A penny for your thoughts di Backyard Bottomslash (/viewuser.php?uid=158759)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
A penny
for your thoughts
Capitolo 1
Quinn Fabray aveva scelto di
dedicare la sua intera vita al lavoro.
Non aveva avuto figli, non
si era sposata, non aveva mai provato l'amore.
Una sorte piuttosto triste e
paradossale per chi l'amore lo scriveva.
A 16 anni, quando tutte le
sue amiche si erano innamorate, si era sentita esclusa e fuori luogo. A
20, al college, essere single e con il cuore libero le era parsa una
benedizione. A 26, quando il suo nome era finito per la prima volta tra
gli scaffali di una libreria si era sentita forte e indipendente. A 28,
quando, messa la parola fine al suo secondo romanzo, abbassò lo schermo
del computer e si voltò dall'altra parte del letto, trovarlo vuoto
scatenò un senso di tristezza e terrore che si riversò in un pianto
disperato.
Il giorno dopo si svegliò
con le guance ancora umide e un copricuscino rovinato dal mascara che
dimenticava sempre di togliere.
Quella mattina decise che
Quinn Fabray non avrebbe mai amato.
Mantenere la promessa non fu
più difficile che pronunciarla.
Volti e corpi si
susseguivano nella sua vita e nel suo letto.
Mai nel suo cuore.
Cambiò casa a 32 anni,
quando il suo terzo libro era ancora una bozza grezza e zeppa di
idiozie. Si disse che lo faceva per colpa di Miss Joyce, un'inquietante
vecchietta dalla maniacale passione per i nani da giardino e i
parcheggi impossibili, in realtà era colpa delle macchie di mascara che
non erano mai andate via da quella federa.
Quando fu pronta a
traslocare si sentì quasi disgustata all'idea che tutta la sua vita era
chiusa dentro degli scatoloni, contenuti nel retro di un camion ed
affidati ad un autista dai baffi troppo lunghi e i capelli troppo corti.
Aveva scoperto di avere
abbastanza soldi da potersi permettere un loft a SoHo e decise di
cedere alla corte di quel dannato cliché.
Giunta nel suo nuovo nido,
la prima cosa che fece fu bruciare quel copricuscino e sbarazzarsi
delle sue ceneri.
Si prese qualche giorno per
sé, per mettere nuovamente in ordine i suoi pensieri, per studiare la
zona, per godersi il paesaggio urbano e l'aria così piena di smog e
così priva dell'odore dell'odiosissima crostata alle fragole di Miss
Joyce.
New York era una benedizione!
****
New York era una maledizione!
Questo pensava mentre
l'orologio nel cruscotto le comunicava che erano passate due ore da
quando era rimasta imbottigliata nel traffico.
Di quel passo non avrebbe
raggiunto la sede della sua casa editrice prima di un'altra ora. Non
che smaniasse per rivedere le facce grige e poco stimolanti dei suoi
editori, ma l'idea di aver vissuto quell'inferno per nulla la frustrava
ancora di più.
Un'ora e mezza dopo
attraversò le porte dell'edificio.
Ne uscì 45 minuti dopo.
Un'espressione scura sul suo viso.
Non guidò per circa due
settimane, in seguito a quell'avvenimento.
La necessità di spostarsi
però si fece ugualmente sentire. E allora camminò, prese il tram, il
bus, evitò con maestria tutti i taxi e scoprì che poco più di un'ora di
metro la divideva dalla sede della casa editrice.
Improvvisamente spostarsi
non era più tanto difficile e tanto stressante.
Si consolò al pensiero che
alla prossima riunione avrebbe fatto valere le sue idee.
Più che altro si illuse.
****
Prendere la metro, una
mattina di tre settimane dopo, si rivelò un'impresa non da poco.
La sveglia non aveva fatto
il suo dovere e Quinn era scattata in piedi con quasi mezzora di
ritardo rispetto ai suoi piani. Per quella coincidenza, una volta,
avrebbe dato la colpa a Miss Joyce e ad uno dei suoi nani. Gongolo
probabilmente.
Arrivò alla fermata con le
guance rosse per lo sforzo e tre volantini nella mano destra. Neanche
ricordava quando le erano stati rifilati.
Nella metro si tenne ad uno
dei manici fino a quando il suo vagone non fu vuoto abbastanza da
permetterle di sedersi. Da quella posizione studiò un paio di
passeggeri, rabbrividendo davanti allo stereotipo del ragazzino di
buona famiglia che si finge uomo di strada. Le sue scarpe erano troppo
pulite e la collana che indossava troppo brillante per non provenire da
una famiglia benestante.
