Di Girasoli, Bossoli e Asfodeli

di Reagan_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Girasoli ***
Capitolo 2: *** Bossoli ***
Capitolo 3: *** Asfodeli ***



Capitolo 1
*** Girasoli ***




Di Girasoli, Bossoli e Asfodeli.

Primo Capitolo




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Girasoli





Maggio 2027-Londra



Si era svegliato improvvisamente e con il respiro affannoso. Con ancora gli occhi chiusi gettò un braccio verso l'altra parte del letto e rabbrividì al contatto con la piega liscia delle lenzuola e il tipico freddo di un giaciglio abbandonato.
Peter Miller aprì gli occhi e gemette disperato.
Non capiva come fosse possibile ritrovarsi improvvisamente solo e con la prospettiva di rimanerci a tempo indeterminato.
Era cresciuto in un famiglia numerosa che ora sembrava l'ombra di sé stessa, incolpando la guerra appena conclusa oppure la semplice crudeltà della vita, per le disgrazie che lo avevano colpito.
Pochi anni prima, però, si era ritrovato a sorridere di nuovo.
Era felice perché si era scontrato per caso con una donna speciale e se n'era scioccamente innamorato.
Non fu facile all'inizio, erano decisamente diversi e portavano sulle loro spalle dei passati complessi e pieni di dolore, ma alla fine ne erano usciti insieme e sommariamente felici.

Si voltò verso una foto che aveva messo sul suo comodino da alcuni giorni e si beò nell'osservare la genuina bellezza di sua moglie nel giorno delle loro nozze. Ricordava perfettamente il forte vento d'Inghilterra che aveva sollevano leggermente il suo vestito corto e quasi portato via i petali del bouquet, il suo timido sorriso e quel “sì” detto in francese, e gli sguardi pieni di diverse emozioni che si erano scambiati quella sera, seduti su un divanetto di una hall di un albergo qualunque.
Ma quei ricordi erano stati spazzati via da un incidente e una diagnosi inflessibile.




Peter percorse i corridoi del settimo piano del Georgia Grace Militar Hospital alle porte di Londra assaporando visioni di intimità degli altri degenti.
C'era chi fingeva di dormire dando le spalle alla porta aperta, chi fissava con occhi spenti il televisore e chi come sua moglie se ne stava seduto a guardare la pioggia battente dall'ampia finestra della stanza.
Il dottor Jovovich, grande esperto di traumi neurologici ed insignito delle maggiori onorificenze militari, aveva richiesto il giorno prima un colloquio nella sua spartana saletta privata.
Con una certa franchezza gli aveva strappato ogni speranza di tornare alla vita di tutti i giorni. Sua moglie aveva perso quasi ogni ricordo di lui e della loro vita. La memoria se n'era andata subito dopo aver sbattuto violentemente una parte del cranio mentre spingeva lontano un bambino imprudente e si lasciava investire da un'auto in folle velocità.
Un grande gesto di bontà che lui non riusciva a non condannare per avergli consegnato un futuro amaro.
Amnesia retrograda tendenzialmente lacunare.
Lui, che di mestiere usava prevalentemente le parole, aveva dovuto consultare vecchi dizionari e siti internet per comprenderne appieno la tragicità.
Nessun farmaco, nessuna terapia e nessuna operazione poteva restituirle i ricordi.
Le ossa erano guarite, le ferite si erano rimarginate, l'energia vitale era ritornata forte e decisa come un tempo, ma i ricordi si erano persi e lui non era che un'idea sbiadita.
Bussò debolmente e si avvicinò a lei che sembrava troppo assorta nel fissare la tipica pioggia inglese.
-Ciao Clémence.-
La donna si voltò pigramente e non incontrò il suo sguardo. Le sue dita cominciarono a tormentarsi in grembo e addentò il labbro inferiore, quel gesto che aveva visto mille volte in quegli ultimi anni lo intenerì e nello stesso momento lo colpì violentemente.
Quei piccoli gesti non gli appartenevano più, aveva perso il diritto di conoscerli.

-Dobbiamo andare. Sei stata dimessa.- l'avvertì lasciando su una sedia una piccola borsa che aprì. -Ti ho preso dei vestiti.-
Clémence gettò uno sguardo al suo pigiama e alla vestaglia appesa alla porta e cercò di ricordarsi se avessi uno stile o un colore preferito. Richiamò delle immagini, delle sensazioni, qualunque cosa, ma il suo cervello sembrò non registrare nessun comando. Scese dal letto, prese la borsa e si chiuse in bagno e mentre si vestiva, pianse.



Peter gettava continue e distratte occhiate alla moglie seduta di fianco a lui. L'auto scorreva silenziosa fra i sobborghi di una Londra
ingrigita dalla recente guerra, fu un sollievo sentirla parlare, anche se durò un paio di secondi.

