Altrove

di Vally98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Questo schifo sono Io ***
Capitolo 2: *** 00:00 ***
Capitolo 3: *** Scatenati ***
Capitolo 4: *** Baci ingannati ***
Capitolo 5: *** Federico ***
Capitolo 6: *** Jenny ***
Capitolo 7: *** Festa di compleanno ***



Capitolo 1
*** Questo schifo sono Io ***


Ciao.
No no no. Perché iniziare con un ciao?
Il "ciao" si scrive in chat, nei messaggi, su wathsapp, su facebook, non per iniziare a parlare di sé .
Ricominciamo. Come..? Mi presento? Va bene.
Perfetto.
Sono una ragazza. Sono nata nel 1998 a giugno, il 17.
Ho quindici anni. Già.. Un'età  complicata. Molto. Troppo.
Sono strana. Mi sento strana, diversa dalle alte ragazze.
Io leggo, amo leggere. Scrivo, tanto, e mi sorprende sempre vedere come riesco a mettermi a nudo con qualche parola digitata  sul computer o scritta a mano e con foga su un pezzo di carta. Mi piace la fotografia, la musica, gli sport, l'aria aperta, le tenerezze, le coperte calde e pulciose, i cuscini, le felpe e i maglioni giganteschi.
Mi piace guardare le stelle sdraiata a prua della barca a vela, in estate, o stesa sul terrazzo sul tetto della mia casa.
Mi piace prendere il tè al pomeriggio, con tanti biscotti, stringere  la tazza  calda tra le man, tutta rannicchiata su me stessa.
Mi piace parlare con gli amici, faccia a faccia, non dietro lo schermo di un telefono.
Mi piacciono gli abbracci e i baci teneri, dapprima a fior di labbra, quasi timidi, e poi passionali, quindo ci si strage forte.
Odio la distanza, le mani fredde, i piedi freddi, le perrsone insistenti, i filnm horror, la paura, correre, i due baci che si danno a chi non si vede da tempo o che non si vedrà per un po'. Odio illudermi, detesto la mia orribile e ostinata ricerca del."perfetto", chi mi tocca in pullman, quando qualcuno non mi considera.
Troppe cose, troppe cose. Ma questa sono io. Complessa, difficile, contorta, triste, irritabile.
Sono a terra, ultimamente. Mi sembra che nulla abbia senso, che tutti quelli che ho intorno siano un branco di stupidi superficiali. Ultimamente sono sempre scazzata, litigo con tutti, sbotto , sclero , trattengo le lacrime a fatica e poi le lascio scorrere inesorabilmente quando rimango da sola.
Non voglio gente intorno, non voglio parlare di me stessa, non ho la forza di sopportare o consolare  i miei amici o chi ne ha bisogno. Ci provo, ma dubito di essere davvero di aiuto.
Questo schifo sono io.

