Universitari

di _Sunshine 27_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il mio primo giorno ***
Capitolo 2: *** Il mio nuovo amico ***



Capitolo 1
*** Il mio primo giorno ***


Ditemi che c'è qualcosa di meglio. Avanti, provateci.

Sono all'Università!
Niente più prese in giro, niente più sgridate dai professori, niente calci, niente rospi nascosti nel mio zaino…
"Ehi, matricola!"
O forse no.
"Guarda 'sto scemo!"
Ero a terra, caduto come un salame. Qualcuno mi aveva spinto. Dietro di me un gruppo di ventenni ridacchiava.
Mi rialzai spolverandomi i vestiti come se nulla fosse. E continuai a camminare. Dopotutto ci ero anche abituato.
"Amico, solo il primo giorno e già ti fai mettere a K. O." disse Giorgio, detto Giò dandomi una pacca sulla schiena in segno di incoraggiamento, come faceva sempre lui.
Era il mio migliore amico dalle elementari. Niente ci aveva mai diviso.
"Non preoccuparti, Giò. So cosa devo fare. Mi sto solo riscaldando. Era tutto … calcolato."
Lui alzò le sopracciglia e mi squadrò per bene. "Tutto calcolato … come quella volta in cui sei entrato per sbaglio nel bagno delle signore nella stazione di servizio?"
"Che sberle che mi hanno dato…" dissi massaggiandomi la guancia.
"Oh, sì, sentivo il rumore degli schiaffi dal bagno degli uomini!"
"Comunque no, Giò," continuai dopo una breve pausa "non è come quella volta. Le cose stanno per cambiare."
"Ne dubito, amico. Avanti, ammettilo, tu sei la pubblicità della sfiga. Hai un talento innato per fare figure del cavolo."
"Giò, rilassati." Gli passai un braccio intorno alle spalle e lo strinsi a me. "Lo senti questo odore?"
Lui fece un respiro profondo e disse: "È odore … di mia madre! Ti sei messo un profumo da donna?!"
"Era merce in saldo!" replicai scansandomi. Poi, cambiando discorso: "Giò, questo è odore di cambiamento! Sono all'Università! E ci sei anche tu! Mamma, mai lo avrei immaginato."
"Cos'è che non avresti mai immaginato, il fatto di essere all'Università o il fatto che ci sia anch'io?!" disse con tono minaccioso.
"Cosa importa? Ci laure-e-eremo e diventeremo medici! Andiamo!"
"D'accordo Tony, capisco il tuo entusiasmo, in realtà non lo capisco per niente, ma mancano più di 20 minuti all'inizio della lezione. Non urlare e stai calmo."
"Va beeene…"
Ci sedemmo sul ciglio della strada, le spalle all'Università, con la testa tra le mani, riflettendo un po' e aspettando.
Poco dopo, vidi un'auto che faceva retromarcia e si avvicinava.
"AAAAAHHH! Non mi uccida, signore, per favore, la prego, ho ancora tante cose da vivere, non ho ancora una ragazza, una famiglia, voglio diventare medico, voglio lavorare! Solo ora capisco il significato della vita, mi dispiace se a volte l'ho disprezzata!" strillai a pieni polmoni.
Una voce da dentro la macchina disse: "Ragazzo, spostati, devo parchegg…"
"Caro Diario, oggi sono morto. Sono stato ucciso da un'auto davanti all'Università. Lascio tutto al mio cane Rocky. Addio, crudele mondo!" strillai in modo teatrale.
La scena era questa: il tizio che faceva restromarcia lentamente dicendo di spostarmi, Giò seduto accanto a me che mi guardava con un sopracciglio alzato e io agonizzante per terra che strillavo come un ossesso.
Il sipario stava per calare e l'ultimo atto sarebbe stato … quello della mia morte.
La macchina si fermò, per fortuna, proprio a due centimentri dal mio naso…
"Sono più di 50 centimetri, Tony…" disse Giò.
Odio quando mi interrompe! Sono io la voce narrante di questa storia!
Dall'auto uscì un uomo alto, muscoloso, dai capelli grigi. Aveva lo sguardo duro, i capelli di un grigio stanco e un'espressione scocciata.
Quell'uomo … mi aveva salvato la vita!
Ma non ebbi il tempo di ringraziarlo che era già sparito.
Mi ricordai di essere in ritardo per la lezione…
"Tony, manca un quarto d'ora all'inizio." disse Giò.
