Welcome to the jungle di Irissel (/viewuser.php?uid=531396)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Welcome to Los Angels ***
Capitolo 2: *** Hello Chick ***
Capitolo 3: *** Basket?no, Grazie ***
Capitolo 4: *** mai giudicare un libro dalla copertina ***
Capitolo 1 *** Welcome to Los Angels ***
«Spero
per te che sia uno scherzo.» non poteva prendere una
decisione del genere senza prima consultarmi, eravamo rimasti solo noi
due da soli e c'eravamo fatti la promessa che per ogni decisione ne
avremmo parlato assieme prima di decidere ed ora mi lancia una bomba di
queste dimensioni. Era inaccettabile.
«Mi
spiace tanto, ma dopo aver perso il lavoro l'anno scorso trovarne uno
qui in zona avendo per giunta poche credenziali mi era
impossibile.» nell'ultimo anno mio padre era cambiato
tantissimo perdendo quasi totalmente la sua allegria e la sua voglia di
fare. Eravamo seduti l'uno davanti all'altro in cucina, cavoli era da
tanto che non parlavamo cosi..cosi seriamente, dopo la morte di mia
madre e di mio fratello cercavamo di stare fuori casa il più
possibile; entrambi soffrivamo in silenzio e in modo solitario per la
loro perdita, pochi abbracci e lacrime versate solo in assenza
dell'altro.
«Dove
dobbiamo trasferirci?» guardò prima me e poi
guardò attorno alla stanza come per trovare coraggio negli
oggetti per rispondermi.
«Los
Angeles» lo disse tutto d'un fiato e non riuscii a capire se
avevo sentito bene e meno.
«Los
Angeles?» con la testa bassa annui e io per poco non mi misi
a piangere.
Avrei
dovuto lasciare i miei amici e il mio oceano Atlantico per l'oceano
Pacifico, è un tradimento bello e buono certo in compenso
sarei andata a Long Beach per fare surf ma non sarebbe stata la stessa
cosa. Miami e Los Angeles non erano cosi vicine, distavano esattamente
2731 miglia e serviva per l'esattezza 1 giorno e 14 ore per arrivarci e
tutte quelle miglia non potevo di certo farle per andare a trovare i
miei amici, non poteva farle ogni volta che mi andava perché
era troppo anche per una come me che amava viaggiare e spostarsi con
ogni mezzo di trasporto possibile ed immaginabile.
«Di
che lavoro si tratta? Ma non puoi aspettare almeno un anno cosi finisco
la scuola qui a Miami? Poi potrei trovare un college vicino a Los
Angeles» alzò lentamente la testa, come se questa
pesasse tanto quanto un macigno. Gli occhi azzurri e un pò
incavati erano spenti e tristi e guardandolo in quelle condizioni mi
venne un nodo in gola. Sapevo benissimo che anche per lui non era
facile andarsene e se aveva preso una decisione del genere era
certamente stato costretto da forza maggiori.
«Mi
dispiace, ma non ho più soldi per pagare la casa e nemmeno
per mangiare. Ho il conto totalmente in rosso, a Los Angeles ho trovato
lavoro come guardiano di un dormitorio della scuola superiore,non ci
sono affitti da pagare e abbiamo la possibilità di mettere
da parte un pò di soldi per poi ritornare a Miami magari
entro un anno. Domani abbiamo l'aereo, scusa per il poco preavviso ma
non sapevo come dirtelo.» mi guardava speranzoso e credeva in
quello che stava dicendo. Ritornare a Miami entro un anno, la cosa era
fattibile, vivere a Los Angeles solo per un anno non mi avrebbe
certamente stravolto l'esistenza, si trattava solo di vivere in un
posto diverso e un pò lontano da casa, certo avrei preferito
sapere qualche giorno prima del trasferimento cosi da preparare le
valige tranquillamente e magari salutare i miei vecchi amici ma in un
modo o nell'altro li avrei salutati, tanto si sarebbe trattata di una
separazione momentanea.
«Ok,
preparo le valige» cercai di sorridergli per fargli capire
che sarebbe andato tutto bene, che noi due ce la saremmo cavata come da
un anno a questa parte, Miami o Los Angeles non faceva differenza
l'importante era stare assieme. Mi alzai e mi avvicinai a lui
abbracciandolo da dietro schioccandogli un bacio sulla guancia. Ne ero
certa se ero con mio padre tutto era possibile.
