L'amour toujours

di ely_trev
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La mia storia ***
Capitolo 3: *** "Ci siamo fatti anche molto male..." ***
Capitolo 4: *** "Segui l'istinto..." ***
Capitolo 5: *** In cerca di lei ***
Capitolo 6: *** Un'amara scoperta ***
Capitolo 7: *** Buone nuove ***
Capitolo 8: *** Il valore di una fotografia ***
Capitolo 9: *** Galveston ***
Capitolo 10: *** Sincerità ***
Capitolo 11: *** Insieme ***
Capitolo 12: *** Tranquillizzare gli amici ***
Capitolo 13: *** Intimità ***
Capitolo 14: *** Il primo giorno insieme ***
Capitolo 15: *** Amore ***
Capitolo 16: *** Un posto magico ***
Capitolo 17: *** Il ritorno ***
Capitolo 18: *** L'amica del cuore ***
Capitolo 19: *** Novità in vista ***
Capitolo 20: *** La scelta ***
Capitolo 21: *** "Io non mi opero!" ***
Capitolo 22: *** Rivelazioni ***
Capitolo 23: *** “È questo il motivo del tuo strano comportamento?” ***
Capitolo 24: *** "Io ti amo" ***
Capitolo 25: *** Adieu, mon CriCri d’amour ***
Capitolo 26: *** Soli ***
Capitolo 27: *** E' un cuore che batte... ***
Capitolo 28: *** Divisi siamo persi ***
Capitolo 29: *** Riflessioni ***
Capitolo 30: *** La verità ***
Capitolo 31: *** "Andrà tutto bene" ***
Capitolo 32: *** Una famiglia ***
Capitolo 33: *** Il giorno più lungo ***
Capitolo 34: *** "Le presento una persona" ***
Capitolo 35: *** Cosa è successo a Johanna? ***
Capitolo 36: *** Zoé ***
Capitolo 37: *** Papà canguro ***
Capitolo 38: *** La fine di un incubo? ***
Capitolo 39: *** Il peggio sembra essere passato ***
Capitolo 40: *** Un regalo di Natale ***
Capitolo 41: *** Il nuovo anno ***
Capitolo 42: *** Mamma canguro ***
Capitolo 43: *** Io e te ***
Capitolo 44: *** Nuova forza ***
Capitolo 45: *** Verso una nuova vita ***
Capitolo 46: *** A casa ***
Capitolo 47: *** La scelta ***
Capitolo 48: *** E vissero per sempre felici e contenti ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Era tutta la sera che pensava a lei, a Johanna, l’amore della sua gioventù, forse l’unico grande amore della sua vita.

Johanna aveva sempre avuto il potere di stravolgere la sua vita, sia nel bene che nel male. Era entrata come un ciclone nella sua esistenza e gli aveva portato tante gioie e anche qualche dolore. E lui, in fondo, aveva fatto altrettanto.

Ma, in fondo al suo cuore, lui sapeva bene di non aver mai smesso di amarla, fin da quel giorno di quasi vent’anni prima in cui lei, giovane donna appena conosciuta, ma intraprendente ed allegra, aveva osato prendere in mano le bacchette della sua batteria. Nessuno si era mai permesso un affronto simile, lui era troppo geloso della sua batteria. Per sfilarle dalle mani le bacchette, lui l’aveva avvolta in un abbraccio, che gli aveva fatto assaporare per la prima volta il profumo della sua Johanna.

Non l’avrebbe ammesso con nessuno, ma in quell’istante si era innamorato di quella folle straniera, che studiava nella sua città e che l’aveva soprannominato “mon CriCri d’amour”, alimentando l’irritante ilarità dei suoi amici, che si divertivano a prenderlo in giro. Lui, che, invece, nonostante la sua corporatura un po’ esile e la sua statura un po’ più bassa della media, si era sempre considerato un grand’uomo, un uomo che non doveva chiedere mai...

Faceva rabbia prima di tutto a se stesso il fatto di essersi innamorato profondamente e, forse per questo, si mostrava sempre un po’ sbruffone con lei, soprattutto quando erano in compagnia. Ma, quando voleva, quando erano soli, sapeva anche dimostrarle l’intensità dei suoi sentimenti.

Sì, l’aveva veramente amata, nonostante i reciproci tradimenti e nonostante gli innumerevoli addii, che non erano mai riusciti a restare definitivi.

Sì, l’amava ancora, ne era più che consapevole. Era bastata rivederla una volta, una sola volta, ed erano riaffiorati, con prepotenza, tutti i sentimenti che provava per lei.

Avevano parlato a lungo, si erano abbracciati, baciati.

Avevano fatto l’amore, come se il tempo non fosse mai passato. Era stato un rapporto tenero ma, allo stesso tempo, pieno di passione.

Per un momento, aveva avuto l’impressione che la vita non li avesse mai divisi e che la forza dei loro sentimenti avesse fatto in modo che appartenessero ancora uno all’altra.

Per un momento, mentre erano uno nelle braccia dell’altra, non era esistito nient’altro oltre a loro due.

Poi era ripartita e lui aveva dovuto subire l’ennesimo straziante addio.

Un penny per i tuoi pensieri, Christian”.

La voce della sua amica lo riportò alla realtà. Christian ebbe solo la forza di sollevare lo sguardo per incrociare quello di Angèle, la donna che negli ultimi sei anni aveva sempre cercato di essergli vicino; nonostante il tenero rapporto che li univa, entrambi sapevano bene che, tra loro, ci sarebbe sempre stata Johanna, un nome, un fantasma sempre presente nei pensieri di Christian. Angèle non conosceva niente di Johanna, se non il fatto che fosse stata un amore giovanile di quel ragazzo che tentava inutilmente di conquistare, di quel ragazzo che stava con lei solo perché non poteva stare con la sua vecchia fidanzata. Adesso ne era ben conscia: Christian avrebbe amato Johanna per tutta la vita. E la visita di quella mattina l’aveva certamente turbato.

Ma noi siamo in Francia, non in America! Mi pare di ricordare che non abbiamo penny...” scherzò Christian, facendo sorridere la sua amica.

Hai ragione. Però qualcosa mi dice che l’America ha a che vedere con il tuo stato d’animo... Mi sembra ovvio che stai pensando a Joahnna, Christian. Perché non mi racconti di lei? Non lo hai mai fatto; la conosco solo come una presenza importante del tuo passato, ma non mi hai mai voluto raccontare la vostra storia; invece, io sarei veramente curiosa di sapere da dove nasce un sentimento tanto profondo come quello che sicuramente vi lega”.

Christian guardò negli occhi quella donna tanto dolce e si sentì in colpa per non aver mai ricambiato la profondità del suo amore. Ma il suo amore, nel bene o nel male, era e sarebbe stato sempre per Joahnna.

È una storia molto lunga. E poi perché dovrei farti soffrire più di quanto tu non soffra già?

Perché sono convinta che ti farebbe bene parlarne e perché mi piacerebbe conoscere questa strepitosa Johanna, anche se solo dalle tue parole. Ormai ho capito che non posso competere con lei. Credo di averlo sempre saputo. Anche se me ne sono convinta solo oggi, guardandoti negli occhi, guardando la tua espressione dopo la sua partenza e guardandoti adesso, mentre continui a pensare a lei seduto su questo divano”.

Christian si abbandonò sui cuscini e, con la mente, tornò a quel giorno di tanti anni prima. Venti, per la precisione...

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Capitolo 2
*** La mia storia ***


Che dirti, Angèle? Davvero vuoi che ti racconti la mia storia?
Sì, Christian. Non solo perché - ti confesso - sono veramente curiosa di sapere qualcosa di più su di te e su di lei, ma anche perché penso che ti sarà di grande utilità: ti servirà a chiarire a te stesso quello che pensi”.
Il tono di Angèle era fermo e deciso e Christian, per la prima volta, decise di renderla realmente partecipe dei suoi sentimenti.
E va bene… Forse hai ragione... Tutto è cominciato più o meno venti anni fa, quando studiavo all’università insieme a Nicolas: un giorno, un giorno come tanti altri, mi trovavo in un bar proprio insieme a Nicolas e ad un altro amico, Etienne. Eravamo inseparabili, anche perché, oltre a studiare insieme, con la speranza che un giorno saremmo diventati famosi, avevamo anche formato un gruppo musicale, insieme a José. Ti ricordi che ti dissi che un tempo suonavo insieme a Nicolas ed a José, no?
Sì, certo”.
Bene. Quel giorno, nel bar, notammo una ragazza molto carina e... sai? Eravamo ragazzi... decidemmo di avvicinarla. Stranamente, lei non scappò urlando quando ci vide accerchiarla” scherzò “forse perché ci guardò in faccia e capì che eravamo soltanto un caotico trio di amici, magari un po’ fuori di testa, ma in fondo innocui... E anche perché penso che le piacesse essere corteggiata...” sorrise “Catherine - così si chiamava quella ragazza - quello stesso giorno ci presentò le sue compagne di studi: Hélène e, per l’appunto, Johanna. Bastò molto poco perché si formassero tre coppie: Hélène e Nicolas, Catherine ed Etienne ed... io, tra le grinfie di Johanna!” scherzò “Praticamente fu lei a scegliermi...”.
Christian continuò il suo racconto, spiegando alla sua amica che, a quei tempi, Johanna era una ragazza esplosiva, che quasi lo sopraffaceva anche fisicamente, che gli aveva affibbiato all’istante quell’orribile nomignolo - “mon CriCri d’amour” - e che, al contrario di lui, non si vergognava di mostrare in pubblico tutti i suoi sentimenti, dalla gioia alla tristezza, fino all’amore che immediatamente aveva provato per lui. Lo abbracciava di continuo, lo baciava, urlava a squarciagola che era innamorata… Nella fisicità delle sue effusioni, spesso arrivava perfino a farlo cadere per terra... E in mezzo alla gente, per giunta! Per Christian, tanta esuberanza era quasi inconcepibile e ne risultava effettivamente infastidito, anche se, in cuore suo, era anche lusingato da tanto sincero interesse. Ma avrebbe dovuto passare ancora del tempo, prima che potesse essere in grado di ammettere quelli che erano i suoi reali sentimenti, anche se qualcosa gli bruciava alla bocca dello stomaco ogni volta che la vedeva.
Sì, erano decisamente lontani i giorni in cui lui non era altro che uno studente un po’ smargiasso, capace solo di farsi grande a parole, per poi capitolare ogni volta che la sua folle Johanna lo stringeva tra le sue braccia. Oggi sorrideva al pensiero di quegli abbracci, che a volte tentava di evitare, e sognava di trovarsi ancora all’università per poter rubare nuovi baci, sfiorando quelle labbra sempre sorridenti. Perché Johanna era così: sempre allegra e sorridente. Se c’era qualcuno che riusciva a farla piangere, quello era proprio lui. Sì, lui riusciva a farla ridere di cuore, a farla commuovere e a farla piangere. E non erano state poche le occasioni in cui le aveva fatto versare fiumi di lacrime, a volte anche decisamente amare.
Non sono mai stato una persona a cui volere bene facilmente” continuò “Mi sono sempre comportato da presuntuoso e arrogante e, anche se credevo nell’amicizia per i miei compagni e nell’amore per Johanna, non c’era volta che non combinassi qualche guaio e che non finissi per comportarmi male con loro, anche quando volevo fare qualcosa di buono. Onestamente, non so come abbiano fatto a sopportarmi per tanto tempo”.
Non ti sottovalutare, Christian: per quanto tu possa essere una persona non facile da amare, credo proprio che i tuoi amici abbiano sempre saputo guardare dietro le apparenze. Altrimenti non sarebbero ancora tuoi amici dopo tanti anni. Ma ora vai avanti, raccontami di quel periodo”.
Christian ricordò il primo compleanno che Johanna festeggiò dopo il loro incontro, la prima occasione in cui Johanna pianse per lui, anche se, eccezionalmente, erano lacrime che non avevano ragione di essere. Con il desiderio di sorprenderla con un regalo sicuramente gradito ma al di sopra delle sue disponibilità economiche, infatti, Christian lavorò di nascosto per mettere da parte quanto necessario a comperarle un anello che era la copia esatta di quello che la nonna di Johanna era solita indossare e che a lei piaceva molto. Lo sbaglio, in quell’occasione, fu di non avvisare delle sue intenzioni nemmeno i suoi amici, che non sapevano più come giustificare i suoi ritardi e le sue assenze, tanto che Johanna si era fermamente convinta che lui avesse avuto una storia con un’altra donna.
E io ero talmente concentrato sul mio obiettivo da non essermi reso conto che, in quel momento, lei stava soffrendo. Anzi, ti dirò di più, sono riuscito a fare di meglio: sono riuscito a presentarmi alla cena che il gruppo aveva organizzato per festeggiare il compleanno, accompagnato da una ragazza e così...”.
Oh, mio Dio! Come ti è saltato in mente, Christian?
Mi guardarono tutti stupiti e credo che Hélène abbia avuto anche la tentazione di picchiarmi. Te la immagini Hélène, sempre così dolce e comprensiva, come la conosci tu, che comunica, indignata, che avevo superato tutti i limiti? La cosa bella fu che io ancora non avevo capito perché fossero tutti così arrabbiati con me. Poi guardai Johanna, che disse agli altri di calmarsi, che non c’era problema per la presenza della mia amica e che avremmo potuto cenare tutti insieme. Aveva gli occhi pieni di lacrime. Ho capito l’equivoco e mi sono affrettato a spiegare che quella ragazza non era lì per cenare insieme a noi, ma era la figlia del gioielliere che, gentilmente, mi aveva accompagnato per verificare l’esattezza della taglia. Poi consegnai l’anello a Johanna e le spiegai anche che, nei giorni precedenti, avevo lavorato di nascosto per poterle fare quella sorpresa”.
Accidenti! E Johanna?
Johanna fu molto contenta per il regalo, ma, soprattutto, fu felice di scoprire che non mi vedevo con nessun’altra ragazza”.
Lo immagino”.
Capitò anche un’altra volta che lavorai di nascosto per comperarle un orologio e, quella volta, prima di consegnarle il regalo, arrivai a litigare pesantemente con lei, il tutto per una stupidaggine: ero nervoso perché, mentre servivo al banco di un locale notturno, vidi la nostra amica Catherine, all’epoca fidanzata con il nostro compagno Etienne, in compagnia di un altro ragazzo. Questa volta fui io a pensar male e, per tutto il giorno successivo, senza dire apertamente ciò che avevo visto e pensando che le ragazze coprissero un tradimento di Catherine, continuai a fare allusioni sulla fedeltà di tutte. Tutto questo degenerò in una discussione tra me e Johanna, soprattutto dopo che commisi l’errore di ammettere davanti a lei di aver visto Catherine in un night-club insieme ad un altro, anche perché Johanna non era stupida e, dopo aver almeno cercato di rassicurarmi sulla fedeltà di Catherine, la prima cosa che mi chiese fu cosa che facessi io, in quel locale, alle tre del mattino. Pur di non ammettere che stavo lavorando per lei, continuai a sproloquiare sul fatto che le ragazze non potessero essere degne della nostra fiducia e dissi a Johanna che il motivo per il quale mi trovavo in quel night-club alle tre del mattino non era affar suo, che doveva smetterla di starmi così appiccicata, che mi stava soffocando e che avevo bisogno di aria per respirare. Lei si offese da morire e corse via piangendo”.
Ci credo, Christian. Come ti è saltato in mente di dirle certe cose? Poverina...
I miei amici la videro fuggire e cominciarono a dirmi che ero un cretino e che non avrei dovuto trattarla male, qualsiasi cosa mi fosse passato per la testa”.
Direi che avevano ragione, Christian”.
Sì, lo penso anch’io” ammise “ma ero troppo presuntuoso per pensarlo anche allora. Comunque, tentai di correrle dietro, senza riuscirci; finii per arrampicarmi alla sua finestra - sai? le regole dei dormitori dell’università vietavano a noi ragazzi di entrare nella camera delle ragazze e viceversa - e scoprire che, nella sua camera, c’era il giovanotto che la notte precedente stava insieme a Catherine”.
Cosa?
No, non ti agitare: è vero che il povero Cedric aveva una cotta per Catherine, ma è anche vero che, in quel momento, era solo e stava soltanto ridipingendo le pareti. La cosa bella fu che io ero talmente preso dai miei pensieri negativi che non mi sono nemmeno accorto che la stanza era letteralmente sottosopra e che lui non stava facendo altro che armeggiare con vernici e pennelli; per me, invece, lui era soltanto un traditore che andava punito. Ma, mentre io aggredivo quel poveretto, Johanna aveva raggiunto Hélène e Catherine, che, nel frattempo, si erano spiegate con Nicolas ed Etienne. Il gruppo ci raggiunse giusto in tempo per evitare che ci picchiassimo. In quel momento, capii che, effettivamente, i miei amici avevano ragione: avevo esagerato sotto tutti i punti di vista. Ma io ero sempre Christian e Christian non si poteva smentire: di fatto, consegnai l’orologio a Johanna quasi come se fosse un conto che dovevo saldare, anche se poi mi feci accompagnare nel corridoio solo per darle, al riparo da occhi indiscreti, quel bacio che, in fondo, credo desiderassimo entrambi”.
Ma i vostri amici, naturalmente, avevano capito tutto?
“Certo che sì! Non persero neanche l’occasione per affacciarsi sulla porta della camera e cogliere il nostro scambio di effusioni”.
Risero entrambi.
Mi stai descrivendo un Christian che non conosco”.
E, io direi, che colleziona una figuraccia dietro l’altra” scherzò.
Sì, però, i suoi veri sentimenti si vedono e affiorano sempre”.
Christian sorrise: gli venne in mente quella volta in cui programmò un weekend romantico insieme a Johanna, che finì per andare a monte perché Johanna si ammalò di morbillo.
Sai cosa feci in quella occasione?
No, cosa?
Dal momento che le sue compagne di stanza la lasciarono sola per evitare il contagio, decisi di arrampicarmi alla sua finestra e mi presentai da lei, all’insaputa di tutti, che mi pensavano in giro a godermi due giorni di libertà. Johanna non voleva farsi vedere con il viso pieno di bolle e mi aprì la finestra con un cappello in testa e una bandana che le copriva l’intero viso, lasciandole scoperti solo gli occhi. Allora, tentò in tutti i modi di convincermi ad andare via perché, così conciata, si sentiva brutta; io, però avevo voglia di stare con lei e, per quanto il suo aspetto fosse terribile, avevo deciso che avremmo passato il weekend insieme. Naturalmente, per non smentirmi, di nascosto da tutti gli altri...
Ovvio... Allora, lo vedi che sapevi dimostrare i tuoi sentimenti? Lei fu contenta della tua compagnia, no?
Sì, certo. Per non deludermi, non disse neanche niente alle sue amiche, che si sentivano un po’ in colpa per averla lasciata da sola. Almeno fino a quando...” Christian si mise a ridere “...non videro, qualche giorno dopo, spuntare sulla mia faccia delle bolle tanto simili a quelle che aveva avuto Johanna”.
Anche Angèle scoppiò a ridere: “No, non dirmi che ti sei preso il morbillo!
Christian annuì: “Credevo di averlo già avuto e invece mi sbagliavo. E mi sono contagiato”.
E così tutti hanno capito che avevi passato il fine settimana insieme a Johanna?
E’ chiaro. Ma mentre tutti ridevano per quello che era successo, Johanna compresa, io dovetti ammettere che non avevo resistito all’idea di passare l’intero weekend con la mia fidanzata. Ero contento, sì, ma non mi andava giù il fatto di averlo dovuto rendere pubblico”.
Insomma, non volevi smentirti mai”.
Esattamente” Christian smise per qualche istante di parlare, mentre la sua mente gli faceva rivivere le emozioni di tutti quei momenti che lui considerava i più belli della sua vita. “Sai, Angèle? In quel periodo mi sono divertito moltissimo. Con Johanna, tutto diventava una gioia. Anche se mi affrettavo ad affermare il contrario ed anche se giocavo a fare il superiore, in realtà, ero perso per quella donna che era sempre un passo avanti a me. E penso anche che lei lo sapesse e, per questo, lasciasse che, in pubblico, recitassi sempre la parte dello spaccone, trascinandomi, intanto, in tutte le sue pazzie. Figurati che quando Etienne e Catherine si separarono e lasciarono l’università e il gruppo, trasferendosi all’estero, Johanna si mise in testa di far fidanzare Sebastien e Laly, che, all’epoca, divennero i nostri nuovi compagni di studi e di stanza; tutto perché, diceva lei, si riformassero tre coppie, unite nella vita come negli studi, nell’amicizia e perfino nella musica. Peccato che Sebastien era, sì, diventato nostro amico, nostro compagno di studi e nostro nuovo bassista, ma era anche fidanzato con una bella modella australiana di nome Linda. Ma, a Johanna, questo non interessava: era convinta che Laly dovesse innamorarsi di Sebastien ed arrivò a tappezzare letteralmente di fotografie di Sebastien la stanza che condivideva con lei e con Hélène perché voleva che il subconscio di Laly non potesse fare a meno di pensare a Sebastien”.
E c’è riuscita?
Assolutamente no! Sebastien e Laly finirono insieme, per loro scelta, solo qualche tempo dopo; allora, invece, le ragazze erano sfinite di sentire Johanna che ripeteva sempre il nome di Sebastien. Dal canto suo, Sebastien decise di vendicarsi facendo credere a Johanna di essersi innamorato di lei: le fece la corte per un giorno intero e fece in modo che Johanna si trattenesse a chiacchierare con lui fino a notte inoltrata; io, naturalmente, ero al corrente del piano di Sebastien, così mi mostrai preoccupato per l’assenza notturna della mia fidanzata ma nient’affatto geloso di lei. Questo le provocò una duplice preoccupazione: liberarsi dall’invadenza di Sebastien e capire il motivo del mio disinteresse. Il giorno dopo, Sebastien le confessò che le aveva mentito per farle capire quanto la sua indiscrezione fosse fuori luogo e fastidiosa e naturalmente le spiegò che io ero a conoscenza del suo piano. Sebastien mi raccontò che Johanna si sentì molto sollevata da questa rivelazione, ma, più che per il suo presunto amore, soprattutto perché si era preoccupata per la mia mancata gelosia”.
Angèle sorrideva, divertita: “Mi sto immaginando la scena, Christian. Ti prego, continua; questa storia è troppo divertente”.
Sì, ma infatti le risate non mancavano mai. Ti immagini, per esempio, me, Etienne, che aveva le spalle larghe come un armadio, e Nicolas vestiti da tre simpatici angioletti con le aureole in testa?
Oddio, no! E perché vi sareste conciati così?
Perché così ci volevano far vestire le nostre fidanzate, durante un ballo in maschera. Devo dire che, in quell’occasione, fummo fortunati perché riuscimmo a ripiegare su tre costumi più classici. Però, da qualcuna di queste parti, dovrebbero esserci ancora... ecco!”.
Christian aveva iniziato a frugare all’interno di un mobile in salotto ed era tornato a sedersi portando con sé un piccolo album.
Le ho trovate! Qui ci sono alcune fotografie. Guarda!” disse indicando tre ragazzi in tenuta angelica “Questa era una prova vestito. Ci salvammo la sera della festa, ma rimasero comunque le prove di quest’orribile mascherata. Questo è Etienne, questo è Nicolas e... questo sono io”.
Christian sorrise.
Però eravate veramente molto carini, Christian!” commentò divertita Angèle. “Non avevo mai visto queste fotografie. Qui riconosco Laly ed Hélène. Johanna, allora, è questa qui?” continuò indicando, una ad una, le tre ragazze riprese in un’altra istantanea.
Sì, questa era Johanna ai tempi dell’università” sospirò Christian. “Quanto mi sono divertito con lei! Guarda qui!” invitò Christian, mostrando alla sua amica un’altra fotografia che ritraeva lui e Johanna vestiti da piloti, “Ci fu un periodo in cui diventammo campioni di kart”.
Vedo che eravate pieni di interessi”.
E anche abbastanza stupidi… Parlo per me, naturalmente… Sai? Peccato che non ci sia una foto di quando, sempre per scusarmi di come mi ero comportato poco prima, andai a cercare Johanna nella sua camera e bussai alla finestra con indosso un impermeabile, un cappello, barba finta e occhiali scuri”.
Angèle lo guardò perplessa.
Johanna mi scambiò per un maniaco e tentò di farmi cadere di sotto”.
Risero.
E’ comprensibile. Dimmi la verità, Christian.” Angèle aveva assunto, improvvisamente, un’espressione molto seria e fissava Christian negli occhi. “Non avevi tutte le rotelle a posto, vero?
Può darsi” ammise Christian sinceramente divertito. Poi, continuò a raccontare: “In un’altra occasione, invece, partecipammo ad un torneo di tango in cui i ballerini si esibivano sui tavoli; torneo nel quale, per inciso, io e Johanna arrivammo primi”.
Davvero?
” rise “peccato che mi costrinse a ripetere l’esibizione il mattino seguente, senza musica, sui tavoli del bar dove andavamo a fare colazione tutti insieme”.
Angèle scoppiò in una fragorosa risata: “Oh, Christian! Avrei voluto vederti, tirato di forza sopra quel tavolo, ballare abbracciato alla tua Johanna!
Sì, sì, tu ridi... Ma ti giuro che fu molto imbarazzante...”.
Sì, d’accordo. Però rimane comunque un ricordo da raccontare e, a distanza di anni, sono sicura che diverte anche te. E poi guardati, sei molto più rilassato rispetto a prima: ti avevo detto che parlare ti avrebbe fatto bene”.
Già, ma è anche vero che la mia storia con Johanna non è stata tutta rose e fiori: io e Johanna ci siamo fatti anche molto male”...

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Capitolo 3
*** "Ci siamo fatti anche molto male..." ***


Christian si incupì all’improvviso: “Una sera, mentre ero in camera insieme ad Etienne ed a Nicolas, mi vantavo su quanto fossi bello e bravo ma soprattutto sul fatto che avevo una fidanzata che, per quanto folle, era sempre pronta a strisciare ai miei piedi. Usai proprio questo termine: “strisciare”. Forse il destino volle punirmi perché, quella stessa sera, Johanna chiese di incontrarmi al bar perché doveva parlarmi; quando la raggiunsi, mi confessò il più terribile dei segreti: era lì per chiedermi perdono perché mi aveva tradito. Mi sembrò che la terra si aprisse sotto di me: Johanna, l’unica certezza della mia vita, mi aveva tradito. Non poteva essere vero, non potevo crederci. Non avevo idea di come reagire, mi sentivo tradito da tutti, non solo da Johanna ma anche dai miei amici, e fui capace solo di fuggire. Vagai per la città e la notte mi rifugiai nel garage dove facevamo le prove con il gruppo; lì, incontrai Nicolas, che, preoccupato, mi stava cercando, come tutti gli altri. Come ti ho detto, consideravo i miei amici colpevoli tanto quanto Johanna e, fuori di me, ubriaco, picchiai Nicolas sulla testa con una mazza da baseball. Nicolas svenne ed io scappai, trovando ospitalità, per un paio di giorni, nella casa di campagna di una compagna di studi, che, in quel momento, proprio perché mal si sopportava con i miei amici, ritenevo essere la persona più affidabile su cui poter contare”.
Angèle era sbalordita: non conosceva questo lato oscuro di Christian e non immaginava che fosse potuto arrivare a picchiare Nicolas, il suo migliore amico.
Naturalmente non restai a lungo nemmeno in quella casa. Sempre ubriaco e con la voglia di bere ancora, tornai nel bar dove ci riunivamo sempre e lì, di fatto, incontrai i miei amici, tra cui Nicolas, con un vistoso cerotto sulla fronte; per fortuna, non si era fatto molto male, ma io, ancora arrabbiato con il mondo, avevo tutta l’intenzione di non farmi avvicinare da quello che, chissà perché, consideravo un traditore. Così, vestito come un barbone, sporco, con la barba sfatta e fuori controllo, dopo aver urlato che Christian era morto, insieme a CriCri d’amour, gridai che avevo sete e che volevo bere, cosa che Nicolas era deciso a non farmi assolutamente fare. Io, per tutta risposta, estrassi un coltello dalla tasca e lo minacciai”.
No, non l’hai fatto”.
E invece sì” Christian annuì “Johanna entrò gridando proprio in quel momento, io feci cadere il coltello e mi abbandonai tra le braccia di Nicolas, che mi accompagnò in camera e mi fece visitare da un medico che potesse darmi un calmante. Quando, il mattino dopo, mi svegliai, ero, sì, più tranquillo, ma volevo comunque allontanarmi da tutti. I miei amici mi chiesero, allora, perché fossi così arrabbiato anche con loro; in fondo, loro non mi avevano fatto niente. Un attimo di lucidità mi fece comprendere che effettivamente chi mi aveva tradito era Johanna e non tutti i miei amici: mi calmai ed accettai di restare a casa e di tornare a provare con il gruppo, a condizione di non rivedere più la folle americana. Gli altri acconsentirono e mi fecero anche una piccola festa di bentornato. Nel pomeriggio, Hélène e Catherine ci raggiunsero al garage dicendo di essere stanche per via dell’aiuto che stavano offrendo a Johanna, intenta a traslocare. Io scherzai sul fatto che Johanna andasse a vivere con il suo amante, ma loro mi informarono che, in realtà, Johanna, disperata, aveva deciso di tornare in Texas e che, anzi, mi aveva scritto una lettera; quando la lessi, avvertii tutta la tristezza che doveva provare Johanna, che doveva essere intensa almeno quanto la mia. Poi, mi guardai intorno e mi resi conto che non volevo perderla, per cui la raggiunsi nella sua stanza e le chiesi di restare”.
E’ stato un bel gesto, da parte tua, perdonare...”.
Ma io non sono senza colpe: qualche tempo dopo, iniziai una relazione clandestina con una ragazza, che era anche la fidanzata di un amico. Ero molto preso, tanto che avevo perfino pensato di lasciare Johanna. Tutto, invece, si concluse un giorno in cui Johanna restò vittima di un incidente stradale e finì in coma; quando successe, io ero con l’altra ragazza e, non appena ne fui informato, corsi all’ospedale: vedere la mia vulcanica Johanna immobile, su quel letto, mi fece sentire colpevole e impotente. Le tenni la mano e la chiamai per tutta la notte; quando lei, finalmente, riaprì i suoi grandi occhi, era talmente debole da riuscire, a stento ad invocare il mio soprannome, ma, vedendola contenta di avermi trovato al suo fianco, mi resi conto, ancora una volta, che, per me, lei era troppo importante. Decisi, quindi, di troncare la storia con l’altra ragazza, che, per fortuna, capì”.
Quindi, Johanna non seppe mai nulla di questa relazione?
No, credo di no, a meno che, negli anni a venire, non gliene abbia parlato la nostra amica, ma questo è altamente improbabile. Comunque, tutto è andato bene, fino a quando non ho deciso, durante un viaggio, di “divertirmi” con una sorta di groupie, che, per mia disgrazia, un bel giorno arrivò a Parigi e decise di cercarmi. Johanna venne a sapere della mia scappatella e reagì abbastanza male, anche perché io feci lo sbruffone con entrambe, facendo anche finta che non mi importasse niente di quello che potessero pensare”.
Insomma, sei un recidivo; giuro che non lo avrei mai creduto”.
Ma questo non è tutto: i miei amici, come altre volte hanno fatto e come avrebbero avuto modo di fare ancora, mi presero di peso e mi fecero comprendere che stavo perdendo qualcosa di importante perché Johanna aveva di nuovo pronti i bagagli”.
Di nuovo?
Sì, ma, se la volta prima mi avevano soltanto fatto credere che la mia fidanzata stesse per partire, adesso Johanna era davvero in procinto di raggiungere l’aeroporto. Mi precipitai nella sua camera e, non appena fummo soli, mi gettai ai suoi piedi, implorando il suo perdono e giurandole che non avrei più commesso un errore del genere. Poco dopo, annunciammo felicemente agli altri che Johanna restava a Parigi. E io dissi pubblicamente che l’amavo”.
Quindi, finalmente, avevi ammesso di essere innamorato”.
Già... Ma, purtroppo, come si dice, il lupo perde il pelo ma non il vizio”.
No, non dirmelo: ci sei ricascato?
Sì, questa volta con una donna più grande e matura, che faceva sentire anche me un grand’uomo, cosa che in realtà non ero affatto. Era passato poco tempo dalla mia precedente avventura, quando, una sera, dissi a tutti di non sentirmi bene e che me ne sarei andato a dormire. Johanna, preoccupata, decise di venirmi a trovare nel cuore della notte, ma, chiaramente, non mi trovò in stanza. Il suo sesto senso la portò al garage, dove mi trovò abbracciato ad Arielle. La sua rabbia, questa volta, fu implacabile, tanto che non mi permise di proferir parola”.
Ci credo, avrei fatto la stessa cosa”.
La rincorsi in camera e la trovai intenta ad armeggiare nuovamente con le valige”.
Sempre in partenza per il Texas, quindi? Ma decideva di scappare ogni volta che litigavate o usava questa scusa come arma per farti tornare sui tuoi passi?”.
Questo fu quello che pensai anche io, allora. È vero che, a differenza delle altre volte, ogni mio tentativo di parlare con lei andò a vuoto, ma è anche vero che io dubitavo fortemente che quel viaggio verso l’aeroporto fosse reale. Così non la seguii. Il giorno seguente, tutti i miei amici sembravano avercela con me e tutti continuavano a dirmi di essere tristi ed arrabbiati perché Johanna era tornata negli Stati Uniti, mentre io continuavo a ripetere loro di smetterla di prendermi in giro. Fino a quando non mi resi conto che Johanna era davvero partita”.
No! E poi, cosa è successo?
Mi resi conto che quello che provai il giorno che scoprii il tradimento di Johanna era niente in confronto a quello che stavo provando in quel momento. Era disperato, mi sentivo solo, anche se attorno a me avevo molti amici, e non sapevo più cosa avrei fatto della mia vita. Incontrai nuovamente Arielle, che sfruttò la mia disperazione per farmi entrare in un brutto giro, dal quale sono riuscito ad uscire solo grazie all’aiuto del gruppo, ma soprattutto di Nicolas, che, per l’ennesima volta, dovette prendermi per il collo”.
Angèle era esterrefatta: non aveva idea di quante cose del passato di Christian non conoscesse, ma adesso cominciava ad avere un’idea del suo percorso di vita.
Che genere di giro?
Brutto. Credimi, Angèle. Veramente brutto”. Christian riprese il suo racconto: “Mi ripresi, quel tanto che bastava a condurre un’esistenza che sembrava del tutto normale: c’erano ancora gli studi, il gruppo, la musica e gli amici, vecchi e nuovi. Ma Johanna mi mancava terribilmente e io non potevo fare a meno di pensare a lei; avevo un’immensa voglia di stare con lei o anche solo di parlarle, ma, ovviamente, non osavo neanche lontanamente alzare la cornetta e telefonarle. Lo fece Hélène per me, dopo che si convinse che i miei sentimenti erano davvero sinceri”.
E come facesti a convincerla?
Christian si mise a giocherellare con la chitarra, poggiata accanto a loro, sui cuscini del divano, intonando le note di una canzone che Angèle non conosceva. Anche se non era il suo strumento, Christian sapeva intonare bene diversi accordi con la chitarra. Quella canzone, poi… Quella canzone avrebbe potuto suonarla con qualsiasi strumento esistente sulla Terra.
Una mattina, chiesi un favore a Nicolas: avevo paura di sembrare ridicolo, ma avevo scritto una poesia, un testo, che mi sarebbe piaciuto, con il suo aiuto, trasformare in una canzone, magari cantata da Hélène. Sia Nicolas che Hélène si commossero leggendo le mie parole e, in brevissimo tempo, mi fecero un regalo speciale: la canzone che sognavo, con le parole scritte da me, la musica composta da Nicolas e la voce di Hélène che dava vita ai miei pensieri…
Hai scritto una canzone tutta tua? Ma è stupendo!
Sì, senz’altro” rispose Christian compiaciuto. “Ma quel testo, per me, non era solo una canzone, cioè un tentativo di concretizzare i nostri sogni musicali. Quel testo rappresentava tutti i miei sentimenti più profondi, la tristezza che provavo per essere rimasto solo e la speranza che un miracolo mi avrebbe fatto risvegliare da quell’incubo che mi voleva lontano dalla donna che amavo. Fu in quell’occasione che io, Hélène e Nicolas parlammo apertamente di Johanna dopo molto tempo. Fu in quell’occasione che io confidai di pensarla spesso e di essere sempre innamorato di lei. Hélène mi disse che Johanna desiderava con tutto il cuore che io fossi corso all’aeroporto per tentare di fermarla e che, anche se era lontana, lei mi pensava ancora. Se nessuno di loro, fino a quel momento, aveva toccato l’argomento era solo perché non era il caso di farlo durante il mio periodo… diciamo così… di sbandamento. E poi perché, quando sembravo essermi ripreso, sembrava anche che il mio interesse amoroso si fosse spostato verso un’altra ragazza, alla quale io, invece, avevo comunicato apertamente di non farsi illusioni perché nei miei pensieri c’era ancora la mia ex fidanzata”.
Oh, poveretta, come la capisco!” scherzò Angèle “ma la tua sincerità è ammirevole.
Anche se Hélène tentò di convincermi a telefonare a Johanna, io morivo di paura al solo pensiero e, al tempo stesso, morivo dalla voglia di sentire la sua voce”.
E, alla fine, cosa successe?
Successe che, un pomeriggio, mentre era sdraiato sul letto, con i miei amici che mi prendevano in giro per il fatto che non smettevo un secondo di parlare di Johanna, squillò il telefono e Nicolas, dopo aver risposto, mi sollecitò fortemente a raggiungere la cornetta”.
Era Johanna?” chiese Angèle vistosamente emozionata.
Sì, seppi solo più tardi che, vista la mia paura, Hélène aveva contattato Johanna, parlandole di me e della canzone che avevo scritto”.
Mamma mia, che emozione!
Puoi dirlo forte” sorrise “A quel punto, non ero più in grado di controllarmi, mi sembrava di camminare sopra le nuvole e non facevo altro che ripetere ai miei amici che parlare con Johanna mi aveva fatto trovare il paradiso. Passarono ancora dei giorni e, un pomeriggio come tanti, con una scusa, gli altri mi lasciarono improvvisamente da solo nel garage; sovrappensiero e spalle alla porta, non mi resi conto che Johanna era tornata e che, in quel momento, si trovava proprio dietro di me”.
Angèle era commossa e aveva le lacrime agli occhi.
Non so se puoi comprendere l’emozione che ho provato in quel momento: stringevo Johanna tra le braccia e l’unica cosa che riuscivo a pensare era che lei si trovava di nuovo vicino a me. Festeggiammo tutti insieme il ritorno di Johanna e, poi, festeggiammo anche noi due da soli: per le ventiquattr’ore successive, non riuscimmo a staccarci neanche per un attimo. Johanna ascoltò la mia canzone e si commosse all’idea che io le avessi dedicato una simile attenzione. Rinnovammo le nostre promesse e tornammo a giurarci amore eterno. Ma il destino avverso è sempre in agguato, soprattutto quando noi siamo pronti a dargli una mano”.
Cosa è successo, questa volta?
Quello che è successo anche le altre volte”.
Non ci credo: l’hai tradita di nuovo?
Christian annuì, abbassando lo sguardo.
Sono un idiota, vero? Diciamo che, tecnicamente, non l’ho proprio tradita ma, effettivamente, il risultato non cambia. All’emozione provata dopo il nostro ricongiungimento, è seguito un normale periodo di alti e bassi, fino a quando Johanna dovette tornare in Texas, per un breve lasso di tempo, a causa di alcuni problemi familiari. Nel breve periodo di separazione, anche se più per voglia di avventura che per altro, sia io che lei ci siamo sentiti attratti da altre persone, così, al momento del suo ritorno a Parigi, decidemmo, di comune accordo, di lasciarci. Anche se tra me e lei c’è sempre stato un sottile filo indistruttibile che continuava a tenerci uniti, in quale modo... In ogni caso, io ebbi un paio di scappatelle poco importanti, una delle quali con Linda, la ex fidanzata di Sebastien, che, di tanto in tanto, trascorreva dei periodi a Parigi, con tutti noi. Ma quel filo che mi legava a Johanna tornò a farsi sentire sempre di più, così, un giorno che io e Johanna ci trovammo da soli in garage, ci trovammo ad alimentare nuovamente i sentimenti che provavamo l’uno per l’altra. A quel punto, tutto sembrò tornare a posto, tanto che io e Johanna partimmo insieme per una vacanza: eravamo felici e contenti e progettavamo addirittura di andare a vivere insieme, al nostro ritorno. Lei era al settimo cielo ed anche io mi sentivo più che felice, se non fosse che all’improvviso Linda annunciò di aspettare un figlio. Mio…”.
Lo sguardo di Angèle ora era pietrificato sul viso di Christian.
Stai scherzando, vero Christian?”.
Purtroppo no, altrimenti, forse, la mia vita sarebbe stata totalmente diversa”.
Quindi, tu hai un figlio?
No, Linda ebbe un aborto spontaneo poche settimane dopo. Ma io, intanto, avevo distrutto nuovamente la mia vita, quella di Johanna e anche quella dell’incolpevole Linda. Decisi di sparire dalla circolazione, non avevo più il coraggio di guardare negli occhi nessuno, né Johanna né i miei amici. Partii, lasciai la musica, diventai un fotografo e, negli anni seguenti, ottenni anche un discreto successo professionale. Con l’intento di ricostruire la mia vita, poi, decisi perfino di sposarmi con una donna che pensavo potesse riempire il vuoto lasciato da Johanna. Ma così non fu e, quindi, poco dopo, divorziammo”.
Allora, non hai un figlio, ma hai una ex moglie. Mi hai davvero sorpreso, sto scoprendo di te dei lati che non conoscevo. Questa ex moglie che fine ha fatto?”.
Non lo so, non ci siamo lasciati in buoni rapporti. Ma era comprensibile”.
Ok, allora, siamo arrivati al tuo divorzio; tutto questo quando sarebbe successo?
Il mio divorzio? All’incirca otto anni fa”.
Otto anni fa, perfetto. In tutto questo tempo, tu non hai mai rivisto Johanna?
Christian fece un cenno negativo con la testa.
E allora? Cosa hai fatto? Cosa è successo?
Ho fatto qualche ricerca ed ho scoperto che molti dei miei amici di un tempo, tra i quali la stessa Johanna, erano andati a vivere su un’isola dei Caraibi”.
E tu, con la tua faccia tosta, ti sei ripresentato davanti a lei?
Ebbene sì, sono riuscito a fare anche questo: dopo dieci anni di assenza, una bella mattina, bussai alla porta del suo ufficio e chiesi di lei. Come se nulla fosse...”.
Fantastico! Sei veramente fantastico! Avrei voluto vedere la sua faccia. Immagino che sarà sbiancata... Avrà pensato di aver visto un fantasma…
Oh, sì; era sicuramente molto emozionata. Ma lo ero anch’io, d’altronde... Ricordo che non riusciva a stare ferma ed aveva le lacrime agli occhi. Ci abbracciammo, sinceramente commossi. Quello che lei non poteva di certo immaginare era che io ero approdato su quell’isola solo perché avrei voluto provare un riavvicinamento, cosa che, scoprii solo in quell’istante, sarebbe risultata alquanto difficile, dal momento che, in quel periodo, lei era fidanzata... con José”.
José? José José?”.
Sì, José José. Credo di aver esclamato esattamente la stessa cosa quando venni a conoscenza del loro fidanzamento, soprattutto perché sembrava un’unione abbastanza solida: figurati che vivevano insieme e stavano anche pensando di mettere su famiglia”.
No! Non ci credo! Ma José e Benedicte stanno insieme da sempre, sono una coppia storica, almeno quanto Hélène e Nicolas!
Sì, anche José e Benedicte, come Hélène e Nicolas, stanno insieme più o meno da vent’anni. Ma anche loro hanno vissuto i loro alti e bassi”.
Accidenti, sono sinceramente sorpresa! Ma credo di averlo ripetuto già troppe volte da quando hai iniziato a raccontarmi questa storia”.
Christian sorrise: “Lo ero anch’io. Per qualche tempo, non dissi nulla e mi stabilii sull’isola insieme a tutti quelli che erano stati i miei più sinceri amici, quelli che avevano visto il meglio ma soprattutto il peggio di me”.
Angèle ora guardava Christian con aria assorta.
Tenere nascosti i miei sentimenti, però, era molto difficile. Lo era già ai tempi dell’università, figuriamoci allora, che avevo definitivamente preso coscienza di quello che provavo. Così, a un certo punto, confidai tutto ad Hélène e Nicolas”.
I tuoi consiglieri?
I miei consiglieri, sì. Dissi loro che, dal momento che il mio ritorno nel gruppo era spinto soprattutto dai miei sentimenti verso Johanna e considerato che Johanna sembrava essere serena accanto a José, probabilmente la mia permanenza sull’isola non sarebbe stata ancora lunga. Anche perché, parliamoci chiaro, ero veramente geloso...
E loro ti convinsero a restare?
Sì, Hélène soprattutto. Hélène sembrava avere l’impressione che tra me e Johanna non fosse per niente tutto finito. Mi raccontò che anche lei, per diversi anni, si era separata da Nicolas, che poi aveva rincontrato proprio su quell’isola, e che anche lei, quando ritrovò il suo ex fidanzato, lo ritrovò felicemente accompagnato ad un altra donna. Però, mi disse anche che quando i sentimenti esistono e sono reali, riaffiorano sempre, tanto è vero che lei stessa aveva riconquistato l’amore del suo storico compagno. Questo mi spinse a tentare il tutto e per tutto: parlare sinceramente con Johanna per rendermi conto di quali potessero essere i suoi reali sentimenti nei miei riguardi. Perché, anche se la vedevo serena accanto a José, c’erano sguardi, sorrisi e mezze parole che, invece, a volte, sembravano volessero rivelarmi qualcosa. Perciò raccolsi tutta - ma proprio tutta - la faccia tosta che potevo avere, andai nel suo ufficio e, placidamente, le dissi: “Ti ho portato un croissant, facciamo colazione insieme, ti amo””.
Angèle aveva gli occhi di fuori: “Così? In questa maniera? Direttamente?”.
Praticamente sì, così, direttamente, in questa maniera”.
“E lei?
Be’, devo dire che Johanna non rimase del tutto indifferente alle mie parole, ma, per rispetto di José, non aveva nessuna intenzione di sbilanciarsi, nonostante le mie decise insistenze”.
E quindi?
E, quindi, la guardai negli occhi e le ripetei di essere innamorato. Poi, le chiesi se potesse fare altrettanto, giurando di non provare più nulla per me. Lei negò, disse che non poteva affermarlo, ma mi chiese anche del tempo, perché si sentiva confusa e aveva paura di far soffrire José”.
E’ comprensibile. Con è finita?”.
E’ finita che l’unica cosa che tratteneva Johanna - il rispetto verso la promessa fatta a José - è venuta meno quando anche lui ha vissuto un inarrestabile ritorno di fiamma verso la sua storica ma anche attuale compagna: Benedicte”.
Quindi, tutto è bene quel che finisce bene?”.
Quasi. Tutto è stato più che perfetto per qualche mese: io e Johanna eravamo felici, finalmente vivevamo insieme, avevamo coronato il nostro sogno e il nostro amore sembrava aver vinto, ma... c’è sempre un ma... successe qualcosa”.
No, Christian, se mi dici che l’hai tradita un’altra volta, giuro che ti picchio io al posto di Johanna” esplose Angèle.
No, assolutamente no. Per una volta, non avevo combinato niente di tutto ciò. Ero convinto dei miei sentimenti per Johanna e non avevo nessuna intenzione di lasciarmi coinvolgere in relazioni clandestine. Più semplicemente, un giorno rincasai e trovai l’appartamento vuoto: Johanna non c’era più, se ne era andata lasciandomi solo una lettera e una terribile sensazione di vuoto”.
Angèle non sapeva come fare a credere a quella notizia: “E perché se ne sarebbe andata? Se eravate così felici come dici, non aveva motivo di fare una cosa del genere! Non capisco...
Ecco, appunto: in quel momento, non sapevo cosa pensare: nella sua lettera, Johanna non dava spiegazioni, ma si limitava a chiedere perdono per la sua inaspettata fuga, dettata, diceva lei, dall’impossibilità di fare altrimenti. Onestamente, arrivai a pensare che, dopo qualche mese di convivenza, Johanna si fosse resa conto di non essere così felice accanto a me. Per questo, evitai di cercarla, ma raccolsi i miei bagagli e tornai a Parigi, seguito, poco dopo, anche da tutti i miei amici, che ormai erano stanchi di vivere su quell’isola e desideravano tornare nella loro città”.
Angèle ora fissava Christian, che, invece, era muto, assorto in chissà quale pensiero.
Be’?
Be’... Sono passati sei anni, altri sei lunghi anni di silenzio, durante i quali non c’è stato giorno in cui il pensiero di Johanna non mi abbia accompagnato. Sei anni che conosci benissimo, per averli vissuti accanto a me”.
Cioè? Fammi capire bene: tu non hai più rivisto né sentito Johanna da quel giorno in cui lei se ne andò senza una spiegazione?
Christian annuì: “Esattamente”.
Esattamente...” ripeté Angèle incredula.
… fino a questa mattina. Come sai, la sfrontatezza di Johanna non ha limiti e questa mattina ha pensato bene di suonare a quella porta senza un minimo di preavviso”.
Non parlare di sfrontatezza tu, che non sei da meno... E poi non hai pensato che magari voleva darti quelle spiegazioni che non volle o non ti poté dare allora?
Christian aggrottò il sopracciglio, come a voler ammettere di non aver avuto, almeno in quel momento, quel semplice pensiero.
No, non ci ho pensato. Anche perché, quando ho aperto quella porta e mi sono trovato davanti proprio Johanna, non è che io abbia avuto pensieri molto concludenti…
E dimmi, Christian: ritrovarsi come è stato?
Emozionante, non meno delle altre volte. Se posso trovare qualcosa di positivo in tutti gli addii che io Johanna ci siamo detti, quello è sicuramente l’emozione che si prova nel rivedere l’altro: la sorpresa, il cuore che batte all’impazzata, la gioia di scoprire che l’altro non si è mai dimenticato di te... Possono passare mesi o anche anni. Lunghissimi anni… Non importa, ogni volta mi lascia senza fiato”.
Ma, a questo punto, Johanna ti ha spiegato il motivo della sua improvvisa partenza, no?
Gliel’ho chiesto, certamente. E ne sono rimasto sconvolto”.
Perché? Cosa era successo?
Johanna mi ha confidato di avermi lasciato per tornare negli Stati Uniti per curarsi: aveva scoperto di avere un cancro al seno e - mi ha detto - non voleva la mia pietà. Così, ha affrontato tutto da sola. Inutile dirti che, se avessi saputo, l’avrei raggiunta anche in capo al mondo. Ovviamente, non per pietà ma solo per amore. Se solo non fossi saltato a conclusioni affrettate, chissà cosa sarebbe successo...” Christian sospese per un momento il suo racconto. “Quello che, invece, non capisco adesso è perché si sia affrettata a partire di nuovo. Sono stato veramente felice di rivederla, abbiamo parlato tanto, abbiamo passato una bella giornata insieme... e allora perché si è affrettata a risalire su quel dannatissimo aereo lasciandoci solo il tempo di un nuovo addio? Non so che pensare, sinceramente...” confidò Christian, tremendamente amareggiato. “Per un attimo, mi è sembrato che tutto fosse tornato come un tempo: Johanna era di nuovo con me ed io potevo stringerla, abbracciarla, baciarla… Mi dispiace dirti queste cose, Angèle, sinceramente. Ma non sono più in grado di nascondere quello che provo. Johanna aveva bussato alla mia porta, il desiderio più grande di tutta la mia vita, che credevo irrealizzabile, era lì, a portata di mano. Sembrava tutto perfetto. Perché è venuta se voleva andar via di nuovo? Perché, tra noi, deve sempre esserci di mezzo un aereo che parte? Perché se ne è andata? Perché?
Perché mi ha vista” confidò Angèle, interrompendo lo sfogo di Christian.
Cosa?
Ci ha visti insieme quando sono venuta a cercarti oggi pomeriggio e avrà pensato, come facesti tu quando ti trovavi su quell’isola, che non fosse il caso di rientrare nella tua vita. Ti confesso di aver notato questa donna che guardava da quella finestra con un’area molto amareggiata” spiegò Angèle “ma mai avrei potuto pensare che si trattasse di Johanna”.
Sei sicura di quello che dici?
Sì, sono sicura, soprattutto dopo che mi ha mostrato quelle fotografie. Sono passati tanti anni e siete tutti un po’ cambiati, ma era lei, sicuramente” insistette Angèle.
Ma no… No, non è possibile”.
Ascolta, Christian. Tu stasera sei stato sincero con me, come forse non sei riuscito ad esserlo mai fino ad oggi. Ora, voglio che continui ad esserlo anche in questo momento: guardami negli occhi e dimmi cosa hai provato quando hai aperto la porta e ti sei trovato di fronte a Johanna”.
Mah… Te l’ho detto. Ero molto emozionato, felice…” Christian era visibilmente imbarazzato.“Ho sentito un brivido corrermi lungo la schiena e sono rimasto come paralizzato per un paio di secondi. Poi ci siamo abbracciati e, in quel momento, siamo esistiti solo io e lei”.
Perfetto. Mi sembra molto chiaro quello che senti. Adesso, però, pensa a lei: cosa pensi che abbia provato lei, nel momento in cui vi siete abbracciati? Perché pensi che sia salita su un aereo e sia venuta a bussare a quella porta?”.
Aveva una riunione di lavoro a Parigi”. Christian tentò inutilmente di alleggerire la situazione.

