Fratelli uniti nel dolore... Fratelli uniti nel destino di Shannara_810 (/viewuser.php?uid=2580)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vigilia di Samhain, 1992 ***
Capitolo 2: *** Witch Hunters ***
Capitolo 3: *** Mabon 1992 ***
Capitolo 4: *** The Journey ***
Capitolo 5: *** Samhain, 1992 ***
Capitolo 1 *** Vigilia di Samhain, 1992 ***
Vigilia di Samhain, 1992
C'è grande fermento in casa in questi giorni.
Samhain è alle porte... il
secondo da quando i miei genitori sono
scomparsi.
Sento la magia crepitare
nell’aria, la sua presenza aleggiarmi
intorno. Ho solo dieci anni ma posso avvertire la sua presenza
distintamente.
Alle volte, la magia è
gentile come la brezza d’estate; alle
volte, invece, violenta come un tornado lanciato per distruggermi.
È il vento del cambiamento
questo, ne ho la certezza. Ha marcato
con la sua forza i momenti più importanti della mia vita: la
nascita dei miei
fratelli, la scomparsa di mamma e papà. Non mi ha mai
ingannato il vento. È
sempre stato portatore di notizie per me.
E anche se non riesco a comprendere
appieno il suo messaggio,
confido nella saggezza della Dea.
Lei sa cosa è giusto per
me, non mi farebbe mai del male.
Zia Shelagh me lo ripete in
continuazione: tutto accade per un
motivo ben preciso. Non esiste il caso nella Wicca. Ogni singolo evento
fa
parte del grande disegno.
Le sue parole mi sono di conforto, ma
non sempre.
Non quando il pensiero dei miei
genitori torna a farsi vivo più
prepotente che mai. E, con esso, tutto il dolore che un bimbo della mia
età non
dovrebbe mai conoscere.
È una cosa strana, il
dolore.
Alle volte, è quasi
insopportabile. Mi sento soffocare, una morsa
nel petto che mi ruba lentamente la vita.
Nei giorni seguenti la fuga misteriosa di mamma e papà, non
riuscivo nemmeno a
pensare. Il tormento era continuo: perché se ne erano andati
così
all'improvviso? Cosa gli era successo? Perché non ci
contattavano?
Le mille domande di Linden ed Alwyn servivano solo a peggiorare tutto.
Avrei
voluto urlare, scalciare, distruggere il mondo intero. Sono solo un
bambino...
come avevano potuto pensare che avrei avuto la forza di crescere da
solo i miei
fratelli?
O Dea, perdonami. So di essere ingiusto nei confronti di Zio Beck e zia
Shelagh. Loro ci hanno accolto senza esitare. Ci hanno amato e
sfamato... lo
so.
Però… sono una persona tanto orribile se non
riesco ad apprezzare in pieno il
loro aiuto?
Che cosa devo fare?
Ora, dopo due anni, il dolore mi assale a ondate. Ondate via via
più rade.
Tento di tenermi occupato pur di non soffrire ma, certe notti, il
desiderio di
ritrovare i miei genitori torna sempre più assillante.
E, a quel punto, l'unica cosa che
posso fare e rannicchiarmi sotto
le coperte e piangere lacrime silenziose. Non voglio che gli altri mi
vedano
così... sono l'uomo di casa adesso. Linden ed Alwyn contano
su di me. Devo
essere forte, se non per me, per loro.
Ma non è questo a farmi stare tanto male. Oh, Dea! Mi sembra
di dimenticarli. I
loro visi, le loro voci. Non sono più così nitidi.
Non voglio, no! Non posso, non posso dimenticarli! Dea, Dea stammi
vicino!
Ecco... un’altra lacrima. La asciugo con la forza della mia
disperazione. Non
sono debole. Non sono debole continuo a ripetermi.
Eppure ho la sensazione che Athar sappia tutto. Lo capisco dal modo in
cui mi
guarda... non voglio la sua compassione.
La casa è in subbuglio. Sono tutti occupati con la
preparazione della festa ed
è toccato a me aiutare Linden ed Alwyn con i loro costumi.
Il risultato non è
stato dei migliori ma ringrazio la Dea ugualmente. I bambini non si
sono
lamentati e questo riesce quasi a farmi scordare il dolore che provo
per le mie
povere dita piene di buchi.
Eccolo.
Quello strano vento
ha ripreso a soffiare. Lo percepisco nitido, fin dentro le ossa.
Che cosa stai per portarmi, vento?
Oggi, mi è successa una cosa strana. Mi stavo esercitando
per affinare le mie
doti di divinazione con l'acqua quando, nella ciotola che stavo
utilizzando per
i miei esercizi, è comparso un volto. Ma non un volto
qualsiasi... era quello
di un bambino... un bambino più o meno della mia
età, con i capelli castani e
gli occhi strani, come mai ne avevo visti. Sembravano quelli di una
tigre.
Il suo volto era sudato, febbricitante, contorno in una smorfia di
dolore.
Una fitta lancinante mi ha trapassato un fianco. Per un attimo, mi
è parso di
riuscire a percepire il suo stesso dolore.
Quando ho allungato una mano per toccare la superficie dell'acqua,
l'immagine è
scomparsa lasciandomi un gran vuoto dentro.
Chissà chi era quel bambino? Non ho idea di chi sia eppure...
Non so, ma ho come l'impressione di doverlo sapere... come se lui fosse
importante per me... in un qualche modo misterioso che solo il Dio e la
Dea
possono conoscere.
Ho pregato la Dea affinché lo faccia guarire.
Quando ho raccontato l'accaduto ai miei zii, loro si sono rivolti
un'espressione strana. Uno sguardo cupo e preoccupato che non sono
riuscito a
decifrare. Nemmeno la notizia della sparizione dei miei li aveva
sconvolti fino
a questo punto.
La zia Shelagh mi ha rivolto un
sorriso forzato e mi ha detto di
non preoccuparmi. Sicuramente mi sarò sbagliato.
So che mentiva. Ne sono certo.
E' tardi. I miei fratelli dormono già da un pezzo. Io,
però, non ci riesco. Sta
per succedere qualcosa, me lo sento.
I vetri delle finestre della stanza vibrano forti. Fuori, una tempesta
senza
precedenti si sta scatenando da ore, fin da quando il sole è
andato a coricarsi
dietro le montagne. Forse la festa di domani sarà cancellata.
Athar ha tentato di spaventarci, dicendo che non si tratta di una
tempesta come
le altre bensì di Spiriti Maligni venuti a prendere noi,
bambini cattivi. Tutte
sciocchezze!
Anche se Linden ha provato a nasconderlo, si vedeva che era spaventato.
Alwyn l’ha
preso in giro tutto il tempo.
CRASH
Uno strano rumore dal piano inferiore. È meglio andare a
controllare…
_*_*_*_*_*_
Poche ore.
Sono bastate poche ore per mandare
tutto il mio mondo in frantumi.
Sono qui seduto a scrivere alla luce
di una piccola torcia,
tentando di fare ordine, di capire cosa è successo.
Non credo di farcela, non credo di
riuscire a scrivere nulla di
sensato.
È quasi l’alba,
la notte è ormai trascorsa.
Eppure mi sembra passata
un’eternità. Una vita intera dal momento
in cui ho scarabocchiato per l’ultima volta su questa pagina.
Non sono più lo
stesso.
Non riesco nemmeno a dare significato
a queste mie parole
d’inchiostro. Segni incomprensibili che si rincorrono
l’uno dopo l’altro su di
un foglio bianco.
La mia mente sta viaggiando a una
velocità impressionante. Mille e
più pensieri si stanno dando battaglia dentro di me,
scontrandosi senza sosta
fino a farmi male.
Non so più cosa pensare.
Poche ore, poche semplici ore e la mia
curiosità di bambino.
Poche semplici ore per rivelarmi una
verità che non sono sicuro di
poter accettare.
Ho sentito la porta sbattere verso mezzanotte. È stato
questo a mettere in moto
tutto.
Il
rumore di una porta
chiusa con forza e quello di passi pesanti.
Ho udito lo zio Beck imprecare e la
zia Shelagh mormorare
qualcosa. Che ci facevano in piedi a quell’ora, mi sono
chiesto.
Poi dei singhiozzi a stento trattenuti.
Qualcuno stava piangendo.
Sono sceso a controllare, per assicurarmi che fosse tutto apposto.
Avevo il
cuore in gola.
Ho afferrato la torcia che avevo usato per scrivere sul mio Libro delle
Ombre ed
ho infilato un cuscino sotto le coperte. Per essere sicuri. Conosco fin
troppo
bene le punizioni di zio Beck. Non avevo la minima intenzione di
ripulire i
recinti delle pecore ancora una volta.
Piano piano, sono passato accanto ai
letti di Linden ed Alwyn. Per
fortuna loro stavano ancora dormendo.
Cercando di non far il minimo rumore, ho aperto la porta della nostra
stanza e
mi sono diretto verso le scale.
SCRIT SCRIT
Ogni cigolio delle travi di legno, un
brivido. Strano come quando
il silenzio è necessità, si riesca sempre a fare
tanto baccano.
D' un tratto una mano sconosciuta mi ha afferrato una spalla.
Sono sobbalzato spaventato, trattenendo a stento un urlo. Mi sono morso
un
labbro con forza per trattenere quel grido che mi si è
spezzato in gola.
Mi sono voltato per colpire
l’aggressore, quando questi mi ha
posto una mano sulla bocca e ha lasciato che la luce della torcia
illuminasse i
suoi lunghi capelli d’oro.
Era Athar. Anche lei è
stata svegliata da quegli strani rumori.
Mia cugina si è portata un dito alle labbra, facendomi cenno
di restare in silenzio.
Se fossimo stati scoperti in piedi a quell’ora, sarebbero
stati guai. Mi ha
lasciato andare, incamminandosi dietro di me con passo felpato.
Siamo scesi al piano di sotto, tentando di fare meno rumore possibile.
Le
scale, come lo stretto corridoio, parevano non finire mai.
C'era qualcuno in cucina. Ci siamo
nascosti dietro la porta
socchiusa, tentando di sbirciare attraverso il piccolo spiraglio che
era stato
lasciato aperto. Ci siamo accucciati l’una addosso
all’altro, un occhio attento
incollato a quella piccola breccia.
Il camino della cucina era acceso e gettava ombre spettrali tutto
intorno.
Potevo vedere la zia Shelagh china su di una piccola figura
incappucciata
mentre lo zio Beck, il viso pallido e stravolto, stava leggendo una
lettera con
mani tremanti.
Con loro, c'era anche un uomo che non avevo mai visto. Era alto, magro,
con la
barba scura e lo sguardo corrucciato.
Parlava a bassa voce con lo zio ma non riuscivo a capire cosa si
stessero
dicendo.
Altri singhiozzi.
La figura ammantata di nero stava tremando.
Zia Shelagh gli ha abbassato il cappuccio, asciugandogli le lacrime e
mormorandogli parole di conforto.
La schiena della zia mi si parava davanti perciò non
riuscivo a vedere bene.
Però…
Il vento, potevo sentirlo accarezzarmi
la pelle e mormorarmi
strane litanie all’orecchio.
È il momento, mi pareva
dicesse. È il momento.
D’un tratto la zia si è spostata di lato ed
è stato allora che i nostri sguardi
si sono incrociati per la prima volta.
Quegli occhi... gli occhi di tigre.
È il momento.
Senza rendermene conto ho spalancato la porta, nonostante Athar abbia
cercato
di fermarmi.
Ma non l’ho ascoltata. Non la vedevo.
Tutto il mondo intorno a me si era
dissolto.
Vedevo solo quegli occhi. Quelli del
bambino della mia visione.