Peter aveva commentato l'inutilità di due carri armati fermi di fronte al ponte con un accenno di timore e aveva sorriso quando lei lo aveva corretto.
-Si chiamano MBT.- disse automaticamente. Si sorrisero incerti per qualche secondo.
-Lo facciamo spesso, questo giochino.- le disse Peter mentre guidava e si addentrava in un delizioso ed ordinato complesso residenziale immerso nel verde.
-Ti correggo spesso?- domandò lei rendendosi conto di non ricordare nulla, nulla di quell'uomo che da giorni andava a dire in giro che era suo marito. Le aveva persino mostrato delle foto e delle carte, ma lei non era riuscita a nascondere lo sgomento di ritrovare il proprio volto così strano e diverso. Come se si trattasse della vita di una sorella gemella perduta di cui veniva a conoscenza solo ora.
-Mi correggi spesso, soprattutto nelle questioni militari.-le raccontò felice di essere utile a riempire quel libro vuoto che ora era la sua memoria. -Discutiamo regolarmente sull'utilità degli acronimi negli ambiti non operativi.-
Clémence annuì e voltò la testa per non essere obbligata a sorridergli.
Non lo ricordava. Non ricordava di averlo visto, di averlo baciato, sposato, parlato di questioni militari, figuriamoci le abitudini consolanti della vita coniugale!
Le sue mani cominciarono a tremare e sobbalzò quando sentì la sua mano, calda e liscia, stringere una delle sue vacillanti.
Avvampò e boccheggiò e con una certa difficoltà districò le sue dita dalla gentile presa.

Peter si diede mentalmente dell'idiota e con una certa angoscia parcheggiò di fronte alla loro casa. Una spaziosa villetta che suo padre aveva progettato quasi tre decenni prima e che era rimasta a lungo invenduta. Quando lui le aveva chiesto di sposarlo e Clémence, ancora restia, aveva accettato, si era guardato intorno alla ricerca di un piccolo nido per entrambi. E l'aveva ritrovata.

L'avevano ristrutturata insieme, ci avevano fatto l'amore fino allo sfinimento e avevano litigando fino a minacciare il divorzio, insomma, ci avevano vissuto.
-Bentornata, Clémence.- le disse aprendole la porta, pregando Dio di dargli un mano per affrontare tutto questo.



Clémence ricordava bene il suo nome, la sua data di nascita, qualche episodio della sua vita, soprattutto quelli legati all'infanzia passata in Bretagna, le estati in Toscana, i nomi e le professioni svolte da alcuni membri della sua famiglia e pezzi della guerra.
Quando un'infermiera con accento dell'Est le si era avvicinata giorni prima e aveva annusato un leggero odore di sigaretta, per alcuni minuti aveva rivissuto periodi della guerra. Rammentava il rumore metallico dei bossoli delle mitragliatrici che cadevano incessantemente l'uno sull'altro, i sorrisi sdentati di alcuni bambini in un campo profughi, gli ordini che venivano strillati e le sue mani intorpidite e ingiallite dalla nicotina che sfogliavano una cartina plastificata sotto la pioggia battente.
Da quelle poche informazioni che era riuscita a scucire da chi le stava intorno in ospedale, sapeva di essere stata un militare arrivata a un buon grado, ora spostata nella polizia inglese a causa di una grave carenza di personale.
Come e quando avesse incontrato quel ragazzo con i capelli rossicci e il viso slavato e del perché l'avesse sposato, rimanevano un mistero.
Appena entrata in casa, una villetta molto carina ma che non le diceva niente, Peter si avvicinò per aiutarla a far scivolare il soprabito lungo le spalle e il braccio ancora ingessato. Il tocco leggero delle sue mani sembravano forzatamente delicate.
Appese la giacca e la fissò con uno sguardo intristito e con una certa agitazione in corpo la precedette insistendo nel volerle mostrare la casa.
-Puoi per favore non parlare mentre me la fai vedere, potrebbe aiutarmi.- mentì Clémence. Non voleva sentire delle mille cene mangiate su quei tavoli, dei bicchieri che aveva comprato o a chi apparteneva la scelta del colore dei muri. Era già strano averlo costantemente intorno a sé, la sola idea di vederlo e sentirlo parlare ancora di quel “noi” a cui tanto sembrava tenere, la nauseava.
-Prima fatti dare questi.- disse lui cercando di nascondere l'amarezza di quella richiesta.
S'infilò in soggiorno e prese un grosso mazzo di girasoli.