“D’accordo, quello è stato il motivo ufficiale del suo viaggio. Ma, ripeto la domanda: perché pensi sia venuta a bussare a quella porta, Christian?
” ripeté Angèle, guardando negli occhi Christian, che, istintivamente, abbassò lo sguardo come se si sentisse colpevole. “Per te, Christian. È venuta per te, perché, probabilmente, sei ancora nei suoi pensieri, come lei è nei tuoi”.
Christian provò, ora, a sostenere lo sguardo di Angèle, che lo osservava con un’espressione molto tenera.
Prima del mio arrivo, oggi pomeriggio, avete passato tutta la giornata insieme. Come siete stati, Christian?”.
Bene. Molto bene”. Christian ora era occhi negli occhi con la sua amica. “Come se il tempo non fosse mai passato”.
Ci fu un lungo momento di silenzio e riflessione da parte di entrambi, poi Angèle trovò il coraggio di rivolgere a Christian la domanda fatidica.
Non pensavo che te l’avrei mai detto Christian, ma dimmi una cosa… che ci fai ancora qui?” Christian sembrava perplesso. “Perché non hai già preso il volo per gli Stati Uniti?
Tu dici che io… Pensi che dovrei… Credi che debba seguirla? No!” esclamò scuotendo il capo. “Non penso proprio che sia il caso”.
Christian si alzò dal divano, si affacciò alla finestra ed ammirò la luce della luna che filtrava in mezzo ai rami degli alberi del suo giardino.
No” ripeté, come per convincersi che quella era la cosa giusta da fare perché il suo destino voleva che il suo amore per Johanna non trovasse mai pace.
So di non essere Hélène o Nicolas, ma se posso darti un consiglio anch’io, Christian, non ti lasciar sfuggire questa occasione” disse Angèle alzandosi dal divano,  avvicinandosi a Christian e salutandolo con bacio sulla guancia. Poi si voltò verso la porta e se ne andò senza mai guardarsi indietro, lasciando che Christian la seguisse con lo sguardo fino a quando il cancello di ingresso non nascose l’immagine di quella donna alla quale non era riuscito a dare quello che, sicuramente, avrebbe meritato da parte sua.
Christian tornò a sedersi e riprese in mano l’album delle fotografie, rimasto poggiato sui cuscini del divano. Tornò ad osservare una ad una quelle vecchie istantanee: si rivide ragazzo, allegro, spensierato… un cocktail con gli amici al bar, le prove con il gruppo, un esame da superare insieme… E poi i giochi, gli scherzi, ma anche i torti, piccoli e grandi, e le lacrime, che hanno segnato il viso di tutti… Quel gruppo, sempre unito, nonostante tutto… Quel gruppo, che ha sempre creduto profondamente nel valore dell’amicizia… Quel gruppo, che ha visto nascere e crescere il suo amore... Il suo amore era lì, in quelle foto …
Si addormentò, stremato, sul divano, solo a notte fonda, dopo aver ripreso in mano tutti gli scatti, ordinatamente incollati su quell’album, che Johanna aveva voluto, affinché quegli attimi di vita non svanissero mai, dopo aver carezzato con il pensiero ogni momento immortalato dalla macchina fotografica, sognando che il ritorno di quel passato così rimpianto non rimanesse solo un desiderio irrealizzabile.

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Capitolo 4
*** "Segui l'istinto..." ***


Lo risvegliò il suono del suo cellulare, che annunciava un messaggio in arrivo. Allungò la mano e, tentoni, con gli occhi ancora socchiusi, infastiditi dal forte sole ormai alto nel cielo, trovò il telefono, che aveva lasciato sul tavolino del salotto.
Premette il pulsante e lesse: “Fidati di me: segui l’istinto”.
Christian sorrise. E se avesse ragione lei?
P.S.: guarda nella cassetta delle lettere. Buona fortuna. Angèle”.
Guarda nella cassetta delle lettere”? Che cosa c’era nella cassetta delle lettere? Si alzò in piedi e, senza riflettere, raggiunse di corsa il cancello d’ingresso, lo aprì e fece altrettanto con la cassetta delle lettere, incurante dei passanti che non poterono fare a meno di notare l’aspetto trasandato di chi si era appena svegliato dopo una notte agitata, trascorsa per buona parte insonne.
Trovò una lettera, recapitata a mano da Angèle, dove lei gli annunciava candidamente di aver accettato un posto di lavoro in un’altra città.
Ero confusa e non sapevo cosa fare” confidava Angèle nella sua lettera “ma, dopo la nostra chiacchierata di ieri sera, ho capito che, per me, era giunto il momento di andare via. L’occasione che mi si è presentata è molto importante per la mia carriera e, d’altra parte, so che l’occasione che si è presentata davanti a te è molto importante per la tua vita. Ora so che io non posso combattere con l’amore che provi verso Johanna, so che è lei la donna della tua vita e che è giusto che tu faccia di tutto per essere felice con lei. Amare qualcuno vuol dire anche e soprattutto lasciarlo libero, no? Corri dalla tua Johanna, io sarò felice se tu sarai felice”.
Oltre quella lettera, la busta conteneva anche un biglietto aereo a nome di Christian. Destinazione: Huston – Texas. Partenza: quello stesso pomeriggio.
Christian era sinceramente commosso; il gesto fatto Angèle denotava la presenza di sentimenti molto forti e sicuramente anche di una generosità sconfinata. Provò a chiamarla, ma, componendo il numero del suo cellulare, la voce di una gentile signora annunciava che l’utente aveva il terminale spento; con buona probabilità, Angèle era già in viaggio.
Christian, invece, girò e rigirò tra le mani quel biglietto aereo che la sua amica gli aveva regalato, incapace di prendere una decisione. Era immobile, solo, in quella casa che, improvvisamente, gli appariva vuota come mai prima d’ora.
Segui l’istinto”…
Quel consiglio dato di getto gli rimbombava per la testa.
Christian, è venuta per te… Segui l’istinto”…
Poggiò le mani sui cuscini del divano, dove ancora capeggiava quell’album di fotografie, aperto su un’istantanea che lo ritraeva insieme ad Hélène e Nicolas. Poi la sua mente volò a quel giorno di qualche anno prima, quando Hélène lo incoraggiò ad aprire di nuovo il suo cuore a Johanna, se i sentimenti che lo univano a lei erano ancora vivi e presenti. Strinse i pugni, avvertendo nuovamente la presenza di quel biglietto aereo rimasto tra le sue mani.
Ma sì… Forse hanno ragione. Devo essere sincero con lei. Devo tentare”.
Si alzò di scatto, andò in camera da letto e, come faceva Johanna quando litigava con lui, cominciò immediatamente a preparare due borsoni, che riempì confusamente, pur di non perdere tempo. Poi uscì, andò in banca a prelevare parte dei suoi risparmi, ritirati in dollari, e si premurò di raggiungere Nicolas, per avvisarlo che lasciava la Francia per un po’ di tempo. Non disse nient’altro, lasciando il suo amico sorpreso e confuso.
Devo seguire un sogno Nicolas, ho bisogno di tentare il tutto e per tutto per essere felice e forse questa è la mia ultima occasione”.
Nicolas non era a conoscenza della recente visita di Johanna, né, tanto meno, della conversazione che Christian aveva avuto con Angèle, la quale lo aveva convinto a seguire il suo istinto, che ora lo stava guidando verso gli Stati Uniti.
Christian non aveva tempo di spiegare tutto questo al suo amico e, per questo, quando lui, preoccupato, gli chiese dove fosse diretto, riuscì solo a rispondergli che non doveva preoccuparsi, che sicuramente si sarebbe fatto sentire dopo qualche tempo e che voleva soltanto che il suo più grande amico gli augurasse buona fortuna.
Buona fortuna” gli rispose Nicolas, che, anche se preoccupato e confuso, non poteva fare a meno di rassicurare l’amico sulla sua costante presenza.
Il viaggio in taxi verso l’aeroporto gli sembrò un momento di fuga verso la libertà e, ai controlli aeroportuali, si mostrò talmente agitato che le guardie finirono per insospettirsi e controllarlo con un’insolita accuratezza.
Poi, finalmente, si trovò in volo.
Undici ore di viaggio lo separavano dal Paese della sua Johanna, undici ore di immobilità forzata in cui Christian sentì scorrere dentro di sé tutta l’adrenalina prodotta dal suo corpo, in evidente eccitazione all’idea di cercare e trovare di nuovo il suo grande amore.
Quando atterrò, si rese conto che, nella fretta di partire, si era dimenticato di non avere nessun punto di riferimento in quella città sconosciuta, dove tutto era mille volte più confusionario di Parigi e dove il suo inglese stentato quasi lo isolava dal resto del mondo.
Pensò a Johanna: “Chissà se anche lei si è sentita così, la prima volta che è venuta a Parigi…
Era visibilmente stanco, un po’ per colpa del jet lag, un po’ per via di tutta la tensione che aveva accumulato dal momento che aveva deciso di preparare le valigie; decise, quindi, di fermarsi a riposare nell’albergo dell’aeroporto, così che, dal giorno successivo, potesse organizzare meglio il suo soggiorno in quella città straniera, alla quale si sentiva totalmente estraneo.
Prese una camera e si stese sul letto senza neanche disfare i bagagli. Il lungo viaggio gli aveva sottratto quasi tutte le energie e l’unico pensiero che gli occupava la testa era rivolto a Johanna, alla sua Johanna.
L’eccitazione di quel viaggio alla ricerca del passato l’aveva costretto a quasi ventiquattr’ore continuative di veglia; quando il sonno lo raggiunse, in quella camera d’albergo, era ancora vestito e stringeva tra le mani una foto che lo ritraeva insieme a Johanna.
Era una foto che aveva scattato lui stesso: un romantico tramonto sul mare faceva da cornice ad un appassionato bacio, che lui e Johanna si erano scambiati su quell’isola che li aveva visti felici per la prima volta dopo tanto tempo. Era, qualitativamente parlando, un’immagine di un ottimo livello; in effetti, se la cavava molto bene come fotografo… Ma, per lui, quello scatto rappresentava molto di più che una bella fotografia…
I bordi ormai consunti della carta testimoniavano il fatto che quella foto non fosse stata conservata con particolare cura; effettivamente, Christian la teneva nel portafoglio dall’ultima volta che aveva chiuso dietro di sé la porta dell’appartamento che aveva condiviso con Johanna e, ogni tanto, era solito maneggiarla e rimirarla, pensando a quando quell’immagine era ancora al suo posto, in una splendente cornice sopra una mensola del salotto, a quando quell’istantanea non era solo la rappresentazione di un sogno lontano, ma anche la prova tangibile che, nella vita, si può arrivare a toccare il cielo con dito.
Quando si risvegliò, solo, stringeva ancora in mano la loro fotografia, come se il contatto con quell’immagine stampata fosse l’unico modo che aveva a disposizione per restare vicino alla sua amata Johanna.
Fece una doccia, si cambiò d’abito e si rifocillò con un’abbondante colazione, pensando e ripensando a quali fossero le parole migliori per convincere Johanna, una volta ritrovata, che il suo amore per lei non era mai svanito, nonostante il tempo trascorso.

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Capitolo 5
*** In cerca di lei ***


Un taxi lo condusse dall’aeroporto alla sede della Texas Oil Company, la Compagnia petrolifera dove Johanna gli aveva detto di lavorare.
Entrò, spinto da un impeto, sicuro che, in ogni caso, Johanna sarebbe stata contenta di vederlo arrivare.
Ma il suo entusiasmo fu subito frenato, perché, non appena raggiunse l’ufficio dove pensava di trovare Johanna, che un usciere gli aveva indicato, scoprì anche che, dopo il viaggio a Parigi, la sua amata non era tornata sul posto di lavoro.
Scusami, tu sei Christian, l’amico di Johanna?” disse, in un perfetto francese, una voce alle sue spalle, proprio mentre, deluso, era in procinto di lasciare l’edificio.
Christian si voltò ed osservò in silenzio la figura di quella donna che lo stava rincorrendo nel corridoio.
Sì, tu sei decisamente Christian”.
Christian guardava la donna sconosciuta con aria interrogativa.
Il tuo pessimo inglese mi dice che sei straniero, il tuo accento mi dice che sei francese, il nome che mi pare di aver sentito pronunciare me lo conferma e poi... Moro, occhi castani, qualche centimetro più basso di Johanna... Confesso che ti pensavo un po' più gracile di corporatura, ma... Sì, sono sicura che tu sei Christian, l'amico di Johanna. Mi mancherebbe solo di avere conferma sul tuo soprannome”.
Piacere, mon CriCri d’amour” ironizzò Christian, stando al gioco; era evidente che quella donna lo conosceva abbastanza bene, probabilmente da qualche racconto di Johanna. “E tu saresti?
Kate. Sono una collega d’ufficio di Johanna; gestiamo insieme le relazioni con l’estero. Mi fa molto piacere conoscerti”.
Il piacere è mio. Così… mi pare di capire che ti avrebbero parlato di  me. È stata Johanna?”.
Sì, esatto. Io e Johanna lavoriamo insieme da qualche anno e… beh… capita di raccontare qualcosa del nostro passato. Senti, che ne dici di andare a prenderci un caffè, ti va? Mi piacerebbe scambiare due parole con te”.
Christian accettò la proposta della giovane sconosciuta, probabilmente curioso di conoscere la descrizione che Johanna avesse potuto fare di lui nelle sue confidenze con la collega che adesso lo precedeva, guidandolo verso una caffetteria situata all’interno dello stesso edificio.
Parli bene il francese” si complimentò Christian, per tentare di superare l’imbarazzo che lo vedeva in una situazione che non poteva controllare, accanto ad una donna che non conosceva, ma alla quale, sicuramente, avevano raccontato aneddoti che lo riguardavano in prima persona.
Da ragazza ho studiato anch’io in Francia, come Johanna. Ma non a Parigi, io ho vissuto più a sud, a Lione. È stata una bella esperienza, ma forse non quanto quella di Johanna”.
Kate spiegò, poi, a Christian che aveva conosciuto Johanna quando lei, dopo l’assunzione presso la Compagnia, era diventata la sua collega di stanza, circa cinque anni prima. Aveva saputo che Johanna, in quel momento, stava uscendo da un brutto periodo, dovuto ad alcuni problemi di salute, che aveva preferito affrontare da sola, senza coinvolgere quello che, secondo lei, era la persona più importante del mondo: il fidanzato, che aveva lasciato senza neanche una spiegazione, pur di non caricarlo con il peso della malattia che l’aveva colpita, lo stesso fidanzato che non aveva più ritrovato nella loro casa sull’isola, quando, guarita, era tornata a cercarlo. Era stato allora che Johanna aveva deciso di tornare definitivamente a vivere in Texas, cercando rifugio dalle sue pene d’amore nella città che l’aveva vista nascere.
Ad essere sincera, devo dire che mi ero fatta un’idea un po’ diversa del famoso CriCri d’amour” confidò Kate.
Sicuramente migliore di quello che è in realtà” scherzò Christian.
No, perché? Johanna parla molto bene di te”.
Johanna è sempre stata troppo buona con me”.
O forse è sempre stata innamorata di te” continuò la donna, ben conoscendo quali fossero i reali sentimenti dell’amica.
Non so cosa Johanna possa averti raccontato, ma ti posso giurare che, dal giorno in cui l’ho conosciuta, qualcosa è cambiato nella mia vita. In meglio, sicuramente… Da allora sono passati tanti anni, ma Johanna è sempre stata una presenza fissa, nella mia mente, ma soprattutto nel mio cuore”. Christian si sentiva raramente libero di parlare apertamente dei suoi sentimenti, come aveva fatto con Angèle due giorni prima e come stava facendo in quel momento con quella donna sconosciuta, che, però, sembrava comprenderlo appieno. “Io devo parlare con Johanna, ma non so dove poterla trovare; l’unica informazione che era in mio possesso era il nome di questa Compagnia, ma purtroppo non è al lavoro. Tu sei sua amica: hai il suo indirizzo?” chiese, quindi, Christian.
Certo che ho il suo indirizzo, ma prima vorrei capire come facevi a sapere che Johanna lavora per questa Compagnia. Se non sbaglio, non vi vedete da prima che lei iniziasse a lavorare qui”.
No, non è esatto. Johanna è stata a Parigi per lavoro, un paio di giorni fa, no?”.
Vorresti dirmi che è venuta a cercarti?
Christiana annuì mentre Kate esclamava meravigliata che non si sarebbe mai aspettato un gesto del genere da parte dell’amica.
Perché? Se posso saperlo…
Perché Johanna è ben conscia di averti fatto soffrire, il giorno che ti lasciò da solo sull’isola e, proprio per questo, mi ha detto e ripetuto che, dopo essersi resa conto del tuo ritorno a Parigi, aveva giurato a se stessa che non avrebbe più disturbato la quiete che sicuramente ti eri ricreato”.
Christian scosse la testa, come a voler comunicare che la quiete della sua vita era soltanto una mera apparenza, ma che, dentro, il pensiero di Johanna e l’amore verso di lei erano tutt’altro che sopiti.
La cosa mi sembra molto strana. Scusa se sono indiscreta, Christian, ma cosa è successo quando vi siete rivisti?
Beh… Abbiamo parlato, siamo stati insieme… e poi mi ha nuovamente detto addio. E io non mi do pace per questo. Anche se non ci siamo più frequentati, non ho mai dimenticato Johanna e i miei sentimenti per lei sono ancora più vivi che mai. Per questo devo assolutamente parlare con lei. Devo capire” disse Christian con un tono molto deciso.
Ascolta: io sono molto affezionata a Johanna e sono fermamente convinta di due cose: che lei ti vuole ancora molto bene e che, ultimamente, le stia succedendo qualcosa. Ma non so cosa… E questo non mi fa pensare a niente di buono” ragionò Kate, quasi balbettando le parole che interpretavano il suo pensiero. “Johanna non è al lavoro perché si è presa un periodo di aspettativa. Come avrai capito, siamo molto in confidenza, eppure non mi aveva parlato di questa sua intenzione di prendersi un momento di pausa lavorativa. Tra le altre cose, nell’ultimo periodo, mi sembrava avesse qualcosa che non andava per il verso giusto ed ora non risponde più al telefono. E poi, improvvisamente, sei arrivato tu: dopo sei anni, ricompari dal suo passato, mi dici che l’ami ancora e, per di più, che è stata lei a cercarti per prima. Converrai con me che qualcosa non quadra. Ma sono certa che, qualsiasi cosa stia succedendo a Johanna, tu sei la sola persona al mondo che sia in grado di aiutarla” stavolta era Kate a mostrarsi ferma e risoluta. “Cercala, Christian. E, se veramente l’ami come dici, resta vicino a lei, perché sono sicura che ha bisogno di te e che non desidera altro”.
Il desiderio di Christian di ritrovare la donna che amava si fece sempre più forte. Ottenne da Kate il numero di telefono e l’indirizzo di casa di Johanna, dove si recò, per cercare di capire cosa significasse quello strano comportamento che aveva colpito sia lui che la sua amica. 

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Capitolo 6
*** Un'amara scoperta ***


Vista da fuori, l’abitazione di Johanna non era molto diversa da quella dove avevano vissuto insieme sull’isola che li aveva visti di nuovo uniti dopo tanto tempo: un piccolo giardino, ben coltivato, faceva da cornice ad una piccola casa indipendente, dalle pareti chiare e dal tetto spiovente, tipica della media borghesia statunitense; la vera, grande differenza era l’assenza del mare e della spiaggia, sulla quale si erano sdraiati tante volte, al tramonto, mentre guardavano il sole spegnersi dietro la linea dell’orizzonte disegnata dal limpido cielo e dall’azzurro mare.
Si avvicinò alla porta e suonò ripetutamente il campanello, pregando con tutto se stesso che arrivasse quella risposta che non era riuscita ad ottenere la sua collega e amica. Ma la porta restò chiusa e all’interno non risuonò nessun rumore che potesse far pensare ad una presenza dentro all’appartamento.
Decise di sedersi sui gradini del patio, nella speranza di un possibile ritorno della sua amata. Restò lì per ore, in attesa. La sola possibilità di poter incontrare Johanna che rientrava a casa gli fece dimenticare anche di mangiare e di bere. Solamente dopo molto tempo fu notato e avvicinato da una vicina di casa che, cordialmente, gli chiese chi stesse aspettando e gli spiegò che, forse, la sua attesa sarebbe stata vana, dal momento che aveva visto partire, ma non tornare, la padrona di casa.
Christian ringraziò la sconosciuta dell’informazione e, solo in quel momento, si rese conto che aveva trascorso l’intera giornata nel mezzo di quel giardino, dando seguito ai suoi pensieri e giocherellando solo con un pezzo di carta ed un penna: come tanti anni prima, tra le mani si ritrovò un testo, una poesia, una canzone d’amore per lei. Come tanti prima, a quel punto, ci sarebbe voluto soltanto Nicolas con la sua chitarra, Hélène con la sua voce e, per regalo, la sua Johanna che compariva di nuovo alle sue spalle, innamorata, pronta a cominciare nuovamente un percorso di vita insieme. Invece sapeva solo che Johanna era partita qualche giorno prima, chiaramente per Parigi, per lavoro. Ma dopo? Dove era andata?
Ripiegò il pezzo di carta che teneva tra le mani e, esattamente come fece vent’anni prima, lo nascose nel taschino della camicia, al riparo da tutti gli occhi indiscreti, compresi i suoi.
Fece il giro della casa, fermandosi ad osservarne l’interno, scarsamente illuminato dalla poca luce del tramonto, attraverso una finestra del retro.
Dove sei andata, Johanna?” mormorò tra sé e sé.
Poi, la decisione improvvisa di intrufolarsi all’interno dell’abitazione, con l’intento di carpire qualche informazione sulla destinazione che Johanna potesse aver preso dopo aver lasciato la Francia.
Conosceva Johanna quel tanto che bastava a fargli sapere che, da qualche parte, avrebbe trovato un doppione della chiave, che lei, distratta com’era, avrebbe sicuramente perso. Così fu: sotto un vaso del giardino, infatti, trovò e raccolse quella che sembrava essere una copia della chiave di ingresso, che gli permise di varcare la soglia della casa di Johanna.
Stavolta mi arrestano, lo so” pensò Christian, rivolgendosi idealmente alla sua ex fidanzata, “ma giuro che, prima di finire dentro, ti trovo, dovunque tu sia”.
Anche nella penombra del tramonto, riconosceva con sicurezza lo stile di Johanna: un arredamento semplice, ma, allo stesso tempo, anche un po’ confusionario. In un angolo della casa, c’era anche una foto del gruppo con i quali entrambi avevano condiviso gli anni più belli della loro gioventù; Kate, probabilmente, l’aveva riconosciuto con facilità anche grazie a quell’immagine. Sorrise alla sola idea di Johanna che raccontava alla sua amica le decine di aneddoti che li coinvolgevano tutti, gli stessi aneddoti che, poi, lui aveva raccontato ad Angèle, quando si era deciso ad esternare i suoi pensieri ed i suoi sentimenti.
Girò per le stanze, alla ricerca di qualche indizio che potesse condurlo da lei. Aprì, l’armadio: era evidente che mancavano dei vestiti, come se Johanna fosse partita per un viaggio più lungo della sola trasferta di lavoro a Parigi. Aprì anche alcuni cassetti, fino a quando la sua attenzione fu attirata da una busta con impressa l’intestazione di un centro medico. Christian prese il referto contenuto all’interno della busta, preoccupato da quello che avrebbe potuto scoprire. Il suo inglese era scarso, ma riuscì ugualmente ad interpretare, seppur sommariamente, il foglio contenente il referto di una risonanza magnetica. Le parole “brain tumor”, poi, erano decisamente inequivocabili. E pesanti come macigni.
Una nuova malattia la stava allontanando da tutte le persone a cui voleva bene, ma, se c’era qualcosa di cui ora poteva essere certo, era che non avrebbe permesso che l’affrontasse da sola.
Uscì da quella casa, furtivamente come vi era entrato, portandosi dietro la busta contenente quella nuova straziante condanna per la sua Johanna; ormai si era fatta sera e non gli restava altro da fare che ritirarsi nel piccolo hotel consigliatogli da Kate, per poter mangiare qualcosa e riposarsi un po’. Semmai fosse riuscito a farlo…
Da quando Angèle l’aveva costretto a tornare ad ammetterlo, infatti, non era più riuscito, neanche sommariamente, a nascondere quella che era la sua unica ragione di vita: Johanna, la donna che aveva sempre amato, quella che troppe volte aveva allontanato. No, non avrebbe ripetuto lo stesso errore ancora una volta; se, nei momenti più difficili, Johanna era sempre stata capace di essere forte per entrambi, adesso toccava a lui sostenerla in un momento particolarmente delicato. Doveva trovarla, farle capire che le aveva sempre voluto bene e che, sicuramente, ora più che mai poteva contare su di lui, forte del suo amore, certamente più maturo di quando non era altro che uno studente un po’ presuntuoso. A meno che il desiderio di lei fosse quello di non rivederlo mai più. Ma questa era un’eventualità alla quale preferiva non pensare.

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Capitolo 7
*** Buone nuove ***


In albergo, ricevette una visita da Kate, che gli chiedeva notizie delle sue ricerche. Christian esitò all’idea di rivelarle l’esistenza di quel referto, ma finì per confidarsi, domandandole se conoscesse il nome del medico che aveva seguito la storia clinica di Johanna.
Sì, certo che lo conosco, Christian. Dati i precedenti, Johanna si è sempre tenuta sotto controllo e, qualche volta, mi è capitato di accompagnarla a visita. Però, credimi: a tutto pensavo, fuorché al fatto che Johanna dovesse affrontare di nuovo una cosa del genere”.
Christian non ebbe neanche la forza di commentare quest’ultima affermazione. Era partito da Parigi pieno di gioia, con l’intenzione di dare una svolta positiva alla sua vita e con la concreta speranza di poter essere felice accanto a Johanna, di vederla di nuovo sorridere, mentre, con l’allegria che l’aveva sempre caratterizzata, esternava a tutto il mondo i suoi sentimenti più intimi, anche quelli che coinvolgevano entrambi, incurante, invece, dell’imbarazza che, da sempre, era solito colpire lui.
Ti posso chiedere un favore, Kate? Mi accompagneresti da lui, domani? Vorrei chiedergli qualcosa, ma temo che, non conoscendomi, esiterà a rispondermi”.
Certo, ci sarò, puoi stare sicuro. Tornerò domattina e andremo subito da lui. Adesso, però, sarà il caso che tutti e due riposiamo un po’”.
Christian annuì; era stanco, ma non aveva nessuna voglia di dormire. Rimasto da solo, nella stanza di quel nuovo hotel, non poté fare altro che rimestare tra le mani la grande busta, causa di tanta sofferenza, e rimase sorpreso quando, dal suo interno, cadde anche un piccolo foglio di carta, ripiegato diverse volte su se stesso. Non lo aveva notato quando, nel pomeriggio, aveva estratto, agitato, il referto stampato su un altro foglio.
Aprì quella che sembrava essere la pagina strappata di un quaderno e trovò, al suo interno, una copia di quella fotografia che lui portava sempre nel portafoglio, quella che aveva scattato durante uno di quei meravigliosi tramonti osservati sull’isola, insieme alla sua amata. Il suo cuore accelerò mille volte i suoi battiti, mentre, sull’altro foglio, riconosceva, in alcune parole scritte a mano, la calligrafia di Johanna, rimasta sostanzialmente invariata nel tempo; lesse con estrema curiosità il messaggio riportato, che sembrava assomigliare molto ad una drammatica e allo stesso tempo poetica richiesta di aiuto e di supporto.
“(Tornerai) Ogni tanto sto da sola e sono sicura che non mi ritroverai…
(Tornerai) Ogni tanto sono stanca di riascoltarmi mentre piango la mia infelicità…
(Tornerai) Ogni tanto guardo indietro e scopro come il meglio di questi anni sia passato di già…
(Tornerai) Ogni tanto tremo di paura ma poi nei tuo occhi sento quello che sei…
(Tornerai, non sai) Che ogni tanto cado e non ci sei…”
Scoprì subito dopo che erano le parole di una canzone che lui non conosceva. Ma chi aveva in mente la sua Johanna quando aveva deciso di riscrivere a mano quelle parole? Era possibile, considerato anche il fatto che aveva trovato quella poesia insieme ad una loro foto, che il destinatario di quel messaggio fosse proprio lui? Lui, che non era mai stato presente quando lei ne aveva avuto bisogno… Lui, che non l’aveva mai sorretta quando si era trovata a cadere… Lui, che, invece, era sempre stato compreso con un semplice sguardo…
Rilesse molte volte quella lunga poesia, che riempiva più di una facciata di quella pagina di quaderno.
“(Tornerai) Ogni tanto so che non sarai mai quell'uomo che davvero io vorrei…
(Tornerai) Ogni tanto so che sei quell'unico che sa come trattarmi nonostante i miei guai…
(Tornerai) Ogni tanto so che nell'intero universo non c'è niente che somigli un po' a te…
(Tornerai) Ogni tanto so che non c'è niente di meglio e niente che per te non farei…”
Più riguardava quel manoscritto, accompagnato da una copia della stessa fotografia che lui portava nel portafoglio da anni, e più aumentava la certezza che Johanna si riferisse proprio a lui, pensando a quella persona che non sarebbe stata mai quell'uomo che davvero lei avrebbe voluto, ma che, allo stesso tempo, era anche l’unico al mondo in grado di comprenderla, nonostante i suoi guai. Da una parte, sperava fermamente che quella poesia non fosse altro che l’espressione di quell’amore che anche Kate era certa Johanna provasse ancora disperatamente per lui, lo stesso amore che lui aveva avvertito profondamente l’ultima volta che erano stati insieme, qualche giorno prima, ma si rammaricava anche del fatto che più volte, in quel poema, veniva ripetuto la frase “(Tornerai, non sai) Che ogni tanto cado e non ci sei…”, messaggera di una triste verità che, comunque, non poteva fare altro che ammettere con dispiacere.
Certo, a chiunque Johanna stesse pensando nel momento in cui aveva scritto quelle parole, il suo desiderio di avere accanto la persona che aveva in mente veniva espresso in maniera pari a quello che trapelava dalla poesia che lui aveva scritto durante le ore trascorse in attesa, nel giardino della sua casa. E ormai era arrivato alla conclusione che quella persona fosse proprio lui.
“Tu seras toujours… Jusqu'au dernier jour… Mon unique amour…” sussurrava la sua poesia, con la quale ammetteva che la sua donna rappresentava anche la sua sola ragione di vita.  Aveva quasi dimenticato quel pezzo di carta ripiegato, nascosto nel taschino della sua camicia. Lo recuperò istintivamente e lo mise vicino a quello contenente i pensieri di Johanna.
L’adrenalina che gli scorreva in corpo non riusciva a farlo riposare: era preoccupato per le condizioni di salute di Johanna e ansioso di riuscire a ritrovarla per poterle dimostrare quanto ancora fosse forte l’amore che provava nei suoi confronti, mai scemato nonostante il tempo trascorso e la distanza che li aveva tenuti lontani.
Per cercare di rilassarsi un po’, decise di accendere il portatile e di controllare la sua casella di posta elettronica. Un messaggio di Nicolas attirò la sua attenzione: il suo amico, incapace di spiegarsi una partenza così repentina per una località che Christian non aveva specificato, nell’impossibilità di poter comunicare con lui anche solo attraverso il telefono, che risultava essere spento dal giorno che era passato a salutarlo,  era chiaramente preoccupato. Christian rispose alla mail, comunicando all’amico di stare bene e che gli avrebbe spiegato tutto il prima possibile, ma non in quel momento. Informare Nicolas della visita improvvisa di Johanna, di quello che aveva scoperto riguardo la sua salute e spiegargli la ricerca che stava intraprendendo, lo avrebbe sicuramente preoccupato di più.
Alla fine si addormentò e riuscì a riposare, almeno un po’. Quando si risvegliò, il sole era già alto nel cielo ed illuminava quella giornata quasi estiva, che, infatti, si preannunciava piuttosto calda, soprattutto rispetto alla più mite e tiepida primavera parigina cui Christian era abituato. Il pensiero che quella sarebbe stata una giornata perfetta per una romantica passeggiata mano nella mano con la persona amata sfiorò la mente di Christian, mentre il suo sguardo si allungava tra i prati che circondavano le case di quel tranquillo quartiere residenziale che si intravedeva dalla finestra dell’albergo. E, invece, lui era lì, a tormentarsi nel pensiero che la persona amata era sola, da qualche parte, ad affrontare una situazione sicuramente pesante.
Si alzò, si fece una doccia e si cambiò d’abito. Quando scese nella hall trovò Kate, che era già lì ad attenderlo. La invitò al bar e le offrì un’abbondante colazione; chiacchierarono e scherzarono tra loro come se si fossero conosciuti da sempre: seppure Kate conosceva Christian solo attraverso le parole di Johanna, sapeva moltissimo di lui, mentre Christian si lasciava guidare da quella nuova conoscenza attraverso la nuova vita di Johanna e i pensieri e i sentimenti che l’avevano accompagnata dal giorno che si era allontanata da lui, fino al giorno che era tornata a bussare alla sua porta.
Purtroppo non ho molto tempo a disposizione prima di dover tornare a lavoro, Christian. Se vogliamo incontrare il dott. Miller, sarà meglio sbrigarci” lo esortò la ragazza.
Sì, hai ragione, andiamo” rispose prontamente Christian, affrettandosi a saldare il conto della caffetteria.
Presero un taxi e Kate indicò senza indugio l’indirizzo dello studio del medico curante di Johanna, dove spesso l’aveva accompagnata per dei periodici controlli.
L’ambulatorio del dott. Miller si trovava in centro, dove la città assumeva tutta un’altra prospettiva: non c’erano le tipiche case della periferia, circondate dalla natura e da strade poco trafficate, ma padroneggiavano gli alti palazzi che toglievano sguardo all’orizzonte, mentre i rumori delle auto quasi coprivano anche le voci delle persone che gli erano accanto. Come molti europei, si ritrovò a pensare che gli americani fossero un popolo senza mezze misure: persino le loro città, infatti, vedevano il susseguirsi, senza soluzione di continuità, di villette indipendenti, giardini, alberi e strade semideserte e, quindi, di grattacieli di cui, a stento, si riusciva ad intravedere la fine e distese di cemento che sembravano infinite.
Christian seguì Kate all’interno di uno di quegli alti palazzi, stringendo tra le mani la busta con il nefasto referto. Da quando era salito sul taxi, aveva assunto un’espressione molto seria ed aveva smesso di scherzare con la sua nuova amica; nella sua mente, la preoccupazione per Johanna faceva passare in secondo piano tutti gli altri pensieri.
Stai calmo, Christian, speriamo che il dottore accetti di parlarci e vediamo cosa si può fare” cercò di tranquillizzarlo Kate, mentre l’ascensore si avvicinava rapidamente al piano dove si trovava lo studio medico.
Come immaginavano, dovettero insistere parecchio affinché la segretaria accettasse di disturbare il medico, intento a visitare un paziente. Il dottore, invece, stranamente comunicò subito la sua disponibilità e, scusandosi con la gente in attesa, decise di ricevere immediatamente quelle persone inaspettate.
Riconobbe immediatamente la giovane Kate, che spesso aveva accompagnato la sua paziente, e non poté fare a meno di concentrare la sua attenzione sul suo accompagnatore, chiaramente agitatissimo, che riusciva solo a farfugliare poche parole in inglese ed al quale, invece, tremavano vistosamente le mani, mentre gli passava la busta contenente il referto di quell’esame, che lui stesso aveva consigliato a Johanna, in seguito al verificarsi di nuovi sintomi che lo avevano preoccupato.
Il dottore riferì che Johanna aveva un appuntamento con lui due giorni prima, accordato proprio per esaminare quel referto, ma che la donna non si era presentata. I due giovani spiegarono di essere preoccupati perché non riuscivano più a trovare la loro amica e anche perché, mentre la cercavano, erano venuti a conoscenza di quel suo nuovo problema di salute, che, probabilmente, era anche la causa della sua fuga. Violando il diritto alla privacy della paziente, il dott. Miller si sentì autorizzato a riferire ai due giovani che, anche se non ne poteva dare l’assoluta certezza solo sulla base di quel referto, a giudicare da quello che, comunque, poteva intravedere dalle risultanze della risonanza magnetica, il problema di Johanna, molto probabilmente, era risolvibile chirurgicamente senza conseguenze. Quindi, diede un calmante a Christian, ormai sul punto di crollare, e congedò i ragazzi, incitandoli a trovare la loro amica, che prima avrebbe affrontato la sua situazione e sicuramente meglio ne sarebbe uscita.
Kate e Christian furono certamente sollevati dalla parole del dottore, che offriva un ampio spiraglio di luce alla fine di quel lungo tunnel che Christian aveva l’impressione di aver imboccato, ma restavano ugualmente preoccupati per le sorti di Johanna, che risultava essere sempre irraggiungibile.
Una seconda colazione al bar offrì ai ragazzi l’occasione di salutarsi con maggiore calma; quindi, Kate tornò al lavoro, mentre Christian si diresse istintivamente alla casa di Johanna. Ormai sapeva perfettamente dove trovare il doppione della chiave e, per la seconda volta in due giorni, si trovò nuovamente a violare la proprietà di quell’appartamento.

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Capitolo 8
*** Il valore di una fotografia ***


Il suo ingresso fu molto più rapido rispetto al giorno prima e lui sicuramente diede molto meno nell’occhio; questa volta, tra l’altro, non era entrato al tramonto, ma all’ora di pranzo di una splendida giornata di sole: la luce del giorno illuminava, quindi, completamente una casa dai colori vivaci, che rispecchiava alla perfezione la personalità un po’ eccentrica di Johanna.
Rovistò in giro, alla ricerca di qualcosa che nemmeno lui aveva in mente; si aspettava, comunque, frugando tra le stanze, di trovarsi di fronte ad un’idea o ad un indizio che gli suggerisse la possibile destinazione di Johanna. Girò per le stanze, aprì i cassetti e lesse tutte le carte che si trovò sotto mano, dagli appunti della spesa agli scontrini degli acquisti. In un angolo del salotto, destinato ad uso ufficio, c’era il computer di Johanna. Christian vi si avvicinò, pensando di cercare qualche indizio anche attraverso il pc; sparse sulla parete e sopra il mobile, c’erano diverse fotografie, che ritraevano, per lo più, Johanna quando era bambina e adolescente.
L’immagine di quella ragazzina felice gli trasmise un grande senso di serenità. Durante la sua lunga chiacchierata con Angèle, non aveva rivelato alla sua amica che, quando aveva lasciato la musica, si era avvicinato alla fotografia pensando proprio alle parole di Johanna, che aveva sempre sottolineato il valore comunicativo di qualsiasi genere di istantanea.
Una bella foto è una foto che comunica qualcosa, a prescindere dalla bravura del fotografo”: queste parole l’avevano accompagnato sempre, dalle prime istantanee immortalate per diletto fino all’ultima foto scattata per professione.
Osservò nuovamente tutte le immagini che lo circondavano: erano foto casalinghe, ingiallite dal lungo tempo trascorso. Quale poteva essere il loro significato? Che cosa potevano comunicare?
All’improvviso, scattò qualcosa nella mente di Christian: quando erano insieme, Johanna gli aveva parlato spesso delle estati trascorse nella zona della baia a sud di Huston, che lei ricordava come i giorni più sereni di tutta la sua vita. E se fosse stata quella la sua destinazione? Un viaggio alla ricerca del suo passato migliore?
Cercò di mettere a fuoco i suoi ricordi e riscontrava un’immensa difficoltà a riportare, a livello conscio, tutte le storie che gli aveva raccontato Johanna. Continuava a guardare una ad una tutte quelle immagini e rimpianse il fatto che non si fosse sforzato di ascoltare di più la sua donna, quando ne aveva avuto l’occasione; forse, ora, avrebbe saputo dove raggiungerla, per poterle tornare a farle capire quanto fosse forte il suo amore per lei.
Raccolse tutte le foto che trovò in giro e si precipitò a casa di Kate, per farsi aiutare ad orientarsi tra tutte quelle immagini e riuscire, magari, a legarle a dei posti più circoscritti rispetto ad un’area estesa per migliaia di chilometri quadrati. Misero insieme tutte le informazioni che avevano sul passato di Johanna: i suoi racconti delle avventure estive in cui la coinvolgeva un nonno a cui era molto legata, le passeggiate in spiaggia, la pesca…
Purtroppo nessuna delle informazioni in possesso dei due giovani forniva indicazioni precise sul luogo in cui Johanna potesse essere cresciuta; dal momento che una delle foto ritraeva la loro amica di fronte ad un monumento ben riconoscibile, almeno per l’americana Kate, però, erano riusciti a restringere il campo di ricerca all’isola di Galveston, una contea texana decisamente estesa, al confine con il Golfo del Messico.
È là, ne sono sicuro” affermò con decisione Christian.
Ma come fai ad esserne così certo? Il fatto che tu abbia trovato proprio quelle foto potrebbe essere solo una coincidenza”.
No. È là” insistette Christian “E là andrò anche io. Devo trovarla”.