Vagamente, ho sentito la zia Shelagh sobbalzare e lo zio Beck
rimproverarmi.
Non ascoltavo nemmeno loro.
Tutta la mia realtà era ora
concentrata in due piccoli occhi di
tigre.
Con passo lento, mi sono avvicinato a quello strano bambino tutto
infreddolito.
Il viso pallido e smunto. I capelli
incollati sulla fronte per la
pioggia e una lieve febbre.
Era tutto identico a ciò
che l’acqua mi aveva mostrato.
Quando ho tentato di sfiorargli una guancia per costatare se fosse
reale, o solo
un altro frutto della mia immaginazione, lui si è ritratto
spaventato, quasi avesse
paura di essere ferito.
Non potrò mai dimenticare quel momento, nemmeno fra cento
anni.
Zia Shelagh mi ha parlato piano, con dolcezza. Con una
solennità che non le ho
mai sentito usare.
"Giomanach" . Mi ha detto. "Questo... questo è tuo fratello
Calhoun".
Giomanach
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Capitolo 2 *** Witch Hunters ***
Witch Hunters
Eccomi
con
il secondo capitolo! Non so con quanta frequenza riuscirò ad
aggiornare ma ho
approfittato di questo giorno di vacanza per mettermi all'opera.
Ringrazio
tutti quelli del forum che mi hanno recensito e soprattutto tutte le
splendide
persone che hanno risposto alle mie innumerevoli domande. Pensavo di
alternare
il POV dei due fratelli, ognuno dei quali sarà introdotto da
un passo del loro
Libro delle Ombre. Avendo iniziato la storia con Hunter, questo
capitolo è
narrato da lui. Perdonatemi se i personaggi non saranno proprio IC.
Grazie,
ancora.
_______________________________________________________________________________
Stavamo correndo attraverso la Foresta Nera. Una foresta sempre
più fitta che
sembrava volerci ghermire con i suoi artigli di legno scheletrici.
Ero
stanco.
Il fiato mi usciva dalle labbra come una candida nuvola d'incenso che
presto si
dissolveva nell'aria gelida come se non fosse mai esistita.
Era
buio... era
tutto buio.
Prima
notte di
novilunio del nuovo anno. Nuovo anno almeno secondo gli umani.
Non che questo dovesse contare qualcosa. Per un Cacciatore di streghe
non
esiste mai pace. Nemmeno in un giorno di festa.
Continuavo a correre nel tentativo di avvicinarmi al mio obiettivo.
Rami spogli
mi sferzavano sul viso come fruste oscure, graffiandomi il volto
pallido.
Vecchie radici mi sbarravano la strada, tentando di farmi inciampare.
Ah, il mio nome è Hunter Niall.
Sentivo il rumore di foglie calpestate, ramoscelli venire spezzati.
Potevo
captare il respiro leggero degli animali ancora in letargo.
Poi solo
il
silenzio.
La
radura
doveva essere vicina.
D'un tratto, ho intravisto fra la fitta vegetazione di quelle piante
sempreverdi due occhi da fiera scintillare guardinghi. Hmm, doveva
essersene
accorto anche lui.
La mia
tigre...
il mio cane da guardia personale.
Mi veniva quasi da sorridere a quell'espressione. Un'espressione che
sapevo
mandarlo tremendamente in bestia.
Ma era
meglio
non distrarsi.
Eravamo partiti in quattro per quell'incarico. Un incarico fatto di
pedinamenti
ed indagini accurate. Ora eravamo giunti alla stretta finale. Presto
sarebbe
tutto finito.
Avevamo distanziato i nostri compagni già da molto.
C'eravamo solo noi due.
Un fruscio sinistro. Prima ancora che potessi reagire, due palle di
fuoco
magico si sono scontrate a pochi metri da me, lasciando solo terra
bruciata al
loro passaggio.
"Di là!". Ho urlato ma il mio compagno era già
scomparso.
La sfera di fuoco era arrivata da un corridoio semi nascosto dalla
vegetazione.
L'ultima risorsa di un animale oramai preso in trappola. Mi sono
lanciato al
suo inseguimento, facendomi strada a forza tra quelle foglie sempre
più serrate
finché non riuscii a sbucare in una piccola radura.
"Igor McBride, del clan dei Vikroth, ti chiamo a rispondere di fronte
al
Consiglio Internazionale delle Streghe. Vieni avanti". Il suo tono era
glaciale, il suo sguardo proprio quello di una tigre pronta a compiere
il balzo
finale sulla propria preda.
Sgath... mio fratello.
La preda in questione era una strega dai folti e ricci capelli ramati
cui
avevamo dato la caccia per due mesi interi.
Igor McBride era stato ritenuto dal Consiglio colpevole di aver
utilizzato la
stregoneria per fini personali, eliminando ogni possibile minaccia ai
suoi
affari. Era un imprenditore edile molto famoso nella zona. Famoso per
la sua
incredibile "fortuna" negli affari.
Coloro che avevano tentato di ostacolarlo erano tutti misteriosamente
passati a
miglior vita: un attacco di cuore, un incidente stradale...
Le
autorità
umane da tempo sospettavano un suo coinvolgimento ma non c'erano mai
state
prove.
Per noi, invece, era tutta un'altra storia.
Igor ha emesso un gemito sconfitto ma il suo persecutore non si
è lasciato
intenerire.
"Vieni avanti!" Gli ha intimato nuovamente.
La strega si è inginocchiata al suolo coperto di neve mentre
il rubino
dell'athame di Sgath luccicava, carico di potere, tracciando un
rettangolo di
luce azzurrognola sul suo corpo.
Igor ha
urlato
e si è come piegato in due, intrappolato in quella luce.
Occhi di tigre si sono posati su di me in una muta richiesta ed io ho
risposto
con un lieve cenno.
Mi sono
avvicinato a loro, estraendo una catena d'argento dalla tasca del
mantello: il
braigh.
Non appena Sgath glielo ha infilato, legandolo con le braccia dietro la
schiena
in modo che non potesse più fuggire, le urla di quella
strega hanno sovrastato
tutto. Erano agghiaccianti.
Ho
sentito i
peli delle braccia drizzarsi per l’orrore e diversi uccelli
alzarsi in volo
spaventati.
Purtroppo
il
nostro compito non era ancora concluso.
D'un tratto, un lieve mormorio si è levato alle nostre
spalle. Gli altri due
cacciatori ci avevano finalmente raggiunti.
Ma non
importava. Avevo ancora un lavoro da fare.
"Igor McBride hai invocato dei taibhs per rafforzare i tuoi affari ed
eliminare tutti i tuoi rivali?".
L'uomo singhiozzava e gemeva senza sosta. A contatto con l'argento del
braigh,
la pelle dei suoi polsi si è riempita di terribili piaghe
rosse.
Sgath ha strattonato la corda, stringendola ancora di più.
"Hai invocato dei taibhs per rafforzare i tuoi affari ed eliminare
tutti i
tuoi rivali?". Ho ripetuto ancora, la mia voce gelida e implacabile in
un
pallido tentativo di imitare quella di Sgath.
"Si". Ha risposto finalmente l’accusato con un flebile
sussurro.
"Hai offerto in cambio la loro vita?".
"Sì". Ha mormorato ancora.
Mi sono voltato verso gli altri due cacciatori che ora erano fermi
vicini a
noi, i loro sguardi severi fissi su quella scena.
"Evan Fitzpatrick, hai bisogno di altre spiegazioni?". Era una
domanda inutile ma sapevo di dover rispettare il rituale.
"No". Ha mormorato il cacciatore dai capelli fiammeggianti. Aveva
poco più di vent'anni ed era sempre stato un ragazzo dal
sorriso contagioso.
"Colum O'Hara, sei convinto?".
"Si". Ha sussurrato l'altro. Era un uomo piccolo e tozzo, dalla
chioma corvina ed un collo quasi inesistente.
Mi sono girato per un attimo verso mio fratello, senza aggiungere
altro. Sgath
mi ha risposto con un semplice cenno del capo. Era abbastanza.
"Ora ce ne occupiamo noi, ragazzi".
Colum ha preso il capo del braigh dalle mani di Sgath con un lieve
sorriso sul
suo viso stanco. Mio fratello glielo ha porto senza mai fiatare. A quel
punto si
è voltato senza far rumore, avviandosi nella notte come una
fiera finalmente
sazia.
"Il Mastino Woodbane ha colpito ancora". Una voce ha sghignazzato in
un tono abbastanza alto affinché Sgath potesse ancora
sentirlo. Lui, però, non
si è fermato e ha continuato per la sua strada.
Ha continuato a camminare in quel modo tutto suo, quasi come se tutto
il peso
del mondo gravasse sulle sue spalle.
Il Mastino Woodbane.
Era
così che lo
chiamavano nella comunità wicca. E questo era anche uno
degli epiteti più
piacevoli con il quale era definito.
Mi sono voltato di scatto verso la persona che sapevo aver fatto quella
battuta
idiota: Evan. Se avessi potuto incenerirlo con lo sguardo a quest'ora
sarebbe
già morto.
"Lascialo in pace". Ho sibilato.
"Oh, avanti, Hunter. Quel ragazzo mette i brividi a tutti. Se non fosse
tuo fratello, potrei anche pensare che...".
Evan non ha avuto il tempo di completare quella frase. Senza rendermene
nemmeno
conto, gli ho sferrato un pugno in pieno viso, lasciandolo steso a
terra e
seguendo le tracce di mio fratello.
"Cazzo...". Evan si è portato una mano al viso, dove una
lieve ombra
violacea già cominciava a fare la sua bella comparsa.
"Sta zitto, moccioso". Lo ha rimproverato il vecchio Colum.
"Hanno fatto il loro lavoro e lo hanno fatto molto bene. Quindi sta
zitto
e lasciali stare".
Ho sentito dei gemiti mentre Igor veniva fatto alzare. "Muoviti tu. Il
Consiglio deciderà cosa fare".
_*_*_*_*_*_
Com'era previsto Athar mi stava aspettando con impazienza.
Athar,
la mia
biondissima e serissima cugina, se ne stava appoggiata allo stipite
della porta
di quella piccola cucina. Potevo già pregustarmi la sua
bella ramanzina per
aver fatto tardi.
Con
Athar nei
paraggi, non mi sono mai sentito un uomo adulto.
Il
Consiglio
aveva affittato per noi una piccola casetta fuori città, in
un paesino quasi
sconosciuto al limitare della Foresta Nera.
Mentre
noi
trascorrevamo le nostre giornate seguendo le tracce di Igor, Athar si
occupava
delle faccende domestiche, preparandoci i pasti e rammendando i nostri
abiti.
Qualche volta, andava giù in paese per fare delle domande in
giro. Un modo come
un altro per aiutarci.
"Dov'è?" Le ho chiesto, spegnendo sul nascere ogni sua
lamentela.
Athar si è limitata ad indicarmi con il pollice le scale,
intuendo
perfettamente a chi mi stessi riferendo.
Mi sono tolto il mantello bagnato di neve e l’ho appoggiato
sull'appendiabiti
vicino al camino, prima di iniziare a salire le scale che conducevano
al piano
superiore.
Mi
sentivo
stanco. Tutte le emozioni di quella giornata ora tornavano
prepotentemente a
farsi sentire nello stesso momento. Se non mi fossi sorretto al
corrimano,
sarei crollato di colpo. Ne ero sicuro.
"Digli che la cena è quasi pronta. La cattura è
andata bene, non dovrebbe
fare così". Detto questo, Athar mi ha lanciato un
asciugamano con cui ho
iniziato subito a frizionarmi il capo.