-Sono i tuoi fiori preferiti. Mi hai detto che li hai sempre adorati perché ti ricordano delle estati con i tuoi in giro per l'Italia. Te li metto nel vaso.- raccontò Peter e si emozionò quando vide uno strano bagliore negli occhi chiari di Clémence.
Lei si avvicinò di un passo e li guardò con una certa attenzione.
Poi si scostò improvvisamente e decise che avrebbe curiosato per quella casa di cui aveva pagato parte del mutuo.
Si stupì della tanta luce presente nella casa che filtrava dalle grandi finestre, le librerie che circondavano molti muri, i colori caldi. I suoi piedi sapevano muoversi bene, segno che la memoria cinetica si era ben fissata nel suo cervello, notò alcune foto incorniate qua e là, ma decise di non badarci.
Si lasciò trasportare da un'infantile curiosità per la disposizione perfetta dei mobili, dei loro materiali, salì sulle scale, sperando di sbarazzarsi della sensazione di essere costantemente seguita, e perlustrò la loro camera da letto.
Era molto carina e grande. Tendeva al grigio con punte di colore sparse senza ordine. Si sedette sul letto e si tolse gli scarponcini e le calze, il fresco del copriletto contro la pianta del piede le piacque e rimase a lungo a guardarsi intorno, sperando di trovare un indizio qualunque.
Quando la testa cominciò a girarle si alzò e fuggì nella ordinata cabina armadio, si stupì, ma non seppe mai perché, nel notare degli abiti svolazzanti appesi e delle gonne pudiche e scure ben piegate. Il resto dell'abbigliamento era decisamente neutro: jeans scoloriti, maglioni con le trecce dai colori scuri o tenui, camicie, maglie da sport, reggiseni spartani, giacche scure e tante sciarpe.
Ne prese una e chiudendo l'armadio andò vicino allo specchio adiacente e la portò intorno al suo collo. Era una normale sciarpa cinerea a righe blu ed azzurre, notò che s'intonava con i suoi occhi grigi e si domandò se fosse il tipo di donna che tentava di coordinare il proprio guardaroba per esaltare qualche caratteristica fisica.
-Te l'ho regalato tre mesi fa per San Valentino. Risalta i tuoi occhi.-
Peter l'aveva osservata a lungo girare per la stanza ed guardare con una certa meticolosità il loro armadio. Quando lei si era infilata quella sciarpa, qualcosa lo aveva commosso. Forse, anche se lei non ne era consapevole, qualcosa ricordava.
-A dir la verità siamo andati nel Galles per un paio di giorni, tempo schifoso ma ci siamo divertiti.- raccontò, rimanendo alla porta della stanza, le braccia incrociate e lo sguardo rivolto verso di lei, ma assente. Clémence ne ebbe quasi paura.
-Siamo andati in questo piccolo ristorante sulla costa che servivano anche la tua marca preferita di birra francese,“Bière du Desert”. Ne hai bevuta un sacco, sai? Siamo stati bene in quei due giorni. Meditavamo di trascorrerci qualche giorno di vacanza ad agosto.-
Peter fermò il suo racconto sovrappensiero. Il medico aveva chiesto di non travolgerla di informazioni perché poteva non riuscire ad assorbirle con la stessa facilità di prima, le rivolse un timido sguardo e notò che aveva gli occhi ludici.
-Non me lo ricordo. Non me lo ricordo proprio. Non mi ricordo nulla.- balbettò sentendo le lacrime scorrere lungo le sue guance infuocate.
La sua stanza cominciò ad ondeggiare, i suoi occhi si chiusero e l'ultima cosa che percepì furono le forti braccia di Peter frenarle la corsa verso il pavimento.




Fa freddo, Clémence tira fuori il naso dalla stretta della sciarpa per inspirare quel forte odore di benzina, fuoco e morte e per un paio di secondi si distrae. Gli elicotteri procedono spediti e a bassa quota, l'orizzonte non è altro che un miscuglio di colori fosforescenti che segnano ai passivi spettatori la fine di altre vite. Le bombe si schiantano contro le case e il terreno con una regolarità spaventosa.
Di fianco a lei, in piedi ad osservare il declino del mondo, c'è un uomo dal sorriso sghembo.
-Non credo ne usciranno vivi.- le sussurra.
Clémence annuisce distratta. -Non credo che, alla fine, qualcuno di noi ne uscirà vivo.-
-E' la tua ultima missione?- le domandò.
Clémence si voltò a fissarlo, le dita che scorrevano febbrili lungo la lunga canna del fucile. -Sì, me ne vado a Parigi e poi forse in Inghilterra.-
Un'esplosione troppo ravvicinata li fece sobbalzare, i capi cominciarono a gridare ordini, ma loro due rimasero ad osservare la coltre di polvere che s'innalzava ed avvolgeva l'orizzonte.
-Allora auguri, forse ci rivedremo ancora.- disse l'uomo fissandola a lungo, per un attimo sembrò volersi avvicinare, ma le voltò le spalle e s'incamminò verso la sua postazione e Clémence rimase lì finché non decise che era venuto il momento di ubbidire agli ordini e cominciare ad avanzare con il suo carro armato.



Con gli occhi sbarrati e la bocca secca, Clémence si svegliò.
La mente ripercorreva stralci di quel sogno così vivido, il panico aveva bloccato ogni muscolo e l'emicrania le faceva lacrimare gli occhi. Cominciò a respirare lentamente cercando di riprendere il controllo di sé e solo allora si accorse che era sdraiata su un letto, in una stanza buia.
Sgranò gli occhi e si guardò intorno, tastando di lato riuscì a trovare una piccola lampada posta sul comodino e l'accese.
La stanza di cui aveva un ricordo vago venne illuminata e per un attimo si rese conto che non si trovava in una spoglia caserma o in un fatiscente bunker sudanese.
Sul suo stomaco era appoggiato il braccio pesante di Peter che si era addormentato al suo fianco e la cosa imbarazzò moltissimo Clémence che cercò di spostalo lontano da lei.
Ma Peter si mosse e si svegliò quasi del tutto.
-Scusa … -bofonchiò.
La donna notò che aveva un'aria adolescenziale mentre dormiva, come se ringiovanisse improvvisamente nel sonno.
Per un attimo si pentì di averlo svegliato.
Si domandò quante notti avevano passato l'uno nelle braccia dell'altro.
Peter stropicciò un occhio e si alzò a sedere. -Scusa, mi sono addormentato.-
-Sono svenuta, giusto?- domandò Clémence sfilando l'elastico con cui aveva legato i biondi capelli ore prima. Infilò le dita e li sparpagliò sulle spalle rilassate. Quel sonnellino forzato sembrava avesse giovato al suo corpo, ma la sua mente ne era uscita ammaccata.
-Sì, ti è già capitato altre volte in ospedale. Dicono che non sia grave e passerà.-
Peter le sorrise cercando di infonderle fiducia, le strinse una mano. Per lui era difficile limitarsi a una semplice stretta di mano, erano sempre stati una coppia molto fisica, cercavano costante conforto nel toccarsi, nell'amarsi in modo impetuoso e incontrollato.
Con il sesso eliminavano rancori e risolvevano litigi, con le effusioni rinsaldavano il loro amore. Non avevano bisogno di lunghi discorsi filosofici o spirituali.