"Non interrompere i miei pensieri, Giò!"
Dicevo… mancava poco all'inizio della lezione…
"Non è vero, Tony…"
STA' ZITTO!
Corsi nell'aula e trascinai Giò il più possibile vicino alla cattedra. Il professore non era ancora arrivato.
Non c'era ancora nessuno, solo qualche studente in prima fila come noi: una ragazza mora e bassina che parlava con una bionda, sorridente e dagli occhi azzurri, un ragazzo castano che messaggiava e un altro biondo dagli occhi chiari, quasi trasparenti, dallo sguardo duro che fissava il cubo di Rubik che stava risolvendo.
Stavo seduto impaziente, in attesa che arrivasse il professore.
Dopo minuti che mi sembrarono interminabili e dopo che l'aula si fu riempita di studenti, entrò il professore.
Era l'uomo di prima, il mio salvatore!
"Salve". La voce del professore risuonò per l'aula.
"Salve!" dissi a voce abbastanza alta da farmi sentire da lui.
Lui mi guardò con un sopracciglio alzato, poi distolse lo sguardo e parlò agli studenti.
"Sono il professor Conti. Dato il mio cognome, so che molti crederanno che sarei stato più portato per insegnare matematica, ma sono troppo intelligente e, ahimè, ho preso la laurea anche in medicina, così mi è toccato insegnare a voi poppanti. So che volete fare i dottori, ma scommetto che la metà di voi non sarà all'altezza da superare nemmeno il primo esame. Non reggerete un attimo in ospedale, bimbi. Non avete il fegato. Detto questo, possiamo cominciare. Sono il vostro professore di medicina e vi torturerò per ben cinque anni della vostra misera vita."
Stavo sventolando il braccio come una bandiera.
"Che c'è?" chiese il professore sbuffando.
Mi alzai in piedi e dissi: "Mi stavo chiedendo…"
"Non importa, pivello. Sta' zitto e non rompere."
Mi sedetti e obbedii.
"Testiamo il livello dei nostri alunni… Tu, con quell'aspetto da killer seriale." si stava rivolgendo al ragazzo con gli occhi di ghiaccio con il cubo di Rubick in mano. "Sai cos'è un lupus?"
Il ragazzo rispose con freddezza: "È una malattia cronica autoimmune. Riguarda in prevalenza il sesso femminile e colpisce spesso cuore, pelle, polmoni, fegato e sistema nervoso."
"Corretto. E quale esame è necessario per diagnosticare la malattia?"
"L'esame degli anticorpi antinucleo." continuò il ragazzo.
"Esatto. C'è scritto anche sul vostro libro di testo, che tra l'altro ho scritto io…"
"Io l'ho letto!" strillai compiaciuto.
"Non hai visto manco il titolo, vero amico?" mi sussurrò Giò.
"Giò, non metterti a formalizzare, adesso."
Il professore si voltò verso di me e chiese: "Come ti chiami, ragazzo?"
"Antonio … ma i miei amici mi chiamano Tony. Lei … lei mi chiami pure Tony." dissi con entusiasmo.
"Bene," sorrise lui. Poi rivolgendosi agli studenti: "La prossima volta non mancate, che sezioniamo Tony."
A fine lezione uscii con Giò dall'aula e mi diressi verso il cortile. La prossima lezione sarebbe cominciata tra due ore.
Ci sedemmo insieme sulla panchina a mangiare qualche snack.
"Quello là deve darsi una calmata!" disse Giò.
"Giò! Non parlare così, ha un sacco di lauree, è un genio, è … un mito…"
"Tony, ma hai sentito cosa ha detto su di te, prima?"
"Certo! Mi ha chiamato Tony! Tony, non Antonio, capito, sono un amico per lui!"
"Sei senza speranza".
"A me piace." gli dissi.
"Tu sei un caso a parte."
"Sai cosa ti dico, invece? Io ci vado a scambiare qualche parola."
Mi alzai e andai in cerca del professore.
"Saaalve, professore … Eh, eh…"
Distolse lo sguardo dal taccuino su cui stava scrivendo e mi guardò. "Ah!" disse lui sorridendo. "La nostra cavia! Mi par di capire che hai anche qualche ritardo mentale, ragazzo, gli studenti di psichiatria ne sarenno contenti."
"Eh eh, sì …" dissi con un sorriso ebete sulla faccia.
Non so perché, ma quando sono sotto pressione o sento emozioni forti comincio a ridere e a fare casino. Come quella volta al funerale dello zio di Giò…

