Una manciata di giorni

di boll11
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un venerdì ***
Capitolo 2: *** Di martedì ***
Capitolo 3: *** Sabato ***
Capitolo 4: *** Dannato lunedì ***
Capitolo 5: *** Dialogo di domenica ***
Capitolo 6: *** Epilogo del Mercoledì ***



Capitolo 1
*** Un venerdì ***


Alcune doverose notiziole: Ho scritto questa storia per la III Disfida di Criticoni.
L’ho scritta arrovellandomi e a pezzettini minuscoli ogni giorno.
L’ho scritta e cancellata e totalmente riscritta e ancora.
Ecco il risultato.
Una cosa è certa.
Per un tempo che reputerei quasi eterno non parteciperò più ad un concorso.
Troppa fatica ed io non ho più l’età.
Purtroppo dei sette prompt ne ho usati solo sei. La frase di Shaw proprio non mi andava giù.

Bando alle ciance e buona lettura.
Boll11
P.s. Per chi volesse sapere cosa o chi sono i Bi Bi, la risposta a fine storia. XD
E purtroppo, esistono! XD

In una manciata di giorni

Una storia di ordinaria amministrazione

Un venerdì

Mia moglie è una strana persona.
Un momento è lì che ride asciugandosi le lacrime e il momento dopo è seria da far spavento. Oppure è capace di scoppiare in lacrime per fesserie guardando Bianca e Bernie con la figlia.
Se le chiedo il motivo dà risposte oscure. Se dovessi indagare a fondo sui suoi cambi umorali penso che uscirei matto per cui soprassiedo, tanto lei non è sensibile alle mie occhiate o ai miei sarcasmi. Facile che ne rida, invece.

Oggi l’ho trovata inginocchiata nel mezzo del letto matrimoniale, immersa in un mare di panni, con lo sguardo vago e sperduto.
So quanto odi stirare, per questo ho pensato fosse in quello stato di catalessi incapace di affrontare quel po’ po’ di biancheria. Invece ha fissato lo sguardo su di me e mi ha fatto un sorriso enorme. Poi è scoppiata in lacrime mostrandomi la copertina gualcita di un libro.
“Questo pezzo mi commuove sempre…”, ha detto tra le lacrime e le risate. (Cosa possibilissima. Lei riesce anche in questo).
“Ma non dovevi stirare?”, le ho chiesto un po’ seccato.
Si è guardata intorno come se vedesse quel mucchio di roba per la prima volta e non riuscisse a capacitarsi che fosse lì.
“Ah, sì…”, mi ha risposto tranquilla. “Dopo.” E ha riaperto il libro.
La sua risposta è sempre: “Dopo.”
“Mi stiri la camicia?”, “Dopo.”; “Hai messo l’acqua per la pasta?”, “Dopo.”
“Cos’è? Vuoi che questa valanga di panni raggiunga il soffitto prima che decidi che sia ora?”
M’ha fatto un gesto seccato con la mano che non reggeva il libro senza alzare il viso dalle pagine.
“Zitto!… Devo finire questo brano.”
Non si può discutere con lei, è inutile.
Se ci provo mi ritrovo invischiato in un colloquio ai limiti del grottesco.
“Ma cazzo! Sei stata a casa tutto il giorno a far che? A leggere? Ne ho le palle tritate di te, dei tuoi libri, del computer e di questa casa di merda!”
Quando mi infurio divento una bestia, lo so.
Lei mi ha guardato come fossi un alieno.
“Spaventi Angela.”
Mia figlia era lì sulla porta con gli occhi spalancati e le manine a pugno. Ho abbassato il tono e le ho sorriso.
“Io e la mamma discutiamo.”, le ho detto. “Non preoccuparti, piccola.”
E’ rimasta zitta ed è strano per una bimba chiacchierona come lei.
“Vai di là, Angela. Vai a vedere le Winx…”
“Sì va bene, ma tu non gridare che poi mi fa male la testa.”
La mia bambina ha un modo tutto suo di farti sentire un verme.
Quando è uscita ho guardato mia moglie accigliato e lei mi ha sorriso posando il libro capovolto su un mucchio di mutande.
“E’ per via delle macchie.” Così ha detto.
“Cosa?”
“E’ per le macchie…”
“Quali macchie?”
“Tutte, tutte! Tutte le macchie!”
“Ma di cosa stai parlando?” Avevo il vago sospetto che stesse parlando di macchie difficili da eliminare da un vestito, ma non capivo cosa c’entrasse con il nostro discorso eppure lei aveva un viso serio serio.
“Sto parlando di me. Del perché riesco ad innervosirti così.”
Lei aveva già ripreso in mano il libro quando l’ho fermata per farle la domanda più ovvia: “E cosa c’entrano le macchie?”.
Ha sbuffato come se dovesse spiegarlo lei a me l’ovvio.
“Non le capisco e non riesco ad accettarle.”
“Ma di cosa cazzo stai parlando sant’iddio?” Mi stavo infuriando di nuovo.
“A partire da quelle cazzate che ti fanno vedere gli psicologi… Cosa ci vedi? Cosa cazzo vuoi che ci veda? Una macchia, Cristo! Cosa dovrebbe nascondere una macchia? Potrei azzardare ed essere più precisa. Una macchia d’inchiostro, unto, pomodoro, ma sempre macchia è…”
Mi stavo perdendo, e quando lei se ne esce con queste sue teorie a me sbollisce tutta l’ira. Cerco davvero di seguirla e di capirne il senso, ma non ci riesco.
E ad un tratto si è messa a piangere e la voce le usciva flebile e spezzata.
“Odio le macchie. Quelle degli psicologi non le capisco, quelle sui panni non vanno via, quelle in cucina e in bagno sono uno schifo… Per sentirmi felice dovrebbe esistere un mondo senza macchie!”
Ho lasciato che si calmasse prima di azzardare a chiederle di nuovo cosa c’entrasse questo con noi due.
Da dietro il libro mi ha risposto già distratta:
“E’ che tu credi di non averle mentre io so di averne troppe. Nel mondo ce ne sono tante, dovresti accettarlo anche se non le capisci.”
Ho rinunciato, ma mi ha lasciato in uno stato di profonda confusione.