Ma ora doveva limitarsi anche in questo.
Si alzò dal letto e si tolse il maglioncino che indossava. -Vado a dormire, domani devo andare a un incontro importante.- le disse mentre cercava il pantalone del suo pigiama. -Tornerò per pranzare con te e se vuoi nel pomeriggio possiamo uscire, fare quattro passi nel quartiere.-
Clémence annuì sopraffatta. -Come vuoi.-
La risposta venne accolta freddamente da Peter che la salutò cortese prima di annunciarle che avrebbe dormito nella stanza accanto. Uscì e chiuse la porta leggermente stizzito da sé stesso, per un attimo gli era sembrato di rivedere la sua Clémence.




La mattina dopo si comportarono in modo formale.
Peter le aveva preparato un'abbondante colazione che fu quasi del tutto ignorata dalla moglie che continuava a fissare il vaso con i girasoli.
Più di una volta cercò di attirare la sua attenzione, di scrollarla da quell'isolamento volontario.
Ma Clémence era troppo concentrata nell'osservare le diverse pieghe dei piccoli e fragili petali gialli dei girasoli, sentiva una strana connessione con quel fiore.
-Erano i fiori preferiti di maman. Io e papà li abbiamo colti in un campo poco lontano da casa quando siamo tornati dal cimitero e da allora, ogni volta che posso, li porto a casa.- mormorò Clémence assaporando quei pochi e frammentari ricordi. -La prima volta che ci siamo usciti insieme a cena, avevi in mano dei girasoli.-
Sul viso di Peter si allargò un genuino sorriso di sorpresa, non fece caso al bricco di latte che si era rovesciato e aggirò il tavolo e la raggiunse. La strinse a sé, le baciò la fronte e quei capelli bruciacchiati dal sole e non poté non azzardare ad un veloce quanto appassionato bacio su quelle labbra che tanto gli mancavano.
Si era ricordata di qualcosa, si era ricordata di loro, si era ricordata di lui.






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Questa storia ha partecipato al Contest: Het, Slash, FemSlash ... mi va bene tutto purché sia costruttivo di Sere-Channy.
Si è classificata prima ed ha vinto i premi:
-Premio Promessa: storia con linguaggio più forbito.
-Premio Originalità: alla storia più originale.
-Premio Impegno: alla storia in cui l'autore ha messo più impegno.
-Premio Love: alla storia d'amore più bella.

a. Fornitura lessico:5 /5
b. Uso parole e aggettivi 5/5
c. Correttezza lessico5 /5
d. Totale: 15/15

Gradimento personale:
a. Originalità 5/5
b. Elaborazione 4/5
c. Caratterizzazione personaggi 4/5
d. Totale:13 /15

Grammatica:
d. Morfologia5/5
e. Sintassi5 /5
f. Totale:10 /10

Extra:
d. uso del pacchetto:10 /10
e. attinenza al contest10 /10
f. totale: 20/20


Punti tolti: 1 (cambio pacchetto)
Punti premio/bonus/ocomelivoletechiamare: 2 (originalità e impegno)
errori: 1 (essendo errori di battitura non fanno media nella valutazione finale, ma vanno comunque calcolati)
Totale:59 /60


Bene, la storia mi piace. Si vede che hai messo tutta te stessa nella storia, hai usato il pacchetto perfettamente, l’uso del promt era molto originale, e anche la citazione era usata bene! Inoltre hai eseguito alla lettera ciò che era richiesto nel contest. Un eccellente lavoro se non fosse stato per gli errori di battitura, erano più o meno una decina, ma dato che erano errori di battitura (non di distrazione, non grammaticali…di battitura) ho preferito colcolarteli come 1 in totale. O meglio, avendo segnalato ogni errore come 0,1, il numero degli errori era 1,2, ma 0,2 punti contano poco, quindi ho preferito toglierli. Se non fosse stato per questi avresti preso un punto in più, ma il risultato è ottimo, la storia mi è piaciuta veramente tanto. Un’altra cosa che ti ha impedito di prendere il massimo è stato il cambio del pacchetto.





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Capitolo 2
*** Bossoli ***




Secondo Capitolo


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Bossoli
 




Giugno 2027-Londra






Peter si guardò sconsolato intorno e lasciò la sua valigetta sul tavolo.
La casa era perfettamente pulita e ordinata.
Non c'era più la normale confusione di prima, quella fatta di calzini introvabili, fogli di giornali e tazze di tè abbandonate qua e là.