"Era un brav'uomo e sarà per sempre nei nostri cuori, anche se non ci sarà più fisicamente accanto …"
"AH AH AH AH AH!
"…"
"Scusate, mi è scappato."

Mi riscossi dai miei pensieri. Dovevo trovare un argomento per parlare con l'insegnante…
"Signore, trovo molto attraente la sua maglietta."
Lui sollevò un sopracciglio. "È solo un camice da medico."
"Sì … ma trovo che il bianco le stia molto bene."
"Ragazzino, non mi rompere." disse.
"Grazie per avermi salvato la vita, prima, con la sua auto!"
"Non ti ho salvato la vita. Solamente, non ti ho ucciso."
"Non dica una parola, non c'è bisogno di fare il modesto! Da ora in poi sarò il suo angelo custode, come posso iniziare a sdebitarmi?"
"Lasciandomi in pace, microcefalo."
Mi lanciò addosso la matita che teneva in mano e se ne andò sbuffando.
Lo guardai allontanarsi e gli gridai dietro: "Eh … Allora … ci si vede domani!".
Lo sguardo mi cadde sulla matita che il professore aveva lanciato. Raccolsi quel piccolo oggetto come se fosse una reliquia.
Sospirai e mi diressi di nuovo verso Giò.
"Ti ha picchiato?"
"No. Mi ha fatto un regalo."
"Cosa?"
"Questa matita!"
"Te l'ha regalata?"
"Veramente me l'ha lanciata, me l'ha quasi messa in un occhio, ma sai come si dice … è il pensiero che conta!"
"Sei scemo."
"Mi ha salvato la vita!"
"Non ti ha salvato la vita, non ti ha soltanto fatto fare la fine di una sottiletta!"
"Non sminuire il suo altruismo!"
"Quello non sa cosa significa la parola 'altruismo'"
"Sì, invece. Fuori sembra rigido e impassibile, ma ti assicuro che sotto sotto non è così."
"Non capisco cosa ci trovi di tanto emozionante in quel tizio."
Tutto era emozionante in quel "tizio".
Mi aveva salvato la vita! Era il mio eroe.
Un po' il padre che non ho mai avuto.

E ditemi che c'è qualcosa di meglio.
Avanti.
Provateci.

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Capitolo 2
*** Il mio nuovo amico ***



