia faccia contrarsi sempre più, in una maschera che potrebbe incutere paura o ironicamente somigliante una di quelle faccine che vedo spiaccicate sulle maglie del momento. Ma qui non c'è nulla di ironico. O forse sì; forse sono io l'elemento ironico!
Un fascio di dita si scioglie e si assembla nuovamente, incastonando questa volta un ciondolo diventato insostenibile e ostroibile per la respirazione.
Lo afferra quasi con violenza, quella mano destra, e lo stringe acquisendo l'impressione di poterlo modellare come fosse mastice, o pongo; assomiglia ad un altro cuore, quel ciondolo: è caldo, pulsa. Oh no. Un ciondolo non può pulsare. Ma è il metallo pressato su quel palmo che mi permette di controllare le pulsazioni vivaci.
E i rivoli scendono, scendono.
E il mio corpo dalla morsa glaciale si scioglie, abbandonandosi alla volontà di smettere, quasi fosse sollevato dell'atto in svolgimento.
E le palpebre si alzano come i sipari di un teatro; la vista sfocata mi mette a disagio, pensando alle orbite nere che avrò creato. Sbatto quelle palpebre due o tre volte, prima di riconoscere nel buio il profilo vicino del mio letto.
Il petto in tempo debito riacquista la sua sequenza temporale consueta e pian piano anche le mani si smembrano sui ginocchi piegati. La flebile luce lunare attraversa la finestra scoperta permettendomi di notare un quadrato scuro poggiato sulle mie coscie: il mio diario. La penna intrappolata tra le pagine segna la fine del mio ultimo racconto e l'inizio di uno in procinto di essere scritto. Ma non ho lo forza di scrivere.
Non così, non dopo...questo prima.
Eppure una frase esce di getto dalla mia testa, facendomi dischiudere la bocca seccata; sento il dovere di...di scriverla su quel foglio. Il pianto è arrivato prima, e ha avuto la precedenza ma ora, ritornata a farsi ricordare, ha tutto il diritto di essere scritta. E la scrivo poco dopo, con lentezza paziente da parte dei miei muscoli; bastano quelle semplici parole, poste sotto la data a poter dare un senso a quella notte.
'5 maggio. Notte fonda, in un posto non considerato della mia stanza.'
E la testa si posa sul vetro, si gira lievemente, guardando il cielo punto dalle stelle.
Ritorna al punto di partenza- leggo e rileggo quell'insieme di sillabe, portavoce del centro dei miei pensieri. Cerco di ripeterla, sebbene con voce flebile, per capacitarmi delle ultime azioni compiute.
Per convincermi che è un motivo valido.
Per convincere il buio ad impossessarsi di me, prima che i ricordi riaffiorino con violenza.
E improvvisamente il buio mi appartiene, dopo qualche decina di volte in cui i miei occhi si stropicciano e le mie pupille si focalizzano su quell'insieme storto, man mano diventato a macchie, e poi indistinto, e poi a colori per mano della mia mente. Non mi importa dell'angolo in cui riposerò, non mi importa di desiderare la morbidezza del mio letto.
E la sognerò, quella frase. Ne sono certa. Come sono certa che i problemi, e i panti liberatori che silenziano quell'uccello che si dimena e si sbatte contro i pali sottili di ferro che lo imprigionano, non siano ancora del tutto finiti. E per l'ennesima volta, lasciandomi abbattere da quella convinzione, un'immagine si forma chiara dietro ai miei occhi.
Mi sveglio di soprassalto, con il rumore del cellulare che vibra sul comodino.
Ho il fiatone, una mano sul cuore, il respiro che cerca di ritornare normale.
Volto la testa verso quel detestabile oggetto.
Potessi uccidere con lo sguardo, quel telefono sarebbe incenerito da un pezzo!
Sospiro richiudendo gli occhi e riaprendoli poco dopo, realizzando ciò che era successo qualche ora prima.
L'amore non è mai come ce lo descrivono.
Non vedi arcobaleni e cieli rosei, non vedi felicità da ogni dove.
Non è un sentimento facile con cui dialogare.
Si forma involontariamente, cresce e viene spinto da certi determinati dettagli ad esser quel che veramente è: un terremoto.
Una spaccatura della crosta terrestre.
Un temporale violento in alto mare durante una gita a largo.
Un fenomeno anomalo.
Non ti coglie all'improvviso, non è un colpo di fulmine a ciel sereno: l'amare richiede tempo. Richiede dedizione.
