La parte peggiore della mia vita.

di jileysavedme
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


 Capitolo 1.

"Sorrisi senza gioia, disperata."
Era questa la frase, ma mia sorella ci lasciò, aveva 22 anni e tutta una vita davanti a se ma non la invidio perchè anche lei, come me viveva male in un mondo che non era il suo.
Ho 17 anni e vivo a Londra in Inghilterra, una città grande e piena di problemi ma so cosa significa vivere male, certo ho passato quasi un'intera vita a piangere ma di questo non mi preoccupo, ci sono abituata. Lei ci ha lasciato per questo, non voleva più vivere di soli pianti, ma io sono giovane cosa ne posso sapere del dolore? Ecco, è qua che la gente si sbaglia perchè so tanto, a cominciare dal dolore all'interno della mia famiglia.
Mio padre, 54 anni ex poliziotto che ora è diventato alcolizzato cronico. Mia madre, Cameriera del grande Hotel a quattro stelle di Londra e grande donna , non mi aveva mai deluso ma un giorno tutto cambiò, lei cominciò a fumare e stare appresso a mio padre e insieme avevano perso la ragione di vivere, quasi come me.
Nessuno sa niente di questo, a parte la mia migliore amica, Rosy. Oggi avremmo dovuto vederci ma come al solito mia madre aveva bevuto e mi aveva rinchiusa in casa come una carcerata.
"Oh mamma ti prego, dobbiamo vederci alle 12.30 sono già in ritardo, per favore!" Mi lamentai.
Era davanti alla porta, che mi fissava con aria fatta con gli occhi rossi i capelli arruffati e l'espressione severa.
"No! Tu non esci, sei in punizione!" Urlò con la voce di chi si era bevuto una cassetta intera di birra, e infatti era così.
"In punizione? Per aver fatto cosa? Guarda, non sai fare altro che mettermi in punizione senza una ragione e ubriacarti fino a vomitare!" Indicai le bottiglie di vetro verde chiaro per terra vuote e la cassetta anch'essa vuota. 
"Ma.. Che cosa stai dicendo?! Va subito in camera tua!" Barcollò facendo un passo avanti verso di me e indicando le scale per andare di sopra.
Io sbuffai irritata e stufa di lei, lanciai le chiavi di casa sul tavolo di vetro facendo rumore, sbattendo i piedi con forza su ogni scalino che salivo tornai in camera mia esasperata.
Sbattei per terra la borsa e presi il mio cellulare componendo il numero di Rosy sulla tastiera e avviai la chiamata. Restai in attesa finche non rispose.
“Pronto Nicole?” La sua voce sembrava preoccupata.
“Rosy.” Sospirai.
“Dove sei? Ti sto aspettando, sei in ritardo!” Alzò la voce di qualche grado.
“Scusa Rosy.. Mia madre mi ha messo in punizione senza un motivo ed è ubriaca marcia.” Spiegai.
“Di nuovo? Non è possibile!” La sentii sbuffare come al suo solito e sbuffai anche io con lei.
“Scusami.. Ci vediamo stasera se riesco a sgattaiolare fuori da questa casa?” Chiesi mordendomi un labbro eccitata dal idea di andare a divertirmi in una discoteca, posto perfetto per non pensare.
“Sicuro, ci puoi contare nessuno mi può fermare quando si tratta di ballare.” Io sorrisi.
“Allora a dopo. Ok. Ciao Rosy.” Riattaccai e lanciai il cellulare sul letto alzandomi e aprendo il mio armadio per scegliere il vestito perfetto per questa sera, volevo divertirmi un po’ e dimenticare tutti i problemi almeno per una sera.
 
Alle 8.30 ero pronta, pulita, vestita, truccata e profumata. Pronta per affrontare una serata di puro divertimento con Rosy, presi la mia pochette con dentro soldi e telefono e scesi facendo attenzione di non far rumore col tacco degli stivali. Mia madre, come pensavo, era sdraiata sul divano sprofondata in un sonno profondo dopo la sua bella sbronzata con le sigarette ancora mezze accese che puzzavano, mio padre invece non era ancora arrivato, pregai in tutte le lingue del mondo di non incontrarlo mentre stessi per uscire se no se mi avesse vista non mi avrebbe fatta uscire, rinchiusa con le catene.. Che immagine orribile.
Alle 9.00 ero davanti alla discoteca ad aspettare Rosy e scappata dalla casa infernale.
Missione compiuta.!” Sorrisi fiera di me stessa, l’ultima volta che avevo provato a fare una cosa del genere mi avevano chiuso in casa per una settimana. Feci una smorfia al pensiero e alzai lo sguardo per vedere se Rosy stava arrivando e invece di lei vidi David.
“David? Sei tu?” Aggrottai la fronte per mettere a fuoco la vista e vederlo meglio da lontano.
Sorrisi quando capii che era davvero lui, gli andai incontro abbracciandolo.
“Oddio David, cosa diavolo ci fai qua?” Lo strinsi a me.
“A divertirmi in discoteca ovvio, e tu?” Mi strinse anche lui.
“Secondo te? Per la stessa ragione, di certo non vado a farmi una passeggiata nel parco vestita così!” Gli indicai i mio vestito corto sulla coscia e le gambe scoperte con aria ironica.
“Ah giusto, penso però che tu debba vestirti un po’ di più!” Mi sgridò ironicamente cingendomi per i fianchi e camminando verso l’entrata della discoteca.
“Adesso mi fai anche da padre?” Chinai la testa di lato sorridendogli.
“No neanche per sogno.” Mi sorrise e ci fermammo davanti all’entrata. “A proposito, in casa tua come va? E’ cambiato qualcosa o è sempre uguale a tre anni fa?”
“Direi che è uguale a tre anni fa, anzi col passare del tempo sempre peggio.” Abbassai lo sguardo guardandomi i piedi.
“Davvero? Nicole, non so come tu faccia a sopportare tutto questo. Sei così forte, ti invidio.” Mi alzò il mento con l’indice per guardarmi in faccia, sembrava sincero. Lo era sempre quando si parlava di me.
“Non sono forte, ho solo imparato a farci l’abitudine.” Portai un braccio dietro la schiena coprendomi il polso con la mano trattenendo il respiro, chissà se si ricordava ancora, chissà se ricordava il mio passato buio. Quello di cui pochi seppero di cui ne fece parte anche lui, una parte di me però sperava che lui avesse dimenticato tutto, mi vergognavo a pensare a quello che facevo fino a pochissimo anni fa.
“Nicole, al dolore non ci si abitua, sei forte lo sappiamo tutti.” Le sue labbra si curvarono in un sorriso rassicurante e io feci lo stesso.
“Nicole!” Sentii gridare il mio nome e mi girai ritrovandomi Rosy che correva sui tacchi 13 verso di noi con fretta.
“Rosy! Smettila di correre così o finirai per cadere!” Gli gridai andandogli in contro.
“Ma siamo in ritardo. Forza andiamo.” Mi prese per mano e io presi per mano David tirandolo con noi.
“Rosy, ti presento David, un mio vecchio amico.” Dissi entrando.
“Certo, piacere mio Rosy.” Rosy alzò gli occhi verso di lui tendendogli una mano, David la prese e gliela strinse in segno di conoscenza, lei restò qualche minuto a fissarlo a bocca aperta prima di guardarmi e diventare tutta rossa in viso.
Io risi e la presi per un braccio portandola sulla pista da ballo e cominciando a ballare affianco a lei.
David si prese un tavolo e una birra e si mise a fissarci ballare, Rosy rimase imbarazzata tutto il tempo mentre io lo facevo ridere mentre facevo il twerk davanti a Rosy che mi teneva i fianchi.
Scesi dal palco e presi il suo bicchiere di birra e lo bevvi tutto di un fiato.
“Devo dire che sei molto brava a ballare. Complimenti.” Mi sorrise guardandomi mandar giù l’alcolico.
“Balla con me.” Lo presi per un braccio e lo tirai verso la pista dove Rosy stava continuando a muoversi.
“Sei pazza, non so ballare.” Mi urlò cercando di fare resistenza.
“Dai, non devi saper ballare, muoviti a ritmo di musica e basta!” Mi strusciai contro il suo petto sorridendogli mentre scuotevo il fondoschiena a ritmo di musica mentre lui faceva lo stesso contro di me cingendomi per i fianchi, la sua erezione era contro il mio sedere mentre io ballavo senza sosta con sensualità.
“Vuoi bere Nicole?” Rosy mi venne incontro prendendomi per un braccio e tirandomi verso l’uscita della pista.
“Oh no, devo tornare a casa e ci vorrei tornare da sobria!” Urlai per sovrastare la musica a tutto volume.
“Ma dai Nico, insomma divertiti.” Mi tirò una gomitata nello stomaco e io sobbalzai.
“No davvero.. Non posso, la prossima volta.” Dissi tenendomi lo stomaco andando verso il bar.
“Cacasotto!” Rosy rise.
Risi anche io e feci un cenno a David di aggiungersi a noi, lui venne con noi e restammo tutta notte in quella discoteca a ridere e divertirci come se avessimo 5 anni, a volte una pausa dal dolore non faceva male, era come se il dolore per una sera si stoppasse come un ferita aperta che dopo un po’ smette di sanguinare ma che ricomincia subito dopo quando tutto è finito.
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***



Il mattino seguente mi svegliai intorpidita dalla serata passata in quella discoteca, era una fortuna che i miei genitori non si erano accorti di nulla ma non mi stupivo di questo visto il loro interesse verso di me era pari a zero.
Scesi dal letto con la camicia da notte due volte più grande di me ma comoda per dormire, inciampai nei miei stivali che avevo buttato a terra sfinita quando ero tornata a casa, dovevo cominciare a riordinare la mia stanza era quasi incamminabile dentro, troppe cose fuori posto e troppo macello in giro, per arrivare alla porta dovevo scalare il monte Everest di vestiti, risi fra di stessa, ero la ragazza più disordinata di Londra, me lo sentivo.
Scesi le scale a piedi scalzi, il marmo ghiacciato dei gradini mi provocava leggeri brividi dai piedi fino alle spalle che coprivo con le mani per farmi calore, mia madre come al solito era seduta al tavolo della cucina con una sigaretta a una bottiglia di birra mezza vuota affianco a se, quando avrebbe smesso di uccidersi in quel modo? Per quanto la mia vita fosse orrenda e dolorosa, non volevo restare orfana senza una padre e una madre, ma sapevo che non avrebbero smesso mai e nemmeno potevo mettermi in mezzo, a quanto ne sapevo l’alcool per loro veniva prima di me.
Presi un respiro profondo ed entrai nella cucina inconsapevole di come avrei trovato l’umore di mia madre. “Ciao mamma.” Mi sforzai di farle un sorriso.
Aveva le occhiaie come al solito e i capelli arruffati dalla notte e lo sguardo perso verso la televisione, fece cadere le cenere della sigaretta dentro il portacenere e posò lo sguardo verso di me.
“Ciao.” Era fredda, peggio del marmo sotto i miei piedi.
“Sei di cattivo umore come al solito, è successo qualcosa?” Alzai gli occhi al cielo sforzandomi di essere gentile e di interessarmi di lei una buona volta.
“Cazzi miei.” Riprese a guardare la tv. “Torna nella tua stanza Nicole.”
“Cosa?” Alzai un sopracciglio aprendo il frigo per poi richiuderlo con violenza facendolo sbattere. “Adesso basta! Sto cercando di essere gentile e tu mi tratti così? Che diavolo di madre sei?”
“Non sono tua madre!” Lei alzò la voce girandosi furiosa verso di me.
“E allora chi diavolo sei?” Sbottai guardandola.
“Tutto, ma non tua madre.” Si alzò con l’aria di chi non gliene frega un niente di nessuno, prese la bottiglia di birra e se la portò nella sua stanza con se e chiuse rumorosamente la porta.
Sei una stronza, ecco cosa sei.” Pensai fra me.
Presi una tazza e il latte dal frigo che chiusi con il fianco con nonchalance e mi sedetti al tavolo aprendo la scatola di cartone del latte e versandone un po’ nella tazza.
Giuro, non fossi stata un’altra persona l’avrei presta a pugni ma purtroppo sono contro la violenza di ogni genere e tengo le mani al mio posto come una brava ragazza ma a volte mia madre, se così posso chiamarla dopo quello che ha detto, mi fa salire così tanto la rabbia da infrangere le mie stesse regole scritte nella mia testa, che una di queste è ‘non alzare le mani a nessuno’.
Sbattei la tazza sul tavolo facendo schizzare un po’ di latte fuori dall’irritazione, le ho sempre voluto bene ma negli ultimi anni la detestavo più che mai, non sapevo mai comportarmi quando avevo lei davanti e la rabbia mi saliva ogni giorno di più. Sarei finita per scoppiare.
Mi alzai dal tavolo e posai la tazza nel lavandino ancora un po’ irritata suo atteggiamento, salii di nuovo in camera mia cercando qualcosa da mettermi per andare a scuola, decisi di prendere una maglietta grigia e una felpa bianca e i miei soliti jeans stretti.
 
Alle 7.05 ero sotto casa di Rosy ad aspettarla, cinque minuti dopo lei scese e andammo a scuola insieme, come tutti i giorni.
Mi piaceva stare con lei, era la mia ancora di salvezza ogni volta che stavo male lei c’era è per questo che è la mia migliore amica, per davvero però. Non abbiamo quasi mai litigato, poche volte noi siamo compatibili e questo è un bene perché non sono quel tipo di ragazza a cui tutti piace, sono strana e per ‘strana’ intendo dire strana davvero.
“Hai visto il presunto evaso da galera?” Mi indicò un annuncio sul palo della luce scolorito ma che ancora si leggeva qualcosa.
“Cosa?” Mi girai a guardare l’annuncio cercando di decifrare quello che c’era scritto.
“JUSTIN MCCANN: IL CRIMINALE PIU’ RICERCATO DELL’INGHILTERRA EVASO IERI NOTTE DAL CARCERE DI LONDRA TRUPPE PERLUSTRANO TUTTA LA ZONA.” Rosy lesse ad alta voce al posto mio.
Io rimasi in silenzio a fissare la piccola fotografia del ragazzo sul manifesto, capelli mori, gli occhi color nocciola e lo sguardo di chi è infuriato col mondo intero, il cartello col numero segnaletico “648” e la maglia a strisce. Ma era bello, bello da mozzar il fiato anche da una foto scolorita e sporca attaccato a un palo di una città grande, scossi la testa e sbattei più volte le palpebre ritornando sulla terra col la mente.
“Tutto bene Nicole?” Rosy chinò la testa di lato guardandomi.
“Eh? Ah, si. Tutto a posto.” Poi riguardai la foto, aggrottando le sopracciglia. “Hai idea perché sia stato messo in galera?”
“Credo abbia rapinato una banca o qualcosa del genere..” Mi guardò. “Perché, ti interessa?”
“Mh.. No, non credo.” Spostai lo sguardo sul marmo ancora immersa nella bellezza in quella foto. “Forza, faremo tardi a scuola.” Tirai Rosy per la manica della felpa verso l’entrata della scuola.
In realtà non me ne importava affatto di entra a scuola, sarei rimasta ore seduta per terra a fissare quella maledetta foto, era possibile che qualcuno avesse dentro di se tanta bellezza?
“Hai fatto i compiti di matematica?” Rosy tirò fuori dalla borsa il libro di algebra.
“Ehm, c’erano compiti?” Finsi innocenza guardando il libro.
“Come pensavo..” Fece una smorfia. “Avanti, prendi il mio libro, copiali e dopo ridammelo.” Mi posò il libro in mano ed entrò in classe seguita subito dopo da me.
“Grazie Rosy, sei la migliore.” Sorrisi.
Mi sedetti al mio banco e tirai fuori il mio libro di algebra per ricopiare gli esercizi, non poco tempo dopo mi ritrovai a masticare il tappo della penna e a scarabocchiare il libro con disegnini stupidi e cuori, stavo pensando a lui; Justin MacCann.
Quella foto mi aveva messo in testa tante domande e il suo viso non si scollava più dalla mia mente, ero decisa: dovevo scoprirne di più su questo ragazzo così affascinante e misterioso.
 
Appena la campanella suonò sgattaiolai fuori dalla classe senza farmi vedere, uscii dalla scuola e ripercorsi la via che avevamo fatto stamattina io e Rosy per l’andata e strappai la foto dal palo, me la infilai nella borsa e tranquillamente feci finta di niente ritornando a casa.
Aprii la porta di casa, mi tolsi le scarpe e presi l’annuncio dalla borsa e corsi in camera mia ad accendere il mio computer per fare le ricerche su di lui, non avevo neanche mangiato ma ero così eccitata dal idea di saperne di più. Sbattei le unghie sulla scrivania aspettando che si caricasse, avrei dovuto comprarne uno nuovo di computer ormai questo andava a fatica, quando fu finalmente caricato aprii la pagina di Google e digitai il suo nome: “Justin MacCann”.
Mi uscii un sito simile a uno scompartimento di tutte le persone che sono state in galera, aprii la sua pagina e vidi le prime informazioni, le lessi con fretta.
“Nome e cognome: Justin MacCan
Continente: Canada
Città: Stratford
Anno di nascita: 13 Marzo 1994 “
Aveva due anni in più di me, era così giovane ed era già stato in galera, dio ma come si fa? Decisi di continuare a leggere tenendo i commenti nella mia mente per dopo.
“12 volte stato in galere per vari tipi di condanne: Rapimenti di persone e banche. Omicidi. Aggressione a persone comuni o di un Pubblico Ufficiale. “ E tanti altri.. Non ebbi il coraggio di leggerli tutti, ero troppo scossa. Com’era possibile che un ragazzo come lui provocasse tutto questo? Di certo non era il solo a fare queste cose, di sicuro c’era qualcuno che lavorava con lui.. O per lui.
Mi chiedevo che cosa avesse dentro per fare tutto questo? C’era qualcosa che lo tormentava? Qualcosa di brutto magari.
C’era anche un’altra sua foto, questa volta era a colori e non in bianco e nero come sull’annuncio, si vedeva meglio i suoi lineamenti perfetti e gli occhi marrone scuro quasi arrabbiato e triste nello stesso tempo, chiusi gli occhi per qualche secondo immaginandolo nella mia mente, mi morsi il labbro e sorrisi ero felice senza un perché, era un criminale ma era senza dubbio molto attraente.
Riaprii gli occhi e scossi la testa, chiusi internet e presi l’annuncio infilandolo nella tasca dei jeans ancora scossa dalle cose lette, presi il cellulare e chiamai Rosy. Non rispose, decisi di riprovare più tardi.
Scesi a mangiare qualcosa, a casa non c’era nessuno ero sola, aprii il frigo e presi la pasta avanzata di ieri e la riscaldai nel forno a microonde, aspettai 30 secondi e al bip la tirai fuori, presi una forchetta e mi sedetti a mangiare.
Ci ripensai su, ripensai a quel ragazzo nella foto con gli occhi cupi quasi pieni di dolore, mi chiedevo che cosa gli passasse per la testa.
Scossi di nuovo la testa, Rosy aveva ragione, io penso troppo.
Il cellulare squillò e sulla schermata si illuminò la scritta ‘Rosy’, io presi il cellulare di fretta e risposti.
“Pronto Rosy?” Aspettai una sua risposta.
“Ehi Nicole, ho visto la tua chiamata persa e ti ho richiamato. Hai bisogno?” Chiese quasi preoccupata.
“Niente di grave, volevo parlarti di una certa cosa.” Abbandonai il mio delizioso pranzetto e salii le scale andando in camera mia.
“Certo, dimmi.” Rosy sembrava tranquilla.
“Ti ricordi l’annuncio che abbiamo visto questa mattina?” Trattenni il fiato per qualche istante aspettando una sua risposta.
“Si, di quel ragazzo.. Perché?” Chiese curiosa e preoccupata nello stesso tempo.
“Ho fatto delle ricerche su di lui!” Mi sedetti sul letto a pancia in giù sorridendo come se avessi appena detto una battuta.
“E perché mai Nicole?” Chiese dall’altra parte del telefono.
“B’è non lo so, mi sembrava carino e volevo scoprire di più su di lui. Ho fatto male?” Chiesi aggrottando la fronte.
“No, certo che no.. Che cosa hai scoperto di nuovo?” Chiese ancora, curiosa più di prima.
“Ha due anni in più di me, è nato il 13 Marzo ed è stato in carcere 12 volte, tra cui 8 di queste è riuscito ad evadere.” Cercai di mostrare indifferenza nella voce.
“Oh mio dio, ma è proprio un carcerato tosto!” Rosy rise.
“Si.. E anche così bello..” Mi rotolai sul letto col telefono all’orecchio sorridendo come se lo avessi davanti.
“Si, non c’è male ma esistono ragazzi migliori di lui.” Ora era lei a mostrare indifferenza.
“Oh si certo, tipo?” Alzai un sopracciglio aspettando una risposta sensata da parte sua.
“David.” Al suono di quelle parole caddi giù dal letto facendo un tonfo per terra. Non ci potevo credere, lo aveva detto davvero?! Che cosa si era bevuta? Scossi la testa rialzandomi da terra.
“Aia..” Mi lamentai. “Sei impazzita?” Gli chiedi massaggiandomi la parte dolorante.
“Nicole sei per caso caduta dal letto?” Lei rise dall’altra parte del telefono.
“Stai zitta, sei diventata matta così tutto all’improvviso?” M’irritai.
“Rilassa i nervi o ti vengono le rughe, e poi David non è poi così brutto anzi.. E’ così bello.” Dalla voce sapevo che stava volteggiando nel suo mondo con l’immagine di David davanti agli occhi come se fosse in paradiso. Io rabbrividii a quel immagine disgustata.
“Dimmi che stai scherzando. Non può piacerti davvero David.” Ritornai seria.
“Allora a te non può davvero piacerti di quel criminale malefico.” Ribatte lei.
“Ehi, non parlare così di Justin!” Alzai la voce di qualche grado.
“Allora tu non dire che David è brutto, non lo è.” Lo fece anche lei.
Io rimasi in silenzio per qualche minuti, dopo sospirai e gliela dessi vinta. Era impossibile discutere con lei anche perché non ero una di quelle ragazze che amava discutere, preferivo farmi gli affari miei.
“Ok, va bene hai vinto tu.” Sorrisi.
“Lo so, lo so!” Alzò il tono di voce in segno di vittoria.
Io e Rosy restammo tutto il pomeriggio a parlare del più e del meno senza accennare ancora ne di David e ne di Justin McCan, ma non smisi un attimo di pensarlo ormai era penetrato dentro i miei pensieri e quando qualcosa mi entra dentro la testa è difficile velarla, molto difficile.
Chissà se lo avrei mai visto, forse non sarebbe stato un buon incontro, forse mi avrebbe puntato una pistola in fronte e mi avrebbe fatto fuori. Non lo so, ma morivo dalla voglia di vederlo, di sapere com’era fatto, di conoscerlo per davvero.
 
 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. ***


Il mio cellulare squillò tre volte, ignorai le prime due chiamate sperando che cessasse di squillare, alla terza chiamata esasperata alzai la faccia dal cuscino e con un occhi solo vidi il nome “Rosy” sulla schermata, al diavolo lei e le sue chiamate, alzai la testa controvoglia dal cuscino e schiacciai il tasto verde per rispondere e mi portai il telefono all’orecchio.
“Che vuoi?” Sbottai irritata e mezza assonnata.
“Stavi dormendo?” Chiese con ironia.
“Secondo te?” Sbottai di nuovo.
“Ok va bene scusami, comunque volevo dirti una cosa.” Disse infine soffocando una risata.
“Avanti spara.” Mi rassegnai a lei e decisi di alzarmi alzando un braccio per stirarmi.
“La prossima settimana si farà un party per la fine dell’anno scolastico a casa di una mia amica, vuoi venire?” Era eccitata dall’idea.
“Io la conosco?” Chiesi.
“Ehm, no non penso ma tu verrai comunque con me.” Io alzai un sopracciglio alle sue parole.
“Cosa? E perché mai? Neanche la conosco.” Mi alzai dal letto e andai verso lo specchio per specchiarmi, avevo le occhiaie non ero riuscita a dormire molto fra quel maledetto Justin McCann nella testa e le continue chiamate di Rosy.
“Te la farò conoscere, e ci divertiremo. Ah.. Ehm, invita anche David.” Sembrava arrossire.
“Ci penserò su.” Dissi con indifferenza.
“Ti prego, voglio vederlo ancora.” Mi supplicò.
“E va bene, lo inviterò solo per te..” Alzai gli occhi al cielo.
“Oh Nico sei la migliore, grazie sei un angelo.” Sorrisi. L’avrei fatto solo per lei, perché è la mia migliore amica e non voglio vederla giù di morale.
“Lo so, lo so sono la migliore.” Feci la modesta ironicamente.
“Ok bene, ora devo uscire, ci vediamo dopo al parco di fronte casa mia?” Chiese prima di riattaccare.
“Dammi solo un’ora e sarò li.” Riattaccai lanciando il cellulare sul letto e corsi giù per le scale.
Mio padre era seduto sul divano al telefono con qualcuno, mi lanciai un occhiata guardandolo prima di andare verso di lui, non vedevo tracce ne di fumo e ne di alcool in lui, strano che non si fosse bevuto neanche una bottiglia. Che cosa era successo? Per un attimo fui preoccupata ma fui subito rassicurata quando vidi sul tavolino accanto al divano una lettera del distretto di polizia, lui riattaccò il telefono e mi lanciò un occhiata gelida.
“Cosa ci fai qua?” Stessa arroganza, stessa freddezza di mia madre.
“Con chi stavi parlando?” Chiesi ignorando la sua freddezza.
“Affari.” Rispose con un ghigno, prese la lettere dal tavolino e si precipitò alla porta.
“Ti hanno chiamato al distretto di polizia? E’ successo qualcosa?” Tutto questo scombussolamento di poliziotti e pattuglie mi ricordava solo una cosa: Justin McCann.
“Si, mi hanno chiamato.” Rispose ancora freddo infilandosi la ciacca di pelle nuova.
“Sei il più bravo ex poliziotto di Londra, non mi stupisco che ti abbiano chiamato.” Sorrisi. “Perchè ti hanno chiamato?” L’adrenalina mi saliva sempre di più, sapevo che cosa stava succedendo e sapevo anche perché mio padre era stato chiamato al distretto.
“Devo aiutarli nella ricerca di un evaso da galera.” Fece una pausa aggiustandosi la sciarpa intorno al collo. “Un ragazzo, un osso piuttosto duro.”
Il sangue mi si ghiacciò all’instante nelle vene, sgranai gli occhi e il respirò mi si fermò in gola i miei muscoli si tesero tanto da farmi male, restai immobile per qualche secondo poi scossi la testa cacciando via tutte le emozioni, dovevo sapere con certezza se si trattava di lui, anche se già lo sapevo che era lui ma volevo che me lo confermasse.
“Quale ragazzo?” Feci un passo avanti guardandomi i piedi quasi imbarazzata dalla domanda.
“Quel ragazzo.” Mi indicò la tv accesa sul canale 17, c’era il telegiornale e stavano parlano proprio di lui aggrottai la fronte e andai verso la tv guardando dritto negli occhi la presentatrice del telegiornale che stava parlando anche lei un po’ scossa.
“ ultime notizie da Londra, sembra che il presunto evaso da galera l’altro ieri; Justin McCann sia riuscito a sfuggire dalle guardie di sicurezza del carcere, infatti adesso come confermato il criminale 19enne si aggiri armato nei dintorni di Soho a West End a Londra.”
Mi ghiacciai all’istante quando la presentatrice pronunciò la parola “Soho”.
Justin McCann era esattamente nel quartiere dove abitavo io, mi vennero i brividi al pensiero di quanto fosse vicino a me, il sangue mi arrivò alla testa che mi fece barcollare per qualche istante, mi sedetti sulla sedia e alzai lo sguardo di nuovo sulla tv. Stavano mandando in onda il video delle telecamere di sorveglianza del carcere che lo avevano ripreso nella sua evasione, mi vennero brividi più forti e iniziai a tremare, era esattamente come me lo immaginavo, era incappucciato e col viso oscurato ma potevo immaginare comunque i suoi occhi color nocciola con tanta rabbia dentro, il corpo agile e muscoloso sulle braccia le mani brave a maneggiare armi e a scassinare qualsiasi cosa si trovi davanti. Nonostante fosse così oscuro, io ero così presa da lui.. O meglio, dalla sua immagine.
Presi il telecomando e spensi la tv, mi girai e mio padre non c’era più se n’era giù andato. Quanto avrei voluto fermarlo, dirgli di non andare di stare qua, non volevo gli facessero del male.. Tutto questo poteva andare a finire in un bagno di sangue e io non lo avrei retto, mi alzai dalla sedia e mi lasciai cadere per terra sulle piastrelle gelide della cucina, mi rannicchiai in un angolo del muro con le gambe al petto e le la testa fra le mani. Chiusi gli occhi senza accorgermene e restai immobile in quella posizione rimuginando sulle parole della presentatrice del telegiornale, una goccia d’acqua cadde bagnandomi la coscia.
Riaprii gli occhi e mi accorsi che stavo piangendo, stavo piangendo? Perché? Per cosa? Per lui.
Un’altra lacrima mi rigò la guancia e poi un’altra ancora.. Era un pianto a dirotto, non avevo mai pianto così senza una ragione, che cosa mi stava succedendo? Mi sentivo strana, dovevo togliermelo dalla testa o sarei finita per soffrire per qualcuno che non avevo mai visto, mi asciugai le lacrime di fretta e guardai l’orologio fra 40 minuti sarei dovuta essere al parco con Rosy.
Mi alzai da terra fingendo che non fosse successo nulla, tornai in camera mia e aprii l’armadio, presi quello che c’era.. Una maglietta nera i miei soliti e amati jeans stretti, mi vestii subito e mi preparai, 30 minuti ed ero pronta, mi restavano 10 minuti giusti per arrivare al parco davanti casa di Rosy.
 