Ho sospirato, prima di passarmi una mano fra i miei capelli color del
grano
ancora umidi. Volevo solo farmi una bella doccia calda e dormire per
almeno un
secolo.
Il piano superiore era completamente al buio, avvolto in un silenzio
quasi
spettrale.
Sgath... o meglio, Calhoun.
Mio
fratello
maggiore.
Sei mesi
ed un
universo intero a dividerci.
Per citare una frase che mia zia Shelagh soleva ripetermi da bambino,
noi due
siamo come l'aria e il fuoco. Per quanto io sia limpido e trasparente,
Cal è un
concentrato di energie che non riesce mai a trovare pace. Sempre alla
ricerca
di qualcosa. Sempre tormentato da uno spettro cui non riesco a dare un
nome.
Cal... Cal, per me, è un mistero senza fine.
Schivo,
taciturno, con quello sguardo magnetico che ti sa leggere dentro. Uno
sguardo inquietante
che dà l'impressione di sapere sempre cosa ti passa per la
testa.
Cal.
Non ci
sono
parole per descriverlo bene. Non credo che siano state ancora inventate.
Da bambini, ricordo che era sempre additato come quello strano, quello
diverso.
L'unico Woodbane puro in una congrega di Wyndekell.
Ora sono sicuro che vi starete chiedendo come questo sia possibile.
Vedete, io
e Cal condividiamo solo il padre. Sua madre, la sua vera madre, era
stata la
prima moglie di mio padre: una donna malvagia, assetata di potere e
votata
all'uso della magia nera.
A
nessuno è mai
piaciuto parlare di lei, a mio fratello per primo. Non ha mai voluto
parlarmi
di com’era stato vivere con lei. E i suoi silenzi hanno
sempre lasciato che la
mia immaginazione galoppasse verso le torture più indicibili.
Alle volte, tremo al pensiero di come sarebbe potuto divenire se fosse
rimasto
con lei. Ma, grazie all'intervento della Dea, non è stato
così.
Cal è venuto a noi in una notte di tempesta, due anni dopo
la misteriosa
scomparsa dei miei genitori. Avevo all'incirca dieci anni
all’epoca e vivevo
con i miei fratelli presso una congrega di Wyndekell, dal fratello di
mia
madre.
È
stato portato
dal vento il giorno di Samhain, accompagnato solo da un Cacciatore
amico dei
miei genitori e da una lettera indirizzata a mio zio proprio da parte
di mia
madre.
Avrei
saputo
cosa quella lettera dicesse per intero solo anni dopo.
C’erano troppe cose che
un bimbo di dieci anni non avrebbe mai dovuto conoscere.
Zio
Beck, però,
quel giorno me ne lesse l'ultimo passo. Un passo che non
potrò mai e poi mai
dimenticare.
"Giomanach, abbi sempre cura di questo
tuo fratello perduto,
di questo figlio sconosciuto che la Dea mi ha donato. Proteggilo come
proteggeresti Alwyn o Linden. Prendetevi sempre cura l'uno dell'altro,
figli
miei".
E così è stato da allora. Ci siamo presi l'uno
cura dell'altro anche se, a
volte, non è stato facile. Anche se, alle volte, sono stato
accecato dall'odio
più oscuro nei confronti di questo mio fratello dagli occhi
di tigre.
Cal, tuttavia, non me ne ha mai voluto e ha continuato a vegliare su di
me in
silenzio, come aveva sempre fatto.
Ho spalancato la porta della sua stanza. Lui era lì, seduto
sul bordo del
letto, a fasciarsi un fianco nella più completa
oscurità.
La sua cicatrice. Quella che mai ha voluto mostrarmi e che lo avvertiva
ogni
volta di un pericolo. Il suo campanello contro il male mi ha sempre
detto,
scherzando.
Un campanello che sembrava sanguinare ogni volta che veniva in contatto
anche
con la sola aura lasciata dalla magia nera.
"Stai bene?" Gli ho chiesto, avvicinandomi piano.
"Perché non dovrei?". È stata la sua laconica
risposta dopo un lungo
silenzio.
"Calhoun". Calhoun, lo chiamavo così quando volevo con
insistenza una
risposta che lui non voleva darmi.
"Ahi, ahi. Cosa ho fatto stavolta?". Ha replicato con noncuranza,
come se lo squarcio che gli sanguinava su un fianco fosse un dettaglio
del
tutto trascurabile.
Si è rinfilato la camicia scura, alzandosi dal letto e
parandosi di fronte a
me. Anche al buio, i suoi occhi scintillavano.
"Non dovresti dar peso a quello che ti ha detto Evan". Gli ho
sussurrato. Quello stupido dava sui nervi anche a me. Non ho mai capito
perché
il Consiglio si ostinasse a mandarcelo dietro.
"Non do peso a cosa mi dicono gli idioti come Evan già da
molti anni,
fratellino".
Fratellino e con questo sapevo che il discorso era chiuso.
"Su, muoviti. Sto morendo di fame". Cal mi è passato
davanti,
dirigendosi verso il piano inferiore.
"Cal...".
"Siamo Cacciatori, Giomanach. Non c'è spazio per stupidi
sentimentalismi
in questo lavoro. Lo so io e lo sai tu. E poi, Evan è un
idiota".
Non ha aggiunto altro.
Cal sarebbe continuato ad essere un mistero per me. Un enigma
complicato di cui
desideravo ardentemente possedere la chiave. Forse solo Alwyn riusciva
a
capirlo davvero.
Eravamo Cacciatori, i cacciatori più giovani dell'intero
Consiglio.
Il
mestiere più
ingrato dell'intera comunità wicca. Quando ho deciso di
entrarvi a far parte,
Cal mi ha seguito senza esitare. A nulla sono valse discussioni e
litigate e
zuffe. È stato irremovibile. Nonostante abbiano cercato di
fermarlo, di
mettergli i bastoni tra le ruote, lui ce l'aveva fatta. Li ha battuti
tutti.
Il Mastino Woodbane che non molla la presa finché non ha
raggiunto il suo
obiettivo.
Ancora oggi, nonostante tutto, viene additato come quello differente.
Un
Woodbane, come se questo possa spiegare in pieno quell'organismo
complesso e
chiuso che è Cal. Lui sembra non darci peso eppure io soffro
per lui.
Cacciatori...
Io
sapevo
perché avevo voluto farlo... per Linden. Per espiare il
crimine di non essere
riuscito a salvarlo. Cal non doveva sacrificarsi con me.
Quando gli ho detto come la pensavo, la sua risposta mi ha gelato il
sangue
nelle vene. Non sono state tanto le sue parole, quanto il tono con cui
le aveva
pronunciate.
"Ho un
debito da ripagare. La mia vita ha valore solo per saldare quel pegno.
Ho già
perso un fratello, Giomanach. Non ti permetterò di farmene
perdere un
altro".
Un debito... non ho mai saputo a cosa si riferisse e lui non ha toccato
mai più
quell'argomento.
Eravamo Cacciatori, eravamo partner, eravamo fratelli. Avremmo
condiviso quel
destino ingrato insieme. Questo era tutto ciò che dovevo
sapere.
Quando zia Shelagh è venuta a conoscenza della nostra
decisione, mi ha rivolto
un sorriso triste. La fiamma di Sgath avrebbe continuato ad ardere
senza sosta
fino al giorno in cui avrebbe incontrato o l'acqua che lo avrebbe
contenuto,
oppure si sarebbe consumata senza via di scampo. È stato un
avvertimento arcano
quello della zia.
"Giomanach!". il mio nome mi ha riscosso da quelle tristi riflessioni.
Athar e Sgath erano già a tavola. Lui stava leggendo il
giornale,
sbocconcellando qualcosa controvoglia mentre lei lo rimproverava di
continuo.
Il mio sguardo si è posato d'improvviso su di una busta
sigillata con l'effige
del Consiglio. Un nuovo incarico, ho letto rapido tentando di contenere
i miei
pensieri: una giovane strega a Widow's Vale, negli Stati Uniti. Un
enorme
potere.
"Cos'è quella faccia?". Mi ha chiesto Athar. Ero un libro aperto per lei. Non
aveva senso
mentire.
"Preparatevi. Domani si parte per Widow's Vale". Mi sono seduto
anch'io, iniziando a mangiare qualcosa.
"E dove sarebbe?". Ha domandato mia cugina, un pò acida.
Detestava
spostarsi da un luogo all'altro senza sosta, ma era stata una sua
scelta quella
di seguirci per "vegliare su di noi".
Athar
non aveva
un carattere facile ma quella sera era anche peggio del solito.
"Lasciala stare. E' stata piantata un'altra volta". Ohh, ecco.
Athar gli ha mollato una gomitata ma gli occhi di Cal hanno assunto
quella loro
strana luminosità che voleva dire che stava ridendo. Lui
è fatto così: ride con
gli occhi.
"USA. Pare che sia una giovane non ancora iniziata con un potere
sorprendente. Un potere come non si è mai visto prima,
almeno fin dai tempi di
Belwicket".
Al suono di quel nome occhi di tigre si sono spalancati di colpo.
Belwicket:
la
Congrega Woodbane che aveva rinunciato alle forze del male. Il modello
di vita
che mio fratello ha scelto di adottare.
"Io ho finito".
Senza aggiungere altro, Cal si è alzato di colpo
tornandosene in camera sua.
"Hunter...".
Ho scosso la testa e Athar ha taciuto. Ben altro mi stava dando
pensiero in
quel momento.
Una volta sentita una porta di legno sbattere, le ho rivolto
un’espressione colpevole.
Avevo mentito a mio fratello. O, meglio, gli avevo taciuto un
particolare
importante sulla nostra missione.
"Selene è a Widow's Vale". Ho detto d’un fiato,
mentre lo sguardo
inorridito di mia cugina passava da me a quelle scale deserte.
Selene Belltower... la madre di mio fratello.
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Capitolo 3 *** Mabon 1992 ***
Mabon 1992
Oggi la febbre è calata ancora e sono riuscito a mandar
giù un pò di minestra.
Sono persino riuscito a restare sveglio per più di pochi
minuti.
Tutto è così confuso. Realtà, visioni,
ricordi...
Incubi... orribili incubi.
Non riesco a
capire cosa mi sta succedendo. Non so più cosa è
vero o cosa è solo frutto
della mia mente stanca e febbricitante.
Ho solo dieci anni ma mi sento tanto più vecchio. Come se
avessi vissuto mille
e mille vite ancora, l'una dopo l'altra. Tante vite segnate solo dal
dolore e
dalla disperazione.
Non so se questo sia possibile, ma ho un'unica certezza: la mia
infanzia è
finita, perduta per sempre.
Gli occhi continuano a bruciarmi, però, faccio di tutto per
tenerli aperti. Non
voglio dormire, no. Non voglio.
Ho paura di chiudere gli occhi e risvegliarmi di nuovo in quella grande
casa
gelida.
Ho paura di risentire quelle grida inumane e vedere la Bestia dagli
occhi rossi
inseguirmi ancora...
E
raggiungermi...
E
ghermirmi...
E strapparmi
alla luce del sole, questa volta, per sempre.
Ogni notte, sempre lo stesso sogno. Ogni notte, da quando mi sono
risvegliato
dal lungo sonno. Ogni notte, lasciandomi alla fine spossato e debole,
ancora
più della febbre che non mi lascia mai libero.
Nulla intorno a me è familiare. Una stanza piccola e
spoglia, sempre immersa
nell'ombra.
Un piccolo raggio di luna filtra da un esile spiraglio sfuggito alle
finestre
serrate. Un raggio di luna. L'unico mio contatto con il mondo esterno.
E proprio sotto la luce fioca di questa pallida luna che ho deciso di
scrivere
su codesto mio nuovo Libro delle Ombre.
