Ascolta la mia storia

di AlfiaH
(/viewuser.php?uid=218051)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ascolta la mia storia ***
Capitolo 2: *** Our Pride ***
Capitolo 3: *** Without love, without freedom ***
Capitolo 4: *** Old and Buried Hope ***
Capitolo 5: *** Deux Faces ***



Capitolo 1
*** Ascolta la mia storia ***


Titolo: Ascolta la mia storia
Pair: NedNor/NetherlandsXNorway
Reading: Verde
Fic: Oneshot
Pov: Norway-Netherlands
Avvertimento: Nella mia testa la croce di Norvegia è un regalo di Danimarca e la sciarpa di Olanda è un regalo di Spagna.


Le dita sottili del norvegese scorrevano lungo le pagine un po’ ingiallite, una dopo l’altra, ne tastavano la consistenza ed il volume stesso dell’inchiostro scuro, talvolta.  Le accarezzava e le voltava avidamente, malgrado non lo desse a vedere, chiuso nella sua apatia e nel suo silenzio, ne divorava le parole, le rileggeva e le gustava, una ad una, ne pesava il valore e ne giudicava l’adeguatezza.
Ogni termine, ogni rigo, era prezioso ed andava valutato, ogni periodo troppo lungo gli faceva trattenere il respiro, ogni punto diventava oggetto di riflessione.
 


"Era sempre così sfuggente che, a lungo andare, desiderai di rincorrerlo.
Agognavo di raggiungerlo, di toccare la sua anima, di tenerla con me per sempre.
Desideravo entrare nella sua vita, essere la sua vita.
Fu la mia rovina.
Fu come vedere un muro, all’improvviso, un enorme muro ghiacciato, e desiderare di sbatterci la testa, più e più volte. All’infinito.
Per lui, solo per lui, l’avrei fatto. Volevo farlo.
Fin quando il mio spirito avesse avuto un briciolo di vita e l’ombra di un battito nel petto"


 
L’odore di colla ed inchiostro diventava sempre più intenso con l’andare delle pagine, più nuove e perfette rispetto a quelle iniziali, quasi sporche e raggrinzite. La grafia, a tratti elegante e precisa, diventava instabile e nervosa, raccontava la storia meglio di quanto potesse fare il significato stesso delle parole.
E Lukas se ne accorgeva, conosceva la natura di quell’uomo, così solo e solitario, autore di alcuni dei romanzi della sua vastissima biblioteca personale, poteva interpretare perfettamente ogni segno, ogni sbalzo di umore nella scrittura, ogni macchia di inchiostro dovuta all’incertezza.
Era questo che, più di ogni altra cosa, amava dei libri.
Non la trama del romanzo né il linguaggio forbito, il lessico ricco.
Quello era il contorno, gli adorni, l’apparenza.
Lukas amava provare sulla sua pelle la malinconia, la rabbia, l’eccitazione, la gioia della mano che aveva scritto.
Amava avvertire le ansie e le paure dei personaggi, le stesse degli autori.
Lukas amava leggere. Perché solo leggendo poteva sentire.
 


"La sua pelle era ciò di più bello che avessi mai visto. Candida, fredda, ferita.
La osservai a lungo mentre si rivestiva, ogni tratto, ogni brandello di carne, ogni linea, ogni cicatrice.
Armonico, perfetto.
Anche i suoi capelli erano chiari, morbidi, fissati da una croce dorata da cui non si separava mai, alla quale, ossessivamente, si aggrappava.
Più volte gli chiesi cosa fosse, più volte non ebbi risposta.
Col tempo capii cosa significasse per lui, il dolore che si ostinava a tenere con sé.
Era come me, non desiderava essere libero.
«Solo portando con te il ricordo della sofferenza puoi evitare di soffrire ancora una volta»"
 