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Capitolo 2
*** 00:00 ***


Era capodanno. Tutti aspettavano quel giorno con impazienza. Io con un pizzico di ansia e molta curiosità mista ad inquietudine.
L'arrivo del 2014 aveva scaturito in me flebili speranze. Speravo che le cose sarebbero andate meglio, speravo di riuscire a lasciarmi alle spalle tutto il 2013 e parte del 2012, utilizzando però quello che aveva imparato. Non avrei ricommesso gli stessi errori.
Dovevo continuare a crescere, soprattutto dentro, cercare di capire me stessa senza farmi del male.
Speravo davvero che lei cose sarebbero potute andare meglio.
Quella sera ero nella casa in montagna a Bormio, in provincia di Sondrio. Ero salita la sera di Natale, per sciare.
Ero con la mia famiglia e quella di alcuni amici.
Tutti si divertivano, parlavano, ridevano, facevano un gran chiasso. Io no. Non ci riuscivo.
Ero in fondo al tavolo, accanto a mia sorella Clelia, la sua amica Benedetta, Francesca e Marco.
Anche loro si divertivano, ma io no. Non mi sentivo parte del loro gruppo, non mi sentivo parte dei loro discorsi nè delle loro risate. Mi sentivo parte solo dei miei pensieri, delle mie sensazioni contrastanti, della mia mente, del mondo che avevo dentro, ma che escludeva tutti gli altri.
Ero sola, anche se avevo intorno almeno una ventina di persone.
La serata proseguì così, tra gli schiamazzi e il vociare di tutti, tra vassoi di cibo passati di mano in mano lungo la tavola perché tutti se ne potessero servire.
Quando l'orologio segnò le 11.55 venne acceso il televisore, come tutti gli anni, per basarci sul l'orario che davano in diretta.
C'era il solito programma, che onestamente detestavo, in cui c'era gente che cantava e ballava, fingendo di essere felice di passare l'ultimo dell'anno a ridicolizzarsi su un palco.
Ed ecco che partiva il conto alla rovescia, dai 50 secondi ai 10, 9, 8, 7, 6, 5, 4, 3, 2, 1..
E tutti ad esultare euforici per l'arrivo del nuovo anno. Già, tutti tranne me.
Detesto il capodanno, detesto il conto alla rovescia, detesto le affermazioni del tipo "addio 2013" come se fosse una liberazione che l'anno sia finito, come se viverlo fosse stato del tutto inutile, come se non fosse servito a nulla perché il vero scopo era semplicemente arrivare all'anno successivo.
Sta di fatto che io non esultai, ma nessuno se ne accorse, poiché tutti erano presi ad abbracciarti e baciarsi.
Anche Marco accanto a me era rimasto immobile, forse solo perché aveva da un lato Clelia, Benedetta e Francesca che si erano abbracciate e me, senza che dimostrassi alcun segno di voler esprimere la mia euforia, dall'altro.
Mi voltai a guardarlo, lui fece spallucce e mi disse: - Rimaniamo solo noi due.
Così allungò le braccia e mi abbracciò forte. Io ricambiai.
Il primo abbraccio dell'anno.
A quel punto iniziai a fare gli auguri a tutti gli altri, costringendomi a simulare la loro allegria.
Abbracciai Francesca, poi Clelia e Benedetta. Baciai mia madre, mio padre e tutti gli altri genitori.
Dopodiché mi rintanai in camera mia, sola e al buio, per scrivere a tutti i miei amici a Milano.
Sentivo i botti esplodere fuori dalla finestra e l'atmosfera gioiosa che aleggiava in casa. Come sempre io ero l'intrusa, quella che non centrava niente col contesto in cui si trovava.
Perfetto.
Ottimo.
L'anno iniziava alla grande.
Si avvicinava però l'ora di divertirsi. Infatti Io è gli altri ragazzi avevamo deciso di andare a ballare per festeggiare.
Decisi di cambiarmi. In quel momento indossavo la mia tanto amata gonna nera, comprata a Dublino quell'estate, che portavo a vita alta, sopra a una canotta bordeaux e a un paio di collant nere. Era un abbinamento stupendo ma avevo paura delle mani impavide che avrei potuto trovare in discoteca.
Infilai un paio di leggins neri, tenni la canotta ma indossai sopra una maglietta sformata di Brandy.
Non ero sexy. Non sembravo grande. Non indossavo tacchi, ma un paio di stivaletti simili ad anfibi.
Lasciai i capelli sciolti, spalmai un po' di fondotinta sotto gli occhi che contornai con un po' di matita nera. Infine mi passai il rossetto rosso sulle labbra carnose.
Terminai giusto in tempo quando Francesca si affacciò alla porta del bagno dove mi ero rintanata.
- Ver, sei pronta?
- Sì, ora sì - dissi sorridendo.
- Stiamo andando.
Lasciai la stanza, indossai la giacca, la sciarpa e i guanti e con gli altri ragazzi uscii di casa.
Il padre di Francesca, Piero, ci avrebbe accompagnate al Blue Note, così si chiamava il locale.
Salimmo tutti e cinque sulla sua grande auto.
Ci lasciò proprio davanti all'ingresso, poi tornò a festeggiare a casa con gli altri genitori.
Noi ci avviammo e ci accorgemmo che prima di entrare c'era un baracchino dove si potevano lasciare le giacche.
- Cosa facciamo? Le lasciamo qui o c'è le portiamo dentro? - chiese Benedetta.
- Boh, l'anno scorso dentro abbiamo rischiato di perderle.
- Ma si paga per depositarle qui.
- In tutte le discoteche si paga per appendere le giacche.
- Lasciamole dai. Per tre euro a testa va bene.
Alla fine ci toccò aspettare una decina di minuti abbondanti fuori con meno dieci gradi senza giacche, perché gli addetti non trovavano appendini liberi.
Tutti infreddoliti, dopo, siamo entrati nel locale.
 

