Trying to stay strong.

di Sammi Hock
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il risveglio. ***
Capitolo 2: *** Tempesta. ***
Capitolo 3: *** Incontri. ***
Capitolo 4: *** Demi. ***
Capitolo 5: *** Ferite aperte. ***
Capitolo 6: *** La sua voce, come il vento. ***
Capitolo 7: *** Neon lights. ***
Capitolo 8: *** Warm kiss. ***



Capitolo 1
*** Il risveglio. ***


IL RISVEGLIO

Aprì gli occhi, la stanza continuava a girare, mi trovavo per terra, sulla soglia della
porta di camera mia. La vista era ancora appannata,  gli occhi si posarono sui polsi,
erano avvolti da candide bende bianche sporcate da macchie rosso rubino.
Dalla finestra entrava quella poca luce necessaria per riuscire a leggere l’ora
sull’orologio appeso al muro. Erano le 7:06 di un grigio giorno autunnale Londinese.
La cosa peggiore non era il risveglio, da lì a poche ore sarei dovuta salire su un aereo
per  gli Stati Uniti.
“Una nuova vita”, continuava a dire mamma.

- Ti decidi a scendere?!
Ma che cazzo si urlava questa? La testa faceva ancora male, non ricordavo cosa fosse
successo la sera prima, nulla di buono, per terra c’erano pillole e lamette.
- Arrivo! – urlai con la poca voce rimasta in gola.
- Vestiti e scendi a fare colazione! -

Bene, mi alzai da terra, indossavo solo una canottiere e le mutande, mi avvicinai allo specchio
per vedere cos’era rimasto di me. Nel riflesso vedere solo una grassona piena di tagli e sola.
Mi catapultai in bagno per fare una doccia, i tagli bruciano troppo a contatto con acqua e sapone.

Aprì l’armadio, non trovavo mai niente di interessante da indossare, nulla che mi stesse bene, “a te non sta bene niente balena”. Carina la voce dentro alla mia testa, molto simpatica.
Alla fine mi decisi, presi la solita felpa verde militare con la scritta “collage” e un paio di leggings neri e mi decisi a scendere.

- Finalmente ti sei decisa a scendere, sbrigati a fare colazione, dobbiamo essere in aeroporto entro mezzogiorno! -
- Non ho fame, mi bevo un succo e basta. – Avevo i conati di vomito.
- La tua valigia è già pronta? -
- Si, tranquilla. -

L’avevo zittita finalmente, non sopporto le domande in piena mattina.

Eravamo pronte per dirigerci in aeroporto.
La cosa che non sapevo ancora è che da quel giorno la mia vita sarebbe cambiata.


 

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Capitolo 2
*** Tempesta. ***


LA TEMPESTA.


Salì in macchina in fretta, stava piovendo.
Posai la borsa rossa sul sedile vicino al mio,
non avevamo una macchina molto grande e a malapena
c'entravo io. Presi cellulare e cuffiette e mi misi ad
ascoltare la musica. In quel periodo avevo sentito parlare
di una cantante molto brava, una certa Demetria Lovato, non era famosa
ma un suo video fece il giro del web.

Non conoscevo molte sue canzoni e non conoscevo lei, in realtà non avevo nemmeno idea di come fosse il suo viso ma mi ci rispecchiavo molto nelle parole dei suoi testi e la sua voce così potente sembrava volesse urlare al mondo qualcosa che nascondeva da tempo e che nessuno percepiva. Play, partì "don't forget", appoggiai la testa sul finestrino, guardavo le goccie di pioggia correre giù dal finestrino dell'auto. Mi addormentai.
 
 
- Sveglia Juls, siamo arrivate in aeroporto, aiutami con le valige! -
- Ok, fammi solo prendere la borsa. -

Ero ancora un pò scombussolata, mi chiedevo come sarebbe stata la mia vita a Los Angeles, ma soprattutto non capivo perché mamma aveva scelto proprio quella meta.
Per tutti i miei quindici anni di vita, quasi sedici, non ero mai uscita dall'Inghilterra e la cosa mi terrorizzava un pò.

Ci presentammo all'imbarco, non c'era molta gente, cinque minuti dopo eravamo sedute sul sedile di un aereo di linea molto spazioso, davanti a noi c'era una coppia di neo-sposi che si erano fermati a parlare con mamma prima di imbarcarci. Los Angeles è una città stupenda, durante il viaggio verso la nostra nuova casa non smettevo di fissare il meraviglioso paesaggio.

Arrivammo davanti ad una graziosa villetta. Ero stremata dalle lunghe ore di viaggio. Salì in camera mia, non mi curavo di fare un tour completo della casa ci avrei pensato il giorno seguente. Notai solo il grande finestrone che dava sul giardino.

Fuori il rumore delle foglie, dentro di me la tempesta.

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Capitolo 3
*** Incontri. ***



INCONTRI

Un raggio di sole fece capolino dal gran finestrone, che per qualche strano motivo era aperto.
Alla fine, un pò per la luce accecante e un pò per il freddo mi svegliai.
Sentivo già qualcosa di diverso nell'aria, mi affacciai; abitavamo in una di quelle strade piene di villette e giardini, piscine e famiglie felici, la gente si spostava in bici, skateboard o pattini a rotelle, tutti i macchinoni erano rigorosamente parcheggiati nei vialetti.
Sostanzialmente erano tutte caratteristiche che non mi appartenevano, soprattutto quella della "famiglia felice", ma di questo ve ne parlerò dopo. Una voce interruppe il silenzio.