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Capitolo 2
*** Di martedì ***


Di martedì

A volte mi chiedo se non sia io quello sbagliato, visto che lavoro tutto il giorno ed ho pochissimo tempo per lei e mia figlia.
Eppure il mio tempo libero è dedicato solo a mia moglie e a Angela, ma lei ha un diverso concetto dell’uso che se ne deve fare.
Per me la famiglia siamo io e loro due. Lei è capace di chiamare famiglia anche un cugino di terzo grado.
Ci sono giorni che sono stufo di lei, di questa sua famiglia, del mio lavoro e di quello che danno in televisione.
Ci sono giorni che vorrei non averla mai incontrata, così incongruente e lunatica e matta come un cavallo.
Ma ci sono anche momenti che è come se vedessi tutto al microscopio ed allora è quasi facile amarla ancora. Sono quelli in cui trova il tempo solo per me. La figlia è dai nonni, lei pulisce tutto il giorno come una folle e come se non facesse altro nella vita. Precisa e veloce tira a lucido ogni angolo della casa senza toccare neanche per un secondo il computer a cui pare legata da una sorta di amore profondo e duraturo, più di quello che dovrebbe avere per me.
Mentre lavoro mi porta il caffè, mi cucina il pranzo e si siede a guardarmi e ad ascoltarmi come se fossi l’unica persona al mondo, poi via di corsa alle faccende.
E la sera è tutta per noi, liberi dal vincolo della figlia che ha la brutta abitudine di svegliarsi senza preavviso nel pieno della notte.