Minuto dopo minuto il silenzio diventò tensione, la tensione si tramutò in ansia, Ian faticava a tenere fermo il proprio cuore;  gli mancava il sapore del tabacco.
I suoi occhi seguivano l’espressione del norvegese, impenetrabile come al solito, ne studiavano i mutamenti, tentavano di analizzarne i movimenti, di capirne le opinioni. Non era semplice.
Aveva sempre quell’aria assorta quando leggeva, non era facile decifrare i suoi pensieri, ma l’olandese ricordava ancora a memoria ciò che aveva scritto e poteva immaginare quale fosse il capitolo, il paragrafo, la frase che gli aveva fatto arricciare il naso, quella che gli aveva fatto mordere il labbro, che gli aveva fatto chiudere gli occhi per un attimo appena più lungo.
Per quanto Lukas potesse apparire incomprensibile, Ian riusciva a cogliere quel lungo battito di ciglia, il piccolo spasmo delle dita, il sospiro più trattenuto.
Ciò era possibile soltanto grazie ad una meticolosa osservazione, se ne rendeva perfettamente conto, ma, d’altro canto, non aveva mai nascosto nulla, né al nordico né a se stesso.
 


"I suoi occhi sembravano spenti, rassegnati, privi di luce, privi di anima.
Gli dicevano di sorridere di più, io non volevo che lo facesse.
Era bellissimo così, con la sua croce e le sue catene d’oro.
Le stesse che avevo anch’io, le stesse di cui non ci saremmo mai liberati, pur possedendone la chiave.
Il rancore, la rabbia, la tristezza, la paura, il passato.
Quel giorno baciai la sua croce e avvolsi la mia sciarpa attorno al suo collo.
Presi la sua mano."
 


Quando Lukas chiuse il libro Ian lo stava ancora fissando, in silenzio, in attesa, con la sua pipa finalmente tra le labbra.
Nessuno si azzardava ad aprir bocca.

« Hmh »
 
Fu soltanto un soffio dalla sfumatura altezzosa quello del norvegese che, ancora con le gambe accavallate, poggiò il volume sul tavolino accanto alla poltrona sulla quale era comodamente seduto. L’olandese inarcò entrambe le sopracciglia.

« Tutto qui? »
 
« E’ apprezzabile»
 
Quando finalmente il lettore sollevò lo sguardo, i suoi occhi erano ancora lì, imperterriti ed indagatori, glaciali come sempre, appannati un po’ dal fumo; non erano delusi.
Col tempo aveva imparato ad accontentarsi, il neerlandese, degli sforzi – perché era uno sforzo, effettivamente, pronunciare qualcosa che non assomigliasse ad una critica – che il nordico compiva per non sputare veleno come era solito fare.
Gli venne da sorridere quando l’altro si alzò, leggermente rosso in viso e l’espressione apatica, sfilandosi la croce dai capelli e porgendogliela.
 
Ian amava scrivere.
Amava scrivere perché soltanto in quel modo riusciva a tirare fuori ciò che, impresso nel fondo, c’era nel suo cuore, troppo difficile da esprimere con le parole.
Ian amava scrivere perché soltanto scrivendo poteva raccontare le sue emozioni.
E c’era sempre qualcuno, lì fuori, pronto ad ascoltarlo.
 
Si alzò in piedi e si tolse la sciarpa, allacciandogliela attorno al collo.
 
E allora le parole non servirono più.
 
 


"« Alla mia Luce.
Che mi ha ascoltato più di quanto abbia fatto chiunque altro.
Unicamente, solamente, leggendo i miei romanzi »"
 
 
 
#Angolo della disperazione
Salve a tutti! Non so mai cosa dire nel mio angolino, argh.
In ogni caso, ho deciso di fare una raccolta di crack pairing /anche su richiesta/ partendo dalla NedNor che mi piace molto.
Sono così... Belli.
La parte scritta in corsivo sono frammenti del romanzo di Olanda /che non esiste LOL/
E il passato a cui si riferiscono è quello con Danimarca per Norvegia e quello con Spagna per Olanda.
Sono così simili, li adoro.
Btw, se avete una coppia di cui vorreste leggere qualcosa ma che non viene cagata da nessun essere vivente e non, chiedete pure.
I'm here for ya <3
Un biscotto a chi ha letto!
AlfiaH <3