Quando fui davanti al parco Rosy era già seduta sulla panchina ad aspettarmi un’altra persona al suo fianco, da lontano sembrava una ragazza, chi era?
Mi avvicinai a guardare quella nuova ragazza a me sconosciuta, aveva i capelli biondi e lunghi e addosso portava dei leggings neri un po’ strappati, una maglietta scollata davanti a V e una felpa grigia non tanto larga e infine un corpetto di pelo bianco e degli anelli luccicanti con qualche collana. Aveva troppo lusso addosso per essere una ragazza normale come me e Rosy, feci una smorfia di disgusto quando scrutai affianco a lei la borsa firmata Louis Vuitton, l’ultima uscita! Dio, questa non era per niente una come noi.
Feci un sorriso controvoglia quando incrociai il suo sguardo un po’ freddo, mi accennò un sorriso anche lei mentre Rosy si alzò a venirmi incontro. Mi abbracciò forte accompagnandomi verso la panchina, mi sedetti affianco a loro.
“Nicole, ti presento Taylor, la ragazza che darà il party di cui ti avevo parlato stamattina.” Lei mi guardò sorridente, poi guardò la presunta Taylor che mi porse la mano un po’ schifata – o almeno così pareva-.
“Piacere Taylor.” Era fredda, anche lei. Avrei mai travato gente normale che mi apprezzasse?
“Piacere Nicole.” Le sorrisi ma rimasi con il tono freddo come il suo, volevo tenerle testa e non farmi intimidire da nessuno.
Lei accavallò le gambe con cautela di lato come una vera regina, scommetto che è più ricca della regina l’Inghilterra, si vede dai suoi atteggiamenti da super snob, mi scrollò la sua chioma bionda addosso e io mi spostai quasi fino a cadere dalla panchina.
Diavolo quanto la odio già!” Scossi la testa per mandar via l’irritazione dalla mia mente, finsi un sorriso e mi decisi a rivolgergli la parola.
“Rosy mi ha detto che farai un party a casa tua, ci stare tutti quanti?” Ma che domanda stupida, di sicuro ha un castello al posto di una villa.
“Oh mia cara.” Lei si girò verso di me con delicatezza alzando una mano mettendo in mostra le sue belle unghie smaltate appena uscite da una manicure. “Ovvio che ci staremo tutti, ma che domande!” Scrollò un’altra volta la sua chioma bionda ma questa volta feci attenzione e mi spostai appena in tempo.
“Quindi ci staremo tutti, tutti?” Sorrisi.
Rosy mi lanciò un’occhiata con l’espressione confusa, io le sorrisi facendole strizzandole l’occhio.
“Certo, ho una villa molto grande e una piscina che useremo per i tuffi di notte illuminata dalle luci di colori diversi sul fondo.” Lei sorrise orgogliosa di se.
Io alzai tutte e due le sopracciglia guardando Rosy che soffocò una risata esattamente come me, era a dir poco ridicola e Rosy lo aveva capito dalla mia espressione.
“Oh ma che bello, non vedo l’ora di vederla, chissà com’è bella.” Io sorriso prendendola in giro.
“Ci vedremo sabato prossimo e ti mostrerò quanto è meraviglioso il mio mondo.” Lei si guardò le unghie soddisfatta, io mi alzai dalla panchina e guardai Rosy.
“Ci dispiace vorremmo stare qua ad ascoltarti raccontare di casa tua ma io e Rosy dobbiamo scappare, abbiamo tante cose da fare.” Feci la finta dispiaciuta e presi per mano Rosy che prese la sua borsa e si alzò per salutarla.
“Ha ragione, dobbiamo andare. A sabato allora.” Rosy la salutò con una mano e io feci lo stesso, lei si alzò e prese la sua prestigiosa borsa e ci salutò con un cenno della mano voltandosi anche lei per andarsene senza aggiungere una parola. Appena fummo abbastanza distanti da non sentirci scoppiammo in una risata rumorosa e piena di singhiozzi e gesti con le mani.
“Oddio ma con che gente esci Rosy?” Io le diedi una pacca sulla spalla cercando di cessare le mie risate senza riuscirci.
“Era una mia vecchia compagna di classe delle elementari!” Si giustificò ridendo.
“Ma l’hai sentita? “ho una villa molto grande e una piscina spaziosa!” Imitai la sua voce facendo piegare dalle risate Rosy che diventò tutta rossa dal ridere.
 
Rosy mi accompagnò a casa e all’ultimo decidemmo di stare ancora un po’ insieme a ridere, la invitai a salire presi le chiavi di casa ancora mentre ridevo della Mrs. “sono ricca più della regina d’Inghilterra” e le infilai nella serratura aprendo la porta di casa. Le nostre risate cessarono improvvisamente quando sentimmo un rumore di vetro rotto proveniente dalla mia cucina di casa, aprii velocemente la porta andando in cucina. Mia madre era in casa ubriaca come al solito, lanciava a terra i piatti della mensola uno ad uno per terra rompendoli in mille pezzi, lanciai le chiavi di casa sulla mensola affianco alla porta e corsi da lei fermandola appena in tempo prima che potesse gettare a terra l’ennesimo piatto per terra.
“Mamma! Mamma cosa stai facendo?! Sei impazzita.” Gli strappai il piatto dalle mani infuriata.
“Dov’è..” Lei piagnucolò qualcosa che non capii.
“Dov’è cosa?” La guardai negli occhi.
Aveva, oltre alle solite occhiaie, gli occhi rossi e gonfi e le mani graffiate e il viso screpolato.
“Dov’è.. Dammelo..” Mia madre indicò la bottiglia di birra sul tavolo barcollando.
“No! Smettila.” Urlai, presi la bottiglia e la svuotai nel lavandino.
“Che cosa.. Che cosa hai fatto!” Lei urlò venendomi in contro con aria minacciosa barcollando.
“Devi smetterla di ubriacarti!” Urlai di nuovo.
Rosy venne di corsa verso di noi e prese mia madre per le braccia cercando di calmarla, io presi tutte le bottiglie di birra e le svuotai nel lavandino, una ad una.
Mia madre urlava di smetterla, ma non potevo.. Mi odiava, ma era comunque mia madre e da figlia non posso permetterle di farsi del male da sola.
Quando ebbi finito mia madre si stava calmando, Rosy la teneva stretta senza lasciarla io le presi le gambe e insieme la portammo sul divano dove li poi, perse i sensi finalmente e si calmò.
Sospirai lasciandomi cadere sulla poltrona, Rosy venne verso di me e mi abbracciò senza dire una parola, sapeva benissimo com’era la mia vita, una sfida, una prova di coraggio a quanto resisti di più e io stavo crollando giorno dopo giorno. Lei lo sapeva era dispiaciuta per me, non poteva fare niente per aiutarmi se non starmi vicino quando ne avevo bisogno, per questo era la mia migliore amica, non mi abbandonava mai soprattutto in situazioni come questo, le dovevo tutto. Grazie a lei io stavo ancora in piedi a lottare per la mia felicità, per quanto ancora avrei dovuto combattere? 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. ***


“Muoviti Nicole, vestiti e vieni! Ti vengo a prendere sotto casa con la macchina, fai presto cavolo!” Rosy mi riproverò infuriata.
Io riattaccai senza nemmeno rispondere dalla fretta e lanciai il cellulare sul letto e aprii l’armadio con fretta, perfetto non avevo niente da mettermi per il party a casa di Taylor, sarei stata l’unica stracciona della festa. Decisi di mettermi le solite cose, tirai fuori i miei jeans stretti e una maglietta carina con la schiena scoperta, e bucata davanti sulla pancia.
Corsi in bagno a truccarmi e a pettinarmi e mi guardai nello specchio sistemandomi per bene.. Ok, poteva andare. Presi il cellulare e le chiavi di casa e mi misi gli stivali col tacco, a casa non c’era nessuno e non dovetti dare spiegazioni a nessuno di dove andavo.
Erano le 9.45 ed ero in ritardo, l’auto del padre di Rosy era già sotto casa mia e suonò il clacson del volante e io sobbalzai finendo con la faccia per terra dallo spavento, mi rialzai di tutta fretta e uscii di casa chiudendo velocemente la porta di casa. Corsi giù per le scale finendo quasi per cadere di nuovo e uscii dal portone, aprii la portiera dell’auto e salii a bordo, non feci in tempo a chiudere la portiera che l’auto sfrecciò a tutto gas.
“Scusami ti prego, ero nel panico.” Mi scusai con Rosy che era seduta sul sedile accanto al mio col broncio, mi lanciò uno sguardo ai vestiti e la sua espressione cambiò immediatamente.
“Oh Nicole che cavolo ti sei messa addosso?” Mi guardò come se avessi addosso un sacco dell’immondizia.
Lei aveva addosso un vestito nero aderente fino alla coscia a una sola spallina, lei si che era elegante io sembravo una stracciona da quattro soldi.
“Rosy, per favore lo sai che non sono brava ad abbinare i vestiti. Non sono come te.” Sbuffai appiattendomi sul sedile dalla vergogna.
Lei fece una smorfia guardandomi da testa a piedi. “Non hai nemmeno messo il reggiseno!” Strillò all’improvviso tirandomi la maglietta.
“Io.. Non ne ho avuto il tempo!” Ora ero completamente rossa dalla vergogna. “Potresti almeno abbassare la voce?” La guardai male.
“Nicole, su chi pensavi di fare colpo? Guarda che non ci sarà il tuo amichetto carcerato!” Mi rimproverò incrociando le braccia al petto.
“Il mio amichetto carcerato? Ehi, guarda che non me ne importa nulla di lui.” Mentii spudoratamente e lei lo sapeva benissimo. Aveva pronunciato le parole magiche, quanto avrei voluto incontrarlo, il sangue mi ribolliva dentro ogni volta che sentivo il suo nome.
“E tu su chi pensavi di far colpo? David?” La guardai alzando un sopracciglio.
Lei divenne rossa in viso all’improvviso tirandosi la gonna verso le ginocchia. “Eh? Cosa? Ehm, no certo che no!” Anche lei mentiva, lo sapevo. Tutte e due volevamo qualcosa nel profondo di noi, e chissà se l’avremmo mai ricevuto, quello che voleva lei era così facile da ottenere.. B’è si, da un certo punto di vista non era come quello che volevo io, qualcosa di impossibile veramente.
Arrivammo davanti alla villa di Taylor, e sia io che Rosy restammo letteralmente con la bocca aperta.
Era grande, troppo grande e con la piscina all’entrata e uno spazioso giardino tutt’intorno alla “casa” se così potevo chiamarla, quella non era neanche lontanamente una casa quella era un castello! Eh si, cominciavo davvero a pensare che lei fosse più ricca della regina d’Inghilterra.
Chiusi la bocca e lanciai un occhiata a Rosy che fece lo stesso, eravamo pronte per affrontare quella lussuosa villa, lei sarebbe passata di sicuro in osservato.. Ma io.. B’è io ero un disastro.
“Ragazze, fate le brave.” Il padre di Rosy risalii in macchina e a tutto gas se ne andò.
Feci un respiro profondo e presi Rosy per mano, avevo come il timore che tutte le persone avrebbero cominciato a guardarmi e il mio timore su presto realtà, appena entrammo la gente cominciò a girarsi verso di noi a ogni passo che facevamo verso l’entrata della villa, gli occhi erano puntati più su di me che su di lei. Mi sentivo così nuda anche se avevo tutto addosso, -a parte il reggiseno- e Rosy se ne accorse presto mi prese una mano e me la strinse forte cercando di cessare i battiti del mio cuore che a man mano si facevamo sempre più forti.
“Ehi ragazze!” Taylor spuntò all’improvviso da una gazebo seguite da altre tre ragazze, esattamente identiche a lei una più snob dell’altra, io rabbrividii e le guardai una ad una.. Ok, lo ammetto erano molto più belle di me. Mi sentii quasi a disagio davanti a loro, e Taylor lo notò e mi mise allo scoperto come una vera stronza.
“Nicole, tesoro, c’è qualcosa che non va? Ti vedo un po’ fuori luogo, divertiti cara se hai bisogno sono nella piscina con i giocatori di pallavolo della scuola.” Mi sorrise, e diede una pacca sulla schiena scoperta andandosene verso la piscina con le tre ragazze.
“Stronza..” Sussurrai quando se fu andata, Rosy mi guardò in cagnesco poi mi sorrise.
“Avanti Nicole, ha ragione! Divertiti!” Mi prese per mano e mi trascinò da dei ragazzi che davano alcolici a tutti “Ti prendo qualcosa?” Chiese.
“Mh, si certo una birra.” Dissi guardandomi in torno.
“Vai a ballare, io arrivo subito Nicole.” Annuii e mi infilai in mezzo alla folla cercando di ignorare gli sguardi della gente verso di me.
Cominciai a ballare con impaccio cercando di non dare troppo nell’occhio, la ragazze mi guardavano in cagnesco come se fossi un anormale, continuai ad ignorarli cercando di andare a tempo di musica fingendomi disinteressata ai loro sguardi ghiacciati, Rosy finalmente arrivò dopo minuti che sembravano ore. Presi in cellulare e chiamai David, il suo telefono squillò tre volte, alla quarta rispose.
“Pronto?” La sua voce roca mi rassicurò.
“Dove sei?” Mi tappai le orecchie per sentire meglio e mi allontanai dalla pista da ballo raggiungendo l’entrata.
“Sto arrivando, cinque minuti e sono da te. Sono in ritardo lo so!” Dalla voce sembrava nervoso.
“D’accordo va bene, ti aspetto davanti al portone, fai presto.” Riattaccai il telefono e raggiunsi il portone della casa di Taylor che poco dopo si fermò una macchina nera col nome “Range Rover” davanti, si aprii la portiera del passeggiero e uscì con fretta David un po’ nervoso.
“Wow.” Gli urlai quando fu abbastanza vicino da sentirmi. “In smoking e con i capelli pettinati! E chi lo avrebbe mai detto!” Lo abbracciai forte.
“Volevo fare colpo su qualcuno.” David mi abbracciò.
“E su chi? Sei uno schianto.” Lasciai la presa dalla sua vita per allontanarmi e ammirarlo ancora.
“Su di te.” Lui mi prese per un braccio tirandomi verso di lui e mi sorrise timidamente. “Sei bellissima.”
Io arrossii all’instante mentre il mio cuore cominciò a battere più forte, poggiai una mano sul suo petto per allontanarmi da lui cercando di cambiar discorso immediatamente.
“Bella la macchina.. E’ nuova?” Abbassai lo sguardo sui miei piedi cercando di scacciare via il rossore dal mio viso.
“L’ha presa in prestiti mio padre dall’ufficio, non potevo mica scendere dal motorino con lo smoking.” Lui rise con una risata contagiosa che fece ridere anche me.
“Rosy ci sta aspettando, andiamo o si chiederà dove sono finita.” Gli feci strada in mezzo alla pista fino dove avevo lasciato Rosy.
Rosy divenne immediatamente rossa fuoco in viso quando vide David dopo di me, venne verso di noi fingendo di non lo aver visto.
“Oh ciao David, ti sei unito a noi.” Era nervosa e lo potevo capire da come gesticolava le mani e dalla sia voce, anche io lo ero ma lui era un mio caro amico e non mi intimidiva più di tanto.
Rosy lo abbracciò lanciandomi un occhiata diventando bianca in viso, io soffocai una risata e andai verso il centro della pista da ballo dove cominciai a scuotere in fondo schiena sorridendo a David che fece lo stesso venendomi in contro.
Rosy venne nel centro pista con me e insieme cominciammo a ballare con David che ci fissava divertito, ballammo tutta la sera fino a sfrenarci, finche i tacchi non ci lasciarono le vesciche sotto i piedi e finche non finimmo per terra sfinite ma divertite. Rosy continuò ad ordinare birra e alcolici per lei e David, io non bevvi più di mezza bottiglia volevo restare sobria mentre mi divertivo insieme a loro, David invece dopo 3 bottiglie cominciava a dare i numeri accompagnato da Rosy, erano tutti e due ubriaco tanto da non reggersi in piedi, uscimmo dalla pista e ci sedemmo sulle poltrone a bordo piscina.
“Rosy sei tutta intera?” Lei si tolse i tacchi e li lanciò per terra ridendo come una pazza chissà per che cosa, quando si ubriacava non la riconoscevo più.
Guardai David che si era già appisolato sulla poltrona, poi riguardai Rosy che continuava a ridere e che quasi fece ridere anche me, sbuffai e presi la mia borsa alzandomi dalla poltrona. La musica troppo forte stava cominciando a perforare i miei timpani, dovevo allontanarmi subito o sarei rimasta sorda per tutta la vita.
“Vado a farmi un giro, torno subito.” Guardai Rosy che mi fissò e ricominciò a ridere, io Alzai gli occhi al cielo avviandomi verso l’uscita di casa Taylor e la musica cominciava a diventare sempre più lontana.
Quando fui lontana da quella casa le mie orecchio fischiavano irritate da quel rumore troppo forte di musica, scossi la testa e feci un respiro profondo, presi il cellulare e guardai l’ora; erano le 2.45 e cominciavo ad essere stanca ma avrei dovuto restare inchiodata a quella festa fino alle sei di mattina.
Mentre cercavo di calmare la mia mente e dare un po’ di tregua alle mie orecchie udii delle voci provenienti da dietro la villa di Taylor. Erano urla, urla di una voce maschile che gridava sotto quella di altre voci maschili che minacciavano e sbraitavano, mi avviai verso le voci e girai la villa fino arrivare a destinazione delle voci, dietro alla villa c’erano due uomini che stavano picchiando un ragazzo dietro ai cassonetti della spazzatura, il ragazzo era per terra grondante di sangue in viso e i due uomini che non gli davano un attimo di tregua continuando a picchiare ripetutamente con calci e pugni urlando e imprecando, io mi portai una mano sulla bocca e mi nascosi dietro ai cassonetti della spazzatura.
Dovevo fare qualcosa, ma cosa? Era sola e se fossi andata a cercare aiuto nel giro di qualche minuto lo avrebbero ucciso a pugni. Decisi di fare la cosa giusta e presi un respiro profondo calmando il mio cuore che era sobbalzato dallo spavento della visione che avevo appena visto. Uscii allo scoperto.
“Ehi lasciatelo stare! Che diavolo state facendo, siete impazziti.” Non so con quale coraggio ma pronunciai quelle parole con rabbia avanzando verso di loro, i due uomini dal aria minacciosa si fermarono girandosi verso di me con sguardo freddo. Non mi feci intimidire. “Allontanatevi immediatamente!”
I due uomini si allontanarono dal ragazzo e lui riuscii a rialzarsi in piedi e a scappare via, l’uomo più minuto guardò il ragazzo scappare a gambe levate e fece un passo in avanti pronto per andare a prenderlo, l’altro uomo più muscoloso lo bloccò penetrandomi con lo sguardo ghiacciato.
Io feci un passo indietro, ero riuscita a strappare il ragazzo da morte sicura e adesso ero nei guai io. Feci un altro passo indietro e feci per scappare a gambe levate anche io come il ragazzo ma l’uomo muscoloso mi fermò per un braccio. La sua mano grande circondò il mio braccio che strinse forte impedendomi di scappare. Mi scaraventò contro il muro facendomi stregare la schiena nuda contro il muro che mi graffiò la pelle, l’uomo minuto si avvicinò verso di me guardandomi da testa a piedi poi guardò l’uomo muscoloso che strinse di più la presa nel mio braccio.
“Ne abbiamo presa una buona questa volta non trovi?” L’uomo minuto si fregò le mani con aria minacciosa.
“Ce la divideremo, sarà solo questione di tempo.” Gli sorrise inchiodandomi con le mani sopra la testa toccandomi le cosce.
Tremai dalla paura, che cosa mi sarebbe successo? Forse non era stata una buona idea quella di farmi scoprire, ora ci stavo rimettendo la mia verginità. Le lacrime cominciarono a scendere dai miei occhia sbavandomi il mascara quando l’uomo mi toccò la schiena nuda avvicinandosi a me riducendo le distanze, volevo urlare, dimenarmi e scappare. Ma restai immobile con gli occhi fissi nei suoi mentre mi toccava il corpo, chiusi gli occhi sperando che quel momento passasse in fretta, ma fu proprio in quel momento in cui le mani del l’uomo improvvisamente cessarono di toccarmi e le mie mani furono libere, non sentii più il suo calore accanto al mio corpo e ne il suo tocco sulla mia schiena, non ebbi il coraggio di aprire gli occhi. La paura si fece sentire quando sentii dei lamenti di dolore, cosa stava succedendo adesso? Aprii lentamente un occhio e vidi un ragazzo davanti a me, con un coltello il mano piantato dritto nel petto del uomo che voleva violentarmi qualche minuto prima, l’uomo minuto invece era spaventato mentre guardava la scena con terrore esattamente come me, mi aggrappai al muro incapace di reggermi in piedi, le mie gambe si facevano molli mentre vedere scorrere il sangue dell’uomo uscirgli dalla bocca. Il ragazzo estrasse il coltello sporco di sangue dall’addome del uomo che si accasciò per terra in fin di vita, io rimasi immobilizzata al muro. L’uomo minuto guardò il suo compagno accasciato a terra e subito dopo se la diede a gambe levate correndo, il ragazzo mi lanciò uno sguardo freddo squadrandomi e venne verso di me, il suo viso mi era familiare.. Lo avevo già visto da qualche parte, ma dove? L’annuncio! Internet! La tv! Lui, ce lo avevo davanti, era il famoso Justin McCann, lo capii subito dal suo sguardo gelido e dai suoi lineamenti perfetti, mi mancò il fiato quando il suo viso era a pochi centimetri dal mio, mi alitò in faccia.
“Vattene da qua.” Il suo sguardò mi immobilizzò.
“Sei.. Sei Justin.. McCann.. “ Balbettai.
Il ragazzo aggrottò la fronte. “Vattene ho detto.” Ripetè.
“No.” La voce maschile di un uomo proveniente dal oscurità della notte fra gli alberi lo fermò, un uomo alto e con i capelli ricci uscii fra gli alberi venendo verso di noi. “Dobbiamo portarla con noi, la ragazza sa troppo. Non possiamo rischiare ancora.” Guardò Justin con sguardo severo.
Lui mi guardò di nuovo con lo sguardò più gelido di prima, ringhiò imprecando qualcosa sotto voce e mi prese per il braccio tirandomi fra gli alberi dietro la villa di Taylor. “Vieni con me.”
“No! Mi fai male lasciami!” Strillai, cercai di dimenarmi la sua mano mi strinse di più facendomi male e io strillai più forte, il ragazzo tirò fuori una pistola dalla cintura dei pantaloni e mi sbatte contro il muro di nuovo, come aveva fatto l’uomo muscoloso prima di lui, puntandomi la pistola carica sulla tempia coprendomi la bocca con una mano.
“Stai zitta o giuro che ti faccio saltare la testa, hai capito?” Ringhiò di nuovo, ma più forte.
Io annuii con la testa impaurita, lui mi lasciò la bocca rimettendo la pistola nella cintura. Mi riprese, ma questa volta per il polso trascinandomi fra gli alberi lontano dalla villa di Taylor, per un attimo ebbi paura ma qualche istante dopo mi calmai quando alla fine degli alberi vidi una Range Rover come quella di David nera lucido che brillava sotto la luce fioca dei lampioni, guardai Justin che era davanti a me e mi guidava tirandomi. Aveva la mascella tesa e l’espressione severa e arrabbiata come se avesse avuto una brutta giornata, mi soffermai un po’ sul suo viso quando mi accorsi che sul braccio teso con cui mi teneva stretta c’erano vari tatuaggi neri sfumati su tutto il braccio fra cui alcuni che non riuscii a capire cosa fossero.
L’uomo aprii la portiera del passeggiero davanti ed entrò in macchina lanciando un occhiata a Justin che mi aprii la portiera del passeggiero di dietro indicandomi di salire. “Sali.” Ordinò.
“Cosa?” Sgranai gli occhi.
“Ho detto sali.” Mi guardò freddo.
“No, sei impazzito? Non posso, devo tornare a casa!” Indietreggiai.
Lui mi prese per la maglietta tirandomi, mi afferrò di nuovamente per il polso tirandomi verso di lui.
“Vieni subito qua.” Justin tirò fuori dalla tasca un fazzoletto bianco che posò sul mio viso, qualche minuto dopo persi i sensi, l’ultima cosa che sentii furono le sue braccia forti che strinsero il mio bacino sostenendomi in piedi mentre perdevo i sensi.
 