Non facciamo sesso quanto vorrei. Se fosse per me lo farei ogni giorno, cosa che alla moglie non viene in mente neanche per sbaglio. Devo dire ad onor del vero che lei non è la tipa classica che se ne esce col solito mal di testa come scusa.
Lei mi guarda come fossi un vegetale e mi dice che non le va. Punto.
Non le va.
Non so se essere felice di questo suo modo diretto di affrontare le cose. Mi fa pensare che mi trovi meno appetibile di una rapa bianca e tutto ciò non fa bene al mio amor proprio anche perché per me lei è sempre appetibile.
Io la trovo bellissima, non posso farci nulla.
Per questo, le rare volte che riesco a strapparla dal suo mondo e a tirarla a viva forza nel mio, il cervello registra ogni particolare, anche il più insignificante.
Da come inarca la schiena gettando un’ombra scura sulle lenzuola sgualcite a come si sfrega le dita dei piedi tra loro nel momento dell’eccitazione, alle goccioline di sudore che sempre le compaiono sulla tempia sinistra, sempre e solo quella, a catturare la luce smorta dell’abatjour.
E tutto, in quei momenti, anche il più piccolo inutile e patetico particolare è come trasfigurato e a me pare un meraviglioso disegno.
E’ solo per quei secondi di delirio mistico che ancora rimango legato a lei a doppia mandata.
Non basta più amarla.
Forse non è mai bastato.

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Capitolo 3
*** Sabato ***


Sabato

I dream my painting, and then I paint my dream.
(Vincent Van Gogh)

Ho guardato l’orologio. Sono esattamente due ore e trentasette minuti che mia figlia parla ininterrottamente.
Quanto a discorsi pare la madre sputata. Passa da un argomento all’altro con una facilità che mi spiazza ed è frustrante non riuscire a starle dietro. Quando sono con lei mi sento continuamente uno stupido che fa domande stupide e dà risposte ancora più stupide.
“Facciamo che io sono la Signora Elisa, tu sei mio figlio Giorgio che stavi male che ti sei rotto un dito e ti è uscito il sangue dal braccio e che poi ti porto dal dottore e viene Riccardo Sartori e io sono Bloom e lui è Sky e tu facevi un bimbo nuovo e poi muori.”
Questi sono i discorsi di mia figlia. A me spaventano, come le sue oscure minaccie. “Io ti butto dalla finestra.” “Io non ti voglio più bene.” “Io cambio papà e me ne prendo uno più bravo.” “Se non mi metti le scarpe da signorina io piango per sempre!”
Angela è la bambina più bella e intelligente del mondo, anche se credo che la mia opinione sia di parte, ma sta diventando matta come sua madre e non so se riuscirei a reggerne due insieme.
Non sono riuscito a combinare nulla oggi, tra i suoi lamenti e le sue continue richieste e “Papà, mi metti i Bi Bi?”
“Cosa diavolo saranno?”, mi sono chiesto preoccupato. Non sono riuscito a seguire le sue vaghe e imprecise indicazioni su dove trovare questi fantomatici Bi Bi.
“Lui è il bimbo con la faccia quadrata!”, è stata la risposta di Angela.
“Ma dove sta?”
“Sulla televisione nuova. Lì.”
“Angela, devi essere più chiara!”
“Ma allora sei stupido!”
“Smettila subito o le prendi.”
“E io non ti voglio più bene…”
So che dovrei mantenere la calma, ma giuro che è difficile.
Sono preso dalla tentazione spasmodica di chiamare mia moglie impegnata in oscure pratiche dall’estetista e chiederle quando torna, perché deve tornare e al più presto altrimenti non combino nulla.
Guardo mia figlia con un cipiglio severo ma quella è insensibile quanto la madre lo è col mio sarcasmo e continua le sue incessanti lamentazioni.
Cedo.
Mentre aspetto che la moglie si degni di rispondere cerco di eliminare la vocetta stridula di Angela dal mio campo uditivo.
E’ come il suono del gesso sulla lavagna. Terrificante.
“Che vuoi?”
“Dove sei?”
“Dall’estetista.”
“Sto impazzendo.”
“Dai… sarò a casa fra due ore. Riesci a resistere?”
“Cosa sono i Bi Bi?”
“…è un cartone. Senti, devo lasciarti.”
“Aspetta, aspetta! Dove stanno?”
“Falla disegnare, amore. Vedrai che si scorderà di ogni altra cosa. A dopo.”
Click
Ha attaccato.
Mentre io ero lì a chiederle aiuto, la moglie ha attaccato.
Ho sviato lo sguardo dalla mia bambina e l’ho rivolto al mio lavoro trascurato, sentendomi solo abbandonato e patetico.
“Vuoi disegnare?”, ho chiesto ad Angela con un tono di pura disperazione.
Lei ha smesso di piagnucolare all’istante, mi ha teso le manine e con un sorriso ha bisbigliato:
“Dammi un foglio.”