Si compiacque del suo
cinismo.
Finse di farlo.
In realtà morì un po' dentro.
Succedeva ogni giorno, ma,
dopotutto, poteva fingere che non fosse così, d'altronde al suo fianco
non c'era nessuno che se ne sarebbe accorto.
Fino a quando non fu più
così.
«Un penny per i suoi
pensieri.»
_________________________________________
Note:
Hi guys!
So che non vi interessa, ma, onestamente, trovare il modo di iniziare
le note è sempre un trauma.
Dunque, questo è il primo di quelli che saranno circa 3 capitoli. Tutti
saranno più o meno della stessa lunghezza e, nel caso in cui ve lo
stiate chiedendo, sì, avrei potuto unirli. Ci ho pensato, ho valutato,
ma non ho voluto farlo perché ho un’idea specifica e non si tratta di
una shot.
Un'ultima precisazione: il rating è momentaneamente verde, devo ancora
decidere se lo sarà effettivamente.
Detto questo, vi lascio i miei contatti Facebook,
Twitter e Ask e, se non l’avete fatto,
correte a leggere “Do you
remember the time?"
Alla prossima!
-BB
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
A penny
for your thoughts
Capitolo 2
Rachel
Berry era sempre riuscita in tutto.
La sua vita, seppur ancora relativamente breve, era stata un
susseguirsi di successi.
A 16 anni aveva incontrato quello che allora considerava l'amore della
sua vita. A 20 era riuscita a vincere lo showcase invernale che la
NYADA organizzava annualmente. A 26, dopo aver ottenuto il massimo dei
voti all'esame finale, aveva conquistato il suo primo ruolo off
Broadway. A 28, dopo un'ennesima meravigliosa esibizione, il suo nome
era stato menzionato sul New York Times.
L'articolo affermava che prima di morire, chiunque avrebbe dovuto
assistere ad una esibizione di Rachel Berry.
Quella mattina, la mattina dell'articolo, Rachel aveva avuto
l'impressione che persino il sole le stesse sorridendo.
Più tardi avrebbe imparato che anche il sole era in grado di ghignare,
maligno.
Più tardi avrebbe imparato che, esattamente come con le sue mani aveva
costruito il suo futuro, con esse avrebbe potuto distruggerlo.
A 32 anni, quelle mani avevano stretto la penna che segnava la fine
della sua storia d'amore.
Si dissero che lo facevano perché ormai troppo incompatibili.
A Rachel venne il dubbio che lo fossero sempre stati.
Semplicemente se avesse continuato a stare accanto a suo marito avrebbe
finito per odiarlo.
Traslocare significò cambiare vita.
Svegliarsi in un letto troppo grande per una sola persona la faceva
sentire triste, chiamare Kurt, la sera, prima di andare a dormire, la
faceva sentire patetica.
Impiegò qualche settimana per comprendere che ci vuole coraggio a
tornare ad essere soli dopo 16 anni. Iniziò a chiamare sempre meno Kurt
e a parlare sempre più con se stessa. Scoprì che la solitudine, dopo
così tanto tempo, non poteva spaventare più di quanto non potesse
emozionare.
Ringraziare mentalmente Finn fu automatico.
Alzare la cornetta e lasciarsi andare a parole mai pronunciate fu
ponderato.
E capì che aveva fatto bene quella mattina a firmare quei documenti.
Quella mattina aveva deciso che Rachel Berry non avrebbe mai odiato.
****
Odiava dover dare spiegazioni.
Soprattutto dal momento che
non aveva mai avuto una grande attitudine per le bugie. Probabilmente
il suo inconscio ancora credeva alla storia del naso che si allunga.
Per quale motivo le persone
avessero tanto paura di dire la verità non era mai riuscita a
comprenderlo.
Avrebbe voluto semplicemente
dire che no, quando aveva 11 anni ed era nella classe del professor
Gibson, il cane non aveva mangiato i suoi compiti. Avrebbe voluto
chiamarlo ora e confessargli che, a dirla tutta, lei un cane non
l'aveva neanche mai avuto.
Avrebbe voluto non dover
mentire quando aveva chiesto una giornata libera, ma, quando erano
giunte le domande e la richiesta di spiegazioni, si era resa conto di
non potersela cavare se non con una giustificazione standard.