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Our Pride ***


TitoloOur Pride
PairPruLiet/PrussiaXLituania
Reading: Giallo
Fic: Oneshot




Le fiamme scoppiettavano, rosse e gialle, si abbassavano, ardevano il legno e crepitavano sotto il tocco del ferro scuro e caldo, tornavano verso l’alto, allora, minacciate dalla piccola figura, smunta e pallida, rannicchiata su se stessa, le ginocchia al petto e il braccio proteso verso il camino.
Più di una volta aveva pensato di chiudere gli occhi e di abbandonarsi al dolce tepore di quel fuocherello, più di una volta era stato costretto a scartare l’idea; era rimasto vigile, con le palpebre pesanti che si adagiavano, trascinate dal calore, e si spalancavano subito dopo, come in preda a degli spasmi, allarmate da brividi del terrore più puro.
Quel bambino, che ora lasciava cadere il pesante ferro tra le fiamme e ora, frenetico, lo raccoglieva, aveva rappresentato, e da tempo non rappresentava più, l’ultimo baluardo di speranza e di innocenza di quella famiglia, grande e maledetta.
Solo il lampeggiare del camino e il battere incessante del coltello sul tagliere sembravano cosa umana in quella stanza.
Persino Yekaterina aveva rinunciato alla pietà e alla compassione, e ora se ne stava in silenzio e con la schiena curva, dei ferri e della lana tra le mani callose, gli occhi lucidi e rassegnati.
Non piangeva.
Anch’ella, col tempo, aveva imparato a non vedere, a non sentire, a mettere da parte l’umanità materna che, anni addietro, aveva salvato molte vite e confortate molte anime.
Non osava alzare lo sguardo, seduta sulla sua seggiola, verso l’estone che preparava la cena con mano tremante, né lo abbassava, tutt’altro, timorosa di incontrare quello della sorella minore, seduta ai suoi piedi.
Li sentiva, quegli occhi, li sentiva su di sé, le penetravano le ossa, la mettevano alla prova, parlavano.
“Se parli, lo dirò al fratellone”, dicevano. Yekaterina li ascoltava e le sembrava di impazzire.
 
« Was zum Teufel…* »
 
Dei passi si fecero pesanti sulle scale, feroci, arrabbiati.  A Natalia venne da sorridere.
Ad Ivan non piaceva che si parlasse tedesco in casa sua, a Natalia non piaceva Gilbert.
Il suo egocentrismo fuori luogo, la sua risata soffocata, il suo ghigno provocante.
La predilezione di Ivan nei suoi confronti.
Sperava e contava di liberarsene presto, in un modo o nell’altro, che, anzi, fosse il fratello stesso a liberarsene, a reputarlo insopportabile. Dopotutto il prussiano sembrava davvero deciso a collaborare al’intento, con la sua arroganza e la sua presunzione.
 
 
« Si può sapere chi è l’idiota che osa interrompere il mio sonnellino di bellezza? Di chi sono queste urla? Scommetto che è tutta colpa di quel ciccione di un nasone bastardo » .
 
Le sue domande si infransero, inevitabilmente, contro un muro fatto di omertà; non ebbero alcuna risposta.
Né uno sguardo né una parola per la sua persona.
Bisognava compatire il nuovo arrivato, lui ancora non conosceva le regole.
 
La prima cosa che aveva pensato Prussia, subito dopo “che puzza di russo”, entrando il quella casa, fu “questo è il regno dei matti”. E, benché fosse passato qualche giorno e Lituania gli avesse, a malincuore, dato qualche dritta, ne era ancora fermamente convinto, non tanto per i tre poveri sguatteri quanto per quell’accoppiata vincente di fratello e sorella, il russo e la bielorussa, uno più pazzo dell’altra.
Pazzi, pazzi per davvero.
Pazzi ed irrispettosi, in verità, soprattutto nei suoi confronti.
 
Il piccolo Lettonia era rimasto accucciato accanto al fuoco, Estonia ormai aveva tagliato tutte le carote della cantina, Ucraina non ricordava più a cosa stesse lavorando, se ad una sciarpa o ad un pigiama.
Bielorussia finse di non notare la sua presenza per principio.
 
Altre grida attraversarono i corridoi, Gilbert trasalì nel riconoscere la voce dell’amico, o ciò che erano diventati in quei pochi giorni di convivenza, che mancava al felice, o pressappoco, quadretto familiare insieme al russo.
 
L’albino non era un moralista, certo che no, né un maniaco della giustizia, tutt’altro. Era stato il primo, in realtà, a cominciare con i massacri e con le urla e non aveva più grande ambizione di terminare la sua vita con quest’ultimi, grande e potente come mai.
Egli stesso aveva ucciso e trucidato e mai, mai aveva trovato alcunché di disonorevole nel farlo.
Farlo avrebbe significato ammettere di aver sbagliato e il magnifico Prussia non sbagliava mai.
 