Me lo ha regalato la donna dai capelli rossi, dicendo di scriverci i
miei
pensieri, i miei sogni, le mie speranze. Mettendo su carta tutto
ciò che mi
porto dentro. Perché, in questo modo, scegliere la strada
migliore per il mio
futuro sarà più facile.
Un futuro
libero... tutto mio.
Questo è un pensiero strano per me: una vita mia, dove sono
io a scegliere cosa
è giusto e cosa è sbagliato.
E' una grande responsabilità questa e mentirei se non
dicessi che mi fa paura,
però...
È … è
bello.
Così bello.
La
mia vita... mia.
Queste parole hanno un suono così dolce.
Alle volte, quando pensa che io stia dormendo, la donna dai capelli
rossi si
siede accanto al mio letto e mi accarezza i capelli. Mi canta una dolce
nenia e
prega la Dea affinché io guarisca.
Affinché
cresca sano e forte... felice.
Essere felici.
Questo è un
altro concetto strano per me. Le persone vivono per essere felici.
Perché?
Nella mia vecchia vita, ciò che contava era il potere. Ho
iniziato a studiare
la Wicca quando avevo solo quattro anni e mi è stato sempre
ripetuto che quello
che facevo serviva a raggiungere un potere più grande.
La donna dai capelli rossi... no, Fiona.
Il suo nome
è Fiona.
Invece,
Fiona mi dice che devo vivere per essere felice. Non riesco a capire
bene cosa
vuol dire ma credo che questo un senso ce l'abbia.
Ahhh!
Una nuova
fitta al fianco. E' un dolore fortissimo ma una parte di me lo accetta
volentieri. Questo dolore mi ricorda che sono vivo.
Qualcosa di umido mi bagna il fianco. La ferita deve aver ripreso a
sanguinare.
Quando si rimarginerà, rimarrà una bella
cicatrice.
L'ultimo
ricordo della mia vecchia vita, del vecchio Cal Niall e... di lei.
No, non voglio più parlare di lei. Per
me è scomparsa insieme all'altro
Cal. Non è nulla per questo nuovo io, un'estranea.
Il raggio di luna si sposta ancora un pò su queste coperte
spesse. Deve essere
l'ora di cena.
Il mio stomaco già inizia a borbottare. Beh, almeno vuol
dire che sto guarendo.
Ogni sera, Fiona mi cambia la fasciatura. Mi applica una salvia
speciale e mi
bacia la fronte.
Il suo viso è pallido e segnato dalla fatica e dalle
preoccupazioni, però, lei
non smette mai di sorridermi. Come chi, nonostante sia stata vittima di
un
grande terrore, ha trovato in sé la forza per scacciarlo via.
Ecco mi è successo di nuovo.
Cos'è questa strana sensazione che ho nel petto? Come una
bolla calda sale
dalla bocca dello stomaco fino alle guance, facendomi arrossire ogni
volta che
lei mi sfiora o mi parla con la sua voce gentile. E' ammirazione?
Gratitudine?
Affetto?
Non sono suo figlio. Anzi, dovrebbe avere tutti i motivi per odiarmi ma
lei non
lo fa. Mi ha salvato, mi ha guarito.
Fiona dice di volermi bene. Non dovrei fidarmi ma voglio crederle.
Sembra una
persona sincera.
Strani rumori provengono da fuori la porta di questa mia stanzetta. Dei
sussurri. Devono essere tornati.
Fiona e Daniel... mio padre.
Un padre che mi ha abbandonato, dimenticato, lasciandomi nelle mani di lei.
Un padre che, anche quando tenta di parlarmi, non mi guarda mai negli
occhi e
fugge subito dopo.
Un padre per cui ho dato la mia vita e che, so, non mi vuole. Non prova
affetto
per me, ma solo senso di colpa per quello che è accaduto.
Io non sono suo figlio, non sono come Giomanach o Linden o Alwyn.
Io sono il figlio di lei.
Io sono soltanto Sgath, l'Oscurità. Quello inutile, messo da
parte, senza alcun
valore.
Lei spesso mi parlava di loro, urlando contro l'uomo
che ci aveva
abbandonati per un'altra donna, che si era rifatto una famiglia lontano
da noi
e aveva avuto altri figli più importanti di me.
Per molto tempo, sono stato arrabbiato con Daniel... papà,
per avermi lasciato,
ma una vocina dentro di me ha sempre sussurrato che lui non voleva
farlo, che
ci è stato costretto, che mi vuole bene nonostante tutto.
Ma allora perché se n'è andato e non mi ha
portato con lui?
È stata
colpa di lei?
È tutto
troppo difficile da capire. Però, una cosa è
evidente: papà è felice con Fiona.
Anche se sono costretti a scappare. Lui è felice.
Posso quasi capirlo. Fiona è speciale.
Anche io voglio una persona che mi faccia felice come lei fa con
papà. Voglio
una persona dolce come Fiona.
Una persona che mi rimbocchi le coperte e mi dia il bacio della buona
notte e
mi abbracci e voglia leggere con me. Una persona gentile che mi sorrida
sempre
e sorrida sempre anche ai nostri figli.
È così che
si comporta una vera mamma, vero?
Lei non mi ha mai abbracciato. Non mi ha mai detto
che mi voleva bene.
Io ero solo uno strumento. Un oggetto che alla fine non le serviva
più.
Prima di svenire, quella notte, le ho sentito pronunciare queste
parole. Parole
che non scorderò mai finché la Dea mi
concederà di vivere.
Fiona e papà credono che io non ricordi nulla ma si
sbagliano.
"Muori, sporco traditore. Mi libererò della tua presenza
come di questo
inutile moccioso bastardo. Mi vendicherò dell'affronto che
ho dovuto
subire!".
Un inutile bastardo. Così mi ha definito... non ho pianto
per questo.
Nella Wicca esiste la Legge del Tre: tutto ciò che fai, ti
ritorna indietro tre
volte.
Un giorno, lei pagherà per il male che
ha fatto. Sarò proprio io il
braccio della Giustizia della Dea.
Le impedirò di fare altro male. Lo farò per Fiona
e i miei fratelli e tutte le
persone che ha fatto soffrire. Lo farò per Cal, il bambino
che lei
stessa ritiene di aver eliminato.
Lo farò, lo giuro.
Altri bisbigli, rumori di pentole.
Stanno discutendo.
L'altra sera, convinti che stessi ancora dormendo, li ho sentiti
parlare di
mandarmi dai Wyndekell, dal fratello di Fiona.
Lei non sa che sono sopravvissuto e per me
è più sicuro andare lì, per
crescere insieme ai miei fratelli.
È la scelta più
logica, ma una parte di me vuole restare con Fiona. Al solo pensiero di
separarmi da lei, calde lacrime mi segnano il viso.
Non sarà facile vivere con i Wyndekell, non mi faccio
illusioni. Io sono un
Woodbane puro e, anche se ho solo dieci anni, so benissimo che non
siamo ben
visti nella comunità wicca.
Fiona, però, durante i giorni in cui ero incosciente e che
ha trascorso al mio
capezzale, mi ha raccontato di una congrega speciale. Si chiamava
Belwicket.
Una congrega
composta interamente da Woodbane buoni che avevano rinunciato alla
magia nera.
Una congrega potentissima, rispettata da tutti.
Quando starò meglio, voglio saperne di più.
Questa storia mi affascina.
Nonostante quello che lei mi ha detto, è possibile essere
Woodbane e servire il
Bene.
Oh, Dea. Accogli la mia preghiera. Questo mio impegno.
Crescerò buono e giusto, una strega degna della congrega di
Belwicket.
Crescerò buono e giusto, forte e saggio, in modo che
Fiona... la mia nuova
mamma sia sempre fiera di me.
In modo che continui a sorridermi come ha fatto fino ad ora.
Il mio nome è Cal Blaire, Sgath, e sono morto e rinato nel
sacro giorno di
Imbolc. Questo è il mio giuramento più solenne.
Sgath
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Capitolo 4 *** The Journey ***
The
Journey
TUM
TUM TUM TUM
Il ritmo crescente dei battiti di un tamburo segnava il nostro ultimo
atto come
inviati del Consiglio in quella sperduta cittadina tedesca.
A quest'ora saremmo già dovuti essere in viaggio verso gli
Stati Uniti, ma la
nostra partenza è stata rinviata ancora di un giorno.
Eravamo ancora necessari per
un ultimo compito. Un compito di cui quasi nessuno, in quella congrega
di
Vikroth, voleva sporcarsi le mani.
TUM TUM TUM TUM
Il mio nome è Cal Blaire e sono un Cacciatore di streghe.
TUM TUM TUM TUM
Il suono di quei colpi si è fatto sempre più
serrato, accompagnando nella sua
ascesa il ritmo del nostro respiro ed il battito dei nostri cuori.
Igor McBride era inginocchiato al centro della stanza, dentro un
pentacolo di scintillante
luce azzurra. Era completamente vestito di bianco, scalzo, le mani
ancora
legate dietro la schiena, stavolta con una semplice corda.
Il mio nome è Cal Blaire e sono un Woodbane... il Mastino
Woodbane.
TUM TUM TUM TUM
Alla mia destra, ho visto il viso di Giomanach perdere il poco colore
che
adornava la sua carnagione pallida. Sembrava sul serio uno spettro,
irreale.
Togliere i poteri a qualcuno, per quanto malvagio sia, non è
mai facile.
Avrei voluto risparmiargli l'assistere a quest’orrore, ma non
ho potuto.
Giomanach è un Cacciatore. Questo è uno dei suoi
compiti... che mi piaccia o
meno.
Infondo è un uomo, oramai.
Anche se non lo ammetterò mai... soprattutto con lui. Per
me, vivesse
cent'anni, resterà sempre il bambino con le nocche sbucciate
che difendeva il
suo fratellino muto dagli scherzi dei ragazzini Wyndekell.
Il mio fratellino.
Il mio migliore amico... il mio
unico amico.
Quando glielo dico, Athar minaccia ogni volta di schiantarmi con un
fulmine. Io
ci scherzo su, magari un giorno lo farà davvero.
Le voglio bene, come se fossimo veramente cugini, ma lei è
una donna e il
rapporto di fiducia e rispetto che mi lega a mio fratello non
può capirlo. E'
una cosa tra uomini. Una cosa difficile da spiegare persino per me.
Forse è per il passato che ci lega.
Forse è per il sangue che
condividiamo.
Non lo so. Posso solo dire che
nei momenti in cui ho avuto bisogno di lui, Giomanach c'era sempre.
Quando fui portato alla Congrega di Fiona, il mio arrivo
scatenò non poco
clamore.
Tutti sapevano chi ero e... che cosa ero.
Crescere tra i Wyndekell non è
stato per niente facile. Beck non si fidava di me e Linden mi
disprezzava senza
fare nulla per nasconderlo.
Solo Giomanach mi è stato vicino. Giomanach... e Alwyn.
Ma lei è un'altra storia. Alwyn fa parte di quella categoria
di persone molto
rare che vedono il buono in ogni cosa.
Ho sempre considerato Alwyn la mia piccola streghetta ed io il suo rude protettore.
Il suo fisico esile aiuta
molto. Mi arriva a malapena ad una spalla.
Ma Hunter...
Lui... lui è il sole, non so a
cos’altro paragonarlo.
Non mi riferisco solo al suo
aspetto: gli occhi chiari, la carnagione pallida o i capelli quasi
argentei,
no.
E' per quello che si porta
dentro. Sempre nel giusto, sempre corretto, sempre coraggioso.
Esemplare.
Io... io sono la luna, la sua ombra silenziosa, il suo cane da guardia.
Quello che sistematicamente deve tirarlo fuori dai guai che attira ogni
volta.