- Juls oggi andremo alla scuola civica qui vicino, dobbiamo fare l'iscrizione, credo che inizierai lunedì 20.-
 Mamma era entrata in camera come un fantasma, se ne era venuta fuori con quella storia dell'iscrizione e non potevo di certo oppormi.
- Dobbiamo per forza? - risposi.
- Tesoro, lo so che per te è difficile ambientarti in una nuova scuola, soprattutto dopo quello che è successo nella vecchia e sai anche che ci sono stata malissimo per te. –

Non so per quale ragione ma negli ultimi tempi non avevamo un buon rapporto io e mamma.
Una serie di eventi ci avevano stravolto la vita; mio padre ci aveva abbandonate per una sgualdrina irlandese che aveva conosciuto durante uno dei suoi "viaggi di lavoro" e la mia situazione a scuola non era delle migliori.

Ero, mi correggo, sono grassa, sono sempre stata un pò in sovrappeso ma non me nè mai importato granché finché tutto ciò non è diventato il fattore principale che ha rovinato la mia esistenza. Non capivo cosa ci trovassero di divertente i miei "compagni" a chiudermi nei bagni, a volte anche per intere giornate.
A pranzo sedevo sola, avevo una sola amica, Madison, finchè, anche lei cambiò scuola e così un'altra persona importante uscì dalla mia vita.

- Come vuoi, dammi il tempo di prepararmi e scendo giù. – risposi.

Presi il cellulare, entrai come mio solito su facebook, non avevo molte notifiche, le solite, quelle dei giochi che odio tremendamente.
Un'occhiata veloce alla home, Charles Bown ha stretto amicizia con Katy Cowell, cose di cui non poteva fregarmene un fico secco; dopo alcune inutili notizie mi imbattei in uno stato di Micheal Brown, considerato uno dei più fighi della mia ex scuola, diceva: "finalmente quella balena sfigata ha deciso di trasferirsi, spero non uccida nessuno con i suoi quintali di grasso! ".

Lanciai il cellulare per terra e mi chiusi in bagno, calde lacrime cominciarono a rigare il mio volto. Avevo bisogno di qualcosa e subito, non avevo lamette con me in quel momento così mi limitai a piangere sul pavimento e basta.

- Juls sei pronta? Sbrigati dai! -
Asciugai le lacrime con il palmo delle mani, tirai su con il naso e risposi.
- Si mamma, arrivo, ho quasi finito! -


Mi alzai dal pavimento gelido, uscì dal bagno con gli occhi appiccicati dalle lacrime.
La scelta ardua dei vestiti, decisi di mettere le stesse cose del giorno precedente con lo stesso paio di vans nere.

Il vialetto davanti casa nostra era caratterizzato da un piccolo sentiero delimitato da grosse pietre di un grigio chiaro, percorrendolo mi sembrava quasi di essere cappuccetto rosso durante la sua escursione verso la casa della nonna, ignara del pericolo che la stava attendendo; magari era un avvertimento, magari iscrivermi a quella scuola era un chiaro segno di pericolo.

- Andiamo a piedi, non è molto lontano da qui. -
- Va bene, come vuoi tu mamma. -

Ci trovammo davanti ad un imponente edificio circondato da un gran giardino, sulla sommità dell’arcata principale vi era una scritta: “St. Paul High School”.
Ci accolse una delle bidelle; un’anziana signora occhialuta, dallo sguardo dolce e materno. Ci condusse all’ufficio del preside, un certo signor Smith.

- Prego Signora…? – una voce rauca uscì dal gran portone di legno che si aprì di scatto per far intravedere la figura di un omaccione calvo e scuro di carnagione.
- Piacere, sono Elizabeth Brown, la madre di Juliette, vorrei iscrivere mia figlia nella vostra scuola. -
- Bene, il piacere è tutto mio, accomodatevi pure, dovrò compilare un questionario e farvi alcune domande. -
Prese una stilografica nera luccicante ed un foglio da compilare con il logo della scuola in alto a destra.
- Nome, cognome e data di nascita della ragazza? – Secco e diretto.
- Juliette Marie Brown nata a Halifax nel West Yorkshire il 20 agosto 1992. -
Mamma rispose a tutte le domande poste da Mr. Smith.
- Bene Signora e Juliette, lieto di avervi conosciuto, vedrete, amerete questa scuola. -

Uscendo dalla porta andai a sbattere contro una ragazza, mi scusai subito, lei mi sorrise, non avevo mai visto un sorriso così bello.

 

 

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Capitolo 4
*** Demi. ***


DEMI

Il mio primo giorno di scuola arrivò.
Avevo in testa troppi pensieri; mi accetteranno i nuovi compagni o passerò un altro anno di merda?
Quella mattina decisi di prepararmi con cura; mi truccai di nero per far risaltare i miei occhi verdi e
piastrai i miei lunghi capelli rossi come il fuoco, dopo di che mi spruzzai un pò del mio profumo preferito.
Non feci colazione per paura di sembrare troppo grassa, salutai mamma e percorsi il sentiero di cappuccetto
rosso per prendere il pullman che mi avrebbe portata davanti a scuola.
Quel 20 settembre non lo dimenticherò più, quello sarebbe stato l'inizio del mio secondo anno.
Davanti a me c'erano centinaia di studenti chiassosi, coppiette che si ritrovavano dopo le vacanze estive e individui
come me che essendo nuovi si limitavano a osservare la situazione.
Suonò la campanella, un colpo al cuore, avevo troppa paura.
Essendo nuova venni guidata in classe dalla bidella che due giorni prima aveva accolto me e mamma dal preside Smith.
- Se i pronta? - Disse ridacchiando la donna.
Ma scherzi? Pensi davvero che io sia pronta?
- Si, certo. - Risposi semplicemente così, accompagnato da una risatina isterica.
Percorremmo una lunga rampa di scale e un corridoio molto luminoso, finché, finalmente
ci trovammo davanti alla porta della classe di biologia.