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5. ***


 
Mi svegliai con un capo giro, mi faceva male la testa e i miei occhi sembrava incollati con la colla, la luce da fuori mi abbagliava ma non avevo la forza di spostare il viso, tutto il mio corpo sembrava più pesante del solito, sentii una voce proveniente da fuori dai miei sogni, aprii finalmente un occhio con fatica e vidi in piedi davanti alla finestra l’uomo alto e riccio che avevo visto con.. Justin McCann! Dov’era? Dov’ero io? Tutte quelle domande all’improvviso mi si ammassarono nella mente, alzai il viso e mi trovai qualcuno sdraiato affianco a me, misi la vista a fuoco e alzai lo sguardo con un occhio aperto accecata dalla luce. Era Justin, ed era sdraiato accanto a me! Diventai rossa in viso e scossi la testa coprendomi la faccia con una mano, lui mi spostò la mano dalla faccia guardandomi.
“Sei sveglia?” Sembrava rilassato, ma aveva comunque l’aria severa. Sembrava un angelo, aveva i capelli disordinati e il viso stanco, gli occhi cupi come ieri sera e mi stava guardando. Io sbadigliai e mi guardai in torno.
“Dove sono?” Lo guardai.
“A casa mia, problemi?” Mi guardò freddo.
“No..” Mi alzai seduta e mi stropicciai gli occhi guardandolo mentre si alzava anche lui.
“Alzati.” Mi ordinò.
“Devo tornare a casa.” Mi ricordai.
“No.” Lui prese una pistola dal tavolo e se la infilò fra la cintura, sotto la maglietta. “Devi restare qua, non poi andartene.”
“Cosa? E perché mai?” Aggrottai la fronte.
“Sei mia prigioniera, hai visto troppo ieri sera.” Mi guardò di nuovo, col ghiaccio negli occhi.
“Non me ne frega niente, io devo tornare a casa subito!” Alzai la voce di qualche grado.
Lui mi ignorò completamente chiamando con un cenno della mano l’uomo riccio che chiuse il telefono con cui stava parlando e lo raggiunse con passo svelto, Justin aprii una valigetta grigia lucida con dentro tanti fili colorati e delle lucine che non smettevano di luccicare e mini computer attaccato a comando, scossi la testa confusa.
“Q-quella è una bomba?” Sgranai gli occhi.
Lo sentii sospirare prima di girarsi verso di me e guardarmi con aria seria. “Certo, e la faremo esplodere in questa casa con te dentro.”
Io restai immobile sgranando gli occhi spaventata, iniziarono a tremarmi le gambe e il cuore era andato in tilt, non riuscii a dire neanche una parola solo lo guardavo spaventata.
L’uomo coi capelli ricci mi guardò divertito, in quel momento mi rassicurò il suo sguardo perché poco dopo lo fece anche lui soffocando una risata dal profondo della gola.
“Sto scherzando, non ti ucciderò.” Lui mi sorrise sfoderando per la prima volta il suo sorriso. “Per ora.” Mi strizzò l’occhio chiudendo la valigetta. Il cuore cominciò a non funzionare bene, avevo appena visto Justin McCann sorridere, era la fine del mondo quel sorriso e per qualche istante il respiro mi si bloccò in gola soffocandomi.
Sbattei più volte le palpebre cercando di contenere le mie emozioni, Justin continuava a fare avanti e indietro per casa col cellulare il mano e mi dava parecchio fastidio, sembrava nervoso e glielo si leggeva in faccia dalla sua espressione fra la confusione e l’irritazione.
Mi accorsi di avere il cellulare in tasca, aveva una tacca sola di batteria e sbuffai, dovevo avvertire Rosy chissà dov’era e cosa stava facendo, e David? Se sapesse che sono con un criminale che mi tiene sotto sequestro in casa sua si infurierebbe e probabilmente denuncerebbe la mia scomparsa sempre che non l’abbia già fatto prima Rosy. L’avevo lasciata li da sola ubriaca e io ero qua da sola con un mezzo pazzo criminale che va in giro con tanto di tarmi nei pantaloni. Scossi la testa concentrandomi e componendo il numero di Rosy, schiacciai il tasto ‘Avvia chiamata’ e me lo misi all’orecchio mordicchiandomi le unghie mentre aspettavo il telefono di Rosy squillasse.
“Che cazzo stai facendo?” Justin sbotto all’improvviso davanti a me spaventandomi alzò una mano in aria e mi colpì forte in viso facendomi perdere l’equilibrio e cadere per terra, lui mi strappò il cellulare dalle mani chiudendo la chiamata e aprendo lo sportello di dietro del telefono togliendoci la batteria. Io mi portai una mano sul viso dove mi aveva colpita guardandolo spaventata.
L’uomo alto e coi i riccioli in testa corse verso di me inginocchiandosi per aiutarmi ad alzarmi guardando Justin in cagnesco e severo.
“Vuoi farmi scoprire per caso?” Lanciò il mio telefono per terra provocando rumore per tutta la stanza, probabilmente rompendolo anche. Lo guardai ancora stordita scuotendo la testa in segno di risposta.
“Stronza.” Aggiunse poi irritato.
“Ma sei impazzito, non l’ha fatto apposta potevi semplicemente dirglielo.” Sembrava severo, lui, al contrario di Justin sembrava più ragionevole e a quando avevo capito ragionava solo con armi e violenza, questa cosa mi turbava.
“Allora tu stai dalla sua parte?!” Urlò, poi si girò verso il tavolo e prese la pistola putandola verso di me di nuovo, tremai pensando che questa volta l’avrebbe fatto. Avanzò verso di me.
“Justin non fare idiozie, metti giù quella pistola.” L’uomo si allontanò da me alzando le mani.
“Justin ho detto di metterla giù. Subito!” Alzò la voce, Justin si bagnò le labbra con la lingua guardandomi fisso, i suoi occhi mi inchiodarono sul pavimento gelato dove ero caduta, la pistola era diretta sulla mia fronte e io ero sempre più spaventata, lui abbassò la pistola piano tenendo lo sguardo fissò su di me.
“Adesso dammela.” L’uomo allungò la mano verso di lui, il quale gli porse la pistola senza dire niente.
“Ringrazialo, se non fosse stato per lui eri già morta.” Contrasse la mascella in modo sensuale prima di sparire irritato in quella che pareva camera sua sbattendo la porta sul quale c’erano degli adesivi di teschi e il cartello del divieto di entrata, questo mi faceva capire che se avessi oltrepassato la soglia di quella porta sarei davvero morta.
L’uomo sospirò e si girò verso di me con un sorriso in viso tenendomi una mano che presi subito per alzarmi.
“Scusalo, è.. Un po’ violento, è sempre così.” Sospirò di nuovo. “Stai bene?” Aggiunse guardandomi la guancia rossa.
Mi coprii la guancia dolorante con la mano arrossendo. “Si, sto bene grazie.”
“Mi chiamo Scott, comunque, piacere.” Mi rivolse un sorriso contagioso che fece sorridere anche me.
“Sono Nicole, piacere.” Gli porsi la mano che lui mi strinse.
Aprii la finestra dove vidi un bel terrazzo grande ad accoglierci con la tenta che veniva più per ripararci dal sole di un giallo acceso, un tavolo non tanto grande con quattro sedie, mi sedette in una di queste portando le ginocchia al petto mettendomi comoda, Scott fece lo stesso accanto a me, tirò fuori il cellulare dalla tasca e cominciò a trafficare.
Rimanemmo in silenzio per un po’, io spostai la sedia al sole rimettendomi nella stessa posizione di prima riscaldandomi, i raggi che penetravano nei pori della mia pelle mi provocavano leggeri brividi di freddo che cominciavo a sentire man mano che il sole mi scaldava. Poco dopo sentii la porta della camera di Justin aprirsi e lui comparve con dei occhiali da sole sul naso e la canottiera bianca lunga con al collo una catena d’acciaio che splendeva sotto i raggi della luce e i soliti jeans larghi, si sedette accanto a Scott rivolto verso di me appoggiando i piedi sul tavolo con nonchalance passandosi una mano fra i capelli scompigliati color nocciola scuro quanto i suoi occhi, il suo torace muscoloso al quale non riuscii a non farci caso risplendeva con la catena sotto il sole, il viso era teso e guardava altrove senza dire una parola, studiai ogni singolo difetto e pregio del suo corpo, i muscoli delle sue braccia mi fecero accelerare il respiro, chiusi gli occhi per poco immaginando di avere quella braccia attorno al mio corpo a riscaldarmi di poter sfiorare quei muscoli con le dita e toccare la pelle bronzea tatuata di nero di cose indecifrabili sopra, il mio cuore iniziò a battere più forte come un tamburo che andava a tempo di musica, invece però il mio andava a tempo di emozioni e quelle che stavo provando in quel momento mi fecero sorridere timidamente senza accorgermene, sobbalzai spaventata quando la voce di Justin interrompe le mie fantasie su di lui.
Quando riaprii gli occhi la luce del sole che ormai avevo in faccia mi accecò e lui era girato verso di me e per un attimo desiderai che si togliesse quei maledetti occhiali scuri per poter ammirare i suoi occhi scuri penetranti.
“Stai bene?” Aggrottò la fronte.
“Sto fantasticando su di te Mr. sono duro come la roccia.” La mia mente sboccò di ironia facendomi quasi ridere.
“Mhh.. Credo di si.” Alzai una mano al sole proteggendomi gli occhi.
“Meglio così.” Lui alzò le spalle con disinvoltura e ritornò a fissare altrove rivolgendo il viso dalla parte di Scott mentre sbirciava il suo cellulare.
Sospirai appoggiando il mento sulle mie ginocchia, evidentemente il sole non lo aveva reso più caldo come speravo, era più freddo di prima. Se la sarà forse presa per prima? Scossi la testa. Sarei dovuta io essere arrabbiata con lui, d’altronde era lui che mi aveva tirato uno schiaffo, era strano come ragazzo. Strano, ma nello stesso momento anche molto misterioso e affascinante, avrei voluto sapere perché era così freddo ma sapevo che non me lo avrebbe detto mai, chi sono io per intromettermi? Neanche sa il mio nome.
Abbassai lo sguardo sul pavimento di marmo che rifletteva la luce del sole, il modo in cui lui mi guarda mi metteva timore ma mi piaceva, mi piaceva perché potevo vedergli quelle sfumature di paura che sapevo che c’erano da qualche parte, sapevo che lui era roccia come faceva vedere a tutti, forse mi sbagliavo ma io la vedevo così, come fa un ragazzo così giovane ad dover vivere così? Perché non era come gli altri ragazzi, spensierato e felice? Non era giusto, dov’erano i suoi genitori? E gli amici nel salotto che fanno baccano e giocano con la Play Station? Dove sono le serate nei club a bere e divertirsi? Lui era diverso da tutti, quasi anormale, mi chiedevo solo come faceva a vivere di sola prigione, armi e pistole? Dov’era quel aria felice che avevano negli occhi tutti i ragazzi della sua età? E la scuola? L’aveva fatta la scuola? La laurea. Lavorata? Si, faceva il criminale, bello schifo.
Ecco, lo avevo fatto di nuovo. Stavo fantasticando di nuovo su di lui e sulla sua vita, che ne sapevo io? Magari stavo sbagliando tutto, i miei occhi si riempirono di lacrime, poco dopo i miei svariati tentativi di scacciarle via, sul mio viso lasciarono solo righe bagnate che in fretta asciugai scacciando via le emozioni che si erano accumulate nella mia mente. Sospirai a fondo l’aria fresca del mattino chiudendo gli occhi rilassando la mia mente, quando li riaprii mi accorsi che Justin mi stava fissando e anche da un po’ dato che si era messo comodo con la mano sotto il mento e il braccio appoggiato sulla gamba, il viso neutro e i capelli scompigliati. Per un momento non capii se stava davvero guardando me o qualcosa dietro di me, mi girai in cerca di qualcosa che avrebbe potuto attirare la sua attenzione, dal momento che indossava gli occhiali scuri e non vedevo i suoi occhi per capire in che direzione stesse guardando, ma niente. Stava davvero guardando me, ci rimasi di stucco per un po’, poi arrossii e nascosi la faccia fra le ginocchia imbarazzata come non mai.
“Stai piangendo?” Lui parlò.
Io tirai su di nuovo la testa rimanendo di stucco, come faceva a sapere che stavo piangendo? Non era accanto a me, non poteva vedere i miei occhi lucidi. Scossi la testa in segno di un ‘no’.
“Perché stai piangendo?” Continuò.
Aggrottai la fronte alle sue parole. “Perché non ti fai gli affari tuoi?” La mia mente parlò da sola irritata, io spostai lo sguardo sul pavimento arrossendo.
“Ti ho detto che non sto piangendo..” Cercai di essere più dura possibile, ma dato che stavo parlando con lui mi era difficile essere dura.
Lui sbuffò senza replicare, tolse i piedi dal tavolo e si sistemò la catena che aveva al collo mettendosi seduto come più era comodo sulla sedia, io lo guardai nei suoi movimenti perfettamente perfetti esattamente con lui, lui alzò il viso verso di me e ricominciammo a guardarci l’uno con l’altro.
“Quando mi porterai a casa?” Spezzai il nostro corteggiamento di sguardi silenzioso.
Lui alzò un sopracciglio rivolgendo poi lo guardo a Scott che alzò lo sguardo verso Justin riemergendo nella realtà posando il telefono sul tavolo.
Si schiarì la voce e poi parlò. “Non saprei, ormai hai visto tutto.. Non possiamo rischiare, lo andresti a dire alla polizia e scoprirebbero la nostra base segreta.” Scott sembrava tranquillo, rivolse uno sguardo a Justin che acconsentì alle parole di Scott con un cenno con la testa.
“Lui.. Lui ha ucciso quell’uomo!” Indicai Justin sbalordita. “Come potrei non dirlo a nessuno? Sono a dir poco terrorizzata. L’ho visto ucciderlo davanti a me!” Alzai la voce.
Justin chiuse la mano sulla sua gambe in un pugno stringendo i suoi jeans come per trattenersi dal scoppiare, io guardai Scott turbata mentre lui cercava una risposta guardandosi intorno.
“Ti stava per violentare.” Justin infine parlò. “Se volevi potevo lasciarlo fare.” Alzò le spalle.
Restai in silenzio.
“E comunque non possiamo lasciati andare nemmeno un attimo se dici che lo dirai alla polizia.” Scott mi guardò, freddo questa volta quasi quanto Justin.
“E se foste sicuri che non lo dicessi a nessuno mi lascereste andare?” Guardai Justin con la coda dell’occhio.
“Vedremo.” Scott riprese il cellulare.
Socchiusi gli occhi con aria di sfida, poi guardai Justin.
L’atmosfera si fece come prima, Scott riprese a trafficare con il cellulare Justin a fare il silenzioso con la coda dell’occhio a guardarmi come me. Sbuffai, Justin sfilò dalla tasca dei jeans un pacchetto bianco ancora mezzo incartato con la scritta ‘il fumo uccide’ sopra e prese una sigaretta dal pacchetto riponendola fra le sue labbra, chiuse il pacchetto e lo ripose dentro la tasca prendendo l’accendino, accesso con un gesto la sigaretta e posò l’accendino sul tavolo, fece il primo tiro e alzò la testa in aria per far uscire il fumo come una nuvola di smog nell’aria che si dissolse rapidamente, lo guardai attentamente come faceva gli altri tiri con delicatezza tenendo la sigaretta fra l’indice e il medio, si passò una mano fra i capelli spostando lo sguardo su di me, io arrossi per l’ennesima volta.
“Perché arrossisci quando ti guardo?” Justin mi prese alla sprovvista.
“N-non lo so.. Mi viene naturale.” Balbettai guardando da un’altra parte che non sia il suo viso perfetto.
Dovevo cominciare a cercare di tenere i miei sentimenti per me, di questo passo mi avrebbe chiesto anche se ero innamorata di lui e a quando voglio fissare le nostre nozze, arrossi ancora di più all’idea di vederlo in smoking e con la rosa rossa in mano ad aspettarmi davanti all’altare.
“Ti faccio paura?” Chiese poi, facendo uscire il fumo dalla bocca.
“No.” Non ci pensai due volte prima di rispondere, come gli veniva in mente che uno come lui mi facesse paura? B’è forse se fosse stato più basso, più brutto e sdentato probabilmente avrei avuto paura. Ma con lui era diverso, mi sentivo protetta in un certo senso, mi sentivo al sicuro.
“Sei strana ragazza..” Lui fece l’ultimo tiro facendo uscire anelli di fumo dalla bocca.
“Mi chiamo Nicole, non ‘ragazza’.” Tirai giù dalla sedia un piede con tono freddo, quella posizione mi stava torturando le ginocchia.
“Mh, si, come vuoi.” Lui si alzò dalla sedia per lanciare la sigaretta finita giù dal terrazzo per poi rimettersi seduto come era prima.
Mi stavo annoiando a morte, Scott era chiuso nel suo mondo col cellulare a fare chissà cosa e Justin faceva altro che farmi domande e fissarmi mettendomi a disagio.
“Che si fa di bello?” Chiesi.
“Cosa vorresti fare?” Per una volta sembrava interessato a quello che dicevo, forse.
“Non lo so, qualcosa.. Tanto devo restare con te no?” Justin mi guardò con aria seria, poi si alzò dalla sedia facendomi cenno di entrare. Mi alzai dalla sedia, ma qualcosa non andava barcollai nella sua direzione cercando di regolare il mio equilibrio ma fallii la testa cominciò a girarmi, inciampai nei miei piedi perdendo completamente la mia stabilità, ero sicura di star per cadere per terra di faccia quando invece però non toccai le piastre gelate del pavimento, ma qualcosa di caldo mi prese giusto in tempo prima che potessi toccare anche solo con un dito il suolo, socchiusi gli occhi cercando di tenerli aperti ma fallii.
Capii di essere fra le sue braccia quando sentii l’odore di fumo sulla sua maglia e la catena d’acciaio sfiorarmi la guancia, mi aveva preso in braccio, arrossii sulle guance e sfiorai la sua pelle calda.
“Nicole, stai bene?” Mi si fermò il respiro a quelle parole, aveva detto il mio nome, il mondo mi si fermò all’improvviso intorno a me, c’eravamo solo io e lui.
“Cosa è successo?” La voce di Scott si avvicinò accanto a me, sentii i suoi passi avvicinarsi a Justin che mi teneva senza fatica in braccio come una bambola, lo sapevo perché sentivo i suoi muscoli sulla mia schiena scoperta che non si contraevano più di tanto per temermi in braccio, era una buona cosa.
“Credo sia svenuta.” Nella voce di Justin ci trovai un filo di preoccupazione che mi fece tremare.
Aprii gli occhi e vidi Justin e Scott che mi fissavano dall’alto preoccupati, gli occhi di Justin si inchiodarono nei miei tanto da togliermi l’aria dai polmoni.
“Sei intera?” Scott parlò. Io scossi la testa a destra e a sinistra due volte per un ‘no’, Scott fece cenno a Justin di andarsi a sedere e così fece.
Si sedette sul divano tenendomi ancora fra le braccia, le sue mani mi tenevano per le spalle per sotto le ginocchia senza sforzo di alcun tipo, approfittai dell’occasione per appoggiare una mano sul suo torace che si tese sotto il mio tocco, mi chiesi se avessi fatto bene ebbi la tentazione di tirarla indietro ma la lasciai dov’era, lui ricominciò a far funzionare i polmoni sentendo il suo torace alzarsi e abbassarsi ogni volta che respirava, il suo era regolare e non come il mio che si bloccava ogni volta che lui faceva qualcosa, cominciai a tremare.
Alzai il viso verso il suo che mi stava guardando.
“Stai tremando.” Disse freddo, di nuovo. Strano poco prima sembrava essere preoccupato per me, o forse avevo visto male io, probabile.
“Hai freddo?” Chiese. Ed eccolo che si interessa di nuovo a come mi sentivo.
Bipolare.” La mia mente saltò alla conclusione ed aveva ragione, era bipolare e anche tanto!
“Si..” Mentii. Volevo soltanto che lui mi abbracciasse forte.
“Ok.” Si alzò dal divano posandomi su dei cuscini del divano, era morbidi, ma preferisco comunque lui.
Si sistemò la canottiera bianca e fece tintinnare la catena mentre si alzava e si dirigeva verso camera sua, entro e sbatte’ la porta. Qualche minuto dopo tornò con una coperta marroncina di lana che mi mise sopra il corpo, io rabbrividii di nuovo quando mi sfiorò il braccio infilandomi la coperta sotto l’ascella per coprirmi bene, sembrava così sciolto in quel momento finche non parlò.
“Così starai meglio.” Rispose seccato.
Io lo guardai con un aria delusa, mentre si allontanava da me, avrei voluto davvero un suo abbraccio, cosa mi importava della coperta? Cosa mi serviva una coperta di lana a giugno? Io voglio lui.
“Dopo mi porti a casa mia? Per favore.” Lo supplicai.
“Dovrò venire con te.” Rispose secco sedendosi accanto a me.
Io annuii. Dovevo avvisare Rosy e sapere come stava, dovevo dirgli che ero viva nonostante un sensuale criminale mi aveva imprigionata a casa sua, doveva saperlo o avrebbe chiamato la polizia dandomi per dispersa o chissà qualcosa. Sospirai e chiusi gli occhi, non volevo pensare più a nulla solo che ero stata fra le sue braccia e che ora lui era accanto a me e mi teneva compagnia. E io, per una volta, ero felice per davvero.
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6. ***


“Alzati.” Qualcuno tirò un calcio al divano su dove mi ero appisolata per un po’ dopo la perdita dei sensi dopo troppo sole preso, mugolai qualcosa per farlo tacere agitando una mano. Aprii un occhio e vidi Justin davanti a me che mi guardava con la braccia conserte e la mascella testa aspettando che mi alzassi, mi tolse la coperta che avevo addosso ripetendomi più volte di alzarmi. Sbuffai e misi giù i piedi pronta per alzarmi, lui si aggiusto il cappellino nero con la scritta NY e mi guardò mentre sbadigliavo di sonno, guardai l’orologio appeso al soffitto con un chiodo, erano le 5.34 di mattina, sbarrai gli occhi.
“Sono le cinque e mezza di mattina, perché mi hai svegliato?” Lo guardai in cagnesco alzandomi dal divano.
“Non volevi tornare a casa?” Sbuffò mettendo la coperta al suo posto alzando un sopracciglio.
“Si ma..” Lui mi fermò prima che potessi formare la frase.
“Niente ma, si fa come dico io.” Prese gli occhiali da sole e se li mise tirandosi giù le maniche della felpa coprendo l’inchiostro nero sopra le sue braccia e infine si tirò su il cappuccio sopra il capello, poi mi guardò.
“Andiamo?” Sfiorò la mia spalla scoperta con la sua dirigendosi verso la porta d’ingresso.
Scott comparve venendo verso di me, mi prese la mano e ci porse sopra il mio cellulare.
“Credo che questo sia tuo.” Rotto, come pensavo, il vetro touch screen era completamente rotto e con se anche i cristalli liquidi all’interno e la parte dietro tutta scheggiata, sbuffai riponendolo nella tasca, almeno avevo una scusa valida per non aver avvertito Rosy con una chiamata o un messaggio ma avrei comunque dovuto trovare una scusa per spiegarlo ai miei genitori.
“Ti chiedo scusa io per lui, non voleva rompertelo.” Si scusò.
Io scossi la testa facendoli un sorriso.
“Non preoccuparti, era vecchio si sarebbe rotto in qualche modo comunque.” Mi voltai e trovai Justin appoggiato con la schiena sulla porta che mi guardava con aria seria come al solito.
“Vuoi stare ancora qua o vuoi tornare a casa?” Alzai gli occhi al cielo affrettandomi a uscire dalla porta seguita da Justin che sbatte’ la porta scendendo le scale. Scesi le scale accanto a lui, mi guardavo i piedi alzai lo sguardo e vidi le sopracciglia di Justin aggrottate e mi chiesi a cosa stesse pensando, quasi caddi all’ultimo gradino ma non persi l’equilibrio per fortuna, guardai le sue mani chiuse in un pugno e la mascella serrata, ebbi la tentazione di prenderlo per mano ma mi trattenni quasi con forza, e sospirai.
“Sei arrabbiato?” Chiesi.
“No.” Rispose quasi subito e freddo, io non dissi più una parola, arrivammo davanti alla Range Rover nera che avevo visto il giorno della festa di Taylor e Justin mi accennò con un gesto della testa di salire a bordo, questa volta salii davanti con lui, sedendomi su dei sedili di pelle nera lucida, dentro era tutto lucido senza nemmeno un filo di polvere era proprio vero quando dicevano che le macchine dei maschi erano un gioiello vero e proprio. Justin salì a bordo sbattendo la portiera dell’auto e infilò la chiave accendendo il motore, mi guardava con la coda dell’occhio, lo sapevo anche se aveva sul naso gli occhiali scuri perché sentivo il suo sguardo addosso e questo mi faceva sentire a disagio tremendamente.
L’auto partì a tutta velocità da farmi schiacciare la schiena nuda contro la pelle del sedile liscia, mi aggrappai alla maniglia della portiera tenendola stretta.
Restai in silenzio per un po’ finche non tirò fuori dalla tasca il pacchetto di sigarette e ne sfilò una con le dita mettendola fra le labbra, l’accese tenendo il volante con i gomiti per qualche istante, subito dopo accesa riporse l’accendino nella tasca dei jeans e riprese la sigaretta con due dita facendo uscire fumo dalla bocca come un camino, lo guardai in silenzio finche non mi rivolse la parola.
“Dove abiti?” Lui si bagnò le labbra con la lingua con lo sguardo sulla strada.
“Nei primi isolati di Soho.” Risposi.
“Perfetto.” Fece un altro tiro e scosse con le dita la sigaretta fuori dal finestrino per far cadere la cenere.
Lo guardai mentre faceva altri tiri, era perfetto in ogni situazione, sarei rimasta a guardarlo per ore e ore, chissà che cosa aveva questo ragazzo che lo turbava tanto, questa domanda continuava a ronzarmi nella mente senza potere avere una risposta, come avrebbe reagito se gli avessi posto una domanda così personale? Sapevo che aveva la pistola con se e quel idea mi spaventava, Scott non c’era e mi avrebbe uccisa senza pensarci due volte se lo avessi fatto arrabbiare, decisi di restare con quella domanda in testa piuttosto che col cranio sfracellato contro il vetro della macchina.
La mia pancia brontolò così forte da sentirlo anche lui che si girò a guardarmi con la sigaretta in bocca, io mi strinsi nelle spalle, che cosa aspettava che facessi? Erano quasi due giorni che non toccavo cibo, stavo morendo di fame.
“Hai fame?” Mi chiese soffiandomi il fumo in faccia. Io annuii guardando altrove, lui tornò a guardare la strada e svoltò alla prima sulla destra che trovò e si fermò subito dopo davanti a quello che sembrava un Mc’Donald’s, si fermò e aprì la portiera della macchina dalla sua parte e si tolse la sigaretta dalla bocca.
“Mi assicurerò che tu resti ferma qua.” Rimise la sigaretta in bocca facendo un tiro.
Scese dall’auto e chiuse la portiera tirando fuori le chiavi, mi chiuse dentro.
Sbarrai gli occhi mentre lo guardavo allontanarsi, cosa pensava che volessi fare? Scappare per caso? Neanche sapevo dove eravamo figuriamoci se pensavo di svignarmela da sola alle cinque di mattina, scossi la testa e mi rannicchiai sul sedile aspettando che ritornasse.
Cinque minuti dopo lui era di ritorno, riaprii l’auto e entrò posandomi un sacchetto in mano con la M di Mc’Donald’s e un bicchiere di carta col tappo e cannuccia, era freddo.
“Tieni.” Chiuse la portiera del auto e rimise in moto partendo come prima.
“Li hai presi per me?” Lo guardai perplessa.
“Mangia.” Mi ordinò senza rispondere alla mia domanda, ma a quanto pare era un ‘si’.
Aprii la cannuccia e la infilai dentro al buco del tappo e bevvi, era Coca-Cola e dentro al sacchetto c’era un panino fumante con hamburger, insalata e sottiletta sciolta, tipico.
“Grazie.” Gli sorrisi e tirai fuori il panino dandoci un morso con piacere, bevvi un altro sorso di bibita e gli rivolsi lo sguardo. Lui tirò fuori di nuovo il pacchetto di sigarette e ne sfilò un’altra accendendola, io aggrottai la fronte masticando, lui mi ignorò insieme al mio sguardo su di lui e quella maledetta sigaretta.
“La devi smettere di fumare, ti fai solo del male.” Lo rimproverai.
Lui mi guardò facendo un tiro sbuffando. “Fatti i cazzi tuoi.” S’irrigidì aggrottando la fronte, guardò la strada, io feci lo stesso e rimanemmo zitta per tutto il tempo.
 
Quando fummo arrivati scesi dalla grande macchina con fatica e chiusi la portiera guardando Justin che faceva in giro di tutta la macchina venendo verso di me, guardò la porta di casa mia poi guardò me indeciso, avanzai prima lui.
“Andiamo.” Salì gli scalini fino alla porta, presi le chiavi di casa e le infilai nella serratura. “Dovrai fare piano, i miei genitori staranno dormendo.” Lo avvisai, lui annuii facendo l’ultimo tiro e poi lanciò la sigaretta per terra.
Girai le chiavi nella serratura e aprii la porta cercando di fare il meno rumore possibile, lui entrò dopo di me chiusi la porta con delicatezza, posai le chiavi sulla mensola vicino alla porta e guardai Justin che curioso si guardava in giro.
“Andiamo in camera mia.” Gli sussurrai sotto voce facendogli strada sulle scale verso camera mia.
Lo feci entrare in camera mia e lanciai le scarpe sul pavimento, entrò si sedette sul letto guardando la mia stanza, io alzai le spalle grattandomi la testa imbarazzata.
“Ehm, vado a cambiarmi, non fare casino per favore.” Lo guardai e presi il cambio aprendo la porta e andando in bagno.
Entrai in bagno e aprii il rubinetto con l’acqua tiepida per sciacquarmi la faccia, mi guardai allo specchio e feci una smorfia, avevo delle terribili occhiaie sotto gli occhi non avevo dormito gran che sapendo che ero a casa di un criminale e non avrei dormito neanche oggi sapendo che un criminale invece ora era in casa mia, nella mia stanza! Scossi la testa, ancora non ci credevo che avevo conosciuto lo strano Justin McCann, proprio quello dell’annuncio e della tv, quello che mio padre stava cercando di rintracciare e senza saperlo ora se lo ritrovata nella sua tana a portata di mano. Mi venne un brivido giù per la schiena all’idea che mio padre potesse arrestarlo, non glielo avrei mai lasciato fare era troppo importante per me, chiusi l’acqua e mi asciugai la faccia con l’asciugamano.
Mentre mi cambiai misi una mano dentro la tasca dei jeans e ci trovai ancora l’annuncio stropicciato dentro, sorrisi al ricordo di quando trovai quel annuncio sul palo davanti alla mia scuola.
Quando ebbi finito di cambiarmi tornai nella stanza dove Justin stava guardando le mie foto sulla mensola vicino ai libri, sorrisi guardando la sua espressione attenta sulle mie foto, il rumore della porta chiudersi lo distrasse voltandosi verso di me, io arrossii e posai l’annuncio sul comodino.
“Cos’è?” Chiese venendo verso di me girando dall’altra parte del letto.
“Un annuncio che ho trovato.” Feci finta di niente.
Lui prese l’annuncio aggrottando la fronte, poco dopo sorrise e mi guardò incuriosito.
“Mi stavi cercando?” Mi sorrise mostrando i denti, io arrossi di botto cercando di non incrociare il suo sguardo.
“No.. L’ho trovato e l’ho preso..” Guardai altrove.
“Per fare cosa?” Insiste.
“Una ricerca.” Risposi.
Lui riposò l’annuncio sul comodino e si sedette sul letto affianco a me.
“Dovresti dormire.” Mi rivolse uno sguardo.
Lo guardai ancora imbarazzata.
“Solo se dormi con me.” Aspettai una risposta.
Lui si alzò dal letto togliendosi le scarpe bianche che aveva ai piedi e togliendosi il cappellino nero posandolo sulla scrivania passandosi una mano fra i capelli.
Io mi infilai sotto le coperte di lato guardandolo, lui serrò la mascella quasi irritato e venne verso di me sedendosi al mio fianco, si infilò sotto la coperta affianco a me e sprofondò la testa nel mio cuscino, io sorrisi e mi avvicinai di più a lui posando la testa affianco alla sua spalla.
Poco dopo ero sprofondata in un sonno profondo senza sogni. Come potevo sognare qualcosa se il mio sogno era già realizzato e lo avevo accanto a me? Forse non era così per lui, ma quando lui era vicino a me sentivo nascere della felicità dentro di me che a piano a piano mi riempiva dentro, avrei preferito che lui fosse un po’ più sciolto con me, più dolce ma evidentemente non era quel genere di ragazzo, uno di quelli romanici dico. Ma comunque, dentro di me, sentivo che c’era di più in lui, non era così freddo come pensavo, e mi piaceva, mi piaceva davvero.
 