Ed ora è lì a riempire fogli e fogli con la sua stramba immaginazione e quindi accosta rossi accecanti a un cupo nero in forme tonde e in segnacci aguzzi.
Fa chiome fluenti che arrivano fino ai piedi e gonne esagerate trapezoidali; alberi che nascondono un sole con occhi, lunghe ciglia e un sorriso ferino e persone, persone e persone. Centinaia.
E’ ipnotico guardarla disegnare. Con la testa china e un’attenzione quasi sacra per la perfezione di quello che vuole riuscire a trasmettere.
Ai suoi piedi vi sono palle accartocciate di fallimenti. E’ una bimba molto esigente e spietata. Basta un segnaccio su uno di quei fogli (come distinguere i segnacci voluti da quelli non voluti?) e via in terra senza pietà.
Guardarla è come spiare nel suo piccolo universo e c’è il rischio di rimanervi intrappolati.
Sono ore che la osservo e che disegno con lei grosse macchine e case dal tetto a punta subito sommerse dai suoi tratti a volte dolci a volte furiosi.
Non ho combinato assolutamente nulla.
La moglie! Lei e i suoi preziosi consigli! Ma quando torna a casa mi sente!

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Capitolo 4
*** Dannato lunedì ***


Dannato lunedì

Per quanto faccia, per quanto mi sforzi, per quanto tenti di capire lei, mia figlia, le loro esigenze tutto finisce sempre allo stesso modo.
Loro sono felici, io no.
E la cosa terribile è che non so perché.
Penso di sentirmi fagocitato dal loro personale modo di vivere che non è il mio.
Ci ho provato, giuro, ma non mi ci ritrovo.
Oramai mi saltano i nervi per ogni sciocchezza. Tutto diviene fonte di sofferenza e mi riesce difficile fare le più piccole cose.
Ogni aspetto di mia moglie mi è odioso, anche quel sorriso che amavo tanto o le sue stranezze di cui ridevamo insieme.
Lei mi accusa di non sapermi lasciar andare, che sono troppo pignolo, che di un bruscolo ne faccio una montagna, che sono severo nei giudizi…
Che non so vivere.

Forse è vero. Forse è vera ogni cosa.
O forse è che io e lei non siamo compatibili per quanto amore abbiamo provato l’uno per l’altra. Per quanto ancora ne provi.
Il risultato è lo stesso, mi sembra di stare scomparendo e non voglio.
Mi sento come uno di quei fogli che mia figlia getta in terra dopo averli accartocciati.
Per quanto li si possa spianare le pieghe rimangono, indelebili.
C’è una sola soluzione, lo so.
E’ inutile arrovellarsi.

E’ che raggiungere quella luce, aprire quella finestra mi fa una paura del diavolo.

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Capitolo 5
*** Dialogo di domenica ***


Dialogo di domenica

I loved you with a fire red
Now it's turning blue, and you say...
"Sorry" like the angel heaven let me think was you
But I'm afraid...
It's too late to apologize, it's too late
I said it's too late to apologize, it's too late
(Apologize - Timbaland)

“Me ne vado.”
“Cosa?”
“Perché non ti fermi e mi ascolti invece di girare come una trottola? Non voglio urlare per farmi sentire!”
“Se non te ne sei accorto sto sistemando casa…”
“Fermati un secondo.”
“Va bene, ok. Cosa volevi dirmi?”
“Me ne vado.”
“Dove?”
“Come dove?”
“Dove vai?”
“Via. Vado via!”
“Senti, ho tremila cose da fare e non ho tempo per i giochetti. Incontro di lavoro? Cena con gli amici? Dove cazzo devi andare?”
“Sei idiota o cosa? Ti lascio.”
“… Avvocato? Ancora?”
“E’ inutile che fai la sarcastica, questa volta faccio sul serio.”
“Certo. Beh, ciao.”