*Toctoc*

- È permesso? Signorina Payne le lascio la nuova arrivata. -
Mi lasciò lì davanti a tutta la classe e se ne andò sbattendo la porta.
- Bene, benvenuta, presentati pure alla classe. - Disse sorridendomi la professoressa.
Oh cazzo, adesso cosa dico?
Potresti iniziare dal nome magari?
Disse quella fastidiosa vocina nella mia testa. Schiarì la voce tossendo.

- Ciao a tutti, io sono Juliette Brown e mi sono trasferita da poco con mia madre da Londra. - bene.
- Ciao Juliette. - Risposero tutti in coro.
C'erano delle facce molto simpatiche, sia maschi che femmine.
- Bene Juliette puoi sederti la in fondo, c'è un posto libero vicino a Demetria. -
Disse indicandomi il banco.

Mi girai e rimasi sorpresa, era la stessa ragazza che avevo urtato uscendo dall'ufficio del preside due giorni prima.
Mi sedetti.

- Quindi ti chiami Juliette? Piacere io sono Demetria ma puoi chiamarmi Demi. -

Demetria, come la cantante di cui mi ero follemente innamorata in quel periodo.
Che sorriso fantastico, lo ricordavo proprio così. Parlava a bassa voce per non farsi sentire dalla professoressa.

- Piacere, comunque puoi chiamarmi Juls. -
Sorrisi anche io e facendo attenzione a non fare troppo rumore aprì la cartella per prendere il libro di biologia.
Non ci parlammo per tutta l'ora, a volte mi giravo a guardarla; aveva dei bellissimi capelli castani,
liscissimi con una frangetta che le si posava sui suoi occhi castani da cerbiatta, poi si girava anche lei e mi sorrideva.
Mi aveva colpita molto.

All'ora di pranzo varcai il grande portone della mensa, c'era un chiasso assurdo e risatine.
Presi semplicemente un'insalata e mi sedetti da sola.
Mentre mangiavo avevo sempre la musica di Demetria Lovato alle orecchie, l'unica cosa che mi tenesse compagnia.

Demi si avvicinò al mio tavolo, posai subito le cuffie.
- Posso sedermi? - Disse.
Mi chiedevo come facesse a sorridere sempre, la sua vita doveva essere proprio una favola.

- Certo. -
Breve silenzio imbarazzante.
- Bellissima città Londra. - Era palesemente imbarazzata.
- Si molto bella. - Risposi in tono molto distaccato
- Adesso vado, ci si becca in giro. -
Ci si becca? Non potevo crederci di averlo detto.
Presi lo zaino e mi allontanai. Lei continuò a sorridermi.

Quella notte non feci altro che ripetermi in testa quello stupido "ci si becca".
Avevo in testa il suo sorriso.

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Capitolo 5
*** Ferite aperte. ***


FERITE APERTE

Quella mattina la sveglia suonò in ritardo di un'ora.
- Juls, svegliati è tardissimo! - mamma fece irruzione in camera mia urlando.
Sarebbe stato un giorno difficile per me a scuola poiché avrei dovuto affrontare ben due ore di sport e non ero di certo pronta a sfoggiare i miei meravigliosi tagli su braccia e cosce.
Per evitare tutto ciò misi nel borsone sportivo un paio di pantaloni lunghi, una maglia a maniche corte e una giacca rossa da metterci sopra.
Quel giorno mamma non lavorava e quindi si propose di accompagnarmi a scuola in macchina a causa del ritardo.
Mi misi a correre per i corridoi, era una delle poche volte in cui sfoggiavo le mie doti sportive. Entrai in classe e con voce affannata dalla corsa appena fatta mi scusai con la professoressa di matematica, la signora Roberts, una vecchietta acida e prepotente e mi catapultai al mio posto, vicino a Demi.

- Ehi! - *bisbigliando* - Come mai arrivi a quest'ora? -
- La sveglia oggi è suonata in ritardo. -

Non capivo mai se il mio tono con Demetria fosse troppo distaccato, ma io mi sentivo ancora un'estranea in quella classe e non davo confidenza a nessuno.

- Oggi abbiamo due ore di sport. - concluse con una risatina.
- Già, lo so. Non vado matta per questa "materia" . -
Conoscendo i miei vecchi compagni avrei scommesso in una risposta tipo:
"Beh, si vede che non ti piace", ma non fu così.
- Tranquilla non piace nemmeno a me. - concluse con la sua solita risatina.

*suono della campanella*

Entrò in classe un uomo alto e robusto, visibilmente scuro di carnagione, probabilmente di origini latine.
Ci alzammo tutti in piedi per accoglierlo e iniziò a parlare.
- Salve a tutti ragazzi. -
aveva uno strano accento, in classe regnava il silenzio.
- Sono il vostro nuovo professore di educazione fisica, il professor Martinez, mi aspetto molto da questa classe, non siete in molti, in venti sono certo che lavoreremo molto bene. -
Ci fu un attimo di silenzio e poi continuò il suo discorso.
- Per lavorare bene dovrete rispettare poche e semplicissime regole; tutti in scarpe da ginnastica pulite, tuta comoda a maniche corte e per le ragazze, mi raccomando, tutte con i capelli ben legati. -
Dopo di che ci dirigemmo nella grande palestra della scuola. In testa avevo solo la paura di mostrare i miei tagli.
Entrai nello spogliatoio femminile insieme a tutte le altre nove ragazze, compresa Demi, erano tutte bellissime e magrissime.
Cercai un posticino nascosto per cambiarmi e iniziai a sfilarmi i jeans per mettere i pantaloni lunghi;
toccò alla volta della felpa, mentre la toglievo un bracciatto si impigliò sulla manica facendo riaprire uno dei tagli che iniziò a sanguinare.
- Ahi! - un urlo mi uscì dalla bocca.
Speravo non mi avessero sentita.
- Juls, tutto ok? -
era la voce di Kat, una delle ragazze della mia classe che non mi aveva mai rivolto parola.
- Si, si, è tutto ok! -
cercavo di fermare la fuoriuscita di sangue ma non ci riuscivo.
Alzai lo sguardo, mi trovai davanti Demi.
- Ehi, cosa ti è successo? -
- Niente tranquilla. - risatina isterica.
- Dammi il braccio! -
non l'avevo mai vista così seria.
Le porsi il braccio.
- Ma questi sono tagli! - disse bisbigliando ma con tono severo.
Scoppiai a piangere.
Demi mi abbracciò prese un pò di carta assorbente e mi ci avvolse il polso.
- Metti la giacca, dirò al prof. che sei molto influenzata e che hai bisogno di coprirti, adesso vieni, asciugati le lacrime e torniamo insieme da gli altri. -
Rimasi sconvolta, nessuno mai mi aveva aiutato come aveva fatto lei.
Perchè lo faceva?
Cosa poteva saperne di tagli una ragazza perfetta come lei che sorrideva sempre?
Le due ore di sport erano anche le ultime di quella giornata scolastica e dopo aver finito, esausta dagli innumerevoli giri di corsa riposi tutta la mia roba  nel borsone e sgaiattolai fuori dalla palestra cercando di dimenticare quello che era successo poco prima.