Poche ore dopo erano le 9.23 e un tonfo dal piano di sotto mi svegliò, aprii gli occhi e vidi la luce fioca del mattino che penetrava dentro e illuminava tutta la stanza, mi girai e vidi Justin, quasi mi ero dimenticava che fosse qua. Dormiva ancora, il viso neutro e la pelle pallida sotto la luce, il corpo rilassato e non teso come lo era quando era sveglio, i capelli scompigliati dalla notte e le labbra rosa quanto il mio lucidalabbra, mi morsi il labbro desiderosa di posarle sulle sue ma mi trattenni, aveva le braccia intorno al mio bacino e mi stringeva, arrossii e posai una mano fra i suoi capelli. Erano morbidi e lucenti, feci attenzione per non svegliarlo, sapevo che se si fosse svegliato quel bel visino rilassato sarebbe scomparso e non volevo, lo lasciai dormire allontanandomi da lui, udii un altro tonfo proveniente dal piano di sotto mi affrettai al alzarmi dal letto uscendo da camera mia, chiusi la porta sperando che nessuno ci entrasse.
Scesi le scale a piedi nudi e trovai mia madre che trafficava fra le pentole facendone cadere qualcuna, sgranai gli occhi e andai da lei.
“Mamma, cosa stai facendo?” Lei si voltò di scatto verso di me con aria confusa.
“Sto cercando una cosa.” Disse continuando a frugare fra le padelle d’acciaio.
“Fra le padelle?” Alzai un sopracciglio appoggiandomi contro il tavolo con le braccia conserte.
Mia madre mi guardò per qualche istante per poi richiudere lo sportello andandosene sul divano sbuffando, la guardai fin quando non lasciò che il suo corpo cedesse sopra il divano.
Alzai gli occhi al cielo tirando fuori i cereali dalla mensola in basso, li aprii e me li portai con me, presi il telefono di casa in mano, dovevo chiamare Rosy e avvertirla, chissà quanto era in pensiero, risalii le scale e tornare in camera mia dove Justin ancora dormiva beato, restai appoggiata alla porta per qualche istante guardandolo dormire e fantasticando su come sarebbe stato bello averlo tutto per me, scossi la testa e composi il numero di Rosy sul telefono, andai a sedermi alla scrivania aspettando che rispondesse.
“Pronto, Nicole?” La voce di Rosy mi rilassò.
“Rosy! Stai bene?” Mi affrettai a rispondere.
“Nicole! Sto bene, tu stai bene?! Dove eri finita?” Sembrava preoccupata, e anche tanto.
“Scusami.. Io..” Merda, non avevo pensato a una scusa sensata da dirgli, restai con la voce spezzata in cerca di una scusa. “Mi sono allontana troppo..” Improvvisai all’ultimo.
“Sei impazzita, mi hai lasciato la ubriaca con David e..” Lei si fermò imbarazzata.
“E..?” La incoraggiai.
“Ci siamo baciati..” Lei cadde in un pozzo di vergogna e io invece non riuscii a trattenere le risate dentro.
“Oh mio dio!” Urlai per poi chiudermi la bocca con una mano ricordandomi che c’era Justin che dormiva ancora. “Cosa?!” Sussurrai.
“E’ così..” Sembrava arrossire dall’altra parte del telefono.
“Com’è stato?!” Mi affrettai a farle domande prima che potesse cambiare discorso.
“Non lo so.. Ero ubriaca!” Nella sua voce c’era un filo di delusione.
“Giusto, lui non ricorderà nulla. Lo bacerai da sobria?” Sorrisi divertita sapendo che sarebbe sprofondata di nuovo negli abissi della vergogna.
“Cosa?! Sei impazzita? No!” Lei si agitò.
Mi voltai per verificare se Justin stava ancora dormendo e con mia sorpresa lo trovai seduto nel letto che mi fissava con aria assonnata, io gli sorrisi arrossendo in viso.
“Ma dai, magari gli piaci.” Continuai a guardarlo mentre rispondevo a Rosy, lui non disse una parola e si passò una mano fra i capelli.
“Non lo so.. Comunque, perché il tuo telefono è staccato? Non sono riuscita a chiamarti in questi due giorni.” Sembrò rimproverarmi.
“Ho rotto il telefono.” Lanciai un occhiata a Justin che la comprese al volo e cambiò direzione dello sguardo. “Scusa, ora devo riattaccare mia madre lo vuole.” Mentii.
“D’accordo, chiamami dopo Nicole, ciao.” Chiusi la chiamata e presi i miei cereali sedendomi sul letto guardando Justin.
“Dormito bene?” Lo guardai.
Lui non rispose, scese dal letto e andò verso la porta, mi alzai di fretta dal letto per fermarlo.
“Dove stai andando?” Gli presi un braccio che si tese i suoi occhi si posarono sulla mia mano.
“In bagno.” Rispose freddo.
“Fai attenzione a mia madre per favore, è in casa.” Gli lasciai il braccio lasciandolo andare, tornai sul letto e presi i cereali in un pugno mangiandoli.
Pochi minuti dopo Justin ricomparse sulla soia di camera mia chiudendo la porta si sedette affianco a me senza dire una parola.
“Cosa facciamo oggi?” Lo guardai poggiando la busta di cereali sul comodino affianco al letto.
“Non lo so.” Rispose secco.
“Non vai a uccidere nessuno oggi?” Scherzai.
“Stronza, sta zitta.” Ringhiò.
Sgranai gli occhi. “Come mi hai chiamata scusa?” Aggrottai la fronte guardandolo.
Lui non rispose sbuffando.
“Ma come diavolo ti permetti?” Alzai la voce. Lui fece finta di niente, di nuovo.
Mi alzai dal letto guardandolo male, presi le mie cose uscii dalla stanza rintanandomi nel bagno per vestirmi, il cervello ribolliva di irritazione alle sue parole, perché doveva essere sempre così freddo e distaccato? Mi cambiai mettendomi addosso una maglietta a maniche corte ma questa volta mettendo sotto dei leggings grigi scuro.
“Io esco.” Annunciai a Justin quando fui dentro la camera.
“Dove vai?” Lui si alzò dal letto sistemandosi i pantaloni.
“Da Rosy, non puoi venire.” Disse fredda con il suo stesso tono di voce di quando mi parlava distaccato.
“No.” Lui mi si mise davanti fermandomi. “Non puoi.”
“Cosa?” Sbottai. “Lasciami andare.” Lui mi strinse un braccio con la sua grande mano facendomi male, feci una smorfia spingendolo.
“Esci, ci vediamo fuori.” Lui mollò la presa lasciandomi passare, io scesi le scale andando nel salotto, mi avvicinai al tavolino affianco al divano e trovai un annuncio simile al mio ma a colori, c’era la foto di Justin come sul mio annuncio con sotto la scritta in grosso ‘RICERCATO’ me lo infilai nella borsa, Justin doveva saperlo, presi le chiavi di casa e andai verso la cucina, mia madre si era addormentata con la testa sul tavolo e una bottiglia di vino bianco affianco, le guance scolorite quasi bianche e la pelle piena di rughe, sbuffai rumorosamente e uscii di casa fregandomene come lei se ne fregava di me.
Justin era davanti alla sua macchina con il telefono all’orecchio e parlava con qualcuno, come aveva fatto a uscire?
Posò subito il cellulare nella tasca dei jeans riattaccando la chiamata quando mi vide arrivare, andai verso di lui e mi aprii la porta del auto per farmi salire e lui salii al posto di guida, si sistemò sul sedile e infilò la chiave e accese.
“Come hai fatto a uscire? Non sei passato dalla porta.” Gli chiesi guardando le sue mani sul volante per non guardarlo in faccia, ero ancora arrabbiata da quello che mi aveva detto prima.
“Dal balcone.” Lui rispose freddo, io alzai gli occhi al cielo seccata.
“E lo fai sempre?” Chiesi.
“Quando ho la polizia alle calcagna e devo scappare, si.” Alzò le spalle come se fosse una cosa normalissima da fare, come se io per andare a scuola la mattina saltassi giù dal quarto piano senza farmi un graffio come fa lui.
“A proposito..” Mi ricordai, infilai una mano nella borsa e tirai fuori l’annuncio.
“Quanti ne hai di quei cosi?” Lui squadrò l’annuncio colorato fra le mie mani.
“Non lo avevo io, ma mio padre.” Spiegai diventando rossa in viso ricordando che mi aveva scoperto con uno di questi in tasca.
“Tuo padre?” Scosse la testa confuso.
“Faceva il poliziotto, ora è in pensione ma qualche giorno fa l’hanno chiamato al distretto di polizia per aiutarli a cercarti.” Lo guardai in colpa per non averglielo detto prima.
“Cosa?! Vuoi dire che tuo padre mi sta cercando?” Lui inchiodò di botto frenando al semaforo rosso facendomi sobbalzare in avanti.
“Si, è stato nominato il miglior poliziotto di Londra.” Mi guardai i piedi appoggiati sul tappetino grigio della macchina per non sporcarla. Lui s’irrigidì all’istante aggrottando la fronte.
“Merda, non mi troverà.” Imprecò.
“Stanno perlustrando tutta Londra e soprattutto nella mia zona, non potrai scappare per sempre.” Lui mi lanciò un occhiata gelida schioccando la mascella irritato.
“Ti ho detto che non mi troveranno.” Aspettò che il semaforo brillò con il colore verde per sfrecciale verso casa sua.
“Non mi lascerò prendere finche non avrò sistemato una questione.” Aggiunse poi svoltando a destra.
“Qualche questione?” Mi affrettai a domandargli.
“Non credo ti interessi.”
“Posso partecipare?” Lo guardai mentre con sguardo attento controllava la strada.
“Ci sarà sangue ovunque e non credo ti farebbe piacere visto come hai reagito l’ultima volta che ho ucciso qualcuno.” Le sue labbra si curvarono in un sorriso divertito, io scossi la testa.
“Ucciderai di nuovo? Perché?” Chiesi confusa.
“Ho delle questioni aperte da risolvere e che devo chiudere una volta per tutte.” Lui ritornò serio.
“Ma perché devi usare la violenza? Non puoi semplicemente parlare? A volte funziona e..” Mi interrompe’.
“Puoi chiudere quella cazzo di bocca per cinque minuti?” Sbottò.
Io rimasi zitta cercando di respirare il meno possibile per non far rumore, fra di noi scese il silenzio e mentre il rumore delle ruote dell’auto che sfrecciavano a tutta velocità sul asfalto io cominciavo a sentirmi tremendamente in colpa, perché non ero una di quelle ragazze silenziose? Almeno mi farei risparmiata di farlo arrabbiare, mi colpevolizzai in tutti modi possibili nella mia mente mentre guardavo fuori dal finestrino, guardai Justin con la coda dell’occhio e il suo sguardo sulla strada era così freddo che mi faceva paura a volte, il mio senso di colpa sparì quasi subito e ricominciai senza riuscire a stare zitta in secondo, a parlare di nuovo.
“Con chi stavi parlando prima al telefono?” Chiesi sperando di non farlo arrabbiare di nuovo.
Lui sospirò rallentando al semaforo e il suo viso si rilassò rassegnandosi all’idea che non sarei mai stata zitta come desiderava tanto lui, io sorrisi.
“Con Scott.” Rispose.
“E cosa vi siete detti?” Continuai.
Lui mi lanciò un occhiata. “Che ti portavo a casa e restavi con lui.” Concluse facendo retromarcia guardando indietro oltre i sedili per parcheggiare la macchina davanti alla sua piccola villa deserta.
“Davvero nessuno sa che tu abiti qua?” Chiesi mettendo alla prova la sua pazienza. “Dei poliziotti e investigatori che ti stanno cercando, intendo.” Aggiunsi specificando.
“Nessuno.” Rispose senza aggiungere altro, arricciai il naso alla sua risposta fredda e senza senso della spiegazione.
“E perché?” Scesi dall’auto e lo raggiunsi davanti alla porta d’ingresso.
“Per favore..” Lui mi accennò con la mano di restare in silenzio o sarebbe esploro.
“Wow, Justin McCann che dice ‘per favore’!” Esclamai ironicamente.
“Se preferisci che ti infili la pistola in bocca, dimmelo e ti accontento.” Lui sorrise aprendo il portone di ingresso per farmi entrate.
“No, grazie.” Scossi la testa entrando.
 
Quando entrammo in casa vidi Scott trafficare con una pistola e altri vari oggetti che sembravano bombe, io rabbrividii, avrei dovuto farcene un abitudine se fossi stata a lungo in quella casa.
Justin si avvicinò a Scott prendendone una in mano caricandola.
“Attento, le ho appena caricate e sono potenti, cerca di fare attenzione.” Scott lo raccomandò mentre inserì altre munizioni dentro a un’altra pistola poco più grande di quella che aveva in mano Justin.
Lui fece indifferenza alle parole di Scott e alzò le sopracciglia in segno di stupore analizzando bene l’oggetto potente che teneva in mano, lo riposò e prese in mano quello che aveva appena caricato Scott.
“State andando in guerra per caso?” Chiesi con ironia incastrando le braccia al petto.
Scott alzò il viso incrociando il mio con un sorriso mentre Justin non alzò nemmeno lo sguardo restò concentrato a trafficare con l’arnese come se nella stanza non ci fosse nessun’altro che lui e quell’affare. Io sbuffai irritata e lui lo notò tirando via il giocattolo pericoloso dalle mani di Justin che aggrottò la fronte irritandosi al suo gesto, mi guardò per qualche istante prima di alzarsi e sistemarsi la catena che aveva al collo.
“Devo andare.” Scott annuii senza dire nulla.
“Dove?” Chiesi, lui alzò le spalle.
“Devo fare una cosa.” Non aggiunse altro prima di sorpassarmi e uscire di casa sbattendo la porta.
Io alzai gli occhi al cielo ritrovandomi sola nella stanza con Scott che continuava a sistemare le sue armi da fuoco, alzai sul terrazzo a mi sedetti al tavolino e non al sole, volevo restare sveglia almeno fino alla fine della giornata.
Scott poco dopo lasciò i suoi giocattoli e venne a sedersi affianco a me lasciando una scia di profumo che non riuscii a riconoscere ma ero sicura che fosse firmato dato il suo intenso profumo forte, si sistemò sulla sedia guardandomi.
“Perché ti trovavi li qualche giorno fa?” Scott parlò all’improvviso così da impedirmi di sprofondare nei silenzio dei miei pensieri.
“Quando?” Chiesi rivolgendogli uno sguardo confuso alla domanda.
“Quando ti abbiamo portato qua.”
“Oh..” Le mie labbra presero la forma di un ovale pensando. “C’era una festa di una mia amica, e d’ero li per divertirmi un po’.” Alzai le spalle come faceva Justin in segno di innocenza.
“E come mai ti trovavi in difficoltà con quei tipi?” Incrociò le mani sotto il mento appoggiandosi al tavolino attento ad ascoltare la mia storia di come mi ero ritrovata a faccia a faccia con Justin.
“B’è.. Stavano picchiando un ragazzo, e cercavo di farli smettere.” Mi guardai le mani.
“Ma che eroina!” Scott rise. “Hai fegato ragazza!” Mi sorrise tirandomi una pacca sulla spalla che quando mi si smontò contro la sua mano.
“Senti.. Io però voglio sapere qualcosa su Justin, mi sembra così.. Non so, freddo, solo e distaccato.” Guardai Scott negli occhi cercando una risposta al mio dilemma che da quando lo avevo incontrato mi percorreva nella mente. “Perché? E’ successo qualcosa quando era piccolo? Ha avuto un trauma?”
Scott tornò serio schiarendosi la voce, per poi guardandosi in torno cercando un altro argomento su cui attaccarsi.
“Di questo non posso partene, mi dispiace.” Rispose.
“Perché?” Lo guardai.
“Justin non vuole che si sappia nulla e soprattutto se si stratta di cose così personali.” Lui mi guardò agitando la testa in segno di disapprovazione. “Se non è lui a dirti tutto, io non posso dire nulla a nessuno. Ti posso solo dire che è sempre stato così.”
“Non è vero.” Sussurrai più a me stessa che a lui, abbassai lo sguardo in colpa per l’argomento che avevo tirato fuori. Scott mi guardò cercando di capire dove volevo arrivare.
“Se me lo dici, non lo dico a nessuno.” Riprovai in qualche modo a fargli sputare il rospo ma che continuava a scuotere la testa.
“Se Justin scopre che io ti ho detto qualcosa, mi fa saltare la testa. Lo sai com’è quindi è un no di nuovo.” Guardò altrove chiudendo l’argomento.
Io sbuffai appiattendomi sulla sedia. Niente, Scott non aveva intenzione di aprir bocca e io, non avevo intenzione di lasciar perdere questa storia, dovevo scoprire il passato di Justin volevo sapere perché era così freddo, così distaccato e insensibile a tutto. Questa cosa mi procurava mal di testa ogni volta che ci pensavo e la voglia di saper la verità saliva sempre di più fino a farmi scoppiare il cervello ogni volta che mi era vicino, io l’avrei scoperto, chissà quando, ma l’avrei fatto. Ero decisa a far qualcosa per lui, anche se non ero del tutto sicura che se lo sarebbe meritato ma d’altronde.. Lui mi aveva salvata quella notte, gli dovevo anche io qualcosa.
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7. ***


 
Il cellulare nuovo che mi aveva comprato Justin vibrò sul comodino affianco al mio letto tanto da sentirlo anche nel sonno facendomi uscire dal mondo dei sogni, cosa che odiavo terribilmente. Perché dovevano svegliarmi nel momento in cui ero nel paradiso più totale dei miei sogni?
Presi il cellulare con la testa ancora nel cuscino e risposi senza neanche controllare chi fosse, ma già sapevo chi era, chi mai poteva svegliarmi mentre dormivo come al suo solito? Rosy, maledetta.
“Pronto?” Sbadigliai.
“Sveglia?” La voce roca di Justin di prima mattina mi fece sobbalzare, non me l’aspettavo di trovare lui dall’altra parte del telefono.
“Ora si.” Mi passai una mano fra i miei capelli lisci aggrovigliati dalla notte.
“Girati.” Aggrottai la fronte girandomi verso la finestra del balcone di camera mia e vidi Justin davanti al vetro che mi salutava con un cenno della mano e un sorrisino in faccia divertito. Chiusi la chiamata con lui e mi alzai dal letto sbalordita più di prima aprendomi la finestra per farlo entrare.
“Ma cosa ci fai qua?” Chiusi la finestra rabbrividendo al contatto col sole caldo del mattino.
“Ti ho fatto da sveglia.” Lui si sorrise di nuovo sfoggiandomi un’altra volta i suoi denti perfetti, io arrossii intimorita da quel profilo perfetto.
“Sei di buon umore oggi?” Sorrisi.
Lui alzò le spalle senza rispondere, forse era il giorno buono che sarebbe stato almeno un po’ “gentile” con me, o forse era solo per poco e dopo sarebbe tornato il Justin di sempre, arrabbiato, teso e freddo.
“Ti porto a fare colazione in un posticino.” Justin mi squadrò da testa a piedi. “Vestiti, ti aspetto fuori.” Con agile mossa felina aprii la finestra del mio balcone e scivolò giù dal quarto piano, scossi la testa chiedendomi ancora come facesse a farlo senza farsi male. Sembrava uno di quei ragazzi che saltavano da un palazzo all’altro come molle senza stancarsi, magari lo era stato siccome non sapevo nulla di lui, mi vestii leggera dato il sole e pochi minuti dopo mi trovavo sotto casa con Justin davanti alla macchia come al solito che mi aspettava.
“Dove mi porti?” Lui mi fece salire in aiuto chiudendomi la portiera.
“Vedrai.” Justin accennò un altro sorriso.
“Oggi sorridi più del solito.” Pensai a voce alta arrossendo dopo che si girò verso di me.
Lui alzò le spalle accendendo il motore e partimmo verso chissà quale bar o Mc’Donald’s saremmo andati, lui restò con lo sguardo fisso sulla strada mentre io di tanto in tanto mi soffermavo a guardare i suoi lineamenti del viso, il mento e quei pochi baffetti sopra, quelle belle labbra che avrei voluto mordere a più non posso mentre invece mordevo le mie per trattenermi da fare qualcosa di azzardato, le sopracciglia non tanto folte che ogni volta che si arrabbiava si univano con delicatezza, quella mascella che ogni volta che si contraeva mi provocava formicolio per tutto il corpo, quel sorriso che non avrei mai dimenticato da adesso a questa parte, gli occhi color nocciola che luccicavano ogni volta che toccavano un raggio di sole, lo sguardo penetrante, i modi di fare così sgarbati e la maleducazione che dentro in se teneva qualcosa di più gentile che nascondeva, quel viso stupendo che un giorno avrei scoperto con ogni mia speranza o forse no ma era così, così attraente da farmi sciogliere l’anima e cuocere la mente dalla vergogna di un suo sguardo addosso. Portai le ginocchia al petto rannicchiandomi sul sedile così da appoggiare la testa sulle ginocchia e continuare a fantasticare di averlo per me, di poter fare qualcosa per lui o semplicemente di farlo sorridere come mi piaceva tanto, sciocchezze, perché avrebbe dovuto mai restare con una come me? Ero un disastro e se non fosse stato per me a quest’ora lui non avrebbe dovuto fare da cane da guardia a una sbadata come me, scossi la testa e chiusi gli occhi per un po’ e li riaprii quando sentii il motore del aiuto spegnersi e della mano di Justin scuotermi.
“Non ti appisolare, bella addormentata dobbiamo scendere.” Il suo tono era severo ma comunque lo obbedii senza dire niente scesi dall’auto con un salto e chiusi la portiera seguendolo.
Davanti a noi c’era una scritta in grande con su scritto Fast Food, sbarrai gli occhi e guardai Justin in cagnesco.
“Questa non è fare colazione, vuoi farmi vomitare per caso?” Lui alzò un sopracciglio alzando le spalle.
“Non ti piace? Fanno roba buonissima.” Si passò una mano fra i capelli avanzando verso l’entrata mentre io lo seguivo a cagnolino.
“Certo, ma non credo sia adatto a fare colazione. Sai almeno cosa vuol dire “colazione”?” Scossi la testa cercando di tenergli il passo.
“Non lamentarti.” Lui mi rimproverò aprendo la porta all’entrata per farmi passare per prima, sbuffai.
Quando entrai trovai davanti un lungo bancone dove molta gente facevano la fila per comprarsi un panino caldo con formaggio filante farcito con patatine fritte appena fatte e molta altra roba, c’erano molti tavolini con massimo quattro sedie per ciascuno ed era quasi tutto pieno restavano solo pochi tavoli liberi e la gente faceva a gara per prenotarli in tempo. Guardai Justin che si leccava le labbra all’idea di prendere un bel panino farcino e metterlo sotto i denti, io invece al contrario avevo un volta stomaco, non ero abituata a mangiare tutta quella roba a colazione ma si placò molto in fretta quando mi venne un certo languorino anche a me, alla mia destra oltre i tavolini e l’ammasso di gente c’era anche un Self Service con roba anche italiana e molto invitante ma in quel momento opzionavo per il panino farcito. Io e Justin ci mettemmo in coda ad aspettare il nostro turno, io mi guardavo i piedi imbarazzata dal silenzio fra noi due e lui batteva le nocche della mano contro il bancone nell’attesa noiosa di ricevere attenzioni da parte del commesso che al momento era occupato ad servire altri clienti, mentre i minuti passano l’attesa era opprimente e il silenzio senza sosta fra noi lo era ancora di più e cominciava a innervosirmi.
“Tu ci vieni spesso qua?” Spezzai finalmente il mio nervosismo.
“Ogni tanto.” La sua risposta secca mi fece ammosciare tanto da costringermi a fargli sputare le parole dalla bocca con una pinza invisibile.
“Con Scott?”
“Si.” Di nuovo.
“A lui piace?” Chiesi di nuovo.
“Si.” Cominciavo a dubitare che le conversazioni a lui non piacevano gran che, ogni volta che gli chiedevo qualcosa lui rispondeva freddo e a monosillabo, i suoi genitori gli avevano insegnato solo quelle poche parole? Diceva solo quelle!
Asociale.” La mia mente parlò senza pudore e io approvai senza esitare, era senza dubbio asociale questo ragazzo, che cavolo aveva? Sbuffai esasperava, mi chiedevo solo per quanto avrei resistito alle sue risposte.
Finalmente la cassiera ci rivolse un sorriso forzato e ci chiese cosa volevamo, secondo aveva la mascella bloccata con tutti i sorridi che doveva fare al giorno a tutti i clienti che avevano, mi sentii sollevata però, almeno avrei potuto mangiare qualcosa e placare la mia impazienza, scossi la testa chiudendo i miei pensieri in un angolo.
“Io prendo un McMuffin e un succo di frutta per favore, grazie.” Justin parlò prima di ma ordinando. Mi congratulai nella mia testa con Justin per le buone maniere che aveva usato.
“Tu cosa prendi?” Attesa una mia risposta cominciando a prendere il portafoglio pronto per pagare.
“Prendo un Big Mac, McToast, Hamburger senza cipolla, doppio Cheeseburger, McChicken. Poi un Caesar Salad senza pollo, patatine grandi e da bere un Coca-Cola grande e in fine un McFlurry Smarties.” Sorrisi alla cameriera dietro alla cassa che fece fatica starmi dietro e a prendere appunti digitando sulla cassa.
Justin sgranò gli occhi lanciandomi un occhiata, io feci finta di niente alzando le spalle guardando la commessa che faceva avanti e indietro portando la roba. Lui pagò più del previsto senza dire una parola, irritato prese il suo vassoio e io lo seguii prendendo il mio che pesava il doppio e quasi inciampai mandando tutto all’aria, ci sedemmo all’ultimo tavolino rimasto.
“Dunque hai un gran stomaco.” Justin parlò bevendo il suo succo di frutta all’arancio.
“Avevo solo fame.” Feci finta di niente cominciando a scartare i panini mangiandoli uno dopo l’altro a gran morsi.
“Mica dicevi che questa non era una colazione?” Lui scartò il suo panino e ci fece un morso.
Io alzai gli occhi al cielo senza rispondergli. Non avevo tanta fame ma l’avevo fatto per fargli spendere di più, una specie di vendetta insomma.
“Ora non posso neanche aver fame?” Mi lamentai finendo il terzo panino e iniziando a mangiare il pollo.
Lui non rispose e finii il suo panino sporcandosi di maionese sulle labbra, lo fissai mordendomi le mie fingendo di essere io a pulirlo con un bacio appassionato su quelle deliziose labbra rosa finendo sul tavolino del Fast Food a far l’amore.
“Risparmia il fiato e mangia.” Prese il tovagliolo pulendosi dalla macchia e cancellò il mio sogno erotico che mi ero fatta nella mente, sbuffai e continuai a mangiare bevendo di tanto in tanto qualche lungo sorso di Coca-Cola fresca.
 