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Capitolo 9
*** Galveston ***


Christian era fermo e deciso, come, forse, non lo era mai stato, fino a quel momento. Salutò Kate, promettendole che l’avrebbe tenuta informata di eventuali novità e ricevendo, in cambio, la stessa promessa; poi, mangiò rapidamente qualcosa e tornò in albergo, dove, collegatosi su internet attraverso il suo portatile, fece una ricerca sull’isola di Galveston e rispose, di nuovo in maniera molto vaga, all’ennesima email di Nicolas, sempre più preoccupato, dopo aver appreso della partenza di Angèle.
La mattina seguente si svegliò all’alba, raccolse tutte le sue cose e si avviò versò una località sconosciuta, che si estendeva per una superficie che era cinque volte più grande di quella di Parigi.
Sapeva che non sarebbe stato facile trovare Johanna. Non poteva neanche giurare che lei si trovasse proprio su quell’isola, ma qualcosa, in fondo al suo cuore, lo stava spingendo in quella direzione. Sperava solo che, una volta arrivato, avesse potuto scorgere piccoli segnali in grado di far rievocare ricordi più profondi e precisi, di cui Johanna lo aveva sicuramente reso partecipe.
Arrivò sull’isola di Galveston il giorno seguente: il centro storico della cittadina aveva un aspetto decisamente pittoresco, dove case antiche, costruite forse più di un secolo prima, facevano da cornice ad un agglomerato urbano piuttosto colorato, sotto vari punti di vista. Constatò che la vita notturna terminava piuttosto presto all’interno del centro abitato, per spostarsi verso l’attrezzato lungomare, pieno di ristoranti e di alberghi, dove prenotò una stanza per la notte e si recò per la cena.
Assaggiò senza convinzione i piatti locali, concentrando la propria attenzione su tutti gli indizi di quella specie di caccia al tesoro al cui traguardo c’era sia la sua felicità che quella di Johanna e continuando a rigirare la tra le mani tutte le fotografie che aveva portato via dalla casa di lei.
Nessuna di quelle immagini richiamavano, in qualche maniera, il paesaggio che si stagliava di fronte ai suoi occhi: la cittadina dal sapore antico e le spiagge animate non rispecchiavano per niente quelle foto che vedevano Johanna correre a cavallo, tra i prati intorno ad una fattoria immersa nel verde.
Il giorno seguente si spostò verso l’unica attrazione riconoscibile con assoluta sicurezza: i Moody Gardens, piramidi di vetro che ospitavano, al loro interno, più di un museo e perfino un parco divertimento.
Se fosse stata una gita di piacere, probabilmente si sarebbe anche divertito passeggiando nella serra tropicale, nel museo naturale o tra le vetrate dell’acquario, che gli mostravano pesci bizzarri e colorati. Si immaginò Johanna davanti a quelle vasche così variamente popolate e sorrise al pensiero di lei adolescente, che probabilmente attirava l’attenzione dei visitatori anche più di quegli animali dalle razze variegate.
Ma, eccetto il richiamo a quell’unica fotografia che la ritraeva nei giardini che circondavano quelle caratteristiche piramidi, forse poco conosciute dagli europei, non c’era nulla che potesse ricondurlo ad un passato che rimaneva ancora un mistero.
Decise di affittare una macchina e di lasciarsi guidare dal destino attraverso le strade di un’isola che sperava potesse essere la cornice di un nuovo riavvicinamento alla donna che amava, come era stata, qualche anno prima, l’isola su cui avevano vissuto felici per qualche mese. Ma la stanchezza gli fece percorrere solo pochi chilometri prima che quel caso, disperatamente interpellato, lo fece deviare dalla strada principale, attraverso le strade strette e poco trafficate di una sorta di piccolo quartiere residenziale, immerso nel verde.
Un cartellone colorato pubblicizzava un albergo poco più avanti, sulla strada statale. Christian decise di fermarsi lì per la notte, posò i suoi effetti personali in camera e tornò indietro, a piedi, in direzione di quel sobborgo, che poco prima aveva stranamente attirato la sua attenzione, spingendosi fino alla spiaggia.
Camminò a piedi nudi sull’arenile, respirando la brezza che proveniva dall’acqua agitata. Le case basse, tutte di legno, incorniciavano un tramonto caratterizzato da una luce di colore rosso fuoco, che si rifletteva sulle onde che si infrangevano senza sosta.
Si sedette in un angolo, gli occhi chiusi, rivedendosi per un istante mano nella mano con Johanna, gli occhi di lei che brillavano di una luce che si rispecchiava in quella del sole che scendeva sotto la linea dell’orizzonte. Ma come aveva potuto pensare che lei se ne fosse andata per mancanza di amore?
Le sue dita presero a giocherellare sulle corde di una chitarra virtuale, a voler rievocare una melodia che aveva composto insieme a Nicolas, sulla quale aveva adattato perfettamente il poema iniziato durante la prima giornata trascorsa in attesa davanti alla porta chiusa dell’appartamento di Johanna e terminato proprio durante la ricerca on the road, che lo stava portando a scoprire angoli di paradiso, che Johanna aveva spesso decantato.
Era così preso da quel nuovo tentativo di mettere in musica i suoi sentimenti, che non si accorse nemmeno di essere osservato da un gruppetto di ragazzi, intenti a trascorrere la serata intorno ad un falò.
Ehi, cosa canticchi lì, tutto solo? Perché non ti unisci a noi?” gli chiese una voce dal tono cordiale in un inglese dallo strano accento, che Christian faceva un po’ di fatica a comprendere.
Guardò il ragazzo, che gli tendeva la mano con aria gentile: era un giovanotto poco più che ventenne, circondato da alcuni coetanei; che ridevano e scherzavano intorno ad un fuoco, acceso per animare la serata che stava iniziando. Gli sembrò di rivedere anche se stesso ventenne, in compagnia di Nicolas, di Etienne o di Sébastien, durante quelle gite nelle quali venivano trascinati dalle ragazze. Gite che, per inciso, nonostante le sue lunghe ed inutili proteste, erano sempre risultate essere dei momenti più che divertenti.
Scusatemi, parlo poco l’inglese, non sono americano, sono francese” disse Christian, quasi a voler giustificare il rifiuto di avvicinarsi a quella comitiva che sembrava essere molto affiatata.
Ma che coincidenza!” esclamò il ragazzo, questa volta in un perfetto francese “neanche noi siamo americani, siamo qui in vacanza, veniamo da Marsiglia. Sei in vacanza anche tu?”.
Non proprio… È un po’ più complicato…” sussurrò Christian, osservando per un attimo quel ragazzo così cordiale; per un secondo, gli sembrò di trovarsi di fronte il Nicolas dei tempi dell’università: come il giovane Nicolas, anche lui aveva i capelli lunghi da ribelle, ma a posto e pettinati, l’aspetto gentile e la voglia di aiutare il prossimo. Sorrise alla comitiva, sedendosi tra tutti quei ragazzi, che sembravano felici e si sentivano padroni del mondo, come si era sentito lui alla loro età.
Ti va di suonarci qualcosa? Ho avuto l’impressione che la musica non ti fosse estranea” gli chiese, poi, il giovane che l’aveva invitato, passandogli la chitarra.
Bene, d’accordo. Per la verità, me la cavo meglio con la batteria che con la chitarra, ma mi accontenterò. Del resto, dal momento che io sono l’unico senza una fidanzata da abbracciare di fronte a questo meraviglioso fuoco, non mi resta altro che dedicarmi alla musica. Cosa volete che suoni?” scherzò Christian, suscitando l’ilarità di tutti i presenti. Non era solito concedere tanta confidenza, specialmente a degli estranei, ma l’atmosfera l’aveva indotto a ricercare un momento di serenità con quella compagnia di ragazzi sconosciuti.
Non lo so, cosa stavi canticchiando quando ti ho interrotto?
Be’… Quello era… non è una canzone… era una cosa mia…” balbettò Christian, giustificandosi. “Era un testo che ho scritto così, un po’ di getto, non è ancora qualcosa di compiuto”.
Wow, una tua canzone? Perché non ce la canti? Dai!”.
No, non mi pare il caso” negò Christian, che, però, spinto dall’insistenza e dall’entusiasmo di quei ragazzi, curiosi di ascoltare un brano inedito, decide di suonare la sua vecchia canzone, “Peut-etre qu’en septembre”.
Il gruppo di giovani era rimasto affascinato e commosso nell’ascoltare quella melodia che accompagnava le parole di un uomo sinceramente innamorato.
Tornò?” chiese all’improvviso il solito ragazzo.
Cosa?” disse Christian, tornando improvvisamente alla realtà.
Questa canzone è chiaramente dedicata alla donna che amavi e che, per un motivo o per un altro, se ne era andata. Tornò, poi, da te?
Christian abbozzò un sorriso, un po’ per un leggero imbarazzo, non essendo abituato a lasciarsi andare, e un po’ per la gioia provata rivivendo, per un attimo, il momento in cui, sorprendentemente, si trovò Johanna, appena tornata dal Texas, proprio dietro le spalle.
Allora? Ci lasci così? La ragazza tornò?” insistette il giovane.
Sì, tornò” disse improvvisamente una voce alle spalle del gruppo. “Quella ragazza era follemente innamorata. E tornò. Ma questa è una storia di tanto tempo fa…”.
Christian si alzò in piedi di scatto, sorpreso, emozionato e felice.
Jo… Johanna!” esclamò incredulo.

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Capitolo 10
*** Sincerità ***


Abbracciò Johanna con immenso trasporto, stringendola più che poteva, come se avesse avuto paura che lei fosse potuta fuggire via all’improvviso.
Ma… Christian, cosa ci fai tu qui?
Christian non riusciva ad allentare l’abbraccio nel quale aveva avvolto la donna che aveva cercato con tanto trasporto.
Christian! Calmati. Che ti è successo?” esclamò Johanna, divincolandosi, ma solo quel tanto che bastava a recuperare un po’ di aria intorno a lei e non a sciogliersi del tutto da quell’abbraccio che l’aveva colta di sorpresa, almeno quanto aver ascoltato Christian cantare dal vivo la loro canzone, in quell’angolo di mondo a lui non familiare. “Christian, come sei arrivato qui?” gli chiese sorridendogli, con le lacrime agli occhi, visibilmente emozionata, anche se, nonostante fosse profondamente contenta, per una volta sembrava essere lei a sentirsi imbarazzata per le attenzioni ricevute.
È una lunga storia, ma adesso ti spiego” le rispose Christian, che ancora faticava a credere di aver ritrovato la sua donna.
Christian salutò il gruppo di amici che lo aveva ospitato nella loro comitiva per qualche ora, riportandolo indietro con la mente a quando la vita era molto più semplice e piena di allegria.
Vogliate scusarci, ragazzi, ma ho bisogno di parlare con lei” si giustificò Christian, indicando Johanna con lo sguardo e allungando una mano per salutare la compagnia.
Mi sembra ovvio” confermò il ragazzo che per, per primo, l’aveva avvicinato. “Ti faccio i miei complimenti perché sei molto bravo. E in bocca al lupo per tutto”.
Grazie a tutti, siete stati molto gentili con me stasera. Auguro una buona fortuna anche a voi e, mi raccomando, state a sentire chi ha qualche anno e un po’ di esperienza più di voi: prestate sempre attenzione alle persone alle quali volete bene, perché questa è la cosa fondamentale nella vita”.
Christian salutò di nuovo, poi prese Johanna per mano e si allontanò velocemente dal gruppo, quel tanto che potesse offrirgli un momento di intimità con la donna che aveva tanto cercato.
Si ritrovarono soli, a passeggiare in un tratto di spiaggia illuminato solo dalla luce della luna, mentre il rumore delle onde, che si infrangevano sulla battigia, accompagnava quel silenzio carico di parole, che tutti e due avevano paura di rompere.
Christian... cosa ci fai qui?” gli chiese nuovamente Johanna, sperando e allo stesso tempo temendo che Christian fosse lì per lei.
Christian si fermò per guardarla negli occhi, posando le sue mani sui fianchi di lei.
Oh, be’, ero in vacanza da queste parti e…” scherzò per un attimo, per alleggerire la tensione. “Secondo te, Johanna? Cosa ci faccio qui?”.
Christian…” insistette Johanna, cercando di trovare il modo di allontanarsi da lui, che invece la trattenne per i lembi della giacca che indossava.
Te ne sei andata” constatò Christian. “Dopo sei anni vieni a bussare alla mia porta per poi andartene di nuovo, senza nessuna spiegazione: perché l’hai fatto?
Christian, mi dispiace, non avrei dovuto”.
Cosa non avresti dovuto?
Tornare di nuovo nella tua vita, all’improvviso, rompere i tuoi equilibri, causarti problemi con… la tua ragazza… È stato solo un momento di debolezza, mi dispiace” tornò a scusarsi Johanna. “Saremo sempre amici, amici per la vita, ma dobbiamo guardare avanti”.
Christian scoppiò a ridere: “Angèle! Allora aveva ragione, te ne sei andata per lei?
Sì… No… Non avevo il diritto di venire a turbare la tua felicità, mi dispiace”.
La mia felicità?” Christian scosse la testa: “La mia felicità l’ho lasciata su una spiaggia molto simile a questa, il giorno in cui ho trovato la nostra casa vuota”.
Mi dispiace” insistette Johanna.
Basta con tutti questi “mi dispiace”. Piuttosto, pensiamo alle possibilità che abbiamo oggi”.
Ma no, Christian, tu hai…” obiettò Johanna, riferendosi alla donna che aveva intravisto in casa di Christian, del quale, però, non riusciva a memorizzare il nome.
…Angèle…” le suggerì Christian.
…Angèle. E io…”.
Christian scosse di nuovo la testa, poi fissò Johanna negli occhi lucidi, che riflettevano la luce della luna piena, unico testimone di quella loro conversazione.
Johanna, guardami: io sono qui, con te. Angèle… Be’, non posso negare che ci sia stata una tenera amicizia tra noi, questo sì. Ma io amo te. Ti ho sempre amata. E questo lo sa anche lei. Figurati che è stata proprio lei a convincermi che, questa volta, non sarei dovuto restare ad osservare inerme un aereo che partiva. E, quanto a te, anche tu mi ami, ora lo so”.
Christian, non è possibile…”.
Perché no, scusa? Cosa ci impedisce di trovare di nuovo la nostra felicità?”.
No, Christian. Non è possibile” insistette lei.
Johanna si sciolse improvvisamente dal lieve abbraccio di Christian, per allontanarsi di qualche metro. Christian la raggiunse immediatamente, in tempo per cogliere ed asciugare, con una tenera carezza, la lacrima che, improvvisamente, aveva rigato il viso di lei.
Che cos’hai, Johanna? Certo che è possibile, basta volerlo”.
No, Christian. No” risposte lei, ostentando una fermezza che, in realtà, non aveva.
Johanna fece di nuovo per allontanarsi, ma stavolta Christian fu più rapido di lei nell’afferrare la sua mano, stringendola tra le sue. Si fece, quindi, seguire accanto ad uno scoglio, vicino al quale si sedette, facendo fare altrettanto a lei.
Vieni qua, ti vorrei raccontare una cosa”. L’espressione di Christian ora era decisamente seria.
Cosa?” chiese, a quel punto, incuriosita, Johanna.
C’è stato un momento della mia vita particolarmente negativo. Sentivo di aver perso tutto. Non riuscivo a provare nessuna sensazione vagamente positiva; l’unica emozione che riuscivo a provare era soltanto una forte infinita disperazione. In quel momento, arrivai addirittura a pensare che la mia esistenza non avesse più uno scopo e che, forse, non valesse neanche più la pena vivere”.
Christian…
Johanna, adesso, lo guardava con molta partecipazione mentre lui teneva gli occhi fissi su un ramoscello trovato per terra, con il quale aveva preso a giocherellare, per tentare di allentare la tensione, almeno un po’. Lo faceva sempre: ogni volta che era nervoso, afferrava il primo oggetto che gli capitava davanti e cominciava a passarselo di mano in mano. Anche in quel momento, in cui voleva essere sincero, ma non sapeva come Johanna avrebbe reagito alle sue confidenze.
Lei lo conosceva così bene da rendersi perfettamente conto che, in quel momento, Christian era agitatissimo; così, gli tolse di mano il ramoscello ed intrecciò le sue dita con quelle di Christian, che le sorrise.
Avevo perso tutto” ripeté, poi, alzandosi in piedi ed allontanandosi di un paio di passi. “Nulla aveva più senso. Ero convinto che il domani sarebbe stato solo un giorno di sofferenza in più. E non potevo che prendermela che con me stesso, perché ero io la causa di quello che stavo vivendo. Ero scivolato talmente in basso da rischiare di fare realmente del male a me e ai nostri amici”.
In che senso?” chiese Johanna, avvicinandosi e poggiandogli una mano sulla spalla.
Il viso di Christian si contrasse in una smorfia, poi alzò lo sguardo fino ad incrociare quello di lei. Quando si trovarono occhi negli occhi, Christian fece un sospiro e si confidò apertamente.
Ero fuori di me e… iniziai a drogarmi”.
Cosa? Tu hai… No, non posso crederci!” Johanna era allibita e incredula. La sorpresa fu talmente tanta che, per un momento, non riuscì neppure a restare in piedi e dovette sedersi sullo scoglio vicino al quale l’aveva fatta accomodare Christian poco prima.
Sì. E probabilmente sarei finito molto male se i nostri amici, nonostante non meritassi che essere lasciato in balìa di me stesso, non mi avessero teso la mano. Tutti… E Nicolas per primo, che fu terribilmente duro con me, ma, allo stesso tempo, estremamente comprensivo, che mi raccolse letteralmente da terra e che mi fece capire che non ero affatto solo” aggiunse lui, tornando vicino a lei.
Ma io non ho mai saputo nulla di questa storia. Quando è successo?”.
Be’, è passato un po’ di tempo, ma, di sicuro, non potrò mai dimenticare quel momento”.
Johanna non aveva più smesso di fissare Christian.
“Successe più o meno diciassette anni fa, la prima volta che quel maledetto aereo ti ha portato lontano da me, la prima volta che lasciasti Parigi per tornare a Houston. Quando ripresi parte del mio equilibrio e fui pronto ad ammettere apertamente quanto mi mancassi, lo feci scrivendo il testo della nostra canzone”.
Oh mio Dio! Io non l’ho mai saputo. Perché non me l’hai mai detto? Voglio dire… dopo… quando tornai…”.
Perché ti saresti sentita in colpa ed io non lo volevo. Perché, di sicuro, il colpevole di tutto ero io, non tu… Il punto, infatti, non è perché successe quello che successe. Il punto è che ci sono situazioni dalle quali non si può uscire da soli. Il punto è che ci sono momenti in cui bisogna aggrapparsi alla mano di chi ci vuole bene” spiegò Christian, tendendo la propria mano in direzione di Johanna. “Dimmi la verità: io so che non sei andata via solo perché hai visto Angèle in casa mia. Sbaglio?
Johanna scosse lievemente la testa, a voler confermare l’affermazione di Christian, che aveva colto nel segno, ma senza trovare il coraggio di stringere la mano di lui.
No, non posso coinvolgerti, non sarebbe giusto” continuò, poi, a ripetere, cercando di convincere più se stessa che Christian.
Guardami” disse Christian con fare imperativo. “Io sono qui. E sono qui perché è qui che voglio essere. Con te… Perché ti amo, se possibile anche più di ieri. So di non avere il diritto di chiederti niente, ma fidati di me; questa volta non ti deluderò” e, così dicendo, incitò Johanna a stringere la sua mano tesa, ancora sospesa a mezz’aria vicino a quella di lei.
Johanna esitò ancora un momento, poi, finalmente, si lasciò trasportare dalla forza dei sentimenti che mai, durante tutti quegli anni che li avevano visti lontani, erano riusciti ad abbandonarli. Mise la sua mano in quella di Christian, che, un secondo dopo, la tirò a sé e la strinse in un abbraccio dal sapore magico, se non fosse per il pensiero di quella malattia, che lei credeva ancora essere un segreto.
Sai che su questa spiaggia ho passato le giornate più belle di tutta la mia vita? Mio nonno aveva una fattoria non lontano da qui e, d’estate, venivo proprio qui a fare il bagno e anche a pescare”.
Sì, ricordo che mi parlasti di quanto ti piacevano le vacanze trascorse con tuo nonno” confermò Christian.
Johanna sorrise al ricordo di quelle giornate serene.
Che bei tempi!” disse con un po’ di rammarico. “Tutto era molto più facile” continuò, sciogliendosi dall’abbraccio di Christian, che, di rimando, incapace di interrompere il contatto fisico, prese le sue mani tra le proprie. Quindi annunciò con determinazione: “Christian, ho un problema”.
Christian assunse un’aria molto seria: conosceva già il problema che affliggeva la mente e il corpo della sua amata, ma voleva che fosse lei a trovare il coraggio di condividerlo con lui.
Sono malata, Christian. Mi hanno scoperto un tumore cerebrale. E non so cosa mi aspetta”.
Christian fece un lungo sospiro, continuando a tenere lo sguardo fisso negli occhi di lei e carezzandole dolcemente le braccia.
Non dici niente?
Prometti che non ti arrabbi?” chiese a Johanna, che annuì. “Lo sapevo”.
Cosa?” esclamò lei estremamente sorpresa.
L’ho scoperto pochi giorni fa, subito dopo essere arrivato qui in America”.
Stavolta era lei che non riusciva a smettere di fissare Christian, che le raccontò del suo arrivo a Houston, della conoscenza con Kate, dell’ingresso furtivo nella sua casa, della scoperta del referto e perfino del colloquio con il medico.
Il dottor Miller ha detto che, molto probabilmente, la situazione è meno grave di quello che tu pensi e che tutto si risolverà per il meglio. E io sono sicuro che sarà così. Abbiamo ancora tanti momenti da vivere insieme” e, su quest’ultima affermazione, Christian scambiò con lei un interminabile bacio, foriero di tutta quella passione che li coinvolgeva dal giorno che si erano conosciuti.
Christian le raccontò anche di essere arrivato sull’isola dove si trovano in quel momento, seguendo l’istinto risvegliato dal ritrovamento di quelle vecchie fotografie che la ritraevano bambina e adolescente e che adesso custodiva all’interno della sua giacca.
Certo, trovarti è stato un colpo di fortuna perché non sapevo davvero dove cercarti con precisione” constatò. “Mi perdoni di aver ficcato il naso nella tua vita, senza il tuo permesso?”.
No” rispose lei, accennando un sorriso.
No?” si sorprese lui.
Non ho niente da perdonarti. Se non avessi ficcato il naso, come hai detto tu, non saresti qui con me ed io non mi sentirei così…”.
Così come?” si incuriosì lui.
Così felice”.
Christian sorrise guardandola negli occhi e portò, di nuovo, le sue labbra a contatto con quelle di lei, continuando a baciarla senza sosta per interminabili minuti.
A proposito” si ricordò all’improvviso “dovresti chiamare Kate; era molto preoccupata per te… E anche il dott. Miller, che ti aspetta… E noi…”.
Sì, d’accordo, Christian. Calmati” rispose lei, non senza difficoltà, mentre lui continuava a riempirla di baci e carezze. “Io proporrei, comunque, di rimandare tutto a domani. Non so se hai notato che si è fatto piuttosto tardi”.
Hai ragione, non ci avevo fatto caso. Diciamo che, quando sto insieme a te, tutto diventa relativo” aggiunse, riprendendo a baciarla subito dopo.
Christian! Christian, dai, smettila!” gli ordinò Johanna, anche se poco convinta delle sue parole. “È tardi. Andiamo a dormire e domani penseremo a tutto: a Kate, al dott. Miller e a noi”.
No, no, no. D’accordo per Kate e per il dott. Miller, ma io non voglio smettere un attimo di pensare a noi” annunciò lui. “Anzi, ti accompagno. Dove alloggi?”
Al SeaScape Resort Condos. È sulla strada principale
Sì, lo so dov’è” scoppiò a ridere Christian “Ho preso una stanza lì oggi pomeriggio. Tu credi nel destino, Johanna? Perché io penso che, se esiste, sta veramente cercando di aiutarci”.
Anche lei sorrise di nuovo, sinceramente contenta di quella nuova situazione, che l’aveva colta letteralmente di sorpresa.

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Capitolo 11
*** Insieme ***


Camminarono a braccetto, percorrendo il tratto di strada che li separava dall’hotel. Quando raggiunsero l’albergo, scoprirono divertiti che anche le due stanze a loro assegnate erano, in realtà, due sistemazioni contigue.
Dai, non dire di no: qualcuno, dall’alto, sta cercando di darci un mano” scherzò Christian, non appena arrivato davanti alla porta della camera di Johanna. Quindi la guardò negli occhi, tenendo le sue mani poggiate sulle spalle di lei, incapace di interrompere il contatto fisico con la donna che amava più di se stesso.
Un momento di silenzio accompagnò lo sguardo di Johanna, che subito dopo si perse nell’abbraccio di Christian, lasciandosi andare all’ennesimo romantico e appassionato bacio. Trascinò Christian all’interno della propria camera e catturata, insieme a lui, dall’intensità dei sentimenti che provavano, trascorsero il resto della notte insieme, come se il ricordo dei lunghi anni trascorsi lontani si riducesse al pensiero di un fugace incubo spazzato via dalla luce di un nuovo giorno che stava per iniziare.
Quando Johanna si svegliò, il mattino seguente, erano ancora abbracciati: il viso di lei era appoggiato sul petto nudo di lui e le braccia di Christian l’avvolgevano come se, inconsciamente, temesse che lei potesse allontanarsi nuovamente.
Era sempre stato così: ogni volta che si erano trovati sul punto di lasciarsi o immediatamente dopo una delle loro tante riconciliazioni, Christian diventava improvvisamente affettuoso e pieno di attenzioni ed esternava senza vergogna tutti i sentimenti più nobili che riusciva a provare. Era solo dopo che subentrava nuovamente la routine, anche se non per questo si volevano meno bene.
Con un po’ di difficoltà, evitando di svegliarlo, Johanna riuscì a sollevarsi lievemente, per osservare meglio il suo fidanzato storico, grande amore della sua vita, mentre dormiva accanto a lei. Nonostante il tempo trascorso, Christian, fisicamente, non era molto diverso da quando aveva vent’anni: certo, un po’ di sana palestra aveva reso la sua corporatura meno minuta di un tempo, ma, fondamentalmente, lineamenti ed espressioni erano rimaste le stesse. Perfino il taglio di capelli era quello di vent’anni prima, anche se un po’ meno curato di quando il grande problema che l’affliggeva era quello di riuscire ad apparire sempre come il migliore in assoluto.
Poi ripensò all’ultima volta che avevano dormito insieme tutta la notte: anche allora si trovavano su un’isola, immersi in un meraviglioso contesto naturalistico, con il mare e la spiaggia a fare da testimoni alla loro fantastica storia d’amore, vissuta intensamente e senza nessun tipo di problema fino al giorno in cui aveva scoperto, per la prima volta, di essersi ammalata.
Sorrise ripensando al giorno in cui Christian era tornato a bussare alla sua porta, dieci anni dopo averla lasciata improvvisamente; in quell’occasione, l’aveva scoperto più gentile e premuroso di un tempo, sicuramente rispettoso dei suoi sentimenti ed anche pronto a tenere fede alla promessa che le aveva fatto il giorno che erano andati a vivere insieme. Effettivamente, a ben vedere, allora, Christian non si era lasciato catturare dalla routine. Allora, Christian non aveva dato niente per scontato. Era stata lei a farlo. Era stata lei che, forse, aveva sottovalutato l’intensità dei sentimenti di Christian e la forza che solo lui era in grado di infonderle.
Forse aveva compiuto un errore di valutazione, forse non se ne era andata da quella casa che aveva condiviso con lui per non caricarlo con il peso della sua malattia, forse aveva dato per scontato che Christian non sarebbe stato in grado di gestire una situazione così delicata.
L’osservò per un altro istante: dopo sei anni, lui era di nuovo di fianco a lei e, per essere lì, non aveva esitato a partire all’improvviso, inseguendo soltanto i suoi desideri.
L’impressione che aveva, in quel momento, era che l’uomo che Christian era diventato somigliava molto, fisicamente parlando, al ragazzo che era stato, ma che la consapevolezza che Christian oggi aveva di se stesso e dei suoi sentimenti era ben diversa da quella che aveva da giovane.
Gli fece una carezza sulla guancia, sfiorando quella leggera barba che donava al suo viso l’aspetto di un uomo più maturo e provò l’improvviso desiderio di riempirlo di baci e di abbracci, ma il timore di svegliarlo da quel sonno che sembrava così sereno la fermò, convincendola a restare immobile ad osservarlo dormire, pensando e ripensando a quanto, nel tempo, le fosse mancato l’amore della sua anima gemella.
Christian si svegliò all’improvviso, forse sentendosi osservato, e, quando aprì gli occhi, si trovò davanti il volto di Johanna, sorridente e sicuramente felice di quell’inaspettata situazione.
Bonjour, mon CriCri d’amour” gli augurò lei.
Lui sorrise, poi chiuse gli occhi e, tentoni, allungò un mano fino a toccare prima il braccio e poi il viso di lei, che sfiorò in una delicata carezza.
Dimmi che non sto sognando, ti prego. Ripetimelo ancora” chiese Christian.
Bonjour, mon CriCri d’amour” ripeté Johanna, portando il suo viso quasi a contatto con quello di lui.
Tu non sai quanto mi sia mancato sentirmi chiamare così” le confidò lui, scambiando subito con lei un tenero bacio. “Buongiorno, amore mio”, disse subito dopo, ricambiando il suo saluto.
Non prendermi in giro” lo ammonì Johanna.
No, non sto scherzando. Mi sei mancata da morire” ribadì Christian, serio ma sorridente. “Ti proibisco di lasciarmi di nuovo”.
Parlarono a lungo distesi in quel letto, abbracciati.
Johanna gli raccontò di quando si scoprì malata la prima volta, della decisione di affrontare da sola il male che l’aveva colpita, della tristezza provata quando aveva capito che lui aveva deciso di voltare pagina, lasciando sia l’isola che tutto quello che rappresentava, ma anche della determinazione nel tentare di rimettere insieme i pezzi della propria vita, delle soddisfazioni in ambito lavorativo e dell’amicizia con Kate.
Tutto sommato, le soddisfazioni non mi sono mancate. Ma, poi, quando ho cominciato ad accusare nuovamente i sintomi di un male che ritorna, mi sono trovata a chiedermi se valesse la pena intentare una nuova battaglia contro un nemico che forse non sarei riuscita a sconfiggere. E ho provato l’irresistibile desiderio di rivederti, fosse stata anche l’ultima volta”.
Dal canto suo, Christian le confidò la disperazione provata quando capì di essere stato lasciato, il tentativo di concretizzare un nuovo “punto e capo” della propria vita, tornando a Parigi, e della sua amicizia con Angèle, a tratti anche tenera e romantica, ma che non aveva potuto concretizzarsi in nulla di più profondo, a causa della costante presenza di un amore passato mai dimenticato.
Anche io ho avuto le mie soddisfazioni. Sai del mio lavoro di fotografo e anche del mio ravvicinamento alla musica, insieme ai compagni di un tempo. Ma, negli anni, mi ha sempre accompagnato una sensazione di vuoto; avevo la certezza, anche se tentavo di nasconderlo come meglio potevo, che alla mia vita mancava uno degli ingredienti fondamentali: la presenza della donna che amo praticamente da sempre. Io lo so che è difficile fidarsi di me, Johanna, ma ti giuro che non ripeterò più gli stessi sbagli di un tempo”.
Christian, io non ho niente da perdonarti. Anzi, sono io a doverti delle scuse: se ti avessi raccontato la verità, allora, quando ci trovavamo sull’isola, forse le cose sarebbero andate diversamente”.
E allora facciamo che ora siamo su una nuova isola che può fare da testimone a un nuovo inizio: raccontamela ora la verità”.
La verità è che… ti amo” affermò Johanna, accompagnata da un lieve inusuale imbarazzo, come se fosse stata un’adolescente che confidava la sua cottarella al ragazzo che le piaceva. “Ma non posso scaricarti addosso la mia situazione” tornò a ripetere, in un attimo di esitazione, sentendosi in difficoltà nel dividere il peso della sua malattia.
Di nuovo con questa storia, Johanna?” chiese Christian, stringendo il suo abbraccio. “Non mi stai scaricando addosso niente. Io non sono qui perché ho saputo della tua malattia, io sono qui per te. Perché ti amo. Sono partito da Parigi per cercarti prima ancora di sapere quello che ti stava succedendo. Quello che ti sto offrendo non è la mia pietà, è il mio amore” le confidò Christian, abbracciandola con trasporto sempre maggiore. “Ascolta: ti ho mai detto perché ho scelto di diventare fotografo?” le chiese subito dopo, cambiando apparentemente discorso.
No, hai cominciato questa professione subito dopo aver lasciato Parigi, quando avevi scoperto... che Linda era rimasta incinta” ricordò Johanna, con un po’ di esitazione.
Sì, infatti” Christian sorrise imbarazzato. “Nonostante tutti i guai che ero riuscito a combinare nel tempo, ero cosciente che quella volta, se possibile, mi ero comportato anche peggio delle altre: con un gesto solo – la mia fuga – ero riuscito a tradire la fiducia di tutti, quella dei nostri amici, quella di Linda e anche la tua. Se non ricordo male, infatti, ti avevo fatto una proposta piuttosto impegnativa” rammentò Christian, con un pizzico di nostalgia.
Johanna annuì. “Una proposta forse troppo impegnativa…”aggiunse, subito dopo,  sottolineando quel “troppo” con un tono scherzoso.
Christian sorrise. “Non direi. Le cose erano più complicate di così”.
Ma tutto questo che c’entra con la tua scelta professionale?” gli chiese Johanna.
Quando me ne andai, abbandonai tutto, compresa la mia amata batteria; le uniche cose che portai con me furono pochi effetti personali e la macchinetta fotografica con la quale ci eravamo scattati diverse foto in quell’ultima vacanza fatta insieme, ricordi?”.
Certo”.
Feci sviluppare quelle foto e, guardandole, mi tornò in mente una frase che ti avevo sentito dire più di una volta: “una bella foto è una foto che comunica qualcosa…”
“…a prescindere dalla bravura del fotografo”. Sì, me lo diceva sempre mio nonno quando, da ragazzina, giocavo con la macchina fotografica e mi lamentavo di non saper mai come fare per scattare delle belle foto” precisò Johanna. “Ogni volta, mi ripeteva che, quando scattavo una fotografia, avrei dovuto comunicare agli altri qualcosa di mio, che non importava se la foto fosse risultata mossa, sfocata, buia o con qualsiasi altro difetto; l’importante è che la sentissi parte di me perché, un giorno dopo o vent’anni dopo, chiunque la guardasse, me compresa, avrebbe dovuto comprendere quali erano stati i pensieri che mi avevano accompagnato in quel preciso momento”.
Tuo nonno deve essere stato una persona straordinaria” ammise Christian, facendola sorridere. Poi aggiunse, riprendendo il filo del suo racconto: “e così, invece, io, in quel momento, avevo in mano solo pochi risparmi e qualche decina di foto, che non facevano altro che ricordarmi che avevo abbandonato forse il mio unico motivo di vita. Non voglio sminuire il male che ho fatto, il mio comportamento è stato indegno. Ma anche dal mio punto di vista le cose non sono state facili. Ero solo, dannatamente solo. Per mia scelta, è vero, ma questo non alleviava la mia sofferenza. Avevo paura di lasciarmi andare a situazioni dalle quali, questa volta, non ne sarei uscito – e tu sai a cosa mi riferisco” sottolineò, facendo un chiaro riferimento al suo breve periodo da tossicodipendente, “così, decisi di assecondare l’idea di un colpo di testa meno pericoloso: avevo in mano tutte quelle fotografie della nostra vacanza insieme e, improvvisamente, qualcosa mi spinse ad acquistare una macchina fotografica più professionale per raccontare la solitudine che mi accompagnava attraverso il grido silenzioso delle immagini stampate. Fu così che, devo ammettere, mi scoprii piuttosto bravo e, piano piano, cominciai il mio nuovo cammino artistico. Potermi esprimere in qualche modo mi ha sicuramente aiutato, ma, come ben sai, ho impiegato diversi anni prima di riuscire a trovare il coraggio di guardare di nuovo in faccia il mio passato ed ammettere pubblicamente i miei errori. Però…” aggiunse, allungando una mano fuori dal letto per raggiungere la giacca che indossava la sera prima, gettata in terra insieme a tutti i loro vestiti, dalla quale estrasse la sua foto preferita, quella dai bordi consunti e consumati che portava sempre con sé, quella che li ritraeva insieme sull’isola, davanti ad un meraviglioso tramonto. “… se ogni fotografia rappresenta un messaggio, adesso guarda questa immagine e dimmi: secondo te, cosa comunica a chi la osserva?
Che, nonostante la tua professione, la tua capacità di conservazione delle fotografie scarseggia un po’!” scherzò Johanna, che in realtà aveva ben capito cosa volesse dirle Christian. Lo guardò per un lungo istante con gli occhi lucidi, un po' per la commozione, ma, soprattutto, per la felicità di quella conferma, poi tornò seria ed affermò con sicurezza: “A chi la osserva comunica che quelle due persone si vogliono un bene infinito”.
Esatto. Quelle due persone si vogliono un bene infinito, quelle due persone sono legate da un sentimento reale e profondo, che va oltre il tempo e lo spazio. Se ho deciso di venirti a cercare, Johanna, è stato solo perché l’amore che provo per te non si è affievolito con il passare degli anni, ma, semmai, il tempo lo ha reso più forte. E se c’è una cosa di cui sono sicuro oggi è che desidero stare con te. Guardami, Johanna” le disse Christian, prendendo il suo viso tra le mani “Io voglio stare con te. Qualsiasi cosa succeda”.
Si scambiarono uno sguardo intenso e carico di sentimento, poi si persero nell’ennesimo bacio appassionato.
Voglio stare con te”, ripeté Christian, con gli occhi ancora chiusi ed il viso così vicino a quello dell’amata da riuscire a percepire il respiro di lei. “Voglio stare con te”.
Anch’io. Anch’io voglio stare con te” si decise ad ammettere Johanna, lasciandosi definitivamente travolgere dalla forza dell’amore di Christian.
E da oggi niente segreti” aggiunse subito dopo Christian.
Cosa?
Niente segreti. Da oggi in poi, tra noi, non ci dovranno più essere segreti. I problemi li affronteremo insieme. Tutti. Me lo prometti?”.
Promesso” giurò Johanna, sempre più convinta di aver sottovaluto i sentimenti e la forza di Christian, specialmente quando scoprì, per la prima volta, di essersi ammalata.
Allora, io direi che, come prima cosa, dovremmo iniziare a riprendere i contatti con il mondo reale. Chiama il dottor Miller, perché ha qualcosa da dirti” ordinò Christian, porgendo a Johanna la cornetta del telefono.
Johanna ebbe un attimo di esitazione, poi afferrò l’apparecchio e compose il numero di telefono del medico che l’aveva in cura.
Era visibilmente agitata, ma le dava forza il contatto fisico con Christian, che le stringeva la mano talmente forte da essere sul punto di bloccarle la circolazione.
Il dottor Miller fu felice di ascoltarla e la rassicurò, come fece con Christian pochi giorni prima, sul fatto che, con buona probabilità, quel referto che l’aveva così tanto sconvolta non equivalesse necessariamente ad una sentenza di condanna. Le consigliò addirittura di prendersi qualche giorno di vacanza, insieme a quel ragazzo che l’aveva cercata con tanta determinazione, perché il suo corpo, trascinato dalla ritrovata felicità, chiaramente avvertibile anche dalla sua voce, ne avrebbe sicuramente beneficiato e ne sarebbe uscito rafforzato.
Vacanza?” chiese perplesso Christian.
Vacanza” ripeté sorridendo Johanna. “Dice che potrebbe essere salutare per me. Mi ha dato appuntamento tra dieci giorni per… be’, affrontare tutto. Ti posso dire una cosa?” domandò Johanna a Christian, che annuì. “Forse ha ragione e l'idea non mi dispiace per niente. E a te?”.
Christian scosse la testa. “Mi sembra un’idea meravigliosa” aggiunse subito dopo “Dieci giorni tutti per noi... è fantastico! Senza contare che è anche un ordine del medico” scherzò. “Perciò accetto volentieri la proposta, ma, prima di goderci qualche meraviglioso giorno spensierato insieme, dobbiamo fare ancora un paio di telefonate”.
A chi?”.
Be’… Tu… a Kate, che era preoccupata almeno quanto me” le ordinò Christian, mentre Johanna alzò gli occhi al cielo, come per sottolineare che aveva compreso che quella sua fuga era stata un errore. “E io sicuramente…” continuò Christian “a Nicolas… Perché penso che, ormai, stia per allertare giornali e tv. Sono praticamente sparito dieci giorni fa senza dirgli nulla e, da allora, gli ho scritto solo un paio di mail senza rivelargli dove mi trovassi. Nella fretta di partire, ho pensato che non potessi perdere tempo a spiegargli quello che era successo. Senza contare che, certamente, mi avrebbe dato del pazzo”.
Certamente... E la cosa non sarebbe stata di tuo gradimento...” puntualizzò Johanna, sorridendo.
Ah, ma è stata una pazzia che mi ha reso estremamente felice!” esclamò Christian, sottolineando la sua affermazione con un tenero bacio. “Solo che non mi faccio sentire con lui da più di tre giorni e temo che possa pensare che mi sia successo qualcosa di brutto”.
Va bene, allora va, raccontagli tutto” lo incitò Johanna, spingendolo fuori dal letto dove avevano trascorso la notte. “Tu va a chiamare Nicolas, io chiamerò Kate”.
Allora siamo d’accordo. Io vado di là a chiamare Nicolas, mi cambio e torno subito da te” annunciò Christian, infilandosi alla meno peggio pantaloni e camicia e dirigendosi verso la porta, per tornare indietro subito dopo. “Ti troverò qui al mio ritorno, vero?” le chiese, poi, avvicinando il proprio viso a quello di lei, ancora seduta tra le candide lenzuola del letto.
Assolutamente sì, te lo giuro” gli rispose lei, sugellando quella promessa con un romantico bacio. “Al massimo, mi troverai sotto la doccia”.
Christian si girò e raggiunse la porta della camera proprio mentre la voce di Johanna lo richiamò nuovamente a sé.
Christian?
Sì?
Le tue cose… Portale di qua…” disse ammiccando.

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Capitolo 12
*** Tranquillizzare gli amici ***


Prima di uscire, confermando con un rapido “ok” l’intenzione di eseguire quell’ordine di Johanna, Christian le regalò un sorriso luminoso. Johanna conosceva bene quello sguardo: lui era veramente felice di essere lì, i suoi occhi non mentivano. Quanto a lei… Era raggiante.
Quando si ritrovò da sola, rimase per un attimo immobile, incapace di credere in quella nuova realtà: Christian, l’amore della sua vita, era di nuovo con lei; Christian, la sola persona al mondo capace di farla sentire viva, aveva attraversato l’oceano per dirle che i suoi sentimenti non erano cambiati, che voleva stare con lei. Sembrava tutto il tema centrale di un sogno ricorrente. E invece era tutto vero. Forse aveva ragione lui; forse, nella sua vita, c’era ancora spazio per la felicità. Forse doveva solo lasciarsi andare di nuovo, tornare ad avere completa fiducia nella persona che amava.
Non sapeva cosa sarebbe successo, non sapeva se i suoi problemi di salute si sarebbero risolti, non sapeva come avrebbero potuto mantenere in piedi una relazione pur vivendo in due continenti differenti, non sapeva se, effettivamente, sarebbero rimasti insieme. Ma in quel momento aveva bisogno di crederci con tutta se stessa.
Non pensavo che ce l’avrebbe fatta a trovarti. Anche se l’ho visto molto determinato, nessuno di noi due aveva idea di dove potessi essere andata. Ma perché non hai detto niente neanche a me?” le chiese Kate, incuriosita.
Mi dispiace, Kate. Sono stata presa dal panico e ho seguito un pensiero irrazionale. Ma ora so che ho sbagliato” le confessò Johanna.
Vi fermate qualche giorno lì?
Sì, ordine del medico” scherzò Johanna. Era felice e la sua contentezza era palpabile.
Va bene, allora chiamami non appena tornate in città” le ordinò l’amica.
Sarà fatto” la rassicurò. “Ti abbraccio”.
Ti abbraccio anch’io” la salutò Kate. “Ah… Johanna?” la richiamò prima che lei potesse mettere giù il ricevitore “Sono contenta per te, ti sento veramente felice”.
Lo sono, lo sono davvero. Ciao” la salutò Johanna. Aveva gli occhi pieni di lacrime, ma, dopo tanto tempo, il suo era un pianto di gioia.

* * *

Dove sei?!” Nicolas stentava a credere a quello che aveva sentito.
Hai capito bene, Nicolas. Sono su un’isola del Texas. Con Johanna”.
Christian raccontò all’amico della visita improvvisa di Johanna, della sua nuova e repentina partenza, del confronto avuto con Angèle, della decisione di lei di cambiare lavoro e città. Gli disse anche che la sorpresa di Johanna, insieme alla conversazione avuta con Angèle, l’aveva spinto a cercare nuovamente la sua ex fidanzata, grande amore mai dimenticato.
Il giorno che sono passato a chiederti di augurarmi buona fortuna avevo in tasca un biglietto aereo per Houston e nel cuore una grande speranza. Anche se, quando sono atterrato negli Stati Uniti, ho trovato ad aspettarmi una brutta verità”.
Cioè?” chiese Nicolas, incuriosito e anche un po’ preoccupato.
Christian gli confidò della scomparsa di Johanna, della scoperta della malattia e del viaggio intrapreso alla sua ricerca.
Ma adesso siamo insieme e non intendo separarmi da lei per nessun motivo. E non solo perché ha bisogno di me… Tu lo sai, Nicolas, che non l’ho mai dimenticata, che è sempre stata nei pensieri… E, in ogni caso, il dottore che la tiene in cura si è mostrato piuttosto ottimista ed io, onestamente, voglio credere che andrà tutto bene. Ho bisogno di pensare che ci sia ancora speranza per tutto, anche per noi due. Abbiamo deciso di trascorrere qualche giorno di vacanza su quest’isola, senza pensare a niente. Poi, torneremo in città e affronteremo la realtà. Insieme”.
Sono contento per te. Ti sento veramente felice, Christian”.
Credimi, Nicolas, lo sono davvero”. Christian sorrideva, come se ancora dovesse rendersi ben conto che quello che la realtà gli stava offrendo era la possibilità di realizzare i suoi sogni.