Davanti ai giardini della scuola sentì una mano toccarmi la spalla, mi girai di colpo.
- Juls devo parlarti, andiamo a sederci sotto a quell’albero. –
era Demi.
- Ehm, ok. –
la seguì e ci sedemmo.
- Non devi vergognartene con me.-
- Vergognarmi di cosa? -
- Dei tuoi tagli, io…beh, ti capisco. – le si spense il volto.
La brezza Californiana ci accarezzava il viso.
- Perché, cosa c’è che non va nella tua vita, spiegamelo?-
non avrei dovuto essere così spacciata e invadente.
Il suoi occhi fissavano il terreno e alcune lacrime le bagnavano il viso.
Alzò una delle maniche della sua maglia
- Ecco. –
Mi si strinse il cuore, anche lei si tagliava, ma perchè?
- Io…non volevo, davvero…- ero terribilmente in colpa.
- Non è niente, davvero.-
in realtà riuscivo a percepire il suo dolore.
Ci abbracciamo, eravamo le uniche rimaste nel giardino della scuola.
Demi prese il cellulare per guardade l’ora.
- Scusami Juls, devo scappare… ehm, aspetta, ti andrebbe di uscire insieme domani pomeriggio dopo scuola?-
le ritornò un piccolo sorriso sul volto, quel bellissimo sorriso che sfoggiava sempre.
Forse la ragazza che mi trovavo davanti stava per diventare la mia migliore amica e io ancora non ci credevo.
- Certo che mi va!-

Ci salutammo, mi alzai da terra e presi la cartella.
- Ehi Juls! -
- Si?-
- Ti voglio bene.-
Le sorrisi.





NOTE DELL'AUTRICE:
EHI RAGAZZE/I , SCUSATE PER IL MIO MEDIO-LUNGO PERIODO DI ASSENZA MA LA SCUOLA OCCUPA DAVVERO TANTO TEMPO. MI SFORZERO' A PUBBLICARE MOLTI PIU' CAPITOLI A SETTIMANA, VEDO CHE LA MIA STORIA VI INTERESSA MOLTO. UN BACIONE, SAM.



 

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Capitolo 6
*** La sua voce, come il vento. ***


La sua voce,come il vento

Non scorderò mai quel venerdì.
Era il gran giorno, dopo scuola sarei dovuta uscire con Demi ed ero davvero molto nervosa, mi sentivo davvero un fascio di nervi.
Come sempre le lezioni erano state di una noia mortale, finalmente alle dodici e mezza al suono dell'ultima campanella ci alzammo dai banchi, prendemmo la nostra roba e ci incamminammo verso l'uscita.

Era una tiepida giornata di inizio autunno e il vento faceva ondeggiare le palme sopra alle nostre teste, nell'aria c'era ancora un pò del profumo dell'estate.

- Allora dove andiamo adesso? - chiesi incuriosita.
- Voglio farti conoscere alcuni dei posti dove vado quando voglio evadere dalla realtà. -


Le strade a Los Angeles sono generalmente spaziose, ai lati sono presenti grandi marciapiedi dove si può passeggiare sorseggiando un frappuccino di Starbucks o qualsiasi altra bibita.

- Che ne dici di mangiare qualcosa? - propose Demi.
Inizialmente ero titubante all'idea di dover mangiare in pubblico, cosa che odiavo terribilmente, ma poi mi "lasciai" andare e ordinammo due insalate miste e due diet coke.
Durante l'attesa parlammo di svariate cose; di quanto fosse bella quella giornata e del ragazzo dietro di noi biondo con gli occhi color nocciola che mangiava un cheese burger.

- Quindi vuoi farmi conoscere i tuoi "nascondigli", diciamo. -
mi lasciai andare per cercare di approfondire la faccenda.
- Si, non ci ho mai portato nessuno fin ora. -
Rimasi sorpresa, quindi mi riteneva relativamente importante,
anche se mi conosceva da poco più di una settimana?
Mentre stavo per risponderle arrivarono le ordinazioni,
iniziammo a mangiare e a parlare di cose stupide come farebbero comunemente le amiche fra di loro.

A settembre le spiagge Californiane sono perfette per delle lunghe passeggiate, la brezza fresca sfiora i capelli e si riesce ad assaporare il profumo della libertà.

- Vieni Juls, ti porto nel posto che preferisco di più al mondo. -
Il mio livello di curiosità era arrivato al culmine, fremevo dalla voglia di conoscere quei posti.