Eppure qualcosa si mosse dentro di sé, qualcosa lo fece scattare, che scambiò o preferì camuffare con il semplice egoismo, la paura di perdere l’unico appiglio, l’unica possibilità di comprensione.
Perché Toris poteva capirlo, poteva aiutarlo, malgrado non avesse mai ammesso di averne bisogno.
Toris sapeva cosa comportava vivere in quella casa, più di chiunque altro; cosa significava essere considerato un giocattolo, un mero passatempo di un pazzo.
 
Fu per questo ed unicamente per questo, si convinse Gilbert, che si precipitò di nuovo lungo il corridoio, che scavalcò le scale con un balzo, che seguì il dolore fino a trovarne l’artefice.
Quando spalancò la porta, il puzzo di sangue gli divenne insopportabile.
 
Il lituano era girato di schiena, completamente nudo, coperto di rosso; tremava. Senza orgoglio, senza dignità, piangeva. Implorava.
 
Non fu orrore né pietà che fece arretrare l’albino.
Fu la più mera paura ciò che vibrò nelle sue vene. Di essere ridotto in quello stesso stato, di non avere la forza per sopportarlo.
 
« Che c’è, coniglietto? Sei geloso? » chiese il russo, avvicinandoglisi, la frusta insanguinata ancora sgocciolante,  ma la sua mano venne scacciata con un ringhio, con rabbia.
Sollevò lo sguardo, il prussiano, fiero come sempre, scacciando quell’idea malata dalla mente, e lo superò con irriverenza. Si sfilò la giacca, la poggiò sulle spalle del lituano in ginocchio, il capo chino e umido.
 
« Grazie, Prussia… »
 
E mentre lo aiutava ad alzarsi, sotto lo sguardo perplesso del padrone di casa, Gilbert capì.
 
Capì l’immane differenza che c’era tra lui e Toris, tra lui e quella famiglia di matti.
Capì che per ogni volta che lui avrebbe lottato, loro si sarebbero sottomessi, irrimediabilmente.
Capì che alla fine, nonostante tutto, lui sarebbe morto, Toris se ne sarebbe andato.
Allora avrebbe fatto da appiglio, da speranza a tutti loro, stolti e privi di orgoglio.
*Gli avrebbe insegnato a lottare.
 

 *"ma che diavolo" in tedesco
*"Gli" è riferito a Toris, non è un errore involontario.


#Angolo della disperazione
che dire? Mi dispiace di averci impiegato così tanto per questo capitolo,
purtroppo la scuola è davvero una gran rottura e gli amici anche /vi voglio bene u.u/.
Spero che questa storia ti sia piaciuta, Princess, e mi scuso in caso contrario.
Mi sembrava carino mettere in luce questo aspetto di Toris e Gilbert che rispettivamente combacia ed entra in contrasto con gli altri personaggi.
Mi scuso ancora per il ritardo e per la poca originalità ;A;
Se qualcuno ha da richiedere qualche crack, lo faccia pure!
Un biscotto a chi recensirà,
AlfiaH <3

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Without love, without freedom ***


Titolo: Without Love, Withour Freedom
Pairing: FrAus/FranceXAustria
Reading: verde
Fanfiction: oneshot
Nota: mi sono permessa di scrivere la fanfiction con Fem!France e Fem!Austria anziché con le versioni normali. Qualora la cosa infastidisse la richiedente della storia, non esiterò a modificarla!