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Capitolo 13
*** Intimità ***


Dopo aver dato all’amico tutti i suoi recapiti, che poi coincidevano con quelli di Johanna, Christian raccolse le sue cose e tornò nella stanza accanto. Il letto era vuoto, le lenzuola disfatte erano ancora lì, a testimoniare una meravigliosa notte di passione.
Dal bagno arrivava il rumore dell’acqua che scorreva nella doccia e Christian ebbe la tentazione di spiare dalla porta socchiusa l’immagine della sua donna senza veli, come aveva fatto tante volte nel corso degli anni. Quell’attimo rubato da dietro una porta, accompagnato dal fascino del proibito, era qualcosa che l’aveva sempre stuzzicato. Invece indugiò per un interminabile minuto, quindi si accostò molto lentamente a quel piccolo spiraglio, attendendo di sentir cessare il gettito dell’acqua e lasciandole il tempo di indossare qualcosa, prima di bussare alla porta ed entrare, autorizzato.
Vederla in quel momento di intimità, aveva aumentato il suo irrefrenabile desiderio di stringerla a sé. Nonostante il tempo trascorso, Johanna era ancora una donna affascinante ed immaginarla nuda, al di sotto del candido accappatoio che l’albergo metteva a disposizione degli ospiti, lo eccitava moltissimo.
Sei bellissima” le disse mentre, raggiungendola alle spalle, le cinse i fianchi con le braccia e cominciò a baciarla sul collo.
Johanna assecondò le sue attenzioni, voltandosi verso di lui e rispondendo ai suoi baci. Poi esitò, quando lui cominciò a scansare l’accappatoio, iniziando a farlo scivolare lentamente sulle spalle. Non si era più mostrata nuda. Nonostante, negli ultimi giorni, avesse già trascorso con Christian diversi momenti intimi, non si era più mostrata completamente nuda davanti a lui, come le veniva naturale fare fino a qualche anno prima. Per la verità, non si era più mostrata nuda con nessuno, dopo la mastectomia che aveva estirpato, insieme al tumore che l’aveva colpita, anche parte della sua femminilità; in effetti, l’operazione non era stata devastante, ma aveva comunque lasciato dei segni evidenti, parzialmente cancellati dalla chirurgia plastica, ma che la facevano comunque sentire in imbarazzo nel concedere la visione delle sue cicatrici.
Christian l’aveva capito: con il tempo, aveva imparato a prestare molte più attenzioni ai piccoli gesti rivelatori; per questo non era entrato in bagno prima di essere autorizzato a farlo e per questo intuì subito il motivo di quell’attimo di esitazione. Lentamente, però, continuò a carezzarla e baciarla, rassicurandola sul fatto che la trovasse sempre molto affascinante.
Ti amo, ti desidero” continuava a sussurrarle, mentre le sue mani si insinuavano lentamente al di sotto dell’accappatoio.
Johanna era ancora un po’ tesa, ma la naturalezza dei gesti di Christian la guidò fino a farla abbandonare completamente alla passione e al desiderio che provavano l’uno per l’altra. Non smisero mai di baciarsi, mentre l’accappatoio scivolò via dalle spalle di lei, che, dal canto suo, aveva preso a sbottonare la camicia di lui, scoprendo il suo corpo, oggi decisamente più muscoloso di ieri. Johanna passò una mano sul suo petto, fino a raggiungere le sue spalle, alle quali si aggrappò con forza, mentre lui l’abbracciò e la baciò con trasporto sempre maggiore. I loro corpi, stretti l’uno all’altro, erano così vicini che lei poteva avvertire, al di sotto dei pantaloni ancora indossati da Christian, quanto il desiderio di lui fosse reale. E, d’altra parte, lei non era meno eccitata.
Improvvisamente, si rese conto che era bastato concedere un pizzico di fiducia al suo uomo, per non provare più nemmeno il più piccolo imbarazzo davanti a lui. Con tutta la spontaneità di un tempo, quindi, si allontanò di un solo passo, quel tanto che bastava ad aprire nuovamente l’acqua della doccia, mentre, con uno sguardo sensuale e un sorriso provocante, gli chiese se avesse appeso alla maniglia della porta il cartello con su scritto “non disturbare”. Christian annuì e, rapidamente, si tolse di dosso il resto dei vestiti, seguendola, nel giro di pochi istanti, sotto il gettito dell’acqua calda.
Si baciarono ancora e ancora, mentre l’acqua scorreva sui loro corpi nudi ed eccitati. Erano felici, come non lo erano più stati da tanto tempo. E la loro felicità era più che evidente.

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Capitolo 14
*** Il primo giorno insieme ***


La loro prima mattina di vacanza trascorse così, alla volta della passione e del desiderio. Quando lasciarono quella stanza di albergo, era ormai l’ora di pranzo. Mangiarono un panino in riva al mare, seduti sulla spiaggia, come avevano fatto mille volte quando erano insieme su quell’isola caraibica - l’Isola dell’Amore, come l’avevano soprannominata - e trascorsero il pomeriggio a passeggiare mano nella mano, come fossero due fidanzatini adolescenti intenti a scambiarsi i primi gesti d’affetto.
Ridevano. Ridevano entrambi. Era tanto tempo che nessuno dei due rideva più veramente, di cuore. Con il tempo, Christian aveva assunto un atteggiamento sempre più cupo e malinconico e anche Johanna, che era restata sicuramente una persona abbastanza solare, non era, comunque, più riuscita ad essere felice fino in fondo. Il pensiero del suo CriCri era sempre lì, in agguato, a ricordarle che, da qualche parte nel mondo, la sua anima gemella stava vivendo una vita lontana dalla sua.
Quando venne la sera e la brezza marina cominciò a farsi troppo frizzante, tornarono in albergo per cambiare la loro tenuta da mare in qualcosa di più caldo. Johanna si fece, quindi, seguire lontano dall’animazione della spiaggia, in un locale piccolo ma molto caratteristico, nel quale un ambiente raccolto e le luci soffuse fecero da cornice ad una romantica cena a lume di candela.
Era il loro primo vero appuntamento a distanza di anni ed entrambi, più che l’ottimo cibo, assaporarono la gioia trasmessa dalla consapevolezza che la persona amata era nuovamente lì, pronta a condividere la sua vita con quella dell’altro.
Si guardarono a lungo negli occhi. Gli occhi non mentivano, gli occhi non potevano mentire: i loro occhi brillavano di felicità.
Tornarono in albergo a notte fonda, un po’ brilli, anche a causa di qualche brindisi di troppo ma, di sicuro, estremamente contenti.
Domani, comunque, voglio fare qualche foto in giro. Questo posto è fantastico” comunicò Christian “anche se la cosa più fantastica che ho trovato in questo posto sei tu” continuò avvicinandosi per baciarla.
Johanna sorrise mentre le labbra di lui le sfioravano il viso. “Siamo diventati romantici, eh? Quasi quasi non mi sembri più tu” scherzò.
Subito dopo, una smorfia di dolore contrasse, improvvisamente, il suo viso.
Che hai? Che succede?” si preoccupò Christian.
Non è niente, sta’ calmo. È solo un po’ di mal di testa” lo tranquillizzò lei.
Sapeva cosa le stava succedendo. Erano stati quegli strani ed improvvisi mal di testa che l’avevano spinta ad effettuare nuovi ed approfonditi controlli, con l’esito che ormai entrambi conoscevano.
Christian capì.
Johanna si avvicinò alla sua borsa ed estrasse un flacone pastiglie, ingoiandone rapidamente una.
Posso fare qualcosa?” si preoccupò Christian.
Sì. Stammi vicino. Mi basta questo”.
Si distesero entrambi sul letto. Johanna poggiò il capo sul petto di Christian, che l’abbracciò con trasporto, cercando, con quel gesto, di comunicarle che, qualsiasi cosa fosse successa, i terribili momenti di solitudine erano ormai un lontano ricordo. Lui era lì e lì sarebbe rimasto. E così si addormentarono, persi in quell’abbraccio.

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Capitolo 15
*** Amore ***


Christian si svegliò molto presto e si rese conto che entrambi avevano dormito vestiti, poggiati sopra un letto praticamente intatto. Si trovavano, più o meno, ancora nella posizione della sera precedente: Johanna, distesa su un fianco, poggiava la testa sulla spalla di Christian e le braccia di lui cingevano il suo corpo, abbandonato in un sonno profondo. Era chiaramente più rilassata, sicuramente per via dell’effetto della medicina e, forse, anche perché, per la prima volta dopo tanto tempo, non si era sentita sola in un momento di difficoltà.
Era bella, Johanna. Gli anni passati, i sorrisi e i pianti avevano fatto apparire sul suo viso quelle che vengono chiamate “rughe di espressione”, che, però, la rendevano più vera di molte donne dal fisico perfetto, ma vuote dentro. La guardò con ammirazione: era forte. Johanna era sempre stata forte, in ogni situazione. Le carezzò il viso, spostandole una ciocca di capelli rossi dietro l’orecchio per poterla osservare meglio.
Quando era ragazzo non avrebbe mai potuto immaginare che quella folle straniera, così piena di energia e gioia di vivere, sarebbe diventata anche la sua ragione di essere. Invece era così: non poteva immaginare una vita senza Johanna; una vita senza Johanna non aveva motivo di essere vissuta. La prima volta che dovette fare i conti con questa realtà era troppo giovane e stupido per comprenderlo. Ma oggi no, oggi sapeva esattamente cosa voleva e sapeva anche che, per raggiungere i propri scopi, non sarebbe bastato sbattere i piedi per terra, ma si sarebbe dovuto impegnare in prima persona.
Si lavò, si cambiò e poi frugò dentro una delle sue borse, fino a trovare qualcosa che, avendo avvertito un movimento di Johanna, si affrettò a nascondere in una tasca dei pantaloni.
Si voltò per guardarla un’altra una volta: dormiva ancora, non si era svegliata. Si fermò ad osservarla e gli tornò in mente una frase ascoltata una volta in tv: “capisci di amare davvero qualcuno quando puoi passare tutta la notte, seduto accanto al fuoco, a guardarlo mentre dorme”. Era una tiepida mattina di una splendida giornata di primavera, il sole era già alto nel cielo e, nella stanza, non c’erano caminetti, ma era conscio del fatto che se il tempo si fosse fermato in quel preciso istante, lui avrebbe vissuto in paradiso per sempre. Poteva restare lì, a guardarla dormire, per il resto dei suoi giorni. E ne sarebbe stato immensamente felice.
Quando Johanna si svegliò, lo trovò accanto a sé, mentre la osservava con gli occhi pieni di tenerezza.
Che fai, mon CriCri? Mi fissi mentre dormo?
Lo splendido sorriso che le illuminò il volto scaldò il cuore e l’anima di Christian: stare insieme li rendeva felici, non potevano fare a meno uno dell’altra.
Be’… per la verità, stavo cercando di trovare un modo di scappare senza svegliarti, ma ormai è troppo tardi, devo restare con te” scherzò, sfiorandole le labbra con un lieve bacio. “Come ti senti?” chiese, poi, tornando serio.
Al settimo cielo” esclamò lei, ricambiando il suo bacio. “Non ti preoccupare, è passato. E poi non eravamo d’accordo di non pensare a niente? Voglio godermi questi giorni con te”.
Va bene, d’accordo, non ci pensiamo, almeno per questi giorni” affermò Christian, non nascondendo, comunque, un velo di preoccupazione. “Senti… che ne dici, allora, di una bella colazione?” si affrettò a chiederle subito dopo.
Penso che sia un’ottima idea!” esclamò, alzandosi dal letto.
Ridevano, non potevano fare a meno di ridere. Nonostante quella spada di Damocle che pendeva sopra le loro teste, sentivano di non essere più da soli ad affrontare le avversità della vita e avvertivano la reale possibilità che il futuro potesse riservare loro delle belle sorprese.

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Capitolo 16
*** Un posto magico ***


Dove siamo?” esclamò Christian guardandosi attorno. Era una zona dell’isola completamente verdeggiante ma fuori dalla portata dei turisti, a caccia solo di mare e divertimento. Anche se non si erano allontanati moltissimo dall’albergo e dalla spiaggia dove si erano ritrovati, sembrava si trovassero lontani chilometri.
In un posto magico” rispose Johanna. “Qui ho passato i giorni più felici della mia vita, in compagnia di una persona speciale”.
Tuo nonno…” intuì Christian.
Già… Viveva laggiù, in quella fattoria” disse indicando una piccola costruzione in lontananza. “E tra questi prati, io ci sono cresciuta”.
Camminarono fino ad avvicinarsi di più a quell’edificio che la prospettiva rendeva troppo piccolo alla vista. Quando furono abbastanza vicini, Christian si rese conto che la fattoria che fu del nonno di Johanna ormai non era più operativa ed, anzi, era stata trasformata in un bed & breakfast, nella speranza di attirare qualche turista in più, in una zona un po’ fuori mano rispetto al lungomare.
Osservando meglio quella modesta casa di campagna, che, per quanto finemente ristrutturata, manteneva il suo aspetto semplice, riconobbe i tratti essenziali immortalati nelle foto rubate a casa di Johanna, che sembrava rattristita dal fatto che la memoria della sua famiglia si fosse persa a seguito di un banale passaggio di proprietà.
Ti manca tuo nonno, Johanna?
La ragazza sorrise; Christian aveva colto nel segno.
Vieni” gli disse subito dopo, prendendolo per mano. “Voglio farti vedere un posto”.
Johanna correva per l’immenso prato, in direzione di un albero dall’aspetto imponente e autoritario.
Quando ero piccola, ero una bambina molto testarda…” iniziò a raccontare Johanna.
E invece da grande sei diventata una persona molto accomodante” scherzò Christian, facendo sorridere anche lei.
Dai, smettila!” lo rimproverò Johanna, dandogli un leggero colpo sulla spalla. “Dico davvero. Se volevo restare sola, magari perché mi ero arrabbiata, ero capace di restare per ore sotto questo albero, con il sole o con la pioggia. Così, un’estate, il nonno mi fece una sorpresa” riferì, alzando lo sguardo e indicando con il dito i resti visibili di una casetta incastonata tra i rami. “Mi sono arrampicata quassù non so quante volte, per restare sola, per protestare, a volte anche solo per pensare. Fino a quando mio nonno è stato presente e la fattoria non è stata venduta, questo posto è stato il mio rifugio. Anche quando sono cresciuta, questo è rimasto un posto tutto mio” ricordò con nostalgia.
Sono lusingato che tu abbia voluto dividerlo con me”.
Sai quando è stata l’ultima volta che mi sono arrampicata lassù?” chiese Johanna, mentre Christian le rispose negativamente, scuotendo leggermente la testa. “Quando ricevetti una lettera di Hélène, che conteneva anche una musicassetta con la tua canzone” confessò, a quel punto. “Penso di essere restata là dentro per ore, ascoltando e riascoltando quelle parole. Dicevi che mi pensavi, che mi avresti atteso e così presi la decisione di tornare da te. Quando ti ho telefonato ero qui, a casa del nonno, che mi incoraggiò a non lasciar fuggire i sentimenti che provavo per te” rivelò sorridendo.
Torno a ripetere che penso che quell’uomo sia stata una persona straordinaria. Mi dispiace non averlo conosciuto. Tra l’altro, è incredibile quanto, almeno in via indiretta, abbia influenzato positivamente anche la mia vita” constatò Christian.
Purtroppo, non molto tempo dopo il nonno si è ammalato, così, subito dopo la sua morte, la casa è stata venduta, insieme a tutto il terreno intorno. E io ho perso i miei principali punti di riferimento”.
Ti manca molto, vero?” domandò Christian in maniera retorica.
Già…” riconobbe Johanna. “Ritornando in questi posti, speravo di trovare delle risposte alle mie domande; speravo che, in qualche modo, la sua voce venisse ad indicarmi la strada da seguire”.
E hai trovato quello che cercavi?”.
Johanna sorrise, avvicinandosi a Christian e carezzando dolcemente il suo viso. “Ho trovato te e questa mi sembra molto più di una semplice indicazione” ammise, perdendosi, poi nel suo abbraccio. “Ti amo, Christian”.
Ti amo anch’io” ripeté lui, sugellando quell’istante con un bacio carico di sentimento. Poi, improvvisamente, cominciò a balbettare parole sconnesse: “Johanna… Io… Forse…
Christian, di colpo, sembrava non riuscisse più ad articolare i suoi pensieri.
Dimmi” lo incitò Johanna.
Io credo che tu adesso mi darai del pazzo, ma sento che è arrivato il momento di…” Christian era visibilmente agitato. Era tipico di Christian: quando voleva dire qualcosa che veniva dal cuore, gli riusciva difficile essere diretto.
Di…? Che vuoi dirmi, Christian?
Ti ricordi che ti ho parlato di quando ho scelto di dedicarmi alla fotografia?” chiese Christian.
” rispose Johanna, non riuscendo ancora a capire dove volgesse il discorso apparentemente sconclusionato di Christian.
Per comprare la mia prima macchina fotografica, misi da parte tutti i soldi che avevo e aggiunsi quelli che riuscii ad ottenere vendendo tutte le mie cose; tutte tranne una. Era qualcosa che avevo comprato poco prima, durante una meravigliosa vacanza” affermò, riferendosi chiaramente a quella vacanza condivisa proprio con la sua amata.
Johanna colse l’allusione a quei giorni spensierati che trascorsero insieme, ma ancora non riusciva a capire esattamente a cosa si riferisse Christian, parlando di quel misterioso acquisto.
Quando facemmo quella vacanza” continuò Christian non senza difficoltà “ti chiesi qualcosa di molto importante e, per l’occasione, ti comprai un regalo che non feci in tempo a darti mai, ma che ancora oggi porto con me”.
Johanna ora lo fissava con uno sguardo misto tra il sorpreso, il commosso e l’emozionato.
“…Forse, allora scelsi un momento migliore e un’atmosfera più romantica, ma… adesso, mentre parlavi… di tuo nonno… di me…” Christian, ormai, non sapeva più dove guardare. “Il fatto che ci siamo rivisti ora, dopo quasi sei anni, non vuol dire che io stia correndo troppo. Anzi, il contrario: ho capito di aver aspettato troppo tempo… e anche di non poter aspettare più neanche un attimo…”. Si fermò un attimo per riprendere fiato; non riusciva più a essere coerente. Poi estrasse dalle tasche quello che vi aveva nascosto la mattina, prima che lei si svegliasse, e si decise ad esclamare tutto d’un fiato: “Johanna, vuoi sposarmi?”.
Johanna ebbe l’impressione che il suo cuore si bloccasse per un lungo istante, per poi accelerare i suoi battiti fino quasi ad esploderle nel petto.
Cosa?” fu l’unica parola che riuscì ad esclamare, mentre due lacrime le rigavano il viso. Negli ultimi due giorni, aveva pianto spesso, ma, per la prima volta dopo tanto tempo, l’emozione che accompagnava le sue lacrime era quella di autentica felicità.
Johanna, vuoi…?” stava per ripetere Christian.
Sì!” lo interruppe lei.
Cosa?” stavolta era lui a non riuscire a credere alle sue orecchie.
Lo voglio!” esclamò stringendolo in un abbraccio così forte da lasciarlo quasi senza respiro e coprendolo di una quantità innumerevole di baci.
Il trasporto con il quale si era lanciata in direzione di Christian li fece cadere entrambi per terra ed anche quando furono sdraiati sotto quell’imponente albero, testimone di tanti attimi di vita di Johanna, lei non riusciva a smettere di ripetere quanto lo amasse, continuando a baciare il suo viso.
Ok, ok, ok! Adesso riconosco la mia fidanzata tutta matta!” si divertì a stuzzicarla Christian.
La tua fidanzata? Oddio da quanto tempo non posso più definirmi così!” esclamò Johanna, mettendosi a sedere all’ombra di quello splendido albero. “Christian?” aggiunse, poi, richiamando la sua attenzione “Non pensi che siamo diventati veramente un po’ matti?
Può darsi: io, ad esempio, sono sicuramente pazzo. Pazzo di te…” puntualizzò.
Non scherzare, dico sul serio. Sei davvero sicuro che non stiamo correndo troppo? Che ci inventeremo quando finirà questa vacanza? Come faremo con il lavoro? Dove vivremo?” domandò Johanna.
Ci stai ripensando?
No, assolutamente. Non è questo. È che…”.
I dubbi Johanna erano leciti e legittimi.
Affronteremo tutti i problemi più tardi, adesso pensiamo solo a quello che sentiamo dentro di noi, a quello che vogliamo. Penseremo dopo al lavoro e a dove vivremo: Houston, Parigi, il resto del mondo… che importa? L’importante è stare insieme. Per esempio, possiamo vivere qui” disse dopo una breve pausa. “Ecco: io ora vado dentro quella casa e cerco di convincere i nuovi proprietari, con il mio pessimo inglese, che dovrebbero rivenderci la tenuta”.
Dai, smettila, fa’ il serio!” gli ordinò Johanna, sorridente.
Sono serio! Scommetto che anche qui si fanno fotografie… Posso imparare meglio l’inglese e…
Dai!” ripeté Johanna, ridendo.
Va bene, d’accordo. Io sarò serio ma tu lasciati andare” ordinò Christian. “Io non sto correndo troppo, sono cosciente di quello che dice il mio cuore. E a te? Cosa dice il tuo cuore?”.
Mi dice che vorrei restare così per il resto della vita” ammise, gettandogli le braccia al collo.
Christian si lasciò abbracciare e ricambiò con passione i baci che Johanna gli stava regalando.
Posso?” le chiese Christian, porgendole di nuovo l’anello.
Devi” gli ordinò Johanna. “Non vorrai mica aspettare altri quindici anni?” scherzò subito dopo.
Assolutamente no” affermò con sicurezza Christian, infilandole al dito l’anello che le aveva comprato quasi un ventennio prima: era un anello di valore modesto, acquisto di un ragazzo che, a quel tempo, altro non era se non uno studente innamorato, ma lo colpì il fatto che, nonostante il tempo trascorso, calzava alla perfezione al dito di Johanna. “Ti prometto che ti comprerò un vero anello” si scusò subito dopo, alludendo al modesto valore economico di quel gioiello.
No, perché? Questo non sarà costosissimo, ma è sicuramente pieno di significato” rispose con convinzione Johanna, continuando a rimirare quel piccolo cerchio dorato che le adornava l’anulare della mano sinistra. “Però… Christian?” aggiunse subito dopo, sfilandosi l’anello e restituendolo al suo fidanzato, che aveva preso a guardarla con aria interrogativa. “Facciamo un patto: me lo darai quando avremo la certezza che sarà tutto a posto. Che ne dici?”.
Sarà tutto a posto” cercò di rassicurarla, non smettendo un attimo di guardarla negli occhi, ma Johanna era molto determinata. “D’accordo. Faremo come vuoi tu” acconsentì Christian, riprendendosi, con un pizzico di delusione, quel piccolo gioiello ed abbracciando quella donna che amava più di se stesso.
Restarono entrambi seduti sotto quel grande albero, abbracciati, al tepore di quella tiepida giornata primaverile.
Johanna non stava più nella pelle e Christian provava una sensazione indescrivibile, che non aveva mai avvertito prima di quel momento: ormai si era lanciato, era pronto ad impegnarsi e a dare tutto se stesso; non avrebbe rinunciato più, per niente al mondo, alla gioia di stringere al petto la donna che aveva sempre amato e che amava ancora con tutta l’anima.

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Capitolo 17
*** Il ritorno ***


Quando il taxi giallo si fermò davanti al vialetto della casa di Johanna, ne discese una coppia che era la rappresentazione vivente della felicità: i giorni di vacanza trascorsi insieme avevano donato loro un senso di serenità e tanta gioia di vivere, insieme ad una grande forza e ad una rinnovata fiducia nel domani.

Entrarono sorridendo, mentre Johanna scherzava sulla circostanza che non dovesse mostrare la sua casa a Christian, che aveva già provveduto a perlustrarla da cima a fondo nei giorni immediatamente successivi al suo sbarco in America.

Però ti ho trovato” le rispose lui, stando al gioco.

Per fortuna” puntualizzò lei, prima di regalargli uno sfuggente bacio sulle labbra.

Aveva sicuramente paura a causa dell'ingombrante presenza di quella malattia che già tanto tempo prima l’aveva allontanata dalla persona amata, ma, allo stesso tempo, sentiva che, in quel momento, avrebbe potuto superare tutti gli ostacoli che la vita le avrebbe posto davanti. Le bastava guardare negli occhi Christian. Quegli occhi non le avevano mai mentito: anche nei periodi più bui della loro tormentata storia d'amore, gli occhi di Christian le avevano sempre raccontato la verità, svelandole i suoi pensieri più nascosti. Christian poteva ostentare tutta l’arroganza che voleva, ma, ogni volta che si rispecchiava nei suoi occhi scuri, Johanna capiva immediatamente cosa passava per la mente del suo fidanzato. Gli occhi di Christian, anche in quel momento, la rendevano partecipe di tutto l’amore che gli bruciava dentro, ancora oggi, nonostante tutto e nonostante tutti. Era certamente spaventato quanto lei, ma, di sicuro, aveva la netta sensazione che quel viaggio all’inseguimento di un sogno potesse rappresentare un nuovo inizio, un nuovo punto di partenza per poggiare le basi di un futuro migliore, da vivere insieme.

Dopo aver disfatto le valigie ed essersi lavati via un po’ di stanchezza con una doccia rilassante, si abbandonarono sul divano, accoccolati uno all’altra.

Mentre si guardavano attorno, come se la casa che li attorniava in quel momento fosse un luogo sconosciuto, cominciarono a riprendere lentamente il contatto con la realtà che li circondava: avvisarono Kate di essere tornati in città e telefonarono anche ad Hélène e Nicolas, comunicando i loro piani per i giorni successivi, che, ovviamente, erano tutti incentrati sulla visita che li aspettava nello studio del dott. Miller.

Cenarono velocemente, quindi si rilassarono sul letto: Johanna era seduta, la schiena poggiata alla parete, mentre con le mani carezzava dolcemente il viso di Christian, poggiato sopra il suo ventre.

Ti senti pronta?” le chiese d’un tratto Christian, dando voce ai suoi pensieri e afferrando la mano di lei, che ancora sfiorava con tenerezza la sua guancia.

Johanna inspirò profondamente, poi intrecciò le dita della sua mano con quelle di Christian e annuì con la testa, guardandolo negli occhi. Era sempre stata una donna forte, ma, in quel preciso momento, sentì che era la sua presenza ad offrirle il coraggio di guardare ancora davanti a sé.

Andrà tutto bene, te lo prometto” la rassicurò Christian.

Aveva l’impressione che fosse vero: la paura non l’aveva abbandonata, ma, ora che Christian era di nuovo al suo fianco, qualsiasi cosa le sembrava possibile.

Il dott. Miller li ricevette il giorno seguente, accogliendo entrambi con gentilezza e cortesia. Analizzò nuovamente le immagini della risonanza magnetica effettuata da Johanna e spiegò che c’erano buone possibilità che il tumore evidenziato – che precisò essere un meningioma – fosse di origine benigna, con altissime probabilità di una completa guarigione. Erano sicuramente necessari ulteriori controlli e, ovviamente, un intervento chirurgico, ma, statisticamente, soltanto una bassissima percentuale di quella neoplasia si rivelava maligno e, anche in questo caso, non era raro che il paziente vedesse risolversi la situazione con relativa facilità.

Le parole del medico non cancellarono la paura di una malattia comunque rischiosa, ma, in ogni caso, li rassicurarono sulle possibilità che avevano di vivere ancora una vita insieme.

Organizzarono l’ingresso in ospedale, dove Johanna avrebbe proceduto ad eseguire gli esami necessari e dove presto sarebbe stata operata, questa volta con la consapevolezza di non essere sola.

All’ora di pranzo si incontrarono con Kate, che, dopo aver rimproverato bonariamente Johanna per quella fuga, che definì inutile, non fece altro che congratularsi con lei e con Christian per quella rinnovata unione, che si vedeva essere molto solida, nonostante tutto.

Tra una commissione ed un’altra, si concessero ancora due giorni di passeggiate per Houston, come fossero due turisti in viaggio di piacere. Johanna si rivelò essere un’ottima padrona di casa e fece assaporare a Christian gli angoli più reconditi della sua città natale, compresi i caratteristi corsi d’acqua, chiamati bayou, che, per la fretta, Christian, nella sua precedente visita alla ricerca della fidanzata, non aveva neanche notato.

Posa quella macchinetta e vieni a sederti qui vicino” gli ordinò Johanna, coprendosi il viso con una mano, mentre Christian continuava ad immortalare ogni espressione di Johanna. “Ma non mi avevi detto che, ai corsi di fotografia, la prima cosa che insegnano è che non bisogna esagerare con le quantità?

Poche immagini, ma pensate… È vero” scherzò Christian, sorridendo e sedendosi su una panchina, di fianco a Johanna. “Complimenti per la memoria. La verità è che il soggetto mi rende particolarmente ispirato” continuò ammiccando e avvicinandosi fino a sfiorare le sue labbra con le proprie.

Come sei romantico!” stette al gioco Johanna.

Sono innamorato” le sussurrò Christian in un orecchio, facendola sorridere.

Si riavviarono verso casa mano nella mano, continuando a ridere e scherzare, come se, improvvisamente, non ci fossero più ostacoli pronti ad intralciare il loro cammino comune. Il giorno dopo, Johanna sarebbe entrata in ospedale, ma tutto quello a cui riuscivano a pensare, in quel momento, era che avevano ancora una serata da trascorrere insieme, uno vicino all’altra, senza sapere che, a casa, c’era un’altra sorpresa che li stava aspettando…

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Capitolo 18
*** L'amica del cuore ***


Hélène!!!” esclamarono entrambi all’unisono, mentre correvano incontro all’amica, che li attendeva seduta sotto il porticato.
Cosa ci fai qui, Hélène?” continuò subito dopo Johanna, sorpresa e felice di poter riabbracciare l’amica dopo tanti anni.
Be’, sapete… Io e Nicolas abbiamo parlato a lungo e abbiamo pensato che, forse, la nostra presenza sarebbe stata utile. Chiaramente, non potevamo venire tutti e due. Sapete? Il lavoro, i figli… Ma almeno io non potevo non venire” spiegò Hélène.
Oh, Hélène! Sapessi quanto sono felice di rivederti!” continuò a ripetere Johanna, invitandola ad entrare in casa. “Quando sei arrivata?
Solo qualche ora fa. Volevo farvi una sorpresa” precisò Hélène, accomodandosi in salotto in mezzo ai suoi amici.
Sono veramente contenta. Ma hai lasciato Nicolas da solo con i bambini? Quanti ne avete? Due, no?” scherzò Johanna.
Oh, non ti preoccupare, Nicolas se la sa cavare. E poi ci sono sempre i nonni e la zia JuJu che non vedono l’ora di viziare quelle piccole pesti. Io, invece, non potevo lasciarvi soli in questo momento” disse Hélène, stringendo le mani di entrambi.
Cenarono tutti insieme e parlarono a lungo, quindi Johanna costrinse Hélène ad andare a riprendere i suoi bagagli, lasciati presso un hotel della zona, per sistemarsi nella camera degli ospiti.
Non se ne parla neanche, Hélène! Non voglio che tu stia in albergo, c’è tanto spazio qui. Sei la mia migliore amica, non c’è bisogno che ti dica che la mia casa sarà sempre la tua casa!” la invitò Johanna.
Si abbracciarono nuovamente, sinceramente contente di potersi dimostrare di nuovo l’affetto che le legava dai tempi dell’università.
Va bene, allora vado a riprendere le mie valigie” accettò Hélène, mostrando tutta la sua riconoscenza. “Ti ringrazio, Johanna”.
Christian, forza! Non restare lì impalato: accompagnala! Non vorrai mica farla girare di notte tutta sola?” lo incitò, a quel punto, Johanna, stavolta rivolgendosi al suo fidanzato.
Oh! Adesso ti riconosco! Prepotente come una volta!” scherzò Christian, alzandosi dal divano ed infilandosi la giacca, senza smettere un attimo di sorridere.
Non vi preoccupate ragazzi, posso andare da sola” si scusò Hélène.
Assolutamente no!” si precipitarono ad esclamare all’unisono. 
Stavo solo scherzando, ti accompagno volentieri” precisò Christian “mentre miss “comando io” comincia a preparare la sua valigia” spiegò. “Torniamo subito” continuò subito dopo, rivolgendosi a Johanna e salutandola con uno sfuggente bacio sulle labbra. 
Vi aspetto” confermò lei, mentre osservava il suo fidanzato e la sua amica abbandonare la stanza, in direzione del taxi, sopraggiunto nel frattempo.
Sembrava tutto surreale: prima Christian ed ora anche Hélène nella sua casa, insieme a lei… Non poteva negare che Hélène si era dimostrata una vera amica: per stare con lei, in questo momento, si era addirittura temporaneamente separata dalla sua famiglia, da suo marito e dai suoi figli. Hélène aveva davvero un gran cuore: lo aveva sempre saputo ed ogni giorno che passava glielo confermava sempre di più. Come tutti gli altri. Quando atterrò, da sola, in quella lontana terra europea, per frequentare un corso di studi in una delle città più belle del mondo, non sapeva che, più che una buona preparazione superiore, avrebbe incontrato delle persone che si sarebbero rivelate davvero speciali. Aveva commesso tanti sbagli nel corso della sua vita, ma nessuno dei suoi amici di allora aveva mai smesso di volerle bene; al contrario, quelle persone, nel momento del bisogno, si erano sempre rivelate pronte ad aiutarla. Quelle persone erano diventate la sua famiglia. Sì, non aveva alcun dubbio, ora sapeva dove sarebbe andata a vivere: non appena avesse risolto i suoi problemi di salute, sarebbe tornata a Parigi, in compagnia dei suoi amici del cuore e del grande amore della sua vita.

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Capitolo 19
*** Novità in vista ***


Allora, che ne pensate degli ospedali americani? Le stanze sono deliziose mini suite dotate di ogni comfort” scherzò Johanna, agitando a mezz’aria il telecomando della tv, con l’intento di spezzare un po’ la tensione, che era decisamente palpabile.
Johanna, ti prego! Ti sembra questo il momento di mettersi a fare battute?” la riprese Hélène, non nascondendo, però, un leggero sorriso.
Johanna riusciva a rallegrare tutti, in qualsiasi occasione; la sua vitalità poteva risultare inopportuna, ma era davvero trasportante. In poche parole, era impossibile resistere alla sua gioia.
Christian la osservò divertito; come aveva potuto vivere per tanto tempo lontano da lei?
D’un tratto, però, la vide piegare le ginocchia e perdere i sensi e riuscì ad afferrarla giusto in tempo per non farla cadere in terra. Quindi, mentre Hélène l’aiutava a sdraiarla sul letto, Kate attirò l’attenzione di un medico che camminava in corridoio.
Quando riprese conoscenza, Johanna si trovò circondata dai volti preoccupati dei suoi amici e da quella del dott. Miller, che le misurò il polso e osservò le sue reazioni.
Cosa è successo?” chiese Johanna, riaprendo gli occhi.
Sei svenuta” le comunicò il medico “e questo non mi piace. Hai il battito molto rallentato; hai mangiato qualcosa prima di uscire di casa?”.
No” disse Johanna “non avevo voglia di fare colazione, avevo un leggero senso di nausea”.
Di nuovo?” si preoccupò Kate “Sbaglio o mi hai raccontato che ti capita già da qualche giorno?”.
È così, Johanna?” continuò il dott. Miller, mentre Christian osservava con ansia la conversazione, della quale, non parlando inglese correntemente, non riusciva bene a comprendere il senso. “Quante volte ti è già successo?
Ma no, dottore, Kate si agita troppo. I miei amici sono tutti troppo ansiosi” rispose sorridendo e cercando di celare, dietro quel gesto, l’ansia che, invece, stava cominciando ad avvertire anche lei.
Io sarò pure preoccupata, Johanna, ma sei stata tu a confidarmi che, negli ultimi giorni, ti senti spesso molto debole e che, a volte, fai fatica a mangiare per via della nausea che ti colpisce, specialmente al mattino!” insistette Kate con decisione.
Johanna, scusa se ti faccio una domanda indiscreta” proseguì il dottore, invitando tutti gli altri ad uscire dalla stanza, per poter restare sola con la sua paziente “ma sono il tuo medico e, specialmente adesso…” disse rivolgendo, per un attimo, lo sguardo verso la porta e alludendo chiaramente a Christian “…c’è qualche possibilità che tu sia… incinta?”.
Cosa?!” esclamò Johanna, totalmente colta alla sprovvista da quelle parole. “No! Non… Io… No, è impossibile!”.
Niente è impossibile, persino utilizzando tutte le precauzioni di questo mondo” precisò il medico.
Ma io non posso avere bambini! È successo tutto dieci anni fa… Mi hanno sparato... quasi dieci anni fa… e da allora non posso più avere figli. Io… avrei voluto tanto trovare un rimedio, anche a costo di dovermi sottoporre a qualche intervento, ma la diagnosi fu netta: hanno dovuto asportarmi totalmente una tuba e l’altra è rimasta fortemente lesionata”.
Però, fondamentalmente, la possibilità, per quanto remota, esiste?” chiese il medico, prospettando a Johanna un’eventualità forse poco probabile, ma, a quanto pare, ancora possibile. “Perché, onestamente, i sintomi ci sono tutti. Ma capirai che io devo conoscere il tuo stato, prima di poter effettuare qualsiasi genere di intervento” precisò subito dopo.
Sì…” ammise Johanna, non riuscendo quasi a credere che potesse avverarsi l’unico sogno che, forse, superava quello di poter stare di nuovo con Christian: diventare madre, un’eventualità che, a quasi quarant’anni e con gli eventi passati sulle spalle, non credeva potesse più realizzarsi.
Sì…” ripeté abbandonandosi sui cuscini del letto, ancora incredula. “Forse…”.
Allora togliamoci il dubbio e facciamo subito le analisi. Capirai, però, che una gravidanza, in questo momento, sarebbe un problema molto serio” la informò il dottore, non nascondendo la sua preoccupazione. “Cambierebbe totalmente la situazione”.
Si guardarono fisso negli occhi per qualche secondo, entrambi con un’espressione terribilmente seria dipinta sul viso, poi il dottore si congedò, comunicandole che avrebbe fatto venire un’infermiera che si sarebbe occupata del prelievo per poter verificare la correttezza della loro ipotesi.
Poco prima che lasciasse la stanza, però, Johanna si raccomandò di non raccontare nulla ai suoi amici, in quanto si parlava solo di una remota eventualità tutta da verificare, e lei non voleva far stare in ansia nessuno.
Certo, c’è il segreto professionale. Informerò solo la persona con la quale tu mi autorizzerai a parlare. Nessun altro” la rassicurò il medico.
I suoi amici rientrarono nella stanza subito dopo, ansiosi di conoscere il contenuto della conversazione avuta con il dottore.
Johanna si affrettò a tranquillizzarli, precisando che, probabilmente, il suo malessere era dovuto alla tensione e alla stanchezza. Vedeva la possibilità di una gravidanza come qualcosa di talmente lontano e irrealizzabile, che non se la sentiva di condividere il dubbio sulle sue condizioni con nessuno, nemmeno con Christian.
Sicura che sia tutto a posto?” le chiese, infatti, il suo fidanzato, avvicinandosi al letto e prendendo la sua mano tra le sue. “Ricordati quello che ci siamo promessi: niente più segreti, i problemi li affronteremo insieme” le ricordò subito dopo, quasi ammonendola.
Sicura, amore, sta’ tranquillo” rispose Johanna, abbozzando un sorriso “E, in ogni caso, tra poco verrà un’infermiera per fare un prelievo, così avremo tutti la certezza che sto benissimo” precisò.
Sei incredibile, Johanna” continuò Hélène “solo tu puoi dire di stare benissimo nelle tue condizioni”.
Oh, Hélène! Sai che, nonostante quello che è successo ultimamente, è mia abitudine affrontare i problemi in maniera diretta. E, comunque, per stare bene, mi basta essere circondata dall’affetto delle persone che mi sono care” spiegò Johanna, allungando una mano che Hélène si affrettò a stringere, proprio mentre fece capolino nella stanza un’infermiera dal camice rosa, armata di laccio emostatico e provette per la raccolta del sangue.
Un paio d’ora più tardi, il dott. Miller raggiunse di nuovo Johanna, per sincerarsi delle sue condizioni. Invitò, quindi, di nuovo, i suoi amici a lasciare la stanza e, questa volta, l’intero reparto, essendo terminato da molto l’orario delle visite.
Andate a mangiare qualcosa, potrete tornare più tardi” tentò di convincerli.
A malincuore, considerate, soprattutto, le insistenze della stessa Johanna, i ragazzi decisero di andare a mangiare qualcosa, per tornare nel primo pomeriggio, quindi si allontanarono dalla stanza, lasciando Johanna in compagnia solo del suo medico.
Hai degli amici molto tenaci, vedo” constatò il dottore.
Non ha idea di quanto siano testardi, soprattutto Christian” scherzò lei.
Invece una vaga idea ce l'ho, dal giorno in cui l'ho conosciuto" proseguì, subito dopo, il dottore. “Comunque, a
scolta, Johanna: sono arrivati i risultati delle analisi”.
E…?” chiese Johanna, con un misto terrore e speranza nei suoi occhi.
Ed è come sospettavo: sei incinta” confermò il medico.
Oh, mio Dio!” esclamò Johanna, a quel punto, non sapendo se poter gioire di quel miracolo che stava nascendo dentro di lei o se esserne, invece, spaventata.
Fu, quindi, il dott. Miller a spegnere immediatamente ogni briciolo di felicità, sentenziando: “Ma questo è male, Johanna. Molto male”.
Pronunciò quelle parole con estrema durezza, sottolineando quella frase come se la stessa rappresentasse una condanna senza possibilità di appello e lasciando a Johanna una forte, fortissima sensazione di angoscia.

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Capitolo 20
*** La scelta ***


Male? Che… vuol dire male?” domandò, a quel punto Johanna, con la voce tremante.
Vuol dire che la tua gravidanza e il male che ti ha colpito non possono coesistere” spiegò il medico.
Ma… Lei ha detto che sarei uscita bene da questa storia” affermò Johanna, con indecisione, quasi attendesse una conferma alle sue parole.
Sì, l’ho detto” confermò, infatti, il dott. Miller “ma questo è vero se ti operi subito” precisò.
Ma… se io mi opero… il bambino correrà dei rischi?” chiese Johanna, non sapendo più cosa pensare.
Il dott. Miller annuì: un’operazione su una donna in stato interessante comporta sempre dei rischi, specialmente nel caso di una gestazione come quella di Johanna, ancora allo stato iniziale, notoriamente molto delicato, e senza tenere conto del fatto che, per via della particolare situazione fisica, la gravidanza si presentava indubbiamente non facile.
Ma se non ti operi la situazione potrebbe degenerare in maniera radicale” le prospettò il medico.
Cosa può succedermi?”si informò Johanna “Potrei morire?”.
Nei casi più gravi… sì”.
Quelle parole colpirono il cuore di Johanna con la stessa intensità di uno sparo. Proprio quando tutto sembrava tornare a posto, le sue speranze stavano di nuovo crollando miseramente, come crolla un castello di carte al primo alito di vento.
Vedi, Johanna” continuò il dottore “come ti ho già spiegato, il tipo di tumore che ti ha colpito è, normalmente, facilmente controllabile con terapie farmacologiche e chirurgiche. Ma è anche un tipo di tumore fortemente legato agli ormoni della gravidanza: durante la gestazione, queste masse subiscono un’accelerazione di crescita, provocando danni molto seri. Estremamente seri. E, da ultimo, anche la morte”.
Ma il mio bambino vivrà?
Sì, forse… Non posso dirlo con certezza; dipende dall’evoluzione che prenderà la malattia e, di conseguenza, dalle tue condizioni fisiche. Ascoltami, Johanna: capisco che questa notizia ti abbia sconvolta, ma tu devi pensare prima di tutto a te stessa; se resterai invalida o, peggio ancora, se morirai a causa di questo male, non sarai di aiuto a questo bambino che rischia comunque di non riuscire a vedere la luce. E tu avrai sacrificato tutto per niente. Segui il mio consiglio e pensa, innanzi tutto, alla tua salute” la esortò il medico, quasi avesse intuito la scelta che avrebbe compiuto Johanna. Perché, ora, Johanna avrebbe dovuto fare una scelta importante.
Non c’è momento più bello, nella vita di una donna, che quello in cui apprende di aspettare un bambino dall’uomo che ama; a lei veniva negata anche questa gioia. Si sentiva come in una sorta di limbo, in un posto sospeso tra il sogno e la realtà, tra la possibilità, ormai insperata, di diventare madre e la triste verità che vedeva la vita di entrambi appesa ad un filo. Stava camminando su una corda, senza sostegni pronti a proteggerla nel caso di un’eventuale caduta. La sua salvezza e la sua felicità erano lì, dall’altra capo della fune, ma questa veniva agitata e sbattuta da tutti i problemi messi lì, a renderle difficoltoso il cammino. Ma lei era donna forte, lo era sempre stata, non poteva arrendersi così.
Io voglio questo bambino” disse, infatti, all’improvviso “non rinuncerò a lui così”.
Calmati, Johanna, non essere precipitosa. Le tue condizioni sono enormemente serie. Puoi andare incontro ad invalidità molto pesanti: sordità, cecità, paralisi… senza escludere, ovviamente… la morte. Vuoi assumerti un rischio così grande?” cercò di convincerla a ragionare il dottore.
Una lacrima segnò il viso di Johanna, i cui lineamenti erano piegati in una smorfia dolorosa; si trovava di fronte a un bivio: scegliere di farsi operare subito e superare brillantemente tutti i suoi problemi, cominciando una nuova vita al fianco di Christian, oppure scegliere di lottare per la vita di quel bambino che le stava crescendo in grembo, anche a costo di mettere in pericolo la propria.
Io voglio questo bambino” ripeté con convinzione, dopo qualche secondo di silenzio.
Johanna…
No, dottore. Può dire tutto quello che vuole, ma non mi convincerà mai a farmi operare subito. Questo bambino è un miracolo e merita una possibilità. Non sarò io a negargliela”.
E, pronunciando queste parole, mise fine a qualsiasi tentativo di convincimento potesse mettere in atto il dott. Miller.