Richiede cura.
Richiede di essere nutrito, e una volta saziato a sufficienza, non aspetta altro che esplodere.
Come una bomba a mano.
Come la p a s s i o n e: una volta che essa scoppia, è difficile non cedervi.
Ma l'amore è più complicato: coinvolge troppi sentimenti interessanti.
Si viene a conoscenza del freddo, dei brividi, degli zigomi incandescenti, dei desideri. Desideri di crescente intensità.
Si desidera prima una carezza da poter conservare segretamente. Si desidera poi il calore di un abbraccio. Si desidera inalare nelle narici il...suo profumo. Si desidera perdersi nei...suoi occhi. Si desidera scostargli i capelli, passare le nocche sulle...sue guance, sfiorare con i pollici le...sue labbra. E poi...il desiderio di averlo per sempre con te. Poi...il desiderio di essere qualcosa di importante quanto lo è lui stesso.
E poi...il desiderio del volerlo accanto supera quello del contatto fisico e si è attratti dalla sua personalità, dalla sua mente, dai suoi gesti premurosi affettuosi violenti che siano.
Poi...il desiderio svanisce.
Come i sipari che separano la fine di una scena con l'inizio di un'altra, ad entrare per protagonista è la consapevolezza.
La consapevolezza semplice di essere innamorata di lui sempre più, sempre più, sempre più, sempre più...fino a impazzire. Diventa difficile, dopo che sei consapevole, sopravvivere, perché sei tentata a dire cose che porrebbero fine al tuo unico rapporto con quella persona.
Diventi orgogliosa, e dichiarare quanto lo desideri ti sembra sciocco: che lui possa o non possa ricambiare, che lui ricambi o non ricambi, che lui non ti respinga o ti respinga, non vuoi rischiare.
E diventi insicura nel modo di atteggiarti, di parlare, di vestirti in un look particolare, di uscire di casa, diventi insicura anche psicologicamente: i tuoi pensieri non sono più gli stessi.
L'amore viene considerato dunque come una punizione divina; io sono alquanto convinta di questo, per certi versi.
Sottolineo, per certo versi: nonostante ti cambi radicalmente, nonostante ti porti a non sentirti sicura, nonostante tutto, ti riconosci come una persona migliore, perché quella persona riesce a fare uscire il meglio di te, perché ti fa rischiare la sanità mentale, perché per raggiungerlo stai camminando sul filo di un rasoio. Ti senti unica, nonostante i tuoi equilibri siano modificati.
Ti senti viva.
Vedi il mondo come veramente appare.
Non sei più cieca, ora ci vedi: sono stati risvegliati in te sensazioni sepolte da tempo, o forse nemmeno mai provate. Per alcuni per queste ragioni amare è doppiamente inutile e doloroso, per altre è la scoperta di sé stessi.
In quest’ultimo caso, ti fortifichi.
Ciò che ti spaventava prima ora è insignificante.
Succede a tutti di innamorarsi.
E a me è successo.
Sta succedendo.
Sono già consapevole.
Ciò non è illegale, amare due persone si intende, tutto può succedere nella natura umana.
È un istinto: sei sempre in cerca di quel qualcuno che può sconvolgerti. O può anche accadere che questa persona arrivi nel momento meno opportuno, nel momento in cui tu sei già innamorata, e non la stai cercando.
E io sono stata trovata.
Due volte.
Erano più vicine di quanto potessi immaginare.
E...sono consapevole, di conseguenza, riguardo ciò che sto per dire.
Io amo te, Stefan Salvatore.
E amo te, Damon Salvatore.
Lentamente poso la mia attenzione sul diario ancora aperto all'ultima pagina calcata nel buio: quelle parole fanno bella mostra di sé, vantandosi del dolore che stanno provocando alla ragazza che ha impugnato la penna per scriverle. Lo ammetto, tendo a volte ad avere uno stile simile alle protagoniste dei film che, frustate da una giornata scolastica deprimente o da una cotta che sembra non finire, -ogni riferimento è puramente casuale- si distendono sul letto ed esprimono le loro indignazioni con parole pressoché teatrali....Ma ora come ora quelle parole non sono mai state più azzeccate.
Sospiro ancora una volta chiudendo distrattamente il diario e posandolo sul muretto di marmo che precede la finestra. Mi volto sedendomi per bene, con le gambe a penzoloni, mentre distendo il collo aiutandomi con le mani.
Momenti di quiete precedono un altro rumore, lo stesso di prima.