E così i suoi papà le
avevano fatto una sorpresa ed avevano fatto un salto a New York. Gli
stessi papà che in quel momento si trovavano probabilmente alla
riunione settimanale del club di letteratura a Lima, in Ohio.
Non riuscì a mantenere un
sorriso trionfante quando, il giorno dopo, si svegliò presto.
Non lo trattenne neanche
quando salì su una metro a caso.
Perché il viaggio è
immensamente più bello quando non c'è una destinazione.
Avrebbe lasciato scegliere
al caso anche quella e, semmai non avesse trovato la sua fermata,
semmai la sua fermata non fosse neanche esistita, avrebbe continuato a
godersi il viaggio.
Quel giorno, per lei e solo
per lei, il tempo si sarebbe fermato e le avrebbe permesso di lanciare
una rapida occhiata alla vita degli altri.
E per la prima volta essere
invisibile non sembrava una prospettiva tanto orribile.
Al contrario allettante.
Mise piede su quella metro e
si rese conto di non aver mai realmente viaggiato prima.
Perché non avere una meta
non significava non avere un obbiettivo.
Perché la sua meta poteva
essere qualunque luogo e qualunque persona, ma fu quella donna dai
capelli biondi e l'aria di chi ha bisogno di comprare una nuova sveglia
perché quella vecchia non fa più il suo dovere.
«Un penny per i suoi
pensieri.»
Note:
Ecco a voi il secondo capitolo!
Non ho molto da dirvi se non
che spero abbiate colto tutte le analogie con il capitolo precedente e
tutte le contraddizioni presenti in questo.
Un grande grazie a chi ha
recensito o aggiunto questa storia tra le preferite/seguite/da
ricordare. Siete meravigliosi.
Vi ricordo che questo fine
settimana io e ManuKaikan pubblicheremo il nuovo capitolo di "Do you
remember the time?" e vi lascio i miei account: Facebook, Twitter, Ask.
A presto!
- BB
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
A
penny for your thoughts
Capitolo
3
Se fosse stata una
situazione normale, probabilmente avrebbe finto di parlare un'altra
lingua o di essere sorda.
Se fosse stata Miss Joyce a
porle quella domanda, le avrebbe risposto cortesemente, con un sorriso
che avrebbe fatto invidia a chiunque.
Poi, durante la notte,
avrebbe decapitato Gongolo.
Se la ragazza al suo fianco
non avesse avuto la voce più bella che avesse mai ascoltato, avrebbe
sputato fuori una risposta sarcastica.
A malapena riuscì a
blaterare un: «Mi scusi?» prima di venir abbagliata da un sorriso tanto
ampio quanto fuori luogo.
Si tenne per sé anche quella
considerazione.
In fondo era davvero un gran
bel sorriso.
«Mi sembrava particolarmente
assorta.»
«Lo ero.» Rispose con
sincerità.
Era sempre sincera con gli
sconosciuti. Se non altro, poteva dire che almeno qualcuno conoscesse
dei veri aspetti della sua personalità... Per lo meno fino a quando non
entrava in scena la curva dell'oblio e il vero volto di Quinn Fabray
finiva nel dimenticatoio.
«Sono spiacente di aver
interrotto i suoi pensieri.»
«No, non lo è.» Constatò
dopo aver studiato l'espressione della ragazza.
«No, non lo sono.»
Sconosciuti e sincerità:
vincente accoppiata!
«Sfacciata!» Commentò Quinn
in tono apertamente compiaciuto.
«Sincera.» Puntualizzò la
ragazza.
«Curiosa.» Giudicò con
sufficienza.
«Intraprendente.» Si vantò,
correggendola.
«Interessante...» Ebbe
l'ardire di lasciarsi sfuggire.
«Prego?»
Bingo!
«Sei interessante.» Ripeté
Quinn, senza mostrare la minima titubanza.
«Sei abituata a dare del tu
agli sconosciuti?»
«Solo a quelli
particolarmente intraprendenti.»
«Touchè.» Concesse,
arricciando le labbra e alzando gli occhi al cielo.
Un adorabile sorrisino fece
capolino sul viso di Quinn, ma lo contenne stringendo le labbra e
Rachel amò all'istante le piccole fossette che presero vita ai lati
della sua bocca.
E quella situazione fu
improvvisamente scomoda.
Rispondere ad improbabili
domande di una sconosciuta con altrettanto improbabili risposte andava
bene, fissare senza alcuna apparente ragione era imbarazzante.