La luce delle candele vibrava, come scossa dal vento, ad ogni risata troppo sguaiata malamente coperta dai ventagli ricamati, seguiva il tintinnio dei cristalli freddi e lucenti che sembravano acquistare vita e riscuotersi unicamente per avvertire dell’esagerazione della festa che, di per sé, pareva volesse scuotere e ravvivare dalle fondamenta ogni corte parigina.
Le dame e i cavalieri, però, non vi badavano o non volevano badarci; Perché avrebbero dovuto, del resto?
La vita passava felice sotto i loro nasi all’insù, scorreva nello champagne ed era lo champagne stesso, simbolo di classe e nobiltà, più di sangue che di spirito.
Era diventato ormai uso comune, da poco tempo a quella parte, in verità, con l’arrivo della nuova regina, - che dovesse arrivare, poi, da un altro paese non era mai andato giù a molti, in realtà, presi da un improvviso patriottismo e da profondi ideali -, che conti e marchesi indossassero maschere e mantelli per socializzare tra di loro, non per altro.
Capitava, delle volte, che anche la regina, così giovane ed ingenua, ben mascherata, si trovasse a socializzare con l’uno o l’altro duca, facendo scalpitare i giornali e causando una poco teatrale alzata di spalle del re che, davvero, non sapeva cosa farci se la sua consorte era un’ammiratrice del carnevale veneziano.
Così accadeva che, lì a Parigi e non solo, qualcuno sparlasse e mettesse in giro voci sulla famiglia reale. Allora la delfina austriaca s’infervorava, accigliava il suo bel visino e il re l’accontentava, in un modo o nell’altro, giustificandone i capricci.
François, veramente, lo trovava esilarante.
Dopotutto l’aveva sempre saputo, quello era stato un grave errore. Tutto stava, ora, nel capire fin dove si sarebbe spinta quella ragazzina viziata ed immatura, così bella e preziosa.
 La sua rovina.
La francese ne era rimasta ammaliata, inizialmente, come il resto del suo popolo, l’intera Francia, e profondamente delusa, in seguito, scoprendola un magnifico guscio vuoto.
Quanta rassegnazione c’era nei suoi occhi velati di alcol, mascherati dall’eccitazione di un nuovo incontro, rapiti da ciò che di più bello avesse mai visto, di estraneo.
Se ne stava in un angolo, una maschera nera e dorata a coprirle il volto, i capelli lunghi e scuri che scendevano morbidamente sulle spalle e sul seno, le braccia lungo i fianchi e l’aria assorta, concentrata.
François la trovava bellissima.
Chiunque fosse quella dama misteriosa, quella sera le aveva catturato lo sguardo e il cuore e sembrava volerli tenere prigionieri ancora un po’ data la testardaggine e l’orgoglio con cui si ostinava a non voler ricambiare le occhiate amichevoli della francese.
Solo una volta era riuscita ad incontrare i suoi occhi, attraverso il liquido chiaro del suo bicchiere di cristallo, e le erano sembrati crudeli, color della lavanda, bellissimi.
Quella dama non ballava.
La parigina l’aveva osservata per tutto il tempo, l’aveva vista rifiutare decine di inviti. Era rimasta in piedi, imperterrita, guardandosi attorno.
François non aveva osato avvicinarsi.
Aveva preferito ammirarla da lontano, studiarne i modi e il portamento, affogandone il ricordo in un bicchiere di champagne e riacquistandone subito dopo, cercando invano la sua attenzione, più per compiacersene, in realtà, che per effettivo bisogno.
Fu quando, riportando il bicchiere alle labbra rosse, la sua utopia sparì nel nulla che spalancò gli occhi blu, allarmata, e, come chi si risveglia e si rialza dopo un lungo inverno di delusioni, si alzò e andò a cercarla.
Fu l’alcol, probabilmente, che si mosse al posto delle sue gambe o il desiderio inarrestabile, il masochismo, di vedere sfuggirle di mano qualcosa di bello, ancora una volta.
 
« Mademoiselle ».
 
La ritrovò girata di spalle, lo sguardo incatenato allo specchio della fontana, e il suo cuore fu insicuro quando ella si rifiutò di voltarsi e non le rispose.
 
« Stava cercando qualcuno? »
 
Tentò ancora, cercando di assumere un tono più caldo, più languido, come quello che aveva di solito, quando le preoccupazioni non l’affliggevano o non sembravano affliggerla per niente, quando era sobria, durante il giorno, e pareva non vi fosse nulla e nessuno che potesse scalfire l’ego e l’altezzosità, i modi raffinati e l’ammiccamento facile di quella donna, di quella nazione, grande e piena di sé.
 
« Indubbiamente non lei, miss », rispose, in un francese impeccabile, benché avesse ricalcato col tono l’accento dell’ultima parola che ben poco lasciava all’immaginazione la sua identità nazionale.
Non si lasciò scoraggiare dall’ironia pungente e le si avvicinò, lasciandosi sostenere dall’aria fredda che, almeno in parte, contribuiva a tenere a bada il calore dello champagne che ancora ribolliva e ancora per molto le sarebbe ribollito in corpo.
 