Sbuffo, e portando un piede dopo l'altro raggiungo il comodino accanto al matrimoniale, dove mi siedo nuovamente a gambe incrociate. Il display si illumina senza sosta e implora pietà, mentre lo raccolgo dalla superficie lignea per porre fine a quella tortura da parte di entrambi. Lo sblocco, impiego due secondi per realizzare ciò che mi si poneva davanti: un...messaggio. Un sms. Un... Un...
Deglutisco e accedo alla lettura del testo, e per poco non mi sento morire.
Le gambe pur stando a riposo diventano percettibilmente molli, le mani non esistono, l'aggeggio cade per terra.
"Io. Te. Parlare. Tra poco."
Semplice, preciso, schietto.
Damon.
Comincio a tremare vistosamente e sento il bisogno di alzarmi.
Cerco di tranquillizzarmi, di ricordare come si respira, ma è tutto inutile.
Un lieve rumore mi richiama alle spalle.
Mi giro lentamente.
Sulla finestra di casa mia, ha appena bussato un corvo.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2.


Deglutii più e più volte, ripetendomi di restare calma.

Di mantenere la calma.

Elena, mantieni la calma.

Credevo di star per impazzire. Il mio cuore si divertiva a fare l’acrobata, con tutte quelle piroette e i salti che faceva, facendomi venire quasi un infarto. Si innalzava in volo come un trapezista che girando su stesso perdeva la cognizione del tempo e del luogo in cui si trovava, dimenticandosi di trovarsi in aria, e si aggrappa con veemenza e con grazia al suo obbiettivo, quello per cui aveva rischiato la vita buttandosi.
Ma i trapezisti non avevano delle corde di sicurezza, per dire?
Scossi la testa riportandomi alla realtà e ancora immersa nella mia metafora, iniziai a dirigermi con calma verso la finestra, cercando di ricordarmi come si camminasse.
Un piede avanti, appoggia il tallone, posa il resto della pianta –rimani in equilibrio, fai un respiro- ripeti l’operazione con l'altro piede. Ringraziai anche Dio in quel momento per averci creato solo due piedi. Uno in più e sarei sicuramente inciampata. Davanti a lui.
Davanti a Damon.
Sbuffando cercai di accelerare l’andamento. Erano solo cinque passi, ed ero anche convinta di averli fatti in pochi secondi, eppure a me pareva di averci impiegato secoli. Arrivata alla finestra capii il perché: avevo trattenuto il respiro per tutto il tempo. Oddio, avevo dimenticato anche a respirare?
Un respiro, due, tre.
“Mantieni la calma.” Era diventato il mio mantra in quei pochi minuti.
Cercando di evitare di guardare l’uccello in cui Damon era solito trasformarsi, occupai la mente a ricordare come far scattare il meccanismo per aprire la finestra. Giusto sì..dunque, schiaccia il pulsante..con più forza Elena suvvia.. no così troppa… dannazione, spaccare il vetro no?!
Damon mi guardava con il capo inclinato.
Cioè il corvo.
Cioè Damon.
Oddio, basta. Il solo ricordo del volto di Damon mi fece rabbrividire, non di disprezzo, ma di puro piacere. Era così bello. Non lui, cioè sì lui, insomma, i suoi occhi. I suoi occhi. Chiudendo un attimo i miei, potevo ancora percepire le sue iridi dal colore di un cielo d’estate, senza una nuvola, rischiarato dai raggi del sole. Quel cielo che a seconda dei sentimenti poteva diventare ancora più intenso, quasi quanto un colore in tempera liquida. Mi sarebbe piaciuto poterli dipingere. Magari una volta, chissà.
Elena: devi aprire la finestra.
Ah sì, giusto.
Con qualche strano movimento non controllato della mia mano riuscii ad aprire finalmente quella dannata ala di vetro e, complimentandomi con me stessa allo stesso tempo, feci entrare il volatile. Cioè Damon. Okay basta. Dovevo ufficialmente smettere di pensare.
  Mi voltai immediatamente chiudendo gli occhi e inspirando profondamente. Dovevo solo usare la solita maschera di ghiaccio che indossavo solo in sua presenza. Cercare di far finta che lui mi fosse totalmente indifferente mi provocava un immenso dolore, qui, proprio all’altezza del petto, nel cuore. Ma come poteva essermi entrato così tanto sotto la pelle da non poter più fare a meno del suo odore, delle sue carezze, della sua ironia e anche dei suoi modi di fare? Anche quelli impulsivi intendo. Quelli che fino a poco tempo prima detestavo con tutta me stessa, ora riuscivo anche a più che sopportarli. Avevo imparato ad accettare Damon così com’era e, ironia della sorte, avevo anche scoperto che mi piaceva più così rispetto a quello che avevo cercato di trasformare in assenza di Stefan.