«Credi nel destino...»
Quinn si fermò, dando alla
sconosciuta l'opportunità di essere la prima conoscente a godere della
sua sincerità.
«Rachel!»
E proprio quando credeva che
quella voce non potesse essere più bella, aveva pronunciato il suo
stesso nome ed era stata contraddetta.
«Rachel... Credi ci sia una
sorta di percorso per ognuno di noi, prefissato da una qualche entità
superiore?»
«Credo che troppo spesso ci
si perda nella ricerca di risposte piuttosto inutili. Non vorrei
sembrare impertinente, ma se anche fosse? Seppur esistesse un fatidico
piano superiore, questo ci renderebbe realmente meno artefici delle
nostre stesse azioni? Trovo che sia una prospettiva triste ed anche
alquanto riduttiva.»
«Rachel: sfacciata, curiosa,
interessante e logorroica.» Valutò Quinn, guadagnandosi un'occhiataccia
ed un ringhio da parte della ragazza. «Ma si tratta di una prospettiva
più che intrigante.» Le diede atto.
Un po' perché realmente lo
credeva, un po' perché non avrebbe avuto il coraggio di obbiettare.
Per essere una nanerottola
sapeva come terrorizzare le persone.
«Sarebbe carino se anche tu
ti presentassi.» Le fece notare Rachel, senza preoccuparsi di celare il
disappunto nel suo tono.
«Sarebbe carino che questa
metro arrivasse con qualche minuto di anticipo, sarebbe carino che
tutti coloro che hanno intenzione di entrare nel campo vitale di
qualcun altro usassero il deodorante o per lo meno il sapone, sarebbe
carino che la mia sveglia suonasse all'ora in cui è programmata per
farlo. Persino i tuoi occhi sarebbero carini al momento, se non li
stessi usando per incenerirmi.»
Silenzi imbarazzanti: mai
provocarli di spontanea volontà.
«Quinn...» Gliela
diede vinta.
«Piacere, Quinn.»
«Pensavo avessimo già
superato i convenevoli.» Insinuò con fare pungente.
Grazie a Dio esisteva ancora
chi semplicemente ignorava le stupidaggini che era in grado di tirar
fuori.
«Perché la domanda sul
destino?»
«Perché le persone si
scelgono.» Spiegò, mentre, ne era certa, il suo sopracciglio sinistro
si alzava irrimediabilmente. «Centinaia di volti scorrono davanti ai
nostri occhi, marciando verso l'anonimato. Un lago di visi dimenticati,
destinato ad ingrandirsi sempre più, fino a quando non entra in scena
l'eccezione. Tra tanti volti ce n'è uno che ricorderemo, che scegliamo
di voler ricordare. Tu mi hai scelto, volevo essere certa che ne fossi
consapevole.»
Una voce robotica annunciò
che la fermata di Quinn e, nel silenzio generato dalle sue ultime
parole, si alzò, dirigendosi verso le porte.
Non un saluto.
Non uno sguardo.
Non un gesto di cortesia.
«Nulla è così semplice come
sembra, né così complicato come crediamo.»
«Come?»
«È quello a cui stavo
pensando.»
__________________________
Note:
Hey there!
Perdonatemi se ho impiegato
un po' troppo tempo a realizzare questo nuovo capitolo, ma la
collaborazione con ManuKaikan mi ha risucchiata e non riuscivo a
scrivere altro. Spero comunque di aver soddisfatto le aspettative e di
non aver deluso nessuno.
Non ho molto da dirvi se non
che ringrazio tutti coloro che stanno dimostrando interesse nei
confronti di questa... cosa strana che onestamente non so neanche io
come classificare. Ovviamente vi invito a farmi sapere cosa ne pensate
e bon... Credo sia tutto.
Ci aggiorniamo presto!
- BB
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
A penny for your thoughts
Capitolo 4
Quinn Fabray aveva passato così
tanto tempo a credere che l'amore non facesse per lei, ad
autoconvincersi di non essere in grado di provare un sentimento simile
che, quando l'amore aveva bussato alla sua porta, lei aveva aperto, più
perché infastidita dal metaforico rumore del campanello che per altro,
e aveva annunciato, spazientita, che non c'era nulla che le servisse.
Alla fine la sua faccia era
finita sul retro di un nuovo libro: il terzo.
Quel gruppo di idioti,
altresì conosciuti come i suoi editori, erano riusciti a farle
pubblicare l'ennesimo libro.
Mesi e mesi di via vai.