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Capitolo 21
*** "Io non mi opero!" ***


Quando i ragazzi tornarono nella stanza dell’ospedale, la trovarono vuota: Johanna se ne era andata. Su consiglio del dott. Miller, che, per espresso ordine di Johanna, non poteva rivelare la verità, tornarono tutti verso casa, dove Johanna, per sua stessa ammissione, si era ridiretta.
Christian corse come una furia, anticipando le amiche di qualche minuto, ed entrò in casa, preoccupato e confuso. Quando la vide, si bloccò all’improvviso: era in camera da letto, in piedi, davanti alla finestra, con l’aria terribilmente seria, e fissava un punto indefinito al di là del giardino.
Johanna” la chiamò, ma lei sembrava non ascoltarlo nemmeno: continuava a tenere gli occhi fissi sul nulla e non accennava il benché minimo movimento.
Johanna, ti prego” insistette. “Parlami! Cosa è successo? Perché sei andata via dall’ospedale? Johanna!” continuò, afferrandole un braccio, per tentare di scuoterla, almeno un po’. “Dimmi qualcosa, Johanna!”.
Non è successo niente, Christian” disse, voltandosi a guardarlo, e il suo sguardo sembrava essere di ghiaccio “semplicemente, ho riflettuto su tante cose e ho deciso di non operarmi più”.
Cosa?!” esplose Christian. “Sei impazzita o cosa? Tu devi operarti” disse, sottolineando le sue parole come se esprimessero un comando che non ammetteva repliche, “e ti opererai. Dovessi obbligarti con la forza”.
Ho detto che non mi opererò e né tu né nessun altro potrà farmi cambiare idea!” replicò con convinzione. “Ho preso questa decisione e non tornerò indietro. E, adesso, fuori di qui, Christian!” gli ordinò, lasciandolo di stucco.
Johanna…” continuò Christian, ancora incredulo, con la voce tremante. “… cosa vuol dire “fuori di qui”?
Vuol dire che devi andartene, Christian, che devi lasciarmi sola e tornare a casa tua. A Parigi” aggiunse, dopo una breve pausa.
Che cosa stai dicendo, Johanna? No, no, no! Tu stai vaneggiando!” proseguì, mentre veniva colto da un attacco di riso isterico. “O mio Dio! Mi sembra un incubo. Ti prego: svegliami e dimmi che sto sognando, perché io non ci capisco più niente. Mi stai cacciando, Johanna?”.
Johanna lo fissò negli occhi con uno sguardo talmente duro da pietrificare ogni suo muscolo.
Tu mi stai cacciando…”. Era un’affermazione, ora, la sua. “Ma… ti rendi conto di quello che stai facendo, Johanna? E il nostro amore? Quell’amore che anche tu, poche ore fa, giuravi di provare, che fine ha fatto? Le nostre promesse? Che fine hanno fatto tutte queste cose, Johanna? Senti: io lo so che tu hai paura, che sei spaventata all’idea di dover affrontare questo intervento e…”.
Tu non sai proprio niente, Christian!” lo interruppe. Sapeva perfettamente che, se si fosse operata, lui le sarebbe stato accanto, ma le cose, in quel momento, erano decisamente diverse. Subito dopo, alzò nuovamente lo sguardo, incrociando quei grandi occhi scuri che tanto amava e che ora sembravano supplicare una spiegazione che non poteva dargli. “Torna a Parigi. Dimenticami” gli ordinò di nuovo. Non sapeva cosa le avesse dato la forza di sostenere lo sguardo di Christian fino a quel momento, ma qualunque cosa fosse, quella forza non l’avrebbe accompagnata ancora per molto.
Ma…” tentò di obiettare ancora una volta Christian.
Esci di qui, Christian! Fuori da casa mia!” ripeté, questa urlando, tanto che anche Kate ed Hélène, ormai sopraggiunte, poterono udire l’esclamazione imperativa con la quale si era rivolta al suo fidanzato, il quale, spintonato fuori dalla camera, si ritrovò in soggiorno, insieme alle due amiche, sbigottito e sgomento.
Cosa è successo, Christian?” gli domandò Hélène, avvicinandosi.
Io… Non lo so…”. Faceva quasi fatica a parlare. “Da quando sono entrato non ha fatto che ripetermi solo questo: che non si sarebbe operata e che dovevo tornare a casa mia, che la dovevo lasciare sola. Ma io…” continuò voltandosi verso la porta della camera da letto, ormai chiusa a chiave dall’interno “non posso… io…”.
Christian aveva l’impressione di essere finito su un universo parallelo; chi era quella donna che l’aveva respinto con tanta decisione e che cosa ne aveva fatto della sua Johanna, quella che, solo poche ore prima, si lasciava stringere tra le sue braccia con passione e desiderio? Dov’era finita quella donna che gli aveva detto di amarlo e che avrebbe voluto passare il resto della vita con lui?
Una lacrima piena di tristezza gli solcò il viso. Era incredibile: Johanna aveva finito con il farlo piangere ancora una volta. Ma cosa era successo? Perché si stava comportando così? Che cosa le aveva fatto cambiare atteggiamento così radicalmente?
Johanna, per favore, aprimi” la supplicò Hélène, bussando alla porta. “Vogliamo solo aiutarti; perché non ci spieghi cosa è successo? Perché ti stai comportando così?”.
Vattene, Hélène” ordinò anche all’amica, lasciandosi comunque scappare un singhiozzo che non sfuggì all’attenzione di Hélène. “Per piacere, andate via tutti” ripeté, prima di scoppiare in un pianto disperato, sapientemente soffocato dai cuscini del suo letto.

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Capitolo 22
*** Rivelazioni ***


Hélène smise subito di insistere; la conosceva molto bene e sapeva che, in quel momento, non avrebbe ottenuto di più che l’ennesimo invito a lasciarla da sola, così rinunciò, almeno momentaneamente, a cercare di parlare con Johanna e tentò di convincere gli amici a fare altrettanto, invitando Christian, che ormai somigliava ad un animale in gabbia, impegnato in una marcia senza fine avanti e indietro per il soggiorno, a fare due passi all’aria aperta.
Christian fu restìo ad allontanarsi, ma, alla fine, si lasciò convincere da Hélène ad accompagnarla a fare un passeggiata.
Sicuro che non sia successo niente?” chiese Hélène quando si furono allontanati.
Certo che sono sicuro, Hélène! L’hai vista anche tu, no? L’attimo prima era lì, a dirmi quanto mi amava, e l’attimo dopo mi ha messo alla porta. Hélène, aiutami, perché non ci sto capendo niente!
Christian era visibilmente agitato: aveva perso ogni punto di riferimento, non riusciva a comprendere il comportamento di Johanna, non sapeva come riuscire ad interpretarlo.
È successo qualcosa in quelle due ore che siamo stati a mangiare, Hélène. Forse le hanno trovato qualcos’altro… Le analisi… Forse le analisi hanno rivelato qualcosa che non vuole dirci. Devo parlare con il dottore”.
No, lascia stare, Christian!” lo fermò Hélène, trattenendolo per un braccio. “Se Johanna non vuole dirci cosa le succede, avrà dato ordine al dottore di fare altrettanto. E, mi spiace dirtelo, ma voi non siete sposati e tu non hai nessuna voce in capitolo”.
Christian sospirò con forza, stringendo nella mano, infilata nella tasca dei pantaloni, quell’anello che rappresentava tutti i suoi sogni e le promesse scambiate con la donna che amava.
E allora devo convincerla a parlarmi, a spiegarmi da dove arriva questa improvvisa voglia che ha di stare sola!” esclamò, riavviandosi verso casa.
Christian, aspetta!” lo trattenne di nuovo Hélène. “Lasciamola tranquilla qualche ora, come ci ha chiesto di fare. In questo momento, non parlerebbe, ne sono certa. Può darsi che, dopo, quando sarà più calma…”.
Oh, mio Dio, Hélène! Ti prego, dammi un pizzico, svegliami, dimmi che sto sognando e che tutto questo non è vero!” disse, poi, sedendosi su una panchina.
Capiremo cosa sta succedendo, te lo prometto” lo consolò Hélène, abbracciandolo.
Kate, nel frattempo, era rimasta a casa di Johanna, in silenzio, in attesa. La conosceva solo da pochi anni, ma, tra loro, si era subito creato un legame forte.
Aspettò sapientemente che l’amica uscisse di propria iniziativa dalla sua stanza e le sorrise, cercando di trasmetterle un senso di vicinanza.
Ti senti più tranquilla, Johanna?” le chiese all’improvviso.
In un certo senso, se così si può dire…” rispose con una calma così estrema, da poter sembrare rassegnazione.
Ti va di dirmi perché hai cacciato Christian?” le chiese, invitandola a sedersi accanto a lei, sul divano. “Mi era sembrato di capire che non desiderassi altro che stare accanto a lui” continuò. “E adesso?”.
Poco meno di dieci anni fa” prese a raccontare Johanna, perdendosi nei ricordi “io vivevo su una splendida isola caraibica, insieme a tutti i miei compagni di università. Be’… quasi tutti…” si corresse. “Mancava Christian” aggiunse sorridendo. “In quel periodo, mi ero fidanzata con uno di loro, José. Abbiamo vissuto insieme diverso tempo e pensavamo addirittura di mettere su famiglia. Era… una storia seria… nonostante tutto… nonostante Christian… Quando scoprii di essere rimasta incinta, io ero… felice. Be’, sì! Ho sempre desiderato poter aver un figlio e il rapporto con José è stato, comunque, importante”.
Kate, ora, la guardava con l’aria molto incuriosita.
E cosa è successo?” le chiese.
Ebbi… diciamo così… un incidente… finii in una sparatoria” seguitò a raccontare Johanna. “E così persi il bambino che aspettavo e subii lesioni molto gravi: i medici dissero che non c’erano speranze che potessi avere altri figli".
E questo cosa c’entra con quello che sta succedendo adesso?”.
Be'… A quanto pare… forse una speranza c’era ancora” rispose.
Vuoi dirmi che…? Stai aspettando un bambino?” chiese Kate, mentre Johanna annuiva asciugandosi la lacrima scesa a bagnarle il viso.
Sì, questo era la causa delle nausee e degli svenimenti” confermò Johanna “e questo è il motivo per il quale ho deciso di non operarmi più. Voglio dare una possibilità a questo bambino”.
Oddio, non posso crederci!” esclamò Kate. “Ma perché non hai detto tutto questo a Christian? È… perso dietro di te, scommetto che ne sarebbe più che felice”.
Non nominarlo nemmeno, Christian! Anzi, promettimi che non dirai niente né a lui né ad Hélène!” le ordinò Johanna.
Scusami, ma capisco sempre meno. Perché dovrei aiutarti a tenere Christian a distanza?
Perché rimandare l’operazione ed affrontare la gravidanza comporterà dei rischi sia per me che per il bambino”.
E pensi che Christian non sia pronto a restare vicino a te?
No, il contrario. Sono sicura che farebbe di tutto per aiutarmi. Certo, prima cercherebbe di convincermi che tutto questo è una follia, ma alla fine comprenderebbe, ne sono sicura” affermò Johanna.
E allora? Cosa ti impedisce di parlargli?
Perché lo conosco… se dovesse succedere qualcosa… a me o al bambino…” disse, rialzando lo sguardo verso l’amica “non resisterebbe… impazzirebbe…”.
E così preferisci tagliarlo fuori in via preventiva?
Se lui non sa del bambino, non potrà… stare in pena per lui” affermò con decisione. “Quanto a me… se ne farà una ragione” aggiunse, con un pizzico di sicurezza in meno.
Io non credo che tu stia facendo una scelta corretta, Johanna. Capisco che questa notizia ti abbia sconvolta, ma sono molti gli aspetti che devi valutare. E sicuramente dovresti coinvolgere Christian” insistette Kate.
Ho detto di no, Kate, per favore! Non pensare che abbia preso questa decisione a cuor leggero, ma ho fatto la mia scelta. Ti chiedo soltanto di darmi una mano, perché ne avrò davvero bisogno”.
Kate assentì a malincuore, stringendole le mani.
Sei proprio sicura di voler affrontare tutto questo da sola?”.
Johanna annuì. Si sentiva un po’ meglio ora che aveva confidato il suo segreto a qualcuno, anche se non poteva fare a meno di pensare a Christian e al fatto che questa volta non sembrava esserci speranza per il loro amore.
Non riesco a crederci, Johanna. Tu sei incinta” ripeté Kate, per l’ennesima volta.
Che cosa?!” esclamò Christian, materializzatosi all’improvviso sull’uscio di casa, di ritorno insieme ad Hélène dopo la lunga passeggiata. “Tu… Tu… Aspetti un bambino?”.

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Capitolo 23
*** “È questo il motivo del tuo strano comportamento?” ***


È così? Ho capito bene? Stai… davvero aspettando un bambino?” chiese Christian. “È questo il motivo del tuo strano comportamento?” continuò, avvicinandosi, mentre Johanna voltava la faccia dall’altra parte della stanza, incapace di sostenere il suo sguardo e chiudendosi in un assoluto silenzio.
Johanna, rispondi! Per l’amor di Dio, perché continui a fare così? Parlami, ti prego!” insistette Christian, sempre più incredulo, afferrando le sue braccia. “Johanna! Dimmi qualcosa!
Johanna continuò a restare in silenzio, con gli occhi bassi e lo sguardo perso nel vuoto. Non sarebbe dovuta andare in questo modo: avrebbe dovuto correre ad abbracciarlo e versare lacrime di gioia insieme a lui, che, ne era certa, sarebbe stato felice di questo miracolo che stava nascendo in lei. Invece, sia lei che il bambino stavano rischiando la vita. Quel maledetto, subdolo male la stava spingendo nuovamente lontano dal suo adorato Cri Cri. Sentiva che Christian stava continuando a parlarle; voleva conferme e le ricordava della promessa scambiata solo pochi giorni prima: niente più bugie, niente più segreti. Sì, ricordava la promessa, ma, al tempo stesso, si chiedeva come avesse potuto Christian superare un trauma così forte, se qualcosa non fosse andato per il verso giusto. Lo sentiva ancora parlare: il medico, l’operazione, i rischi… Era proprio quello il punto: i rischi. La sua vita, ma, soprattutto, la vita di quel figlio tanto desiderato era appesa ad un filo così sottile che erano davvero poche le speranze di riuscire a non farlo spezzare troppo presto; poteva rischiare di procurare all’uomo che amava un dolore tanto grande? Poteva sopravvivere ad un nuovo addio, ma perdere un figlio, ora che, a differenza di un tempo, si sentiva pronto a parlare di famiglia, lo avrebbe devastato.
Johanna, insomma, parla! Di’ qualcosa!
Christian pronunciò quelle parole aumentando notevolmente il tono della voce, tanto che Johanna, presa alla sprovvista, voltò istintivamente lo sguardo verso di lui.
Non è un problema che ti riguardi, Christian” gli disse, lasciandolo di stucco.
Che vorresti dire, Johanna? Come può non riguardarmi tutto questo? Si tratta di noi! Si tratta di me, di te, della tua salute e… della nostra famiglia, di quella famiglia che abbiamo deciso di costruire insieme!” insistette Christian.
No, ti sbagli” gli rispose. “Si tratta di me… e di lui” disse, sfiorandosi il ventre ancora piatto. “Quando ti ho fatto quella promessa, non sapevo ancora di lui. Ora le mie priorità sono cambiate: lui è la mia priorità. E lui è la mia famiglia, adesso. Nessun altro” affermò.
E io non conto niente, Johanna? In tutta questa storia, io sarei solo un “di troppo”?” chiese esterrefatto. “Ma ti rendi conto di quello che stai dicendo?”.
Io sto dicendo che devi lasciarmi sola” tornò a ripetere “e che quello che mi sta succedendo non ti riguarda. Torna a Parigi, Christian!” gli ordinò subito dopo. “La tua vita è lì, è quella casa tua”.
Ma come puoi pensare che io possa partire così, a cuor leggero, proprio adesso che hai più bisogno di me? Come puoi pensare che io possa abbandonare te e il nostro bambino?” continuò a insistere Christian.
È qui che ti sbagli, Christian: questo è il mio bambino, non il nostro” disse, enfatizzando la pronuncia della parola “mio” e guardandolo con degli occhi di ghiaccio.
Che… cosa vuoi dire con questo?” balbettò Christian.
Che questo figlio non è tuo” affermò con una freddezza spaventosa. “E adesso vattene, esci da casa mia! E anche dalla mia vita…” gli ordinò, con un filo di voce, che mostrava, però, un’estrema determinatezza.

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Capitolo 24
*** "Io ti amo" ***


Christian restò pietrificato, come, del resto, anche Hélène e Kate, che quasi non riuscivano a credere a ciò che avevano appena sentito.
Va’ via!” continuò a ripetere Johanna, con un crescendo di agitazione che scosse Christian, il quale fu costretto ad eseguire l’ordine della donna che amava. Uscì, richiudendosi la porta alle spalle, incredulo e ferito da quelle parole che mai si sarebbe aspettato di sentire.
Johanna…” Hélène fece per avvicinarsi, ma Johanna schivò anche il suo contatto.
Va’ con lui, ti prego, Hélène. Ha bisogno di aiuto, non lo lasciare solo” le chiese, quasi implorandola con lo sguardo. Sapeva di aver ferito a morte Christian e sapeva che, probabilmente, questa ferita lo avrebbe allontanato definitivamente da lei. Forse, un giorno, nella speranza che tutta quella storia sarebbe finita bene, sarebbe riuscita a raccontargli la verità e lui avrebbe potuto amare quella piccola vita innocente che stava crescendo dentro di lei, ma, adesso, sapeva che non ce l’avrebbe fatta a vederlo star male per lei o per il figlio. Non ne aveva la forza.
Hélène fece un cenno di assenso e raggiunse l’amico in strada, offrendogli quel conforto che Johanna le aveva chiesto di portargli. Si abbracciarono, mentre Christian versava, per l’ennesima volta, lacrime di dolore causate da quell’amore tormentato per la donna che sapeva essere l’unica vera donna della sua vita. Non era così che si era immaginato questo viaggio: era partito da Parigi pieno di speranze e aveva finito per trovarsi davanti ad una porta chiusa, non prima di aver assaporato, però, la gioia infinita di potere di nuovo stringere tra le braccia la sua donna, di sentirla nuovamente sua. L’aveva avuta di nuovo tutta per sé e poi l’aveva miserabilmente perduta. Di nuovo. Ancora una volta. Non riusciva a credere che tutto questo stesse succedendo davvero.
Hélène, ti prego, svegliami e dimostrami che è solo un incubo e che non sono finito in qualche strano girone dell’inferno” disse Christian, cercando disperatamente un appiglio per non finire schiacciato dai suoi stessi sentimenti.
Vieni, andiamo, hai bisogno di riposare. Per adesso non possiamo fare niente. Domani affronteremo tutto con un po’ più di calma” cercò di tranquillizzarlo Hélène.
Christian si lasciò guidare dall’amica presso un hotel della zona, dove presero due stanze per poter riposare. Se mai vi fossero riusciti. In realtà, trascorsero tutti una notte più o meno insonne: Hélène, convinta che dietro il comportamento di Johanna si nascondesse qualcosa di più della sua gravidanza, Kate che conosceva la verità e Johanna e Christian, che non potevano fare a meno di pensare uno all’altra.
L’alba li sorprese entrambi ad osservare un sole nascente, i cui raggi non riuscivano a scaldare abbastanza la loro anima ferita.
Era ancora persa ad osservare i giochi di luce provocati dai raggi che filtravano dagli alberi, quando sentì bussare alla porta di ingresso e andò ad aprire, restando sorpresa di trovarsi di fronte proprio Christian.
Non mi importa” le disse quando si trovarono occhi negli occhi. “Io ti amo e voglio stare con te. Se tu vorrai, tuo figlio sarà mio figlio; permettimi solo di esserci”.

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Capitolo 25
*** Adieu, mon CriCri d’amour ***


Che cosa?!” esclamò Johanna, sorpresa.
Ci ho pensato tanto, Johanna, tutta la notte” spiegò Christian, con calma. “Non mi importa di chi è figlio questo bambino, mi importa solo che sia tuo figlio, il resto non conta. Io ti amo” ripeté “e voglio stare con te. Non ti lascerò sola, specialmente in questo momento”.
Johanna era letteralmente esterrefatta: aveva scelto di colpire Christian nel suo punto più debole – la gelosia – proprio per essere sicura di provocare in lui una reazione che l’avrebbe allontanato e, invece, se lo ritrovava un’altra volta di fronte, una notte insonne sulle spalle, un accenno di barba da tagliare, ma, soprattutto, pronto ad accettare la realtà anche nel modo in cui lei gliel’aveva prospettata, pronto a fare sacrifici reali in nome di quell’amore che diceva di provare. No, questo non se l’aspettava, decisamente: Christian dimostrava di essere davvero maturato, nel tempo. Ma le restava quel dubbio atroce: e… se non ce l’avesse fatta?
Invece è esattamente quello che farai, Christian” gli rispose, infatti, con un tono di voce fin troppo controllato. “Forse a te non importa di chi sia figlio questo bambino, ma a me sì” aggiunse, guardandolo negli occhi. “E, con questo, credo di non aver più niente da dirti. Sai dove trovare la chiave dell’appartamento: passa nel pomeriggio a prendere le tue cose e fa’ in modo che io non ti trovi più qui al mio rientro. Addio, Christian”.
Mentre pronunciava quelle parole, provò la netta sensazione che un coltello le aprisse in due il torace, indugiando sapientemente su ogni strato di pelle, per provocare quanto più dolore possibile e strapparle via il cuore. Sapeva che Christian, in quel momento, stava soffrendo quanto lei, ma ormai era decisa a mettere tra loro quanta più distanza possibile. Forse non era il modo giusto di agire, forse se ne sarebbe pentita ogni giorno per il resto della sua vita, ma, per adesso, aveva compiuto questa scelta. “Adieu, mon CriCri d’amour” ripeté tra sé e sé, prima di scoppiare in un pianto dirotto.
Christian rimase pietrificato dalle parole di Johanna. La sua determinazione e la sua decisione nel pronunciare quelle frasi, così fredde e dure, avevano fatto crollare tutte le sue certezze. Aveva l’impressione di trovarsi di fronte un’altra persona e non quella donna, forse un po’ folle e stravagante, ma, comunque, leale e sincera, di cui si era innamorato, quella che aveva ritrovato nel suo viaggio alla ricerca della speranza.
Christian!” lo chiamò Hélène, sopraggiunta, nel frattempo, alle sue spalle. “Ho immaginato che fossi qui. Hai provato di nuovo a parlare con lei?” chiese, rivolgendo lo sguardo verso la porta chiusa.
” rispose sconsolato Christian. “Ma è stato tutto inutile. Non… la capisco più” balbettò con un filo di voce “E l’unica cosa che so è che mi ha guardato negli occhi e mi ha detto di pensare ad un altro, al padre di suo figlio. Ecco… questa è la verità. Addio promesse, addio speranze. Ma perché sono venuto qui, Hélène? Cosa speravo di ottenere attraversando mezzo mondo così, su due piedi?” chiese, quasi al limite di una crisi isterica. “Mi ha guardato negli occhi e mi ha detto di pensare al padre di suo figlio” ripeté, come se non riuscisse a capacitarsi di quello che aveva sentito. “Non avrei mai dovuto lasciarmi convincere a partire, a inseguire il sogno del grande amore della mia vita che tornava ad essere lì, a portata di mano. Vado a comprare il biglietto aereo per Parigi. Sentito, Johanna?” esclamò, voltandosi di scatto verso la porta chiusa e urlando, affinché anche Johanna potesse ascoltarlo. “Faccio come mi hai chiesto: tolgo il disturbo! Ritorno a casa!
Quelle parole ebbero su Johanna lo stesso effetto di una lama infetta che si diverte a giocare su una ferita aperta, provocando un dolore talmente atroce che la morte, a confronto, appariva quasi come una delicata via di fuga. Si abbracciò da sola, in un timido di gesto di autoconforto, cercando di convincersi che quella fosse la scelta migliore per tutti, che Christian avrebbe superato questo terribile momento e sarebbe tornato alla sua vita e che lei avrebbe fatto di tutto per combattere per il suo bambino. Per il loro bambino. Si accarezzò il ventre, piangendo disperatamente, per un periodo che sembrò interminabile, poi uscì per evitare di incontrare Christian che tornava a prendere le sue cose. Forse, per evitare di pensare. Sì, perché ormai ne era certa: era tutto finito.

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Capitolo 26
*** Soli ***


Quando rincasò, la sera, si rese conto di quanto fosse dura la solitudine in cui si era voluta nascondere. Christian era stato presente solo pochi giorni, eppure sembrava che la sua presenza fosse ovunque e che, prima del suo arrivo, la sua vita non potesse essere considerata una vita. Si guardò attorno e cercò di farsi forza, quando notò un biglietto lasciato su un tavolo, sul quale riconobbe la calligrafia di Hélène: “So che c’è qualcosa che non hai detto, ma sappi che io ci sarò sempre. Chiamami quando vuoi”. Lo sapeva. Hélène era sempre stata disponibile con tutti, con lei soprattutto. Ripose il biglietto in un cassetto, notando, senza dargli troppa importanza, che, in quel momento, la sensibilità del suo braccio era fortemente ridotta, come se fosse addormentato. Invece, non poté fare a meno di provare un senso di gratitudine nei confronti Hélène. Sì, lo sapeva: sapeva che non avrebbe esitato ad aiutarla, se solo glielo avesse chiesto, ma, in quel momento, preferiva saperla vicino a Christian. Povero Christian! Lo pensava su quell’aereo, di ritorno verso il suo Paese, verso la sua vita di sempre, e non poteva fare a meno di pensare alla sofferenza che gli aveva inflitto. Non se la meritava. Ma aveva paura di fargli ancora più male, raccontandogli la verità. In fondo, avrebbe superato tutto questo. Sì, ne era certa: sarebbe tornato alla sua vita, al suo lavoro, alle sue amicizie. Magari a… come si chiamava? Ma certo: Angèle! Ecco, avrebbe sofferto un po’, ma alla fine si sarebbe lasciato consolare da Angèle. Da quel poco che aveva saputo dalle parole di Christian, sembrava anche una brava ragazza. Si convinse di questo, perché immaginarlo altrettanto solo le faceva troppo male.
Christian arrivò a Parigi la sera del giorno dopo. Nicolas andò a prendere sia lui che Hélène all’aeroporto, poi lo accompagnò a casa. Durante il tragitto in auto, non disse neanche una parola; il suo sguardo sembrava spento. Christian era una persona molto cupa, lo era sempre stata, ma era tanto tempo che i suoi amici non lo vedevano più così apatico. Insistettero affinché passasse la notte a casa loro, ma lui rispose di aver bisogno di restare un po’ da solo, a pensare. Quando varcò la porta di ingresso, provò la stessa sensazione che si prova quando ci si risveglia da un bel sogno: un misto di confusione e tristezza. Tutto era come l’aveva lasciato subito prima della sua frettolosa partenza: la sua chitarra in un angolo del divano, la lettera di Angèle e l’album di fotografie che aveva trovato il coraggio di sfogliare, dopo tanto tempo, insieme alla sua amica. Maledetti ricordi, maledette speranze! Perché aveva creduto che fosse ancora possibile provare la gioia spensierata che era in grado di provare quel ragazzo ritratto in foto? Era chiaro, no? Era palese: lui non sarebbe mai stato felice, nella sua vita. Perché continuare ad illudersi? Che senso poteva mai avere? Guardò la luce della luna che filtrava attraverso gli alberi del suo giardino e ripensò alla casa sull’albero di Johanna. Sorrise. Solo Johanna poteva avere una casa sull’albero! Come nei film. Sì, d’accordo: forse era un po’ matta. Ma era maledettamente vera. Il… il padre di quel bambino… Perché non gli aveva neanche accennato ad una precedente relazione? Così recente, tra l’altro… Non era da Johanna negare l’evidenza. Non era da Johanna dirgli “ti amo” e negarlo il momento successivo. Gli sfuggiva qualcosa. Sapeva che, in tutta questa storia, gli stava sfuggendo qualcosa. Prese la scheda di memoria dall’interno della sua macchina fotografica e si mise ad osservare al computer tutti gli scatti effettuati durante la loro vacanza. Panorami mozzafiato si stagliarono nuovamente davanti a lui; Galveston era, senza dubbio, un’isola fantastica, almeno quanto Love Island. E poi c’erano loro. Sorridenti. Veri. Il sorriso di Johanna non sembrava affatto di circostanza. Sembrava reale, almeno quanto il suo. I suoi occhi brillavano di una luce intensa, che veniva dal profondo. C’era uno scatto particolarmente bello e molto simile a quello che lui si era portato dietro per anni: un tramonto, un bacio sulla spiaggia, due innamorati… Cosa diceva nonno McCormick? Le fotografie servono a comunicare qualcosa. E cosa comunicava quella foto a chi la guardava? Che quelle persone si volevano un bene infinito, l’aveva detto anche Johanna… Ma, se quelle persone si volevano un bene infinito, allora no, c’era qualcosa che non quadrava nel suo modo di comportarsi. Si era comportata così soltanto quando era scappata dalla loro casa, quando si era ammalata la prima volta. E lo aveva fatto per lui, per un assurdo senso di protezione che li aveva portati a soffrire entrambi. Un pensiero fugace lo colpì come un fulmine: e se fosse di nuovo così?

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Capitolo 27
*** E' un cuore che batte... ***


Christian scacciò quel pensiero, credendo che fosse solo un modo per autoconsolarsi del fatto di essersi ritrovato di nuovo solo, in una casa silenziosa, vuota. Ripose tutto ciò che potesse ricordargli quell’assurdo viaggio che Angèle l’aveva spinto a fare. Ma perché le aveva dato ascolto? Perché quella sera, sul divano, non era rimasto a crogiolarsi nel ricordo di una bella giornata trascorsa insieme alla propria ex, considerandolo un momento estemporaneo, senza pensare neanche lontanamente che quella visita inaspettata potesse avere un altro valore? Vivrebbe ancora nella sua beata ignoranza e continuerebbe la sua vita fatta della solita routine. Forse poco coinvolto a livello emozionale, è vero, ma fuori da ulteriori sofferenze. Si trovava punto e a capo, dopo aver assaporato nuovamente gioia e felicità, però. E, soprattutto, dopo essersi ricordato che quelle sensazioni positive non facevano più parte della sua vita da tempo. Richiuse il cassetto dei ricordi, sperando di poter mettere una serratura a doppia mandata anche al suo cuore. Johanna gli aveva detto addio. Di nuovo. Questa volta, per sempre.
Johanna, invece, era insolitamente indaffarata per una donna inoccupata e senza famiglia. Sapeva che presto non avrebbe avuto più il pieno controllo della situazione e avvertiva già i primi sintomi peggiorativi della malattia che si portava dietro: stanchezza perenne, formicolii agli arti, ridotta sensibilità al braccio destro. Ne aveva parlato con il dott. Miller, aveva effettuato ulteriori controlli ed il risultato era che il tumore stava iniziando a crescere a livelli esponenziali. Ma la sua scelta era rimasta immutata: avrebbe fatto di tutto pur di dare una possibilità al suo bambino. A qualunque costo. Voleva assicurarsi che, considerate le circostanze, tutto procedesse per il meglio, almeno per lui. O forse voleva solo evitare di pensare, soprattutto a Christian. Anche se era dannatamente difficile. Alla prima ecografia, effettuata un paio di settimane dopo, l’accompagnò Kate. Era difficile riconoscere in quell’immagine scura il profilo di quel fagiolino, lungo nemmeno cinque millimetri, ma ascoltare il suo cuoricino che batteva, con un ritmo più che doppio rispetto a quello di un adulto medio, la fece commuovere fino alle lacrime. Il suo miracolo stava prendendo forma, era vivo. Dentro di lei, stava nascendo una vita. Il suo bambino era la vita. Il ginecologo le confermò che, almeno dal punto di vista della gravidanza, la situazione procedeva più che bene, ma era chiaro che il contesto restava del tutto particolare.
Dovresti chiamare Christian”.
Le parole di Kate le giunsero improvvisamente, mentre, con fatica, camminava verso la macchina posteggiata qualche centinaio di metri più avanti. Si notava appena, ma già cominciava a camminare incerta, barcollando leggermente.
Che fai? Non mi rispondi?” la incalzò l’amica.
Perché mi dici questo, ora? Ti ho spiegato perché ho deciso di lasciare Christian fuori da tutto questo” le rispose Johanna.
Sì, me l’hai spiegato, è vero. Ma più ti guardo e più sono convinta che questo non sia il mio posto, ma il suo. Non fraintendermi, Johanna; sai che sono felice di poterti aiutare. Ma penso che l’aiuto che ti può offrire Christian sia molto più grande del mio e che, oltre tutto, sia un suo preciso diritto, oltre che un dovere, occuparsi di suo figlio e starti vicino in questo particolare momento” spiegò.
Già, solo che Christian non è una persona che, di solito, reagisce bene al dolore, quindi no, non metterò a rischio il suo equilibrio mentale più di quanto non abbia già fatto. Christian non deve essere coinvolto, almeno per ora” replicò Johanna “e tu mi hai promesso che mi avresti aiutato”.
Almeno per ora… Cosa vuol dire “almeno per ora”? Che domani andrai da lui e gli dirai “scusa, ma mi sono sbagliata, questo è tuo figlio”?" la provocò Kate.
Johanna alzò gli occhi al cielo; era evidente che quella conversazione la infastidiva. O forse, in quel momento, non era più abbastanza forte per sopportarla a lungo.
Non lo so” rispose, abbassando lo sguardo e incupendosi all’improvviso. “Non so cosa farò domani. Non so neanche se ci sarà un domani. Quindi, ti prego: lasciami fare a modo mio”.
Va bene, va bene!” si arrese Kate. “D’accordo. Andiamo” le disse, seppure in disaccordo, esortandola a salire in auto, prima di riaccompagnarla a casa.

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Capitolo 28
*** Divisi siamo persi ***


Christian cercava in tutti i modi di ritornare alla vita di sempre. Ma non riusciva più a sorridere. Sì, negli ultimi anni, parlando in termini assoluti, non aveva più sorriso molto, ma, adesso, più i giorni passavano e più il suo umore peggiorava e, alla fine, aveva finito per assomigliare sempre più all’ombra di se stesso. Erano passati tre mesi da quella terribile giornata di maggio i cui tutti i suoi sogni si erano miseramente infranti e non poteva fare a meno di pensare a lei, nonostante tutto. La sua vita, la sua felicità… tutto dipendeva da lei. L’aveva anche scritto in quella canzone, scarabocchiata su quel pezzo di carta mentre aspettava speranzoso di vederla fare rientro a casa. Lei era e sarebbe rimasta per sempre il suo unico amore, l’unica in grado di farlo sorridere, l’unica che aveva saputo donargli la gioia di amare e di essere amato. Lei non conosceva quella canzone, non aveva nemmeno avuto modo ti cantargliela, tanto era stato rapida la discesa dopo il raggiungimento di quella nuova felicità. Prese la chitarra e intonò quel brano, forse con l’intento di dare voce ai suoi pensieri o forse solo per rompere quell’assordante silenzio che regnava dentro la sua casa. Chissà come stava, chissà cosa le era successo. Non aveva avuto il coraggio di informarsi. E, poi, perché angustiarsi, se era stata lei a non volerlo al suo fianco? Già, ma come era maledettamente difficile, adesso, fingere con tutto il mondo che la sua vita potesse continuare a scorrere con una certa naturalezza quando dentro, invece, si sentiva come morto…
Johanna, invece, aveva superato la fase critica di qualsiasi gravidanza, anche se, per lei, i problemi non erano di certo finiti. Tutt’altro. La gestazione era ormai giunta al quinto mese e il bambino, momentaneamente, cresceva sano e forte. Johanna stava un po’ meno bene, invece, e per questo Kate si era praticamente trasferita a casa sua e trascorreva con lei ogni attimo che non era al lavoro. I sintomi della gravidanza si sommavano a quelli devastanti della sua malattia in continua evoluzione: non aveva praticamente più forze, i suoi arti erano spesso insensibili, come addormentati. Camminava poco, pochissimo. Non di rado le capitava di non percepire più nemmeno il caldo, né il freddo, oppure di vedere doppio, per interminabili minuti. A volte, faceva fatica perfino a mangiare, anche se cercava di mantenere una dieta il più possibile equilibrata, per non far mancare nulla a suo figlio. È proprio pensando a quella piccola meraviglia che cercava di darsi forza, ogni volta che il peso della sua scelta tornava a farsi sentire prepotentemente, quasi schiacciandola sotto tonnellate di rimorsi. Fu proprio suo figlio, uno di quei giorni, a ridestarla da uno di quei momenti tristi, dimostrandole la sua presenza e facendole avvertire la prima sensazione di movimento, il suo primo calcetto. Johanna pianse, accarezzandosi il ventre, ora decisamente più rotondo. Era sinceramente commossa, ma anche piena di rimpianti nei confronti di Christian: chissà se un giorno avrebbe abbracciato questo figlio tanto sognato…

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Capitolo 29
*** Riflessioni ***


Il tempo continuava a scorrere inesorabilmente e Christian cercava, in tutti modi, di tenersi il più occupato possibile. Il lavoro… Lavorava sempre, pur di tenere impegnata la mente. E, quando non lavorava, trascorreva le ore in solitudine, perso in chissà quali pensieri. Evitava anche il contatto con gli amici, se possibile, che erano rimasti tutti sorpresi da ciò che era capitato. Non riusciva a togliersi dagli occhi l’immagine di Johanna. Erano passati più di sei mesi dal giorno che se ne era andato, lasciando la sua casa. Più di sei mesi in cui gli amici avevano fatto di tutto per distrarlo in qualche modo, senza mai riuscirci. Più di sei mesi in cui non aveva fatto altro che chiedersi perché. Conosceva Johanna, sapeva riconoscere a menadito ogni smorfia, ogni sguardo, ogni più impercettibile movimento. Sapeva come farla arrabbiare e sapeva come farla ridere. Perché quel comportamento era così indecifrabile anche per lui? Che cosa voleva nascondere? Era preoccupato, non aveva avuto più notizie di lei. Sapeva che Hélène era rimasta in contatto con Kate e che riceveva saltuariamente da lei degli aggiornamenti sul suo stato di salute, ma non aveva mai osato chiedere nulla, né gli amici avevano pensato di coinvolgerlo. Forse volevano proteggerlo. Anche loro. Ma proteggerlo da cosa? Quali situazioni stava, forse, affrontando Johanna? Quella notte di fine autunno gli riusciva difficile prendere sonno. Non che le altre notti riuscisse a dormire facilmente, è chiaro. Ma quella notte, con l’inverno ormai alle porte, qualcosa, tra il vento freddo che soffiava tra i rami secchi degli alberi e il pensiero di tutti gli errori commessi nella sua vita, lo rendeva più inquieto del solito. Una folata d’aria gelida gli provocò un intenso brivido lungo la schiena. Accostò la finestra socchiusa e si sdraiò sul letto, portandosi dietro il computer e iniziando istintivamente una ricerca su internet circa il genere di neoplasia che aveva colpito Johanna. Voleva capire esattamente cosa, forse, stava affrontando Johanna, portando avanti quella gravidanza e rinviando l’operazione. Quello che avrebbe potuto nascondergli. Invalidità, paralisi, cecità, afasia, epilessia… La lista delle conseguenze era praticamente infinita. E aggravate dallo stato di gravidanza. Motivo per il quale Johanna aveva scelto di non farne accenno, ne era certo. Sapeva che, ovviamente, tutti avrebbero provato a convincerla a dare una possibilità a se stessa, piuttosto che al bambino. Lui compreso. Però, sapeva anche che desiderava diventare madre al di sopra di ogni altra cosa, ne avevano parlato tante volte, durante la loro convivenza a Love Island. Si erano appena ritrovati dopo dieci anni, ma avevano riportato subito la relazione a dei livelli più che seri. Perché si amavano, se lo erano ripetuti fino allo sfinimento. E il sogno di Johanna era quello di coronare il loro amore con l’arrivo di un figlio, anche se sapeva di non avere speranze. Per un breve periodo, prima della sua partenza, avevano anche parlato della possibilità di adottare un bambino. E adesso, all’improvviso, questo miracolo. Non poteva esserci momento più sbagliato. Non poteva avvenire solo qualche mese dopo, non appena Johanna si fosse completamente ristabilita? Avrebbero brindato e festeggiato, insieme a tutti i loro amici. Quel bambino avrebbe riempito la loro casa di vita. E di altro amore. Un amore differente, ma tanto grande. Immenso. Accidenti! Ma cosa stava pensando? Che senso aveva fantasticare su quanto sarebbe stato bello poter crescere un figlio insieme? Johanna gli aveva detto a chiare parole che la nascita di quel bambino non lo riguardava. Eppure qualcosa, dentro di lui, lo spingeva ancora a credere che Johanna non fosse stata sincera. E… se lei gli avesse mentito? Se quel figlio fosse suo? E se, in quel momento, presa dallo sconforto, avesse tentato irragionevolmente di proteggerlo nuovamente? O di proteggere quella gravidanza che sarebbe stata contrastata da tutti, viste le possibili conseguenze? Oppure no, quel figlio era davvero di un altro. Oddio, non sapeva più cosa pensare! Chi era Johanna? Quella delle foto? Quella che gli aveva giurato amore eterno? Oppure quella che l’aveva messo alla porta con una freddezza da mettere paura? Più passavano le ore e più si sentiva confuso e la confusione lo spaventava. Lo aveva sempre spaventato. Ogni volta che le sue certezze crollavano, entrava in crisi con se stesso. Il problema era che difficilmente affrontava le crisi con determinazione, preferendo sempre nascondersi dai propri sentimenti, mascherandoli dietro un’apparenza di finta normalità che, nel tempo, lo aveva portato sempre più in basso. Perché era stato bravo a costruire il suo mondo, fatto di musica e fotografie, ma non era stato altrettanto bravo a ritrovare se stesso e a combattere per quello in cui credeva. Già un tempo aveva creduto che Johanna lo avesse lasciato perché non ricambiava il suo amore. E si era sbagliato. E adesso? Esisteva davvero… un altro?