Stefan. Improvvisamente il ciondolo che avevo al collo cominciò a pesare.
“Avevi qualche problema spastico alle mani stamattina?”
Sospirai. Quell’insolente, maledetto, vampiro… ‘Magari se la smettessi di starmi vicino e di influenzarmi riuscirei anche ad avere una vita normale. Sai, una di quelle in cui il protagonista riesce perfettamente a mangiare, bere, dormire, respirare senza dimenticare temporaneamente come si faccia!’ avrei voluto gridargli, ma quando mi voltai e trovai il suo petto rivestito dalla sua inseparabile giacca di pelle, mi dimenticai nuovamente come si espirasse. Il suo profumo mi investì come un treno in corsa. Uno strano miscuglio di acqua di colonia, di pulito.. di lui…di…Damon. “Respira Elena, non ti mangio mica!”
‘Ah sì, grazie per l’informazione, volevo sapere proprio questo!’ maledetta vocina nella mia testa. Non aveva proprio intenzione di zittirsi oggi. ‘Forse se tu gli dicessi tutto non avresti di che rimproverarti!’
“basta!” dissi ad alta voce a me stessa senza accorgermene. Oddio, avevo parlato davvero ad alta voce? Come ci ero riuscita?!
“Basta cosa,Elena?”pronunciando quella domanda aveva aggrottato la fronte in quel modo sexy che solo lui sapeva fare.
Oddio, ma perché faccio questi tipi di pensieri?
 Quanto mi sarebbe piaciuto… “Ehm, niente. Basta… bastava aspettare un attimo. Non sto molto bene, stamattina.” Mentre cercavo di salvarmi in qualche modo, trovai un’ottima domanda per spostare l’attenzione via da me. “Tu perché sei qui invece? Non potevi startene a casa a dormire?”
Acidona. 1 a 0 per Elena. Doh!
“..Elena mi stai preoccupando. Stai davvero male allora. Non è che…”
“Non è che cosa?”
“Non è che, sai… sei vicina al tuo periodo?”
Ahi.  Uno pari.
Inorridita da quella insolente domanda, cercai di mostrare disprezzo, anche se avrei voluto dimostrargli quanto fosse sbagliata la sua supposizione.
E suvvia Elena, datti un contegno!!
“Quanto sei simpatico stamattina Damon, davvero! E ovviamente sei sempre il solito gentiluomo!” cercando di metterci quanto odio possibile avessi in corpo, la mia battutina era uscita in voce vellutata, calda. Come se volessi dirgli tutte le cose più dolci del mondo, ma non quella constatazione.
Perché era una constatazione la mia. Un dato di fatto. Damon non era sempre gentile e attento a non ferire i sentimenti come suo fratello, era diretto. Se pensava una cosa la diceva, senza giri di parole. Era uno degli  aspetti che più apprezzavo di lui. “Comunque..”cercai di continuare, controllando i battiti del mio cuore e accertandomi di avere un ciclo di respirazione completa “Non hai risposto alla mia domanda: che cosa ci fai qui.”
“E’ sabato.” Disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Certo che sapevo che era sabato, ma che cosa importava?
“E allora?” cercai di assumere il tono più saccente che potessi usare per dissuaderlo ad intraprendere una vera e propria conversazione con me. Malgrado il mio impegno, ormai Damon ci aveva fatto l’abitudine.
“Beh, come ti ho detto è sabato! E tu non hai lezione –grazie al cielo- e io avevo intenzione di fare un giro in macchina. Sai, le solite cose che le persone normali fanno quando si annoiano.”
Lui? Normale lui? Avevo sentito bene? Oh no, era molto più che normale..
“Tu non sei una persona normale, Damon.” Avrei voluto che questa suonasse più come un insulto, o meglio un motivo per convincermi a non accettare il suo invito. Anche se lui non mi aveva invitato. Santo cielo, non ragionavo più.