Entrammo in uno di quei negozi un pò vintage dove vendono vecchi cd, i muri erano ricoperti da una tappezzeria a fantasia floreale.
- Ciao Tom, come te la passi? -
Demi si rivolse al proprietario del negozio come se fosse un vecchio cugino o una persone a lei molto cara.
- Tutto bene baby, non mi presenti la tua amica? - si girò verso di me sorridendo.
Tom era un ragazzo poco più grande di noi, aveva un dente d'oro, diversi piercings e tatuaggi e il suo stile mi piaceva molto, in più era anche molto simpatico e amichevole.

- Si chiama Juls, si è trasferita da poco qui in città e abbiamo fatto subito amicizia. -
Mentre parlava di me aveva il sorriso stampato in faccia.
Dopo la breve conversazione con Tom ci spostammo in un'altra stanza, più piccola e luminosa della precedente.

- Quando sono triste vengo sempre qui, ascolto la mia musica preferita e sto meglio. -
lo disse con un'aria un malinconica.
- Io quando sono triste ascolto le canzoni di una cantante bravissima, non è famosa ma amo le sue canzoni. -
Dopo aver guardato alcuni vecchi dischi salutammo Tom e ci dirigemmo in spiaggia;
erano le tre del pomeriggio, il sole batteva forte in cielo, c'era molto caldo e le ragazze andavano in giro con dei micro-shorts a vita alta e crop top, io e Demi eravamo le uniche ad avere i jeans.
- Vedi quella torretta laggiù? - mi indicava con il dito una di quelle postazioni per bagnini, che dopo il periodo estivo vengono abbandonate.
- Si certo. -
- Da là sopra la vista è mozzafiato. -
mi prese per mano e mi trascinò per quella costruzione di legno.
Ci sedemmo, sembrava di essere in cima al mondo, aveva proprio ragione la vista era mozzafiato.
- Mi prometti che non ti metti a ridere? - ero perplessa.
- Perché dovrei ridere? - accompagnavo tutto ciò che dicevo da una risatina isterica.
Dopo avermi fissata per un nano secondo cominciò a cantare, il cuore iniziò a battermi all'impazzata, quella voce la conoscevo.
Era proprio la voce di Demetria Lovato.
- Ti piace? È solo una strofa, ci sto lavorando da un pò a questa canzone. -
non parlai per almeno un minuto e mezzo, non ci credevo ancora.
- Ehi, tutto bene? -
- Io ho già sentito la tua voce. -
- Davvero? Hai ascoltaro la mia canzone su internet? - era sorpresa quanto me.
- Io... Si... Sono senza parole, amo la tua voce, quindi Demetria Lovato sei tu? -
- Si, il mio nome completo è Demetria Devonne Lovato. -

Avevo davanti a me la ragione per cui mi scappava ancora un sorriso,
la sua musica mi aveva ispirata e accompagnata nei momenti più bui.
Il destino aveva deciso di farci incontrare, per un motivo certo.

Ci fu un lungo abbraccio, poi restammo a guardare il tramonto ridendo e scherzando.
I suoi occhioni castani erano ancora più belli con quella luce intensa.
Quando mi guardava il cuore iniziava battermi con una frequenza maggiore,
cosa mi stava accadendo?

Stare con lei era una botta di vita,
i pensieri brutti, anche se per poco tempo andavano via,
le cicatrici si rimarginavano e il cuore smetteva di far male.

Demi Lovato era diventata la ragione per cui vivevo.


 

NOTE DELL'AUTRICE:
SPERO CHE ANCHE QUESTO CAPITOLO VI SIA PIACIUTO, SE VOLETE SEGUIRMI SU TWITTER IL MIO NICK E' @zMuchLoveHarryz :)

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Capitolo 7
*** Neon lights. ***


Neon lights


Cosa ci faceva una ragazza così talentuosa tra questa gente?
Sarebbe dovuta partire in tour con la sua band e la sua bellissima voce,
invece era bloccata tra le sue quattro mura domestiche.
Per tutta la settimana a venire Demi non si presentò a scuola ed ero molto preoccupata,
non avevo modo di contattarla e non sapevo dove abitasse, mi limitavo ad aspettare impaziente,
ma niente, io restavo sola e tutto sembrava crollarmi addosso.
Era la mia unica amica ed ancora di salvezza.

Venerdì, al suono dell'ultima campanella, mentre mi dirigevo al mio armadietto per recuperare i libri,
avevo sentito due professoresse di un corso esterno parlare tra di loro, non mi importò molto.
Ad un certo punto una di loro, quella più bassa e tozza con gli occhiali disse:
"Povera ragazza, a casa non c'è nessuno ad aiutarla,
la madre non vuole saperne più niente, deve accudire da sola il padre. "
"Già, ne ha ormai per poco, è malato terminale, che Dio la benedica."
Dopo di che le due si salutarono e percorsero corridoi diversi.
Chissà di che ragazza stavano parlando, volevo convincermi del fatto che non fosse Demi,
mi avrebbe fatto troppo male.
Tornando a casa mi frullavano in testa troppi pensieri, avevo paura.
Finalmente ero arrivata a casa, feci per aprire la borsa per prendere le chiavi della porta di ingresso,
ma questa si spalancò prima che io potessi alzare il capo.
- Juls, ti avevo sentita arrivare, dobbiamo sbrigarci. - mamma era nervosa.
- Sbrigarci, per cosa? -
Entrai a casa lasciando lo zaino per terra, corsi in cucina.
- Dai, sbrigati a mangiare dobbiamo correre in ospedale. -
ero perplessa, tra un boccone ed un'altro di pasta, feci alcune domande a mamma.
- Perché in ospedale, da chi dobbiamo andare? -
- Stamattina mentre eri a scuola ho ricevuto una chiamata, era una ragazza,
una certa Demi, ha detto di essere una tua amica e mi ha spiegato che non
è stata a scuola per tutta la settimana per motivi di famiglia. -
Come aveva fatto ad avere il numero di mamma?
- Suo padre? - domandai certa che la risposta sarebbe stata "si".
- Si, suo padre, Patrick, è all'ospedale, ha il cancro e sta perdendo la sua battaglia,
quando Demi mi ha chiamata era in lacrime mi ha chiesto espressamente di portarti da lei. -
Una fitta al cuore, posai la forchetta e corsi a prendere la giacca, la indossai.