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Capitolo 3
*** Scatenati ***


L'entrata costava 35 euro e comprendeva una consumazione gratis.
All'ingresso ci legarono al polso una striscia di carta bianca.
Noi ci avviammo subito al piano di sotto, dove c'era la discoteca.
Scendemmo le scale tutti eccitati. Francesca era elettrizzata e impaziente, il che mi sorprese, poiché, avendo 17 anni, mi aspettavo che fosse abituata a serate del genere.
Marco e Benedetta volevano andare o a fumare e in quanto a Clelia, se era felice di essere lo nascondeva bene.
Sulla scalinata la musica proveniente dal piano di sopra dove facevano karaoke si mescolava a quella disco e ritmata del piano di sotto.
Il locale era spazioso, non gigantesco, sulla sinistra c'era un bancone, sulla destra uno spazio adibito a divanetti e tavolini, su cui stavano già comodi numerosi ragazzi.
Non c'era tanta gente e tutti i presenti superavano abbondantemente i vent'anni. Questo non mi intimoriva.
Io è Francesca ci lanciammo in pista, mentre Marco e Benedetta, seguiti da mia sorella, andarono a fumare.
Marco aveva il vizio di fumare e non riusciva a smettere, anche se dubitavo si ponesse il problema; a Benedetta piaceva e anche lei stava prendendo l'abitudine. Mia sorella fumacchiava.
Io e Francesca ciondolavamo in pista, più prese ad esaminare i ragazzi presenti che a ballare.
Lei me ne indicò qualcuno, di cui uno capii a pelle che era gay. Io ne adocchiai un paio, di cui uno bruno, con la barba sottile, una t-shirt grigia, visibilmente pompato. Il suo amico indossava uno scaldacollo nero eun maglione ocra.
Ci guardavano, e lo fecero tutta la sera.
Quando tornarono gli altri iniziammo a ballare tutti insieme, e la stanza si era riempita di gente.
Prendemmo dei drink e bere mi fece scatenare ancora di più.
Mi sentivo a mio agio ad agitarmi sulla pista da ballo, muovendo il sedere, facendo tremare le spalle, saltando, levando in aria i capelli.
Presto mi accorsi di aver bevuto tanto, tra il mio drink e gli assaggi di quelli degli altri, poiché, forse anche a causa della musica a palla, del mio muovermi continuo, del fumo nella stanza e delle luci ad intermittenza, inziò a girarmi la testa.
Me ne fregai. Era capodanno, dovevo divertirmi e l'essere un po' brilla aiutava.
Presto un ragazzo si avvicinò al mio gruppo, prese mia sorella in disparte chiedendole di ballare.
Dieci minuti dopo erano là che si baciavamo appassionatamente e disgustosamente, sotto lo sguardo schifato mio e di Francesca e quello geloso di Marco.
Marco e Clelia erano stati insieme sei mesi, prima che lei lo lasciasse perché abitavano troppo distanti. Ma io sapevo bene che la fiamma in lui non si era mai spenta, e che ancora amava mia sorella.
Così Marco tornò a fumare, seguito a ruota da Benedetta. Io rimasi ancora sola con Francesca.
Mi accorsi che il tipo pompato e quello con lo scaldacollo ci avevano seguite tutt la sera e ci stavano fissando.
Non ballavano, guardavano e basta. Smisi di sperare che si sarebbero uniti a noi, giusto in tempo per notare che un tipo che mi ballava accanto ci stava provando con me.
Me ne accorsi perché mi indicava ai suoi amici e me lo disse anche Francesca.
Aveva la barba e indossava una camicia bianca.
Mi prese a ballare e io mi lasciai trasportare con disinvoltura.
Era capodanno. Era il mio momento per divertirmi.