Non voglio nemmeno pensare a cosa farebbe senza di me.
Ma è questo a che servono i fratelli maggiori, no?
TUM TUM TUM TUM
Ho osservato con attenzione le altre streghe presenti: il vecchio
Colum, che è
stato mio maestro, Evan e Nyall, il membro più anziano della
congrega Vikroth
di cui Igor faceva parte.
Man mano che il ritmo del tamburo aumentava, la nostra magia si
è unita in una
striscia di abbagliante luce bianca, che si è intrecciata
alla luce azzurra del
pentacolo, fino a divenire accecante. Tenendoci per mano, abbiamo
chiamato la
nostra energia interiore. Quando l'ho percepita entrare in me, mi sono
sentito
quasi sopraffatto.
Colum ha fatto un passo in avanti, appoggiando la punta del suo athame
sul
pentacolo. Il coltello si è illuminato di una luce bianca ed
azzurra.
Il mio maestro ha superato i confini del pentacolo e si è
avvicinato ad Igor,
girandogli intorno l'athame e la sua luce in una spirale.
Tutta la vita, tutte le magie di Igor, a contatto con il nostro potere
sono
fluite in quella spirale che ha preso a ruotare vorticosamente intorno
a lui.
Igor piangeva, gemeva ma la spirale non si arrestava. Lo ha privato di
tutte le
esperienze che lo avevano formato, che avevano definito la sua
esistenza. Igor
la strega non era più.
Le parole che Colum ha pronunciato per concludere il rito mi sono
scivolate
addosso senza che riuscissi ad afferrarle.
Quando tutto è finito, Igor McBride era solo un guscio vuoto.
"Stai bene, fratellino?".
Mi sono avvicinato a Giomanach, appoggiandogli una mano sulla spalla,
pronto a
sostenerlo se fosse stato il caso. Mio fratello era davvero stravolto.
Si è
limitato ad annuire.
"Ma, allora, il Mastino parla!".
Conoscevo quella voce. E detestavo il suo suono stridulo almeno quanto
la
faccia lentigginosa del suo proprietario.
"Cosa vuoi, Leapvaughn?". Ho sibilato, posando il mio sguardo irato
su di lui.
Sono un tipo di poche parole, anzi pochissime. Non mi piace blaterare a
vanvera
e soprattutto sprecare le poche occasioni in cui do voce alla mia
opinione con
degli idioti come lui.
Ma stavolta aveva davvero oltrepassato il limite.
Con la coda dell'occhio, ho visto Giomanach irrigidirsi al mio fianco.
Non amo attaccar briga. Non mi piace battermi per delle sciocchezze. Il
più
delle volte tendo a soprassedere sulle cose.
Non che abbia chissà quali
contatti umani. La mia vita sociale è ancora più
sterile di quella di mio
fratello.
Ma, sapete come si dice? Mai stuzzicare il cane che dorme... o, nel mio
caso,
la tigre. Se Evan Fitzpatrick voleva provocarmi, mi sarei difeso. Ero
stufo di
porgere l'altra guancia. Anche la mia pazienza aveva un limite.
Studiando bene il mio avversario, ho notato una tenue ombra nera che
gli
segnava ancora lo zigomo sinistro. E bravo il mio fratellino.
Evan, intanto, è avanzato con la sua falsa baldanza verso di
noi.
Non ho mai capito se mi detestasse perché ero un bravo
Cacciatore (anche se più
giovane di lui); perché me l'ero sempre cavata da solo,
appoggiato
esclusivamente da Giomanach ed Alwyn (e, dopo la morte di Linden,
Athar) mentre
lui era il figlio di un Alto Sacerdote o, semplicemente...
perché ero un
Woodbane.
"Ora basta!".
Colum si è posto fra noi, fermando sul nascere qualsiasi
accenno di rissa.
Sapevo bene che mettersi contro di lui equivaleva ad una batosta certa.
Aveva
una certa età Colum, ma sapeva ancora colpire bene.
"Sgath, tu e Giomanach tornate a casa. Avete un volo molto presto
domani". Il suo tono non ammetteva repliche. Si è rivolto
quindi ad Evan.
Quella luce nei suoi occhi chiari non prometteva niente di buono. "Noi
dobbiamo parlare".
Hanno aiutato Igor ad alzarsi e sono scomparsi dietro una porta
nascosta da una
tenda.
Per quanto detestassi quel Fitzpatrick, non avrei augurato nemmeno al
mio
peggior nemico un incontro ravvicinato con Colum O'Hara.
"Forza, fratellino. Athar ci aspetta".
"Vado a prendere la macchina".
Hunter si è avviato verso l'uscita di quella casa, la
residenza del capo della
congrega, ancora molto scosso.
Io mi sono voltato verso l'anziana Nyall. Non aveva proferito parola
per tutto
il tempo.
"Vuole che l'aiuti a purificare?". Le ho chiesto, ora di nuovo
padrone di me.
Lei ha scosso la testa, continuando a fissarmi con quei suoi grandi,
sinceri
occhi chiari. Mi
sentivo insignificante
sotto il peso di quegli occhi.
"Tu sei un Woodbane, vero?". Mi
ha chiesto d'un tratto con la sua voce
sottile.
Sì, sono proprio io. Il Woodbane! Apportatore di male e
morte! Anche in quel
luogo sperduto, venivo giudicato solo in base al mio Clan.
Mi sono voltato di scatto. Volevo andarmene al più presto.
"No, aspetta. Non volevo offenderti!". Mi ha richiamato,
trattenendomi con la sola forza della sua mano esile. All'apparenza
sembrava
una donna fragile, quasi sul punto di spezzarsi, ma aveva in
sé una grande
forza. La forza della saggezza e dell'esperienza. Chissà se
anch'io un giorno
avrei raggiunto quello stato di pace.
I nostri sguardi si sono incontrati ancora e Nyall mi ha sorriso.
"Cal... è questo il tuo nome, giusto?". Mi ha chiesto.
"Calhoun,
il guerriero".
Ho annuito, basito. Nessuno aveva mai pronunciato il mio nome. Come
poteva
conoscerlo?
Lei ha scosso la sua treccia scura, chinando il viso da un lato come un
cucciolo innocente che osserva qualcosa di estrememente buffo.
"La Dea mi ha concesso il dono di vedere oltre la comune concezione di
tempo. Alcune cose sono già state, altre dovranno ancora
venire. E' così che ho
scoperto chi sei, Calhoun. Chi sei e chi diventerai".
Non c'erano parole per descrivere il turbinio di emozioni che sentivo
dentro.
Erano tutte schiaccianti, soffocanti. Troppo forti e confuse per poter
dar loro
un nome. Avrei voluto porle tante domande ma al tempo stesso temevo di
conoscere le risposte che lei avrebbe potuto darmi.
Nyall ha estratto dalla tasca della sua tunica un piccolo oggetto di
pietra e
lo ha poggiato sul palmo della mia mano, richiudendola a pugno subito
dopo.
"Il tuo è un arduo cammino. Tante sofferenze hai patito
nella tua giovane
vita ed altre difficili prove dovrai superare. Non posso dirti altro,
solo... pregherò
la Dea affinché tu trovi quello che stai cercando da sempre,
Calhoun".
Mi sentivo come una statua. Incapace di muovermi, pensare, respirare.
Lei non ha aggiunto altro. Mi ha dato le spalle e ha cominciato a
prepararsi
per il rito di purificazione.
Non sapevo più cosa pensare. Il mio cuore era a mille e
facevo persino fatica a
restare in piedi.
Prima di poter aggiungere altro, Hunter è tornato indietro a
chiamarmi.
I suoi capelli biondi hanno fatto capolino dalla porta. Era stanco,
provato ma
sorridente. Un sorriso forzato.
"Sgath hai finito? E' ora di muoversi".
Ha salutato l'anziana Nyall ed è scomparso ancora una volta.
Ho fatto
altrettanto.
Mentre camminavo nella gelida aria della sera verso l'auto di mio
fratello, ho
finalmente potuto respirare liberamente e dar sfogo a tutte le emozioni
che mi
portavo dentro.
Io ero il Woodbane, il Cacciatore senza cuore, senza la più
minima emozione.
Nessuno sapeva quanto le persone che mi circondavano si sbagliavano.
Forse solo
i miei fratelli.
Anche il mio animo sanguinava, lacerato dalle sue numerose ferite che
ancora
non erano riuscite a rimarginarsi del tutto.
Anche se non lo davo a vedere.
Mi ero ripromesso di porre il Bene degli altri sempre davanti al mio,
di fare
sempre la cosa necessaria per seguire la Volontà del Dio e
della Dea.
Anche se la cosa necessaria non è sempre quella giusta agli
occhi degli altri.
Anche se per far questo dovevo essere deriso e odiato.
Quando avrei trovato qualcuno che capace di accettare questo mio povero
cuore
martoriato per quello che era?
Oh, Dea. Si può morire per questa solitudine, questo
silenzio che mi sentivo
dentro?
Quasi senza accorgermene, ho tracciato con la punta delle dita i
contorni di
quella pietra.
No, non una pietra... una runa.
Nonostante la luce scarsa, l'avrei riconosciuta tra mille...
Eolh, la runa del viaggio e del cambiamento.
_*_*_*_*_*_
La cena è stata consumata in un pesante silenzio. Sentivo
che Athar voleva
porci mille domande ma, ogni volta che le sue labbra si schiudevano, le
richiudeva di colpo. È stata la cosa migliore. Non avrei
saputo cosa risponderle.
Ora potevo solo starmene rinchiuso qui, sdraiato di traverso su questo
letto
scomodo, le gambe lasciate penzoloni.
Avevo lasciato la finestra aperta. Non m'importava del freddo. Dovevo
sentire,
percepire il vento sfiorami il viso, avvolgermi tra le sue spire e
ricordarmi
di esistere ancora. Dovevo ascoltare la vita continuare oltre quella
finestra e
rammentarmi ciò per cui combattevo ogni giorno.
Un lieve bussare. Sapevo che era Giomanach.
"Vieni pure, fratellino".
Lui è entrato senza dire altro, avvicinandosi al mio letto,
la stanza sempre al
buio. Mi davano pace il buio e il silenzio.
Uno stridio, il verso di un rapace.
"Cavolo!”. L’ho sentito imprecare. "Sei ancora qui,
dannata
bestiaccia!"
Ho riso.
Mio fratello è una persona sempre gentile, rispettosa delle
altre creature
viventi. Tutte... Eccetto una.
Geofu... il mio falco dalla coda rossa.
Quando ho detto che Hunter è il mio solo amico ho commesso
una piccola imprecisione.
Lui è il mio solo amico senza piume. Geofu è
quello alato.
Il suo nome significa letteralmente "dono" e per me il suo arrivo
è
stato davvero un dono del Cielo.
Lo trovai una settimana esatta dopo la mia Iniziazione. Un cosetto
spiumato
gettato fra i giunchi del fiume e lasciato a morire.
Non ho mai saputo come ci fosse arrivato, forse portato da un venditore
di
ingredienti poco pulito, ma non me ne è mai importato.
Tutti mi dissero che stavo solo perdendo tempo, che sarebbe morto
ugualmente
nonostante tutti i miei sforzi, ma eccoci qui... quattro anni dopo e
ancora
insieme.
Geofu mi ha sempre seguito dappertutto, con grande dispiacere di
Giomanach. Mio
fratello non perde occasione per ripetermi
come quell'uccellaccio, come lo chiama lui, sia in realtà
uno spirito maligno
il cui unico scopo nella vita è mozzargli un dito e
riempirlo di escrementi.
Alwyn, invece, lo adora.