Andai
in camera cercando di fare il più possibile lunghi respiri
per calmarmi. Los Angeles Los Angeles Los Angeles. La mia testa non
faceva altro che pensare a quello, avevo cercato di fare coraggio a mio
padre ma ero io quella un pò spaventata in
realtà. Nuova vita, nuova scuola e soprattutto nuovi
compagni.
Welcome
To Los Angeles. Il grande cartellone blu capeggiava accanto alla
carreggiata mentre sui vecchi muri che l'affiancavano
spiccavano i murales, per giunta uno più bello dell'altro ma
tra tutti il mio preferito era certamente quello che raffigurava il
viso di Marylin Monroe in bianco e nero su uno sfondo rosa, sembrava
quasi una fotografia talmente era bello e realistico.
Guardai
l'ora. Erano gia le 6 del mattino, mi attendeva una nuova vita e,
contrariamente a quanto pensavo all'inizio, ero terrorizzata. Non ero
certamente la persona più socievole del mondo, ridevo e
scherzavo con tutti senza particolari problemi ma faticavo non poco a
conoscere persone nuove. Nemmeno durante le gare di surf o le partite a
basket riuscivo a fare quattro chiacchiere con gli altri giocatori e
partecipanti. Non ero timida ero semplicemente un lupo solitario
esattamente come mio padre.
Ero
cosi immersa nei miei pensieri che nemmeno mi resi conto che l'autobus
si era fermato davanti ad una scuola.
«Questa
è la West Adams High School. Dovete scendere qui
giusto?»
«Si
grazie» presi anche io la valigia e il mio zaino e seguii mio
padre fuori dal mezzo ringraziando il conducente.
«Tesoro
siamo arrivati. Andiamo, dobbiamo parlare col direttore.»
Essendo
cosi presto nel cortile davanti alla scuola non c'era anima viva,
meglio cosi, sarebbe stato ridicolo vedere una ragazza arrivare a
inizio anno con borsoni e valigie.
Il
Direttore mi fece una buona impressione, sembrava tenere molto alla
scuola e ai suoi alunni. Dietro la grande scrivania di legno massello
sembra ancora più piccolo di quanto non fosse realmente.
Portava un paio di occhiali dalla montatura leggera che doveva mettere
e togliere in continuazione e dovetti cercare di non ridere
perchè era alquanto comico.
«Bene,
vi accompagno al vostro alloggio e poi Jane ti mostro la tua
classe.»
«Ok,
la ringrazio.»
Lo
seguimmo fuori dal suo studio e poi fuori dalla scuola. La casa era
poco distanza dall'edificio, non era grande ma per due persone era
più che sufficiente, entrammo e con enorme piacere vidi che
gli scatoloni, inviati da mio padre qualche giorni prima, erano li e
cosa più importante erano intatti. C'erano molte cose
importanti sia per me che per mio padre e sarebbe stato un peccato se
si fosse rotto qualcosa.
La
sala era piccola con un divano in ecopelle nera un pò
rovinato, sarebbe bastato un copridivano per metterlo a nuovo, nel
mobile difronte c'era un televisore non grandissimo ma era abbastanza
dato che io non la guardavo mai nemmeno a casa, il bagno aveva i
sanitari puliti e in ordine, mancava solo una tenda per la doccia
altrimenti avremmo rischiato di bagnare ovunque ogni volta. Il problema
più grande si presentò aprendo le camere da letto.
C'erano
5 ragazzi e una ragazza distesi nei nostri letti, tre nella mia stanza
e tre in quella di mio padre.
«FUORIIIII»
il Direttore era piccolo e sembrava senza engergia tanto era magro ma
quando si mise ad urlare mi spaventai anche io.
Vidi
i ragazzi svegliarsi lentamente stiracchiandosi. Prima guardarono il
Direttore, poi mio padre e per finire la sottoscritta.
Si
alzarono e si avvicinarono e me.
«Volevamo
scaldarti il letto. Dovresti ringraziarci sai?» era il colmo.
Entro in casa, trovo dei perfetti sconosciuti nel mio letto e per di
più devo anche ringraziarli.