“Che cosa hai detto? Io sono una persona normalissima che si è trasformata in un corvo per venire a chiedere a te un po’ della tua compagnia mentre ci facciamo un bel giro in macchina.” Dicendo ciò aveva allargato le braccia e aveva aggrottato ancora una volta la fronte, e aveva anche osato fare un passo verso di me. Adoravo la camminata di Damon. Era così sicura, come se lui fosse totalmente sicuro di dove stesse andando e che niente o nessuno era in grado di affrontarlo per impedirgli di fare quello che voleva. Gli si addiceva.
“Non lo so Damon… avrei molte cose da fare oggi… come studiare, andare a fare la spesa… sai… le cose normali che fanno le persone normali!”
Fu un attimo.
Senza accorgermene mi era venuto incontro, mi aveva sollevata e spinta contro il muro, con il solo intento di farmi il solletico. Risi di gusto per i primi minuti, mentre cercavo di allontanare invano le sue mani dai miei fianchi, ma in un momento di strana e audace baldanza le sue dita erano entrate a contatto con la mia pelle, sotto la maglietta. Era anche dicembre, ma in quel momento stavo morendo di caldo. La risata mi morì in gola nell’esatto momento in cui lui aveva smesso di darmi quelle amorevoli carezze e aveva iniziato ad accarezzarmi lentamente, sempre con amore, ma le sue mani erano cambiate. Ora si divertivano sui miei fianchi, a farli impazzire intendo, e dentro di me succedettero varie serie di emozioni. Dapprima i brividi accompagnati da delle guance rosse come il fuoco, poi il calore che dalle sue dita si irradiava verso ogni cellula del mio corpo, e infine le farfalle. Odiose, bellissime, farfalle nello stomaco. I miei occhi cercarono i suoi. Vi trovai due pozze di cielo fuso.
Il mio cielo fuso, pensai. Non mi rimproverai in quel momento, anzi, tirai via la mia maschera e la buttai in un angolo remoto della mia mente, e lasciai che anche le mie iridi esprimessero tutto il loro sentimento.
Era in momenti come questi, tra l’imbarazzo e le parole non dette, che mi ero innamorata impercettibilmente di lui. Quando mi era accanto e mi sfiorava, il resto non contava; le sue parole potevano essere incredibilmente dolci ed aiutarmi a superare i momenti più bui, ma quelle non dette…quelle che il suo cuore lasciava gridare ai suoi occhi, mi facevano sciogliere, ed amarlo sempre di più. A volte mi sembrava strano non chiedermi che cosa ci fosse tra me e lui. Amicizia? No, eravamo molto più che amici. Migliori amici? Forse. Il fatto era che con lui ero me stessa, ed ero in pace con il mondo, accanto a lui. E lui provava i miei stessi sentimenti? Li avrebbe accettati e corrisposti, se glieli avessi confessati? L’immagine di un volto più ovale del suo con una chioma castana mi fece piombare a terra. Stefan. Lui era il mio amore, lui era quello giusto, lui… io li amavo entrambi. In quel momento, mi venne in mente un consiglio datomi da Katherine: Va bene amarli entrambi; io l’ho fatto. Il mio unico problema? Io non ero Katherine. Non potevo minimamente assomigliarle –caratterialmente parlando, ovviamente-… O forse mi sbagliavo?
Damon mi baciò un angolo dello zigomo destro, soffiandomi sul viso. Come potevo pretendere di controllarmi quando lui si comportava in maniere del genere?!?
“Allora, vieni?”
Chiusi gli occhi. Dovevo decidere. Me o Stefan? Andarci o no? Sì o no?
Al diavolo.
“Sì” sussurrai con voce flebile. Annuii, per convincere me stessa a stare bene per un po’ di tempo. Chissà- magari questa uscita mi avrebbe schiarito le idee.
Damon mi baciò l’altro zigomo, e potevo essere sicura di aver percepito un suo sorriso sulla mia pelle. Cercai di non svenire al tocco delle sue labbra e istintivamente chiusi le mie, come se ciò potesse proteggermi.
“Ti vengo a prendere tra poco. Tu preparati. Ah ed Elena…grazie.”
Annuii ancora una volta abbandonandomi al suo mezzo abbraccio, cercando di imprimermi bene la sensazione del suo palmo contro la mia pelle, e poi mi lasciò lì, contro quella parete che avrebbe custodito segretamente quel piccolo incontro, e io mi lasciai scivolare giù, per terra. Dovevo resistere.
Con un sorriso enorme stampato in faccia mi alzai e cercai di non pensare alle conseguenze.
Cercai di reprimere le lacrime, ma anche stavolta non ci riuscii.
Ma questa volta erano diverse: queste erano lacrime di gioia.


 

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