Il suddetto spirito del male se ne stava, in quel momento,
tranquillamente
appollaiato sul suo trespolo. Se fosse stato possibile, avrei detto che
quel
suo gorgogliare roco era in realtà una risata.
"Stupido uccello!" Altra imprecazione.
"Stai bene?". Gli ho chiesto tanto per cambiare argomento. Non mi
stavo riferendo solo al suo incontro ravvicinato con il mio falco.
Mio fratello si è lasciato cadere sul letto, anche lui di
traverso e con le
gambe penzoloni in direzione però opposta alla mia. Lo
sentivo succhiarsi un
dito. Geofu doveva averlo pizzicato.
"Non lo so. Quello che è successo fa parte del nostro lavoro
ma non credo
che mi ci abituerò mai: essere una strega e non poterlo
esternare. Non poter
più rendere onore alla Dea... io impazzirei".
"Sciocchezze. Tu sei più forte di quanto lo sia stato Igor.
Non cederesti
mai al fascino del Male".
"Come puoi esserne così sicuro?"
Mi è venuto quasi da ridere.
"Oh, avanti. Il rigido, severo, inattaccabile Hunter votato alle Forze
Oscure? Non hai l'aspetto di un signore del Male!".
"Dici?". Il pensiero che uno come Giomanach potesse dubitare di
sé in
quel modo, era per me inconcepibile. Forse, commettevo un errore
ragionando in
quel modo ma non potevo scacciare la convinzione che mio fratello fosse
incorruttibile.
"Già. Senza contare che te le suonerei di santa ragione se
facessi
un'idiozia del genere". Ho voluto precisare.
"Ohh, bella fiducia che hai!"
"Hey, è la verità".
Per un attimo nessuno dei due ha parlato.
"Anche io ti fermerei se mai dovessi cedere al male, lo sai, vero?"
"Lo so e ti ringrazio, fratellino".
Quella era stata la nostra solenne promessa quando eravamo diventati
Cacciatori. Saremmo stati l'uno la zavorra dell'altro. Ci saremmo
sostenuti a
vicenda e... fermati, se la situazione lo avesse richiesto.
Sangue assetato di potere scorreva nelle nostre vene e non eravamo
immuni dalla
sua influenza. Non mi sarei fidato di nessun altro.
Altro silenzio.
"Piuttosto, hai già preparato le valigie?"
Gli indicai una sacca nell'angolo. Il mio bagaglio era tutto
lì: qualche
vestito, il mio Libro delle Ombre, Geofu e la mia fedele Ducati nera.
Sono
sempre stato un tipo piuttosto spartano.
Grazie alla mia vista notturna, ho potuto vederlo inarcare un
sopracciglio.
"Tutto qui?".
"Hmm hmm".
"Porterai anche la moto, immagino".
"Hmm hmm".
"Quell'aggeggio non è sicuro".
"Così parlò il saggio Hunter". Ho risposto,
rimbeccandolo.
"Cielo, quanto sei inglese".
"Che vuoi dire?" Si stava scaldando. Se avesse riattaccato con quel
dannato God Save the Queen, stavolta un pugno non glielo avrebbe
risparmiato
nessuno.
"La tua perfetta macchina inglese, il tuo perfetto cardigan inglese, il
tuo
perfetto accento inglese... lunga vita alla regina!". Mi sono portato
una
mano al petto, lanciandomi nella mia pessima imitazione di vecchio
inglese.
"Ma quanto sei idiota!".
"Non idiota, più avventuroso. A differenza di te, preferisco
concentrarmi
sulle mie radici scozzesi. William Wallace, lui si che era un grande".
"Un grande uomo con la passione per i gonnellini a scacchi".
"Si chiamano kilt, ignorante".
Una fitta di dolore mi ha trapassato di colpo il fianco, facendomi
sibilare a
denti stretti.Hunter se n’è accorto subito.
"La cicatrice ti fa ancora male? Vuoi che chiami Athar?"
Il suo sguardo di smeraldo ora era fisso nel mio.
"Non c'è n'è bisogno. Il dolore viene e va. Ora
mi passa. E poi non mi va
di disturbarla. E' più scontrosa del solito".
"Mahoney era un idiota". Ha continuato, tentando di distrarmi.
"Mahoney è stato furbo a svignarsela prima che lei lo
conciasse per le
feste".
Stavamo sghignazzando entrambi a quel punto. Athar sapeva essere
davvero
pericolosa quando voleva.
"Sicuro di star bene?"
"Sì. Preferisco concentrarmi su cose positive".
"Tipo?" Mi ha chiesto, curioso.
"Ieri ho fatto di nuovo quel sogno". Ho iniziato.
Era un sogno che mi aveva visitato spesso in quegli anni, anche se ora
tornava
a tormentarmi quasi ogni notte.
Vedevo una valle stagliarsi sotto si me. Una valle qualsiasi, come ce
ne sono
tante in Inghilterra o in tutto il mondo. Verde a perdita d'occhi,
puntellato
qua e là da fiori selvatici.
Io lo sorvolavo sospinto dal vento che gonfiava forte le mie ali di
falco. Ero
in pace.
D'un tratto scorgevo tra tutto quel verde, un fiore...
No, non un fiore come gli altri
ma un'orchidea rarissima che sbocciava lenta solo per i miei occhi. Non
avevo
mai visto niente di più bello.
Poi, d'un tratto, questo bellissimo sogno lasciava il posto al
più orrendo
degli incubi.
Di colpo, il cielo si copriva di nuvole oscure, malefiche, con lampi e
tuoni
sinistri.
La Bestia dagli occhi rossi compariva dal nulla, portata dal buio,
pronta a
distruggere la mia bella orchidea. Non potevo fare nulla per fermarla.
Solo
assistere impotente.
Mi svegliavo puntualmente madido di sudore.
"Cosa pensi che voglia dire?"
Non ho risposto, non lo sapevo. Potevo solo lasciarmi cullare dalla
dolcezza di
quel vento, cercando di scacciare tutte quelle insicurezze.
"Hey, Hunter..."
Un lieve russare è giunto alle mie orecchie. Il fratellino
si era addormentato.
Mi sono alzato, coprendolo con una coperta, e soffermandomi ad
osservare il
paesaggio che mi circondava.
All'alba avrei lasciato quelle terre verso una nuova meta.
Ho estratto da una tasca del pantalone del mio pigiama la runa di Nyall.
Eolh.
Chissà dove mi avrebbe condotto
questo mio viaggio.
_______________________________________________________________________________
In principio, avrei voluto con questo capitolo già parlare
del loro arrivo a
Widow's Vale ma, non so, scrivendo mi è uscita tutt'altra
cosa. Un piccolo
sguardo sul rapporto tra i due ragazzi, stavolta dal punto di vista di
Cal.
Un'ottima occasione per disseminare indizi sui ciò che sta
per arrivare
|
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Capitolo 5 *** Samhain, 1992 ***
Samhain,
1992
Non sono più
riuscito a dormire la scorsa notte.
E come avrei
potuto?
Ho un altro
fratello... un altro fratello.
Un fratello
che non avevo mai visto prima e di cui ignoravo l'esistenza.
Mi sembra un
incubo. Un incubo da cui non riesco a svegliarmi.
Zia Shelagh
ha detto che il suo nome è Calhoun. Un nome gaelico, come il
mio. Un nome che
vuol dire "guerriero".
Non so più
cosa pensare.
Fuori
continua a piovere senza sosta. Il cielo è d’un
grigio intenso… plumbeo.
La volta
celeste sembra essere stata privata da una mano ignota di tutto il suo
colore.
È quasi
surreale. Un grigio spento che rispecchia in pieno ciò che
sento nel mio cuore.
È tutto così strano, assurdo.
Se penso al
giorno appena trascorso, mi sembra di non star vivendo la mia vita ma
quella di
un’altra persona. Tutto ha perso ogni familiarità.
Subito dopo
la rivelazione di zio Beck, sono stato rimandato a letto senza troppi
convenevoli nonostante le mie proteste. Volevo una spiegazione, subito,
ma zia
Shelagh ha preferito rimandare a quando saremmo stati tutti meno
scossi. Un’ora
così tarda non era di certo il momento giusto per quel
genere di conversazione…
e poi lei doveva pensare a Calhoun.
Athar mi ha
seguito, lanciando un ultimo sguardo carico di sospetto a quel bimbo
così
schivo. Ha iniziato a pormi domande assurde a raffica. Come potevo
risponderle
se nemmeno io capivo cosa stesse accadendo?
Ho trascorso
il resto della notte a fissare il vecchio orologio a pendolo. Il tempo
è volato
in un battito di ciglia. Continuavo a fissare quel maledetto orologio
con la
penna stretta nel pugno. Persino scrivere i miei pensieri era
impossibile.
Senza che me
ne accorgessi è giunta l’alba. L’avevo
attesa con ansia. Avevo così tanto da
chiedere. Presto, Linden ed Alwyn sarebbero scesi per la colazione.
Saremmo
stati tutti insieme.
Questo mi
rincuorava un pochino.
Quel bambino
era davvero mio fratello?
Come avevano
fatto i miei a tenercelo nascosto?
Ma il
pensiero che più mi faceva male era che non riuscivo a
prevedere la reazione
dei miei due fratelli minori. Non avrei permesso a nessuno di farli
soffrire.
Avevano già sofferto abbastanza.
Zio Beck e
zia Shelagh, però, non erano ancora tornati nonostante il
sole fosse finalmente
sorto.
Subito dopo
l'arrivo di Calhoun, o Cal come il Cacciatore aveva continuato a
chiamarlo, gli
zii erano usciti insieme a quello strano personaggio, incuranti la
tempesta.
Devo
ammetterlo: mi sono sentito quasi sollevato. Quell’uomo non
mi piaceva.
Gli zii mi
avevano detto di dover parlare ai capi della Congrega. Un incontro
speciale per
tentare di salvare la festa di oggi, ma era una scusa troppo assurda
perché ci
potessi credere.
Il viso
dello zio era tirato, strano, contorto in un’espressione che
non gli avevo mai
visto. Un misto di tristezza e dolore e qualcosa che non sono riuscito
a
capire. Forse, repulsione? Rancore?
Una sola
cosa mi era chiara. Tutto quel trambusto era per lui... per Cal.
Per mio
fratello.
Non appena il
pesante orologio antico ha scandito le sei, sono sgattaiolato fuori
dalla mia
stanza verso la piccola biblioteca adiacente alla cucina che lo zio
usava come
studio per i suoi incontri con gli altri membri della Congrega.
Cal era lì,
proprio dove la zia lo aveva lasciato. Rannicchiato vicino al fuoco,
avvolto in
una pesante coperta ricamata. Potevo vedere le lunghe maniche della
camicia
dello zio essere state risvoltate più volte per non impedire
a delle piccole
mani ghiacciate di tenere una fumante tazza di tisana.
Non so per
quanto tempo sono rimasto a fissarlo sull’uscio.
Cal mi ha scrutato
di rimando, inclinando leggermente la testa.
Mi stava
invitando ad avvicinarmi.
Sono entrato
in punta di piedi, circospetto.
Cal non ha
detto nulla. Si è limitato a bere un piccolo sorso della sua
tisana per poi
tornare a rannicchiarsi nella coperta.
Fissava il
liquido in quella tazza con una concentrazione quasi inumana.
Mi sono
seduto sul vecchio poggiapiedi dello zio, proprio di fronte a lui.
Siamo
rimasti così.
Eravamo due
bambole immobili, in attesa delle mani del burattinaio per proseguire
la loro
recita.
Di colpo, ho
sentito un brivido scendermi lungo la schiena, i corti capelli sul
collo
drizzarsi di colpo. Il suo sguardo, così intenso e
inquietante, era ora fisso
su di me.