«Spero
tu stia scherzando.» si mise esattamente davanti a me mentre
i suoi amici erano dietro, non li vedevo ma li sentivo ridere. Il
ragazzo era almeno 15 cm più alto di me, se non di
più e anche portando le braccia al petto non l'avrei
certamente intimorito anche perchè non era tanto la sua
altezza a mettermi soggezzione quanto più gli occhi. Vi
assicuro che occhi cosi non posso esistere in natura, cosi
azzurri da sembrare bianchi e freddi non possono essere un dono di
madre natura. Tutta la sua figura mi inquietava e agitava. A Miami quei
pochi amici che avevo erano perlopiù ragazzi e tenevo testa
a tutti loro, ma lui mi intimoriva e se ne rendeva conto
perchè non smetteva un secondo di osservarmi come se
cercasse di leggermi dentro.
«Voi
6 andate nel mio ufficio immediatamente.» il piccolo
Direttore li spinse fuori dalla nostra casa e io potei notare come
erano disfatti e sporchi i nostri letti.
Tolsi
le lenzuola dai letti per poterle gettare in lavatrice e fortunamente
trovai un ricambio pulito nell'armadio in camera di mio padre,
dopodiche disfai le valigie cercando di sistemare tutto accuratamente
nel cassetti, odiavo il disordine ed in particolare nella mia camera. A
Miami mio fratello aveva il vizio di ribaltare la mia stanza per
infastidirmi e farmi arrabbiare riuscendoci ogni volta, perfino questa
cosa stupida mia mancava di lui. Pensando a mio fratello e prendendo
per caso la sua maglia che usava durante le partite a basket mi venne
voglia di piangere ma cercai di controllarmi alzando lo sguardo a
dandomi leggeri schiaffetti sul viso.
Fu
totalmente inutile.
«Mi
manchi stupido idiota.» sdraita sul letto con ancora le
scarpe ai piedi e la sua maglia al petto iniziai a piangere.
Quando
mio padre venne a chiamarmi avvisandomi che il Direttore mi aspettava,
mi trovò con gli occhi rossi e le guancie bagnate dalle
lacrime.
«Jane»
sapeva che la cosa migliore era lasciarmi stare senza provare a
consolarmi e lo ringrazia quando, benchè preoccupato, non si
mosse per entrare in camera rimandendo vicino allo stipite.
Gli
sorrisi e annuii col capo, stavo bene ma il trasferimento sembrava
avermi allontanato ancora di più dalla mamma e da Kevin.
Sistemai la maglia sotto il mio cuscino, uscii dalla porta e andai
verso l'ufficio del Direttore.
L'inizio delle lezioni si stava avvicinando e iniziavano ad arrivare i
primi ragazzi che fortunatamente non mi degnarono di uno sguardo troppo
concentrati a ripassare sui loro libri. Avendo un pessimo
orientamente feci molta fatica ad arrivare nell'ufficio, trovarlo fu
però un sollievo.
Feci per bussare ma la porta si aprì in quel momento
facendomi trovare faccia a faccia di nuovo col ragazzo dagli occhi di
ghiaccio e la sua compagnia.
«Sto ancora aspettando un tuo grazie.» mi stava
innervosendo quel tizio.
«Jane
vieni pure, voi fuori immediatamente.» prima della fine
dell'anno avrei fatto una statua interamente d'oro al Direttore.
Mi
spiegò a grandi linee i corsi che si teneva in quella
scuola, gli orari sia delle lezioni che i turni per le pulizie che
variavano in base alla classe, mi spiegò inoltre il sistema
delle classi: nella sezione A vi erano quelli che avevano una media tra
9 e 10, nella B coloro che avevano una media tra 8 e 9 e via dicendo
fino ad arrivare alla F dove c'erano i peggiori dell'istituto. Come
suddivisione non era male in questo modo, avendo una media del 9, avrei
potuto frequentare tranquillamente le lezioni senza avere qualche
compagno idiota che si divertiva a disturbare in classe, che per giunta
era un'altra cosa che detestavo.
Accenò anche al fatto che ogni studente era obbligato a
scegliere un corso extrascolastico che prevedeva vari sport o materie
artistiche come arte, recitazione, canto o danza, oltre all'obbligo di
partecipare alla vastità di gite che venivano fatte durante
l'anno per ogni singola classe in modo da rafforzare i rapporti tra gli
studendi.
«Spero di esserti stato chiaro, in caso vieni pure quando
vuoi nel mio ufficio.»
«Si
è stato chiaro, una domanda, ma quindi in che sezione
sono?»
«Oh
che sbadato, vieni ti mostro la tua classe.»