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Capitolo 4
*** Baci ingannati ***


Non mi ero mai sentita così sicura di me stessa. Forse dovevo ringraziare l'alcool o l'euforia che mi invadeva.
Mentre lui mi faceva volteggiare, io mi agitavo, impavida e sensuale, senza vergogna e senza paura.
A un certo punto iniziammo a ridurre le distanze, e a ballare più vicini, intersecando le gambe, stringendoci forte l'uno contro l'altro e ondeggiando allo stesso modo.
Lui aveva addosso un profumo alla menta e inziò a gridarmi nell'orecchio, per sovrastare la musica.
- Di dove sei?
- Milano. E tu?
- Un paesino sperduto in provincia di Milano - rispose sorridendo sorpreso.
- Dimmi come si chiama.
- Nah, non lo conosci.
- Dimmelo, magari sì - gli urlai di rimando nell'orecchio.
- Besnate.
- Oddio si che lo conosco! Ci abita mio cugino.
Lui si fermò un attimo, guardandomi sorpreso e ridendo.
- Non è possibile.
- Giuro - risi anche io.
Riprendemmo a ballare stretti uno all'altra, poi lui mi prese il viso tra le mani e lo avvicinò al suo.
Rimanemmo un attimo cosiì, naso contro naso. Sentivo la sua barba ispida sulla mia pelle.
Poi mi baciò. Avevo voglia di baciare un ragazzo. E mi sa anche lui, perché l'energia che ci mise era sorprendente.
Mi strinse tra le braccia senza smettere di baciarmi e iniziò ad arretrare, per condurmi con lui fino al bancone.
Quando la sua schiena si poggiò al banco mi strinse ancora più forte e continuò a baciarmi.
Non sentivo le farfalle nella pancia, come mi era successo l'ultima volta che avevo baciato un ragazzo. Però volevo essere baciata.
Sentii le sue mani percorrere il mio corpo fino alle natiche, che strinse forte tra le sue mani.
Io cercavo una presenza maschile, baci, tatto, lui cercava sesso.
- Se ti dicessi che ho la casa qui vicino? - mi disse nell'orecchio, tanto vicino e tanto forte che sentii il timpano vibrare fastidiosamente.
Io lo guardai scuotendo la testa e ridacchiando, aggrappandomi al suo collo e mantenendo i nostri corpi in stretto contatto.
- Direi di no. Quanti anni hai, scusa? - domandai a quel punto.
- Tu quanti ne hai? - chiese di rimando, sorridendo.
- La domanda l'ho fatta prima io, rispetta la gerarchia - dissi sorridendo e atteggiando di a civetta, come se avessi molti più anni di quello reali.
- Ventiquattro.
Io sorrisi, con un'espressione sorpresa e rassegnata.
- Perchè quanti anni hai tu?
- Quanti me ne dai?
- Venti?!
Risi, per fargli capire che aveva frainteso alla grande.
- Quindici - gli urlai nell'orecchio.
Lui mi guardò incredulo, ridendo e passandosi una mano sulla fronte.
- Ne dimostri di più - mi disse poi.
- Ti dà fastidio?
- A me no. A te?
- No - ed era vero.
- Massì tanto è capodanno.
Così dicendo riprese a baciarmi.

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Capitolo 5
*** Federico ***


Piero venne a prenderci alle 4.30 al Blue note.
Mia sorella avev baciato anche Marco e tutti noi speravamo in un ritorno di fiamma.
Arrivate a casa, io, Clelia e Benedetta ci mettemmo subito a letto, ma eravamo incapaci di dormire.
I miei pensieri divagavano, ma dopo poco si concentrarono su Federico.
Federico era un ragazzo di Bari, di diciotto anni, che avevo conosciuto quella estate a Dublino, quando ero andata in vacanza studio.
Ero stata lì per due settimane, e mentre ero lì avevo lasciato il mio ragazzo. Ed ero stata con questo Federico.
Ora, beh messa così sembro la troietta di turno che lascia il ragazzo per uno sconosciuto e si bacia il primo che passa.
Non è affatto così.
Avevo avuto solo un paio di ragazzi e non ne avevo baciati molti di più.
A Dublino era capitato, era estate, io piacevo a lui e mi aveva baciata. Io ero fragile e sola e così non lo avevo respinto.
Mi venne da pensare a lui perché sapevo che non mi sarei mai dimenticata dei suoi baci. È stata l'unica volta in cui ho provato davvero qualcosa di simile a farfalle nello stomaco e sensazioni di vuoto per un unico e solo contatto di labbra.
Nemmeno coi miei ragazzi ho mai provato nulla di simile. Solo con lui. E quella sensazione provata una volta ma rivissuta ogni volta che pensavo a quella sera d'estate mi mancava da morire.
Baciare quel ventiquattrenne in discoteca non mi aveva fatto sentire nulla. Nulla di neanche lontanamente paragonabile a quello che avevo sentito con Federico.
Mi mancava. Avevo davvero bisogno di sentirmi in subbuglio come coi suoi baci.
Mi ero sentita viva per la prima volta, amata, e avevo sentito di poter amare.