« Lei è austriaca, non è vero, mademoiselle? Proprio come la nostra regina », sussurrò e lasciò cadere la frase, ad un centimetro dal suo orecchio, come per intendere ed insinuare, avvolgendole un braccio attorno alla vita magra e fasciata dal vestito chiaro. « Qui fuori si gela… »
Come da copione, non riuscì a terminare la frase che l’austriaca si voltò,  per divincolarsi da quell’abbraccio languido e fuori luogo, e rimase intrappolata, col braccio a mezz’aria, dalla stretta della bionda parigina.
 
Ne aveva bloccate così tante di braccia, quella donna, che ormai aveva smesso e perso la voglia di contarle, di fanciulle imbarazzate e timorose, il suo genere preferito. Non vi era altro divertimento per lei se non questo da quando il suo Cavaliere era morto, quasi trecento anni prima.
 
« Mi lasci andare. E mi dica, di grazia, cos’ha contro la vostra regina. Le crea affanni che sia austriaca, per caso? » Sibilò con astio, ricevendo di rimando unicamente un sorriso compiaciuto.
 
« La sua regina mi ha spezzato il cuore, mademoiselle. Ma, ahimè, mi sono scoperta un’amante del dolore e ho ceduto il cuore ad un’altra austriaca », affermò teatralmente.

« Lei non prende l’amore molto sul serio, non è vero? Suvvia, mi lasci andare. Vada ad importunare qualcun altro ».
Le sue labbra erano così vicine, il suo viso così candido. Fu tentata di baciarlo, mille e mille volte, ma ancora lì vi erano i suoi occhi, sempre così crudeli, indagatori. Sembravano volerle scrutare l’anima, la paralizzavano.
 
« Se la lascio, fuggirà via, mademoiselle? »
 
La dama mascherata sollevò il volto, lapidaria.
 
« Fuggire è da vigliacchi, miss. E lei, in verità, non mi fa alcuna paura. I suoi occhi sono spenti, la sua anima è triste. È in cerca di avventure, non è vero? Qui non ne troverà ».
 
Il vento fece increspare l’acqua e rabbrividire i fiori, portò con sé il profumo di cioccolata dei capelli scuri e lo mischiò a quello dei suoi, dorati come il grano; gelò il sorriso della francese e accese vittoria nello sguardo dell’austriaca che, con un gesto secco, si liberò dalla tela e volò via.
François si perse, per un instante, senza parole.
I suoi occhi si inumidirono di pianto trattenuto, ancora e ancora, di anni di eccessi e frivolezze, più per il liquore che, da sempre, rendeva il suo spirito fiacco e fragile, che per le parole, seppur taglienti come lame,  della dama che sin da subito aveva sentito di conoscere.
 
Francia sentiva il popolo piangere dentro di sé, l’odio della nobiltà pervaderle il corpo, la solitudine affliggerla, la guerra imperversare.
Avvolta nel suo sfarzoso vestito, ingioiellata di diamanti, circondata da risate, sentiva di non avere nulla.
Aveva perso il suo amore nel fuoco e aveva corrotto il suo cuore col fuoco stesso.
Si lasciò cadere e strinse le palpebre, bagnando le ciglia lunghe nelle sue stesse lacrime.
 
« E se stessi cercando l’amore, madamoiselle?»
 
« Se ciò dovesse avvenire, miss, venga pure a trovarmi a Vienna. Sarò felice di accoglierla nella mia dimora», disse in modo cordiale, porgendole un fazzoletto finemente ricamato.
 
Ma quanto François sollevò lo sguardo per ringraziarla, la dama mascherata era già lontana.


#Angolo della disperazione
Allurs, eccoci alla terza fanfiction! 
Ringrazio Princess L e Mademoiselle Nobs per aver recensito e spero di aver esaudito al meglio le loro richieste ;A;
Detto ciò, lascio un biscotto a tutti voi che avete letto fin qui e vado a nanna Suvvia, non siate timidi! *lancia biscotti*

 
 
 
 
 
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Old and Buried Hope ***


Titolo: Old and Buried Hope
Pair: Germerica/GermanyXAmerica
Reading: Verde
Fic: Oneshot/flashfic (poco più di 500 parole)
Pov: Germany
Avvertimenti: AU! Seconda Guerra Mondiale




« Perché mi stai aiutando?»
Quella voce che era stata così potente mentre dettava gli ordini, baritonale mentre urlava di fare fuoco, adesso pareva essersi affievolita, trasformata in un sussurro inglese, il sibilo di un uomo stremato, ferito dalla battaglia più nell’orgoglio che nelle carni, dagli occhi spenti e vuoti. Cosa lo avesse spinto, minuti prima, ad implorare pietà, a chiedere aiuto ad un nemico, ad un ragazzino, neppure lui lo sapeva. Oppure lo sapeva e fingeva volutamente di ignorarlo.