Lo
seguii fuori dal suo ufficio, attraversammo un grande corridoio che
data l'ora si stava riempiendo di studenti che non persero un attimo
prima di farsi domande tra di loro incuriositi dalla sottoscritta,
salimmo due rampe di scale e poi un altro corridoio con la differenza
che in questo non c'erano molti studenti ma solo muri disegnati e
armadietti rotti finchè finalmente non arrivammo davanti
alla classe: 5F.
«F?
Perchè? Ho sempre avuto una buona media fin dalle
elementari.» avevo voglia di piangere, di scappare e di
prendere a pugni il Direttore.
«Mi
spiace, ma le classi ormai erano fatto e la tua domanda di iscrizione
è arrivata tardi. Comunque non preoccuparti tra tre mesi ci
sono gli esami di metà trimestre e hai la
possibilità di cambiare classe.» in
realtà avrei preso a pugni mio padre una volta arrivata a
casa, il suo essere sbadato e fare le cose all'ultimo minuto mi stava
penalizzando e non poco.
«In
questi tre mesi devo stare qui però. Non ci sono altri
modi?»
«Mi
spiace, scusa ma devo andare» non riuscii a finire la frase
che lo vidi andare via di corsa.
Guardai
la porta. Verde, piena di buchi e tagli, sotto la scritta 5F, fatta
certamente a mano con un pennarello indelebile, c'era una scritta poco
rassicurante: Lasciate ogni speranza voi che entrate. Qualcuno deve
aver studiato Dante il che era quasi rassicurante oltreche minacciosa.
Presi
fiato e con quel poco coraggio che mi rimaneva bussai ed entrai in
classe. Erano le 8.30, teoricamente la lezione doveva essere
già iniziata ma vidi solo un professore terrorizzato,
nascosto dal registro e un branco di imbecilli che si divertivano a
tirarsi addosso oggentti, urlare e fumare etc..insomma fare tutte cose
per nulla inerenti al concetto di scuola a cui ero abituata.
«Salve,
sono Jane Moore.» il professore mi salutò con un
cenno della testa e con la mano fece segno di accomodarmi dove volevo.
«E
sono maleducata.»
Mi
voltai e per poco non svenni. Occhi di ghiaccio e la sua banda erano
anche loro nella mia stessa classe, mi guardarono e iniziarono a
sghignazzare attirando l'attenzione del resto dei compagni. Non
risposti alla sua frase idiota e andai a sedermi nel primo banco
libero, esattamente davanti alla cattedra.
I
miei tre mesi d'inferno erano ufficialmente iniziati.
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Capitolo 2 *** Hello Chick ***
Cercavo
di regolare il respiro per poter stare il più calma
possibile ma era veramente un' ardua impresa. Erano già le
11 e non avevo fatto nemmeno una lezione, i professori entravano in
classe, si sedevano e puntualmente alzavano il registro per coprirsi da
strani oggetti volanti che finivano sulla cattedra, dalle penne alle
bottiglie ai quaderni e libri agli astucci. La classe non era molto
numerosa, solo una quindicina di elementi compresa la sottoscritta, ma
erano teppisti indomabili.
Fortunamente la
campanella per la pausa suonò e con enorme sollievo riuscii
ad uscire dalla classe, ancora un minuto e sarei impazzita seriamente.
Percorsi nuovamente il
corridoio sentendo un forte odore di fumo che prima non avevo notato in
compenso ora sentivo chiaramente dei passi dietro di me, probibilmente
qualche compagno idiota che voleva farmi qualche scherzo cosi
velocizzai il passo arrivando in mensa quasi col fiatone.
La mensa era
abbastanza grande da poter contenere tutti gli alunni, non avevo una
gran fame cosi mi limitai a prendere una mela e un succo di frutta.
Feci la cosa più idiota al mondo: aprire un succo di frutta
in mezzo a quella baraonda e come se fossi una calamita mi venne
addosso un ragazzo che non chiese neppure scusa ed il succo
finì addosso ad una ragazza davanti a me. Questa non solo
pretese delle scuse, che giustamente feci, ma iniziò anche
ad urlare come una matta attirando su di se anzi su di noi l'attenzione.
«Hai visto
quello che hai appena fatto?» continuava ad urlare come una
matta indicando la sua maglia dove lentamente si stava allargando una
macchia di succo ai lamponi. Una bella macchia rossa sulla maglietta
bianca.