Quando ebbi finito di mangiare tutto lo stomaco ero pieno e la pancia gonfia a mala pena riuscii ad alzarmi dal tavolo e salire in macchina con grande sforzo, guardai Justin che leggero guidava mentre io cominciavo a sentire qualche leggero mal di stomaco.
“Ho mal di pancia.” Mi lamentai.
“È la tua punizione per aver mangiato tutto quella roba.” Lui sorrise senza staccare gli occhi dalla strada.
Mi lamentai per tutto il viaggio in macchina fino a casa di Justin dove scesi dalla macchina e salii le scale seguita da lui mentre mi tenevo lo stomaco sottosopra ancora, aprii la porta di casa e Scott non c’era, mi buttai a peso morto sul divano guardando Justin che si toglieva la giacca.
Si sedette affianco a me accendendo lo stereo mettendo musica rock, scoprii l’ultima cosa del giorno di lui, oltre a piacergli il Fast Food gli piaceva anche la musica rock, a me non tanto ma l’apprezzavo comunque, non era tanto male come pensavo.
“Oh ragazzi, siete arrivati prima del previsto.” Scott entrò dalla porta principale salutandomi con un cenno della mano, Justin alzò la testa dal divano lanciandogli un occhiata ignorandolo poco dopo.
Arricciai il naso per il poco interessamento di Justin verso il povero Scott che posò una busta piena di cianfrusaglie sul tavolo, io scattai in piedi con un sorriso raggiungendolo al tavolo da pranzo di legno in mezzo alla stanza.
“Cosa hai portato? Roba da mangiare?” Infilai il naso nella busta cercando di capire cosa fossero quelle robe la dentro, restai delusa quando scoprii che al posto del cibo che speravo ci fosse dentro trovai solo delle pistole nero acceso non cariche e qualche coltellini a mano tascabili.
“Hai fatto la spesa in un negozio di armi per caso?” Scrollai le spalle al brivido che mi arrivo filo al collo come una scossa.
Scott mi ignorò tirando fuori dalla tasca dei jeans dei soldi che Justin con scatto agile li prese alzandosi dal divano prendendo poi la busta per controllare, tirò fuori delle armi a quanto pareva molto pericolose a cui non resistetti a fare un passo indietro un po’ scossa, lui ci giocò qualche minuto fino a quando non aprì bocca.
“Le hai prese da Josh? A quanto te le ha vendute?” Justin sorrise e prese quella che sembrava una bomba a mano divertito dall’aggeggio che teneva in mano.
“22 ognuna.” Scott rispose anche lui divertito.
“Gli faremo scoppiare la testa.” Justin rise profondamente con aria di chi era pronto a vendetta in qualunque modo ma Scott lo fermò prima che potesse illudersi.
“No.”
“Cosa?” Aggrottò la fronte.
“Non è così semplice, abbiamo bisogno di un piano.”
“Certo, lo abbiamo.” Justin scosse le spalle. “Prendiamo quella bella fanciulla e la usiamo come esca per attirarlo nella trappola e dopo ammazziamo tutti e due.” Justin mi indicò divertito, io sgranai gli occhi incredula dalle sue parole, volevano davvero usarmi come esca e dopo uccidermi?
“Cosa?!” Alzai la voce facendo un passo verso di lui. “Stai scherzando spero!” Scott guardò Justin in cagnesco che fece comparire un sorriso sul suo viso.
“Sto scherzando idiota, ora non posso nemmeno fare le battute.” Lui sbuffò mettendo a posto ciò che aveva tirato fuori. Scott sospirò sollevato all’idea che stesse scherzando e io feci lo stesso continuando a guardarlo.
“Non devi scherzare su queste cose, non so mai se scherzi o se sei serio e so che saresti capace di farmi una cosa del genere.” Aggrottai la fronte portando le braccia al petto.
“Certo che sarei capace.” Lui approvò la mia opinione. “E l’ho già fatto qualche volta.” Lui mi strizzò l’occhio sorpassandomi per riposare le cose in camera sua, io lo seguii confusa.
“Cosa? Hai ucciso una ragazza in passato?” Scossi la testa aspettando ansiosa una sua risposta, speravo solo che stesse scherzando di nuovo.
“Oh certo, più di una.” Dal tono di voce sembrava fiera di quello che aveva fatto, mi immobilizzai all’istante e il mio stomaco tornò sotto sopra voglioso di portare in superficie quello che avevo dentro e buttarlo fuori come una fontana ma mi trattenni, davvero lo aveva fatto?
“Non ci credo..” Feci un passo indietro mentre lui con la testa annuiva.
Scossi la testa sperando che uscisse fuori da quel discorso con una frase del tipo ‘stavo scherzando’ o qualcosa del genere ma niente, non disse una parola era chiaro e limpido che non stava mentendo come prima, mi venne il mal di testa all’idea di una ragazza uccisa solo per un suo capriccio, e io potevo essere la prossima, per quanto mi attraesse me ne dovevo andare da lui, era un grande pericolo.
“Me ne vedo andare da qua! Chiamo la polizia, ho paura di te!” Strillai e corsi verso la porta d’ingresso e in quel momento il corridoio sembrava così lungo da non finire mai, Justin scatto alle mie parole, sapeva che non voleva che chiamassi la polizia e sicuro le mie parole lo avevano irritato moltissimo, presi in mano ma maniglia della porta ma non riuscì in tempo ad aprirla per fuggire che due braccia forti mi cinsero la vita per poi circondarla completamente tirandomi verso di se, lasciai la maniglia senza volerlo e lui riuscì a fermarmi prendendomi fra e sue braccia, il mio dimenamento non fu nulla a confronto con la sua forza che riuscì a tenermi sospesa in aria per più di dieci minuti aspettando che mi calmassi in qualche modo.
“Tu non avrai a dirlo proprio a nessuno, giuro che ti ammazzo e non me ne fotte un cazzo di quanto preziosa sei.” Justin mi ringhiò vicino al viso, il suo alito di menta mi invase l’olfatto tanto da stordirmi per qualche secondo.
“Sei.. Un assassino, lasciami!” Strillai di nuovo ma più mi dimenavo e più le sue braccia mi stritolavano contro il suo petto, gemei dal dolore al torace quando mi incastro fra il suo petto e le sue braccia tese che mi tenevano ferma in qualche modo. Il suo sguardo mi ghiacciò e mi chiesi se davvero avrebbe avuto il coraggio di uccidere anche me. Sciocchezze! Lo avrebbe fatto eccome, senza pensarci due volte.
Non mi trattenni un minuto di più e le lacrime invasero anche i miei occhi sgorgando le dighe dei miei occhi e allagando le mie guance, Justin rallentò la presa sul mio torace quanto bastasse a farmi respirare ancora, crollai lasciando le gambe molli sapendo che per lui tanto non avrebbe fatto differenza, più cercavo di mettere a fuoco di nuovo il suo viso più non riuscivo a vedere nulla, le lacrime mi inondarono completamente la vista.
“Non farmi del male.. Ti prego..” Il mio risuonò come una supplica alle torture cinesi, ma era giusto così, ero fragile più delicata di quanto lui potesse immaginare, chiusi gli occhi.
“Non ti ucciderò, quello è tempo passato.” I suoi occhi si curvarono in un’espressione di tristezza e le sue parole mi fecero quasi sentire meglio, roba passata o no lo aveva fatto e mi spaventava parecchio, e se avesse perso il controllo con me? Mi avrebbe fatto male? Come me si sarebbe parato il di dietro? Scossi la testa mentre le lacrime non si fermavano.
“Non piangere.” Lui mi tirò su con scatto e mi prese in braccio senza sforzo adagiandomi sul divano di piumino bianco e abbastanza morbido da sprofondarci dentro una volta sfiorato.
“Smetti di piangere.” Io annuii senza riuscire a smettere, i singhiozzi non cessavano e Scott era appoggiato alla porta della camera di Justin che ci guardare con aria indecisa se fare qualcosa o restare dov’era.
Justin mi prese un bicchiere d’acqua naturale e me lo porse con freddezza, bevvi un sorso cessando i miei singhiozzi disperati.
“Non lo andrai a dire alla polizia.” Justin parlò contraendo la mascella al ricordo delle mie parole.
Io rimasi in silenzio, non avevo intenzione di rassicurargli che non avrei aperto bocca, come diavolo pensava che io restassi zitta dopo quello che mi aveva detto, era un pazzo maniaco criminale assassino e quant’altro.. Chissà cosa aveva fatto ancora, magari aveva ammazzato chissà chi ancora. Mi vennero le vertigini e mi cominciò a girare la testa.
“Dillo.” Lui insiste.
“Come poi chiedermi di non dire nulla a nessuno..” Alzai gli occhi verso il suo viso. “Sei un assassino.” Aggiunsi.
Lui scosse la testa abbassandosi al mio livello ringhiandomi nell’orecchio. “Tu non sai niente.” Scandì la parola ‘niente’ con uno schiocco dei denti che mi fece tremare, era davvero così orrendo vederlo arrabbiato.
Io annuii senza aggiungere parola, restai immobile sul divano mentre lui tornò nella sua stanza battendo la porta, guardai Scott che mi lanciò uno sguardo deluso e dispiaciuto per quanto era appena accaduto, io mi fidavo di lui ora non poi così tanto, sapevo che era capace di tutto e questo non mi rassicurava ma mettevo tutto davanti e lasciavo che i miei sentimenti per lui evadessero.
“Cosa farò adesso?” Guardai Scott sperando con tutta me stessa che mi dicesse qualcosa di confortante ma così non fu, scosse la testa senza dire una parola. Anche lui, come me era senza parole ma sapevano entrambi che Justin era un ragazzo solitario ma molto buono, dovevo solo abituarmi al suo carattere un po’ bipolare.
Andai verso la stanza di Justin e mi fermai a pochi centimetri dalla porta, alzai una mano per bussai ma mi fermai per decidere se farlo o no, e se si fosse arrabbiato ancora? Ero indecisa, da un lato non volevo che si arrabbiasse e dall’altra parte invece volevo solo entrare e chiedergli come stava.
“Se fossi in te non lo farei.” La voce di Scott mi indicò la prima opzione e tornai a sedere sul divano guardandomi i piedi.
“Perché è sempre così? Ti prego dimmelo.” Scott fece finta di niente andando a sedersi sul tavolo nel terrazzo, io restai ferma li fissando le piastrelle bianche del pavimento, che cosa avrei fatto? Avevo freddo, ero stanca e volevo andare a casa, ed era solo l’inizio di un lungo pomeriggio che avrei passato in quella casa grande tutta sola. Decidi si fare un sonnellino dato che nessuno calcolava la mia presenza, mi sdraiai con la testa sul cuscino e chiusi gli occhi sperando di prendere sotto immediatamente ma così non fu, la mia mente cominciò a girovagare ovunque, prima pensò al comportamento di Justin poco prima, dopo, non so come, cominciò a pensare a David poi a Rosy poi ancora alla mia famiglia. Infine mi ritrovai a piangere nel cuscino rannicchiata fra i cuscini di quel divano e infreddolita nonostante il grande caldo, la mente non so come riportò a galla i ricordi di mia sorella Roxie e così le lacrime che ancora una volta mi allagarono gli occhi inondandoli d’acqua salata che straboccò disperatamente.
Perché tutte le cose peggiori dovevano succedere a me? Roxie mi mancava da matti, non me potevo più e ogni volta che la sua immagini mi appariva nella mente la vista mi si appannava all’istante.
“Perché stai piangendo?” Justin spuntò da dietro la mia schiena facendomi sobbalzare.
“Cosa?” Mi asciugai le lacrime con la manica della felpa evitando il suo sguardo.
“Stai piangendo, perché?” Scott mi guardò da lontano. Io scossi la testa stringendomi nelle spalle.
“Niente.” Risposi.
Justin alzò un sopracciglio accendendo la TV al primo canale capitò il telegiornale del pomeriggio che trasmetteva le notizie più recenti, mi si bloccò lo sguardo sullo schermo appena la voce femminile del telegiornale parlò trasmettendo in diretta un servizio fresco di mattina.
“Nuove notizie in diretta da Londra di mattina, dicono di aver avvistato proprio stamattina Justin McCann con una ragazza sconosciuta a fare colazione in questo Fast Food poco piu’ fuori di Soho..” In diretta mandarono le immagini delle telecamere di sorveglianza del Fast Food che ci inquadrarono dall’alto mentre mangiavamo e, per fortuna, il mio viso non si vedeva così da non poter capire chi era la ragazza seduta al tavolo davanti a lui. La tv parlò di nuovo stravolgendomi un’altra volta.
“Che sarà la sua nuova fidanzata? O magari la sua nuova complice? Ancora non si sa ma vi terremo aggiornati sulle news sul più ricercato carcerato di tutta Londra, Justin McCann..”
Sgranai gli occhi all’istante, non era possibile, era un sogno. Ci avevano sgamato al Fast Food stamattina, cazzo! Justin spense immediatamente la TV senza aspettare che il servizio finisse e forse era meglio così non avrei retto un’altra parola di più, rimasi paralizzata sullo schermo spento della TV per qualche minuto ancora cercando di ricompormi, sentii la mascella di Justin contrarsi dal nervoso e sbatte il telecomando sul divano affianco a me, lo guardai sbalordita mentre lui faceva finta evitando il mio sguardo.
“Io la tua ragazza? Io una tua complice?” Ripetei due volte la stessa frase con gradazioni nella voce finche Justin mi guardò squadrandomi.
“Scusa?” Alzò le sopracciglia.
“Ci mancherebbe! Ora pensano che sia una tua complice! Ci hanno ripreso mentre mangiavamo, ti rendi conto?” Urlai sbraitando agitando le braccia irritata.
“Si inventano solo stronzate.” Digrignò i denti.
“Justin questa cosa si sta facendo pericolosa per me.. E se mio padre lo scopre? Che cosa gli dirò?” Mi agitai all’idea che mio padre possa essere al corrente che mi vedevo con un criminale che va in giro con una pistola nei pantaloni, mi vennero i brividi.
Lui non rispose si limitò ad alzare le spalle con menefreghismo e quel gesto mi fece scoppiare i nervi, feci per replicare al suo gesto quando Scott si intromise.
“Calmiamoci. Questa cosa la risolveremo insieme.” Justin sbuffò e io con lui, Scott si girò verso di lui. “Justin, non la portare più allo scoperto e se dovete, copritevi il volto in qualche modo.” Annuii.
“Nicole, non voglio che tu venga convolta in questa storia, scusa.” Scott si incamminò verso la sua stanza e Justin fece lo stesso verso la sua. Guardai Justin che si girò verso di me lanciandomi un’occhiata severa, io mi strinsi nelle spalle augurandomi che non se la fosse presa, ma probabilmente era così. Ormai sapevo com’era fatto lui ma ancora non capivo come dovevo comportarmi io invece, era come un mare in burrasca e io come un mare a tavola piatta, diversi e impercettibili, come saremmo mai andati d’accordo? Sospirai lasciandomi cadere fra i cuscini, chiusi gli occhi e ne abbracciai uno sperando fosse lui, sperando che fosse tornato indietro a dirmi ‘ehy, vuoi stare con me per sempre?’ saremmo stati quello che avrei voluto fossimo, l’insieme della felicità ma io amavo qualcosa di impossibile. La mia mente si fermò su quella frase; lo amavo? Ero sicura di provare qualcosa per quel.. Criminale? Scossi la testa. No, non ne ero sicura ma il mio cuore che a cui davo ascolto diceva invece il contrario, diceva che le cose che volevo non dovevano per forza restare solo un sogno lontano, che un giorno si fossero realizzati io sarei stata felice. Giusto, un’altra cosa che nella mia vita manca. La felicità.
Cos’è? Non l’avevo mai provata in vita mia e mai forse l’avrei provata, sarei morta senza mai sapere cosa fosse? Probabile, però di una cosa ne ero certa, lui era la mia felicità adesso. I suoi occhi, il suo sorriso che timido che mostrava poco, la sua pelle bronzea alla luce fioca e le labbra rosa stuzzicanti quanto il tuo cibo preferito. Ma era lui, la persona che aveva messo in gabbia il mio cuore come se fosse un oggetto, il suo oggetto che in qualche modo era suo, solo suo.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8. ***


“Quanto mi sei mancata, che diavolo hai fatto in tutto questo tempo? Devi spiegarmi qualcosa Nik.” Rosa mi abbracciò forte farfugliando qualcosa sotto voce che non capii, ero felice di vederla e lei anche ma aveva ragione, era da un po’ che non ci vedevamo. Da quando avevo incontrato il “Mr. Pistole e bombe” la mia vita era cambiata, non aveva più la piega di una volta, quella noiosa vita che facevo e le giornate intere passate sdraiata sul letto a testa in giù col telefono all’orecchio e la punizione di restare chiusa in casa di mia madre e ila linea telefonica come unica via di comunicazione con lei. Erano ormai passate tre settimane, Justin cominciava a fidarsi di me e mi lasciava più libertà dell’inizio, Scott era fiducioso in me e sapeva che non avrei detto una sola parola a nessuno al contrario di Justin che ancora sospettava qualcosa su di me, la mia migliore amica invece non era cambiata, era sempre la stessa e anche io da un certo punto di vista. Se solo avesse saputo di cosa stavo passando, se solo avesse saputo di Justin.. Era un segreto, un segreto avrei dovuto tenere nascosto perfino alla mia migliore amica, come cosa era frustante ma mi rassicurava il fatto che almeno lei era al sicuro e fuori da questa storia così rischiosa.
“Scusami, ho avuto complicazioni..” Cercai di giustificarmi in qualche modo, di certo non gli avrei mai detto la verità. “Sai.. Mia madre e le sue punizioni..” Sorrisi.
Lei mi avvolse fra le sue braccia di nuovo facendomi sentire calore da parte del suo corpo che fu asfissiante dato già il sole caldo sopra la mia testa che mi faceva sudare.
“La prossima settimana se vuoi vieni da me.” Le presi la mano stringendola.
Lei sorrise timidamente, poi sospiro cercando di dire qualcos’altro.
“Ho sentito David..” Il suo viso felice si trasformò in viso deluso e quasi disperato. “Non sono sicura di piacergli.” Lei si guardò i piedi consolandosi da sola.
“Ehy!” Avvolsi un braccio attorno al suo bacino avvicinandola a me. “Cosa ne sai che non gli piaci? Coi ragazzi non si sa mai, lo sai come sono fatti.” Lei si sforzò di farmi un sorriso.
“Ricordi il ragazzo dell’estate scorsa? Quello moro e occhi verdi. Era carino, e ti piaceva.” Lei aggrottò la fronte cercando di capire a cosa mi stessi riferendo. “L’ultimo giorno del mare ti scrisse in un e-mail che era innamorato di te ma non fu in grado di dirtelo in faccia.” La guardai, lei sospirò ricordando il ragazzino di quell’estate che a dire la verità stuzzicava anche a me, non era male a ma ora che avevo incontrato Justin ero sicura che nessuno lo avrebbe battuto. Quel ragazzo era stato con noi tutta l’estate e all’ultimo si era dichiarato, roba da matti.. Perché farlo l’ultimo giorno, a Rosy non gli era rimasto nulla se non dirgli che era troppo tardi. Io sbuffai appoggiando la schiena contro la panchina, chissà se anche Justin in fondo provava qualcosa? Che sciocchezze, ci conoscevamo da così poco.. Eppure, io mi ero innamorata così velocemente, quella foto. Si, tutto scattò da quella foto, non l’avrei mai dimenticata.
Rosy si tirò su di morale un po’ grattandosi la testa. “Hai ragione, i ragazzi sono imprevedibili.. Dovrei dargli tempo?” Si girò verso di me cercando una risposta, io annuii con la testa accennandogli un sorriso affettuoso.
Sapevo dare consigli molto bene, ma chi mai li avrebbe dati a me? Forse ero io quella più incasinata, a chi mai gli sarebbe venuto in mente di andare dietro a un criminale, solo a una stupida. E si, forse era così. Forse ero stupida, anzi, senza il ‘forse’. Ero una stupida.
Salutai Rosy alla fermata del autobus e restammo in attesa che arrivasse sotto il sole che ci riscaldava la pelle parlando del più del meno, ridendo e scherzando come facevamo sempre. Il bus arrivò e salutai Rosy con un cenno della mano prima che sparì entrando nel mezzo affollato, il sole mi stava cuocendo il capo e i capelli mi davano caldo, infilai la mano nella tasca dei pantaloncini e tirai fuori un elastico e mi legai i capelli col classico “cipollotto” tirandoli su il più possibile lasciando il collo ben scoperto, cominciavo a sudare e la pelle bagnata mi dava fastidio, a passo più svelto del solito mi diressi verso l’appartamento di Justin che era poco più in la da dove mi trovavo.
Citofonai e la voce di Scott chiese chi fosse e aprii il portone senza problemi, salii le scale lentamente godendomi il fresco che c’era nel piano terra che mi rinfrescò quanto bastava per farmi sentire bene, presi la maniglia della porta ed entrai in casa, Scott era seduto al tavolo della cucina, lo raggiunsi salutandolo con un cenno della mano.
“Ben arrivata, vuoi qualcosa da mangiare?” Scott mi morse un pacchetto di caramelle e altri dolciumi. Affianco a lui c’era un cesto pieno di dolci e cioccolato, qualche lattina di birra e un pacchetto di sigarette.
“No grazie, sto a posto. Dov’è Justin?” Mi guardai in torno.
Scott alzò un dito indicandomi il soggiorno riempendosi la bocca di caramelle, andai nella direzione in cui mi aveva indicato entrando in soggiorno senza fare rumore, trovai Justin disteso sul divano che aperto gli faceva da letto matrimoniale, in mano teneva una bottiglia di birra e le carte di cioccolatini per terra, il viso concentrato sulla tv e l’espressione neutra.
“Ciao Justin.” Justin si voltò verso di me posando la bottiglia sul pavimento, notò le mie gambe scoperte e ne perlustrò ogni centimetro, così fece per il resto del mio corpo fino al viso dove si soffermò per qualche instante, si voltò di nuovo verso la tv alzando le spalle ignorandomi.
“Ciao.” Infine rispose, freddo, ma rispose.
Io lanciai uno sguardo a Scott che capii la mia richiesta d’aiuto che si alzò dal tavolo portandosi un se il pacchetto di sigarette.
“Justin puoi essere più gentile per favore?” Scott sbuffò sedendosi dall’altro lato del divano lasciando lo spazio in mezzo, ma lui lo ignorò come aveva fatto con me. Scott guardò di nuovo me indicandomi di sedermi con un cenno della testa.
“Puoi sederti, non mordiamo.” Feci come aveva detto e mi adagiai sul divano affianco a Justin che si girò verso di me accennandomi un sorriso perverso.
“Parla per te, Scott.” Mi morsi un labbro, rannicchiandomi in mezzo fra loro, l’ultima volta in cui ero stata con due maschi insieme non era andata bene, scossi la testa cacciando via l’immagine della festa poco prima che comparse Justin.
“Sei più carina coi capelli legati.” Scott interruppe i miei pensieri.
“Grazie.” Arrossii rannicchiandomi di più fra i cuscini del divano, Justin sbuffò seccato riprendendo la bottiglia verde contenente birra e bevve fino a finirla.
Scott sfilò una sigaretta dal pacchetto che prese anche Justin, prese l’accendino e l’accese soddisfatto.
“Tu fumi?” Chiesi aggrottando la fronte, non avevo mai visto Scott fumare una sigaretta fino ad ora.
Lui lanciò l’accendino a Justin che lo prese al volo e accese anche lui, Scott fece un tiro soffiando fuori una nuvola bianca di fumo.
“Ogni tanto, prima non fumavo.” Ne fece un altro e Justin con lui, soffiarono entrambi verso di me, e io tossì per l’intossicamento.
“Justin ti ha contagiato?” Guardai Justin che giocava col telefono continuando a fare tiri profondi.
“Direi di si.” Scott annuii facendo un tiro.
Scossi la testa e continuai a guardare Justin che posò il telefono nella tasca dei jeans e mi rivolse uno sguardo soffiandomi in faccia, resistetti alla tentazione di tossire di nuovo.
“Non dovresti, ti fa male.” Mi rivolsi a Scott che alzò le spalle come Justin e spense la sigaretta nel posa cenere ormai finita.
Scott si alzò lo sguardo al cielo lanciando poi un’occhiata a Justin che si alzò dal divano con scatto sistemandosi la canotta mentre la collana color oro tintinnava.
“Abbiamo bisogno di soldi Scott?” Lui prese i suoi occhiali scuri indossandoli.
“Siamo quasi a secco e abbiamo ancora tante cose da prendere.” Scott sbuffò lasciando cadere una mano sulla faccia infastidito.
“Non puoi chiedere a Josh se te li da lo stesso? Digli che lo pagheremo più avanti.” Justin aggrottò le sopracciglia bagnandosi le labbra con la lingua.
Studiai per bene l’espressione di Justin per poi passare su quella di Scott che sembrava a dir poco disperata ma restai in silenzio ad ascoltare la conversazione.
“No, abbiamo fin troppi debiti da pagare con lui Justin.” Scott sbuff un’altra volta più stressato di prima.
“Che cosa succede?” Infine parlare incuriosita dalla discussione fra loro che stava prendendo una piega drammatica.
Justin mi fulmino con lo sguardo appena aprii bocca, che cosa aveva che non andava con me? Gli tenni testa con lo sguardo fulminandolo a mia volta ma lui fu più forte di me e riuscii a contrastarmi, tolsi gli occhi dai suoi intimorita dal fatto che non ero utile in nessun modo per loro, mi accucciai come un cane sul cuscini del divano guardando Scott, la mia unica via di scampo.
“Nicole stai tranquilla, è tutto a posto.” Lui mi rivolse uno sorriso rassicurante mentre Justin ci sorpassò chiamando Scott con un fischio a cui subito ubbidì come un cane.
I due ragazzi si parlarono sotto voce discutendo di qualcosa che ancora non capivo ma sapevo che si sarebbe trattato di qualcosa a che fare con bombe e armi, ne ero più che sicura e ormai non mi faceva più paura quel idea.
“Nicole?” Scott mi chiamò, io alzai il collo per rispondere guardandolo da lontano, mi fece cenno di venire da lui e io scattai in piedi.
“Dato che hai deciso di restare con noi ancora..” Scott fece una pausa guardando Justin che portò le braccia al petto aggrottando la fronte. “Vorremmo una mano in più da parte tua.” Infine finì.
Dovetti ragionarci un po’ alla sua richiesta per poi capire che si trattava di un invito ad “aiutare” la sua banda di criminali malefici, e chissà di quale aiuto si trattava.
“Io.. Non so, che cosa dovrei fare?” Chiesi.
“B’è ci aiuterai nelle missioni e starai con noi e agirai semmai ne avremmo bisogno.” Justin scoppiò a ridere rumorosamente all’affermazione di Scott e alzo una mano in segno di scuse, aggrottai la fronte. Sapevo benissimo che non sarei servita a nulla e che a Justin della mia presenza non frega un bel niente ma per me lui era importante, fin troppo anche.
Criminale di merda.” Imprecai nella mia mente il più possibile lasciando spazio a un sorriso sul mio viso.
“Perfetto allora, è deciso.” Scott batte una mano sul tavolo di legno per poi infilarsi pistole e tutto l’occorrente per fare un “missione”.
 
Questa volta prendemmo un grosso furgone bianco identico a uno di quelli che vedevo in giro e ci saltammo a bordo pronti per partire ma non fu ne Scott e ne Justin a stare nel posto di guida.
Al volante c’era un tizio coi rasta neri e pelle nera e vestiti fin troppo larghi per il suo corpo, piercing in faccia e una camicia bianca sbottonata davanti quanto bastava per far vedere il tuo dorso completamente tatuato accompagnato da collo e braccia fino ai polsi, un po’ come Justin.
Mi guardai dietro e seduto per terra dentro al furgone partito in quarta c’era lui che si infilava un passamontagna con visibili solo gli occhi, me ne lanciò uno che presi al volo.
“Mettitelo.” Lui ringhiò.
“Cosa? Perché?” Chiesi.
“Non fare domande e mettitelo.” Ripeté più duro di prima.
Scott e il tizio coi rasta fecero lo stesso infilandosi il tessuto nero sul volto e turbata feci lo stesso. Puzzava di fumo e con se anche l’aria dentro il furgone, c’era cenere nera su tutta la superficie della parte interna del furgone, l’igiene non era la massimo e quasi mi sentii svenire. Odiavo i posti sporchi e per di più i posti sporchi e stretti, il furgone frenò di botto facendomi sbalzare in avanti e caddi per terra affianco a lui che con uno strattone mi tirò su ringhiando come un cane dall’irritazione.
“Stai attenta maledetta ragazza.” Lui si alzò da terra aprendo lo sportello del furgone che mostrò davanti a noi un grosso edificio con la scritta “banca”. Io scattai immediatamente in piedi sbarrando gli occhi, avevano intenzione di rapinare una banca, m’irrigidì all’istante in cui comparve nella mia mente la mia foto segnaletica come quella di Justin fra gli spartiti della polizia.
“Volete rapinare una banca?” Alzai la voce togliendomi il passamontagna. Justin scattò verso di me che feci un passo indietro sbattendo contro la parete del veicolo.
“Cazzo, ti devi stare zitta!” Lui imprecò sotto voce coprendomi la bocca con una delle sue grandi mani, il suo alito misto di menta e fumo mi soffiò in faccia e scossi la testa.
“Vieni con me.” Aggiunse, tolse la mano dal mio viso e mi prese per un braccio facendomi salire nel posto davanti del furgone insieme al guidatore.
“Tienila d’occhio.” Il ragazzo rasta strizzò l’occhio a Justin che sorrise.
Lui e Scott si allontanarono a passo svelto fra le vetrate dei negozi fino a non riuscire a vederli più.
Ero in ansia e il ragazzo affianco a me ne metteva addosso ancora di più, fui troppo presa a controllare la parte dove erano scomparsi Scott e Justin che non mi accorsi che il ragazzo rasta mi stava puntando una pistola contro, sgranai gli occhi guardando la pistola verso di me.
“Cosa vuoi fare?” Lui scosse la testa ridacchiando.
“Tenerti d’occhio bellezza.” Lui schioccò i denti tirando fuori una sigaretta accendendola.
“Puoi metterla giù, io non me ne vado.” Strinsi i denti.
Lui mi studiò un po’ accettando la mia affermazione e posò l’arma nei pantaloni come la teneva Justin.
“Allora, cosa sei? La puttana di Justin? O magari di entrambi.” Lui rise profondamente facendomi schizzare il battito cardiaco alle stelle.
“Cosa?” Sbottai. “Non sono la puttana proprio di nessuno!” Incrociai le braccia al petto.
“Hai ragione, non puoi essere la puttana di Scott. Solo Justin sa scegliersele carine come te.” Lui sorrise facendo cadere una ciocca rasta sulla spalla. “Ma siccome siamo molto amici, noi ce le dividiamo sempre.” Lui posò una mano sulla mia coscia scoperta dai pantaloncini, i brividi mi percorsero la schiena e la luce dei lampioni fecero brillare il suo anello lucido incastrato nelle sue dita, la sua mano salii dalla mia coscia fino al mio inguine destro dove gli fermai la mano irritata.
“Ti ripeto che non sono la puttana di nessuno, giù le mani cane!” Sbottai di nuovo più irritata di prima, lui rise di nuovo e stacco la mano dal mio corpo per poi riattaccarla al mio braccio.
“Sei difficile ragazza, mi piaci un sacco.” Lui mi soffiò in faccia il fumo. “Se vieni con me ti faccio divertire un mondo.” Io alzai una mano pronta per lasciarli una bella cinquina in faccia ma lui mi bloccò subito stringendo il mio polso nella sua mano che lo circondava completamente.
“Lasciami andare!” Alzai la voce.
In quel momento desiderai che Justin fosse stato con me per aiutarmi ma lui non c’era e un altro maniaco sessuale criminale voleva impossessarsi di me e del mio corpo, era possibile che non me ne andava bene nemmeno una? Per mia fortuna quando girai lo sguardo vidi il corpo di Justin uscire di corsa dal retro della banca con un sacco marrone in spalla accompagnato da Scott, fui sollevata ma anche in ansia e non sapevo se ce l’avremmo fatta.
Il ragazzo rasta mi lasciò immediatamente andare e io scesi dal autoveicolo aprendo lo sportello del furgone come nelle istruzioni che mi aveva dato Scott prima di partire. Justin saltò immediatamente a bordo seguito subito dopo da me, la campanella d’allarme della banca cominciò a suonare nel esatto momento in cui il veicolo cominciò a prendere gas, partimmo di nuovo in quarta di nuovo facendo attenzione a non sbalzare in avanti di nuovo, ce l’avevano fatta di nuovo ma non era ancora finita del tutto.
“Jaz accelera, accelera!” Justin sbottò guardando indietro le luci della macchina della polizia che riflettevano contro i muri dei palazzi in arrivo, mi tranquillizzai solo dopo che non udivo più la sirena della polizia, non ci avevano visti. Mi chiedevo solo come faceva a scappare così senza lasciar nessuna traccia.
“Merda, siamo i criminali più felici del mondo!” Scott esultò aprendo una manciata di soldi appena rubata dalla banca stringendoli, Justin sorrise fiero di se stesso, diede una pacca sulla al presunto Jaz, il ragazzo rasta che ci aveva provato prima.
“Porca puttana Justin, ce li dividiamo!” Jaz sorrise facendo scintillare gli occhi nel buio della macchina mentre io restavo nel mio angolo del furgone accucciata come un cane.
“Non ci pensare fratello! Questi soldi ci servono.” Justin guardò Jaz a cui si spensero gli occhi subito dopo.
“Ancora pensi di farlo?” Raddrizzò lo specchietto davanti guardando Justin dal rifletto in esso. Justin annuii.
“Senti, quando pensi di presentarmela la tua nuova puttana?” Jaz sorrise di nuovo guardando la strada.
“Cosa?” Justin tirò su il capo infilandosi le dita fra i capelli.
“La brunetta li dietro, dico.” Raddrizzò lo specchietto verso di me lanciandomi un occhiata, Justin si girò verso di me a guardarmi e feci finta di nulla evitando il suo sguardo.
“Mh.” Fece lui. “Bel bocconcino eh?” Lui rise profondamente tirandosi la collana che gli pendeva dal collo, scrollo le spalle come per levarsi di dosso un peso e poi parlò di nuovo attirando la mia attenzione.
“Purtroppo non è la mia puttana.” Jaz inchiodò il furgone facendo sobbalzare tutti e tre insieme, Justin si irrigidì sul posto e io feci lo stesso tenendomi alle pareti per non cadere.
“E perché allora ce l’hai appresso?” Jaz si girò verso di lui squadrandolo.
Justin alzò le spalle ignorandolo prima di rispondere. “Storia lunga.” Scott fece finta di nulla ignorando l’argomento totalmente.


Ci fece scendere dal mezzo parcheggiando nel retro della casa di Justin e Scott, mi studiò le gambe mentre si leccava le labbra e fantasticava chissà cosa su di me, mi venne il riflesso del vomito al pensiero, avrei preferito mille volte la bipolarità di Justin piuttosto che la sua faccia. Seguii i due ragazzi fino alla porta di casa dove entrammo e Justin soddisfatto andò a infilare il denaro nella cassa forte in una botola sul soffitto, Scott lo aiutava.
“Cosa ci farete con quei soldi?” Chiesi.
“Dobbiamo prepararci e comprare armi potenti.” Scott rispose.
“Quanto potenti?” Chiesi di nuovo.
“Più di quanto pensi.” Scott rispose di nuovo e Justin accennò un sorrisino che vidi di sottecchi.
Sorrisi anche io, lui si diresse verso camera sua, aprii la porta e ci entrò con passo stanco e io lo seguii senza far rumore.
“Scusa?” Si girò verso di me appoggiandosi contro la porta della camera.
“Posso dormire in stanza con te?” Chiesi cercando di fargli gli occhi dolci, non funzionò, alzò le spalle e mi chiuse la porta in faccia.
“E’ battaglia persa con lui.” Scott ride alla mia faccia delusa.
“Perché non posso entrare nella sua stanza?” Andai a sedermi nel mio solito posto, il divano bianco coi cuscini soffici.
 