« Perché mi hai chiesto aiuto ».

La testa gli doleva così tanto, le palpebre erano talmente pesanti che quasi faticava a realizzare come le sue gambe potessero ancora seguire l’andatura veloce ed incalzante di quel ragazzo che, ai suoi occhi, non era e non poteva essere un soldato.

« Sono un tuo nemico ».

Alle loro spalle ancora vi erano le tracce, le orme insanguinate nel terreno della guerra, l’aria ardeva di proiettili di Thompson e Maschinenpistole e il silenzio incombeva minaccioso, come incombe sempre prima di una battaglia.
C’era poco tempo e l’americano aveva fretta, non si era fermato neppure un attimo, o forse lo aveva fatto nel momento in cui aveva chiuso gli occhi. Forse stava scappando, Ludwig non sapeva ben dirlo.
 
« Sei un uomo ferito che mi ha chiesto aiuto. Non importa che tu sia tedesco o americano ».

Finalmente la corsa si arrestò, l’americano lo aiutò a sedersi e strappò velocemente un lembo della propria giacca per fasciargli il braccio destro, orribilmente mutilato.
Ludwig non era certo di aver capito bene, un po’ perché non comprendeva a pieno l’inglese, un po’ perché il dolore lancinante che aveva provato allo sfregare della stoffa sulla ferita gli impediva di ragionare.
Digrignò i denti, chiuse gli occhi.
 
« Ho fatto cose orribili, non merito di vivere ».

E ne aveva fatte davvero in quegli ultimi cinque anni, davvero troppe per espiarle tutte.
D’altro canto non era altro che un semplice soldato, uno tra migliaia. Chi si sarebbe accorto di lui? Chi gli avrebbe attribuito la colpa? Che differenza avrebbe fatto?
Non aveva esitato un attimo ad implorare per avere salva la vita, non aveva fatto nulla per salvarne migliaia.
Una lacrima gli scivolò sul volto e Ludwig seppe di non essere forte.
 
« Questo lo lasceremo decidere all’Onnipotente, amico. Se deciderà di non farti schiattare, allora sarà senz’altro la cosa giusta. Tutti meritiamo una seconda possibilità! Ora, tieni questa. Quando arriveremo al campo non aprire bocca ».
 
Decise di non badare alle sue parole; erano prive di senso, inutili, gettate al vento. Gli americani avevano quella mania di considerare la giustizia un fattore divino, seppur esercitata dagli uomini. Contestarlo non sarebbe servito a nulla. Gli infilò la giacca della propria divisa e la corsa rirpese.

« Sei… Sei un bravo ragazzo. Perché ti sei arruolato? »
« Per salvare il mondo!»

Gli venne da sorridere.
A lui che ogni momento non sembrava opportuno, che trovava sempre una scusa per non farlo, che non lo faceva mai, in ogni caso, troppo imbarazzato, troppo occupato, troppo a disagio.
Ora brillava di vecchia e sepolta speranza.

« Già… Anch’io mi ero arruolato per questo ».

Quando varcarono la soglia del campo l’americano si voltò a guardarlo; anche i suoi occhi lucevano.

« Hey, questo sembra proprio un american smile! »
 
E allora Ludwig seppe che un soldato tra migliaia avrebbe salvato il mondo.
 