La prossima lezione sarebbe cominciata tra qualche ora.
Avevamo ancora tempo.
E visto che Giò aveva appena collezionato una delusione in amore, decidemmo di dare ufficialmente inizio alla stagione di caccia.
"Tony … Non lo so… Mi devo ancora riprendere… Sara mi ha lasciato … Per di più… al telefono!"
"È che non ci sai fare con le donne. Devi essere più … devi atteggiarti da figo. E devi essere un po' bastardo."
"Ma con Sara non ha funzionato…"
"Be', sai, ci vuole intelligenza con le donne. C'è chi ha la bellezza e chi ha il cervello. E con me la natura è stata doppiamente gentile. Dai, serve qualcosa che ti distragga. Guarda!" indicai le due ragazze che avevo visto prima a lezione, quella mora e quella bionda, che sedevano sulla stessa panchina studiando sullo stesso libro di medicina.
Presi una moneta. "Se esce testa," dissi "tu quella mora, io quella bionda. Se esce croce, tu quella bionda, io quella mora. Ci stai?"
"Vai!" disse lui eccitato.
"Eeee…" momento di suspance "testa! Sei pronto, Giò?"
"Puoi scommetterci!"
Ci avvicinammo lentamente e con discrezione alla panchina. Io mi sedetti a sinistra, accanto alla ragazza bionda, mentre Giò si mise all'estremo opposto della panchina, accanto all'altra ragazza.
Le due non alzarono nemmeno gli occhi dal libro.
Giò gesticolava per cercare di attirare la mia attenzione.
'Che si fa?' sillabò con la bocca.
Sorrisi sollevando le sopracciglia. 'Sta' a guardare.'
Mi schiarii la gola per attirare l'attenzione della mia tipa. Non mi degnò di uno sguardo.
Allora accennai a un colpo di tosse.
Nulla.
Riprovai, ma senza nessun risultato.
Presto i miei colpi di tosse si trasformarono in un bombardamento laringo faringeo.
"Ti stai strozzando? Ti serve dell'acqua?" disse lei con gli occhi perennemente incollati sul libro, con il tono un po' scocciato.
Io, tutto rosso per lo sforzo, annaspando per riprendere fiato, dissi: "Veramente… mi chiedevo se ti andava di … uscire, uno di questi giorni."
Finalmente mi guardò. Aveva un viso dolce e solare, gli occhi azzurri come i miei, e le labbra bellissime e rosee. Non mi ero accorto che fosse così bella.
Cominciò ad annuire, poi inclinò la testa da una parte, come facevo sempre io, poi scosse la testa, poi arricciò il naso, poi aggrottò le sopracciglia con aria pensosa, poi si mise un dito sulle labbra, poi cominciò a lisciarsi i capelli, tutto nel giro di tre secondi.
Le donne sono sistemi operativi con supporto per il multitasking.
"Ok." disse. "Si può fare. Ti darò la conferma."
"Ah, comunque piacere, io sono Tony." dissi tendendo la mano.
Lei la strinse. "Sono Mia."
"Sei … single?"
"Ah… be', sì." disse sorridendo.
"Ah … bene…" dissi ridacchiando come uno scemo.
Dall'altra parte, Giò sembrava aver conquistato la sua donna. Mi stava superando! Dovevo darmi da fare.
Misi una mano sulla coscia di Mia. Baciami… baciami…
"Non toccarmi, porco!"
Dio, che sberla…
Mia si alzò e se ne andò. Giò invece aveva conquistato la sua tipa e se ne stavano abbracciati.
"Ci vediamo domani sera, allora!" disse la ragazza mora chiudendo il libro e alzandosi.
"D'accordo" disse Giò. "A domani, Victoria."
"Allora?" mi disse Giò. "Chi era lo sfigato?"
"La fortuna del principiante!" gli urlai contro.
"Non te la prendere, vieni, andiamo al bar, ti offro qualcosa."
Mi portò nel bar dell'Università. Era davvero un bel posto, caldo, accogliente e rilassante.
Giò mi offrì una cioccolata calda mentre lui prese un cappuccino.
"Vieni" e mi condusse verso il tavolo più grande del locale, quello dove di solito si riunivano tutti gli studenti che avevano voglia di rilassarsi un attimo tra una lezione e l'altra.
Stranamente non c'era quasi nessuno. Eravamo io, Giò, Mia, Victoria, il ragazzo castano che avevo visto in aula che messaggiava e il ragazzo biondo dallo sguardo glaciale con il suo cubo di Rubik in mano.
Mia era ancora arrabbiata con me mi guardò male.
Giò si presentò: "Io sono Giò e questo è il mio amico Tony. Piacere".
Victoria si presentò ai due ragazzi del nostro corso: "Io sono Victoria."
"Io sono Mia."
"Piacere, io sono Leo" disse il ragazzo castano alzandosi e stringendoci la mano.