Clémence si era trasformata in una casalinga perfetta. Si svegliava al mattino all'alba, gli cucinava colazione, pranzo e cena, si assicurava che lavorasse sempre con una tazza di caffè fumante vicino al computer. Lo aiutava persino con la la stesura finale del suo saggio e stirava le sue camicie con una precisione militare. Tutte cose che non aveva mai fatto prima, se non quando lui era malato o la minacciava di ritorsioni. Non lo prendeva in giro, non gli urlava mai contro e soprattutto non gli parlava.
Chiacchieravano poco e di cose come il tempo e le ultime notizie sui giornali.
Clémence aveva iniziato ad interessarsi al giardino, unica attività che l'aveva entusiasmata anche prima, e si dimenticava spesso e volentieri di lui e di quel “noi” sospeso nel tempo.
Ogni tanto Peter azzardava a un bacio sulla guancia, a una carezza gentile, a una parola dolce, ma la rigidità e la tristezza con cui lei lo guardava lo gelava quasi subito. Così aveva continuato a dormire nell'altra stanza, dandole tutto il tempo del mondo e scivolando in uno stato comatoso.
La vide rientrare dalla porta che dava sul giardino, con i guanti da giardino, un cappellino da baseball calato sulla testa.
-Ciao Peter.- gli disse con un tono allegro, si tolse le cuffie dalle orecchie e i guanti e gli indicò degli arbusti. -Ho sistemato i bossoli, ora sembrano delle siepe decenti, non trovi?-
Peter le sorrise gentile. -Sono venuti bene.-
-Già, credo siano venuti benissimo.-
Rimasero incerti e troppo vicini, Clémence si scostò e gli disse che sarebbe andata a farsi una doccia.
Salì due, tre gradini alla volta scomparendo frettolosamente dalla vista di Peter e si chiuse in bagno.
Era arrossita, lo sentiva dall'innaturale calore delle guance.
Non era la prima volta, in quel mese, che si ritrovava a fissarlo in modo non del tutto innocente.
Lo trovava molto attraente e desiderabile.
Alto, con i fianchi stretti, magro e con quei capelli quasi arancioni e quel viso ricoperto da curiose efelidi chiare.
Era un uomo bello, di una bellezza senza tempo.

Non capiva come mai i suo pensieri si spostassero così velocemente da quello che era suo marito a quell'uomo in divisa che stringeva lo stesso fucile che utilizzava lei di cui ricordava pochi ed inutili frammenti.
Era forse stata obbligata a sposarsi da strane circostanze?
Non le sembrava possibile, lui non era un uomo violento o capace di chissà quali ricatti. Si morse le labbra con forza e aprì il rubinetto dell'acqua gelata. Si tolse gli abiti sporchi di terriccio e s'infilò nella doccia, rabbrividendo per il freddo.
Lo faceva spesso.
Era rigenerante e l'aiutava a cancellare dalla pelle quelle strane sensazioni che provava e a cui non riusciva a dare un nome.
Aveva analizzato il più possibile i pochi ricordi che possedeva e alla fine si era ritrovata con nulla se non un paio d' informazioni irrilevanti e la certezza che pochi mesi dopo avrebbe dovuto ritornare a lavoro.
Come poteva lavorare se non si ricordava nemmeno un nome dei suoi compagni?
O i  casi più importanti?
Uscì dalla doccia più confusa di prima, s'infilò un paio di jeans e una maglia leggera per contrastare quel pomeriggio insolitamente caldo, raccolse i capelli bagnati in una coda floscia e scese di sotto, non prima di aver osservato a lungo l'unica porta della casa che era chiusa a chiave.
Più volte aveva chiesto le chiavi per pulirla e regolarmente Peter liquidava la faccenda come non necessaria, infondo era solo una stanzetta vuota, piena di scartoffie e gingilli del vecchio appartamento di quest'ultimo.
L'espressione nostalgica che aveva ogni volta che finiva per chiedere di quell'angolo di casa ancora chiuso la metteva a tacere ogni volta. Alla fine cosa ne poteva sapere lei?
Lei che a malapena ricordava il suo passato?