- Andiamo subito, ti prego. -
- Certo tesoro, lasciami prendere le chiavi. -

Salimmo in macchina, era una giornata piuttosto nuvolosa, da li a poco si sarebbe messo a piovere,
anche il cielo era triste, tutto intorno a me emanava tristezza.
Appena arrivammo al "Santa Monica Hospital" chiesi subito indicazioni ad una
delle infermiere che mi riferì il reparto e la camera.
Presi l'ascensore, mamma era rimasta sotto, in sala d'attesa.

Arrivata al 3° piano vidi di fronte a me un lungo corridoio grigio con alcune
luci al neon di un colore inusuale, l'odore era insopportabile,
era il tipico odore d'ospedale, carico di ricordi, dolore, ma anche felicità e speranza.
Vedevo una ragazza fuori, alla soglia della stanza 220,
seduta su una di quelle sedie di plastica blu, era Demi,
appena si accorse della mia presenza si alzò di scatto e corse verso di me.
Non sembrava nemmeno lei, il suo luminoso sorriso era spento,
il volto era solcato da occhiaie violacee e i suoi occhi assenti e gonfi di lacrime.
Mi abbracciò e scoppiammo tutte e due a piangere.
Ci sedemmo per terra, in mezzo al corridoio, intorno a noi regnava il silenzio,
eravamo avvolta da un'aura cupa, sembrava di essere in mezzo al nulla, il pavimento era gelido,
riuscivo a sentire chiaramente il frastuono dei fulmini provenire da fuori.

- I dottori, sono entrati, l'hanno portato via!! - urlava e piangeva nello stesso momento.
Le tenevo le braccia, erano ruvide, piene di tagli nuovi.
La abbracciai forte, ci alzammo da terra, sorreggevo Demi,
non aveva più le forze.
Entrammo dentro alla camera del padre, una classica camera d'ospedale,
dalle mura bianche e con quei letti singoli, molto grandi con le protezioni
laterali ed i bottoni per chiamare i dottori.
Nella stessa stanza c'era una donna sulla quarantina di anni, una bellissima donna a dire il vero,
magra ed esile, dai lunghi capelli neri e lisci, dormiva, non avevo idea del perché fosse li.

- Hai mangiato qualcosa oggi? - le chiesi preoccupata.
Dopo alcuni secondi mi rispose.
- Ho mangiato una mela. - non le importava più niente, figuriamoci mangiare.
- Vado a prenderti qualcosa, d'accordo? - stavo per alzarmi, Demi mi afferrò per un braccio.
- No! Ti prego resta con me! -
Ci sdraiammo sul letto del padre nell'attesa che qualche dottore ci desse delle risposte.
Presi Demetria tra le mie braccia e cercai di farla addormentarla,
proprio come si farebbe con un bambino.

*qualche ora dopo*

- Ragazze, svegliatevi, non potete occupare i letti per i pazienti! -
aprì gli occhi, Demi dormiva ancora.
Mi trovai davanti un uomo alto, visibilmente giovane.
-Sono il dottore, ragazze dovete togliervi da qui. -
- Si... Ci scusi, stavamo aspettando suo padre *indicando Demi*, avete notizie? -
la mia voce era ancora rauca, ero molto assonnata.
- Si, ci sono notizie, potrebbe seguirmi fuori? -
Uscimmo dalla stanza, eravamo in corridoio, più cupo di prima.
- Vede, preferisco dirlo prima e lei signorina, la figlia è qui da una settimana e non reggerebbe ad una notizia del genere. -
Patrick non c'era più, era volato in cielo, ci eravamo addormentati tutti e tre in contemporanea.
- Come farò a dirlo a Demi? Me lo spiega dottore? Non è una cosa semplice. -
non sono brava con le parole.
- Vedrà, troverà sicuramente parole più dolci delle nostre, per qualunque problema mi chiami. -
Si allontanò, facendo svolazzare il suo camice bianco,
mi era sembrato di parlare con un angelo piuttosto che con un dottore,
attorno a me adesso c'era un'aura leggera, sembrava di essere in paradiso.
Nel frattempo Demi si era svegliata, sembrava tranquilla,
mi avvicinai a lei per dirle tutto o almeno ci avrei provato.
- Demi... -
Mi bloccò immediatamente.
- Lo so, papà non c'è più, l'ho sognato, mi ha detto che adesso sta bene, è in paradiso, non soffre più... -
Non piangeva, al contrario, era serena.
- Si, adesso sta bene. -
Le sorrisi, lei ricambiò, il suo sorriso era diverso da quelli che conoscevo, ma altrettanto bello.

*Verso le 22:30*

Demi aveva preparato con cura tutti i vestiti del padre e i suoi in un borsone nero,
quella notte avrebbe dovuto lasciare l'ospedale.
La accompagnai giù per firmare delle cose.
Intanto mamma era seduta in sala d'attesa, dormiva.
Non ci credevo, mi aveva aspettato per tutto quel tempo?
Mi avvicinai a lei, la sveglia con delicatezza, Demi era assieme all’infermiera del turno notturno.

- Hey, Juls, che ore sono? – mamma si strofinò gli occhi, e si stiracchiò sbadigliando.
- Sono quasi le undici, il padre di Demi non ce l’ha fatta…-
- Mi dispiace tanto tesoro, adesso Demi dov’è? -  non l’avevo mai vista così interessata.
- Ecco sta arrivando…- le risposti frettolosamente.