“Non fa entrare neanche me, quello è il suo rifugio.” Scott mi sorrise venendo a sedersi accanto a me. “Justin non è uguale e tutti gli altri ragazzi, lo hai visto anche tu.” Fece una paura guardandomi.
“Cosa vuol dire?” Guardai il ragazzo.
“Nel suo cuore non c’è posto per una ragazza seria.” Scott mi parlò in modo saggio, più di quanto pensavo. Le lacrime cominciarono a salirmi agli occhi e annebbiarmi la vista, le parole di Scott mi trafissero inaspettatamente il petto con lama bollente, mi sentii mancare il fiato ma dovevo ammetterlo anche io, a lui importava solo dei suoi soldi profumati e delle armi.. E soprattutto, la vendetta.
Mi aveva colpito in piedi con il Titanic con l’iceberg e ora stavo affondando piano piango, ero troppo fragile per sopportare anche questo, volevo solo togliermi il cuore dal petto così da non poter provare più emozioni per nessuno, ma sapevo che qualunque cosa avessi fatto a rimetterci sarei stata sempre io.
“Ok.. Ho capito, grazie.” Feci un respiro profondo senza lasciar cadere neanche una goccia sul viso.
Scott annuii sapendo che stavo cadendo a pezzi ma non fece più nulla, si alzò e andò nella sua stanza lasciandomi li, su quel divano con la tentazione di piangere. Fissavo la porta di Justin e sapevo che non avrei mai potuto entrare a far parte del suo cuore, ero fuori da tutto e questo mi distruggeva, restare al suo fianco senza dire nulla era come camminare a piedi nudi sul fuoco ardente con un bavaglio sulla bocca che ti impediva di urlare a squarcia gola, dove l’avevo messa la testa? Ero impazzita. Si, per lui.
“Che stupida..” Sussurrai a me stessa.
Mi distesi sul divano che ancora profumava di lui, mi rannicchiai sul cuscino dove c’era di più il suo odore e lo strinsi a me annusandolo sperando che in qualche modo l’avessi sentito più vicino a me così da consolar me stessa con qualcosa che ancora non c’era, ma che mi faceva stare bene.
Forse ero impazzita davvero, lui e la sua bipolarità mi faceva girare la testa ma mi faceva battere forte in cuore insieme, e forse stava succedendo qualcosa di più di una semplice cotta a priva vista. Ero innamorata di lui, le lacrime che mi scesero poi dagli occhi me lo confermarono, chi mai era riuscito a farmi piangere con uno sguardo o a farmi battere il cuore in quella maniera? Nessuno. Nemmeno quel bel ragazzo di cui ero innamorata a quel l’epoca sapeva riuscirci, ma cosa ne potevo sapere a quell’età? Ero così innocente e non capivo neanche il significato della frase “stare male per qualcuno”. Ma forse, ora l’avevo capito. E lui? A lui non importava nulla di me, forse Jaz aveva ragione, forse lui mi desiderava solo fisicamente ma io non ero una puttana da quattro soldi e mai lo sarei stata.
Non so se era stato il suo profumo mischiato di menta e fumo a farmi addormentare o solo la stanchezza di aspettare qualcuno che mai sarebbe arrivato, ma mi addormentai profondamente e lo sognai, lo sognai come si sognava il principe azzurro, ma lui non era il buono. Forse lui era il cattivo e per la prima volta nella storia la principessa si innamorò del cattivo e non del prescelto principe.
L’avrei aspettato così come da piccola aspettavo che la neve attaccasse al suolo con la speranza negli occhi e l’amore nel cuore per le piccole, cose come lui. Come lui e me, insieme. 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9. ***


Solo alla terza canzone della play list del mio IPod qualcuno battè al vetro della finestra del mio balcone, pigra mi girai nel letto rotolando per controllare cosa fosse stato e per mia grandissima sorpreso trovai Justin col naso attaccato al vetro che mi sorrideva e mi salutava con la mano, sorrisi e aprii la finestra per farlo entrare.
“Non hai ancora perso la mania di salire sul balconi non tuoi.” Scherzai mentre lui si faceva strada nella mia camera disordinata, si sedette al mio posto sul letto perlustrando ogni centimetro della stanza.
“No, sfortunatamente no.” Sorrise cominciando a frugare nel cassetto del comodino affianco al letto.
“Sei incorreggibile McCann.” Alzò lo sguardo su di me quando pronunciai il suo cognome, come se gli desse fastidio, mi zittii subito.
“Oh musica metal!” Esultò quando prese in mano il mio IPod per controllare la Play list. 
“Mi piace.” Alzai le spalle. “Ho una certa fame, vuoi un panino?” Mi affrettai a andare ad aprire la porta della camera raggiungendo le scale, lui mi segui con la camminata simile a quella di un pinguino zoppo.
“Dipende.” Sorrise. “Se non mi avveleni.” 
Io risi e mi avviai verso la cucina aprendo il frigo per controllare se ci fosse qualcosa di buono da mangiare.
“Non potrei mai McCann.” Gli sorrisi timidamente scherzando, lui posò i gomiti sul tavolo di legno lucido mentre lo sguardo fisso su di me, mentre preparavo ottimi panini dalla ricetta segreta di mia nonna, mi congelava letteralmente il corpo.
Feci scivolare il piatto con il panino pronto per essere gustato sul marmo verso di lui che lo fermò in tempo e sorrise, lo prese fra le mani e lo addentò senza pietà come se fosse una preda.
Alzai lo sguardo al cielo sospirando, a quanto pare al signorino tutto “fulmini e saette” non gli avevano ancora insegnato le buone maniere, mi accontentai della sua espressione soddisfatta dopo aver dato il secondo morso.
“Avvelenato eh..” Sorrisi addentando poi il mio. Lui alzò il capo sentendosi interpellato e sorrise con la maionese che gli scivolava dalle labbra umide, mi morsi le mie mentre il cuore cominciava ad agitarsi come mare in burrasca.
“Scherzavo, ovviamente.” Lui si leccò le labbra con la lingua e poi sorrise.
“Certo, come no.” Arrotolai il tovagliolo in una pallina morbida e gliela lanciai in segno di vittoria, lui fece lo stesso rilanciandomela dall’altra parte del tavolo. 
Si leccò le dita piene di maionese quando ebbe finito e io gli tolsi il piatto da sotto il naso insieme al mio lascandoli cadere nel lavandino pronti per essere lavati, più tardi.
Justin cominciò a vagabondare senza una meta per il mio salotto guardandosi in torno, controllava ogni dove, dentro i cassetti, guardava le foto accanto al camino e controllava fra i cuscini del divano, finche sopra il tavolo non trovò ciò che cercava, prese di fretta in mano il telecomando del megaschermo di mio padre che usava molto spesso per guardarsi le partite in tv e lo accese lasciandosi cadere sul divano. 
“Cazzo, invitami più spesso a casa.” Cominciò a controllare ogni singolo canale che possedeva il televisore.
“Tanto ti presenti nel mio balcone a ogni ora, che senso ha invitarti?” Sbuffai sedendomi sul divano affianco a lui che si fece più stretto per farmi stare comoda.
“Giusto.” Lui annuii sorridendo finche non trovò il canale che più gli interessava soffermandosi un su quello finche non ricominciava a riprendere a controllarli nuovamente quando si era stufato.
Quasi mi appisolai sul cuscino del divano mentre la mia mente si confondeva sotto le luci del televisore che passavano come lampi, non si fermava nemmeno a controllare cosa fosse e nell’ambiente cominciava a far caldo, la temperatura fuori stava aumentando e sia io che Justin ce ne stavamo rendendo conto. 
Mi alzai dal divano pigramente per schiacciare l’interruttore del ventilatore al massimo. Quando mi girai per tornare a sedere lui era senza maglietta, scossi la testa cercando di tenere il controllo dei miei gesti il più possibile, mi militai ad alzare lo sguardo al cielo risedendomi al mio posto.
“Capisco che ti trovi a tuo agio, ma potresti comportarti in modo civile in casa degli altri?” 
Finsi di essere arrabbiata con lui del suo gesto mentre invece il sangue mi ribolliva dentro e le orecchie mi fischiavano come una pentola a pressione sul fuoco e cominciavo a desiderare di volere di più. Lui rise prima di rispondere.
“Lo so che ti piace.” Mi accennò un sorriso perverso, la mia faccia diventò rosso fuoco e mi cominciò a bollire pure quella insieme a tutto il resto, sapevo di non esser brava a fingere, ma non fino a questo punto. A volte mi chiedevo se riusciva a leggermi nella mente, speravo di no, non sapeva cosa poteva trovare di perverso nella mia immaginazione, povero ragazzo. 
Rimasi zitta senza rispondere, lui ignorò totalmente la mia faccia che andava a fuoco letteralmente e per una volta mi stava ignorando nel momento giusto, chissà cosa gli sarebbe potuto passare per la mente. Infilai le mani dentro le maniche della felpa e mi coprii il viso cercando di calmarmi, non poteva fare così, certe volte avrei voluto sbatterlo da qualche parte e baciarlo fino a perdere in fiato, ma chi vogliamo prendere in giro? Ero solo un’adolescente che cercava un amore come quello dentro le fiabe dentro a un ragazzo totalmente diverso dal famoso “principe azzurro”, lui era il cattivo della storia, e per una volta stavo creando una storia diversa da tutte le altre dove la principessa sperduta nel nulla si innamorava del cattivo senza avere alcuna speranza di conquistarlo. Davvero sarebbe andata a finire così? Davvero sarei finita col cuore spezzato? Forse, o forse no. Dovevo aspettare.
“Puoi smetterla di nasconderti stupida ragazza, non ti sta guardando.” La vocina dentro la mia testa parlò rimproverandomi severamente, alzai lo sguardo verso di lui e aveva ragione, si stava godendo la partita appena iniziata di non so cosa e di me nei suoi pensieri non ce n’era nemmeno l’ombra. 
Il mio sguardo ancora turbato si posò timidamente sul suo petto scolpito nei punti giusti, notai quella croce tatuata al centro del petto che non avevo mai notato prima, gli altri invece ormai li conoscevo già ma quello era particolare, non era tanto marcato e nemmeno sfumato era un disegno piatto sopra una pelle bronzea, ne tanto bianca e ne tanto nera. La collana che aveva al collo rifletteva sul muro i raggi che penetravano dalla finestra e il suo viso neutro e concentrato mi metteva dolcezza dentro.
I miei pensieri riguardo al suo viso perfetto cominciarono a volare e arrivai fino alla conversazione con Scott riguardo alla sua camera e alla sua privacy molto segreta di qualche giorno fa, ancora ero decisa a voler più spiegazioni da parte sua.
“Parlami di te.” Pensai a voce alta e mi maledetti poco dopo averle pronunciate, il suo viso neutro si accartocciò in un espressione perplessa. 
“Perché?” Si bagnò le labbra con la lingua e mi vennero i brividi che mi fecero tremare.
“Voglio sapere qualcosa di te.” Scivolai sul tessuto del divano avvicinandomi in modo azzardato a lui inchiodando i miei occhi hai suoi per una volta, senza arrossire. 
“Non ho niente da dire.” Lui alitò vicino al mio viso lasciando fuori uscire alito caldo senza odori.
“Ti prego.” Lui rimase zitto e io pure mentre i nostri occhi continuavano a far l’amore insieme senza accorgerne. 
Lasciai la presa e lasciai che i nostri occhi si spensero timidamente insieme, appoggiai la testa sulla sua spalla, cosa che mai mi sarei permessa di fare ma lui non esitò a togliermela, appoggiò la sua guancia sul mio capo. 
“Parlami di te.” Lui ripeté le mie stesse parole in tono quasi più dolce del solito e meno freddo. Io annuii strisciando la testa sulla sua spalla calda.
“D’accordo..” Chiusi gli occhi e sentii il volume del televisore scendere sempre di più fino al muto, aveva tolto il volume di tutto, anche del mio cuore e da quel momento sentivo battere solo il suo. 
“Racconta.” Mi sforzò agitando la spalla su cui era poggiata la mia faccia.
Presi un respiro profondo prima di cominciare a parlare di quello che era la mia vita.
“Posso cominciare col dire che non è bella come sembra, ho una casa, si, dei genitori, ma non sono felice. Sono incompleta.” Lui annuii senza dire una parola.
“Non sono come le altre, mi hanno sempre detto che ero diversa, strana.” Rospirai. “Quando ero piccola stavo sempre da sola. I miei genitori non si preoccupavano di me e non lo fanno nemmeno adesso, mio padre e un ex poliziotto ed è un alcolizzato insieme a mia madre che fuma e beve. 
Avevo una sorella..” A quelle parole le lacrime cominciarono a rigarmi il viso come tutte le volte che pensavo a lei, una mia lacrima bagnò la sua pelle bronzea sopra il braccio, lui se ne accorse, mi accarezzò la guancia con una mano non sapendo come consolarmi.
“Dov’è ora?” Fu la domanda più forte per me, mi sentii cadere nel vuoto come mai, nessuno mi aveva mai chiesto una domanda simile, forse perché da quando mia sorella non c’era più non socializzavo più con nessuno a parte Rosy. 
“L-lei non c’è più Justin…” Le lacrime non mi fecero vedere più nulla, mi lasciò che la guancia bagnata toccasse il suo petto nudo e caldo, molto caldo.
“Come si chiamava?” Lui continuò cercando risposte su risposte, il suo braccio avvolse la mia spalla toccandomi il braccio.
“Roxie..” Parlai sotto voce come se lei potesse sentirmi, faceva male sapere che l’unica persona che amavo non era qua con me.
“Ti manca molto.” Non era una domanda, ma non affermazione e lo capii dal tono della sua voce che si fece più roca e cominciò a respirare più velocemente e il suo cuore a fare più battiti del normale. Io annuii.
Col braccio mi spinse leggermente verso di lui così che io potessi avvolgere le mie braccia intorno al suo bacino, la sua pelle scottava al contatto con la mia che era nel normale, mi lasciò sprofondare nel mio pianto disperato mentre cercava di dare affetto senza risultati, ma io sapevo che se si fosse messo d’impegno ci sarebbe riuscito, prima o poi.
“So come ti senti, Nicole.” 
Le sue braccia mi strinsero di più come uno scudo, ero al sicuro con la sua voce, con il suo corpo, con le sue braccia, con il suo odore. Ero al sicuro con lui.
Non seppi dire quanto restammo in quella posizione ma per me sembrava un tempo interminabile, in me si aprii una voragine sanguinante che mi fece cadere nello stato più assente di me, non sentivo più nulla se non il mio respiro affannoso e i miei singhiozzi, il respiro di Justin e il suo petto che si alzava e abbassava.
La tv proiettava immagini continue tutte in movimento ma nessuno dei due gli dava retta, gli occhi erano come incollati con la colla e pian piano si chiudevano sempre di più, le lacrime stavano cessando e Justin cominciava a rallentare la stretta attorno al mio braccio. Il ventilatore sfogliava le pagine del giornale della mattina sul tavolo ogni volta che girava e a ogni ventata d’aria che arrivava mi rannicchiavo a lui cercando un po’ di calore umano e i brividi si facevano spazio sulla mia schiena, lui non diceva una sola parola, lasciava solo che il silenzio intorno a noi ci avvolse tanto da farci addormentare entrambi nel caldo più totale dei nostri corpi.
Pochi minuti dopo aver chiuso gli occhi, insieme ci ritrovammo nel sonno più leggero ma profondo, non sapevo cosa pensava lui ma per me questa sarebbe stata l’inizio di nuovo episodio della nostra vita, non capitava tutti i giorni di ritrovarsi a faccia a faccia con l’assassino più ricercato della tua città, e non capita tutti i giorni neanche perfino di dormirci assieme. Una persona normale avrebbe avuto paura ad avvicinarsi a un essere come lui, ma io no, non mi ero mai reputata una persona normale, ne ora e ne mai.

Il motore di un auto rumorosa mi svegliò di soprassalto e una voce famigliare si avvicinava alla porta d’ingresso, era mia madre. Mia madre! Diamine, ero nei guai fino al collo, doveva andarsene.
“Justin! Justin muoviti!” Lo svegliai scrollandolo numerosamente volte, non era il modo migliore di svegliare qualcuno ma non avevo tempo, stava arrivando! 
“Justin alzati e vattene diamine!” Lo tirai per il braccio e con suo agile scatto si tirò su dal divano ancora assonnato, scosse la testa qualche volta prima di capire cosa stava succedendo.
“E’ qui? Porca puttana.” Lui imprecò.
“Sali in camera mia, vai! Muoviti!” Lo spinsi sulle scale dove a due a due salì in camera mia e si chiuse la porta dietro le spalle.
Poco dopo mia madre entrò dalla porta di casa con la busta della spesa e la sigaretta in bocca.
“Ciao mamma!” La salutai con un cenno indeciso della mano cominciando a sudare freddo.
Mia madre mi ignorò completamente e posò le buste sul tavolo della cucina, chiuse la chiamata e si girò verso di me controllando ogni centimetro della stanza, io cominciai a sentire il cuore battere più veloce.
“Perché la tv di tuo padre è accesa?” Andò verso il divano e prese il telecomando in mano esaminandolo.
“La stavo guardando..” Risposi con preoccupazione nella voce.
“Con il muto?” Osservò.
Restai in silenzio non sapendo cosa rispondere, solo poi mi accorsi della maglietta banca di Justin ancora per terra di cui poco dopo si accorse anche lei.
“Di chi è questa maglietta Nicole?” Pronunciò il mio nome con tono più severo del resto della frase, io impallidii e imprecai in tutte le lingue che conoscevo nella mia mente e maledetti Justin per aversela tolta e lasciata li.
“E’ di.. David.” Mi affrettai a rispondere cominciando a mangiucchiarmi le unghie dal nervoso.
“Ah si?” La prese in mano per esaminarla e fece una smorfia.
“Allora quando lo vedi digli che deve farsi un bagno!” Me la lanciò addosso e si rintanò nella cucina dove cominciò a disfare la busta della spesa.
Lo maledetti ancora una volta prima di tornare nella mia stanza dove Justin era ad aspettarmi origliando dalla porta.
“Abbiamo rischiato grosso, se mia madre ti vedeva qua erano guai sia per me che per te.” Lo rimproverai lanciandogli la sua maglietta. 
“Chi è David?” Lui mi squadrò da testa a piedi rimettendosi la maglietta.
“Ah, e fatti una doccia.” Ignorai la sua domanda.
“Rispondimi.” Serrò la mascella. “Chi è David?” Rimasi a fissarlo senza sbattere ciglia. 
La mascella serrata, gli occhi scuri che mi guardavano e le braccia incrociate al petto, i capelli ancora scompigliati dal piccolo sonnellino insieme e i muscoli tesi. Era perfetto, sospirai.
“Un amico.” Risposi. “Per caso sei geloso McCann?” Scherzai.
Lui si ammorbidì e lanciò gli occhi al cielo sbuffando, rimase in piedi affianco alla porta per un po’ continuando ad osservare attentamente ogni mio singolo movimento.
“Hai intenzione di restare a fissarmi tutto il giorno?” Incrociai le braccia al petto come aveva fatto lui poco prima restando al suo gioco, fissandolo come lui fissava me.
“Devo andare.” Si mosse dal posto avviandosi verso il balcone.
“Stasera tornerai?” Lo seguii avvicinandomi di nuovo a lui come avevo fatto sul divano prima di addormentarci. Lo inchiodai fra il vetro della finestra e il mio corpo, il mio viso era molto vicino al suo ma lui era come non respirare, non sentivo il suo alito sul viso e non sapevo se era terrorizzato dalla troppa vicinanza fra di noi o perché gli provocavo le stesse emozioni che lui provocava a me.
“Se vuoi.” Rispose poi, togliendomi una ciocca di capelli da davanti agli occhi con un dito, gli sorrisi diventando rossa in viso ma questa volta non nascosi il viso e non cercai di mascherare nulla. Doveva sapere che effetto mi faceva ogni suo singolo movimento, e forse già lo sapeva perché ogni volta sapeva come farmi sciogliere anche solo con un gesto semplice. 
“Allora ci vediamo dopo, Justin..” Lui annuii senza aggiungere altro, aprii la finestra e con un salto si lanciò dal balcone della mia camera sparendo nel nulla.
Scomparso, con le mie emozioni per lui appresso, le mie paranoie e incubi si facevano vivi quando lui non era con me, com’era possibile? Com’era possibile che ogni volta che lui era accanto a me ogni cosa, anche la più orribile si trasformava in qualcosa di spettacolare. Ero arrivata alla conclusione che quel ragazzo aveva dei poteri speciali in qualche modo, sapeva rendermi felice. 
Appoggiai la schiena contro la ringhiera del balcone buttando la testa indietro lasciando che i miei capelli svolazzassero con l’aria fresca che portava il cambio di stagione, l’estate era appena iniziata e già sembrava che fosse finita, il sole caldo mi cuoceva la fronte ma nonostante queste mi riscaldava e mi faceva star bene per una manciata di secondi finche non cominciavo ad arrostire come un pollo sul fuoco.
“Nicole?” La voce di mia madre interruppe i miei pensieri entrando nella mia stanza, sbuffai rumorosamente stufa di lei e delle sue continue interruzioni ai miei pensieri. 
“Si?” Risposi fredda senza un minimo di gentilezza mettendo una mano davanti agli occhi per vederla meglio.
“Oh, ma che capelli lunghi, non credevo fossero cresciuti così tanto.” Osservò senza battere palpebra.
“Questo perché non ti interessi mai di me.” Risposi più fredda di prima e più irritata, in fondo non avevo tutti i torti, non mi guardava mai ero come inesistente per lei.
Sbuffò e si accese una sigaretta tirandone fuori una dal pacchetto. “Vieni giù ad aiutarmi, muoviti.” Scrollò le spalle e tornò al piano di sotto chiudendo la porta.
“Si, mamma.” Digrignai i denti in segno di nervosismo.
Feci come mi aveva ordinato e andare ad aiutarla in cucina.

La giornata passò in fretta ma Justin quella sera non venne più, restai tutta la notte sveglia ad aspettarlo con la finestra aperta, ascoltai della musica col mio mp3 per non annoiarmi mentre restavo ad aspettarlo ma non servì a nulla perché alle 6:30 della mattina seguente crollai nelle grinfie del sonno senza lui affianco, restai molto delusa ma dovevo aspettarmelo da uno come lui, un gatto di strada che fa quello che vuole lui, che non obbedisce a nessuno e viene quando meno te lo aspetti, forse nella vita passata lo era stato. Aveva di meglio da fare che stare appresso a una come me, armi, battaglie, attacchi, rapine… Si, molto di meglio. Mi rassegnai timidamente con una crepa nel cuore.
“Stupida! Svegliati, lui con ci tiene a te!” 
La mia vocina nella testa aveva ragione, che valore potevo avere per lui? Restai nel letto ancora un po’ aspettando che almeno venisse a darmi il buongiorno come nei film ma un’altra crepa si formò nel cuore quando capii che non sarebbe venuto nemmeno a darmi il buongiorno. Forse sarebbe venuto dopo? Almeno a salutarmi con un cenno della mano? 
Scesi le scale come tutte le mattine e feci colazione, guardai l’orologio. 
11.44 e lui ancora non era venuto, decisi si chiamare Rosy e andare da lei.
“Pronto Rosy?” Lei rispose al telefono.
“Nicole? Sei tu?” Chiese.
“Rosy, si sono io.” Risposi con la voce spezzata, ci sentivamo raramente e ogni volta era come essere trafitta da una lama perché sapevo che la stavo trascurando troppo per colpa di Justin.
“Volevo vederti.. Mi manchi. Possiamo vederci dopo a casa tua?” 
Rosy fece un respiro profondo rumoroso prima di rispondermi, sapevo che la stavo facendo star male ma non era mia intenzione.
“Va bene, alle due a casa mia. Ti aspetto Nico.” Sapevo dalla voce che stava sorridendo, e lo feci anche io.
“Perfetto.” Riattaccai.
Corsi saltellando fra i gradini al piano di sotto e mi preparai da mangiare, i miei genitori non rientrarono a casa ma poco importava, che ci fossero o meno era la stessa cosa per me. Quando ebbi finito di cucinare mangiai di corsa e ritornai al piano di sopra a vestirmi e quando fui pronta uscii di casa con l’IPod in tasca e la musica alle orecchie. La musica era la mia unica uscita dal mondo e dai problemi, mi aiutava parecchio. 
L’aria fresca che passava in mezzo alle mie gambe scoperte dai pantaloncini corti mi provocava brividi a ogni passo che facevo ma freddo non avevo, controllavo il telefono ogni 5 minuti.. Ma niente, lui non mi scriveva, non sapevo dov’era e cosa stesse facendo, si era dimenticato di me? Ero triste.

“Nicole quando mi sei mancata.” Rosy mi saltò addosso appena sorpassai la soia di casa sua.
“Anche tu Rosy, ti prego scusami.” Avvolsi le braccia attorno al suo petto stringendola più che potevo, dovevo farmi perdonare.
Lei chiuse la porta con un calcio che sbatte e mi prese per mano facendomi strada verso camera sua.
“Diamine mi devi raccontare tutto.” Esclamò poco dopo aver sbattuto anche la porta di camera sua.
“Non so.. Che cosa devo raccontare?” Chiesi imbarazzata.
“Ma come? Dimmi che cosa hai fatto tutto questo tempo, dove sei stata?” Rosy era impaziente di sapere tutto e io dovevo assolutamente trovare una scusa credibile per l’assenza di questo tempo, di certo non gli avrei potuto raccontare di Justin come se niente fosse, non avrei potuto immaginare la sua faccia se glielo avessi detto.
“B’è.. Ecco, io..” Sospirai, diamine e adesso? “Ho avuto complicazioni a casa, sai..” Cercai di essere credibile il più possibile ma non sapevo se avrebbe attaccato.
“Capisco.” Rosy annuii salendo le scale del suo letto a castello lanciandosi sopra il materasso del letto più alto.
“Siete e tieniti pronta, devo darti una notizia bomba Nicole!” Rosy esclamo lasciandosi scappare un enorme sorriso sul volto, capivo da quanto era felice che era qualcosa di importante. 
“Scommetto che stai morendo dalla voglia di urlare!” Salii le scale del letto sedendo davanti a lei mostrandogli interesse per quello che aveva da dire.
“Altroché!” Rosy sorrise di nuovo.
“Avanti allora, non farmi aspettare, dimmelo!” Ricambiai il sorriso.
“Io e David ci siamo baciati!” Rosy si catapulto all’indietro rotolando su se stessa dalla gioia senza smettere di riprodurre urli spacca-timpani dalla sua bocca. 
“Oh mio dio! Non ci credo, sul serio?” Esclamai poco più eccitata di lei.
“Si, è stato il momento più bello della mia vita.” Rosy mi saltò letteralmente addosso facendomi cadere dal letto scivolando giù fino al pavimento dove il suo di dietro fece un tonfo.
“Aia..” Mi lamentai ancora presa dalle risate. “Quando è successo?” Ritornai sull’argomento mentre ancora Rosy non riusciva a credere a quello che aveva appena detto.
“Poco più di una settimana fa! Secondo te potremmo mai avere una storia?” Rosy gioii.
“Certo, ne sono più che sicura!” Rosy quasi pianse dall’emozione, non si conteneva più e io ero eccitata quasi quanto lei all’idea di vedere Rosy e David insieme. 
“E io?” La voce nella mia testa parlò senza il permesso riportandomi sull’argomento “maschi freddi e insensibili” e qualcosa mi fece pensare a Justin, oltre a “Mr. bombe e pistole” potevo soprannominarlo anche “Mr. freddezza e insensibilità”. Si, ci stava bene, credo lo avrei chiamato così per il resto dei miei giorni. Scrollai le spalle lasciando scorrere via dalla mia mente quel pensiero fastidioso. Poco dopo il mio telefono squillò facendomi sobbalzare, quasi mi venne un colpo fra gioia e terrore quando sullo schermo del mio telefono lessi la scritta sulla chiamata in arrivo ‘Justin’. 
“Pronto?” Mi alzai barcollando cercando di allontanarmi da Rosy che ancora sdraiata sul pavimento fantasticava le sue fantasie sul suo amato David.
"Nicole dove sei?" La voce di Justin mi fece sorridere timidamente al telefono. 
"A casa di Rosy.." 
Lo sentii respirare senza una risposta, solo un forte sospiro dalle sue labbra.
"Ti vengo a prendere." 
Riattaccò. Perchè doveva essere così fottutamente misterioso? 


 


 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10. ***


Passarono i giorni, settimane, e Justin era con me. Ogni giorno, non si staccava mai, saliva dal mio balcone tutte le sere, magari un po' più tardi a volte per colpa delle così dette 'commissioni' che aveva da sbrigare, oppure perchè Scott lo tratteneva più del previsto, ma comunque in un modo o nell'altro lui era sempre seduto al bordo del mio letto a guardarmi. A guardarmi intensamente finché i miei occhi non si chiudevano da soli, ormai stanchi di guardare una simile bellezza come lui, era così tutte le sere.
Ero quasi arrivata al punto di pensare che lui avrebbe potuto provare qualcosa verso i miei confronti, per fortuna la vocina poco garbata e insistente nella mia testa riusciva a fermare questi tipi di pensieri dalla mia mente, l'unico che non avrebbe potuto portarmi via era quello di essere incondizionatamente innamorata di lui come non mai. Cavolo se era attraente! Ma già sapevo che, in qualunque modo o situazione, non avrebbe mai e ripeto mai guardato una ragazza tanto scombussolata come me, eppure, a poco a poco scoprivo che non era esattamente come tutti gli altri.
 