Peter si era tolto la giacca e aveva arrotolato le maniche della camicia.
Sorseggiò una birra e quando sentì i passi di Clémence la invitò a sedersi sui gradini del patio. La donna lo accontentò titubante e per la prima volta si sedette accanto a lui. Le loro spalle si toccavano, Peter poteva sentire il delizioso profumo di agrumi e notare il tenero rossore delle sue guance.
-E' venuto veramente bene.- le disse riferendosi ai bossoli appena sistemati.
Clémence lo fissò sorridendo. -E' venuto bene, ma non benissimo. Devo aver dimenticato delle nozioni … -
Peter scosse la testa mentre apriva una seconda birra. -Assolutamente no. Magari ti manca un po' di pratica, ma le nozioni te le ricordi.- gliela passò e per un secondo sentì le sue calde dita sfiorarlo. Rabbrividì e distolse lo sguardo.
-C'è qualcosa che devi dirmi?- domandò Clémence intuendo nei suoi gesti troppa finta disinvoltura.
Peter prese un lungo respiro. -Il cielo di oggi è sommerso interamente da un immenso tramonto rosso. Ti ho vista camminare da sola … d’ora in poi ti proteggerò.- recitò sovrappensiero. -E' con questa frase che due anni fa ti ho conquistato. Eravamo in un bar affollato dove molti soldati festeggiavano la prima licenza dopo anni di servizio. Tu suonavi il violino sul palco e quando sei scesa mi hai fissato a lungo. O meglio, te ne stavi a fissare io che leggevo un manga in quel casino allucinante. Ti sei avvicinata e mi hai sorriso. E io ti ho letto la prima frase che avevo sotto gli occhi.-
Clémence sorrise e si morse un labbro allegra, le piaceva la storia e in qualche modo la sentiva sua. -Sei sicuro che tu mi abbia conquistato con una semplice frase?-
Peter ridacchiò e posò la sua seconda bottiglia a terra. -Abbiamo fatto sesso quella sera stessa. In un vicolo buio di Parigi e mi hai accompagnato alla stazione per prendere il treno verso Calais. Ti ho mandato una cartolina qualche giorno dopo con il mio indirizzo e il giorno del mio compleanno tu eri a Soho.-
Per qualche motivo a Clémence non piacque quella strana sensazione che le stava attorcigliando lo stomaco, strinse le braccia intorno alle ginocchia e chiese a Peter di continuare il suo racconto.
-E' successo tutto molto in fretta. Abbiamo iniziato a convivere fin dal primo giorno e mi ricordo di essermi preso un colpo quando ti ho vista in cucina a pulire la tua pistola.- Clémence ridacchiò e Peter le sistemò una ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio. -Le prime settimane scivolarono via e ci siamo accorti di … - s'interruppe e il suo volto perse ogni colore e ogni emozione. -Ci siamo accorti di essere innamorati, ci siamo sposati subito perché volevi che tuo padre partecipasse alla cerimonia, prima che la malattia  degenerasse. E' stato un matrimonio molto intimo.-
Peter tornò a guardarla con una certa insistenza. Sperò con tutto il suo cuore che Clémence non avesse intuito quella nota di dolore nelle sue parole. Lei lo fissava con una strana luce negli occhi, si avvicinò a lui e posò delicatamente le sue labbra sulla sua guancia, circondandogli il collo con le braccia.
-Merci.-
-E di cosa?-
-Di avermi aspettato.- Clémence lo baciò e a Peter non parve vero.
Dopo mesi risentiva le dolci labbra di sua moglie scorrere sulle sue.
Il suo corpo ammorbidito dal congedo le aveva regalato nuove curve, il suo profumo era intenso e mesi di astinenza e negazione lo stavano travolgendo.
Avrebbe voluto fermarsi e riprendere tutto molto più lentamente, ma Clémence era furiosa, sbrigativa e per nulla paziente, come la donna che aveva conosciuto anni prima. I loro vestiti crearono un divertente filo d'Arianna sparso per la casa, Peter la prese in braccio e per la prima volta la sentì ridere di cuore. Si chiusero in camera e non ne uscirono fino a notte fonda.




-Com'è stato?- chiese Clémence stiracchiandosi le braccia ancora non del tutto rinsaldate.
Peter le sorrise e s'infilò una maglia scura e dei boxer. -In che senso?-
-E' stato uguale a prima … Non sono cambiata … O peggiorata o che ne so … -
Peter chiuse la bocca e i pensieri di Clémence con un bacio. -E' sempre stato particolarmente intenso, oggi più di prima. Mi eri mancata.-
-Mi dispiace Peter. E' difficile … Collegare tutto. Niente sembra appartenermi.- sussurrò la donna.
Peter la prese fra le sue braccia e le baciò il capo. Poteva solamente immaginare i dubbi e i tormenti quotidiani di sua moglie, ma ora era felice e non aveva voglia di rovinare quella sensazione. -Devo assolutamente dormire, domani ti porto a cena fuori dai miei, mia sorella insiste da giorni.-
Clémence posò il capo sulla sua spalla serena e qualche minuto dopo, sprofondò in un sonno pesante.
Peter rimase a sveglio a lungo finché non uscì da quella stanza che sembrava soffocarlo con il suo grigio che di notte diventa più scuro e vagò un po' per la cucina e il soggiorno, bevendo una tazza di tè. Una volta assonnato decise di rientrare in camera, ma la stanza chiusa poco lontano dal bagno sembrava invitarlo dentro. Andò nel suo studio a prendere le chiavi, nascoste in una scatolina natalizia, e aprì la porta.
L'odore di chiuso lo colpì, chiuse delicatamente la porta e posò le sue mani sulla piccola culla in fondo alla stanzetta verniciata di giallo. Toccò il legno gelido, sfiorò le copertine ricamate e tentò di non fissare i pannolini messi in fila e il piccolo fasciatoio circondato da pupazzi. Il suo cuore fece strani balzi e le lacrime cominciarono a scendere copiosamente. Soffocò i violenti singhiozzi ma scivolò a terra, batté più volte la fronte contro la testata della culla e rimase lì, tremante e arrabbiato con sé stesso, con tutti e con Dio. Sapeva di giocare con il fuoco, nascondendo quella parte della loro vita, ma non voleva vederla distrutta com'era prima.
Si fece forza dandosi dell'idiota piagnucolone e chiuse la stanza all'alba.
Decise di fare qualche chilometro di corsa per tranquillizzarsi per cominciare una nuova giornata e forse una nuova vita con una Clémence meno fragile.




Quando aprì gli occhi, si chiese come mai fosse così rilassata e solo dopo qualche secondo la sua mente ricordò i baci febbrili e l'amplesso intenso e a tratti violento che aveva consumato l'altra sera.
Arrossì e si diede della sciocca, si voltò certa di trovarselo di fianco, ne aveva sentito a lungo la presenza la notte precedenza, ma non vi dormiva nessuno da molto tempo.

Pensò che probabilmente si era svegliato presto per fare jogging e cercò di non farsi prendere dalla delusione. Decise che avrebbe cucinato quell'orrida colazione all'inglese a cui lui era fin troppo abituato.
Quando scese in cucina, trovò sul piano di lavoro un vaso pieno di tulipani rossi e dopo molto tempo Clémence si sentì amata.