*****

“Non mi credi…”
“Come faccio a crederti? Mi hai minacciato talmente tante di quelle volte che il tutto m’è venuto a noia.”
“… Dimmi una cosa. Ti sei mai soffermata sul fatto che magari davo voce ad un malessere? Magari volevo che le cose cambiassero un po’. Giusto un briciolo, eh!”
“Smettila di fare il melodrammatico. Sei uno a cui piace fare la vittima.”
“E con questo che vuoi dire?”
“Solo quello che ho detto.”
“Beh lo dici sempre che sono un po’ tardo a capire, quindi spiegati!”
“Sei uno che si vuol fare compatire! Come un ragazzino che fa i capricci e batte i piedi in terra, che urla fino a farsi arrochire la voce, ma basta un abbraccio o una carezza per calmarlo.”
“E’ questo che pensi?”
“Sì, è questo. Appena le cose si fanno un po’ difficili ti prende il panico. Non hai palle ed io sono stufa di provare a farti vedere le cose secondo un’altra prospettiva. E’ l’ora che la finisci di fare il santo senza macchia e la vittima incompresa!”
“…”
“E non guardarmi così. Me l’hai chiesto tu di essere chiara.”
“Come puoi dire di amarmi?”
“Sei il papà di Angela. Basta questo.”

*****

“Stasera c’è la carne coi pomodori, ti sta bene?... Ah, ti sei arreso, allora. Ti sei arreso davvero.”
“Non basta.”
“Cosa?”
“Non mi basta essere il padre di nostra figlia. Io non ti catalogo così. Io non ti penso solo così.”
“Ero arrabbiata.”
“Non me ne frega un cazzo. So che non mi basta.”
“Scusami. Quando sono irritata straparlo.”
“Allora sei sempre irritata.”
“Ti ho chiesto scusa.”
“Mi ci pulisco il culo con le tue scuse.”
“Non andartene.”
“Credo che sia l’unica cosa di cui mi importi ora. Aprire quella porta e mandarti al diavolo!”
“E Angela? Metterai in pratica anche le minacce di strapparmela?”
“… No. Non sono così bastardo. Che fa ora?”
“Dorme.”
“Che le dirai?”
“Che sei partito, che altro?”
“Che le voglio bene, magari… E che verrò a trovarla spesso.”
“Non preoccuparti, quello lo sa. E non ti permetterò di farglielo dimenticare.”

*****

“Beh, allora ciao.”
“Ciao.”
“Sai, mi stai già un po’ più simpatica.”
“Sì, anche tu non sei male. Stai sorridendo. Dovresti sorridere sempre. Quando sei ingrugnato ti si forma una ruga orribile tra le sopracciglia.”
“Cercherò.”
“… Scusami ancora.”
“Te l’ho già detto. Non basta. Non più.”

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Capitolo 6
*** Epilogo del Mercoledì ***


Epilogo del mercoledì

Camminando camminando
anche nel dolore
e disprezzo e amore
fermarsi non si può
si va.
(Camminando camminando- Anna Oxa)

Ho telefonato a casa.
Mia moglie - Dio, quanto è difficile chiamarla ex! – mi ha passato Angela dopo un vivace saluto e una risata aperta, contagiosa.
“E’ papà”, l’ho sentita dire.
Angela mi ha chiesto per l’ennesima volta quando torno.
“Non torno, piccola”, le ho detto, “ma vengo a prenderti prestissimo.”
“Ah, va bene… Ciao, papà!” mi ha risposto, ed è corsa via.
Sono sempre così le telefonate con la figlia. Telegrafiche.
E’ troppo presa da tutto. Ha tanto da vedere, recepire, assorbire e far suo che penso non abbia ancora davvero compreso quello che è successo.
Quello che mi manca più di lei sono proprio le sue chiacchiere che tanto mi seccavano e a volte mi assale una nostalgia struggente di lei, di poterla tenere tra le braccia la sera per accompagnarla verso il sonno ed ascoltare i suoi piccoli segreti bisbigliati con la voce già remota di chi è lì lì per addormentarsi.
E qualche volta mi manca anche mia moglie e quei sorrisi che le illuminavano tutto il viso. Così rari per me, sempre pronti per Angela.
Eppure questa malinconia nasconde un sentimento di cui quasi mi vergogno.
E’ sollievo e alla fine quello che penso è che ne sono fuori, finalmente.



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Risponderò ai commenti a disfida ultimata e al mio ritorno dalle meritate vacanze, ma una cosa devo dirla subito: i Bi Bi li trovate a questo indirizzo:

Ecco i Bi bi

A presto.

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