A quel punto il nostro sguardo cadde sul ragazzo biondo che in silenzio risolveva e scomponeva il suo cubo. Per qualche attimo regnò il silenzio mentre aspettavamo una sua risposta.
Lui sentendosi gli occhi addosso, ma senza alzare lo sguardo, disse: "Mm… Alan…"
"Piacere" dissi io. "Che avete intenzione di fare dopo l'Università?"
"Io voglio fare il chirurgo." disse Leo.
"Anche io!" sorrise Giò.
"Io non lo so, mi basta trovare un lavoro e fare qualcosa di socialmente utile." disse Mia.
"Sono d'accordo" disse Victoria.
"Anch'io" replicai.
Occhiata gelida di Mia.
Sguardi puntati su Alan. Momento di silenzio.
"Mi specializzerò in psichiatria."
Grugniti di assenso.
"È stato un piacere conoscervi, ma adesso dobbiamo proprio andare" disse Mia guardando l'orologio e prendendo Victoria per un polso.
Anche io e Giò ci alzammo.
Verso l'uscita dissi: "Mia, mi dispiace, non volevo."
"Potevi pensarci prima." e se ne andò.
Mi dispiace offendere le persone, ma di solito non sto a pensarci più di tanto, le lascio stare aspettando che passi l'incazzatura. Ma quella volta invece, stavo male davvero per aver offeso Mia, specialmente per una cosa così stupida.
"Non ci pensare, amico" disse Giò notando il mio disagio. "Capita."
I miei pensieri vennero interrotti dalla vista di un vecchio che si avvicinava, come se cercasse qualcosa. Era basso, capelli grigi, un tempo forse erano stati biondi, e occhi azzurri. Indossava un camice da medico e aveva nel taschino delle medicine.
"Salve ragazzi. Sono il professore di psichiatria, avete visto le mie pillole?"
"Ha detto di psichiatria?" disse Alan, dietro di noi.
"Bravo, ragazzo, proprio quelle!" e indicò dei medicinali che Alan aveva appena preso da terra.
"Devono essermi cadute quando ho preso qualcosa al bar." e se le fece restituire.
"Tony, sono psicofarmaci…" mi sussurrò Giò "Questo è matto."
"Lei è il professore di psichiatria?" ripeté Alan.
"Sì, ragazzo. Ti interessa?"
"Sì. Vorrei specializzarmi in psichiatria una volta finito gli studi di medicina."
"Allora avrò l'onore di averti come allievo! Vuoi fare una passeggiata?"
Alan e il professore se ne andarono camminando insieme.
"Sai, ragazzo, ho quasi settant'anni e insegno qui da più di 30."
"Ha settant'anni?"
"Pensavi che fossi più vecchio, eh? Già, a volte lo penso anch'io. Quanti anni hai, ragazzo?"
"Diciannove."
"Eh… a 19 anni sei giovane e ridicolo… Dopo sarai solo ridicolo."
"Cos'erano quelle pillole, signore?"
"Prendo stabilizzatori dell'umore e gli antipsicotici contro la schizofrenia. Ma dopotutto, chi meglio di un pazzo può insegnare psichiatria?"
Io e Giò ce ne andammo. Giò guardava quella strana coppia perplesso, io ero ancora deluso dall'incomprensione con Mia e me ne fregavo.
Così deluso che non vidi il professor Conti che camminava a grandi passi e che mi venne addosso.
"Scusi, professore".
"Guarda dove metti i piedi, pivello".
"Tony," disse Giò "Mi presti il cellulare? Voglio chiamare mio cugino per sfotterlo. Non pensava che sarei arrivato all'università!"
Presi il cellulare dalla tasca senza un commento. Lo diedi a Giò. Poi notai un foglio per terra che doveva essermi scivolato dalla tasca mentre prendevo il cellulare. Chissà come era finito nella mia giacca.
Era un foglio quadrato, 10 cm x 10 cm, azzurro. Lo aprii. Diceva: "Offrile un caffè e vedi che ti perdona, scemo, non fare quella faccia da depresso. -Il Fogliettista, il tuo nuovo amico."
Mi guardai intorno circospetto. Mi sentivo osservato. Chi era che mi teneva sotto controllo? Come faceva a saperlo? Doveva essere per forza stato Giò.
"E invece ci sono arrivato! Alla faccia tua." e Giò chiuse la chiamata.
"Adoro rendere ridicolo mio cugino."
"E i tuoi amici."
"Certo, anche quello. Come quella volta che in discoteca ti ho versato addosso il mio cocktail e ho detto a tutti che ti eri pisciato addosso."
"Non intendevo quello, Giò, ma grazie per avermelo ricordato. Non ti viene in mente nient'altro?"
"Sinceramente… non so dove tu voglia andare a parare, amico."
Non vidi traccia di menzogna nei suoi occhi. Era sincero.
Il mio nuovo amico rimaneva un mistero.

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