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Capitolo 3
*** Asfodeli ***


Terzo Capitolo


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Asfodeli


Luglio 2027-Londra




Doveva aspettarselo.
Non poteva filare tutto così liscio. Nelle ultime settimane aveva fatto di tutto per saldare quel fragile legame che li aveva uniti quasi all'improvviso e ogni volta che lei ricordava, quasi sempre fatti inutili, l'ansia lo prendeva.
Ma quando quella mattina tornò dalla sua corsa mattutina, rilassato e pronto per una giornata da passare scrivendo, trovò Clémence seduta nella stanza di quel loro figlio mai nato, gli occhi sbarrati e il petto ansante.
Non si accorse nemmeno della sua presenza finché non cercò di svincolare dalla sua presa.
-Stai lontano da me.- gli urlò spingendolo contro la porta. -Stai lontano da me, hai capito?- Peter si scostò, cercando di evitare i suoi colpi e ricordandosi solo di quanto le sue mani fossero forti ed addestrati per uccidere.
Lei si chiuse nella stanza e lui rimase ore seduto davanti, in attesa di trovare le parole per spiegarle il motivo di quell'omissione, ma più scavava e più si rendeva conto del suo egoismo.
Sarebbe stato facile ricominciare di nuovo, cancellando nel vero senso della parole il passato. Nessuna ferita sanguinante tra loro, solo qualche ricordo confuso.
Avrebbe potuto finalmente azzerare gli errori che aveva commesso in passato e condurre la vita che aveva sempre sognato, senza più dolore, senza più liti.
Sorrise amaramente ai suoi squallidi pensieri e le patetiche scuse che stava costruendo e si alzò, deciso a lasciare quella casa.





-Nascerà per la fine di aprile.- disse una dottoressa scribacchiando numeri e dati in una cartelletta gialla.
Peter le strinse la mano e accarezzò con le lacrime agli occhi il suo piccolo ventre rigonfio.
-Se non sbaglio i calcoli lo avete concepito per la fine di agosto, congratulazioni.-
il medico passò a Clémence una piccola serie di foto in bianco e nero e si dileguò dalla piccola stanza spoglia.
Il sorriso di Peter si congelò e le mani di Clémence tremarono.




Rovistò in tutta quella stanza per ore, non trovò nulla che l'aiutasse a ricordare.
Non c'era nemmeno una foto di quello che avrebbe dovuto essere suo figlio, solo una piccola cornice vuota.
L'improvvisa idea che suo figlio, un piccolo neonato, fosse morto ancora prima di nascere la sconvolse.
Scoppiò in un piano isterico e si lasciò scivolare a terra, mentre il suo cervello cominciava ad assimilare esigue informazioni e un forte mal di testa le fece venire la nausea. Quel piccolo ricordo si sovrappose a quel volto coperto di fumo che la sua mente continuava a rammentare.

Forse quella creatura innocente era frutto di una sbadataggine di un caso che aveva tentato di soffocare in ogni modo.
E il solo pensiero la travolse definitivamente.
Fu solamente quando la stanza divenne troppo buia e le lacrime si erano seccate lungo le guance che uscì e si diresse verso la cucina.
La casa era silenziosa ed evidentemente abbandonata, Clémence bevve una quantità spropositata di bicchieri d'acqua ma la sua gola rimaneva secca, passò alle bottiglie di birra inglese che scendeva corposa ed infine si gettò sullo champagne che aveva comprato giorni prima per festeggiare l'imminente compleanno di suo marito.
Paradossalmente bevve per dimenticare.






Per due lunghi giorni, Clémence non vide o sentì suo marito.
Dal suo armadio mancavano poche cose, una giacca, un paio di pantaloni, una valigetta, poche cose prese alla rinfusa. All'inizio non se ne preoccupò, era ben felice di crogiolarsi nel dolore privatamente, nello spazio di una casa che pensava di conoscere ma che rivelava antri oscuri e ricordi dolorosi.
Eppure dopo due giorni di lontananza, non poté iniziare a cercarlo.
Rovistò in giro per il quartiere, chiamò la sua famiglia provando a mantenere un tono disinvolto e dando colpa alla sua amnesia, bussò a casa del suo migliore amico e fece un salto dall'editore.
Si arrese tre giorni dopo e decise che non avrebbe sprecato altre energie.
Passò i giorni seguenti a letto, scossa da una forte nausea e di lancinanti mal di testa che l'allontanarono dall'alcool e l'avvicinarono sempre di più ai medicinali che tanto odiava.
Non si accorse, quasi una settimana dopo, di quel piccolo vaso in ceramica blu, posto accanto alla porta pieno di delicati fiori di asfodelo.
Sopra un piccolo biglietto che aprì con le mani tremanti e lesse con filo di voce.
-Rimpianto … -
Solo ore più tardi notò che non era altro che una cartolina della stazione nord di Parigi, una pugnalata spietata ai pochi ricordi degli inizi della loro storia.
Con le lacrime agli occhi cestinò il tutto.
I giorni che seguirono li trascorse prevalentemente fra il lavoro in giardino e un perenne senso di nausea e spossatezza che sembrava coglierla soprattutto di mattina, le ci vollero fin troppi giorni per rendersi conto che dentro di sé maturava da tempo una nuova vita.