Mi sono
sempre definito un tipo coraggioso, soprattutto dalla scomparsa dei
miei
genitori, ma questo nostro silenzio mi metteva i brividi.
Era… era innaturale!
I bambini non sono fatti per restare in silenzio.
Da quando
era arrivato, Cal non aveva proferito una sola sillaba. Era rimasto
barricato
dietro quel suo mutismo più totale, dandomi
l’impressione di volere studiarmi.
Quasi… quasi come se…
No, non solo
un sospetto il mio.
Cal non si
fidava di noi.
Quando la
zia gli aveva chiesto qualcosa, offrendogli un po’ di latte
caldo e
asciugandogli i capelli, lui si era limitato a rispondere solo con dei
cenni
del capo. Per il resto il nulla.
Non potevo
ancora crederci. Mio fratello… mio fratello.
Fisicamente
non ci somigliamo per niente. È difficile pensare che siamo
davvero fratelli.
Lui, con i
capelli scuri e la sua pelle abbronzata; io, biondo e dalla carnagione
nivea.
Gli occhi
poi... gli occhi di tigre che avevo visto nella mia visione.
L’acqua non
mi aveva mentito. Quel bambino esisteva, era reale, ed ora si trovava a
poco
più di un metro da me.
Un bambino
della mia stessa età.
Questo mi
lasciava perplesso. Com'era possibile? Sapevo che ci volevano dei mesi
per avere
un bambino, lo zio Beck mi aveva spiegato tutto quando la zia aveva
dovuto
aiutare una donna della Congrega a partorire. Me ne sarei accorto!
Non avevo
molti ricordi della nascita di Linden, ma ricordavo perfettamente la
mamma
andare in giro con un gran pancione prima della nascita di Alwyn.
Quindi, da
dove era venuto Cal?
Se fossimo
stati davvero fratelli, com’era possibile essere
così diversi?
Anche se io
e mia sorella abbiamo capelli ed occhi di un diverso colore, i nostri
tratti
sono quasi identici. Chi era davvero quel bambino che sembrava aver
tanto
timore di me?
Però… uno
strano pensiero si è fatto strada da un angolo remoto della
mia mente. Un
pensiero che non mi lasciava tregua. Continuava a sussurrarmi di
cercare
ancora, di ricordare. Ma cosa?
D’un tratto,
un’immagine di me più piccolo
s’è affacciata prepotente tra quel groviglio di
domande.
Una volta
tanto tempo fa, avrò avuto sì e no sei anni,
avevo sorpreso i miei genitori
discutere nel cuore della notte e mio padre ripetere spesso un nome che
non
avevo mai sentito prima: Selene. Non ricordo molto di quella
conversazione, ero
semplicemente sceso in cucina per prendere un bicchier d'acqua,
però ricordo
papà affermare che quella Selene era stata sua moglie.
Forse,
stavano insieme prima che lui avesse conosciuto la mamma?
Dopo
quell’occasione non ci avevo più pensato, troppo
intontito dal sonno per avere
piena coscienza di quei fatti. Ma ora?
Cal era
figlio di quella donna? Di quella Selene? Com’era possibile,
giacché potevamo
avere la stessa età?
Perché papà
non ci aveva mai parlato di lui? Ah, quante domande. Mi sta venendo
proprio un
bel mal di testa.
L’ombra di
una donna sconosciuta gravava su di noi ma cercavo di non pensarci.
Dovevo
pensare ai miei fratelli.
Dovevo
proteggerli da nuove sofferenze.
Sofferenze
tangibili, reali. Reali come il dolore che vedevo negli occhi di Cal.
Ore prima,
quando la zia Shelagh aveva portato Cal in biblioteca a cambiarsi
allestendo un
giaciglio di fortuna per farlo riposare, ho notato una benda bianca
avvolta
stretta intorno al suo fianco, fragile ed emaciato. Quasi come il
fianco di uno
che non mangia da molti, moltissimi giorni.
Cal, appena
si è reso conto della mia presenza, ha subito afferrato il
lembo della maglia
che la zia gli stava togliendo e l’ha ribassato di colpo.
I suoi occhi
erano spaventati. No, spaventati sarebbe stato poco. A dir poco,
terrorizzati.
Chissà cosa
gli è successo? Com’è rimasto ferito?
Un incidente? Era stato quello a
causargli il grande dolore che avevo visto nella mia visione?
Avrei voluto
porgli tutte queste domande ma lui continuava a tacere.
Quel suo
ostinato silenzio mi colpiva molto. Era snervante ma al tempo stesso mi
turbava.
Volevo delle risposte ma nel frattempo avevo paura di chiedere, di
sentirmi
dire che i miei erano morti e che non sarebbero più tornati.
Cal
continuava a tenere le ginocchia strette intorno al petto e a fissarmi
con quel
suo viso senza espressione.
Niente. Non
un cenno del capo, non uno sbadiglio. Sembrava non riuscire nemmeno a
sbattere
le ciglia. Immobile… freddo…
impassibile…
Inumano.
Qualunque
cosa stesse pensando, il suo viso non tradiva niente. Non pareva
nemmeno vivo.
Un
fantoccio… una delle bambole di Alwyn.
Che strano
bambino. Non avevo mai incontrato nessuno così. Tutti
ragazzini che conosco,
quelli di questa congrega, non riescono a stare fermi un istante. Per
loro
restare immobili è una sorta di punizione.
Ma per Cal,
no.
DONG DONG
DONG
Otto
rintocchi del vecchio orologio.
Solo in quel
momento mi sono accorto che era ufficialmente il giorno di Samhain, il
capodanno delle streghe. Una delle nostre feste più
importanti. Peccato che il
temporale avesse rovinato tutto. Ci eravamo impegnati tanto nei
preparativi!
Tuttavia,
devo dire che questa ricorrenza non è stata di certo senza
sorprese.
Cal
continuava a fissarmi.
Finalmente,
ho deciso di farmi coraggio e provare a parlargli. Non sopportavo
più quel
silenzio.
Mi sono
avvicinato a lui e gli ho chiesto se sapesse chi ero.
Lui nulla.
Sembrava
perso in un mondo tutto suo, come se non fosse nemmeno cosciente della
mia
presenza. Continuava a fissarmi, come se nascondessi chissà
quale mistero.
Anche se lì,
era lui il vero mistero.
Ho provato a
porgli altre domande; quanti anni avesse, se fossimo davvero fratelli,
se
sapesse cosa fosse successo ai miei genitori ma lui niente. Continuava
a
rimanere rannicchiato lì, su quella poltrona, respirando a
malapena.
Irreale.
Avrei voluto
dirgli altro, scuoterlo, ma le voci di Linden e Alwyn me lo hanno
impedito.
Si sono
catapultati al piano inferiore, battibeccando su qualcosa che non
riuscivo ad
afferrare. O, più precisamente, Linden si stava prendendo
gioco di nostra
sorella ancora una volta.
Un borbottio
assonnato e strani mugugni. Anche Athar si era svegliata.
Linden ed
Alwyn hanno spalancato la porta della biblioteca, la via più
rapida per la
cucina, continuando con i loro screzi fino a quando si sono accorti di
Cal.
"Hey,
chi è lo strano tipo?". Ha detto mio fratello nel suo solito
tono sfacciato.
"Lui… lui
è Cal". Ho mormorato, titubante.
BUM
Una porta
che sbatte, proprio come la notte scorsa.
La voce dei
miei zii e di quello strano uomo. Erano tornati.
Zia Shelagh
ci ha sorriso un istante, prendendo Cal da parte per dargli alcuni miei
vecchi
vestiti da indossare. Gli ha indicato un piccolo bagno in cui ripulirsi
per poi
sparire nel tinello a preparare la colazione.
Lo zio Beck insieme
al Cacciatore, che in seguito ho saputo chiamarsi Sean
O’Hara, ci ha ordinato
di lavarci viso e mani ed accomodarci a tavola senza aggiungere altro.
Dopo
mangiato, avremmo dovuto parlare di cose molto importanti, ha detto.
Noi
abbiamo semplicemente annuito.
Linden si è seduto
alla destra di Athar, lanciando occhiate strane e quasi canzonatorie a
Cal. Già
Cal…
Avete mai
sentito l’espressione "amore a prima vista"?
Credo di non
riuscire a spiegare meglio gli sguardi di pura gioia che mia sorella e
quel mio
nuovo, silenzioso fratello hanno iniziato a scambiarsi durante la
colazione.
Alwyn lo ha
letteralmente subissando di domande e, anche se lui non ha mai risposto
con
parole vere, lei sembrava capire in pieno cosa gli impercettibili
mutamenti del
volto di Cal volevano significare.
Pazzesco! Io
avevo trascorso ore senza ricavare un ragno dal buco e a lei bastavano
due
sorrisi per tirare le somme di quello strano rompicapo.
Assurdo!
Senza
aspettare nessuno, Alwyn ha preso la mano di Cal e lo ha fatto
accomodare
accanto a sé, ignorandoci completamente. Gli parlava della
sua bambola Lucy che
faceva i capricci e non voleva mangiare la purea di patate.
Cal, d’un
tratto, ha inclinato leggermente il capo e lei, fermandosi a pensare
per un
istante, ha annuito, affermando che aveva ragione. Se proprio a Lucy
non
piaceva la purea di patate, doveva provare con la farina
d’avena. Buona idea.
Ma quando
gliel’aveva detto?
Non potevo
crederci. Cal… Cal stava sorridendo. Un sorriso pieno di
gioia. Per Alwyn.
Il cucchiaio
mi è caduto dalle mani per la sorpresa… ma come
aveva fatto, Alwyn?
Non ero il
solo ad esserne sorpreso. Anche gli zii e il Cacciatore lo erano.
Con la coda
dell’occhio, ho notato quell’uomo annuire piano,
come se avesse intuito una
grande verità.
Fiona, ha
mormorato, osservando quella scena.
Fiona… mia
madre.
Il resto
della colazione è stato scandito dalla voce argentina di
Alwyn, dalle sue
storie e dai suoi racconti.
Lo sguardo
dello zio non ha mai abbandonato Cal, in nessun caso, e spesso mi
è parso che
lui ricambiasse quell’atteggiamento ostile attraverso i suoi
occhi inquietanti.
Gli occhi di chi è dovuto crescere troppo in fretta.
Lo zio è
sempre stato una persona severa, dura, ma mai astioso. Non sono ancora
riuscito
a capire perché facesse così.
Altre
domande, altri misteri. Non vedevo l’ora di ricevere le
risposte a cui tanto
anelavo.
Finito di
mangiare, i due uomini sono spariti nello studio dello zio, chiudendo
la porta
di legno a doppia mandata per evitare che qualcuno di noi bambini
decidesse si
sbirciare ancora una volta. Zia Shelagh ha preso a lavare i piatti,
canticchiando tra sé.
Io e gli
altri abbiamo riposto le stoviglie sporche nell’acquaio,
ognuno pronto a fare
la sua parte delle nostre faccende domestiche.
CRASH
Il rumore di
qualcosa che si rompeva.
"Ahi".
Alwyn!
Mi sono
voltato verso i miei fratelli e ho visto Alwyn china al suolo intenta a
succhiarsi un dito.
"Sempre
la solita!".
"Linden!"
Gli ha urlato Athar.
In un batter
d’occhio, Cal si è chinato accanto a mia sorella,
asciugandole le lacrime e
facendole una benda di fortuna con un fazzolettino ricamato che la zia
gli
aveva dato.
La
scollatura del maglione che aveva indosso gli lasciava scoperto il
collo. Quei
miei abiti erano troppo larghi per lui. Bisognava comprarne altri.