"Oh ti prego Nicole, vieni con noi."
Gli occhioni grandi di Scott mi puntarono imploranti e pieni di speranza aspettando un mio 'Si' che ero decisa a non dire.
"Ti divertirai."
"Certo, sempre se ti vesti come una puttana e fai come le altre."
La voce di Justin mi fece imbestialire come non mai. No! Non ci sarei mai andata a quella orribile party pieno di spogliarelliste pronte a prenderlo nel di dietro per qualche spicciolo. Quello era il posto preferito di quelli come Justin. Sporchi, zarri e arrapati, e sinceramente non mi farei mai aspettata che uno come Scott mi implorasse di fare una cosa del genere e in quel momento non avevo ottimi pensieri su Justin, non riuscivo a non pensare al fatto che se fossi andata si sarebbe fatto due o più ragazze alla volta. Davanti a me. A me.
No. Era escluso. Io rimanevo dov'ero.
"Non se ne parla! Io resto qua."  Puntai i piedi.
"Ti prego.." Scott era come un bambino, continuava a stritolarti l'anima finché non gli dicevi un di si a ciò che voleva. Forse un bambino con le caramelle sarebbe stato più ragionevole di lui.
Dopo svariate volte di convincermi e dopo aver ripetuto tante e tante volte quel 'no' alla fine vinse lui, dissi alla fine quel maledettissimo 'si' e dovetti trovarmi qualcosa da mettermi, siccome volevo per una volta ascoltare le parole di Justin, misi il vestito più corto e scollato che avevo, avevo la schiena scoperta, -come quasi la metà dei vestiti che comperavo, era qualcosa che adoravo particolarmente- aderente e  col pizzo nero, tacchi alti quanto bastava per arrivare almeno poco più sopra della spalla di Justin.
Scott rimase senza fiato quando mi vide con in dosso quel vestito, per fino mi confessò in segreto di voler che fossi la sua nuova fidanzata. Justin invece, non ebbe la reazione che desideravo. Appoggiato alla parete con canotta larga, pantaloni bassi e occhiali scuri, sbuffò e borbottò qualcosa sotto voce non udibile alle mie orecchie tirando a Scott le chiavi della macchina.
Ed eccomi qua, seduta sul sedile di una decappottabile nera nel posto del passeggiero con Justin e Scott davanti che ridevano e sbraitavano eccitati di fare una bella serata fra ragazze sexy e birra, io invece, ero a dir poco elettrizzata dalla paura, conoscevo Justin e sapevo che da lui non sarei potuta aspettare del bene, forse da Scott, ma da lui.. Da lui no.
"Se c'è gente strana giuro che torno a casa!" Mi lamentai quasi per tutto il viaggio facendo venir il mal di testa a Scott che si pentì di avermi dovuto pregare per portami.
Agitava le braccia sopra la testa ondeggiandole a ritmo dell'aria fresca della sera come se fosse a un concerto Rock&Roll. Scott con uno strattone secco del volante rigò a destra facendomi sbattere contro la portiera dell'altro lato dell'auto.
Quando scesi vennero due ragazzi con la pelle scura color cioccolato vestiti da rapper con collane d'argento e anelli alle dita, strinsero la mano a Justin e a Scott in un modo anormale, quasi come un codice segreto.
"Justin! Da quanto tempo cazzo! Come butta?" Il ragazzo più in carne diede una pacca alla spalla a Justin che lo fece spiegare in avanti a cui rispose semplicemente con un sorriso d'imbarazzo infilando le mani dentro le tasche dei pantaloni.
"Ma che domande fai Nash?!" L'altro rispose ironicamente riferendosi al fatto dei ormai famosi volantini per tutta la città con la sua faccia stampata sopra.
"Me la cavo."
"Si, Justin se la cava." Scott prese le sue difese.
"Allora alla prossima volta ci fai vedere qualche mossa!"
"Guarda qua che muscoli, porca puttana. Sei andato in palestra?"
Mentre discutevano fra di loro la musica che proveniva dalla grande villa davanti a noi era assordante, le luci verdi e blu uscivano dalle finestre spalancate. la gente usciva a vomitare sul prato per intossicazione d'alcool ed era solo l'inizio! Cavolo, sul serio Justin frequentava questo genere di gente? Ne sarei mai uscita viva senza vomitare anche io?
"Oh, guarda Nash, abbiamo una nuova amica di Justin!"
L'uomo in carne mi si voltò verso di me, Justin fece finta di nulla alzando gli occhi come se fossi come una scorta per cambiare discorso, i ragazzi invece tennero gli occhi fissi su di me interessanti a scoprire di più.
"Wow, quando avevi intenzione di portarcela?"
"E' brava a letto?" Il ragazzo diede un'altra pacca sulla spalla a Justin che fece uscire una risata profonda dalla gola per la domanda dell'amico rispondendo con ironia.
"Oh, certo! E' bravissima, dovreste provarla." Rivolsi uno sguardo freddo a Scott che zittì Justin con un cenno della mano.
"Lo spero. Piacere piccola, sono Nash, e lui è Brooth." Strinsi la mano sudata del ragazzo più magro, Nash. Brooth fece cenno solo con la mano, senza avvicinarsi.
"Entriamo, la festa non incomincia senza di me." Justin sorrise all'amico correndo con Scott verso le scale della villa che portavano all'entrata. Mi lasciarono da sola, davanti alla macchina parcheggiata con il loro amico Nash che non staccava gli occhi dal mio corpo.
Cominciavo ad odiare sul serio quel posto. Volevo tornare a casa.
"Allora.. Quanto vuoi per una notte?" Il ragazzo agganciò il suo braccio in torno alle mie spalle facendomi barcollare sui tacchi.
"Non sono la puttana di nessuno, e non voglio i soldi di nessuno!" Sbottai scrollandomi via di dosso le sue sudice mani sudate, alzai i tacchi e corsi dietro a Justin che ormai era già entrato in mezzo alla folla.
"Oh, tranquilla piccola! Se vuoi ne riparliamo sul prezzo!" Rise dietro le mie spalle.
Dentro, la festa era impazzita, c'era gente c'è ballava senza sosta, quella che fumava e quella che beveva. Gente normale? Solo io.
C'era troppa gente e troppo fumo nell'aria per riuscire a trovare Scott e Justin, vedevo gente che ballava e si divertiva, ragazze mezze nude con minigonne e ragazzi con occhi rossi come i vampiri, si sballavano fino a non sentirsi più le gambe, fino a non riuscir a dire il proprio nome e solo a quel punto riuscivo a capire perchè ogni volta che gli amici di Justin mi vedevano chiedevano se fossi la sua puttana.
"Nicole! Nicole, siamo qui!" Scott agitò una mano all'aria per attirare la mia attenzione in mezzo al fumo che si alzava sempre di più.
Scott mi passò un drink alcolico che non bevvi, lo passai a Justin che lo bevve come acqua, cercai di intrufolarmi fra la folla e cominciare a ballare. La musica era alta abbastanza da non riuscir a non far caso alla mia vocina interna che mi suggeriva di filarmela a gambe levate, ma no, volevo divertirmi per una volta, volevo dimenticare tutto e sballarmi come non avevo mai fatto. Così feci, cominciai a ballare alzando le braccia verso il soffitto, battendo le mani a ritmo di musica e scuotendo il fondo schiena come le ragazze in bella vista sui tavoli, la gente sul divano del salotto e sul pavimento si passavano una bottiglia di birra, passarono dei drink che non presi nemmeno quella volta. Justin e Scott erano spariti, sentivo solo la gente strusciarsi e sbandare contro di me, l'aria calda e il sudore che saliva sfinendomi mentre continuavo a immedesimarmi nella parte della ballerina professionista che non ero, da lontano vidi Josh, il ragazzo con i rasta che incontrai il giorno della rapina di Justin nel furgone bianco. Mi stava guardando. Feci qualche passo indietro cambiando direzione, andai verso sinistra sempre facendo lo slalom fra la folla trovando un punto meno visibile, non volevo nessun'altra sorpresa. Avevo parlato troppo presto.
Due mani grandi e calde circondarono il mio bacino avvicinandoselo a se facendo incontrare la mia schiena nuda contro un petto muscolo, non mi era consentito girarmi dato la posizione scomoda, ma avevo una vaga idea di chi fosse quando toccai un braccio muscoloso e un respiro profondo e ansimante al mio orecchio, chiusi gli occhi. Era Justin. Ne ero più che sicura anche ad occhi chiusi, riuscivo a riconoscere le sue braccia anche fra milioni, nessuno era come lui. Le sue labbra sfiorarono il lobo del mio orecchio ansimando, la presa forte e il corpo pesante che posava sulla mia schiena come se avesse bisogno di un appoggio. Non ebbi il coraggio di aprire bocca, la musica era sparita adesso. Sentivo solo il suo respiro e il battito del suo cuore su di me, le sue labbra sfiorarono il mio collo fino a lasciar un bacio umido sulle scapole, una sua mano passò lungo il mio braccio fino alla spalla, me la scoprì lasciando cadere la spallina del vestito, poi sparì. Il vuoto. Il vuoto dietro di me fu di nuovo lì, aprii gli occhi e dietro di me non c'era nessuno, Justin era sulle scale che portavano sul terrazzo della villa, gli occhiali neri scintillarono sotto le luci multicolor della festa, feci un passo avanti verso di lui e poi sparì di nuovo nel buio delle scale. Cominciava a diventare buio fuori, il cielo era nero. Notte fonda.
Era seduto sul pavimento a mattonelle grigie del terrazzo in mezzo alla foresta di piante e fiori profumati, riuscii a sentire l'odore del tabacco dalla sua bocca quando sospirò.
"Perché sei sparito." Fu tutto quello che uscì dalle mie corde vocali.
Non rispose, odiavo quando lo faceva. Ma lui era così.
Mi sedetti affianco, aspettando qualche segno di risposta, ma niente. Muto.
"Perché sei venuto qua? La festa non ti piace."
"Pare che a te piaccia molto, invece."
"Mi adeguo."
Si girò a guardarmi, mi vidi nel riflesso degli occhiali, ero sudata e il trucco cominciava a sbavare. Diavolo! Era meglio se non mettevo tutto quel trucco!
Mi tirò su la spallina, inghiottì la saliva rumorosamente.
"Sono simpatici i tuoi amici."
"Mh."
Non aveva voglia di parlare, lo avevo capito.
Scossi la testa, lasciando le gambe scoperte lungo il pavimento freddo. Guardai il cielo, era nero, le stelle erano l'unica cosa che lo abbellivano in mezzo a tutto quel colore cupo.
"C'è qualcosa che non va?" Chiesi. Nel cielo le sfumature  dal blu scuro al nero cupo erano evidenti, la musica proveniente dal piano di sotto era come un sottofondo, sembrava tutto così tremendamente irreale e non capivo il perchè.
"No. Sto bene." Avevo una voglia matta di avere delle risposte sensate, volevo chiedergli perchè era venuto da me, perchè mi aveva attirato a lui in quel modo. Perchè aveva voluto che salissi sul terrazzo con lui? Perchè sapevo che era così.
Preferii rimanere in silenzio, come sempre. Dalla tasca dei suoi jeans uscirono un pacchetto bianco, le sue immancabili sigarette, ne prese una fra le labbra e l'accese senza dire nulla, cominciò con i tiri. Prima uno, poi due, poi tre e quattro.. E così via.
"Fumare ti calma?"
Nessuna risposta.
"Sei agitato?" Guardava dritto davanti a se, come se ci fosse una sola direzione dell'orizzonte, le luci dei semafori erano l'unica fonte di luce per la strada a parte i fari di qualche macchina che passava ogni mezz'ora.
"Sei felice?" Fece un tiro verso di me soffiando il fumo fuori dalla sua bocca aggiustandosi gli occhiali sul naso.
"Sono felice solo se tu sei con me." Avrei voluto rispondergli così, anzi, la mia vocina dentro la testa lo avrebbe fatto al posto mio, e invece niente. Rimasi silenziosa come un pesce, gli risposi solo dopo pochi minuti rimuginando sulla domanda.
"Credo di si.." Lasciai la risposta in sospeso come se ci fosse dell'altro, e pareva che lo avesse capito. Davvero avrei potuto guardarlo in faccia dopo avergli detto certe cose? Oh, diavolo l'amore!
"Ma?"
"Ma?.." Ripetei.
Lui scrollò le spalle cambiando argomento, lo feci anche io lasciando perdere. Il problema non era cambiare argomento, il problema era non aver nulla di cui parlare con lui. Mi piaceva restare in silenzio e guardarlo fumare ma nello stesso tempo mi sentivo in dovere di dire qualcosa per rassicurarlo, come se ci fosse qualcosa di più in quella sigaretta, qualcosa che voleva bruciare invano. Ah, si, il suo cuore.
 
"Torniamo in pista?"
"Ci vuoi tornare?"
"B'è... Siamo qua, divertiamoci!" Gli sorrisi, lui piegò la testa da un lato come per capire, lo scrollai un po' alzandomi dal pavimento, gli porsi una mano che non prese, con una gesto si alzò da solo senza fatica.
Tornammo nel salotto, quella che doveva essere la "pista da ballo", Justin mi prese per mano e cominciammo a ballare insieme, la gente era su di giri, urlava e chiedeva drink al tavolo delle bibite, Justin prese una bottiglia di birra e mi convinse a darci dentro con l'alcool e, anche se contro voglia, cominciammo a bere qualche drink insieme, l'aria cominciava a diventare sempre pensante e la gola bruciava. Le bottiglie di Vodka sul pavimento vicino al bagno non erano promettenti, le ragazze vomitavano mentre i ragazzi gli tenevano i capelli, mi vennero i brividi al pensiero di esser io una di quelle ragazze, misi giù la bottiglia e mi diressi verso l'entrata. Avevo perso Justin per colpa del troppo fumo fitto, le cartine dei drum era ovunque e poco più vicino riuscii finalmente a trovare Scott con amici che rideva e si davano pacche sulle spalle come per incoraggiarsi mentre finivano lattine d'alcool una dopo l'altra.
"Scott?"
Era strano, puzzava d'alcool come non mai e aveva gli occhi rossi fuoco, le pupille dilatate e i capelli alla rinfusa come se avesse fatto una battaglia con i leoni, la cintura dei pantaloni slacciati e preservativi usati affianco a loro. Solo dopo aver spostato lo sguardo dal pavimento lurido vidi un gruppo di ragazze più nude di quelle che ballavano sui tavoli passarsi un piccolo tubicino con cui aspiravano dal naso tappandosi una narice con un dito della roba bianca messa in fila, quasi fosse farina, ma non lo era e lo sapevo bene. Cocaina! Rimasi senza parole, Scott era sbronzo e questo l'avevo capito ma dovevo trovare Justin al più presto.
"Scott, hai visto Justin?"
"No piccola, non ho visto Justin ma se vuoi in cambio posso farti vedere qualcos'altro?" Prese il laccio della sua cintura tirandolo barcollando, prese un altro drink dal amico e mi sorrise, un sorriso da sbronzo.
"Scott! Diavolo, torna in te!" Lo spinsi indietro irritata, ma a lui pareva piacere questo mio lato tanto che non smetteva di provocarmi facendo battute squallide sulla mia sessualità verso i suoi amici che, sbronzi, rispondevano con un sorriso e occhiate perverse verso il mio corto vestito. Perché avevo messo quel fottutissimo vestito? Che vergogna. Decisi di passare oltre tornando alla ricerca di Justin, ma prima che potessi farlo una grande mano quanto quella di Justin, ovvero quella di Scott, si posò sul mio fondo schiena che afferrò e strinse irritando il mio sistema nervoso centrale.
Afferrai il suo polso e lo spinsi di nuovo contro la parete avanzando tra la folla irritata e confusa per il troppo caldo che cominciava a darmi alla testa, finalmente dopo qualche minuto trovai Justin, e la mia pazienza arrivò ad un limite troppo alto per restare calma.
Era seduto da una sedia di legno contro il muro che si limonava tranquillamente una fottutissima brasiliana con la pelle scura e lunghi capelli neri che le coprivano il viso, seduta sulle sue ginocchia, la rabbia mi fuoriuscì da ogni poro della mia pelle, ebbi l'impulso di prenderla per i capelli e urlarle in faccia che era mio e che non aveva in diritto di toccarlo, ma feci un respiro profondo e cercando di tenera la testa sulle spalle mi avvicinai a loro.
"Scusa?!"
Fu il tono più caldo che avessi potuto avere in quel momento, era a pari a quello di mia madre quando perdeva le staffe perché la biancheria non veniva mai bianca come voleva anche dopo venti volte in lavatrice. La ragazza stacco le sue carnose labbra da quelle di Justin irritata dal fatto di aver dovuto tagliare quel bacio appassionante per poter guardarmi in faccia, mi tremavano le mani dalla voglia di prendere a schiaffi a lui e a pugni lei. Bastò un'occhiata di ghiaccio per farle capire che doveva stargli lontano a meno che non voleva tornare a casa con un occhio nero, non ero una tipa violenta ma se toccavano ciò che era mio perdevo completamente le staffe con tutti, nessuno escluso. E lui era mio. Solo mio.
Justin salutò la ragazza leccandosi le labbra in segno che il bacio gli era piaciuto e la ragazza rispose lanciandogli un bacio a soffio, alzai gli occhi al cielo poi guardando le iridi marroni di Justin, aveva gli occhi arrossati e il viso rosso per il caldo, si stava morendo di caldo in quella casa.
"Oh Justin, ti avevo detto di non bere troppo! Guarda come stai messo!" Lo rimproverai consapevole che il giorno dopo non si fosse ricordato di nulla.
Lo portai fuori da quella casa chiudendoci la parte alle spalle, volevo solo che quella sera passasse il più presto possibile. Non ne potevo più. Ci sedemmo sul prato attorno alla villa  per dei minuti che sembravano ore, ci accasciammo per terra per guardare le stelle mentre Justin continuava a sghignazzare e ridere da solo barbottando cose insensate, nel giro di poco ci addormentammo insieme, io e lui soli nel prato verde nella notte fonda, con la musica a palla e le mani intrecciate.
Il giorno seguente, quando mi svegli, la villa era quasi vuota e i residui della festa erano sparsi per tutta la casa dentro e fuori, erano rimasti solo poche persone che, sdraiate sul pavimento o sui divani dormivano profondamente come se non ci fosse nulla che li disturbasse.
Justin non era più affianco a me, ero sola in mezzo all'erba e l'odore di alcool e tabacco ancora si sentiva pesantemente anche da fuori casa, Scott era seduto sullo zerbino davanti alla porta della casa mentre fumava lunghe sigarette bianche e sottili, stava parlando con Nash e Brooth che erano seduti poco più lontano da lui.
"Scott."
"Nicole, ti sei svegliata finalmente!" Scott verso di me seguito dagli amici che mi sorridevano, mi tirò su di peso con una sola mano mettendomi in piedi.
"Hai stracciato di brutto Justin sul fatto del sonno!" Nash mi guardò divertito dandomi una piccola pacca sulla schiena scoperta che mi fece sobbalzare in avanti.
"Cosa?" Li squadrai.
“Naah, niente lasciali stare. Sono degli idioti.” Scott emise una risata profonda tirando su l’ultimo tiro di sigaretta prima di buttarla sul prato e schiacciarla col piede.
“Dov’è Justin?”
“E’ andato a prendere da mangiare con Josh. Stanotte abbiamo finito tutto il cibo.”
“Oh..” Sospirai. “Quando torna?”
“Non saprei dirti, sono andati via solo da mezz’ora.” 
Entrai in casa e quasi mi spaventai, c’era carta igenica ovunque, le pareti erano sporche e il pavimento era pieno di impronte, bicchieri vuoti o rotti, preservativi usati e sigarette usate. Un vero porcile, quasi mi venne l’impulso di uscire di nuovo. Almeno i divani era puliti a parte le macchie di Champagne caduto, i cuscini profumavano d’alcool e l’aria ancora sapeva di Marijuana.
“I tuoi non ti sgrideranno?”
Nash e Brooth si guardarono in faccia prima di scoppiare in una rumorosa risata senza fine, sembra avessi detto la più grande battuta del secolo.
“Viviamo da soli, abbiamo 23 anni, piccola.”
“Oh.. Scusa, non lo sapevo.”
Poco dopo Justin sorpassò la sosia della casa dei due amici spaventandomi, corse insieme a Josh che si chiuse la porta alle spalle e con uno scivolo sul pavimento si appiattì sul pavimento insieme a Justin sotto la finestra della cucina invitando tutti noi a fare lo stesso, ci stendemmo tutti sul pavimento nascondendoci dietro al divano, sotto i tavoli o fra i mobili mentre la fuori una sirena della polizia passava da quelle parti con l’acceleratore come se stesse inseguendo qualcosa, o meglio, qualcuno. E sapevo che si trattava di Justin. Quando la sirena si allontanò tanto da non sentirla più la risata profonda di Justin e di Josh riempirono il silenzio calato poco prima l’arrivo della polizia spintonandosi uno con l’altro.
“Ci è voluto poco e ci mettevano in manette, porta puttana!” Josh esultò saltando in piedi come un grillo.
Justin rise annuendo all’amico riprendendo fianco ancora per la corsa, Scott gli mollò una pacca sulla spalla tanto forte da sentire un rumoroso “Ciaff” all’impatto con la pelle.
“Ma che bravo Justin! Fatti beccare così ti verremo a trovare dietro le sbarre come i tuoi amici!” Brooth risuonò molto ironico nei suoi confronti.
“Stai zitto e mangia!” Tirò all’amico un sacchetto marrone da cui il ragazzo tirò fuori un pezzo di pane e delle bottiglie d’acqua accompagnate con un pezzo di carne crudo.
Nash prese l’ultima birra rimasta –ben nascosta- nel frigo e la stappò senza sforzo cominciando a inghiottire lunghi sorsi facendo arrivare il livello a metà bottiglia. Cominciò a ruttare rumorosamente borbottando qualcosa che capii solo Justin che subito dopo rise, Scott con nonchalance fece notare che nella stanza c’ero anche io –in un angolino, ma c’ero anche io- e che non ero esattamente a mio agio in una casa con cinque ragazzi e una sola ragazza, ovvero io.
“Non farci caso ok?” Scott mi rassicurò. “Sono degli animali.”
“Parla per te, amico!” Brooth lanciò il tappo della bottiglia in pieno centro viso contro Scott che lo prese e contrattaccò l’amico.
Justin si voltò verso di me. Era senza quei orrendi occhiali scuri finalmente e le sue iriti marroni mi fissavano, cercai di non arrossire come al mio solito ma fu inevitabile, le mie guance si sfumarono di un rossastro accesso che fecero alzare la temperatura del mio sangue nelle vene. Venne a sedersi affianco a me senza dire una parola, quando il suo peso sprofondò sul divano sentii la marea di emozioni travolgermi di nuovo come la sera prima, quando si era avvicinato così tanto a me, quando le sue labbra erano al mio orecchio, e quando il mio cuore era sul punto di esplodere, quando il mio corpo tremava sotto il suo gelido tocco.
“Non dovreste bere.. Stanotte aveva bevuto abbastanza.”
“Come?” Ah, giusto. Come potevano sapere cosa avevano fatto se erano sbronzi?
“Forse non vorreste mai sapere cosa avete fatto.. Soprattutto tu, Scott.”
I ragazzi alzarono un forte “uuuuuh” verso Scott che divenne rosso in viso soffocando anche lui qualche risata, Justin accennò un sorriso contagioso che fece sorridere anche me.
“Racconta.” Scott alzò una mano in segno di vittoria dei ragazzi, arrendendosi.
“Sicuri?”
“Sicurissimi.”
“Okay.”
I ragazzi si misero comodi seduti sul tavolo della cucina pronti ad ascoltare ciò che avevo da raccontare e sapevo che si sarebbero fatte delle belle risate. Cominciai da Scott. Divenne tutto rosso quando gli raccontai ciò che mi aveva chiesto, Justin invece, serrò la mascella congelando Scott per un millesimo di secondo gli occhi come se la sua proposta gli avesse dato parecchio fastidio. Decisi di tenere per me il fatto di aver visto Justin baciare un’altra ragazza più bella di me, quel faceva male da raccontare e anche da pensare, passai avanti, dissi a Nash e Brooth tutto ciò che avevo visto fare da parte loro, anche se non erano tante. Scott mi chiese scusa per tutto il giorno del fatto mi avesse chiesto di andare a letto con lui, Justin invece si irritava ogni volta che riportava a galla quel fatto, se solo avesse saputo di quello che aveva fatto probabilmente si sarebbe preso a schiaffi in faccia da solo, oppure, si sarebbe congratulato con se stesso per l’ottima conquista che aveva fatto anche se sapevo che era più probabile che si sarebbe lodato che picchiato.
Dopo esser uscita dalla casa dei ragazzi, Justin mi accompagnò fino sotto casa, come al solito me lo ritrovai nella mia stanza ancor prima di poter esserci arrivata, ormai entrare dalla finestra per lui era un hobby.
"Passare dalla porta non è una cattiva idea, sai?" Chiusi la porta di camera mia alle spalle buttandomi a peso morto sul letto, avevo addosso ancora il vestito della festa che non ebbi la forza di togliere tanto ero stanca.
"Meglio non rischiare."
"Rischiare che cosa? Non c'è nessuno in casa."
"Non si sa mai.." Si strofinò gli occhi con le nocche delle mani sbadigliando come un bambino dall'aria assonnata.
"Hai sonno?" Fece cenno di no con la testa ma sapevo che mentiva, lo feci adagiare sul bordo del letto guardandolo. Era bellissimo in tutti i casi, i capelli scompigliati dalla mattina ancora erano rimasti e le occhiaie sotto gli occhi erano una delle sue imperfezioni che amavo di più, ma che lui poi, era perfetto.
"Sai.. Alla festa.." Non sapevo esattamente se era giusto dirglielo o meno, ma volevo che sapesse quello che aveva fatto davanti ai miei occhi, come le sue labbra erano finite sopra quelle di una brasiliana dal culone quanto un'anguria.
"Hai.. Baciato una ragazza." Lo dissi con cuore spezzato e le lacrime agli occhi. Sapevo benissimo che a quel punto, la sua risposta sarebbe stata del tipo: "Ehy, era carina?" oppure "Ho rimorchiato benissimo questa volta!" o robe di questo genere.
Invece la sua risposta mi lasciò spiazzata.
"Ah. Mi dispiace."
"Ti dispiace?" Com'era possibile che Justin McCann per la prima volta mi stava dicendo che gli dispiaceva di aver baciato un'altra? Credetti di sognare per un attimo finché qualcosa mi fece capire che era tutto vero ciò che stava succedendo.
Due labbra calde e morbide avvolsero delicatamente le mie muovendole in modo dolce, la sua mano prese il mio viso che spinse contro il suo con più energia, le mie labbra erano ferme dato il momento imbarazzante ma poco dopo d'istinto iniziarono a muoversi con le sue, chiusi gli occhi presa dalla passione del momento e mi lasciai andare, posai una mano sul suo braccio di ferro mentre le nostre labbra continuavano a toccarsi sempre di più trasformandosi in più di un bacio semplice, era qualcosa di fottutamente bello e lui lo stava facendo con me, mi stava baciando come desideravo.
Fu lui a interrompere il bacio per riprendere fiato, aprii gli occhi e vidi le sue iridi marroni vicino al mio viso, mi morsi il labbro inferiore arrossendo in viso per ciò che era appena successo, odiavo i momenti imbarazzanti come quello ma lui sembrava a suo agio, non disse nulla, allontanò il viso di qualche centimetro e si bagnò le labbra con la lingua.
"Ora l'ho fatto da sobrio." Fu l'unica cosa che mi disse subito dopo, io mi sentii un brivido freddo percorrermi la schiena fino al cuore, che tremò.
"Si.." La mia voce era acuta e secca, non avevo più voce per dire nulla, era come se tutta l'energia di botto si fosse volatilizzata nel nulla lasciandomi a secco.
"Devo andare."
"No, ti prego." Lo afferrai per l'altro braccio tirandolo verso di me.
"Non posso."
Mi alzai dal letto tenendo stretto il suo braccio senza mollarlo, fece qualche passo indietro finendo con la schiena contro il vetro della mia finestra. Lo guardai dritto negli occhi, il sole entrava dalla finestra e riscaldava le piastrelle del pavimento fino a farle diventare delle piccole stufe.
"Fallo di nuovo."
Sapeva a cosa mi riferivo naturalmente, ma lui non mosse più un muscolo, fece segno di no con la testa togliendo lo sguardo dal mio viso, mi fece male.
"Ti prego.." Strinsi più forte il suo braccio che irrigidì, serrò la mascella e si bagnò le labbra ancora una volta.
"Ho sbagliato a farlo."
"Perché?"
"Tu mi piaci Nicole, ma non ci sarà mai niente fra di noi." Quelle parole mi spezzarono il cuore in mille pezzi, chiusi gli occhi e lasciai scivolare qualche lacrime dai miei occhi.
"Sono un criminale." Mi ricordò con voce fredda.
Affondai l viso fra la sua canottiera stringendo i pugni cercando di non singhiozzare con una bambina, ma era inevitabile. Perché doveva succedere tutto a me? Ogni volta era sempre così, quanto tutto sembrava andare bene doveva esserci per forza qualcosa che andava male, maledetti la festa di Taylor per avermelo fatto incontrare. Smisi di piangere, tirai su lo sguardo e con uno sguardo lo spinsi fuori dalla finestra della mia camera, lui non disse nulla, sapevo meglio di lui che doveva essere così, solo il mio cuore piangeva sangue e anche se era ancora li già mi mancava. Con un salto sparì nel nulla, chiusi la finestra e cominciai a piangere, a dirotto come una cascata, bagnai il cuscino così tanto che sembrava una spugna zuppa.
Mi addormentai consapevole di non essere io la ragazza giusta per lui, sapendo che qualunque cosa avessi fatto in quel momento non ne sarebbe valsa la pena, per lui non esistevo. Ero solo una piccola parte del suo divertimento, che cosa ci stavo affare ancora al suo fianco? Mi giurai di non guardarlo più in faccia, faceva troppo male. Avrei assorbito il mio dolore pian piano raccogliendo ogni singolo pezzetto del mio cuore in frantumi in cerca di qualcuno bravo nel aggiustare cose andate in rovina, come la mia vita, per esempio.
 