Mesi e mesi di mezzi
pubblici.
Mesi e mesi alla ricerca di
un viso curioso, di una ragazza dal naso troppo grande e dagli evidenti
problemi di logorrea.
Se ne era scoperta
ossessionata.
Si era sorpresa a guardare
oltre i finestrini dei bus, nella debole speranza di riconoscere quella
figura nota in una ragazza che camminava sorseggiando un caffè, in una
che lasciava qualche dollaro agli artisti di strada, in una che
sbraitava contro un taxi che le aveva tagliato la strada.
Talvolta, nella sicurezza di
casa sua, aveva tentato di immaginare cosa stesse facendo in quel
momento, in che modo occupasse la sua vita, cosa, quel giorno, su
quella metro, l'aveva spinta a parlare con lei.
Lei che con le parole, se
non scritte, non ci sapeva proprio fare.
Se ne era accorta, più che
mai, quando le porte della metro si erano chiuse dietro quella banalità
che aveva lasciato come suo ultimo ricordo.
Ci pensava e ci ripensava.
Talvolta si malediceva.
Spesso sbuffava.
All'inizio aveva tentato di
correggere quella che stava diventando un'abitudine, se non addirittura
un vero e proprio vizio. Aveva mandato tutto al diavolo dopo poche
settimane e aveva ammesso a se stessa che sì, quella ricerca, per
quanto persa in partenza, la intrigava e la stimolava, e che i vizi
contribuivano in massima parte a rendere il saporaccio della vita
quantomeno gradevole. Ci volle un po' più di tempo per accettare che si
trattasse di un appiglio.
Non la trovò.
In nessun angolo di strada,
dietro nessuna vetrina, in nessun corpo, in nessun volto.
E guardare, settimana dopo
settimana, il sediolino vuoto accanto al suo fu più difficile.
E fare i conti con quella
porta che lei stessa aveva sbattuto fu più difficile.
Realizzò che quella giovane
donna, quella Rachel, le aveva dato ciò che le era sempre mancato: uno
scopo.
Che ne valesse o meno la
pena, quello che Quinn stava provando era l'agrodolce sapore
dell'attesa che precede la più instabile delle mete e la sua bocca
stava iniziando ad abituarsi ad esso.
Eppure non avrebbe saputo
distinguerne l'origine.
Che sapore aveva l'amore?
Sicuramente non di cucina
tailandese.
Detestava il cibo
tailandese, come detestava il proprietario del ristorante.
Probabilmente più di quanto non avesse mai detestato Miss Joyce e i
suoi nani da giardino. Nonostante questo, due giorni a settimana, il
locale all'angolo teneva prenotato per lei il tavolo accanto alla
vetrata.
Non perché fosse sadica. Non
più del minimo sindacale quantomeno.
Le piaceva il panorama.
Non esisteva, in città,
posto che avesse una vista migliore sul cartellone che pubblicizzava la
riapertura di Funny Girl.
Non esisteva, in città,
posto che avesse una vista migliore sul volto della nuova, sfacciata,
curiosa, interessante e logorroica beniamina di Broadway.
_____________________________________
Note:
Hi guys!
Dunque, credo proprio che il
prossimo sarà il capitolo conclusivo, quindi se stavate pensando di
festeggiare, questo è il momento opportuno.
Non ho molto altro da dire,
ma ci tenevo a fare un'unica precisazione per spiegare soprattutto il
cambiamento subito da Quinn: non credo nell'amore a prima vista, sono
dell'idea che sia un sentimento da coltivare, ma dal momento che
l'intera storia è di per sè un esperimento non credevo avrei mai avuto
occasione migliore.
Se avete ancora qualche
dubbio non esitate a chiedere su Facebook o su Ask.
Alla prossima!
-BB
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
A penny for your thoughts
Capitolo 5
Rachel Berry aveva passato così
tanto tempo ad aspettare il vero amore, ad attendere le farfalle nello
stomaco e il fiato rotto dalla passione, che, dopo averne testato una
scialba riproduzione, aveva iniziato a credere che avrebbe
semplicemente bussato alla sua porta e lei non si sarebbe dovuta
preoccupare se non di aprire in tempo con uno sguardo abbastanza carico
di emozione.
Alla fine la sua faccia era
finita sui cartelloni pubblicitari di tutta New York.
Alla fine il volto di Rachel
Berry era diventato il volto di Fanny Brice.
Niente più via vai... Beh,
perlomeno niente più mezzi pubblici.