- Salve signora, piacere di conoscerla, Juls, aspetto che mia madre venga a prendermi, grazie per tutto. -

- Figurati, se vuoi aspetto qui con te. – non volevo lasciarla da sola.
- No, vai pure, domani ti chiamo.- mi sorrise.

La salutai, io e mamma uscimmo dall’ospedale e tornammo a casa, non smettevo di pensare a lei, avevo un senso di protezione nei suoi confronti, quasi gelosamente.
Non sarebbe stata più sola, adesso c’ero io al suo fianco.


 
NOTE DELL'AUTRICE:
SCUSATE ANCORA PER LA LUNGHISSIMA ASSENZA, STO CERCANDO DI FARE DEL MIO MEGLIO, SAPPIATE CHE NON ABBANDONERO'
LA FF, USCIRANNO SEMPRE DEI NUOVI CAPITOLI. SE VOLETE SCRIVERMI PER SAPERNE DI PIU' POTETE CONTATTARMI SU TWITTER: @zMuchLoveHarryz

BUONA LETTURA! :)

SAM.

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Capitolo 8
*** Warm kiss. ***


 
"Warm kiss"

 
Come ogni sabato, ormai da parecchio tempo ero abituata a svegliarmi all'alba,
non era di certo qualcosa di "normale" per una ragazza della mia età; durante la
notte non dormivo molto, venivo svegliata di soprassalto a causa dei brutti sogni.
Ce n'era uno piuttosto ricorrente; sognavo di perdermi per un labirinto circondato
da rose rosse piene di spine e venivo rincorsa da uno strano essere.
Di che essere si trattasse non ne ho avuto ancora la risposta, mi svegliavo sempre
in preda al panico e sudata.
Aprì gli occhi, la stanza era ancora buia, erano le 5:47 di una fredda giornata di inizio
dicembre, fuori dal finestrone riuscivo a percepire ancora la luce fioca della luna e il
vento gelido che faceva oscillare le palme.
Mi decisi a mettere piede fuori dal piumone caldo, mi stiracchiai preoccupandomi di
non fare molto rumore per non svegliare mamma che da lì a poco si sarebbe dovuta
alzare per correre in ufficio.
Mamma lavorava come segretaria per un noto ufficio di avvocati di Los Angeles.
Scesi giù in cucina, la preferivo rispetto a quella che avevamo a Londra, era spaziosa,
moderna e molto più accogliente. Misi a bollire dell'acqua per il caffè, nero e amaro,
entre in un'altro pentolino bolliva il latte per il porridge che avrei guarnito con fragole e cannella.
Quando la mia colazione fu pronta la misi in un vassoio e me ne ritornai in camera,
mi sedetti sul davanzale lungo il finestrone e mi misi a mangiare.
Amavo quel posticino, era l'unico dove potevo starmene tranquilla e osservare l'ipocrisia della gente che
iniziava a fare capolino dalle proprie abitazioni.
Erano le 7:35, in cielo era comparsa la luce rosata dell'alba e sulla tazza bianca non era
rimasta neppure più una goccia di caffè.
Mamma era già pronta per andare via, si affacciò in camera mia.

- Amore, corro a lavoro, ci sentiamo stasera, fai la brava e chiamami se hai bisogno. -
mi sorrise e corse via.
Avevo due scelte quel giorno: una era rimanere a casa per il resto della giornata,
l'altra era vestirmi, uscire di casa e fare una sorpresa a Demi per vedere come stava.
Stranamente scelsi la seconda.
Iniziai a prepararmi, erano quasi le undici del mattino, pianificai di arrivare a casa di
sua all'incirca a mezzogiorno. Feci una doccia calda, i vecchi tagli bruciavano ancora
e sanguinavano a causa dell'alta temperatura; mi avvolsi in una lunga asciugamano,
presi dell'alcol e mi disinfettai i polsi che dopo di che avvolsi con delle nuove garze,
il mio viso si contorceva dalle smorfie di dolore.

Indossai i jeans neri e stretti che avevo comprato a Camden Town poco prima di partire,
una felpa con scritto "Gap" ed ai piedi delle creepers nere; quel giorno mi sentivo meglio,
diversa, apprezzavo di più me stessa, cosa che avveniva davvero di rado.

Uscì dalla porta sul retro per evitare il passaggio dal "sentiero di Cappuccetto rosso",
percorsi un vicolo non molto stretto per poi ritrovarmi in una delle strade principali di L.A.
Prima di andare a casa di Demi, che abitava in una casetta di legno molto carina in prossimità
di Venice Beach, decisi di passare dal suo negozio di Cd preferito per farle un regalo.

Entrai in negozio, sopra alla mia testa c'erano dei campanellini che suonavano al mio passaggio.
Davanti al bancone c'era sempre John.
- Ehm... Ciao. - ero molto imbarazzata.
- Ciao! Ti ho già vista qui... Aspetta, sei la ragazza che è venuta qui con Demi qualche settimana fa? -
mi sorrise, i piercings che aveva alle guance rientravono un pò formando delle tenere fossette.
- Si, sono io, mi chiamo Juls. - sorridevo in modo molto nervoso.
- Si, mi ricordo, come posso aiutarti bellissima Juls? -
Era la prima volta che un ragazzo si rivolgeva così nei miei confronti, quindi arrossì.
Abbassai lo sguardo per il troppo imbarazzo e risposi.
- Vorrei regalare un Cd a Demi, ma non conosco molto sui suoi gusti musicali, mi sapresti aiutare? -
- Certo, conosco molto bene Demi, scegli un classico come qualcosa dei Beatles e andrai sul sicuro. -
Mi porse un grande disco di vinile.
- Ecco, credo le manchi questo, “let it be”, tieni. -
Lo ringraziai e mi diressi verso l'uscita.
- Aspetta Juls! - mi voltai di scatto.
- Si? -
- Volevo solo chiederti se stasera vi andrebbe di venire ad un falò in spiaggia. -
ero elettrizzata e spaventata all'idea.
- Ehm, lo chiedo a Demi e ti faccio sapere. -
- Ti lascio il mio numero. - me lo scrisse su un pezzo di carta da lettere ingiallita con una stilografica.