Non so come, ma in un modo o nell'altro riuscii ad addormentarmi, tra questi pensieri, gli occhi lucidi e il cuore che batteva.

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Capitolo 6
*** Jenny ***


Il mattino dopo il risveglio fu tragico.
Dormii fino alle 11 e nonostante non riuscissi più a dormire, morivo di sonno.
Non andammo a sciare, quel giorno, nonostante fosse una bella giornata. I postumi della precedente notte in bianco si facevano sentire. Per questo io, Clelia e Benedetta restammo a casa, mentre i miei genitori uscirono per delle commissioni.
Mancavano pochi giorni alla fine delle vacanze di Natale. Quei pochi giorni passarono in fretta, tra le utlime sciate, i primi malanni dell'anno e l'ansia di non riuscire a finire i compiti.
Tornammo a casa a Milano il 5 gennaio, precisamente due giorni prima che iniziasse la scuola.
Riiniziare fu un trauma, davvero. Il primo giorno non sentii nemmeno la sveglia, nessun vestito sembrava starmi bene, perdetti il primo pullman e arrivai in ritardo, ma per fortuna non lo segnarono.
Il mio compagno di banco, Diego, iniziò già dal primo giorno a tirarmi scema con la sua parlantina, le sue battute e la sua ricerca di attenzioni.
Io rimasi stupita da me stessa, poiché riuscivo a scherzare con lui, a ridere, fare battute, ad essere di buon umore. Era davvero incredibile, visto che nel primo trimestre ero sempre incazzata, che appena Diego cercava di coivolgermi in una discussione gli gridavo dietro.
Fu una giornata positiva, ebbi addiritura tempo di parlare con Antonio, il mio migliore amico, all'intervallo.
Rimasi di buon umore per tutto il giorno e questo mi diede tanta, tanta soddisfazione. Forse quelle vacanze mi avevano fatto bene, forse ora ero tornata quella di sempre, quella amichevole e allegra. Non lo potevo sapere, in fondo era solo il primo giorno. Poteva restare l'unico e solo così positivo.
I giorni seguenti non andai a scuola. I residui dell'influenza che mi ero presa gli ultimi giorni di vacanza mi rimanevano addosso come catrame, così, per non arrivare a beccarmi una bronchite, una tonsillite o una tracheite mia madre mi fece rimanere a casa.
La prima volta che uscii fu sabato sera.
La mia migliore amica Jennipher festeggiava il suo compleanno. Io non sarei potuta mancare per niente al mondo, poiché sapevo quanto ci tenesse. Inoltre mi sentivo molto meglio, perciò ci andai.
Jenny aveva invitato tutta la classe ed era rimasta molto sorpresa che molti compagni avevano accettato l'invito.
Jenny è una ragazza particolare. Ha avuto un passato difficile con i coetanei, che la prendevano sempre in giro, in particolare a causa di un intervento che aveva fatto ai piedi e l'aveva costretta alla sedia rotelle o alle stampelle per molto tempo.
Le discriminazioni, la solitudine, l'essere sempre quella debole, quella presa di mira hanno influito molto sul suo carattere.
Lei è timida, dolce, sensibilissima. Si fa tanti complessi per ogni singola cosa, si preoccupa di non essere mai quella che gli altri vogliono. Ma è per questo che le voglio bene: perché lei è diversa. Come me, da un lato.
A lei piace leggere e questo già lo trovo eccezionale, dato che quasi nessuno, tra i miei conoscenti ha questa passione. Con lei posso parlare di qualsiasi cosa, dalle stupidate ai discorsi più seri, di quel tipo che quasi nessuno dei ragazzi della nostra età ha il coraggio di affrontare.
Lei è il mio tutto. Capisce quando sto male ed è l'unica che sa ascoltarmi e dire le cose giuste al momento giusto.
Peccato che lei abbia ancora paura della gente, che non riesca ad aprirsi né ad essere sé stessa con gli altri ragazzi. Questo la penaliszza molto ed è un peccato, perché non dà loro la possibilità di conoscere il tesoro che nasconde dentro di sé.
Forse però se si mettesse a nudo gli altri non la capirebbero. Come me, d'altronde. Io sono brava a nascondermi dietro muri di cemento che eclissano la mia profondità. Lo faccio per essere accettata, per non espormi, perché nessuno mi capirebbe, nessuno se non le persone simili a me, come Jenny e come Antonio.
Dunque. Era la sua festa di compleanno. Avrebbe fatto sedici anni, per lei una tappa importantissima. Si aspettava molto da quella serata.
Anche io mi aspettavo qualcosa. Non sapevo ancora che piega invece avrebbe preso quel sabato sera.