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Capitolo 30
*** La verità ***


Johanna era notevolmente peggiorata nell’arco del tempo e ancora di più nelle ultime settimane. Aveva necessità di una costante presenza accanto a lei, non era più autosufficiente sotto nessun punto di vista. La gravidanza, fino a quel momento, era proceduta relativamente bene, ma il meningioma aveva colpito il suo fisico senza pietà e adesso cominciava a creare problemi anche al bambino che doveva nascere. Lei continuava a rifiutare qualsiasi genere di medicina, pur di salvaguardare la salute di suo figlio. I problemi alla vista, la perdita delle forze e l’insensibilità agli arti, peggiorata nel corso del tempo, l’avevano portata ad allettarsi definitivamente già da qualche giorno. I pasti, già difficoltosi da tempo, erano ridotti al minimo ed erano quasi esclusivamente liquidi, e, per questo, il bambino cominciava a risultare lievemente sottopeso, nonostante gli integratori assunti. I medici le consigliarono di anticipare il parto, ma lei insisteva per portare avanti il più possibile quella gravidanza, se questo voleva dire dare al bambino anche solo una speranza in più. Dormiva molto, le mancavano quasi totalmente le energie. Faceva fatica persino a parlare. A un certo punto, fu costretta a ricoverarsi in ospedale ed era lì solo da un paio di giorni quando, all’improvviso, comparve un nuovo sintomo: una strana alterazione del linguaggio, che le permetteva, almeno momentaneamente, di comprendere, ma non di esprimere un pensiero. Afasia si Broca, la chiamò il dott. Miller. Non era rara, in caso di lesioni celebrali. Presto avrebbe perso anche la capacità di comprendere. Andava operata. Subito. Prima che la sua situazione degenerasse, aveva lasciato la sua procura sanitaria all’amica Kate, ma, fintanto che aveva continuato ad esprimersi, in qualche maniera, aveva sempre negato il consenso all’intervento. Ogni volta che veniva affrontato questo discorso, entrava in un’agitazione tale da far sballare tutti i valori, rischiando perennemente un collasso e, per questo, il dottore, per quanto estremamente preoccupato, non aveva mai insistito più di tanto: affrontare un intervento così delicato in quelle condizioni di stress non era meno pericoloso che assecondare quell’assurda scelta di perseverare nell’attesa. Dovevano trovare il modo di convincerla, era l’unica soluzione. Arrivati a quel punto, più tempo si aspettava e più rischioso sarebbe diventato l’intervento. Senza considerare che il bambino cominciava a risentire della malattia della madre e, questo, lei sembrava non comprenderlo appieno. Fu in quel preciso istante che, nel corridoio dell’ospedale, si materializzò dal nulla una figura inaspettata: Christian. Kate lo riconobbe immediatamente e lo avvicinò con stupore.
Christian! O mio Dio! Questa sì che è una sorpresa!” esclamò, correndogli incontro. “Che… che ci fai qui?” domandò subito dopo, incerta.
Vuoi la verità, Kate? Non lo so nemmeno io” le rispose, facendo spallucce. “È che… l’altra notte mi sono a pensare. E… non lo so… mi sono ritrovato su un aereo senza sapere neanche bene come e perché. Sono passato a casa e una vicina mi ha detto che è stata ricoverata qualche giorno fa” disse, riferendosi a Johanna “Come sta?
Male, Christian. Le cose non vanno affatto bene. Hélène non sa tutto nel dettaglio” rivelò Kate.
Ad esser sinceri… io non ho parlato con Hélène” le confidò Christian. “In questi mesi, Johanna è stata un argomento tabù per tutti i nostri amici e… quando a me… non c’è stato giorno in cui non abbia pensato a lei, ma chiedere notizie… mi spaventava. Ma l’altra notte… c’è stato qualcosa… non so, una sensazione… dovevo venire qui. Non so neanch’io perché, ma non è la prima volta che mi succede. E, di solito, non mi sbaglio. È difficile da spiegare, Kate” tentò di giustificarsi, non nascondendo il proprio nervosismo. “Ma adesso sii sincera con me: che cosa le sta succedendo?”.
Kate fece un lungo sospiro; era giusto che Christian conoscesse la verità. Si rese conto che, parlando, avrebbe tradito la promessa fatta all’amica, ma pensò che la scelta migliore fosse senz’altro quella. Era vero, Johanna aveva ragione, i sentimenti di Christian erano così profondi che, se fosse successo qualcosa di brutto, ne sarebbe uscito sconvolto, ma lei non poteva negargli il diritto di stare vicino alla persona che amava e che, come mai prima di quel momento, aveva bisogno di lui. E lui aveva l’assoluto dovere di offrire la sua assistenza.
Accompagnami, così ti dico tutto” gli disse, conducendolo verso il bar dell’ospedale, dove ordinarono qualcosa da bere. Ed era lì, intenta a giocare con il cappuccio di plastica del bicchiere, quando riprese a parlare.
Ormai vivo praticamente a casa di Johanna. Non è più autosufficiente da mesi e il tumore le sta devastando il fisico, Christian”.
E il bambino?” chiese lui, istintivamente, quasi con lo stesso coinvolgimento di Johanna.
Il bambino… è una bambina” gli rivelò Kate. “E, fino ad ora, è stata abbastanza bene, ma adesso sta iniziando ad avere problemi anche lei. Johanna non è più in grado di alimentarsi come si deve. Anzi, diciamo che non è più in grado di alimentarsi affatto. E i suoi problemi fisici sono tanti. Quindi la piccola comincia a non crescere più regolarmente. Ma questo, per adesso, non è una grande preoccupazione. Il problema vero è di Johanna” continuò, mentre Christian si perse con lo sguardo fuori dalla finestra, immaginando quali atroci sofferenze stava coraggiosamente affrontando la propria donna. “Johanna non cammina più, ha problemi alla vista, alle braccia, alle gambe. E, in più, da qualche giorno è diventata afasica: faceva già fatica a parlare, ma adesso non è più in grado di farlo. Non riesce ad articolare le parole e, secondo il dottore, da un momento all’altro perderà anche la facoltà di comprendere quello che le viene detto”. Kate avvicinò la sua sedia a quella di Christian: “secondo il medico, dovrebbe far nascere subito la bambina e dovrebbe operarsi immediatamente. Ogni giorno che passa potrebbe essere peggio, il tumore si ingrandirebbe di più, l’operazione sarebbe più rischiosa e ci sarebbero meno probabilità che i sintomi che si sono presentati possano regredire dopo l’intervento. Ma, ogni volta che si tocca quest’argomento, lei impazzisce. Letteralmente. È terrorizzata che possa succedere qualcosa alla figlia”.
In effetti, sarebbe prematura” puntualizzò Christian.
Sì, è vero. Ma i medici dicono che potrebbe nascere ora e probabilmente starebbe benissimo. Non sarebbe il primo bimbo nato prematuro. È una settimina e i settimini, oggi, non riportano più grandi problemi. Ascolta, Christian” continuò Kate, prendendogli la mano. “Non so se è il cielo che ti manda. Perché io credo di aver fatto tutto quanto era nelle mie possibilità. Ma qualcuno, adesso, deve darle la forza necessaria ad affrontare quest’ultimo momento” dichiarò, riferendosi chiaramente a lui.
Io? Ma se io non dovrei neanche essere qui!” esclamò Christian. “Se mi vedesse, probabilmente le verrebbe una crisi isterica” ironizzò. “E, poi, scusa… il… il padre di quella bambina?” chiese.
Christian…” riprese, scuotendo la testa, quasi volesse rimproverarlo. Credeva davvero che Johanna avesse potuto fare un figlio con un altro uomo? “Aspetta un attimo, scusa” disse, poi, aprendo la borsa ed estraendone una lettera che porse immediatamente all’amico. “Non so cosa c’è scritto. Johanna me l’ha data qualche tempo fa e io avevo l’ordine di consegnartela se le fosse successo qualcosa. Credo, però, che sia giusto che tu la legga adesso. Penso che ci sia un motivo se tu sei arrivato qui proprio in questo momento”.
Christian rimase letteralmente basito. Prese il plico dalle mani di Kate e osservò con un misto di curiosità, paura e speranza quella busta candida, sulla quale era riportato, a chiare lettere, dalla scrittura di Johanna, il suo nome. Ne strappò un lembo ed estrasse la lettera con mano tremante. Per un attimo, gli tornò in mente la lettera che gli scrisse da ragazza, dopo il suo tradimento con John. Era piena di disperazione, quella lettera. Ma grazie a quella lettera capì tante cose e si convinse definitivamente a tornare da lei. Oggi come allora, quelle parole gli smossero qualcosa nel profondo. Come venti anni prima, Johanna ammetteva, con angoscia, una sorta di tradimento: con una bugia, lo aveva allontanato da lei, ma soprattutto da suo figlio. Chiedeva perdono e chiedeva che si occupasse della sua bambina. Della loro bambina. Spiegava le sue ragioni, ragioni che Christian comprendeva benissimo, adesso. Anche se c’era voluto del tempo affinché potesse interpretare il pensiero di Johanna. Troppo tempo. Forse Johanna aveva sbagliato a comportarsi così, ripetendo lo stesso errore di un tempo, allontanandolo, come lo allontanò scappando dalla loro casa sull’isola, ma anche lui era recidivo e aveva ripetuto gli stessi passi falsi, non correndole subito dietro, dubitando dei suoi sentimenti. Come poteva rimediare? Doveva vederla. Subito.
Cosa dice quella lettera?” chiese Kate, curiosa.
La verità, Kate. La verità” rispose Christian, con un filo di voce, alzando gli occhi e incontrando lo sguardo dell’amica. C’era una luce nuova, in quegli occhi. Quei grandi occhi scuri, incupiti dal tempo e dalle sofferenze, ora brillavano di speranza, nonostante tutto. “Devo… andare da lei” balbettò.
D’accordo, andiamo. Però… Christian! Dovrai essere forte: quello che vedrai non ti piacerà” lo avvertì. “Ma Johanna ha dimostrato una forza incredibile fino ad oggi, tu cerca di non essere da meno: adesso è tuo dovere aiutarla a vincere quest’ultima battaglia. Glielo devi. E lo devi a quella bambina” si raccomandò.
Christian annuì: per nulla al mondo avrebbe di nuovo voltato le spalle alla sua famiglia. Perché oggi non si trattava più solamente del grande amore della sua vita, ma della sua famiglia.

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Capitolo 31
*** "Andrà tutto bene" ***


Dopo aver parlato con Kate, parlò anche con i medici, i quali confermarono parola per parola quanto riferito dall’amica. Se la bambina fosse nata in quel momento, aveva buone probabilità di sopravvivenza, mentre se avessero aspettato, considerate le condizioni di Johanna, sia lei che la madre sarebbero andati incontro ad un peggioramento del loro stato di salute.
Si opererà” disse determinato “ve lo garantisco”. Poi, raggiunse immediatamente la sua stanza.
Lo spettacolo che gli si presentò davanti era peggiore di quello che si aspettava: Johanna stava dormendo, ma era molto pallida, dimagrita. Il suo viso era solcato dal dolore. Nel braccio, gli aghi delle flebo; nel naso, il sondino che, da qualche giorno, l’aiutava ad alimentarsi… Christian sentì una fitta al cuore: non sopportava di vederla ridotta in quello stato. Quell’immagine gli provocò una sofferenza inaccettabile. Ma Johanna era stata forte per tutti e due, lui non poteva arrendersi adesso. Sentì le gambe cedergli sotto il peso del dolore provocatogli dal vedere la donna che amava torturata da quel male subdolo, che la stava divorando a poco a poco. Si sedette di fianco al letto e, con riluttanza, tremando, allungò la mano fino a carezzare il suo pancione, evidente nonostante la sua perdita di peso. Un sussulto al di sotto della pelle tirata fece sobbalzare anche lui: la sua bambina si era mossa. Aveva letto che il feto riesce a sentire le carezze del papà, chissà se la sua bambina aveva avvertito la sua presenza… Sentirla muoversi per la prima volta gli provocò una sensazione indescrivibile, che lo commosse fino alle lacrime. Pensò che, sicuramente, Johanna aveva provato la stessa emozione, e che lui non era lì, a dividerla con lei. Ma adesso capì anche quale forza l’avesse spinta a combattere così ardentemente per proteggere quella piccola creatura innocente. Non aveva fatto in tempo ad avvicinarsi che quel piccolo miracolo aveva fatto sentire subito la sua presenza, conquistandolo all’istante. Sua figlia. La loro bambina. La piccola continuava a muoversi e anche Johanna avvertì i suoi calci, tanto da svegliarsi di soprassalto e trovarsi di fronte l’ultima persona al mondo che immaginava potesse trovarsi nella stanza: Christian, il suo Christian, che la guardava preoccupato, mentre, con una mano, continuava a carezzare il suo ventre.
Ciao! Ti sei svegliata!” esclamò, sorridendole con dolcezza, mentre lei spalancò gli occhi per la sorpresa: la sua agitazione era evidente, come era evidente che avrebbe voluto dirgli qualcosa, ma che la malattia glielo impediva. “No, non ti sforzare. Sei debole. E so che non puoi parlare. Quindi, per una volta, parlerò io e tu mi starai a sentire” disse, mentre si rialzava nervosamente. “Io ho sbagliato. Di nuovo. Ho sbagliato ad essere tornato in Francia. Ho sbagliato a non esserti rimasto accanto. Non avevo compreso. Ma adesso sono qui e voglio che tu sappia che non ti lascerò più per niente al mondo” continuò, tornando a sedersi. “Abbi fiducia in me. Ok, te l’ho detto tante volte e avrei qualche dubbio anche io... Ma sono certo di quello che dico: andrà tutto bene” cercò di tranquillizzarla, prendendo la sua mano nella propria e portandola a contatto con il suo pancione, provocando un altro movimento della bimba. “Vedi? È d’accordo anche lei” scherzò, facendola sorridere. Ma fu solo un attimo. Johanna continuava ad agitarsi. “Andrà tutto bene” tornò a ripeterle, cercando di convincerla. “Ma devi operarti subito” continuò, tornando serio e avvicinando il suo viso a quello di lei. Johanna si agitò immediatamente e abbassò lo sguardo verso il suo grembo. “Lei starà bene” la rassicurò. “Lo so che sei preoccupata, ma lei starà bene” ripeté. “Non pensare che io stia cercando di convincerti a rinunciare alla bambina perché non è così. Sono pazzo di lei!” esclamò, con le lacrime agli occhi. “Sono mesi che ci penso e adesso che so la verità la amo ancora di più. E ho tutta l’intenzione di proteggerla. Insieme a te. Perché questa bambina vivrà e avrà accanto due genitori che l’adorano. Ascoltami: sono sincero e parlo con sicurezza. Lei starà bene. Lo so che tutti i medici consigliano di arrivare ad una certa settimana – la trentaquattresima, mi sono informato” puntualizzò, voltandosi verso di lei “ma, in questo momento, è più rischioso aspettare che farla venire al mondo. E comunque i dottori hanno detto che, nonostante tutto, i bambini di questa età superano bene un parto prematuro. Magari dovrà stare in ospedale per un po’, restare in incubatrice qualche giorno, ma starà bene, Johanna. Se, invece, continuiamo ad aspettare, rischierete la vita, sia te… che lei” le comunicò, dopo un attimo di esitazione. “Sta cominciando a soffrire e non le fa bene”.
Christian…” lo interruppe Kate, che aveva assistito alla scena. Johanna si agitava in maniera indescrivibile ogni volta che sentiva nominare le parole “sofferenza fetale”. Le sue reazioni erano sempre esagerate.
Christian capì, ma impedì immediatamente all’amica di finire la frase: “No, Kate, è giusto che la verità venga a galla, una volta per tutte” riprese. “Devi operarti, Johanna, subito” tornò a ripetere, con estrema determinazione, voltando nuovamente lo sguardo verso di lei “Altrimenti rischi di vanificare tutti i sacrifici fatti fino a questo momento. Dammi retta: fatti operare. Adesso. Io starò qui, con te. E ti prometto che andrà tutto bene” affermò, di nuovo, con convinzione, stringendole la mano con una forza inconsueta, affinché, attraverso quel contatto, potesse trasmetterle tutto il coraggio necessario. Johanna non aveva energia, ma ricambiò lo stesso la stretta di Christian, lasciandogli intendere, con un cenno del viso, che si affidava a quella promessa, che finalmente era pronta a farsi operare, perché la presenza del suo Christian le aveva infuso una nuova forza, che credeva di non avere più.

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Capitolo 32
*** Una famiglia ***


Da quando aveva visto Christian, Johanna si era molto emozionata, ma sentiva di aver acquisito anche una nuova vitalità. Le sue energie erano sempre più che scarse, ma dentro si sentiva rinata. Era in pena per le sorti della sua bambina, ovviamente, ma era come se l’arrivo di Christian avesse offerto nuove e inaspettate possibilità. Era sciocco: il fatto che Christian fosse lì non aveva donato alla bimba qualche speranza in più, ma, per lo meno, adesso sapeva che non sarebbe stata mai sola, soprattutto se fosse successo qualcosa a lei. Aveva fatto male a non coinvolgerlo prima: aveva bisogno di Christian, più dell’aria che respirava. E ne aveva bisogno la sua bambina. Christian si era scusato con lei, ma era stata lei la prima ad aver sbagliato. Di nuovo. E, comunque, il suo amore si era dimostrato molto più forte di quanto potesse aspettarsi. Era tornato indietro, nonostante tutto. L’aveva cercata ed aveva provato che la sua determinazione andava ben oltre le parole. Sentire la sua mano accarezzare il suo ventre, mentre la bambina si muoveva al suo interno, le aveva provocato una sensazione più intensa di quella provata quando aveva sentito battere il cuore di sua figlia. In quell’istante, erano diventati una famiglia. In quell’istante, non esisteva nient’altro al mondo, all’infuori di loro tre, solo loro tre. Ma, affinché potessero continuare ad esserlo, anche lei avrebbe dovuto combattere con tutte le sue forze, anche quelle che non aveva più. All’improvviso sentì un desiderio salire dal profondo: voleva vivere. Voleva abbracciare la sua bambina e perdersi tra le braccia di Christian, che le avrebbe tenute strette entrambe. No, non si sarebbe arresa, avrebbe combattuto quest’ultima battaglia. E avrebbe vinto.
Il dottore programmò l’intervento nel minor tempo possibile e lo stesso fu fissato per un paio di giorni dopo. Prendeva già dosi massicce di cortisone, che servivano sia a mantenerla più in forze possibile, sia allo sviluppo polmonare della sua bambina. Ormai era pronta. Christian non lasciò quella stanza di ospedale neanche per andare a mangiare. Era esausto per il lungo viaggio, perché mangiava poco e perché erano due giorni che dormiva su una sedia. Ma aveva giurato che non se ne sarebbe andato mai più e aveva tutta l’intenzione di tenere fede al suo giuramento. Si era completamente dimenticato anche di essere nuovamente sparito da Parigi senza avvisare nessuno, ma, per fortuna, c’era Kate a sopperire a queste mancanze: con una lunga telefonata, spiegò la situazione ad Hélène, che le promise che avrebbe fatto di tutto per tornare il prima possibile, per stare vicino ai propri amici e per aiutare, per quanto possibile. Johanna non aveva avuto modo di dirgli nulla: aveva compreso il suo problema di linguaggio e sapeva che sarebbe stato inutile parlare. E, comunque, restava molto faticoso. Continuava, invece, a dormire molto, ma, quando aveva l’occasione di restare sveglia, veniva quasi stordita dalle chiacchiere di Christian, deciso a compensare la sua impossibilità di conversare. Cercava di darle coraggio, prospettandole un futuro roseo, molto simile a quello che lei aveva sempre sognato: loro tre, uniti, per sempre. Parlava molto, moltissimo. Anche alla bambina. E aveva la netta sensazione che lei lo ascoltasse, perché ogni volta che lui si avvicinava, non esitava a tirare calci e pugni. Forse voleva rispondere al suo papà. O forse gli stava solamente dicendo, quando si impegnava, sapeva essere più confusionario della mamma. Quel pensiero così semplice ed improvviso, fece sorridere Johanna ed il suo sorriso non sfuggì all’attento Christian, il quale sembrò rincuorato da quel gesto così naturale, eppure ormai così lontano dalla loro quotidianità. Erano mesi, ormai, che i loro pensieri erano talmente cupi da non permettere più di sorridere con spontaneità. Ma i momenti oscuri sarebbero finiti presto, ne era sicuro.
Era ormai giunto il momento della doppia operazione: avrebbero fatto nascere la bambina con un taglio cesareo e subito dopo si sarebbero occupati del tumore, intervento decisamente più complicato e delicato. Quando stava per lasciare la stanza, Christian le strinse nuovamente la mano e per l’ennesima volta, guardandola negli occhi, le ripeté che sarebbe andato tutto bene e che lui sarebbe rimasto lì, ad attendere che tutte e due le sue donne fossero uscite vittoriose da quella sala operatoria. “Le sue donne”… Sembrava orgoglioso mentre pronunciava quelle parole; immaginarsi nel ruolo di papà lo esaltava e regalava a lei una felicità immensa. Sì, avrebbero combattuto tutte e due e avrebbero vinto la loro personalissima battaglia.
La lettiga si mosse definitivamente dalla stanza e a lui non rimase altro che sedersi su una scomoda sedia di metallo di una grigia sala d’attesa, mentre vedeva scomparire la sua ragione di vita dietro le porte che separavano la zona interdetta ai visitatori. A quel punto, non poteva far altro che aspettare, mentre aveva inizio la giornata più lunga di tutta la sua vita.

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Capitolo 33
*** Il giorno più lungo ***


I minuti passavano inesorabili e lui li vedeva scorrere lenti, osservando le lancette di un orologio appeso alla parete. Erano lente, lentissime, quelle lancette. Gli avevano spiegato che l’intervento era molto complesso e delicato e che avrebbe passato in sala operatoria l’intera giornata, ma quella giornata sembrava non passare mai. Il rintocco dell’orologio scandiva ogni secondo, trascorso nell’attesa di vedere aprirsi quella porta dietro la quale avevano portato la sua Johanna, trascorso nell’attesa di vederla tornare indietro sana e salva, di vedere qualcuno uscire a comunicargli che, da quel momento, avrebbe avuto una bella famiglia al suo fianco, una famiglia felice. Non riusciva a stare seduto; le sedie erano scomode, dure. E poi, comunque, era troppo nervoso. Continuava a passeggiare impaziente in quella minuscola sala d’attesa, neanche fosse un animale in gabbia in cerca della via di fuga. A metà mattina, probabilmente, aveva già fatto chilometri, su e giù per quella piccola porzione di edificio. A volte si fermava a fissare il traffico della metropoli che scorreva fuori da quell’ospedale: macchine, camion e autobus transitavano per quelle immense strade, senza fermarsi un attimo. Parigi era grande, ma Houston era una vera metropoli. Era difficile distrarsi, preoccupato com’era per quello che sarebbe potuto succedere. Kate cercava di stargli vicino come meglio poteva, ma lui preferiva comunque ascoltare il rumore dei suoi pensieri, in silenzio. Pensava a come sarebbe stata la sua vita insieme a Johanna: turbolenta, chiassosa, felice. Pensava a come sarebbe stata la sua bambina. Sicuramente, sarebbe stata molto simile a Johanna: forte, decisa… meravigliosa. Sarebbe cresciuta nutrendosi dell’essenza della vita, come la madre. Avrebbe combattuto per quello in cui credeva e non si sarebbe risparmiata, mai. E lui avrebbe fatto di tutto per accompagnarla in questa vita, come meglio poteva. Certo, non era mai stato il massimo della sicurezza, non era mai stato bravo ad offrire certezze. Ma, in quel momento, sentiva che avrebbe potuto fare di tutto per lei e per la sua mamma, una donna che, con la sua sola presenza, era in grado di infondergli una linfa vitale che gli avrebbe permesso di sollevare il mondo, se solo ce ne fosse stato bisogno. Sangue. Due persone di passaggio, forse due medici, appena usciti da dietro quella porta, parlavano uno stretto inglese, che lui non capiva. Ma avevano pronunciato distintamente la parola “sangue”. Guardò Kate, affinché l’aiutasse a interpretare quelle poche sfuggenti parole.
Non lo so, Christian” disse, rispondendo al suo sguardo interrogativo. “Ho capito solo che parlavano di un abbondante sanguinamento” precisò.
Abbondante sanguinamento”. Che cosa voleva dire “abbondante sanguinamento”? Perché non gli facevano sapere niente? Christian faceva fatica a controllare il suo stato d’animo. Aveva giurato di essere forte e si stava impegnando più che poteva, ma non era mai stato capace di tirare fuori tutta quella energia. No, dannazione, no! Aveva promesso a Johanna che non sarebbe crollato. Ma le lancette di quel maledetto orologio sembravano ferme e il tempo sembrava non passare più. Cosa stava succedendo in quella sala operatoria? Non si era allontanato mai, neanche per andare a mangiare. Kate gli aveva portato un panino, ma lui non era riuscito a mangiarne che un paio di morsi. Aveva lo stomaco talmente contratto che non avrebbe potuto ingoiarne di più. E quelle porte continuavano a restare dannatamente chiuse. Di tanto in tanto, aveva visto qualcuno passare, ma nessuno si era fermato a dargli notizie. L’operazione era complessa, sì, lo sapeva, ma un’anima pia avrebbe anche potuto uscire a dirgli se tutto stava procedendo secondo gli schemi naturali dell’intervento. Se Johanna stava bene. Se la sua bambina stava bene. Perché lei sarebbe dovuta uscire prima dalla sala operatoria. Perché nessuno gli diceva se almeno lei era fuori pericolo? Continuava a pensare alle parole di quei due sconosciuti: abbondante sanguinamento. Cos’è un abbondante sanguinamento? Un’emorragia? Chi l’aveva avuta? E cosa era successo dopo?
Christian! Calmati o impazzirai” gli disse Kate, posandogli una mano sulla spalla e fermando il suo cammino senza sosta.
Christian crollò, improvvisamente, su una sedia, totalmente privo di energie.
Lo so, Kate, ma questa attesa mi sta uccidendo” le rispose, passandosi una mano tra i capelli e scompigliandoseli leggermente. “Voglio dire… Sapevo che sarebbe stato molto lungo, ma aspettare è un’altra cosa. Ed è tremendo” le confidò con le lacrime agli occhi.
Kate lo abbracciò, incoraggiandolo; poi, una voce catturò l’attenzione di entrambi.
Christian! Kate!” Hélène era comparsa all’improvviso sulla porta. “Sono arrivata il prima possibile. Come stanno andando le cose?
Oh, Hélène! Come sono felice di vederti!” esclamò Christian, correndole incontro per abbracciarla. “Quando sei arrivata?
Adesso” rispose Hélène con naturalezza. “Vengo direttamente dall’aeroporto” continuò, abbassando lo sguardo verso la propria valigia. “Non potevo non esserci. Ma ditemi di Johanna”.
Non sappiamo niente. Quella maledetta porta sembra essersela inghiottita!” sclamò Christian, pieno di agitazione, tirando fuori tutta la sua angoscia. “Non sappiamo niente! Non sappiamo niente!” ripeté. “E sono già passate ore…”.
Calmati, Christian! agitarti così non serve a niente” cercò di rasserenarlo l’amica. Ma Christian non aveva per niente intenzione di calmarsi. Non ci riusciva.
Mr. Roquier?” disse una voce alle sue spalle, pietrificandolo all’istante. Forse stavano per dargli informazioni. In una frazione di secondo, la paura si impadronì di lui. In una frazione di secondo, quella che bastava a voltarsi verso la persona che lo aveva appena chiamato, riuscì a pregare in tutte le lingue, anche quelle che non conosceva, affinché le notizie che stavano per comunicargli fossero le migliori possibili.
Sì… Sono io” rispose tremante.

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Capitolo 34
*** "Le presento una persona" ***


Venga, mi segua”.
Il medico pronunciò quelle parole in inglese, ma, questa volta, Christian riuscì a capire.
Che succede?” disse, seguendolo timoroso. “Come stanno? Johanna… Come sta Johanna? E la bambina? Ditemi qualcosa, per l’amor del cielo!”.
Cerchi di calmarsi, Mr. Roqueir. La signora è ancora in camera operatoria, l’intervento si presentava complesso e delicato e non è ancora terminato. Ci sono state complicazioni, una perdita di sangue non prevista, che però, per adesso, è stata arrestata” rispose il medico sconosciuto, mentre Kate aiutava Christian ed Hélène a capire.
Per ora, tutto sta procedendo per il meglio, cerchi di non agitarsi” continuò il dottore “Certo, la posizione in cui si trovava il tumore ed il suo abbondante sviluppo lo rendono particolarmente difficile da asportare senza rischiare di dover recidere qualche nervo importante, cosa che il chirurgo sta cercando di evitare con tutte le proprie forze. Ma questo lo sapevate già, sia lei che la signora”.
Lo sapevano, sì. Ed erano spaventati a morte. La grande forza impiegata da Johanna per far in modo che la loro bambina potesse avere delle possibilità le aveva creato non pochi rischi: non solo quello che i sintomi insorti potessero non regredire, diventando cronici, ma anche quello che, durante l’intervento, per asportare il tumore aggrovigliato tra i nervi, i medici avrebbero potuto trovarsi nell’impossibilità di evitare di renderla invalida. Non nascosero, infatti, che, forse, sarebbero stati costretti a recidere qualche nervo relativo alla vista, all’udito o alla lingua… La situazione era complessa. Decisamente complessa.
Ma, nel frattempo…” riprese il medico, mentre continuava a camminare, seguito da Christian, da Hélène e da Kate “…penso che le possa far piacere conoscere una persona” affermò con sicurezza, indicando una minuscola creatura dentro un’incubatrice.
Erano giunti al reparto di terapia intensiva neonatale.
Christian si voltò lentamente e smise di respirare per un lungo istante.
Mia… mia figlia?” chiese, mentre le lacrime cominciarono ad uscire prima che lui potesse accorgersene. Lacrime di gioia, questa volta. Fino a due giorni prima era un uomo solo, in attesa del nulla, oggi era diventato papà. E non gli sembrava vero. Improvvisamente, vide spalancarsi davanti a sé le porte di un meraviglioso futuro. Perché doveva esserci un futuro. Per tutti e tre. Insieme.
E… come sta?” domandò preoccupato.
La osservò per un lungo attimo, in attesa della risposta del medico: la sua bambina era piccola, lunga neanche come due palmi di mano. E vederla sotto quel vetro, piena di fili e tubi che monitoravano e aiutavano le sue funzioni vitali, gli fece stringere il cuore. Ma sapeva che avrebbe combattuto con tutte le sue forze. Sentiva che ce l’avrebbe fatta.
Considerate tutte le circostanze, sta abbastanza bene” gli confermò il medico. “Ma vi presento la dott.ssa Sullivan, lei vi spiegherà tutto”.
Piacere di conoscervi” disse la dottoressa, stringendo la mano di tutti e tre.
Parlava in francese, evidentemente aveva immaginato che Christian potesse avere qualche problema di comprensione. Era gentile, molto. Probabilmente, il suo modo affabile serviva anche tranquillizzare i genitori in ansia. Come lui. Oddio, era un genitore! Faceva ancora fatica ad identificarsi come tale. Vent’anni prima era scappato dall’eventualità di poter aver un figlio, oggi si era abituato all’idea in due soli giorni. Ma che diceva? Sentiva di essersi innamorato di sua figlia nell’attimo esatto in cui l’aveva sentita muoversi all’interno del ventre di Johanna. Gli occhi gli bruciavano, ma, anche se era molto stanco, il suo non era sonno: erano quelle lacrime che tornavano a salire prepotentemente, facendolo sembrare debole e pauroso. Ma erano lacrime di gioia. Non amava esternare i propri sentimenti, neanche quelli positivi. Lo faceva solo davanti a Johanna e, solo raramente, davanti ai suoi amici. Ed ora questa dottoressa sconosciuta, che lo aveva fatto avvicinare all’incubatrice, facendogli inserire le mani in due fessure che gli avrebbero permesso di accarezzare per la prima volta la sua creatura, lo stava vedendo piangere come se fosse un bambino. Quello scricciolo di neanche 35 centimetri per un chilo e duecento grammi di peso lo stava facendo vacillare per l’emozione. Era… impressionante… Era minuscola. Perfino il pannolino che le avevano messo sembrava inghiottirsi metà del suo corpo. Però era anche… perfetta nelle sue fattezze. Aveva dita lunghe e sottili ed una pelle rosa acceso, morbida come il velluto. Aveva quasi paura a sfiorarla con quelle mani così grandi rispetto al suo corpo, ma, allo stesso tempo, anche se sapeva che per la sua piccola era utile restare sotto quel vetro, lo rattristava il fatto di non poterla prendere in braccio e stringerla a sé. La dottoressa assecondò questo primo contatto tra padre e figlia con un lungo momento di silenzio. Si vedeva che era abituata a trattare con genitori in ansia.
Sta bene” disse, poi, all’improvviso, con un sorriso che voleva essere rassicurante. “Considerato quello che ha passato… sta bene. La sua crescita si è rallentata un po’, ma solo nelle ultime settimane, quindi è sottopeso, ma non eccessivamente. I suoi organi sono formati, ma devono imparare a funzionare autonomamente. Ci vorrà un po’ di pazienza, ma tutto tornerà a posto”.
È vero, dottoressa? Non avrà problemi?” chiese Christian, ansioso.
No, non avrà problemi. E, per quanto sia molto simpatica, faremo di tutto perché non ci faccia troppa compagnia” scherzò la dottoressa.
Christian sorrise a quella battuta, si sentiva rasserenato dalle parole del medico. Finalmente una bella notizia in quella lunga giornata, che sembrava non finire più! La dottoressa si era allontanata ed anche Kate ed Hélène avevano fatto ritorno alla sala d’attesa di fronte la camera operatoria, lasciandolo lasciato solo, a godersi il primo attimo vissuto insieme alla sua bambina. Era giusto così, se lo meritava quel momento di felicità, dopo tanta sofferenza. Christian sfiorò la manina della piccola con il suo dito e restò incantato a guardarla per dei minuti interi. Era incapace di volgere lo sguardo altrove. Era impossibile essere più felice di così. O forse sì. Sarebbe stato più felice solo se avesse diviso con Johanna quel momento fantastico. Johanna. Per un attimo non ci aveva più pensato, sua figlia aveva catturato tutta la sua attenzione. Alzò lo sguardo verso l’orologio rotondo attaccato alla parete: segnava le nove in punto. Johanna era in sala operatoria da quasi dodici ore e lui, senza accorgersene, aveva trascorso con la piccola più di tre ore. Che fine avevano fatto Kate ed Hélène? E cosa era successo a Johanna? Non sapeva se restare lì, in contemplazione di quella meraviglia della natura, o andare ad informarsi su quello che poteva essere successo durante la sua assenza. Non doveva allontanarsi, gliel’aveva promesso. Ma forse Johanna lo avrebbe perdonato se aveva deciso di trascorrere del tempo con la loro bambina. Perché era quello che voleva, quello che gli aveva chiesto di fare. Ma la bambina, in quel momento, stava bene; ora doveva capire come stava la mamma.
Amore mio, tesoro… Non puoi neanche immaginarti quanto mi hai reso felice e quanto ti voglio bene. Resterei con te, a guardarti dormire, fino alla fine dei miei giorni” sussurrò con gli occhi dolci verso la bambina. “Ma anche la mamma ha bisogno di me. Non ti arrabbi se vado a vedere come sta, vero?” continuò, alzandosi dalla sedia sulla quale si era seduto. “Oddio, ma come faccio a lasciarti? Non ci riesco!” esclamò subito dopo, ritornando sui suoi passi. “Non pensavo si potesse provare tanto bene! Ti adoro! Sei la mia vita! Ma, dimmi un po’: devo andare a vedere anche come sta la mamma. Come faccio a dividermi, tesoro? Come faccio?” si domandò, incerto, fin quando una voce alle sue spalle lo chiamò. Era Hélène che chiedeva di seguirla; l’operazione su Johanna era giunta al termine.

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Capitolo 35
*** Cosa è successo a Johanna? ***


Si allontanò, riluttante, dall’incubatrice, salutando la sua bambina con un bacio lanciato da lontano. Non poteva fare di più, non poteva prenderla in braccio, stringerla e portarla con sé, a conoscere la sua mamma, quella mamma pronta a dare la vita, per donarla tutta a lei. Aveva paura, sinceramente. Aveva paura che le fosse successo qualcosa. La parte rischiosa dell’intervento l’aveva tenuta tutta per lei. Fino a quel momento, i medici erano stati molto abili, ma le incognite erano tante.
Cosa è successo?” chiese, avvicinandosi all’amica.
Non lo so” rispose Hélène, scuotendo il capo. “Ci aspettano di là”.
E, su quelle parole, ripresero la via in direzione della terapia intensiva. C’era il dott. Miller ad attenderli, insieme a Kate. Il medico aveva lo sguardo serio, circostanza che alimentò ancora di più l’angoscia provata. La distanza che li separava dal medico e dal responso che aspettavano era infinita. Ma il dottore spezzò immediatamente la tensione, sapeva che erano tutti estremamente preoccupati.
L’operazione è stata lunga e complicata, ma è andato tutto bene” affermò subito con un sorriso che riportò nuova forza nella mente e nel cuore di tutti i presenti.
Abbiamo dovuto faticare molto e c’è stata anche qualche complicazione, ma alla fine siamo riusciti a rimuove ed estirpare l’intera massa, e senza dover recidere nessun nervo. L’operazione è perfettamente riuscita” continuò, donando la gioia e la speranza. “Ora, dobbiamo solo aspettare, fare in modo che riprenda le forze e sperare che i sintomi comparsi possano regredire nel più breve tempo possibile. Ma non sarà una cosa semplice” disse, rivolgendosi prettamente a Christian. “Il cammino della riabilitazione è lungo e quello che mi preoccupa di più è il problema del linguaggio. La lesione di quell’area del cervello è molto particolare. Però, considerando che siamo intervenuti subito dopo l’insorgenza dei sintomi, prima che la situazione entrasse in una fase cronica e di consolidamento, nutro buone speranze che, con un po’ di buona volontà, anche la comunicazione possa tornare normale. Ma dobbiamo aspettare che si svegli e che tutte le funzioni tornino nella norma, prima di poter effettuare questa verifica”.
Possiamo considerarla fuori pericolo?” chiese Christian con un misto di terrore e speranza sul viso.
Non ancora. La fase acuta dell’intervento è stata superata, e direi anche piuttosto bene, ma ci sarà bisogno di qualche giorno prima che possa svegliarsi e che i suoi organi possano tornare a funzionare come si deve. Solo allora sarà ufficialmente fuori pericolo” rispose, serio, il dottore.
Doveva aspettare. Ancora. Non era ancora finita.
Posso vederla?” chiese, speranzoso. Se non altro, almeno quello: per Christian, l’idea di non potersi avvicinare a lei, nemmeno per un attimo, era inaccettabile.
È in terapia intensiva, non può vederla” gli rispose il medico. Poi, mosso a compassione dal suo sguardo triste e preoccupato, gli concesse qualche minuto al di là del vetro divisorio.
Il cuore prese a battergli così forte da fargli male, nel momento in cui gli si presentò davanti l’immagine di lei con una vistosa fasciatura in testa, un tubo in bocca per aiutarla a respirare, uno nel naso per aiutarla ad alimentarsi, i sensori del monitor cardiaco sul petto e chissà quanti altri tubi e tubicini nascosti alla sua vista.
Non ti arrendere, amore mio” le disse, sussurrando attraverso quel vetro che gli impediva qualsiasi tipo di contatto. Anche con lei. “Lo so che sei forte e ce la puoi fare. Supererai tutto. Supereremo tutto. Insieme. Sei stata tanto coraggiosa e sei riuscita a realizzare un miracolo. La nostra bambina… È viva, sai? E sta bene. Anche se è piccola e se, per ora, ha bisogno di tante cure. Ma la dottoressa ha detto che crescerà sana e forte e, per farlo, ha bisogno di te. Tutti e due abbiamo tanto bisogno di te. Quindi, fatti forza, amore! Non possiamo stare senza di te, ti aspettiamo”.
Era consapevole che non poteva sentire le sue parole. Non con le orecchie, almeno. Ma c’era qualcosa, in quel legame così particolare che li univa da anni, che andava ben oltre i cinque sensi. Sapeva che, in qualche modo, la sua Johanna, in quel momento, lo stava ascoltando.
Ti amo” le disse ancora, prima di essere invitato ad allontanarsi definitivamente. Non erano ammesse visite fuori orario e non poteva tornare prima della mattina successiva.
Vada a riposarsi” gli consigliò il medico “sono giorni che non dorme in un letto”.
Non voleva andarsene, non voleva allontanarsi, neanche per andare a riposarsi. Sì, aveva bisogno di distendersi, il suo corpo reclamava a gran voce qualche ora di sonno, ma come avrebbe potuto dormire tranquillo mentre la sua bambina restava sola, sotto un freddo vetro, e, soprattutto, mentre Johanna si trovava ancora in quello stato?
Christian…” si misero ad insistere anche le sue amiche.
Va’ a mangiare qualcosa e riposati qualche ora!” gli consigliò Kate, quasi ordinandoglielo. “Non puoi fare niente, in questo momento e, poi, come potresti renderti utile, se ti dovessi sentir male?” continuò.
Non poteva certamente darle torto.
Andiamo tutti” propose Hélène. “Domani saremo più lucidi e affronteremo meglio la situazione. Johanna e la bambina non sono sole e il fatto che tu vada a riposare non vuol dire che le stia abbandonando” disse, subito dopo, abbracciando Christian e guidandolo verso l’uscita. Sì, forse andare era la soluzione migliore; sua figlia era ufficialmente fuori pericolo e, quanto a Johanna, non poteva neanche avvicinarla. No, non le stava abbandonando, aveva solo bisogno, se non di dormire, cosa quasi impossibile, almeno di sdraiarsi qualche ora. E anche Kate aveva ragione: se si fosse sentito male, non avrebbe potuto di certo essere utile.
D’accordo, andiamo” rispose, ricambiando l’abbraccio di Hélène. “Torneremo domani”.
E su queste parole si allontanò, incerto, continuando a fissare la porta chiusa dietro la quale era nascosto il vetro che gli aveva permesso di vedere la sua Johanna per un attimo che gli era sembrato troppo breve.

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Capitolo 36
*** Zoé ***


Andarono tutti insieme a casa di Johanna. Christian era visibilmente stanco, ma gli risultava veramente difficile prendere sonno. Aveva deciso di provare a riposarsi sul divano letto, nonostante le amiche lo avessero invitato ad occupare la stanza di Johanna. Ma lui non aveva voluto, non accettava l’idea di stendersi sul suo letto, in sua assenza. E poi, comunque, non sarebbe riuscito a dormire facilmente, quindi sarebbe stato più comodo in salotto, dove avrebbe potuto trascorrere il tempo perdendosi nei suoi stessi pensieri. E ne aveva veramente tanti. Avrebbe ricordato quel giorno per il resto della sua vita.
Era inquieto, non faceva altro che passeggiare per la casa. Lui non l’aveva ancora vista, ma sapeva che Johanna aveva arredato la cameretta che sarebbe diventata di sua figlia. A un certo punto della notte, prese un lungo sospiro ed entrò: la stanza era piena di giochi, carillon e peluche, piena di colore, vivace, allegra, come solo Johanna sapeva essere. Entrare in quella stanza aveva rallegrato il suo cuore; anche se ci voleva ancora del tempo, sapeva che, prima o poi, avrebbe visto la sua bimba giocare tra quelle pareti colorate. Sorrise, Johanna aveva pensato proprio a tutto: i giochi, la culla, il fasciatoio, i vestitini… Era sicura che il suo miracolo ce l’avrebbe fatta, che sarebbe stato forte, come lei. Diede la carica ad un simpatico carillon, ascoltandone la dolce melodia, poi sfiorò con le dita quei piccoli maglioncini colorati e si soffermò su un piccolo libricino, uno di quegli album fotografici che, tipicamente, vengono riempiti con le immagini del bimbo, dalla nascita ai primi mesi di vita. “Mi chiamo… Zoé”… La mano di Johanna aveva riempito il vuoto destinato al nome del bambino. Zoé… Era questo il nome che avrebbe voluto darle? Non aveva avuto modo di dirglielo. Zoé… Non era male come nome: era simpatico, particolare, inusuale…
Christian” lo interruppe Hélène, avvicinandosi. “Ho sentito la musica. Va tutto bene?
Sì, Hélène, ti ringrazio. Ero solo… perso nei miei pensieri. Guarda cosa ho trovato” disse, porgendole il piccolo album. “Penso che sia arrivato il momento di riempirlo”.
Hélène sfogliò il libricino con curiosità. “Zoé!” esclamò sottovoce, sorridendo. “Allora, non ha cambiato idea!” continuò.
In che senso?” le chiese Christian.
Una volta… prima… dell’incidente… diciamo così… mi disse che, se un giorno avesse avuto una figlia, l’avrebbe chiamata così. Amava il suo significato” gli rispose Hélène.
Christian la guardò con aria interrogativa.
Vita, Christian. Zoé vuol dire “vita”…” proseguì, carezzandogli una guancia. “Puoi riempirlo tu” gli disse poi, restituendogli l’album delle fotografie. “Sei molto bravo”.
Hélène aveva ragione: non per vantarsi, ma ci sapeva decisamente fare con le fotografie. Era veramente abile. Aveva raccontato tante storie, con le immagini, durante gli ultimi anni; perché non raccontare proprio di sua figlia? Zoé… Johanna non aveva lasciato proprio nulla al caso, neanche il suo nome. Era una scelta perfetta; cosa c’era di più bello della vita? Diede un’ultima occhiata in giro, poi si decise ad andare a riposare; l’aspettavano giorni pesanti, ma pieni di speranza.

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Capitolo 37
*** Papà canguro ***


Arrivò in ospedale la mattina presto, accompagnato solo da Hélène. Provarono a chiedere informazioni di Johanna, ma fu risposto loro che avrebbero potuto parlare con un medico non prima dell’ora di pranzo. Christian si sentì leggermente deluso: voleva solo sentirsi dire che sarebbe andato tutto bene. Ma il dottore era stato chiaro: ci sarebbe voluto un po’ di tempo. Si rassegnò, quindi, ad attendere ancora qualche ora per avere aggiornamenti e si diresse da sua figlia. Dormiva, sotto quel vetro anomino, anche se, in un certo senso, non sembrava tranquilla: smaniava, come se fosse alla disperata ricerca di qualcosa. Si avvicinò all’incubatrice e cercò di tranquillizzarla come meglio poteva: le parlò e le sfiorò le manine con un dito. In realtà, non era tranquillo nemmeno lui, e non soltanto perché gli si stringeva il cuore a vederla là dentro. Non ci sapeva fare con i bambini. Non aveva mai avuto l’occasione di mettersi in gioco con loro, ma sentiva che non ci sapeva fare con i bambini. Si sentiva terribilmente insicuro.
Una voce richiamò all’improvviso la sua attenzione: era la dott.ssa Sullivan.
Che succede? Ci sono problemi con la bambina?” le chiese preoccupato.
No, assolutamente no” lo tranquillizzò immediatamente la dottoressa. “La stavo osservando e ho pensato che fosse giusto parlare un po’ con lei”.
E, così dicendo, si fece seguire lungo un corridoio che sembrava interminabile, mentre lui dava libero sfogo a tutte le sue paure.
Il primo figlio mette sempre una certa agitazione, specialmente se non nasce in circostanze del tutto serene. Non creda di essere il primo padre spaventato, sig. Roquier” gli disse, a un certo punto, la dottoressa, sorridendogli, come se non ci fosse niente di più ovvio del pensiero di Christian. “Anzi, credo proprio che non sarà né il primo né l’ultimo. È anche per questo che ho deciso di portarla qui” continuò, mentre entravano in una stanza dalle luci soffuse. “Si tolga la camicia e si sieda lì” gli ordinò, subito dopo, indicando una sedia a dondolo in un angolo della camera.
Christian rimase decisamente sorpreso dalla strana richiesta.
Non si preoccupi, non ho nessuna intenzione di saltarle addosso” scherzò la dottoressa. “Faccia come le ho detto. E chiuda gli occhi non appena si sarà accomodato” proseguì, abbassando ancora di più le luci. “Si fidi di me, so bene quello che faccio”.
Christian non riusciva a capire quali fossero le intenzioni della dottoressa. Dove voleva arrivare? Cosa stava per fare? Si era innervosito, ma non se la sentiva di rifiutare. In fondo, una motivazione ci doveva pur essere. Come richiesto, si tolse la camicia, restando a torso nudo, e si accodò sulla sedia a dondolo, chiudendo gli occhi.
Così?” chiese poi, perplesso.
Così, benissimo” gli confermò la dottoressa.
Un attimo dopo, avvertì che il medico si stava avvicinando di nuovo, lentamente, e sentì che stava poggiando qualcosa sopra il suo petto. Sobbalzò, aprendo gli occhi: era la sua bambina. La dottoressa gli aveva messo in braccio la sua bambina. Il cuore prese a battergli forte e il petto sembrava non essere più in grado di contenerlo.
Ecco, così” disse la dottoressa, facendo in modo che la bimba, prona, poggiasse l’orecchio esattamente sul petto di Christian. “Deve sentire battere il suo cuore. Di solito, questa è una terapia che viene eseguita con la mamma” spiegò “ma risulta molto utile anche se fatta con il papà. Innanzi tutto, servirà a lei. So che non è stato presente durante la gravidanza: questo l’aiuterà a stabilire più velocemente un contatto con la bambina, per imparare a convivere con questa nuova realtà. E non abbia paura: la bambina è piccola, ma è molto più forte e resistente di quanto possa sembrare. E poi servirà a lei” continuò, indicando la bambina, “per superare meglio un numero considerevole di problematiche. Secondo diversi studi, passare qualche ora al giorno così, in questa posizione, dona un senso di tranquillità, permettendo un sonno più tranquillo dei neonati, specialmente quelli nati prematuramente, in modo che possano dormire meglio e più profondamente e possano, quindi, convogliare tutte le energie per mettersi in forza, riducendo il periodo di ospedalizzazione. Inoltre, è stato dimostrato che questa terapia aiuta la termoregolazione dei bambini e anche il superamento di situazioni di distress respiratorio e problemi circolatori. Insomma, tutto di guadagnato” concluse, lasciandolo solo, a cullare quella minuscola creatura, che adesso, al contrario di prima, dormiva placidamente tra le sue braccia. La dottoressa aveva ragione: improvvisamente, niente gli sembrò più naturale che abbracciare la sua piccolina, ascoltare il suo respiro, divenuto lento e regolare, e scaldarla con il proprio corpo, mentre accarezzava la sua testolina che spuntava dalla coperta che li avvolgeva entrambi. Marsupio terapia, veniva chiamata: uno strano modo di fare medicina. Ma chissà, magari era più efficace di tante altre cure…
Zoé!” esclamò piano. “La mamma aveva ragione. Anche su questo. Il nome che ha scelto per te significa vita. E tu, amore mio, rappresenti la nostra vita, il nostro futuro. Vedrai che andrà tutto bene. Presto anche la mamma ti stringerà tra le sue braccia, te lo prometto” le bisbigliò, abbracciandola sempre più forte.
Restò in quella stanza per quasi due ore, durante le quali non fece altro che sussurrare parole dolci a quel piccolo esserino, completamente abbandonato tra le sue braccia, fin quando un’infermiera non venne a riprendersi la bimba, per riportarla in reparto. Non avrebbe voluto lasciarla andare, ma sapeva che non poteva restare lì per sempre. Tra le altre cose, c’erano altri genitori che aspettavano di godersi il loro momento. A malincuore se la vide portar via, mentre lui si rivestiva e andava a chiedere informazioni sullo stato di salute di Johanna.
Non va bene” disse il medico addetto alla sala rianimazioni, mentre chiamava, ad uno ad uno, i parenti dei ricoverati. “Gli organi vitali fanno fatica a riprendere la loro funzionalità. E, in più, ha la febbre e questo può significare che c’è un’infezione in atto. Per adesso è sotto antibiotici; possiamo solo cercare di tenere sotto controllo la situazione. Ma, se i reni non tornano a funzionare in tempi brevi, saremo costretti a metterla anche sotto dialisi”.
Al contrario di prima, adesso il cuore di Christian smise battere per un lungo istante. Aveva voglia di mettersi a urlare e di spaccare qualcosa, come avrebbe fatto a vent’anni, se le cose non fossero andate come lui le aveva programmate. E, invece, l’unica cosa che riuscì a fare è sussurrare parole di incitamento, dietro quel vetro divisorio che non gli permetteva neanche di fare una carezza alla donna che amava tanto profondamente.
Forza, amore mio! Lo so che puoi sentirmi, in qualche modo. Avanti, sii forte! Non vorrai mica arrenderti proprio ora, no? Non puoi lasciarci senza di te, non ce la faremmo. Io e Zoé abbiamo un gran bisogno di te e lo so che tu non vedi l’ora di stare con noi. E allora, andiamo! Torna! Torna da noi, amore. Non desidero nient’altro che poter stare noi tre, insieme. E lo vuoi anche tu, ne sono certo” la incoraggiò Christian, prima di essere invitato a uscire. Di nuovo. La severità di quel reparto era massima. E sì, avevano ragione, dovevano pensare innanzi tutto ai malati che giacevano in quei letti, ma, per chi restava fuori, dietro una porta chiusa, era estremamente doloroso non avere neanche l’opportunità di vedere il proprio caro. Osservare quella porta lo faceva sentire doppiamente imponente.
Dai, andiamo, Christian” lo smosse Hélène. “Torneremo più tardi per avere aggiornamenti” concluse, dirigendosi verso l’uscita.