Una festa in spiaggia? Non potevo crederci, cosa ci si mette in queste occasioni?
Mi ero già pentita di avergli detto che ci avrei pensato.
Intanto ero arrivata al vialetto della casa di Demi, il sole faceva splendere le vetrate delle finestrelle.
Bussai una prima volta alla porta, nessuna risposta.
La seconda volta la porta si spalancò.
- Juls! Cosa ci fai qua?-
Demi mi guardò sorpresa e mi fece subito accomodare in casa.
- Sono passata per vedere come stavi e… ti ho portato un pensierino.-
allungai una mano fecendole vedere l’album.
- Grazie mille! – sembrava felice.

Mi portò in camera sua, la madre e la sorella Madison non erano in casa e
quindi eravamo libere di parlare di ciò che volevamo.

- Senti, John mi ha chiesto se stasera vogliamo andare in un falò in spiaggia con lui, che ne dici?-
pensavo che fosse ancora troppo scossa dalla situazione del padre.
- Si, andiamoci, ci farà bene.-
Chiamai John per informarlo che saremmo venute e lui mi disse che sarebbe passato a prenderci alle nove di sera.
Chiamai mia madre che mi diede il consenso e mi fece la solita ramanzina.

Suonò il campanello, erano le nove e mezza e John ci aspettava alla porta, prima di andare
Demi prese la sua chitarra e un borsone con due coperte.
In spiaggia c’erano una ventina di persone tra ragazzi e ragazze, tutti più grandi di me e Demetria,
ognuno aveva una birra in mano.

Il falò era già acceso e la musica era alta, mi sentivo un po’ a disagio in mezzo a tutti quei sconosciuti.
- Dai lasciati andare!- un ragazzo di nome Nick si era avvicinato a me, pensava davvero
che mi mettessi a ballare?
Povero illuso, io me ne stavo seduta sulla sabbia avvolta da una coperta mentre
Demi strimpellava qualcosa sulla sua chitarra.
Ad un certo punto un ragazzo a me sconosciuto propose di fare il gioco della bottiglia.
Scherziamo?
Il gioco della bottiglia tra quei cannati ubriaconi?
Dovetti accettare a mio malgrado. Ci disponemmo a semi-cerchio, il fuoco ardeva e
faceva scoppiettare la legna secca raccolta in spiaggia, Demi si sedette alla mia destra
mentre alla mia sinistra c’era una certa Katy, una biondina, occhi azzurri che aveva passato
tutta la serata a sbaciucchiare qualunque ragazzo le si avvicinasse.

John fece ruotare la bottiglia di birra vuota, speravo che non fermasse a me.
Il primo turno la scampai bella.
La bottiglia tornò a girare e si fermò su Demi, il fortunato l’avrebbe dovuta baciare.
Stava quasi per fermarsi, e si posò proprio su di me, mi misi a ridere,
non l’avrei mica baciata sul serio.
Un coretto si alzò d’improvviso.
- Bacio! Bacio! Bacio! – ridevano, per loro era divertente tutto ciò?
Trovavano divertente il fatto che io e Demi ci dovessimo baciare?
Non volevo, non perché mi facesse schifo o altro, la situazione mi imbarazzava molto.
- Dai, cosa vuoi che sia, facciamolo.-
Mi avvolsi sulla coperta calda, tutti ci fissavano aspettando che succedesse qualcosa,
abbassai lo sguardo, Demi mi si avvicinò lentamente, appoggiò la sua mano destra sulla
mia guancia bianca e fredda.
Tremavo.
I nostri volti si avvicinarono, in quel momento il resto non contava, tutto scomparve;
Il fuoco, l’oceano e le stelle non c’erano più.
Un bacio breve ma intenso, dopo di che mi sorrise.

Ma bottiglia continuava a girare, fortunatamente la sorte fu meno beffarda con me successivamente,
così dopo poco meno di un’oretta smettemmo di giocare.

Erano ormai le 5 del mattino, poco più o poco meno, aprimmo tutti i sacco a pelo e
ci mettemmo a dormire. Io ovviamente dormì insieme a Demi, ogni suo respiro mi
metteva in soggezione, non riuscivo a prendere sonno, ero imbarazzata ma nello stesso tempo impaurita.

Finalmente chiusi gli occhi e mi addormentai.

Il mattino seguente mi svegliai piuttosto presto, il sole batteva sulle nostre faccie, e
la salsedine aveva incrostato i nostri capelli.
Era tardi, dovevo correre a casa o mamma si sarebbe arrabbiata, decisi di lasciare un
bigliettino a Demi dove le spiegavo tutto e scappai via racimolando tutte le mie cose.

Erano più o meno le 10:30 del mattino, mamma stava ancora dormendo.
salì frettolosamente le scale chiudendomi in camera mia.
Mi sedetti sul davanzale del finestrone ripensando a quel maledetto bacio.

 

NOTE DELL'AUTRICE:
SCUSATE PER LE CONTINUE ASSENZE, LE MOTIVAZIONI SONO SEMPRE LE STESSE, MI STO SFORZANDO MOLTO A PUBBLICARE CAPITOLI CON MAGGIOR FREQUENZA, PER IL RESTO SE VOLETE RESTARE AGGIORNATI POTETE CONTATTARMI SU TWITTER: @zMuchLoveHarryz
BUONA LETTURA! :)

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