 
 
#Angolo della disperazione
Sono di fretta quindi dirò soltanto che spero che questa fic vi sia piaciuta, mi scuso per il ritardo /studiostudiostudio.../ e sono sempre aperta a nuove richieste!
Sorrido sempre ciaoo (?) 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Deux Faces ***


 Pairing: GerFra/GermanyXFrance
Genere: Het
Reading: Arancione/rosso
Avvertimenti: non ha una vera e propria trama, quindi... PWP?
573 parole.
Titolo: Deux Faces




I baci di Français sono languidi, lunghi, bagnati, sanno di tabacco e vino, rubano il suo respiro e quasi lo forzano a spalancare la bocca per respirare, sempre serrata, rigida, terribilmente imbarazzata.
Le labbra di Français sono carnose, rosso e carne viva, le sue sono sottili e dure, mai incurvate, perfette, ribelli alla gravità.
Français sembra divertirsi, Ludwig è sul punto di scappare.
La donna gli sbottona la camicia, lentamente, un bottone dopo l’altra, tasta la sua pelle, i suoi muscoli e Ludwig sente la sua pelle bruciare, i suoi muscoli fremere sotto il tocco di quelle dita sottili e laccate.
La sua camicia bianca scivola sul pavimento, compagna degli altri abiti.
 
«Cosa vuoi che faccia, mon trésor?»
 
E il tedesco avvampa a quel sussurro, sussulta e tace, perché non può rispondere se le cosce nude della donna si stringono attorno alla sua vita, e non può credere alle oscenità che sta pensando, non può pensare alle oscenità che lei sibila.
Allora chiude gli occhi, lucidi, e tiene le labbra strette, inviolabili.
Eppure desidera guardarla mentre si slaccia il corpetto ricamato, desidera baciarla mentre si lecca il labbro.
Cosa lo spinga a fare il contrario non lo sa: o meglio, lo sa, ma è talmente ovvio che non occorre pensarci; lui è pentito perché quello che sta facendo è sbagliato e immorale, perché lasciarsi convincere da Gilbert a mettere piede in un night club è stato il più grande errore della sua vita.
Non può.
 
«Ti desidero, mon trésor, ti voglio ».
 
Improvvisamente Ludwig non ricorda più cosa significhi “immorale” quando la francese fa ondeggiare il bacino sul cavallo dei suoi pantaloni e geme al suo orecchio, la sua femminilità struscia sulla sua erezione in modo osceno, doloroso, ipnotico, e lui vorrebbe dirglielo, vorrebbe dirle di spalancare le gambe e di lasciarsi prendere senza tanti giochetti perché è quello il suo lavoro, è stata pagata per farlo.
Si sente un gran bastardo a pensare una cosa del genere, ma lo pensa, è innegabile; lo pensa.
Vorrebbe toglierle quel sorrisetto dalla faccia, vorrebbe spingerle il membro in gola fino a soffocarla.
Invece rimane immobile, seduto sulle lenzuola rosse, in silenzio, stravolto da se stesso, mentre Français ancora gioca col suo corpo, lascia scie umide sul suo collo e gli slaccia i pantaloni scuri e ruvidi, stretti e dolorosi.
La sua mano si intrufola tra i boxer e stringe la sua erezione, la libera e la pompa, scivola fino al glande, esperta, più volte, fino ai testicoli, lo eccita e lo lascia andare.
Allora il tedesco spalanca gli occhi, osserva il suo membro svettare verso l’alto e sospira quando la donna si inginocchia tra le sue gambe e lo accoglie tra le morbide labbra sanguigne.
Non vi è sensazione più bella, pensa, e si lascia andare, le afferra i capelli castani e si spinge verso di lei, una, due, tre volte, in modo rude, quasi violento; il suo sguardo è al soffitto, non può scorgere quello spaventato della francese.
Finalmente si libera, stringe i denti e si lascia cadere indietro; è in Paradiso.
Gli ci vuole soltanto qualche secondo, però, e si pente, si copre la bocca con una mano, imbarazzato, borbotta delle scuse, sinceramente dispiaciuto, ma Français non lo guarda, si lecca il labbro appiccicaticcio e si rialza.
Teme di incontrare i suoi occhi.
 
«Tuo fratello ti ha dipinto come un angelo ».
 
Dice, ma Ludwig non capisce fino in fondo cosa voglia dire.


 
 #Angolo della disperazione
Allora. Mi sento una brutta persona ad aver scritto questa cosa e, come sempre, chiedo scusa per il possibile OCC.
Volevo far trasparire il lato violento e perverso di Ludwig in pochi gesti, tutto qui, mentre Françain, beh, mi dispiace non averla approfondita ma questo non era il suo turno (?)
Se avete richiese, sono disponibile!
Un biscotto a chi ha letto fin qui,
AlfiaH <3
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2372446