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Capitolo 38
*** La fine di un incubo? ***


Tornò in ospedale nel primo pomeriggio, armato di macchina fotografica. Hélène aveva ragione: poteva riempire lui l’album predisposto da Johanna, poteva iniziare lui a raccontare la storia di sua figlia, fino a quando non l’avrebbe potuta raccontare insieme a Johanna. Era abile con la macchina fotografica e non soltanto a livello tecnico: sapeva essere davvero profondo, sapeva mettere insieme pose e tempi per immortalare immagini di una sensibilità unica. Sì, quando ci si metteva, ci sapeva davvero fare; doveva solo imparare a dimostrare la sua emotività con po’ più di naturalezza, capire che le sue emozioni l’avrebbero arricchito e non il contrario. Immortalò mani, piedi e viso della sua bimba; fu talmente capace e sensibile che riuscì a far sembrare il freddo reparto di terapia intensiva un caldo rifugio dove Zoé si trovava solo per rimettersi in forza. E, forse, da un certo punto di vista, era proprio così.
Intanto il tempo passava veloce. Era passata una settimana, sette giorni durante i quali lui non aveva smesso un attimo di pensare alle persone più importanti della sua vita, alla sua famiglia. Zoé stava crescendo bene, i medici erano bravi e competenti e le cure erano adeguate. Ma a lui piaceva pensare che anche la marsupio terapia suggerita dalla dottoressa facesse la sua parte. Che lui, in prima persona, facesse la sua parte. “Papà canguro”: così l’avevano soprannominato in reparto. Era l’unico uomo a sedersi su quella sedia a dondolo; di solito, come gli aveva detto la pediatra, erano le mamme a stabilire quel genere di contatto. Ma a lui non importava dei nomignoli, a lui stava bene così: quelle due ore al giorno che trascorreva con sua figlia in quella piccola stanza, lontani dal chiasso e dalle fredde luci al neon del reparto, erano letteralmente meravigliose: la poteva stringere, le poteva parlare, la poteva guardare negli occhi, in quegli occhietti piccoli e vispi, che gli ricordavano tanto gli occhi di Johanna. Avevano la stessa luce, la stessa vitalità. Piano piano, stava acquisendo sempre più energia: l’ossigenazione era salita, l’avevano definitivamente staccata dal ventilatore forzato e, considerata la sua crescita, più che soddisfacente, erano certi che, a breve, avrebbe lasciato anche la fredda incubatrice. Aspettavano solo di poterla alimentare con il latte, traguardo che avrebbe raggiunto molto presto. Pasti molto piccoli e molto frequenti, gli avevano spiegato. Molto più numerosi di quelli di un semplice neonato nato a termine. Ma anche lui, finalmente, avrebbe potuto partecipare alla sua nutrizione. Pensò a Johanna: avrebbe sicuramente voluto allattarla naturalmente, al seno, ma i problemi e la malattia che l’aveva colpita quasi sette anni prima, non le avrebbero mai concesso questa possibilità.
E, poi, Johanna non c’era. Johanna dormiva ancora.
Giorno dopo giorno, aveva dovuto affrontare una quantità innumerevoli di complicazioni: febbre, presunte infezioni e insufficienza multiorgano, che costringevano i medici a tenerla ancora sedata e chiusa in quella dannata stanza della terapia intensiva. Sotto vetro. Anche lei. Ma lui non aveva perso le speranze: sapeva che Johanna aveva tutte le intenzioni di non lasciarsi andare e che avrebbe combattuto fino all’ultimo per ritrovare la strada e tornare da lui e dalla loro bambina. Ma, intanto, in quei sette lunghi giorni, l’unica cosa che aveva potuto fare era pregare. E chiamarla, con tutte le sue forze. Affinché riuscisse a sentirlo, quanto meno in una dimensione ultrasensoriale, lasciandosi guidare verso quella vita a cui era tanto attaccata. Un giorno aveva salire le sue speranze: stavano per attaccarla alla macchina per la dialisi, quando i suoi reni avevano ripreso a funzionare spontaneamente. Buon segno, si era detto. Ma senza nessun seguito. Almeno per lui. Non riusciva a capire quello che dicevano i medici, ma non per le sue difficoltà linguistiche, quanto piuttosto per il fatto di non sentirsi adeguatamente preparato sull’argomento. Parlavano di acidosi, per esempio, e non erano in grado di spiegargli nulla di più se non che si trattasse di un’alterazione del ph, dovuto ad un funzionamento non sufficiente dei diversi organi vitali. Ma da quali organi dipendeva? “Tutti” gli rispondevano. Ma… se il cuore batteva e avevano detto che i reni lavoravano? “Non abbastanza”… Le informazioni erano contraddittorie e poco chiare e lui era sempre più confuso. Non riusciva a capire. Tutte quelle circostanze, quei valori che uscivano e rientravano nella norma, come influenzavano la sua ripresa? Era grave tanto da temere di non vederla svegliarsi più o erano intoppi che avrebbero intralciato ma non impedito il suo ritorno alla vita? Tutte quelle domande gli bruciavano dentro e nessuno, neanche i medici, riuscivano a trovare il modo di dargli una risposto soddisfacente. Oppure non potevano. Avrebbe voluto almeno stringerle la mano, provare a trasmetterle un po’ di sicurezza attraverso quel gesto così semplice, eppure così importante. Ma non poteva. C’era quel maledetto vetro tra loro. E così si avviava, con un pizzico di amarezza, verso quella specie di finestra, dove poteva restare a guardarla solo per qualche minuto. A volte aveva la sensazione di osservare solo il suo corpo, fermo, immobile, mentre lei lo aveva abbandonato in favore di una dimensione più aulica. Dove era finita la sua Johanna? No, Johanna era vitale, non poteva aver scelto di abbandonarli, non ci credeva. Ma quelle domande lo tormentavano tutte le volte che si avvicinava a quella stanza. Come in quel momento. Si era fatta quasi l’ora di visita e lui, come tutti gli altri giorni, era già lì, con un po’ di anticipo. Mancava mezz’ora, forse era troppo in anticipo. Ma pazienza: l’ospedale, ormai, era diventato come casa sua.
Sig. Roquier?” lo chiamò una voce.
Era uno dei medici che si occupava della sala rianimazione: ormai li conosceva tutti alla perfezione.
” rispose.
È in anticipo per le visite” constatò.
Sì, lo so, ma… ero da mia figlia e poi sono…” Christian non sapeva cosa rispondere. Cosa voleva quel medico da lui? Perché doveva sottolineare che era in anticipo? Aveva imparato a memoria i rigidi orari del reparto e sapeva perfettamente che a nessuno era concesso nulla di più di quei pochi minuti giornalieri. Dieci minuti… Due volte al giorno… Ma non stava infastidendo nessuno, era seduto su una panca, in attesa. Non aveva parlato… Oh, no, basta! Tutta quella tensione aveva finito per renderlo molto nervoso: era teso e scattava quasi senza motivo. Doveva calmarsi o avrebbe finito per ammalarsi anche lui. “Lo so… ma… sto qui. Aspetto” rispose, dopo aver preso un lungo sospiro.
No, si calmi, non le stavo rimproverando nulla” si affrettò a giustificarsi il dottore con un sorriso. “Anzi, volevo dirle che è un bene che sia in anticipo. Mi segua, per favore” lo invitò subito dopo, facendolo accomodare in una stanza lì vicino, attigua alla sala rianimazione, dove un’infermiera gli porse camice, berretto, mascherina, guanti e copriscarpe, imponendone l’immediato abbigliamento.
Che succede?” chiese, preoccupato, mentre armeggiava con il set protettivo.
Nulla di preoccupante. Ci sono momenti in cui è bene che, vicino al malato, ci sia il proprio parente” spiegò il medico “e questo è uno di quelli”.
L’espressione di Christian, in quel momento, era caratterizzata da un misto di terrore e speranza. Capiva sempre meno e, mentre cercava di elaborare le parole del medico, non poteva fare a meno di cercare di rubare uno sguardo al dì là della porta, dove c’era la sua Johanna. Gli sembrò di vederla, per un attimo, ma non era sicuro che fosse lei. O forse sì, forse era proprio lei. E si stava muovendo. Improvvisamente, i suoi occhi si illuminarono di una luce nuova, piena di fiducia.
Sig. Roquier, le è mai capitato di provare, svegliandosi di soprassalto, la sensazione di non aver ben chiaro dove si trovi? Per un attimo, l’unica cosa che si avverte è un senso di pericolo, dovuto allo smarrimento. E si è come terrorizzati” continuò il dottore, mentre Christian annuiva. “Una persona normale, che passa dallo stato di sonno naturale a quello di veglia, supera questo momento in pochi istanti; quando un paziente si risveglia da una lunga sedazione artificiale, avverte questa sensazione, ma per un periodo più lungo. È come se quell’attimo si prolungasse per interi minuti. In molti casi, quindi, invitiamo i parenti ad essere presenti al loro fianco. È molto importante per loro e li tranquillizza.Una cosa fondamentale, però: quella che vedrà sarà un’immagine molto forte, ma non si deve assolutamente lasciare impressionare” lo avvisò. “È pronto?” gli chiese dopo una breve pausa.
Christian fece un lungo sospiro: dove starle vicino? Sì, gliel’aveva giurato. E, comunque, qualunque situazione lo aspettasse al di là di quella porta, l’unica cosa veramente importante era che, finalmente, Johanna si stava svegliando. Forse quell’incubo stava volgendo al termine.

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Capitolo 39
*** Il peggio sembra essere passato ***


Come aveva definito il dottore l’immagine che si sarebbe trovato di fronte? Un’immagine molto forte… No, l’espressione non rendeva assolutamente giustizia alla visione che l’aspettava al di là di quella porta. Vedere le condizioni di Johanna fu straziante. Ebbe l’impressione che la lama affilata di un coltello gli stesse aprendo in due il torace, divertendosi a giocare su ogni nervo, recidendoli, lentamente, uno ad uno, prima di concentrarsi sul suo cuore, procurandogli piccole dolorose incisioni, per poi colpirlo con l’ultima pugnalata mortale. Johanna era sveglia, era vero, ma lui non riusciva neppure a comprendere se era realmente cosciente oppure no. Si agitava, smaniava, era inquieta. Era piena di tubi, nel corpo, nella bocca, nel naso… Tendeva a soffocare in continuazione e una solerte infermiera doveva inserirle un altro tubo in gola, oltre al respiratore, per aspirare il catarro e saliva che lei non riusciva a deglutire.
Non si lasci impressionare, sig. Roquier. Lo so che quello che sta vedendo non le piace, ma le assicuro che è una condizione piuttosto comune, in questi casi. Si avvicini. Le parli”.
Christian si accostò al letto, ma gli mancava il fiato. Un dolore lancinante gli impediva di respirare. Si fece coraggio e prese finalmente la mano di Johanna. Erano giorni che aspettava di farlo e, in quel momento, si sentiva ancora più spaventato di prima.
Johanna! Johanna, ascoltami! Sono Christian” prese a dirle, cercando di richiamare la sua attenzione. Ma lo stava ascoltando? Francamente aveva molti dubbi al riguardo. Aveva l’impressione che quella non fosse Johanna, ma solo una di quelle bambole con la carica, provviste di un meccanismo di movimento automatico. “Johanna! Johanna, calmati, per l’amor di Dio! Stai calma!” continuava a ripeterle, guardandola negli occhi e sfiorandole la fronte in una tenera carezza. Continuava ad agitarsi. Tremava. Continuava a soffocare. Ma non poteva neanche tossire. Questo riflesso era ancora inibito. E l’infermiera continuava ad avvicinarsi, brandendo l’aspiratore come fosse stata un’arma. Sentì gli occhi bruciare sempre di più. Desiderava piangere con tutto se stesso. Ma doveva essere forte, per tutti e due. Come lo era stata lei. “Johanna, ti prego! Calmati! Va tutto bene!” confermò, sforzandosi di continuare a guardarla, anche se era più doloroso che mai. Ma, d’un tratto, ebbe la sensazione che anche lei lo stesse guardando. D’un tratto, ebbe la sensazione che si fosse resa conto che lui era lì, al suo fianco. D’un tratto, ebbe la sensazione che si fosse ristabilito un contatto. Vide Johanna smettere di dimenarsi e concentrare tutte le sue energie per sollevare l’altra mano, quella che lui non stava stringendo. Con estrema fatica la innalzò a mezz’aria, come a richiedere che lui afferrasse anche quella. Rispose a quell’invito, cingendo le sue dita e stringendole più che poteva. “Johanna! Sì, sono io, sono Christian. Sono qui, vicino a te. E va tutto bene” la confortò ancora. E stavolta l’aveva sentito, ne era certo. Lei lo stava guardando e lo stava ascoltando. Era cosciente. Stava tornando alla vita. Si commosse fino alle lacrime e vide che anche lei stava piangendo. “Va tutto bene, amore mio. Tutto si aggiusterà. Va tutto bene” continuava a ripeterle senza sosta, come se fosse lui il primo a doversi convincere.
Christian fu costretto ad allontanarsi dopo pochi minuti. Minuti intensi, intensissimi. Non riusciva a smettere di piangere, neppure quando uscì da quella stanza. Si ritrovò in corridoio, con gli occhi ancora umidi.
Christian, ti stavamo cercando. Dove eri finito?” gli chiese una voce davanti a lui. Era Hélène, insieme a Kate.
Era così emozionato che non le aveva nemmeno viste.
Che ti succede? Perché stai piangendo?” chiese ancora Hélène, preoccupata alla vista di quelle lacrime.
Johanna si è svegliata” rispose d’un fiato. Il sorriso che gli illuminò il volto contagiò immediatamente anche le amiche.
È vero, Christian?” chiese Kate. Facevano fatica a crederci. Anche loro.
Sì, ragazze. Johanna si è svegliata!” ripeté, alzando gli occhi al cielo per ringraziare quel Dio che tante volte aveva invocato, nei giorni passati. “Si è svegliata” insisteva, forse per convincersi che non stava sognando. “Non è ancora finita, ma ormai il peggio sembra essere passato” spiegò subito dopo.
Guardò fuori dalla finestra: aveva iniziato a nevicare. Era la vigilia di Natale, una vigilia di Natale con la neve. La città che imbiancava aveva qualcosa di magico. Ma il dono più grande che aveva ricevuto era la possibilità di tornare a sperare.

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Capitolo 40
*** Un regalo di Natale ***


Quella notte non riusciva a dormire: la vista delle condizioni di Johanna l’aveva turbato fortemente. Il medico l’aveva avvisato, sapeva che avrebbe visto qualcosa che non gli sarebbe piaciuto, ma non si è mai abbastanza pronti a vedere la persona che si ama soffrire atrocemente. Non riusciva a togliersi quell’immagine neanche pensando al fatto che il dottore l’avesse tanto rassicurato, subito dopo averlo fatto uscire: non si doveva preoccupare, quelle reazioni erano del tutto normali, l’indomani sarebbe stato tutto più tranquillo. Era stato anche abile, gli aveva detto, a trasmettere un certo grado di serenità, nonostante tutto e nonostante fosse lui a non essere sereno neanche un po’. Lui era… sì… felice… di quel passo da gigante compiuto quel giorno. Ma anche confuso e spaventato dall’empatia verso la sua compagna, che gli faceva provare il suo stesso dolore. È come se, mentre le stringeva la mano, fosse stato insieme a lei, su quel letto della sala rianimazione. La mattina successiva l’aspettava un altro incontro sotto vetro e non aveva idea di quale spettacolo si sarebbe trovato di fronte. Sarebbe stata cosciente, gli avevano detto, ma avrebbe provato tutta la sofferenza del giorno prima? Ma no, basta! Doveva smetterla di avere brutti pensieri. Ci voleva un po’ di positività. Li aspettava un cammino lungo, ma, da quel momento in poi, la strada sarebbe stata in discesa. Sarebbero stati insieme. E lui avrebbe fatto di tutto per renderle il cammino meno difficoltoso possibile. L’importante era pensare positivo. Sì, doveva fare questo. Il medico ha detto che sarebbe stata cosciente, molto di più del pomeriggio passato? Benissimo. Allora, avrebbe voluto sapere di sua figlia, ne era certo. Come poteva… portarla da lei, in qualche modo? Ma certo! Con le fotografie, quelle che aveva scattato per l’album. Le lavorò al computer e le mise insieme in un collage virtuale molto particolare e profondo: sette giorni, i primi sette giorni di vita della loro bambina. Salvò il file su una chiavetta usb, quindi uscì di casa, di buon ora, per trovare un posto dove poter stampare il tutto. Bel Paese l’America! Il Paese che non chiude mai, nemmeno il giorno di Natale… A metà mattina era di nuovo in ospedale. Era pronto per la sua trasformazione quotidiana in papà canguro. Questo nomignolo lo faceva sentire come un supereroe nei confronti di sua figlia. Lei era… semplicemente perfetta. E stava sempre meglio, per fortuna. Quel momento magico, che condividevano tutti i giorni da una settimana, gli riempiva il cuore di gioia. Forse era stata lei a donargli tutta la forza necessaria a non crollare. Ma, in quel momento, si sentiva meglio, più fiducioso. Parlò tanto alla sua bambina, come le parlava tutti i giorni, ma gli sembrò che anche lei avvertisse qualcosa di diverso nel tono della sua voce. Forse era d’accordo con lui: la sua mamma l’avrebbe abbracciata presto.
Quando tornò da Johanna, ebbe un momento di esitazione: per quanto cercasse di essere positivo, le gambe non avevano, comunque, mai smesso di tremargli da quando l’aveva vista sparire dietro le porte della sala operatoria. Incontrò l’anestesista; non era lo stesso del giorno prima. Gli ripeté le solite parole incomprensibili sui soliti parametri sconosciuti… E, poi, finalmente, qualcosa di concreto: Johanna era sveglia, ma comunque sedata, per mantenere il livello di stress più basso possibile. Era intubata, l’ossigenazione era ancora bassa. E, ovviamente, anche i riflessi più semplici come deglutire o tossire, erano ancora di difficile attuazione. Ma la situazione era migliore: niente febbre da oltre due giorni e insufficienza multiorgano in fase di regressione. Questo l’aveva capito. Tirò un sospiro di sollievo e si avvicinò al vetro accanto al suo letto: era pallida e sembrava dormire, anche oggi. Ma no, il medico aveva detto che era sotto sedazione ma, comunque, cosciente. In effetti, nel complesso, l’aspetto sembrava migliore. Ma, dopo quello che aveva visto il giorno prima, tutto sembrava migliore. C’era un citofono che permetteva la comunicazione del malato con i parenti; lo prese in mano e cominciò ad invocarla.
Johanna!” la chiamò, quasi timoroso, con un filo di voce.
Johanna sembrava non sentirlo, aveva gli occhi chiusi.
Johanna! Johanna!” continuò.
Niente.
Johanna!” insistette. “Sono io, Christian”.
Continuò in questa maniera per diversi secondi, fino a quando lei non sembrò ridestarsi da un sonno profondo, aprendo gli occhi e voltando lentamente lo sguardo verso di lui. Dovette sbattere le palpebre più volte in quella direzione, prima di riuscire a mettere a fuoco quella figura che la chiamava al di là del vetro. I loro occhi si incrociarono. In quell’istante, in quel preciso istante, le loro anime comunicarono più di quanto loro potessero fare loro con le parole. Sì, Johanna c’era. Anche se non poteva parlargli. Anche se era ancora piena di tubi. Anche se il suo corpo non funzionava ancora a dovere. Ma c’era. Christian sorrise. Per la prima volta dopo tanto tempo. Per la prima volta da quando si erano ritrovati sull’isola di Galveston. Sorrise perché erano tornati in sintonia. Perché potevano sperare.
Johanna, guarda” le disse, poi, alzando un cartellone pieno di immagini all’altezza del vetro. “Guarda” ripeté. “La nostra bambina. È una meraviglia. E sta bene. Sta benissimo” la rassicurò. “Riesci a vederla?
Johanna annuì piano con la testa e si commosse fino alle lacrime. La sua bambina.
È ancora un po’ piccolina, ma sta crescendo bene. E ti aspetta. Ti aspettiamo tutti. Cerca di rimetterti in forza, ok? Perché noi siamo qui, con te e non vediamo l’ora di poterti abbracciare” la incoraggiò ancora.
Johanna annuì di nuovo. Era tornata da Christian. Era tornata alla vita.
Quell’anno, il Natale aveva riservato un dono davvero speciale per Christian: la possibilità di essere di nuovo felice e quella gioia di vivere che non provava più da tanto, tantissimo tempo.

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Capitolo 41
*** Il nuovo anno ***


Sorpresa!” gridarono in coro, facendolo trasalire, nel momento in cui stava rientrando a casa insieme ad Hélène.
Nicolas?!” esclamò Christian con estrema sorpresa, mentre Hélène corse ad abbracciare sia lui che i figli, seduti sotto il portico della casa di Johanna, ad aspettare il loro ritorno.
Cosa ci fate qui?” chiese la ragazza, continuando a riempire di baci i suoi bambini. Era molto contenta di vederli, e si vedeva. Christian poteva capire la gioia che riempiva quegli abbracci, ora che anche per lui la parola “figlio” non indicava più un’entità astratta. Gli faceva male anche solo allontanarsi per qualche ora dall’incubatrice che ospitava la sua bambina e si immaginò quanta fatica costasse ad Hélène separarsi dalla sua famiglia, anche se si trattava solo di pochi giorni.
È il giorno di Natale, amore. Era giusto che stessimo tutti insieme” le rispose Nicolas con un sorriso. “E, poi, amico” continuò, rivolgendosi a Christian “questo è un momento molto importante anche per te. Volevo congratularmi. Come ti senti, eh? Papà…” scherzò, avvicinandosi e battendogli una pacca sulla spalla.
Papà…” ripeté Christian, alzando gli occhi al cielo.Vuoi la verità, Nicolas? Ancora non mi sembra vero. Ci sono momenti in cui ancora mi domando se tutto questo non sia solo un sogno” gli rispose. “Ma di una cosa sono più che sicuro: non sono mai stato più felice di così” ammise, guardandolo negli occhi, prima di abbracciarlo con sincera amicizia.
E… Johanna?” si informò subito dopo Nicolas.
Ho avuto tanta paura” gli confessò Christian, fissando, per un attimo, un punto indefinito. “Ma sembra che, in questo momento, le cose stiano migliorando anche per lei. Finalmente si è svegliata, è cosciente e… penso che le cose possano tornare a posto. Sì, andrà tutto bene, me lo sento” continuò, rialzando lo sguardo. “Ma non stiamo qui, sulla porta. Entriamo!” li invitò, subito dopo. “Avete fatto benissimo a venire. Non c’è niente di meglio che festeggiare il Natale tutti insieme”.
Mentre Hélène preparava un pranzo veloce e i bambini giocavano nel giardino innevato, Nicolas dovette tenere a freno la frenesia di Christian, che sembrava voler recuperare tutte le parole non dette nei mesi precedenti. Aveva trascorso un tempo infinitamente lungo soffrendo in silenzio ed ora faceva fatica a contenere la gioia provata per questa nuova realtà. Ma lo capiva e, anzi, si rallegrava nel vederlo così contento; certo, essere padre e avere una famiglia richiedeva un impegno che Christian non era mai riuscito ad affrontare, ma, forse, ora aveva capito quanto fosse importante avere una persona al proprio fianco e quanto poteva essere bello dividere con lei tutte le responsabilità, ma soprattutto, tutte le gioie dell’essere genitori.
Avere un figlio ti cambia la vita” osservò, mentre guardava insieme a Christian le foto della piccola Zoé. “Averne due te la distrugge” scherzò vedendo i suoi bambini rientrare in casa, lasciandosi dietro una lunga scia di impronte umide e buttandosi letteralmente in braccio a lui, bagnando tutto ciò che trovavano sulla loro strada. Compresi lui e Christian. “Bambini!” li riprese, ma non poteva fare a meno di ridere anche lui. In fondo, il massimo della felicità per un genitore è vedere i propri figli contenti. “Andate a togliervi questi vestiti bagnati di dosso” ordinò loro. “Il pranzo è quasi pronto”.
Christian li osservò divertito e si immaginò la sua bambina giocare alla stessa maniera. Pensò anche che, se avesse avuto anche solo metà della vitalità di Johanna, i guai sarebbero stati quotidiani. Ma la sua vita sarebbe stata piena di risate.
Helene e Nicolas si fermarono ancora qualche giorno; videro Johanna e conobbero Zoé, con grande delusione dei due bambini, che si aspettavano una nuova compagna di giochi e si trovarono davanti un’esile bambolina di neanche due chili. In effetti, fu molto duro spiegare loro che quella piccola creatura, in realtà, era un vero miracolo della natura…
Dopo capodanno, Christian si ritrovò da solo. Ormai si era abituato ai suoi nuovi compiti, la situazione migliorava vistosamente di giorno in giorno e lui aveva insistito affinché i suoi amici tornassero a casa. Si erano già sacrificati abbastanza per aiutarlo e Nicolas gli permetteva ancora di restare in America, senza creargli problemi in ambito lavorativo. Era soci ormai da qualche anno ed entrambi avevano precisi doveri nei confronti del loro studio fotografico. “Non ti preoccupare per il lavoro” l’aveva rassicurato l’amico. “Per il momento ci sono io. Tu pensa a Johanna e alla bambina. Prenderemo tutte le decisioni a tempo debito, quando le cose si saranno sistemate”. Non c’era dubbio: lui e Johanna erano circondati da veri amici. Non ce n’era uno, neanche uno, che, vicino o lontano, non aveva fatto in modo di preoccuparsi per loro, rendendosi tutti utili come potevano e facendo sentire costantemente la loro partecipazione.
Quell’inizio anno fu davvero particolare per Christian: era letteralmente rinato. E anche Johanna, che, quel giorno, con sua grande sorpresa, trovò estubata ed in reparto, finalmente fuori dalla sala rianimazione. Finalmente poteva stringerle la mano ed abbracciarla. Quella morsa che lo aveva attanagliato nei giorni precedenti e che gli aveva reso difficoltoso perfino respirare stava svanendo. Ora, si sentiva ogni giorno più vicino ad un meraviglioso traguardo: la loro vita insieme.
Johanna era ancora debolissima e continuava a dormire per diverse ore al giorno. Ma adesso poteva starle accanto, non ci sarebbero più stati anestesisti solerti ad invitarlo ad uscire, allontanandolo da quel maledetto vetro. Prese una sedia e si sedette accanto a lei, stringendole una mano. Stava riposando, ma sembrava più serena: la testa era avvolta in una vistosa fasciatura, ma erano finalmente spariti sia il tubo nella sua bocca che quello nel suo naso. Ora era pronta a tornare ad alimentarsi da sola. Sarebbe stato faticoso ricominciare, ma, un passo alla volta, avrebbe recuperato tutte le normali funzioni. L’unico dubbio riguardava la parola. Era cosciente, la comprensione era intatta e l’espressione gestuale anche. Ma non aveva ancora proferito parola, un po’ a causa del respiratore che per giorni le aveva ostruito la bocca e un po’ per la mancanza di energie, ancora tutte da recuperare.
Non sai come sono felice che sei finalmente uscita da quella stanza. Non ce la facevo più a vedere quel vetro tra noi” disse con un filo di voce, mentre lei continuava a dormire. “Questo vuol dire che stai molto meglio. E, poi, qui, posso permettermi il lusso di accarezzarti e di baciarti” le sussurrò, sfiorandole una guancia con le labbra.
Christian” bisbigliò, all’improvviso Johanna.
La sua voce quasi non si sentiva. Aveva, forse, sognato? Oppure Johanna l’aveva chiamato?
Amore, sì. Sono io. Sono Christian. Sono qui, con te” disse, rialzando lo sguardo verso il suo viso.
Christian” ripeté lei, rispondendo lievemente anche alla sua stretta di mano. “La… bambina?” balbettò.
Sta bene, amore mio. Sta bene. Cresce. Presto potrai abbracciarla, vedrai. Adesso devi pensare a riprendere le forze, così potrai andare da lei” cercò di rassicurarla.
Parlava. Johanna parlava. Non aveva più potuto ascoltare la sua voce da quando l’aveva cacciato ed erano passati mesi. Gli era mancata tanto. L’afasia che l’aveva colpita non gli aveva permesso di ascoltarla nemmeno quando era tornato da lei. Ma adesso parlava. Questo voleva dire che anche quel sintomo era sparito. Un altro punto a loro favore. Presto sarebbe andato tutto a posto, ne era certo.
Christian” ripeté di nuovo Johanna. “Mi… dispiace… per tutto…
Cosa?” chiese Christian.
Mi dispiace” disse ancora, e si vedeva che faceva una gran fatica. Sembrava che impiegasse tutte le sue energie per pronunciare quelle parole.
Ti dispiace? No, amore mio, no! Non c’è niente di cui devi dispiacerti. Ascoltami: non importa quello che è successo, importa solo che adesso siamo qui, insieme. E che la nostra bambina stia bene. Presto ci lasceremo alle spalle tutta questa brutta storia, ma adesso devi pensare solo a guarire. Va bene?” la tranquillizzò, mentre Johanna annuiva, rincuorata dall’affetto sincero di Christian. Adesso poteva riposare serena: Christian sarebbe sempre stato al suo fianco e lei non sarebbe stata mai più sola.

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Capitolo 42
*** Mamma canguro ***


Johanna la chiamò piano, per ridestarla dal sonno tranquillo che sembrava averla accolta. Un po’ gli dispiaceva: Johanna aveva bisogno di riposare ancora molto e l’immagine di lei immobile, addormentata, era molto differente da quella che si era trovato di fronte quando era ricoverata in terapia intensiva. Il sonno naturale è molto diverso dal sonno artificiale: quest’ultimo fa mille volte più paura. Ma no, la paura era passata, tutto stava tornando a posto, anche se lentamente: Johanna era debole, ma aveva ricominciato a riassaggiare il cibo, parlava di nuovo e, pur non muovendosi ancora molto, stava riacquisendo la sensibilità agli arti. Presto sarebbe stata bene.

Johanna” la chiamò di nuovo. “Amore… Tesoro… Svegliati” continuò ad insistere, fin quando Johanna non rispose al suo invito, riaprendo gli occhi e voltandosi verso di lui.

Johanna, c’è qualcuno che vorrebbe tanto conoscerti”.

Christian continuava a parlare piano e lei non riusciva ancora a capire se si trattava di un sogno oppure della realtà. Poi lo vide: sorrideva e teneva tra le braccia un tenero fagottino rosa.

Guarda un po’ chi c’è!” le chiese, pur sapendo che lei aveva già capito chi era quella persona in visita speciale. Si vedeva dai suoi occhi: trapelavano tutta la commozione e l’ansia di poter finalmente accarezzare la sua bambina la prima volta e, come tutto il suo corpo, sembravano aver acquisito una nuova vitalità.

Amore mio grande” disse, stavolta rivolgendosi alla figlia, placidamente accoccolata tra le sue braccia, “questo è un momento molto importante anche per te. Finalmente potrai stare un po’ con la tua mamma. Te l’avevo promesso” aggiunse, abbassandosi fino a portarsi all’altezza di Johanna per dare modo alla donna di osservare, per la prima volta dal vivo, i suoi lineamenti. Perché Johanna conosceva il suo viso, Christian l’aveva letteralmente sommersa di fotografie. Ma vederla per la prima volta, dopo così tanti giorni, e vederla così pacifica ed in salute, nonostante tutto, era un’emozione indescrivibile.

Amore mio!” esclamò Johanna. Furono le uniche parole che riuscì a pronunciare, tanto era felice in quel momento.

Sai qual è la novità?” le chiese Christian, incuriosendola. “Il dottore ha detto che è arrivato il momento, per papà canguro, di prendersi una vacanza perché, dopo aver iniziato a prendere il latte dal biberon, tre giorni fa, questa piccola combattente si è fatta sempre più grande e più forte. Perciò hanno deciso che poteva smettere di essere rinchiusa sottovetro e che, con uno speciale permesso tutto per lei, potrà essere lei a venire a trovare la mamma una volta al giorno, per stare un po’ insieme” spiegò. “Sei pronta a fare un po’ tu il canguro?” domandò, sorridendo.

Christian le aveva parlato di questo particolare modo di fare medicina e ne era rimasta particolarmente affascinata. E, anche se le donava un immenso piacere il fatto che Christian fosse così attento e premuroso nei confronti della piccola, in fondo, era anche un po’ gelosa del fatto che lui potesse accarezzarla e baciarla, mentre lei era costretta su quel letto, nell’immobilità quasi totale. Ma ora avrebbe avuto anche lei quel momento di condivisione cuore a cuore e, cosa ancora più importante, Zoé era finalmente fuori dall’incubatrice. Quindi migliorava. Sempre di più. Non le sembrava vera tanta felicità. Eppure erano lì: Christian, che la stava aiutando a sistemarsi comodamente sui cuscini, e la sua bambina, teneramente adagiata sul suo petto, finalmente coccolata sia dal suo papà che dalla sua mamma.

Aveva la pelle vellutata, morbida come una pesca, e il calore del suo piccolo corpicino, rannicchiato sopra il suo petto, le aveva donato una sensazione indescrivibile.

Amore della mamma” le sussurrò piangendo. “Non sai quanto sono felice in questo momento”.

Christian le guardava compiaciuto: finalmente erano insieme. Tutti e tre. Era felice anche lui, non poteva negarlo. Ma voleva lasciar vivere a Johanna il suo momento.

Vi lascio un po’ da sole” disse, rialzandosi dal bordo del letto dove si era accomodato per poter accarezzare entrambe.

No, non te ne andare” lo bloccò istintivamente lei, afferrandogli un braccio. “Resta qui. Non voglio che tu te ne vada mai più”.

Christian sorrise, mentre, con una mano, sfiorava il tenero visino di Zoé e, con l’altra, stringeva le dita di Johanna.

No, non me ne andrò. Non me ne andrò mai più” la rassicurò, tornando ad accomodarsi e sedendosi su una poltrona di fianco al letto. “Vi amo da morire. Non potrei mai andarmene” le confermò, sfiorandole le labbra con un bacio lieve.

Quella seduta di canguro terapia fu diversa dalle altre e l’energia che ne ricavarono sia Johanna che Zoé fu evidente fin dal primo istante; la prossima conquista sarebbe stata la possibilità di tornare a casa. E quel traguardo si stava avvicinando, sempre di più.

 

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Capitolo 43
*** Io e te ***


Dimessa?!” esclamò Christian, con un misto di gioia e paura dipinto sul viso.
” rispose placidamente la pediatra. “Sta benissimo ed ha raggiunto un ottimo peso, superando tutti i problemi. Direi proprio che è arrivato il momento di tornare a casa” spiegò.
E così era arrivato uno di quei momenti che aveva tanto sognato: la sua piccolina era pronta per tornare a casa, ma lui era ancora solo e…
Hai paura?” gli chiese Johanna, interpretando i suoi pensieri.
Paura? Io? Per favore… Perché dovrei avere paura?” le rispose, domandandosi come potesse leggergli la mente con tanta facilità.
Johanna scoppiò in una fragorosa risata che lo fece trasalire, anche se solo per un secondo. Era meraviglioso vederla così allegra: era convinto che, quando il morale si manteneva alto, lo spirito avrebbe aiutato ed il corpo avrebbe potuto guarire con più facilità. E, in effetti, stava decisamente meglio. Sì, era in convalescenza e si vedeva, ma, giorno dopo giorno, la vedeva compiere anche passi da gigante.
Andiamo, Christian! Conosco quello sguardo: tu stai morendo di paura!” esclamò divertita.
Christian, da solo, con una neonata: era una sfida tutta da vedere. Ma Christian aveva vinto sfide peggiori. E, poi, sapeva che, quando ci si metteva, era una persona attenta e premurosa. Era innamorato del suo piccolo scricciolo, l’aveva dimostrato in tutti i modi possibili.
Mon Cri Cri, guardami” lo chiamò, attirandolo più vicino e facendo in modo che portasse il suo viso proprio di fronte proprio. “Non ti preoccupare, sarai perfettamente in grado di gestire la situazione” lo rassicurò, donandogli nuova forza.
Christian annuì e le sfiorò le labbra con un bacio lieve.
Non vedo l’ora di vedervi tutte e due fuori da questo posto!” confessò.
Amore mio… lo dici a me?” gli rispose Johanna. “Ma sono felice che tu sia qui e non so come ringraziarti per tutto quello che hai fatto e per quello che stai facendo”.
Come… amare la mia famiglia e cercare di aiutarla come posso?” rispose lui, lanciandole un’occhiata densa di significati. “Ti amo” ripeté, confermando la sua dichiarazione con un bacio capace di scatenare una moltitudine di emozioni.
Christian?” gli sussurrò contro le labbra.
Sì?”.
Prendi la borsa della carrozzina e, per il momento, mettici dentro due body, due vestitini e qualche pannolino. Tieni presente che queste cose devono esserci sempre. Poi, va a comprare il latte che ti indicheranno i dottori e una confezione di camomilla in polvere per quando avrà sete. A casa, metti in funzione lo sterilizzatore per i biberon e torna qui, senza dimenticarti la giacca… Fuori fa decisamente freddo…
Christian la fissò immobile: tutte quelle cose da fare solo per tornare a casa?
Johanna sorrise.
Lo so che sembrano tante cose, ma non ti preoccupare: è meno difficile di quello che pensi”.
Ecco fatto: gli aveva di nuovo letto nel pensiero! Sorrise anche lui: era terrorizzato all’idea di doversi occupare da solo di Zoé, ma non poteva, di certo, negare di essere felice, in quel preciso istante.
E così uscì dall’ospedale, intento a portare a termine tutte le commissioni necessarie: borsa, cambio, latte, camomilla, biberon, pannolini, borotalco, crema per arrossamenti… Strano, Johanna si era dimenticata di indicargli queste ultime cose, ma ricordava Hélène, sempre intenta a trafficare con quella strana pomata dalla pasta fibrosa, che diceva servire ad alleviare le infiammazioni da pannolino… E ora toccava a lui… Però qualcosa aveva ancora in mente… Forse aveva ragione Johanna: se la sarebbe cavata, doveva solo iniziare. E, del resto, quand’è che Johanna non aveva avuto ragione? Infagottò la sua bimba dentro il sacco per neonati travato nella cameretta – Johanna aveva pensato ad ogni dettaglio – ed ebbe l’impressione che sua figlia si perdesse all’interno di quel tutone taglia unica, ma adattato alla costituzione di un bambino nato a termine e non, di certo, a quelle del suo scricciolo che, a stento, arrivava a toccare i due chili e mezzo. Arrivò a casa e sistemò la bambina all’interna del seggiolino: era sveglia e i suoi occhietti vispi sembravano voler studiare quel posto sconosciuto, anche se la sua vista non arrivava a tanto.
Siamo a casa, scriocciolo. Io e te” le disse teneramente, avvicinando il suo viso a quello della bambina, per dare modo di farsi vedere. “Che dici, amore? Saremo in grado di cavarcela? Lo sai che papà è tanto felice? Ma ha un po’ paura a stare da solo con te” continuò, facendole una carezza sulla guancia.
Ok, lo ammetto: sono terrorizzato” disse ancora, dopo aver afferrato la cornetta del telefono e aver composto il numero di cellulare di Johanna. Gli era dispiaciuto averla lasciata da sola e, anche se Kate continuava ad aiutarli come poteva, non poteva, di certo, essere onnipresente. Si era sacrificata tanto ed era giusto che pensasse un po’ a se stessa. In fondo, quelle responsabilità erano le sue.
Christian?” lo richiamò Johanna dall’altro capo del telefono. “Ce la farai. Devi solo essere te stesso e tranquillizzarti un po’”.
Vorrei che fossi qui” le confessò.
Lo vorrei anch’io, amore. Non sai quanto”.
E su quella confidenza si salutarono di nuovo, anche se Christian continuò a telefonarle per tutta la giornata, un po’ per quel senso di insicurezza che lo spaventava, ma anche per non farla sentire troppo sola, ora che lui non poteva essere onnipresente di fianco al suo letto.
A sera, si sentiva un sopravvissuto, ma pieno di gioia in un modo che non credeva nemmeno possibile.
Scricciolo… Mi sa che ti abituo male dalla prima sera, ma non ce la faccio a portarti nel tuo lettino e smettere di guardarti” le sussurrò, osservandola mentre dormiva placidamente accanto a lui, nel lettone. “Sai che non pensavo che avrei mai avuto figli, nella mia vita? E poi un giorno, all’improvviso… Come è strana la vita… Eccoci qui: come potrei vivere senza di te, adesso? E senza la tua mamma?”.
Gli brillavano gli occhi mentre carezzava la schiena della sua bambina. Il suo scricciolo, come diceva lui… E, in effetti, sembrava assomigliare proprio ad uno di quei minuscoli uccellini, tutta rannicchiata su quell’enorme letto. Era cresciuta molto dal giorno della sua nascita, ma restava comunque decisamente minuta. E lui non poteva fare a meno di rimirarsela, con gli occhi pieni di amore e di orgoglio per quel piccolo miracolo che gli aveva letteralmente cambiato la vita. Perché adesso sentiva di avere uno scopo: la musica, le fotografie… Tutto era importante, ma ora sapeva di contare veramente per qualcuno. Per la sua famiglia… Adorava ripetersi quella parola: aveva una famiglia… Non credeva sarebbe stato possibile, pensava di aver ormai perso la sua occasione. Spesso si era immaginato il suo futuro e mai aveva visto qualcosa di diverso dal vuoto che riempiva la sua casa, troppo silenziosa per non trasmettere disagio. Gli mancava qualcosa. O, meglio: gli mancava qualcuno. Johanna… Lei era tutta la sua vita. E ora c’era anche Zoé, la rappresentazione vivente dell’amore che lo legava alla sua donna, alla sua Johanna… La vita gli stava offrendo questa nuova possibilità, ora poteva sorridere alla vita, mentre scivolava pian piano nel sonno, accanto alla sua piccolina, totalmente rilassata tra le sue braccia.