Andai a casa di Rosy per distrarmi, lei mi raccontava quello che succedeva nella sua vita –ovviamente, migliore della mia- e io, come vera amica mi congratulavo con lei e sorridevo al suo fianco, condividevo le sue gioie e chiacchieravamo del più e del meno insieme, più volte parlavamo di ragazzi e più volte mi fece tornare nella mente le parole di Justin, lui era un criminale e io una semplice ragazza messa in mezzo come ruota di scorta di tutti. Io e lui non ci eravamo più sentiti per settimane, Scott era preoccupato per noi, mi chiamava quasi una volta al giorno e io ogni volta non rispondevo, una volta perfino me lo trovai sotto casa, non aprii la porta. Era insistente, non riusciva a spiegarsi del perché non ero più li con loro e del perché non volevo più sentir parlare di Justin, forse non gli aveva raccontato nulla. Rosy invece, si era finalmente messa con David, il mio vecchio amico d’infanzia, restava interi pomeriggi a parlarmi di cosa facevano insieme e di come si sentiva amata. E io? E io non potevo fare altro che soffrire dentro, mi mancava così tanto ma non meritava nulla, non meritava nemmeno di esser pensato, ma chi poteva domare un cuore innamorato come il mio? Cazzo, ancora potevo sentire le sue deliziose labbra sopra le mie e più ci pensavo più la voragine dentro di me si faceva sempre più grande, avevo bisogno di risentirle ancora una volta, anche solo per un secondo. Non avevo mai provato un bacio come quello con Justin, era il ragazzo più stronzo che io avessi mai conosciuto ma cavolo, quelle labbra erano droga.
Passavo le giornate seduta sulla panchina di un parco, leggendo un romanzo d’amore preso in prestito da una libreria mentre l’aria d’estate mi scompigliava i capelli facendoli cadere sul viso, un’ombra davanti a me mi coprii il sole oscurando le pagine del mio libro, alzai gli occhi dal per controllare chi fosse ed era Scott, sobbalzai all’indietro con la schiena contro la spalliera della panchina, che diavolo ci faceva li?
“Finalmente ti ho trovata!” Il viso di Scott sembrava serio ma nello stesso tempo felice di vedermi.
“Ciao.” Feci la voce più fredda che potessi avere.
“Sono due settimane che non ti vedo più. Non rispondi al cellulare e neanche al citofono.”
Feci un respiro profondo.
“E’ successo qualcosa con Justin?”
“Si..”
Volevo essere sincera con Scott, perché era l’unico che forse riuscita a comprendere come mi sentivo, non avevo nessun’altro con cui parlare di lui. Scott lo conosceva, sapeva com’era fatto, poteva darmi consigli.
“Vuoi raccontare?”
“Si.”
“Ti ascolto.”
Presi un respiro profondo.
“L’altro giorno a casa mia.. Justin mi ha baciata.” Diventai rossa in viso, un ampio sorriso comparve sul viso di lui che ridacchiò per qualche instante esitando.
“Davvero? Sono felice per voi. Quindi.. tu e Justin..”
Fidanzati? Bella battuta.
“No Scott, è proprio questo il punto. Justin pensa che non ci sarà mai nulla fra di noi, dice di essere cattiva, di essere un criminale, che non è posto per me quello al suo fianco..” Presi a singhiozzare ripensando alla voce di Justin mentre mi diceva quelle cose, mentre pronunciava quelle maledettissime frasi.
Scott non disse nulla, posò una mano sul mento come per pensare e dopo poco, parlò.
“Non te la prendere, davvero. Io lo conosco, e so com’è fatto.” Annuii a Scott con gli occhi pieni di lacrime e con la voglia di sprofondare fra ne sue braccia ed essere rassicurata con delle frasi del tipo: “andrà tutto bene.”.
“Lo so, è per questo che lo sto dicendo a te.”
“Dagli tempo, non penso che lui pensi davvero le cose che ti ha detto, ha solo paura.”
Guardai Scott confusa quando disse la frase “ha solo paura”, Justin McCann che ha paura? Sul serio? Mr. Muscoli e bombe che ha paura? No, non ci credo.
“Proverò a parlargli io, non abbatterti, non riesce ad ammettere quello che prova. E sai cosa?”
“Cosa?”
“Ne sono così convinto perché non ho mai visto Justin uscire con la stessa ragazza più di due settimane, e tu sei l’unica ragazza che è rimasta in contatti con lui per il più lungo dei tempi. Non è uno di quei ragazzi semplici, lui è complicato, faccio fatica a capirlo anche io che lo conosco da quando è nato.”
Scott fece una paura, si stirò la schiena fino a farla schioccare per poi guardarmi in viso, una lacrima mi aveva segnato lungo la guancia fino al mento, l’aria cominciava a farsi fresca finalmente dopo tutto quel caldo.
“Anche se non si nota, quando ci sei tu lui è agitato, non sa cosa fare o cosa dire.”
Scott mi scrollò con le parole, agitato? Quando c’ero io? No, infatti non si nota ma.. Se fosse davvero così, allora questo cambierebbe radicalmente le cose.
“Vi ho visti alla festa sai..”
Scott si girò verso di me con un sorriso.
“Eravate seduti fianco a fianco sul terrazzo, e parlavate..”
“Si..”
Scott rimase con me tutto il pomeriggio, parlammo di Justin il più del tempo, gli parlai liberamente di quanto mi piacesse. Di quanto mi metteva il imbarazzo, la sua voce, le sue mani, le sue labbra, i suoi occhi.. Di quanto mi piaceva quando si arrabbiava, di quanto straordinariamente era perfetto per me, e di quanto avrei dato per averlo. Esattamente, perché avrei dato tutto da me stessa per averlo mio almeno per qualche secondo, di quanto avrei dato per sentire ancora le sue labbra sulle mie.
Era come parlare con un fratello, con lui potevo dire qualunque cosa che lui mi avrebbe capita ed ascoltata come una sorella minore, a volte piangevo, a volte ridevo, ma era sempre bellissimo parlare con Scott, perché era semplicemente se stesso con tutti e non era come Justin, non lo era.
Verso sera tardi mi accompagnò a casa, prima di andare via promise che avrebbe parlato con Justin, gli sorrisi timidamente e lo ringraziai, fece retro marca con la macchina e sparì fra le altre auto e le luci dei lampioni.
“Nicole, è pronto da mangiare.” Mia madre era a casa, e c’era anche mio padre, seduti alla tavola. Mio padre era col computer, su un sito che già mi era famigliare, ma certo! Era il sito dello scompartimento di tutti i carcerati di Londra, bastava digitare il nome del carcerato che si cercava per trovare tutte le informazioni e lui aveva digitato il nome “Justin McCann”.
“Non ho fame..” Guardai mio padre che si tolse gli occhiali da vista per guardarmi meglio, aggrottò le sopracciglia e allungò il braccio per prendere la bottiglia di Whisky dal tavolo e berne un lungo sorso.
“Ascolta tua madre, vieni a mangiare.”
“Davvero, non ho fame, sto bene così.”
Dovette insistere parecchie volte prima di obbligarmi a scendere per la cena, mia madre era pallida, i capelli erano sempre di meno e non riuscivo a capire il perché, forse fumava e beveva troppo, mio madre invece era concentrato sullo schermo del pc a trafficare chissà cosa su quel sito sbottando a voce alta e imprecando quando non riusciva a fare quello che doveva. Lavai i piatti al posto di mia madre, che diceva le facevano male le mani e le gambe, gonfie. Lasciai mia madre con la sigaretta fra le labbra e mio padre con gli occhi sullo schermo prima di sparire in camera mia chiudendomi a chiave, ero stanca, di tutto.
Dei miei, di Justin, del fatto che non potevo avere quello che volevo, di Rosy perfino che non c’entrava nulla, ma in quel momento anche la persona più buona del mondo ai miei occhi sembrava la peggiore, avevo voglia di profondare nello stato di incoscienza senza farne più ritorno, come la morte. Non senti nulla, non provi più dolore, ne felicità, ne tristezza, il vuoto. Era quello che avevo dentro ogni giorno, Justin sembrava non capirmi, Scott invece capiva solo una piccola parte di ciò che avevo dentro che sinceramente, non riuscivo a capire nemmeno io, come potevo pretendere che gli altri mi capissero?
Mi addormentai presto, più presto del solito e dimenticai di spegnere il telefono, mi maledetti quando la vibrazione del telefono sopra il comodino rimbombando mi svegliò nel bel mezzo della notte.
Sul display illuminato c’era il suo nome, sorrisi quando lo vidi ma il mio sorriso sparì quando ricordai ciò che mia aveva detto, dove l’aveva trovato il coraggio di chiamarmi dopo ciò che aveva fatto? E nel bel mezzo della notte! Avevo voglia di rispondere e dirgli quanto l’amavo ma lasciai che il mio telefono vibrasse sul comodino girandomi dall’altra parte del letto, dopo la seconda chiamata smise di vibrare per qualche minuto lasciandomi pensare che finalmente aveva capito che non volevo sentirlo, o che almeno, stessi dormendo –che era ciò che cercavo di fare-.
Riprese a vibrare più rumorosamente alla quarta chiamata, non resistetti più, presi il telefono fra le mani e risposi, infuriata.
“Justin, cosa vuoi?”
“Ti prego, scendi.” Aveva il suo solito tono di voce, freddo e da duro, non era affatto cambiato dall’ultima volta, e io che speravo in qualche cambiamento, anche piccolo, ma niente.
“Cosa?”
“Sono sotto casa tua. Scendi.”
“Che diavolo ci fai sotto casa mia a quest’ora della notte?” Sussurrai a voce alta guardando fuori dalla finestra.
“Scendi e basta.”
Agganciai il telefono, presi una canottiera e un paio jeans e scesi al piano di sotto, erano quasi le quattro del mattino e i miei ancora dormivano, fra meno di due ore mio padre si sarebbe alzato per andare al distretto di polizia e questo mi metteva timore, speravo solo che avrebbe fatto il fretta, stavo morendo di sonno. I miei capelli erano un disastro ma non me ne fregava nulla, sotto casa mia c’era Justin che mi stava aspettando, quelli passavano in un secondo problema.
Quando aprii la porta del portone di casa mia Justin era poco più il là appoggiato ad una Mercedes grigia chiaro lucida e pulita, in mano aveva una rosa rossa che nascondeva fra la giaccia di pelle nera che aveva addosso, sorrisi timidamente correndo verso di lui. Mi ero promessa di dover restare arrabbiata con lui ma era fottutamente impossibile con lui, lo abbracciai forte e lui fece lo stesso con me cingendomi i fianchi con le mani, mi diede la rosa in mano e mi accennò un sorriso.
“Perché sei venuto..” Guardai la rosa e l’annusai, aveva il suo odore, ancora meglio di quello originario della rosa.
“So che hai parlato con Scott.”
“Si, ci hai parlato anche tu?”
Non rispose, mi prese per mano e aprii la portiera del passeggiero per farmi entrare.
“Dove vuoi portarmi a quest’ora?” Justin sorrise.
“E quest’auto di chi è?”
“L’ho comprata, ovvio.”
“Dubito che tu l’abbia compara Justin..”
Fece retromarcia e roteando il volante fece un inversione a U e tornò in dietro sfrecciando tanto da sentire le gomme sull’asfalto fischiare, svoltò sulla prima a destra dando gas.
“Un furto dei ragazzi, ci sanno fare eh.” Rise guardandomi dallo specchietto retrovisore.
Rimasi a bocca asciutta mentre le mani di Justin agili ruotavano il volante a destra e a sinistra finché non parcheggiò al primo posto libro dentro le strisce, scese dal sedile del guidatore e aprii quella del passeggiero dove sedevo io, credevo volesse farmi scendere ma invece fu lui a salire, chiuse la portiera dietro la sua schiena e si asciugo le labbra bagnate con il dorso della mano.
“Avevo bisogno di un posto tranquillo.”
La cosa non mi quadrava siccome era notte fonda ed ogni angolo della città era deserto e tranquillo, giocò per qualche instante con i lacci del cappuccio con le dita come per prendendo tempo.
“Dobbiamo parlare.” Io annuii.
“E per le cose che ti ho detto l’ultima volta..”
“Non devi dire nulla Justin, è acqua passata.” Gli sorrisi zittendolo.
“Invece si, devo dirti la verità.”
Per una volta, la voce di Justin era sincera e non scherzava affatto, lo capii da come mi guardava intensamente, avvicinò il suo corpo al mio, il suo ginocchio toccò il mio facendomi fremere, una sua mano sulla mia coscia destra si trascinava su, fino al bacino dove lo afferrò saldamente facendomi avvicinare come voleva lui, mi soffio in faccia prima di parlare di nuovo. Io rimasi in silenzio ad ascoltarlo.
“In questi giorni, mentre tu non c’eri mi sono sentito solo.”
Strinse la mia mano, forte.
“Ti voglio.” Chiusi gli occhi alle sue parole col desiderio che non finisse mai quel momento, memorizzai la sua voce mentre lo diceva così che avrei potuto risentirla quando ne avevo voglia, come una cassetta. Mandi indietro e riparte dall’inizio.
Le sue labbra posarono sul mio collo, poi sulla mascella, sulla guancia e infine finirono il loro tragitto sulle mie labbra, fu come la prima volta, anzi, forse meglio. Combaciavano con le mie come d’incanto, come una favola scritta col lieto fine, lui era il mio lieto fine.
Scivolammo sul sedile, distesi uno sopra l’altro a baciarci come quelle coppiette che vedevo nei film che fino ad all’ora avevo sempre odiato, ma solo ora riuscivo a capire quando bello fosse avere a fianco qualcuno che ti vuole così come sei. Il suo corpo era sul mio, era come fare l’amore coi vestiti, faceva caldo e l’odore di tabacco dalla sua bocca mi stordiva, continuavamo a baciarci con foga senza dare retta all’ora, quando ci staccammo dai miei occhi uscirono un paio di lacrime di felicità, finalmente per una volta ciò che desideravo era mio, ed era la cosa più bella. L’emozione era più grande di qualunque altra al mondo, lui era il mio piccolo tesoro, ora.
 
Il piccolo orologio incorporato della preziosa Mercedes segnava le nove e mezza e il sole batteva dal finestrino semi aperto un caldo africano, la mia fronte era bagnata e stavo sudando come non mai, di tracce di Justin neanche una, feci per chiudere gli occhi ancora qualche istante quando qualcuno bussò dal finestrino del mio posto.
“Scott?” Portai una mano davanti al viso per riparare i miei occhi dal sole mettendo a fuoco una sagoma scura e alta davanti a me. Fece il giro dell’auto e aprii la portiera davanti lanciandomi un occhiata, sorridendomi felice.
“Buon giorno scappata di casa!” Si sedette sul sedile e si girò verso di me, fra le mani aveva un panino del McDonalds e una Coca-Cola.
“Dov’è Justin?” Chiesi, guardando fuori dal finestrino.
“Arriva fra poco, tranquilla.”
“Comunque… Grazie Scott.”
“E di cosa?”
“Per aver parlato con Justin, so che l’hai fatto.”
Scott prese il contenitore della Coca-Cola e ne bevve un sorso lungo leccandosi poi le labbra con la lingua.
“E’ il minimo che potevo fare.” Mi sorrise. “E così adesso sei la sua ragazza…”
“Come lo sai?”
“E’ la prima cosa che mi ha detto stamattina.” Scott rise guardandomi dallo specchietto del auto, io arrossii all’idea del fatto che Justin non pesasse altro che al nostro fidanzamento.
La mia conversazione con Scott stava diventando abbastanza imbarazzante per me ma per fortuna poco dopo vidi Justin in lontananza che veniva verso di noi, quando fu abbastanza vicino da vedere il mio viso gli sorridi timidamente come se fosse uno sconosciuto appena incontrato.
Portava una canotta grigia con dei pantaloni della tutta neri abbastanza larghi, abbigliamento che la sera prima non avevo neanche notato dato il buio, aprii la portiera del guidatore e salì in macchina senza nemmeno guardarmi, forse era imbarazzante per lui aprire discorso su ciò che era successo ieri davanti a Scott quando lo era per me, rimasi in silenzio.
Mentre guidava notai sul suo collo una grossa macchia viola quasi livido, sorrisi fra me e me sapendo benissimo che era dovuta ad un mio succhiotto fatto mentre ci stavamo baciando, rimasi qualche secondo concentrata sul suo collo ricordando le immagini del suo corpo caldo contro il mio, sorrisi di nuovo.
“Mi accompagnate a casa?”
“No, vieni con noi. E’ un problema?” Scott aprii il finestrino dell’auto e ci sputò per poi richiuderlo.
“No, è ok. Sta cominciando a fare fresco, non avete nulla? Ho freddo.” Mi lamentai.
“C’è una felpa di Justin sotto il sedile, vedi se ti va bene.”
Guardai sotto il sedile e trovai una felpa nera con la scritta ‘NY’ su di essa, era larga il triplo di me ma siccome era l’unica cosa che avevo a disposizione dovevo farmela andar bene comunque.
“No, è perfetta. Grazie Justin.” La indossai, le maniche erano lunghe ed era larga, mi arrivava quasi fino alle ginocchia ma mi piaceva lo stesso perché aveva il suo odore, l’odore di Justin. Quel odore che avrei annusato ogni secondo della giornata.
Poco dopo dietro di noi spuntò un furgoncino nero opaco che sembrava seguirci e, dopo averlo fatto notare a Scott, cominciò ad agitarsi in modo incontrollabile.
“Oh cazzo, Justin seminali.”
Justin guardò dallo specchio retrovisore il furgoncino che avevo avvistato io poco prima premendo il piede più forte sull’acceleratore, sobbalzai dall’altro lato del finestrino alla prima curva che fece a tutto gas, guardai di nuovo fuori ed erano ancora dietro di noi, avevano accelerato anche loro e Justin sembrava preoccuparsi.
“Chi sono?” Chiesi, ma nessuno dei due mi diede una risposta, il viso di Scott cominciò a sudare freddo mettendo fretta a Justin continuando a ripetergli di accelerale più che poteva, ma loro erano dietro.
Al prima stradina isolata fuori dalla città Justin accostò spegnendo il motore, il furgoncino si fermò esattamente a qualche chilometro più avanti a noi.
“Nicole, qualunque cosa succeda, tu resta qua.” Guardai Scott che lanciò un occhiata a Justin che rivolse a me, ci guardammo per qualche instante poi aprii frugò sotto il sedile del guidatore e prese una pistola, la caricò e se la infilò nei pantaloni, Scott fece cenno di scendere e aprii lo sportello. Justin scese dalla macchina facendomi cenno di chiudermi dentro l’auto, così feci, bloccai i finestrini e le portiere, ero chiusa dentro.
Dal posto di guida del furgone scese un uomo più grosso degli altri, aveva la barba scura e gli occhi di ghiaccio, riuscii a vedere la furia del uomo anche da lontano. Aprii la porta scorrevole del furgone e scesero altri quattro uomini grossi e muscolosi che venivano contro di noi, quasi tutti in tasca portavano una pistola, cominciai a sudare freddo anche io.
Scott fece il primo passo verso di loro mentre Justin continuava a tenere le distanze, lanciò un occhiata a me, scioccò la mascella e avanzò anche lui indeciso verso gli uomini che si fermarono a pochi metri da loro, uno di loro disse qualcosa che non capii, Justin si irrigidì e Scott parlò contradicendo, l’uomo più grosso si avvicino di più a Scott che fece qualche passo indietro, cominciarono a discutere rumorosamente, ebbi la tentazione di abbassare il finestrino per sentire ciò che dicevano la per la mia sicurezza e per la fiducia di Justin non lo feci, mi limitai a seguire il linguaggio labiale, sembravano molto arrabbiati, tanto che uno sferrò un pugno contro il furgone, Justin sbottò alzando la voce, l’uomo più grosso si avvicino a Scott sferrandogli un pugno nello stomaco che lo fece cadere in ginocchio.
Justin a quel punto scattò come un filmine contro l’uomo che spinse indietro, i quattro uomini li accerchiarono mettendoli in condizione di arrendersi, Justin tirò fuori l’arma che puntò verso l’uomo grosso che a sua volta ne tirò fuori un’altra puntandola verso le tempie di Scott mentre si rialzava.
Uno dei quattro uomini mi sentii strillare mentre guardavo Scott al tappeto, cominciò a venirmi incontro e Justin gli puntò la pistola contro facendo passi avanti ma erano in trappola, strillò qualcosa al uomo che avanzava verso di me ma era evidente che se avrebbe sparato ci avrebbe rimesso la testa di Scott, digrignò i denti confuso, l’uomo si fermò a pochi metri dal mio finestrino, persi di vista la situazione e Justin si ritrovò a dover difendere se stesso e me dal uomo più grosso che cominciò a gridargli contro radunando i quattro uomini in torno a Scott e cominciarono a picchiarlo lanciandogli contro pugni e calci, cominciai a gridare più forte e Justin sparò un colpo al cielo come per dichiarare guerra, l’uomo ordinò ai suoi cani da battaglia di fermare l’attacco, abbassò la pistola e cominciarono a discutere di nuovo, Scott era sul pavimento che giaceva tossendo a più non posso. Poco dopo i quattro uomini fecero retromarcia, e con loro anche l’uomo grosso, prese Scott sotto braccio e lo portò fino all’auto, aprii la portiera dalla mia parte e ce lo infilò dentro che zoppicava e tossiva ancora.
“Oh mio dio, Scott! Scott stai bene?” Justin mi ringhiò contro.
Feci mettere la testa di Scott sulle mie gambe mentre Justin ripartì a tutto gas sulla strada.
“Hai visto che hai fatto?!” Justin mi urlò contro.
“Io?! Non ho fatto niente!”
“Non potevi startene zitta, guarda cosa hai fatto razza di ragazza!”
“Non parlarmi in quel modo, vi avrebbero ammazzati di botte lo stesso!”
“No se tu fossi stata in silenzio, cazzo!”
Feci per ribattere ma Scott alzò una mano in segnò di silenzio, tossì rumorosamente e mi guardò con aria distrutta.
“Justin.. Non è colpa sua, smettila!” Scott rimproverò Justin che fece la prima curva bruscamente.
“Ah no? Allora di chi è la colpa?” Ribatté infuriato.
“Di nessuno, smettila di fare il bambino per una volta!” Gli gridò contro tanto da riuscire a farlo zittire.
Rimanemmo zitti tutto il tempo fino all’arrivo a casa.
Aiutammo Scott a salire le scale con più facilità e una volta in casa lo adagiammo sul divano per farlo riposare, mi sedetti affianco a lui con gli occhi tristi. Justin aveva ragione, era colpa mia se ora lui era ridotto così.
“Scusami, fa tanto male?”
“No, sto bene.”
“Chi erano quei uomini? Cosa volevano da voi?” Guardò Justin che scuoteva la testa impedendogli di dire di più.
“Nessuno.” Rispose Justin, freddo come il ghiaccio. “Hai già fatto abbastanza.”
“Da mesi ci danno la caccia, ci vogliono tutti morti.” Scott sospirò guardando dalla mia stessa direzione, Justin ringhiò alla spiegazione dell’amico scuotendo il capo.
“Non potete semplicemente parlargli?”
Justin scoppiò in una risata rumorosa sfoggiando il suo meraviglioso sorriso bianco.
“Sei sempre così ingenua, Nicole?” Nella sua voce c’era un filo di sarcasmo che mi fece sorridere, effettivamente parlare con qualcuno che non desiderava altro che vederti morto non era proprio il massimo.
Scott mi sorrise alzandosi dal divano tenendosi lo stomaco, poco dopo scomparve dietro la porta della sua stanza lasciandomi in compagnia di Justin che con nonchalance fumava la sua sigaretta senza far caso in nessun modo a me.
“Justin, portala da qualche parte, non vorrai di certo stare qua a badare a me.”
Scott comparve di nuovo senza maglia, sul suo stomaco c’era una grossa macchia color violastro scuro, altre ferite cicatrizzate seguivano dopo di essa, non aveva i muscoli scolpiti come li aveva Justin ma era comunque un bel uomo.
“E dove dovrei portarla scusa?” Justin alzò le mani in aria ruotando gli occhi al cielo.
Scott lo convinse a portarmi da qualche parte ancora non bel identificato, salimmo in aiuto e partì a tutto gas, tirò su il cappuccio della felpa e indossò gli occhiali scuri per non farsi riconoscere mentre sfrecciava sull’asfalto con la sua Ranger Rover nera lucente, facemmo kilometri di strada prima che svoltasse al primo vicolo isolato come quello in cui mi ero infilata la prima volta che lo avevo incontrato, si fermò a pochi passi da dei resti di un edificio andato in fiamme, lo capii dalle pareti nere cenere e dai vetri in mille pezzi e le crepe attorno alle porte.
Justin chiuse la portiera e si avvicino verso di me, si umidì le labbra per parlare ma non disse nulla, io feci altrettanto osservando il prezioso edificio alto e nero. Justin mi condusse dietro di lui all’interno, le lunghe scale a chiocciola che portavano ai piani superiori erano crepate e sola uno strato di macerie e polvere, guardare giù da quelle scale mi metteva le vertigini e ad ogni piede che mettevo sembravano creparsi sempre di più, mi strinsi timidamente al braccio di Justin che guardava dritto davanti a se salendo tutte le scale fino all’ultima. Mentre salimmo sbirciai con la coda dell’occhio varie stanze senza porte, avevano qualche lavagna a gessetto ormai penzolante dal muro, tutte le stanze erano quasi vuote, in alcune c’erano solo macerie e polvere in altre, invece, c’erano delle vecchie cattedre da scuola in legno e vari fogli scritti sul pavimento senza mattonelle. Rabbrividii guardando il soffitto pieno di ragnatele calanti e ragni fermi sulle proprie creazioni fatte di fili di seta quasi invisibili. Si fermò all’ultimo piano dell’edificio davanti all’ultima stanza, unica con la porta, era grigia e ricoperta di polvere fitta con un lucchetto d’acciaio e un foglio di carta attaccato con lo scotch con un avvertenza di “edificio instabile” che Justin strappò dalla porta bruscamente irritato.
“Cazzo, no.”
Imprecò a voce alta gettando il foglio sul pavimento e tirò fuori dai pantaloni la sua immarcabile pistola caricandola facendomi segno di mettermi dietro di lui, fece partire due colpi fitti che scassinarono il lucchetto facendo rimbombare i colpi per tutto l’edificio che mi fecero tappare le orecchie con le mani dal frastuono fastidioso.
“Potevi avvisare però.”
Aprì con un calcio la porta della stanza entrandoci lentamente con la pistola in mano infilandola poi nella cinta del pantaloni da dove era uscita, la stanza era come tutte le altre più o meno, c’erano due cattedre e parecchie sedie e degli scaffali pieni di polvere su cui erano posati vari libri.
“Questa era una scuola?”
“Ma come siamo intelligenti, Nicole.”
“Perché mi hai portato in una scuola abbandonata?”
“Era dove stava sempre mio padre.”
“Faceva l’insegnante?”
Lo sentii ridere.
“No.”
“E allora perché stava in questa scuola?”
“Non stava in questa scuola.”
“Non capisco.”
Mi sentii confusa per le sue affermazioni poi smentite, mi avvicinai a lui per poterlo guardare bene in viso leggendo un’espressione triste.
“Quei uomini che hanno picchiato Scott erano nemici di mio padre.”
“Cosa voglio da te, Justin?” Posai una mano sul suo braccio tatuato guardandolo negli occhi, però lui non contraccambiava tenendo lo sguardo fisso sulle tavole del pavimento come per nascondere i propri sentimenti. L’orologio che aveva sul polso luccicò sotto la luce proveniente dalla finestra rotta dell’edificio illuminando anche il suo viso oscurato dal cappuccio.
“Un tempo lavoravano insieme, ma mio padre scoprii delle cose che non doveva sapere e cominciò la battaglia fra loro. Lui faceva parte di un ghetto, non aveva mai lavorato seriamente, faceva quello che sto facendo io ora. Ma poi, un giorno venne preso di sorpresa e lo uccisero, quel giorno mia madre era li con lui e vide tutto, cercò di chiedere aiuto..”
Sospirò.
“Uccisero anche lei e scapparono bruciando i resti di questa scuola. Avevo solo 9 anni quando succedette tutto questo e Scott era amico di mio padre e per quanto mi ha raccontato, so che lui stava al fianco di mia madre mentre mio padre era in giro a fare chissà cosa. Mi disse di non fidarmi di nessuno ed è quello che sto continuando a fare, ma non mi sta portando da nessuna parte.”
“Di me però ti sei fidato.”
“Solo perché tu non sei come gli altri.”
“E come sono?”
“Sei gentile, dolce, a volte un po’ scorbutica ma sei la creatura più accettabile di questo pianeta, mi fai dimenticare il male.”
Mi sorrise mostrando il sorriso bianco, mi morsi il labbro inferiore dalla voglia di baciarlo ricambiando il sorriso. Non credevo davvero che avesse potuto dirmi cose come quelle che mi aveva appena detto, non ero io la creatura più bella, era lui.
“I tuoi genitori ti volevano bene, e anche Scott te ne vuole, e noi ci saremo sempre per te, non devi temere nessuno Justin. Credimi.”
Strinsi la sua mano con la mia infilando le dita fra gli spazi delle sue, un secondo e tenero sorriso comparve sul suo volto lasciandomi senza fiato, quello era senz’altro il sorriso più bello che avessi mai visto in vita mia.
“Tu non mi vuoi bene?”
“Io ti amo, Justin.”
Per la prima volta riuscii a far restare lui senza parole, potevo vedere i suoi evidenti occhi lucidi sui miei che poco dopo chiudemmo entrambi sprofondando in un lungo bacio lento e appassionato, quasi come uno di quelli che si vedono in tv, solo che noi non fingevamo.
Mi portò sul terrazzo dell’edificio, anche li tutto era andato in fumo, il fuoco aveva lasciato solo le ossa di quel bel ricordo ma il panorama visto da quell’altezza faceva restare senza fiato, potevo vedere casa mia piccola come una formica e le case intorno sembravano così lontane quando invece erano più vicine di quanto pensassi, era qualcosa di spettacolare.
Quando uscimmo dall’edificio era quasi sera e cominciavo ad essere stanca ed affamata, guardai Justin che salii in macchina mettendola in moto per partire, infilò una mano in tasca e tirò fuori le sue Marlboro rosse da cui estrasse una sigaretta che posò fra le labbra accendendola buttando fumo dal naso.
“Vieni da me.”
Sapevo che non era una domanda ma anche se avessi voluto stare tutta la notte con lui non avrei potuto siccome era troppo tempo che passavo fuori casa e i miei genitori avrebbe potuto preoccuparsi –dubitavo di questa opzione- ma oltre a questo, avevo voglia di dormire nel mio letto senza troppi problemi, Justin era fantastico ma stare con lui e con i problemi che doveva affrontare era stancante per una ragazza come me che non sapeva nemmeno cos’era una pistola.
“Devo tornare a casa.”
“Allora vengo io da te.”
Alzai gli occhi al cielo per la sua poca capacità di capire quando una voleva stare da sola ma accettai comunque l’auto invito di Justin, che comunque dormir con lui era sempre stata una delle cose più belle che avrei messo al primo posto.
Parcheggiò nel retro di casa mia facendomi scendere, fece una breve chiamata a Scott avvisandolo che non sarebbe tornato a casa questa sera ed entrai in casa come se nulla fosse, salutai i miei genitori che erano al tavolo pronti per mangiare, accennai un segno di scuse per il ritardo a cena e salii in camera mia, dove Justin era entrato dalla finestra come al suo solito.
“Resta qua, torno subito.”
Corsi di nuovo al piano di sotto facendo un salto evitando gli ultimi tre gradini delle scale entrando in cucina con un sorriso.
“Ciao papà, ciao mamma.”
“Dove sei stata?”
Papà cominciò con le solite domande da poliziotto.
“Fuori.”
“E con chi?”
“Papà, non ho più 12 anni.”
“Quando avevi 12 anni non uscivi per così tanto tempo.”
“Ora sono grande.”
Aprii il frigo e trovai del pane e qualche fetta del salame, perfetto.
“Vado a mangiare in camera mia.”
Annunciai prima di correre su per le scale ignorando i richiami di mio padre sul fatto che non dovevo mangiare in camera e che avrei sporcato qualcosa, aprii la porta della camera e sorpresi Justin col mio telefono in mano che leggeva segretamente i miei messaggi.
“Justin!”
“Hai parlato di me a questa Rosy?” Indicò il display del telefono illuminato su un vecchio messaggio inviato a Rosy in quale parlavamo dell’annuncio che avevo trovato la prima volta sul quale c’era la sua faccia.
“No, e fatti gli affari tuoi.”
Con gesto sfilai il telefono dalle sue mani spegnendolo e lanciandolo sul letto poggiando il cibo sulla scrivania della camera.
“Nessuno sa che ti conosco. Comunque ti ho portato da mangiare.”
“Quindi la nostra è una relazione segreta? Mi piace.” Poco dopo era dietro di me e mi accarezzava i fianchi in modo del tutto provocante mentre con le labbra mi stuzzicava il collo in modo perverso, rabbrividii respingendo i suoi gesti.
“Non posso dire mica a tutti che sono fidanzata col criminale più ricercato di Londra.”
“Perché no? Magari finiamo in prima pagina.”
“No Justin, l’unico posto dove finiamo, tu in galera e io da uno psichiatra.”
Justin rise alla mia affermazione afferra una fetta di salame infilandosela tutta in bocca masticando on gusto, alzai gli occhi al cielo, era come i bambini.
Restò al mio fianco tutta la notte restando all’ascolto di qualche possibile arrivo di padre o madre in camera mia alla sprovvista ma per fortuna non accade nulla di tutto ciò e arrivammo alla mattina senza farci scoprire. Dormimmo quasi abbracciati, io sotto le coperte e lui sopra, sdraiato affianco a me stringendomi come una bambina che aveva bisogno d’amore, tanto amore. Avrei mentito se non avessi detto che stare con lui mi rendeva felice e speravo solo che nella sua testa lui stesse pensando le mie stesse parole.
 

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