Le avevano messo a
disposizione un autista. Non si trattava di una limousine, di “un'auto
di lusso” piuttosto, ci teneva a precisarlo.
Non amava ammetterlo, ma le
piaceva da matti essere una privilegiata. Se, però, avesse dovuto
trovare un aspetto negativo, l'altra faccia della medaglia, quella
faccia avrebbe avuto i lineamenti delicati, gli occhi di un colore
indefinibile e un sopracciglio davvero, davvero impertinente.
Se ne era scoperta
ossessionata.
E si sentiva ridicola
quando, ogni volta che il sipario si alzava, sfidava la luce dei
riflettori, pretendendo una risposta alle domande che si insinuavano in
lei ogni qualvolta abbassava le difese che si ergevano intorno alla sua
mente.
L'aveva vista su quei
cartelloni?
Si era ricordata di quella
donna che aveva giudicato estremamente insolente? Non era sicura che
avesse usato quella parola, ma era certa che l'avesse perlomeno pensata.
Era più salita su quella
metro? E se sì, si era mai guardata intorno alla ricerca di una figura,
di un volto, di lei?
A dirla tutta, non si era
nemmeno mai riuscita a spiegare cosa avesse scatenato la sua indole
invadente, quel giorno. Ne aveva attribuito la colpa a due labbra
troppo rosa per passare inosservate e ad un profumo di camomilla che le
era entrato dentro e non era uscito più.
Nemmeno dopo giorni.
Nemmeno dopo settimane.
Nemmeno quando aveva smesso
di tormentare la sua coscienza e aveva iniziato ad attribuire la
responsabilità di quel breve, stringato, confuso, strano, ma magnifico
dialogo allo stesso destino che Quinn aveva menzionato.
D'altra parte, non aveva
smesso di cercare.
Non aveva smesso di sperare
di essere ricordata.
Non aveva smesso di sperare
di essere trovata.
Perché come si può togliere
la speranza a qualcuno che ha lottato per i suoi sogni ancor prima di
iniziare a parlare?
Sì, Rachel Berry era
egocentrica, petulante, talvolta egoista e spesso sgradevole, ma era
armata di fede e caparbietà e già troppe volte aveva vinto le sue
battaglie per fallire proprio in quel caso.
Se c'era una cosa che non le
era mai mancata, era uno scopo.
E amava quell'agrodolce
sapore di sfida.
Amava la sensazione
dell'adrenalina che le pervadeva il corpo.
Amava prepararsi per quel
nuovo viaggio, per quella nuova, instabile meta.
Aveva la valigia pronta da
così tanto tempo che aveva persino dimenticato cosa ci fosse dentro.
E quell'incertezza le
piaceva.
E quell'incertezza la
logorava.
Ma non la uccideva.
Perché come si può togliere
la vita a qualcuno che l'ha appena abbracciata?
Terminò di struccarsi e si
guardò allo specchio, lasciandosi andare ad un sospiro. Stanco, eppure
felice, eppure vivo.
Si chiuse la porta del
camerino alle spalle e si strinse nel lungo cappotto mentre percorreva
il corridoio che l'avrebbe nuovamente sputata nel caos di quelle strade
grigie.
Non aveva programmato di
scontrarsi con del verde... e con dell'oro... e con quella tonalità di
rosa troppo particolare per passare inosservata.
Aveva programmato di sentire
il rumore di nocche che bussavano alla sua porta, aveva programmato di
aprire con il migliore dei suoi sorrisi, uno di quelli che a Lima
avevano lasciato interdetta più di una persona.
Ciò che non si aspettava era
di dover attraversare la soglia di quella porta, uscire, e con davvero
poca grazia capitolare tra le braccia di quell'amore che la guardava
con un sopracciglio alzato ed un ghigno pronto ad esplodere in
un'armoniosa risatina di scherno.
«Credo che tu mi debba un
penny, Miss Berry.»
___________________________________________
Note:
Anche se dopo un secolo e
mezzo, ecco a voi il capitolo conclusivo di questa mini, mini, ma
veramente mini long.
Come il secondo capitolo era
strettamente legato al primo da analogie e contrasti, anche questo lo è
con il capitolo precedente, ma se qualcosa vi ha lasciati perplessi, vi
ha fatto storcere il naso o semplicemente non vi è piaciuta, vi invito
a farmelo sapere: ogni commento, che si tratti di una critica o di un
complimento, è ben accetto.
Alla prossima!
- BB
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