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Capitolo 44
*** Nuova forza ***


Com’è andata la prima notte insieme?
Il messaggio di Johanna gli arrivò quando era già intento al cambio pannolino.
La prima notte bene” le rispose lui. “Il risveglio, invece, è stato traumatico: lei era arrabbiata perché aveva fame e io non sono stato abbastanza veloce da impedire che si mettesse a strillare come un’aquila, mandandomi letteralmente nel pallone. Credo di aver rischiato una crisi di panico” scherzò. “E continuo ad essere terrorizzato”.
Sei in gamba mon Cri Cri, io l’ho sempre saputo”.
Era vero: Johanna aveva sempre creduto in lui, anche quando era lui stesso a smettere di farlo. Anche in quel momento. Come sempre.
Non vedo l'ora di poter uscire da questo posto!” esclamò d’un tratto.
Ci ripetiamo, tesoro: anche io non vedo l’ora di vederti fuori di lì. Se non altro, potrei risparmiarmi il cambio del pannolino. Sai? Credo che possa essere considerata una vera e propria tortura dal Governo di parecchi Paesi” continuò a scherzare, sorridendo.
Ah! È così? Mi vorresti a casa solo per evitare di essere costretto a lavare e cambiare tua figlia?” rispose lei, stando al gioco.
Oh, be’… Per quello e anche per qualche altra cosa che adesso non posso spiegare” continuò “ci sono bambini piccoli nella stanza” aggiunse, abbassando notevolmente il tono della voce, come se non volesse farsi ascoltare neppure da Zoé.
Stai avendo pensieri a luci rosse, mon CriCri?” esclamò Johanna, mentre entrambi scoppiarono in una fragorosa risata.
Ti amo” rispose lui, tornando serio. “Te l’avevo già detto?”.
No” disse Johanna. “Non negli ultimi dieci minuti. Ti amo anch’io” ammise poi, dopo un sospiro. Era felice: uno ad uno, tutti i suoi sogni si stavano realizzando. Prima c’era stato il ritorno di Christian, poi l’arrivo della loro bambina e adesso anche la salute stava tornando lentamente ad accompagnarla. A volte, aveva paura che tutta questa felicità non potesse essere reale, ma poi le bastava ascoltare per un secondo la voce del suo CriCri, che non smetteva un attimo di ripeterle un attimo quelle due semplici parole così dense di significato – “ti amo” – per sentire nascere dal profondo un’emozione talmente forte da riuscire nemmeno a descriverla. Dopo tanta sofferenza, la vita stava offrendo una nuova possibilità a tutti e due. In fondo, se lo meritavano entrambi.
Quando Christian arrivò in ospedale, con sua grande sorpresa, la trovò, per la prima volta, seduta su una poltrona.
Wow!” esclamò. “Questa sì che è una novità!”.
Non ce la faccio più, Christian! Voglio andare via da questo posto! Voglio tornare a casa!” esplose Johanna, di rimando, allungando lo sguardo all’interno della carrozzina che Christian stava spingendo per riuscire a salutare sua figlia.
Accidenti, quanta energia! Buon segno!” dichiarò lui, avvicinandosi per posarle uno sfuggente bacio sulle labbra, che ebbe l’effetto di mutare subito lo sguardo imbronciato di Johanna in un sorriso dal sapore tenero e dolce.
È che sono stanca di dover dipendere dagli altri e di non avere abbastanza forze per occuparmi di me stessa, ma soprattutto di lei” ammise, facendo in modo che la sua bambina, sul punto di svegliarsi, afferrasse il suo indice tra le piccole dita della sua manina.
Pazienta” le consigliò Christian, prendendo l’altra manina di Zoé e carezzando, nello stesso momento, il viso della sua donna. “Anch’io non vedo l’ora di poter iniziare la nostra nuova vita insieme, ma fai un passo alla volta. Quello di oggi mi sembra già un enorme balzo. Però è bello vederti così piena di energia”.
Già…” ammise sorridendo. “Ma non puoi capire quanto sia stato meraviglioso fare anche solo questi due passi!”.
Posso immaginarlo” le rispose, specchiandosi in quegli occhi meravigliosi, pieni di una vitalità tutta nuova. “Vedrai che presto potrai tornare a fare tutto quello che vuoi. L’unica cosa che non dovrai fare mai più è di allontanarti da me”.
Quegli occhi, che non avevano smesso un attimo di fissarlo intensamente, brillavano di felicità, mentre lei annuiva a quell’ordine che sapeva, più che altro, di promessa d’amore.
Non ci lasceremo mai più, te lo giuro” confermò, infatti, a parole, catturando le labbra di Christian in un bacio tanto appassionato da togliergli il respiro per un lunghissimo istante.
Li distrassero i lamenti di Zoé, ormai svegliatasi; Christian si rialzò immediatamente in piedi, prendendo rapidamente in braccio la sua bambina.
Ehi, scricciolo! Cosa c’è?” disse tenero, mentre Johanna lo osservava con ammirazione. “Ti senti esclusa, eh?” scherzò, riempiendola di dolci effusioni. “Ma tu lo sai, però, che mamma e papà ti adorano? E che, per esempio, adesso la mamma sta fremendo perché non le ho ancora dato modo di prenderti in braccio?” aggiunse con un sorriso. Lanciò un’occhiata furtiva a Johanna, decisamente colta in flagrante, quindi adagiò la bambina tra le braccia di sua madre.
Penso che cominci ad avere fame” constatò Johanna.
E infatti papà ha preparato per lei un bel biberon di latte, insieme a questo misterioso aggeggio che proprio non riesco a regolare – è sempre tutto troppo caldo o troppo freddo” confessò, armeggiando con un semplice scaldabiberon.
Per Johanna fu impossibile trattenere una fragorosa risata, che finì, ben presto, per contagiare anche lui.
Amore della mamma, non ti preoccupare: ti assicuro che papà è molto più in gamba di così, ma si deve ancora abituare” disse, senza smettere di ridere, alla piccola, che adesso la fissava con gli occhietti spalancati.
Christian collegò alla presa di corrente quel misterioso ed incomprensibile strumento, quindi si voltò di nuovo verso Johanna, osservando il suo sguardo pieno di gioia, la stessa gioia che provava li. Erano in una stanza di ospedale, ma, per la prima volta dopo tanto tempo, Christian si sentiva nuovamente a casa: aveva la famiglia che aveva tanto desiderato, ma che pensava non gli sarebbe mai appartenuta.
Ti ho portato una cosa” disse all’improvviso, rovistando nella borsa che avrebbe dovuto essere esclusivamente di Zoé ed estraendone una bandana colorata, una delle tante che Johanna era solita indossare quando vestiva in abbigliamento casual. Gliela sistemò sulla fasciatura, ormai sensibilmente ridotta, e sorrise osservandola pian piano tornare alla normalità. “Ecco: così va molto meglio”.
Sei gentile, mon CriCri” lo ringraziò lei.
Non è gentilezza” affermò Christian, porgendole il biberon con il latte. “È che mi sfiguravi, nelle foto, accanto a questa meraviglia” scherzò, ottenendo, di rimando, una smorfia infastidita. “Aspetta, aspetta, amore! Rifalla!” la pregò sorridente. “Ma stavolta davanti alla macchinetta…” scherzò ancora, mentre Johanna gli lanciò un cuscino poggiato lì vicino.
Cafone maleducato!” gli urlò dietro, anche se si vedeva che stava, evidentemente, assecondando il gioco iniziato da Christian.
Wow!” esclamò lui. “Complimenti! Ti voglio così: bella reattiva” affermò.
Effettivamente, senza pensarci, aveva avuto una reazione che denotava un forte recupero delle energie, forse più di quanto lei stessa si aspettasse.
Ti amo” le confidò, per l’ennesima volta, Christian, tornando improvvisamente serio e stringendo in un tenero abbraccio sia Johanna che la piccola Zoé, intenta a tirare il latte da quel minuscolo biberon.
Anche io ti amo” disse lei, sfiorando le labbra di quell’uomo per il quale nutriva dei sentimenti così profondi da risultare impossibili da cancellare: CriCri d’amour, il suo CriCri adorato, colui senza il quale non avrebbe potuto più vivere, la persona che le aveva regalato anche quell’angelo che stava stringendo tra le braccia, la rappresentazione vivente del legame che li univa.
Vedrai che le cose miglioreranno presto” disse Christian, riportandola alla realtà. “Tra non molto, tutto questo sarà solo un ricordo e noi potremo raccontare al nostro scricciolo della sua turbolenta nascita e di come la sua mamma abbia dimostrato di avere una forza e un coraggio insuperabili”.
E di come il suo papà abbia dimostrato di essere una persona speciale e di avere un cuore grande. Grandissimo” aggiunse lei. “Non posso più vivere senza di te” ammise, poi.
E io senza di te. E senza questo esserino, che mi ha reso l’uomo più felice del mondo” disse ancora, senza sciogliersi da quell’abbraccio nel quale aveva stretto le donne della sua vita, le persone che, per lui, erano le più importanti del mondo: sua figlia e la donna che gliel’aveva regalata, il grande amore della sua vita. “Ehi, scricciolo!” riprese a dire, stavolta rivolgendosi alla figlia. “Visto che non ti posso lasciare qua, che ne dici? Mi accompagni? Papà deve fare una cosa”.
Cosa?” chiese Johanna.
È una sorpresa…” le rispose Christian, lasciandola con la curiosità.

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Capitolo 45
*** Verso una nuova vita ***


Si può sapere dove ve ne andate sempre a zonzo voi due?” gli chiese Johanna, mentre osservava Christian sistemare Zoé al caldo della sua carrozzina. Erano giorni che faceva così: aveva “da fare”, ma si ostinava a tacere sull’oggetto di tanto impegno.
E chi ti dice che ce ne andiamo a zonzo?” rispose lui.
Sul viso aveva dipinta l’espressione di chi ha chiaramente in mente qualcosa. Era tornato a scherzare, ora che tutto si stava pian piano sistemando. Zoé cresceva in maniera adeguata e, forse conscia di trovarsi ancora sola con un papà che si riteneva imbranato, si limitava a piangere solo quando aveva fame, permettendogli di abituarsi pian piano a questo suo nuovo ruolo, che lo emozionava moltissimo. Johanna guadagnava forza giorno dopo giorno: anche se camminare le costava ancora molta fatica, la sua ripresa era evidente e, insieme al suo corpo, anche il suo spirito era tornato ad essere quello allegro e solare di un tempo.
Fa freddo” constatò Christian. “Dove vuoi che me ne vada in giro con una bambina così piccola?”.
Johanna indirizzò il suo sguardo fuori dalla finestre: la neve caduta la vigilia di Natale era sparita, ma aveva lasciato il posto ad un rigido inverno.
E allora si può sapere cosa stai combinando?” insistette.
No” rispose lui fermamente. “Lo saprai quando tornerai a casa” aggiunse, chiaramente divertito nello stuzzicare la sua curiosità.
Quindi molto presto” continuò Johanna.
Certo, molto presto” la incoraggiò Christian.
Domani” comunicò lei.
Cosa?!” esclamò lui, mentre la osservava annuire sorridendo.
Il dottore ha detto che sto molto meglio e che domani posso tornare a casa”.
Christian rimase a bocca aperta, incredulo davanti a quelle parole che non vedeva l’ora di ascoltare. Forse aveva immaginato così tante volte quel momento che adesso non riusciva a capire se quello che aveva sentito era uno scherzo della sua mente. No, Johanna gli aveva proprio detto che era arrivato il momento di tornare a casa.
Ma è fantastico!” esultò, stringendola forte a sé. Era emozionato, e si vedeva. E questo fece emozionare molto anche Johanna che, quando si sciolse dal suo abbraccio, aveva le lacrime agli occhi.
Lo vedi? Tutto sta tornando a posto” disse Christian, come a sottolineare che ora li aspettava una strada in discesa. “Sono felice” aggiunse poi, intrecciando le proprie dita a quelle di Johanna e sfiorandole le labbra, facendola emozionare ancora di più. “Ma questo è un motivo in più per andare” proseguì. “C’è rimasto poco tempo”.
Johanna lo osservò perplessa infilarsi la giacca e sparire dalla sua vista. Anche se Christian le aveva dimostrato in tutti i modi di essere presente e di sentirsi coinvolto in questa nuova situazione che li vedeva protagonisti, ogni volta che vedeva chiudersi quella porta alle spalle non poteva fare a meno di provare una punta di tristezza. Sentiva il bisogno di averlo vicino a sé, anche fisicamente. E, poi, era incuriosita da quell’aria misteriosa che aveva assunto da qualche giorno.
Christian preparò al meglio la casa di Johanna per accogliere il suo ritorno, quindi tornò in ospedale, la mattina seguente, dopo aver lasciato Zoé insieme a Kate.
Dov’è il mio tesoro?” fu la prima domanda di Johanna quando lo vide arrivare da solo.
Eccolo” rispose lui, alludendo a se stesso, anche se aveva capito perfettamente a chi si riferisse.
Dai, smettila! Sai di chi parlo” continuò Johanna.
È a casa che ti aspetta insieme a Kate, non preoccuparti” la tranquillizzò Christian, avvicinandosi per salutarla con un bacio. “Ma noto con piacere che se contenta di vedermi” aggiunse con ironia.
Oh! Il mio CriCri adorato si è offeso!” scherzò, rialzandosi lentamente in piedi solo per potergli gettare le braccia al collo. “Andiamo, mon CriCri, lo sai che ti amo, non devi dubitarne mai” disse poi, strizzandogli l’occhio e facendolo sorridere, non prima, comunque, di averlo baciato appassionatamente sulla bocca.
Christian fu colto momentaneamente alla sprovvista, ma ricambiò subito il bacio di Johanna. “Ti amo anch’io” le sussurrò quando le loro labbra si staccarono “e da oggi in poi ti proibisco di allontanarti da me” la ammonì.
Allontanarmi io?” esclamò Johanna. “Si dà il caso, mon CriCri, che fossi tu quello che aveva la tendenza a prendere il largo”.
” puntualizzò Christian con fare giocoso “ma ciò non toglie che, negli ultimi anni, tu sei entrata e uscita dalla mia vita almeno tra volte senza apparente motivo”.
Johanna abbassò lo sguardo: il suo CriCri era stato un ragazzino immaturo e, fondamentalmente, anche un po’ egoista, ma, da quando aveva trovato il coraggio di ricomparire davanti a lei dopo dieci anni di assenza, si era sempre mostrato attento e premuroso. Forse era stata lei ad aver avuto paura.
Ehi!” la richiamò Christian, sollevandole il mento con un dito. “Che c’è? Perché sei diventata triste?
Johanna fissò per un lungo istante quegli occhi scuri che amava tanto, quelli che, da ragazza, aveva imparato a leggere così bene da riuscire a comprendere i pensieri più nascosti del suo CriCri con un solo sguardo.
Mi dispiace…” sussurrò.
No, no, no! Smettila subito, amore mio! Non hai niente di cui dispiacerti. È vero, abbiamo dovuto affrontare tanti problemi nella vita, ma pensa solo che, oggi, dopo vent’anni, siamo ancora innamorati come due ragazzini”.
Johanna sorrise a quelle parole. Christian aveva proprio ragione: nella loro vita avevano dovuto affrontare tanti momenti bui, ma lei amava alla follia il suo piccolo fidanzato brontolone. Lo amava dal primo momento che lo aveva incontrato, dal primo abbraccio, dal primo bacio rubato nella caffetteria dell’università. E, in cuor suo, sapeva che, nonostante si fosse sempre affrettato a negarlo, Christian aveva sempre provato gli stessi sentimenti.
Mi ami come quando avevi vent’anni, mon CriCri?” gli chiese, tornando a scherzare con lui, che non aveva smesso un attimo di abbracciarla.
Christian sollevò per un attimo lo sguardo, come a voler trovare le parole giuste da dire, poi tornò a guardarla negli occhi, facendole una timida carezza sulla guancia. “Come quando avevo vent’anni, sì. Forse solo con un po’ più di consapevolezza e un po’ meno paura: oggi sono pronto ad urlare al mondo tutto il mio amore per te. Anzi…” continuò, sciogliendosi da quell’abbraccio per raggiungere la finestra e spalancarla con un gesto deciso “…potrei cominciare proprio adesso. Che dici? Faccio l’annuncio ufficiale?”.
Smettila di fare lo scemo, siamo in un ospedale!” lo ammonì Johanna, non riuscendo a trattenere, però, una fragorosa risata, musica per le orecchie di Christian.
Allora preparati, così finalmente potrai tornare a casa. Hai bisogno di aiuto?” le chiese subito dopo.
Sì… No… Vorrei provare a fare da sola” ammise Johanna.
D’accordo” acconsentì Christian “ma, per qualsiasi cosa, io sono…”.
Sì, lo so, tu ci sei” Johanna finì la frase per lui. “Lo so e ti ringrazio, ma vorrei veramente riuscire a fare qualcosa per conto mio. Va’ a prendere un caffè, ok?” insistette.
Va bene, farò come vuoi tu, tornerò tra qualche minuto”. Christian sapeva benissimo che Johanna non riusciva ad accettare il fatto di dover dipendere dagli altri, lei che era sempre stata una donna così indipendente. Così decise di allontanarsi, giusto il tempo di una colazione veloce, quella che, con lo stomaco così contratto per l’emozione, non era riuscito a consumare a casa.
Johanna si dovette sedere ai piedi del letto, il suo fisico non era ancora così in forza da sorreggere il suo peso più di qualche minuto. Ma non si perdette d’animo, voleva tornare ad essere se stessa e ci sarebbe riuscita. Indossò i vestiti che il suo CriCri aveva sapientemente riposto dentro una borsa da viaggio e si preparò per il suo ritorno alla vita. Quando Christian tornò nella stanza, la trovò in bagno, mentre esaminava la sua figura allo specchio.
Qualcosa non va?” chiese, osservando il suo sguardo leggermente contrariato.
No” si affrettò a negare Johanna, ma sapeva che Christian non le avrebbe creduto, la sua espressione era troppo evidente.
Amore…” riprese a parlare Christian, avvicinandosi e sfiorandole il braccio con le dita, in un debole tentativo di trasmetterle un po’ di sicurezza. “Sei un fiore. Non devi preoccuparti se ancora non ti vedi in splendida forma, stai uscendo da una situazione molto dura. Abbi un po’ di pazienza e vedrai che tutto migliorerà: i capelli cresceranno, le cicatrici spariranno e tu tornerai ad avere abbastanza forza per correre di nuovo per i prati della tua terra, mentre giocherai insieme a Zoé”.
E tu dove sarai, scusa?” gli chiese, immaginandosi, per un attimo, quel futuro così roseo e ormai sempre più vicino e tangibile.
Con te e con la nostra splendida bambina. Dove pensi che possa essere?” le disse, continuando ad accarezzarle il braccio e sfiorandogli le labbra con un bacio. “Vogliamo andare?” aggiunse, cedendole il passo.
Johanna si lasciò guidare verso la sedia a rotelle già pronta ad accompagnarla fino al taxi che li attendeva all’ingresso. Aveva una nuova vita davanti e aveva Christian al suo fianco.

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Capitolo 46
*** A casa ***


Ed eccoci finalmente a casa!” esclamò Christian, aprendo la porta ed aiutando Johanna ad entrare.
Kate le corse subito incontro e la salutò con un caloroso abbraccio, mentre Johanna si guardava attorno sorridendo. Era a casa. Finalmente. Aveva avuto paura di non riuscire più a tornare lì. Invece, adesso si sentiva sicura di sé e felice come mai prima di quel momento.
Guarda chi c’è!” la richiamò Christian che, dopo aver posato la valigia in camera, era corso subito a prendere Zoé dal suo lettino.
Ma… Christian!” lo rimproverò Kate, vedendo che la bambina si agitava tra le braccia di suo padre. “Stava dormendo, poverina!
Non importa, mi perdonerà per averla svegliata” cominciò a dire con aria tenera, mentre si avvicinava a Johanna. “Voglio che festeggi questo momento insieme a noi. Ehi, scricciolo!” continuò, rivolgendosi alla bambina e poggiando, nel contempo, un braccio sulle spalle della sua donna. “La mamma è qui, lo sai? È tornata da noi, finalmente! E sono sicuro che adesso non vede l’ora di prenderti in braccio e non lasciarti mai più. Dico bene?” aggiunse rialzando lo sguardo ed incrociando quello di Johanna, che si affrettò a confermare.
Dici bene, mon CriCri” gli rispose, infatti, prendendo Zoé tra le sue braccia e andando a sedersi sul divano lì vicino. Era ancora instabile sulle gambe e non voleva rischiare di far cadere la sua bambina. “Angelo mio, che ha fatto quel cattivone del tuo papà? Ti ha svegliato mentre dormivi tanto bene?” continuò, con aria scherzosa, per poi tornare ad osservarla con occhi lucidi. “Amore della mamma, ancora non mi sembra vero di essere qui e di poterti stare sempre vicino” disse, abbracciandola stretta, baciandola e coccolandola come se fosse la prima volta che la vedeva.
Dopo pochi minuti, Zoé era di nuovo profondamente addormentata, tranquilla e beata tra le braccia della sua mamma, da dove Christian l’afferrò per riportarla nella sua cameretta, mentre Johanna salutava Kate, in procinto di tornare al lavoro.
Come ti senti?” le chiese quando rientrò nel salone. “Vuoi riposare?”.
No, Christian, sto bene, grazie” gli rispose, invitandolo a sedersi sul divano, invito che Christian accettò immediatamente, prendendo posto accanto a lei e afferrando le sue mani. Non smetteva un attimo di sorriderle, il suo CriCri adorato, e questo le infondeva una forza indescrivibile. “Mon CriCri?” disse all’improvviso, rompendo quell’attimo di silenzio dal sapore così dolce. “Mi dici una cosa?”.
Certo. Cosa?” domandò Christian.
Che cosa stavi combinando, in casa mia, nei giorni scorsi?”.
Christian scoppiò a ridere all’improvviso: sapeva di aver stuzzicato la curiosità di Johanna con il suo comportamento misterioso. A questo punto, sperava solo di non deluderla.
Che cosa stavo combinando? Vuoi saperlo adesso?” ripeté, come nel tentativo di prendere tempo, mentre Johanna annuiva. “Dunque… Vediamo… Ehm…” balbettò, arrossendo. “Diciamo che ho ripensato a qualcosa che ci siamo detti. E spero che…”.
Che…?”.
Christian la guardò negli occhi, poi, come spinto da una nuova forza, le chiese: “Ce la fai ad andare in giardino?”.
Sì, penso di sì” rispose Johanna con aria interrogativa.
A quel punto, Christian le fece cenno di andare e Johanna si alzò dal divano, raggiungendo lentamente la porta finestra che conduceva nel suo giardino. Il patio era completamente sottosopra: il tavolo e le sedie erano state spostate; in un angolo, era accatastata tutta la legna pronta per essere bruciata nel camino e gli strumenti da giardino, solitamente riposti ordinatamente all’interno della casetta degli attrezzi, erano sparsi in giro per i ripiani.
Hai demolito la casetta degli attrezzi, mon CriCri?” chiese Johanna.
Forse”. Christian sorrise divertito. “In un certo senso”.
Johanna gli lanciò uno sguardo interrogativo, ma Christian le fece cenno di proseguire, mentre lui ritornò verso l’interno dell’appartamento, come se avesse dimenticato qualcosa.
La casetta degli attrezzi trovava posto dall’altra parte del prato, sotto un grande albero. Quando Johanna vi si avvicinò, fu sorpresa di trovare, attaccato alla porta, un biglietto che si affrettò subito a leggere: “Ho fatto del mio meglio, ma non sono capace di costruire una casa sull’albero”. Era un chiaro riferimento alla loro gita a Galveston e alla fattoria di nonno McCormick.
Johanna aprì la porta e, in un attimo, tutta la loro relazione le si presentò davanti agli occhi. Appese alle pareti, c’erano le foto che rappresentavano vent’anni di storia vissuta, i momenti divertenti, quelli meno… Si partiva dai tempi dell’università: il garage, la caffetteria, le foto con gli amici. C’erano loro vestiti da piloti, mascherati da vampiri e principesse o in costume, durante una delle tante vacanze trascorse insieme. In un’immagine, il suo CriCri aveva un occhio nero: glielo fece lei, quando si arrabbiò pensando che lui non avesse voluto trascorrere il weekend con lei. In un’altra, Christian l’abbracciava, ma indossava un collare di schanz: erano i giorni successivi alla loro riconciliazione, dopo la confessione del suo tradimento con John. Ce ne era una al bar: Christian era spettinato e con un filo di barba incolta. Era una delle rare volte che l’aveva visto uscire così trasandato, era la prima volta che le aveva detto di amarla. E poi un’altra: erano sempre al bar di Alfredo, festeggiavano… C’erano tutti, compresi Agnés e John: fu quando si ritrovò a flirtare con Tomas Fava, per riuscire a recuperare il contratto che Christian aveva ingenuamente firmato, consegnando a quel viscido produttore i diritti della sua canzone. Della loro canzone. La canzone del loro amore. E, poi, le immagini della loro vacanza insieme, prima della sua definitiva fuga. Un deciso salto di qualità connotava gli scatti successivi, quelli immortalati sull’isola, durante la loro convivenza. E ancora Galveston e Houston, la prima volta che Christian aveva visitato la sua terra natale. E le ultime foto all’ospedale, Zoé appena nata, ancora chiusa nell’incubatrice. E poi insieme a lui, durante la canguro terapia. E insieme a lei, quando, finalmente, si era risvegliata da quel sonno artificiale privo di sogni. E una, in cui erano tutti e tre.
Le gambe di Johanna cedettero sotto il suo peso, ma più per l’emozione provata che per lo sforzo esercitato per sorreggersi in piedi più a lungo di quello che riusciva ancora a fare. Si sedette su uno sgabello di legno, lasciato lì da Christian, e notò che, su un ripiano, c’era un piccolo lettore mp3. Spinse il tasto play e l’apparecchio le rimandò un’armoniosa melodia che accompagnava la voce di Christian. Era una nuova canzone. Una nuova canzone per lei. Christian che le diceva che era la ragione dei suoi sorrisi, la ragione della sua felicità, la sua ragione di vita, il suo unico amore.
Trattenere le lacrime era diventato impossibile.
Christian si affacciò sulla porta quasi timoroso, facendole un timido sorriso. Non appena lo vide, lei si rialzò in piedi, gli gettò le braccia al collo e iniziò a sommergerlo di baci.
Ehi! Volevo farti ridere, non farti piangere!” esclamò Christian, asciugandole le lacrime.
Tutto questo è… meraviglioso!” rispose Johanna. “La canzone è stupenda e tu sei fantastico. E io ti amo tanto” aggiunse, prima di baciarlo con passione.
Anch’io ti amo” le disse Christian, di rimando. “Ti è piaciuta la sorpresa?”.
Moltissimo” gli confermò, continuando a baciarlo. “Grazie. Le tue parole… sono splendide”.
Sai? Ho passato molte ore in questo giardino” prese a raccontare Christian “il giorno che sono arrivato in America la prima volta, quando speravo di vederti fare ritorno a casa. Le parole di questa canzone sono nate così, istintivamente… Poi, sono rimaste in un cassetto per mesi e ora ho chiesto a Nicolas di aiutarmi a metterle in musica. Non è stato facile lavorare a distanza, ma volevo che la canzone fosse pronta per questo momento” spiegò, stringendola forte a sé. “E c’è un’altra cosa, guarda” aggiunse, mettendosi una mano in tasca ed estraendone una scatoletta, che ormai Johanna conosceva benissimo. “Mi avevi detto di ridartelo quando avremmo avuto la certezza che le cose sarebbero andate per il meglio. Be’, possono andare meglio di così?” le chiese, indicando la foto che li ritraeva entrambi insieme alla piccola Zoé, che Johanna si voltò a guardare per un istante, per poi tornare a fissare intensamente gli occhi dell’uomo che amava alla follia. “Tu starai benissimo, noi siamo insieme e ci amiamo da matti e il destino ci ha voluto premiare con un inaspettato dono. Personalmente, ho solo un altro desiderio” disse, prima di fermarsi un attimo per prendere fiato e trovare il coraggio di porle di nuovo la fatidica domanda. “Johanna, mi vuoi sposare?”.
Johanna rimase senza parole. Era insolito per lei e aveva capito perfettamente ciò che Christian stava per fare, nell’attimo in cui aveva tirato fuori dalla tasca l’involucro dell’anello che gli aveva restituito qualche mese prima. Eppure rimase senza parole.
Non dici niente?” fu la domanda di Christian, sorpreso da quel silenzio.
Sì, mon CriCri d’amour! Sì! Certo che lo voglio!” esclamò, prima che un singhiozzo le impedisse di pronunciare altro.
Lo abbracciò forte, più forte che poteva, come se volesse impedirgli di allontanarsi, in qualche maniera.
Ah, bene!” scherzò lui “Perché è la terza volta, nella vita, che te lo chiedo e stavolta vorrei riuscire ad arrivare fino in fondo!”, disse, facendola scoppiare a ridere.
Ti amo” ripeté Johanna, infilandosi l'anello al dito.
Ti amo anch’io” sussurrò lui, contro le sue labbra, prima di suggellare quella promessa d’amore con un romantico bacio che, per un lunghissimo istante, li trasportò letteralmente in un’altra dimensione.

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Capitolo 47
*** La scelta ***


Amore della mamma, che succede?.
Zoé si era svegliata nel cuore della notte e Johanna l’aveva prontamente raggiunta, evitando di svegliare il povero Christian, che si stava rivelando essere un ottimo uomo di casa, a volte un po’ maldestro, ma pronto a far fronte un po’ a tutte le situazioni. Sì, meritava sicuramente un po’ riposo, poverino...
Amore… Scricciolo… Com’è che ti chiama papà? Ma tu lo sai che cos’è uno scricciolo? È un uccellino piccolo piccolo ma con una voce molto squillante” prese a spiegarle con voce tenera, cercando di conciliarle il sonno, mentre la cullava seduta sulla sedia a dondolo. “Sì, papà ha proprio ragione, sei veramente uno scricciolo: tu, così piccolina… però senti com’è squillante la tua voce!” esclamò. “Se continui così finirai per svegliare l’intero vicinato!”.
La distrasse la risata di Christian, che, accortosi della sua assenza, l’aveva raggiunta nella stanza della bambina.
Tutto bene?” le chiese, lievemente preoccupato.
Tutto bene, sì. La nostra piccola ingorda, prima, ha voluto mangiare troppo velocemente, con il risultato che adesso ha un po’ di mal di pancia. Ma non è grave, vero?” spiegò, tornando a rivolgersi quasi subito alla figlia. “Vedrai che tra poco passa tutto” continuò, abbracciandola stretta e carezzandole ritmicamente la schiena.
Mi togli una curiosità?” domandò ancora Christian, dopo essersi accomodato vicino a lei. “Come fai a capire immediatamente se ha fame, ha sonno o sta male? Io mi agito al primo accenno di pianto e non capisco più niente”.
Johanna sorrise.
Tu ti sei sempre agitato per tutto, mon CriCri! Fa parte di te” scherzò. “E poi sei un maschietto e, per voi, funziona molto meglio il metodo empirico, imparate molto di più dall’esperienza. E tu sei bravissimo, non ti preoccupare” lo tranquillizzò, facendogli una tenera carezza sulla guancia. “Forse, a volte, un po’ insicuro. Ma bravissimo” puntualizzò. “Comunque i pianti dei bambini sono tutti diversi, basta imparare a riconoscerli” chiarì.
Gli occhi di Christian brillavano mentre osservava quelli della sua donna, ancora intenta a cullare la loro bambina, che, superata la crisi, si era nuovamente addormentata. Gli era impossibile smettere di guardarle. A volte, aveva perfino paura che tutto quello che stava vivendo potesse rivelarsi solamente un sogno.
Che c’è?” gli chiese improvvisamente Johanna, riportandolo alla realtà.
Niente” le rispose sorridendo. “Siete bellissime”.
Ehm… La bellezza è qualcosa di molto relativo per me” gli disse Johanna, mentre adagiava Zoé tra le candide lenzuola del suo lettino.
Alludeva alla sua condizione, al suo corpo, che portava su di esso i segni della drammatica battaglia che aveva dovuto combattere e dalla quale, forse, non era ancora riuscita ad uscire del tutto. Non era facile tornare alla normalità e, anche in questo, aveva indubbiamente bisogno dell’aiuto di Christian, che non tardò a rimarcare il suo complimento, sicuro di quello che provava per lei, che andava ben oltre un mero apprezzamento fisico.
Dopo aver fatto una carezza e dato nuovamente la buonanotte a sua figlia, infatti, Christian tornò a guardare intensamente la sua Johanna, abbracciandola forte; poco prima, gli aveva dato dell’insicuro, ma anche lei aveva, comprensibilmente, qualche difficoltà ad affrontare tutta la situazione.
Certo, quando stavano insieme, come durante quel lungo e silenzioso abbraccio, tutto era perfetto e tutto era possibile. Non erano fatti uno per l’altra perché si assomigliavano, erano fatti uno per l’altra perché erano complementari.
Ti amo. Ti amo tanto” le disse Christian, poco dopo, sciogliendosi dal suo abbraccio quel tanto che bastava a tornare a guardarla negli occhi.
Anch’io ti amo” gli rispose Johanna con gli occhi lucidi.
Ti posso fare una confessione?” riprese a dire Christian. “Non pensavo che sarei riuscito a dirlo di nuovo, ma sono felice. Sono immensamente felice” confidò, tornando a stringerla a sé.
Johanna si sentì scossa da un forte brivido. Si sentiva così solo quando si trovava tra le braccia di Christian ed era sicuramente lì che voleva restare, per il resto della vita.
Lo baciò con passione e lo invitò a tornare in camera da letto, dove entrambi si lasciarono trasportare dal desiderio che provavano uno per l’altra. Erano mesi che non condividevano un momento così.
Mon CriCri, c’è una cosa di cui non abbiamo ancora parlato” gli disse poi, teneramente accoccolata tra le sue braccia.
Di cosa?” le chiese lui, curioso.
Be’… ecco… Io… Ti amo tanto e ancora non mi sembra vero che tu sia qui, in questo momento, che siamo insieme e che ci sposeremo non appena possibile. Tutti i miei sogni si tanno realizzando ed è fantastico. Ma… mi stavo domandando… Dove vivremo dopo il matrimonio?”.
E dobbiamo parlarne ora, alle due del mattino, rovinando questa meravigliosa atmosfera?” ribatté Christian.
È che… ci ho pensato diverse volte e mi sono posta il problema” continuò Johanna.
Io no. Per la verità, ho accennato alla questione solo una volta con Nicolas, per via degli impegni del nostro studio, ma tutti e due siamo giunti ad una sola conclusione: che era prematuro parlarne perché, innanzi tutto, dovevo pensare a te e alla nostra bambina. In ogni caso, credimi, non esiste nessun problema: non mi interessa vivere in un posto piuttosto che in un altro; ovunque sarete tu e nostra figlia, io sarò lì con voi. E sarò a casa. È con te che voglio stare, dove non ha importanza” disse, voltandosi a guardarla negli occhi.
Non è vero, tutti abbiamo delle preferenze” constatò, allora, Johanna. “Anche io”.
Amore, credimi, per me va benissimo restare qui, se è qui che vuoi vivere. Lo so che sei molto legata alle tue origini e a questa città, che ti ha visto nascere. E a me sta bene, non ti preoccupare” cercò di spiegare Christian.
No, non mi hai capito, mon CriCri” lo interruppe. “Adoro il mio Paese, e tu lo sai, ma io credo che, per noi, il posto migliore sia… la Francia”.
Christian tornò a guardarla con aria interrogativa, mentre Johanna riprese a parlare.
Voglio che torniamo a Parigi” continuò. “Quella è casa tua, lì hai il tuo lavoro e… e poi ci sono gli amici di sempre, che sono sempre stati la nostra famiglia… Sì, sono sicura che quello sia il posto giusto” spiegò.
Sei sicura?” le chiese Christian, mentre lei annuiva con decisione. “Non prendere una decisione affrettata solo pensando a quello che posso volere io
Sì, era sicura. Aveva parenti sparsi per il mondo, ma la famiglia più vera erano quegli amici che erano stati i suoi compagni di studi, i suoi fratelli scelti e i pilastri più resistenti, sempre pronti a sostenerla nei momenti di bisogno. Così come per Christian. Quelle persone che l’avevano fatta sentire a casa in una terra straniera e poi erano rimaste nella sua vita sempre, nonostante la lontananza. Sì, era certa: voleva tornare a Parigi. Voleva che Christian si sentisse a suo agio, nella città che gli apparteneva. Voleva che la famiglia che stava formando insieme a lui e alla loro bambina potesse vivere circondata dall’affetto delle persone che le erano care. Voleva che sua figlia potesse crescere tra quelle persone a cui lei era indissolubilmente legata.
Mi credi se ti dico che è veramente quello che voglio?” domandò retoricamente a Christian. “Sì, voglio tornare a Parigi” ripeté ancora. “Intendiamoci: voglio che Zoé conosca la terra dove è nata e dove sono nata anche io. Questo posto è stato molto importante per me. Ma penso, comunque, di aver fatto la scelta più giusta. Tu che pensi?”.
Penso che qualsiasi scelta tu decida di fare, la farai pensando a ciò che è meglio. Se, per te, la scelta migliore è Parigi, Parigi sia… E così, forse, posso risparmiarmi di approfondire il mio pessimo inglese” scherzò Christian.
Quello, invece, non ti farebbe male approfondirlo comunque. Non si sa mai, domani potrei insegnarlo a Zoé solo per poter parlar male di te a tua insaputa” lo punzecchiò Johanna.
Ah, questo è quello che vorresti fare? Traditrice!” finse di insultarla, mordicchiando in vari punti sensibili la sua pelle nuda e provocandole risate e brividi di piacere.
Christian, smettila!” gli ordinò lei, poco convincente, non riuscendo a smettere di ridere.
Ti amo. Non posso più vivere senza di te” le disse nuovamente Christian, tornando serio e guardandola profondamente negli occhi.
Anch’io ti amo. Ti amo tanto, amore mio” confermò Johanna. “Abbracciami” gli chiese, subito dopo. “Non ci lasceremo mai più” promise, quindi, quasi persa tra le braccia del suo amore, che in quel momento la stringevano forte, facendola sentire protetta e al sicuro come mai prima di allora.

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Capitolo 48
*** E vissero per sempre felici e contenti ***


Johanna, puoi scordartelo! Non mi vedrai mai mandar giù un solo sorso di quell’intruglio che continui a professare miracoloso!”.
Andiamo, mon CriCri, non fare il solito brontolone!” scherzò Johanna “Vedrai che ti farà bene e ti farà passare questo brutto raffreddore” tentò di spiegargli, invano.
Non ci penso proprio! Toglitelo dalla testa!” insistette. “Non pensare che io mi sia dimenticato di quando hai rischiato di intossicarci tutti con la tua tisana indiana!”.
Sì, caro mio” ribatté Johanna “ma, se ben ti ricordi, dopo averla bevuta ti sentisti decisamente bene, depurato da tutte le tossine. Questo decotto” continuò, sollevando la tazza fumante “è un portentoso rimedio naturale. Io lo dico per te, per farti stare bene. Anche perché, se vogliamo essere sinceri, se proprio volessi avvelenarti, mi converrebbe aspettare dopo il matrimonio per farlo” scherzò, lanciandogli un’occhiata allusiva.
Christian sorrise. “Ah, è così? Vorresti farmi fuori? Non so se ti converrebbe tanto” rispose, ricambiando la sua occhiata e lanciandogli un bacio da lontano.
Ragazzi, finitela!” li esortò José, che era passato a trovarli. “Sembra di guardare uno sceneggiato televisivo! Mi sta venendo il diabete a forza di starvi a sentire. Ma non vi stancate proprio mai?”.
No!” risposero all’unisono, sorridendo.
Lo sguardo di Christian si illuminò mentre osservava quello di Johanna, serena, in forze e piena di vita. La sua espressione felice gli faceva battere il cuore. Gli piaceva moltissimo vederla sorridere, magari per la soddisfazione di averlo convinto a fare qualcosa. A volte si divertiva a farla arrabbiare di proposito, con piccoli dispetti, solo per provare la gioia di vedere quei grandi occhi chiari illuminarsi di una luce tutta nuova, non appena si fosse deciso a cedere. Come in quel momento in cui, nonostante non fosse per niente d’accordo, stava per approcciarsi a bere qualche sorso di quello strano intruglio scuro che, a detta di Johanna, avrebbe guarito il suo raffreddore in men che non si dica.
Oh, mio Dio! Johanna! Questa specie di brodaglia calda è una vera schifezza!” esclamò, sorseggiando appena il decotto che Johanna si ostinava a porgergli.
E dai, Brontolo! Quando ti ci metti, sembri più piccolo di tua figlia” si lamentò lei.
Ah, io, eh? E tu allora, miss Capriccio?” ribatté Christian, prima che José, seduto di fronte a loro, li interrompesse, invitandoli a voltarsi indietro con cautela.
Presto! Giratevi!” ordinò “Questa non dovete perdervela!”.
Johanna e Christian si voltarono giusto in tempo per vedere la loro bambina muovere i suoi primi passi, spostandosi incerta tra il divano e la poltrona. Si guardarono negli occhi e non poterono fare a meno di sentirsi orgogliosi per quella nuova vita che stavano costruendo insieme.
Vivevano sotto lo stesso tetto da poco più di un anno e, dall’estate precedente, erano tornati definitivamente a Parigi, nella casa che Christian aveva letteralmente messo nelle mani della sua compagna.
Johanna si teneva costantemente sotto controllo, ma poteva considerarsi effettivamente fuori pericolo e anche i segni che la malattia aveva lasciato sul suo corpo andavano affievolendosi giorno dopo giorno.
Zoé cresceva forte e sana ed era vivace, tenace e testarda come la sua mamma, con quella stessa gioia di vivere che era stata come una linfa vitale nell’esistenza cupa di Christian.
Christian, finalmente, aveva smesso di essere triste, perché, da quel momento e per sempre, non si sarebbe svegliato più in un letto vuoto, troppo grande per una persona sola. Ora aveva uno scopo nella vita. Ora aveva la sua famiglia. E a quella famiglia era pronto a donare tutto se stesso, come mai aveva fatto fino a quel momento. La sofferenza provata nel corso della vita l’aveva profondamente segnato, ma la malattia di Johanna gli aveva fatto comprendere che la sua felicità e i suoi effetti valevano sforzi ben maggiori.
Anche Johanna era cambiata: aveva ritrovato la gioia e l’allegria che l’avevano sempre caratterizzata e aveva anche capito che poteva di nuovo fidarsi del suo CriCri adorato, che poteva donarsi completamente a lui, ora che era certa che lui non l’avrebbe tradita mai più, ora che era sicura che sarebbe stato sempre al suo fianco, affinché potessero sostenersi l’un l’altro ed aiutare la loro bambina a percorre una strada che, ne era sicura, sarebbe stata piena di amore e di felicità.
Mi dispiace interrompervi, ragazzi, ma credo proprio che sia arrivato il momento di andare: Bénédicte ed Hélène ti stanno aspettando. Vuoi che ti accompagni?” si offrì José, rivolgendosi a Johanna, che acconsentì.
No, scusate… Ti stai facendo accompagnare dal tuo ex a scegliere l’abito da sposa?” rimarcò Christian, con una punta di ironia, facendo sorridere sia lei che il loro amico.
La cosa ti preoccupa, Christian?” stette al gioco José.
Mmm… non lo so” rispose, prendendo la sua fidanzata tra le braccia. “Devo preoccuparmi?” chiese a sua volta, rivolgendosi a Johanna.
Penso che ti lascerò con il dubbio” replicò lei, strizzandogli l’occhio e spingendolo via con fare giocoso, per andare a salutare, subito dopo, la sua bambina, raccomandandole di tenere d’occhio il padre. Quindi uscì, insieme a José.
Christian li guardò allontanarsi, poi si mise seduto per terra, accanto a Zoé, pensando a quante cose erano cambiate nella sua vita. Si sentiva emozionato: il suo matrimonio era vicino. L’altra volta non era stato così: quando si era sposato la prima volta era giunto all’appuntamento in municipio come fosse stato un atto dovuto nei confronti di quella donna che sperava soltanto potesse farlo sentire meno solo. Ma non era coinvolto e aveva finito inevitabilmente per ingannare i sentimenti di entrambi. Era stato l’ennesimo fallimento nella sua vita.
In quel momento, invece, era tutto diverso: sentiva le farfalle nello stomaco ogni volta che pensava a Johanna. Aveva sempre deriso chi diceva di provare quella strana sensazione. Quella sensazione, un tempo, lo spaventava, ne temeva le possibili implicazioni. Non aveva idea che provare quella sensazione equivaleva a sentirsi vivo.
Papà!” lo chiamò la sua bambina, distraendolo dai suoi pensieri e alimentando la percezione di quel turbamento, così particolare eppure così piacevole. Non riusciva ad abituarsi nemmeno al suono di quella dolce vocina che lo chiamava sorridendo. Continuava a commuoversi.
Vieni, scricciolo. Giochiamo” le rispose, facendola sedere sulle sue ginocchia e guardandosi attorno con aria soddisfatta: la sua casa era letteralmente a soqquadro, piena di giocattoli colorati e rumorosi sparsi ovunque. Ma non gli era mai sembrata così luminosa e piena di vita. E il suo futuro non gli era mai apparso così roseo.
Gli ultimi giorni prima delle nozze volarono via con una rapidità incredibile, mentre gli sposi erano impegnati a discutere sui preparativi, battibeccando per ogni dettaglio. In fondo, la loro relazione era sempre stata così, piena di continue baruffe, che la rendevano viva e vivace e che alimentavano, giorno dopo giorno, i loro intensi sentimenti.
Organizzarono una cerimonia il più intima possibile, ma, ovviamente, non rinunciarono alla presenza di qualche parente e di qualche amico, che si era unito per festeggiare quel momento insieme a loro. Come Kate, che dopo averli aiutati a ritrovarsi, non poteva fare a meno di essere testimone di questo traguardo che, finalmente, dopo vent’anni di alti e bassi, stavano per raggiungere insieme.
Mentre percorreva la navata della chiesa dove avevano scelto di celebrare le nozze, Johanna faceva ancora fatica a credere che quel giorno fosse davvero arrivato. Avanzava lentamente, contemplando lo sguardo compiaciuto del suo CriCri adorato, che non poteva fare a meno di ammirarla in tutto il suo splendore: l’abito che aveva scelto insieme alle ragazze metteva in risalto tutti i suoi lineamenti più belli e l’emozione che provava in quel momento era così evidente che aveva l’impressione che le gambe potessero cederle da un momento all’altro. La paura, la solitudine e la malattia, finalmente, erano ormai solo lontani ricordi.
Lo sai quante volte ho sognato tutto questo, mon CriCri?” gli confessò Johanna a un certo punto, accarezzandogli le spalle con le mani in un tenero gesto che gli provocò un lungo brivido dietro la schiena. “Pensavo che non avrei mai avuto la fortuna di poter veder realizzato questo mio desiderio”.
E invece siamo qui” le rispose lui, prendendola tra le braccia. “Lo so, qualche volta sono un po’ lento a capire le cose… più di qualche volta… spesso…” scherzò, facendola sorridere mentre annuiva divertita. “Ma, adesso, se c’è una cosa di cui sono sicuro, è che tu e quel piccolo terremoto che ti somiglia tanto siete le persone più importanti della mia vita. E io non posso più pensare ad una vita senza di voi. Ti amo, Johanna” continuò, stringendola ancora più forte ed avvicinando il suo viso a quello di lei, fin quasi a sfiorarlo. “E ti prometto che, qualsiasi cosa succeda, mi troverai sempre al tuo fianco”.
Anch’io ti amo, mon CriCri” gli confidò lei. “E ti prometto che, se un giorno ci sarà un problema, ne parlerò con te e non scapperò più”.
Bene” assecondò Christian “perché siamo una famiglia”.
Siamo una famiglia” ripeté Johanna, commossa e con gli occhi pieni di lacrime. “Ancora non mi sembra vero”.
Posso farti una confidenza?” le chiese, mentre la vedeva annuire. “Nemmeno a me!” esclamò, facendola scoppiare a ridere e sfiorando le sue labbra in un tenero bacio sfuggente. “Invece è così. E vedrai che questo giorno memorabile non sarà che il primo di una lunga vita insieme, una vita che sarà sicuramente piena di gioia. Abbiamo sofferto tanto; è arrivato anche per noi il momento di essere felici, non trovi?”.
Johanna fece un gesto di assenso con il capo, poi si strinse forte tra le braccia del suo CriCri adorato, un attimo prima di catturare le sue labbra in un bacio carico di tutto quel sentimento che si portava dentro.
Per un attimo, ripensò a quelle favole che le venivano raccontate quando era bambina e che adesso lei raccontava a sua figlia: in quelle favole, c’era sempre una principessa, che sposava il suo principe azzurro e che viveva con lui felice e contenta. Da bambina, aveva immaginato tante volte di essere una di quelle principesse. Mentre baciava il suo CriCri adorato, carezzandogli i capelli e sentendo piacevolmente scorrere le sue mani lungo la sua schiena, pensava che anche lei aveva finalmente trovato il suo principe azzurro e aveva coronato con lui il loro sogno d’amore. Adesso sì, adesso ne era sicura: come le principesse delle favole, anche lei avrebbe finalmente vissuto al fianco dell’uomo che amava alla follia e che aveva dimostrato di provare un sentimento di pari intensità. Avrebbe vissuto felice e contenta. Per sempre.

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