Piano, piano
ho visto gli occhi di Linden spalancarsi sempre di più, le
sue labbra
incresparsi in una muta espressione d’orrore.
"WOODBANE!
WOODBANE!". Ha iniziato a gridare.
Woodbane…
Cal ha
lasciato subito la mano di Alwyn e si è rannicchiato,
immobile al suolo. Con
una mano si è coperto un lato del collo e ha posato il suo
sguardo dorato su di
me.
Era come…
era come se mi stesse implorando… implorando di non fargli
del male. Come se si
aspettasse qualcosa da me. Qualcosa che non riuscivo a capire.
Linden ha
afferrato il braccio di Alwyn, scostandola da lui bruscamente mentre
Athar si è
parata al suo fianco.
Mia sorella
ha preso ad urlare, piangere, implorando Linden di lasciarla andare,
che le
stava facendo male ma io rimanevo lì, immobile come una
statua.
Alle lacrime
di Alwyn, non so, ma qualcosa è scattato dentro Cal. I suoi
occhi si sono
accesi minacciosamente ed un istante dopo Linden era a terra mentre
Alwyn
singhiozzava piano tra le sue braccia.
"Sto
bene, ora, Cal. Tranquillo". Gli sorrideva gentile, mia…
nostra sorella e
subito lo strano bagliore nello sguardo di quel bambino-tigre
è cessato
completamente.
Linden si è
alzato pronto ad un nuovo attacco ma la zia gli ha urlato di smetterla
e di
andare tutti nello studio dello zio. Lui ha guardato me ed Alwyn con un
sentimento molto simile al disprezzo e se n’è
andato in silenzio.
Prima di
sparire gli ho sentito mormorare una cosa: schifoso Woodbane.
Lo abbiamo
seguito senza dir nulla.
Anche noi
siamo Woodbane… o, almeno lo siamo per metà.
Nostro padre
è un Woodbane puro mentre nostra madre è una
Wyndekell. Questo ci rende degli
ibridi, cosa non inusuale di questi giorni.
Oramai sono
in pochi ad appartenere ad uno dei Sette Grandi Clan. La maggior parte
delle
streghe ereditarie sono ibridi oppure non sanno o non vogliono rivelare
la
verità sul loro Clan di appartenenza.
È una cosa
privata. Una cosa che si può rivelare solo a chi ci si fida
davvero.
Soprattutto
se sei un Woodbane.
Un
Woodbane, un Oscuro, uno che per molta
gente è considerato la feccia della Wicca.
Ci siamo
accomodati nello studio dello zio. Il camino era stato già
acceso nell’attesa
del nostro arrivo ed il Cacciatore ora si scaldava le mani vicino ad
esso.
Zio Beck ha
continuato ad osservarci severo, crucciato. Sono sicuro che si fosse
accorto
del trambusto che avevamo scatenato prima.
Ci ha fatto
accomodare sul piccolo divano di tessuto verde. Me,
Athar, Alwyn e Cal. Linden
ha preferito restare in piedi. Il suo disprezzo verso Cal
non era diminuito per nulla.
Poi è
sopraggiunta anche la zia. Finalmente, potevo sapere cosa stava
succedendo.
Zio Beck ha
tratto un profondo sospiro e si è passato una mano sul viso
stanco. Zia Shelagh
gli si è avvicinata serena e gli ha poggiato una mano su di
una spalla.
Sembrava quasi che stessero tenendo un discorso tutto loro solo con gli
occhi.
"Cal…".
Un attimo di pausa
mentre sentivo il
cuore riuscire a martellarmi fin dentro la gola. "Cal è
davvero vostro
fratello… o meglio, il vostro fratellastro".
"Com’è
possibile?". Ha chiesto Athar, interrompendolo bruscamente. Avrei
voluto
farlo io ma la mia bocca non riusciva ad articolare le parole. Era
impastata,
serrata.
"Daniel…
Daniel prima di conoscere Fiona era sposato con un’altra
donna. E questa donna
è la madre di Cal".
Altro attimo
di pausa. Le parole che uscivano dalla bocca dello zio erano pesate,
misurate.
Quasi controllate. Come se lo zio si stesse sforzando di tacere
qualcosa per un
motivo a me sconosciuto. Come se avesse voluto trovarsi a mille miglia
da
quella situazione.
"Mamma
e papà stanno bene? Perché non tornano?". Nuove
lacrime hanno minacciato
di segnare il viso di Alwyn ma Cal le ha stretto una mano e lei ha
ridacchiato
un pochino, la sua tristezza dimenticata ancora una volta.
"Delle
persone cattive vogliono fare loro del male e per il momento non
possono
tornare, piccolina". Ha continuato la zia.
Quali
persone?
"Perché
il Woodbane deve restare qui? Non c’è
l’ha una casa?".
Linden…
Non capivo… non
capivo il perché di tutto quel risentimento. Linden
è sempre stato un tipo da
prendere con le molle ma questo era davvero troppo.
Ho visto zia
Shelagh stringere ancora di più la sua presa sulla spalla
dello zio. Stava
tremando.
"La
madre di Calhoun è morta". Il Cacciatore ha preso la parola
per la prima
volta. Era chino sul fuoco, le braccia tese e poggiate sulla pietra
sopra il
camino. "Le stesse persone che vogliono fare del male ai vostri
genitori,
l’hanno uccisa e avrebbero fatto lo stesso con Daniel e Fiona
se Cal non li
avesse aiutati. Se i vostri genitori sono ancora vivi, lo dovete
soltanto a
lui".
Tutti noi ci
siamo voltati verso Cal ma lui è rimasto impassibile. Alwyn
si è fiondata tra
le sue braccia, ringraziandolo. Lui l’ha lasciata fare.
Il
Cacciatore si è girato, il suo aspetto ancora più
minaccioso.
"Doveva
essere affibbiato proprio a noi?" Linden…
Sean O’Hara
lo ha fissato a lungo e mi è parso quasi che mio fratello si
sia fatto piccolo
piccolo sotto quella muta accusa. "Calhoun non ha nessun altro. Voi
siete
i suoi parenti più prossimi. Fiona mi ha fatto giurare di
portarlo da voi sano
e salvo e di chiedervi di avere cura di lui".
"Io non
lo voglio qui!". Ha
continuato
Linden. "Non è uno di noi. È un Woodbane! Noi non
abbiamo bisogno di un
altro fratello… ma di nostra madre e nostro padre! Chi
cavolo lo vuole
lui!".
Con
un dito ha indicato Cal ancora stretto
nell’abbraccio di Alwyn. "Non è niente per me!"
"Sbaglio
o anche tu sei un Woodbane per metà?".
Il Cacciatore ha inarcato un sopracciglio, scettico.
Per la prima
volta potevo vedere l’ombra delle lacrime minacciare di
scendere sul viso di
Linden. Tutta quella sua rabbia, quella sua furia. Gli mancavano mamma
e papà,
solo ora lo capivo. Anch’io avrei voluto riaverli qui con me.
Linden se
n’è andato via stizzito, sbattendo con forza la
porta. Athar si è alzata per
seguirlo, non prima di avermi lanciato un’ occhiataccia. Ha
chinato il suo viso
vicino al mio, le sue parole cariche di furia.
"Non
scordarti chi è il tuo vero fratello. Quello con cui sei
cresciuto". Ha
sibilato, lasciandomi senza fiato.
Zio Beck ha
scosso la testa mentre la zia tratteneva a stento i singhiozzi.
L’aria si
era fatta molto pesante. Era elettrizzata, magnetica, carica di una
tensione
mal repressa.
Alwyn ha
preso Cal per mano e lo ha trascinato fuori, incurante se quella
riunione di famiglia
fosse finita o no. Anche lei doveva averlo percepito. Io avrei voluto
fare lo
stesso.
"Giomanach".
Ha detto il fratello di mia madre, richiamando la mia attenzione.
"D’ora
in poi, il tuo compito sarà più duro. Dovrai
tenere sempre d’occhio Calhoun. So
che siete fratelli e so che sei confuso. Ma gli altri membri della
Congrega non
saranno così ben disposti nei suoi confronti come lo siamo
noi. Ciò che Linden
ha detto è vero: lui è un Woodbane puro. Non
dovrai mai dimenticarlo".
Non sapevo
cosa rispondere a quelle parole. Dentro di me c’era e
c’è ancora solo il caos.
"Mia
madre mi ha chiesto di avere cura di lui. Ed è quello che ho
intenzione di
fare, zio Beck. Nulla di più, nulla di meno".
Per la prima
volta, lo zio ha accennato un’ombra di sorriso. "Sei un bravo
ragazzo,
Giomanach".
Senza
aggiungere altro, sono salito in camera mia. Le cose di Alwyn erano
già state
spostate nella stanza di Athar e i pochi effetti di Cal sistemati qua e
là. Di
Linden non c’era traccia.
Il resto
della giornata è trascorsa placida. Una bolla confusa in cui
tentavo di stare a
galla.
Cal…
Linden…
Non ci
capisco più niente!
Volevo
parlare con Linden, spiegarmi, ma lui è come scomparso.
Forse, ho continuato a
pensare, se gli avessi fatto sbollire prima la rabbia, dopo sarebbe
stato più
incline a parlare senza ricorrere alle maniere forti. Forse…
Una risata
argentina mi colpisce, fermando questa mia mano ormai stanca. Un lieve
bagliore, riflesso nel vetro della finestra. Una piccola torcia.
Due figure
chine su d’un libro di favole... una folta chioma rossa ed
una castana.
Anche
restando fermo qui, chino alla scrivania, posso scorgere nel riverbero
sul
vetro qualcosa...
Un cattivo
auspicio o un inizio?
Alwyn che
racconta una vecchia favola a questo nostro nuovo fratello.
A lei è
piaciuto da subito.
Linden,
invece, lo detesta spalleggiato da Athar.
Cosa devo
fare? Perché mia madre mi ha fatto carico di quest'altro
pesante fardello?
Cosa ha in
mente per me, la Dea?
Non lo so e
questo mi fa paura.
Giomanach
Vorrei
ringraziare
tutte le persone del mitico forum di SWEEP che mi hanno aiutato con i
loro
consigli, i loro incoraggiamenti e soprattutto tante notizie sue questa
meravigliosa serie. Senza di voi non ce l’avrei mai fatta.
Un altro
ringraziamento va a Mela_Avvelenata, Seferdi, kira988, SasuNaru83,
_Dana_, che
hanno recensito questa storia e l’hanno posta tra le loro
preferite.
Perdonatemi se non riesco ad aggiornare con molta frequenza e spero che
questo
capitolo sia di vostro gradimento!
Seferdi,
la tua
recensione è stata lunghissima e vorrei rispondere alle
domande che mi hai
posto (se volete spoiler sulla storia, sono a vostra disposizione!). Lo
so che
questo Cal è più chiuso e, come tu hai dedotto,
anch’io ho pensato che molto
del suo atteggiamento fosse dovuto alla magia oscura. Qui,
però, il nostro boy
adorato viene da un’esperienza traumatica (insomma "lei" ha
tentato
di disfarsi di lui, neanche suo padre lo voleva con sé e,
come avrai letto, il
primo impatto con la sua nuova famiglia non è di certo stato
dei migliori) e mi
è sembrato giusto che fosse molto sospettoso verso le altre
persone.
Lui è Hunter
sono molto uniti e Cal pone la sicurezza, ma soprattutto la
felicità, di suo
fratello sopra ogni altra cosa. Ora che incontreranno Morgan (nello
stesso giorno,
ma in due situazioni diverse) ne vedremo delle belle. Sarà
più forte il sangue
che li lega o l’amore verso quella che entrambi considerano
la loro muirn beata
dan?
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