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Capitolo 7
*** Festa di compleanno ***


Alla festa di Jenny avrebbero partecipato la maggior parte dei miei compagni di classe, io, Jenny, i suoi due fratelli e i suoi due cugini.
Suo cugino, Aharon, lo avevo conosciuto due mesi prima, più o meno.
Era arrivato a Milano dalla Toscana, in cerca di lavoro, e da allora viveva praticamente insieme a Jenny e la sua famiglia.
Era un bel ragazzo, dai capelli biondo cenere e gli occhi azzurri. Aveva le spalle larghe e non era altissimo.
La prima volta che l'avevo visto era stato un sabato sera, mentre io e Jenny stavamo guardando un film in streaming. Lui aveva messo la testa dentro la stanza della mia amica e ci aveva salutate.
Da allora, così mi ha detto Jenny, lui la prendeva in giro continuando a dire che sono proprio una bella ragazza e che con me ci starebbe volentieri, ma purtroppo sono troppo piccola per lui, che ha ventun anni. Eppure altre volte si mentisce e dice alla mia amica: "Però quasi quasi me la crescerei, la tua amica, che è proprio bellina".
Tutti questi complimenti e questo apparente interesse da parte sua mi hanno, comprensibilmente, lusingata, nonostante sapessi che diceva queste cose scherzando.
Bene, quella sera sarebbe stata la seconda volta che avrei visto Aharon e mi sarebbe piaciuto riuscire a fare colpo su di lui.
Il giorno prima avevo accompagnato Jenny a comprare il vestito per la sua festa. Avevamo trascorso tutto il giorno al centro commerciale fino a che non l'avevamo trovato.
Era un bellissimo abito, senza spalline, con una fascia che stingeva il seno tutta colorata di sfumature di azzurro, e una gonna nera che partiva dalla fascia e cadeva morbida sui fianchi e sulle coscie, finendo sopra al ginocchio.
Jenny, che solitamente tende a nascondere il suo corpo, con quel vestito stava d'incanto. Ero sicura che tenendo sciolti i suoi capelli biondi sulle spalle avrebbe incantato tutti.
Io per la festa indossai una gonna nera corta e stretta e una canotta leggera e svolazzante.
Lasciai anche io i miei voluminosci capelli sciolti e scelsi un trucco neutro e naturale.
Tutti noi invitati ci incontrammo davanti al cinema. Da lì saremmo andati a cena in un ristorante messicano.
Quando io arrivai era già pieno di gente e la festeggiata era circondata dagli amici.
La salutai euforica, poi salutai gli altri.
- Ma ciao Viola, com'è che ti balzi i primi giorni di scuola? Non ti sono bastate le vacanze? - scherzò Diego, il mio vicino di banco.
- Eh, lo so che ti manco - risi.
- Sì che mi manchi!
Ad un certo punto Jenny ci invitò ad avviarci verso il ristorante.
Io notai che mancavano ancora Aharon e i fratelli della festeggiata.
Intanto Jenny mi presentò a sua cugina, che si rivelò molto simpatica.
Appena mi fui seduta al tavolo vidi che stava entrando nel ristorante Aharon e il mio cuore iniziò a battere più veloce. Finsi di non vederlo.
All'improvviso sperai di non averci nulla a che fare per tutta la sera e che mi stesse lontana o l'insopportabile nervosismo che già stava prendendo il sopravvento non mi avrebbe lasciata un attimo, quella sera. Con un balzo al cuore, però mi accorsi che il posto accanto a me era vuoto.

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