Lasciarsi dietro le spalle l'afa di Parigi fu l'unico aspetto positivo di quel breve rientro.
Doveva ritirare il visto per uscire dall'Europa, prendere un paio di cose da casa e salutare definitivamente Clémence.
Sapeva che lei lo aveva cercato e la cosa l'aveva prima quasi commosso e poi gettato nel panico, cosa le avrebbe detto poi?
Che cosa sarebbe successo dopo tutto quello che aveva fatto?
Clémence non si sarebbe più potuta fidare di lui, così come non si era mai del tutto fidata delle sue intenzioni prima.
Infilò la mano fra i capelli rossi e posò la testa sul freddo vetro del treno, assaporò il veloce scorrere delle campagne inglese che venivano sostituite dai capannoni industriali.
Quando scese dal treno e s'incamminò lungo la banchina temette di essere impazzito.
Ferma ad aspettarlo c'era Clémence.
Peter deglutì incerto e si avvicinò.
-Ciao … -
-Sei un pezzo di merda.- sibilò Clémence a braccia incrociate. -Un deficiente di prima categoria. Avresti potuto anche lasciare un messaggio.-
Peter si grattò la testa e la guardò confuso. -Avresti veramente voluto sapere che stavo fuggendo?-
-Il problema non è nel voler sapere o non voler sapere, il problema sta nel fatto che hai deciso di non degnarmi nemmeno di una piccola spiegazione.- Clémence si morse il labbro agitata. -Mi sarei bevuta ogni tipo di scusa, perché a me non importava sapere le tue motivazioni ma cercare di capire com'era possibile che mi fossi completamente dimenticata di mio … - un singhiozzo bloccò le sue parole, gli occhi umidi e le spalle che le tremavano sconfissero ogni senso di colpa e la strinse fra le sue braccia.
-Figlio, nostro figlio … - completò lui, baciandole la testa.
Peter la cullò a lungo, riuscendo a mascherare perfettamente le sue di lacrime, e poi le propose di tornare a casa. Quel viaggio in macchina fu identico al loro primo ritorno dopo l'incidente.
Clémence si sedette sulle scale del patio e rifiutò il bicchiere di brandy.
Peter si sedette accanto a lei e lo fissò stranito.
-Perché? Stai male?- domandò disorientato Peter spostando il bicchiere.
-Ti spiegherò dopo.- gracchiò Clémence voltando lo sguardo e passando una mano sullo stomaco teso.
Il silenzio sceso tra loro era rotto dai rumori della strada e dal chiacchiericcio dei bambini che giocavano ancora per strada.
-Mi sono ricordata di alcune cose. Sono frammenti, mi ricordo di una visita da una ginecologa che non è stata così lieta e mi ricordo di te, in ginocchio che mi chiedi la mano. Sarebbero dei bellissimi ricordi se non fossero sciupati da una strana sensazione.-
Peter ascoltò con attenzione e rammarico, non avrebbe voluto parlare di quei giorni, ma fece un respiro profondo e cominciò a riportare in vita quei mesi difficili.
-Quando ci siamo conosciuti quella notte, era stato tutto fin troppo magico e perfetto e quando ti ho trovata davanti a casa con ancora la divisa militare e una custodia di violino in mano, ho capito di essere stato fortunato ad incontrarti. Tu, però, uscivi da una relazione burrascosa con un tuo collega e quando quella dottoressa ci disse che il bimbo era stato concepito alla fine d'agosto, sapevamo entrambi che le possibilità che fosse mio figlio, erano esigue.-
-Allora perché mi hai chiesto di … Sposarti?-
-Perché non volevo che tornassi da lui e che finissi … Sapevo di poter amare quel bambino ed ero certo di amarti.- Peter le prese una mano.-Doveva nascere in aprile...-
-Ma lo abbiamo perso a marzo.- sussurrò Clémence.-Aveva un adorabile ciuffo rosso. E le sue manine erano perfette.- Aveva lo sguardo puntato sul nulla. Sorrise al vuoto al ricordo sbiadito di quel viso rugoso e rosso di un bimbo troppo perfetto per quel mondo.
-Quando sei tornata a casa, tutto era cambiato. Non siamo riuscita a trovare un nostro equilibrio e tu ti eri messi in testa di rimanere incinta subito, nonostante io non fossi d'accordo. Ogni mese assaporavi la delusione, ogni giorno te ne stavi seduta qui, dopo il lavoro, per ore intere.-
Clémence asciugò le lacrime e per uno strano motivo le venne da ridere. -Non ti sembra strano che ora ci troviamo seduti proprio qui?-
Peter ridacchiò e le baciò il palmo della mano più volte. -Ero arrabbiato con te e allo stesso momento volevo proteggerti da te stessa. Mi dispiace per tutto, so che forse è troppo tardi … -
-Non c'è tempo per il rimpianto.- mormorò Clémence stringendo la sua mano e portandogliela lentamente sul suo ventre. -Abbiamo ancora speranza.-
Peter ci mise qualche secondo prima di aprirsi in un sorriso sincero e travolgendola con un abbraccio stritolante.
-Ti amo, ti amo, ti amo.-
Clémence sorrise e si allontanò di un millimetro. -Anch'io ti amo, lo ricordo e lo sento anche oggi.- gli baciò una guancia e avvampò all'idea di un nuovo futuro.


Note:
Voglio ringraziare tutti coloro che si sono prodigati nel commentare e nel leggere.
Un ringraziamento speciale a Sere che ha ideato il contest e grazie ancora al primo posto, non penso proprio di meritarmelo.
Alla prossima,
Reagan_

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