«Senti mi
dispiace non è stato di certo intenzionale» cercai
di porgerle un fazzoletto di carta, nuovo chiaramente, che avevo nella
tasca dei pantaloni ma dandomi una pacca con la mano me lo fece cadere:
era l'unica risorsa che avevo.
«Sei un
idiota e per giunta inutile.»
Sarebbe andata avanti
ancora per molto tempo se non fosse intervenuto un ragazzo in mia
difesa nel vano tentitivo di calmarla.
«Amber stai
tranquilla, non penso l'abbia fatto di proposito. Sicuramente hai una
maglia di ricambio nell'armadietto, indossa quella per il
mometo.» sbuffò indispettita e dopo avermi
lanciato uno sguardo poco amichevole mi lasciò in pace.
«Grazie
mille.» il ragazzo mi guardò e mi sorrise. Era un
angelo, finalmente in tutto questo grigiore vedevo un minimo di luce.
Era bello da mozzare il fiato, alto e abbastanza muscoloso, leggermente
abbronzato, i capelli erano abbastanza lunghi da arrivargli oltre le
spalle e gli occhi verdi e dolcissimi mi guardavano senza mettermi a
disagio a differenza di quel cretino dagli occhi di ghiaccio che avevo
come compagno.
«Io sono
Cristopher Martin, ma chiamami pure Cris. Non ti ho mai visto qui. Sei
nuova?» pensevo dalle sue labbra, perfino la sua voce aveva
un suono cosi melodico.
«S-si. Mi
sono trasferita oggi, io sono Jane Moore. Piacere di
conoscerti.»
«Da dove
vieni?» doveva essere una delle conversazioni più
interessanti al momento per tutti i ragazzi in mensa smisero di
mangiare per osservarci.
«Miami»
«Ma quelle
di Miami non sono belle, abbronzate, bionde, con un fisico da urlo? Tu
non puoi essere di Miami» ancora quella voce, ancora quel
branco di imbecilli a rovinare la mia esistenza. Non avevo bisogno di
voltarmi per sapere che erano dietro di me, sentivo i loro sguardi e le
loro risate alle mie spalle, perfino l'espressione di Cris
mutò improvvisamente diventando seria e ostile. Gli occhi
erano ridotti a due fessure, le labbra tirate e le mani lungo i fianchi
erano chiuse a pugno.
«Che diavolo
ci fate voi 5 qui? Non è zona per voi.»
«Ho un nuovo
interessante giocattolino per le mani che non ho intenzione di farmi
sfuggire.» detto fatto sentii qualcuno prendermi di peso e
portarmi fuori dalla mensa sotto gli sguardi pietrificati degli altri
ragazzi e di qualche professore. Forse non guardavano me e Cris, che
effettivamente non eravamo cosi interessanti, ma piuttosto quegli
idioti.
«Fatemi
scendere immediatamente. Voi siete pazzi»
Quando fummo davanti
ad una grande quercia mi fecere scendere ma non mi diedero tempo di
andar via perchè mi circondarono bloccandomi ogni via di
fuga.
Ero spaventata. Certe
cose non capitavano solo nei film? Qui si trattava di vita reale.
«Dai forza
spostatevi.» una ragazza poco più alta di me
riuscì a farsi largo in quel muro umano venendomi difronte.
Mi guardò inizialmente con ostilità e poi mi
sorrise dolcemente finendo per buttarsi al collo abbracciandomi. La
paura non era scomparsa in compenso ora avevo la certezza di essere
finita in un manicomio e non in una scuola.
«Io sono
Bethany Anderson, ma tu puoi chiamarmi Beth. Sono sua
sorella.» con un cenno del capo indicò il ragazzo
che mi aveva preso di forza. Non si assomigliavano per niente, Beth
aveva i capelli lunghi color rame, dei grandi occhi verdi e il viso
punteggiato da lentiggini. Era una dolcezza infinita la sua figura,
mentre il fratello aveva i capelli castani, poche lentiggi e gli occhi,
benchè verdi come la sorella, gli conferivano un aria da
eterno bambino.
«I-io sono
Jane, ma perchè mi avete preso cosi di forza?» era
una domanda più che lecita a mio avviso.
«Perchè
il mio fantastico tesoro voleva conoscere la nuova arrivata, compagna
di suo fratello Derick e del suo ragazzo. Io comunque sono Liam Miller
e se te lo stai chidendo si, siamo in classe assieme.» Liam
si avvicinò a Beth e l'abbracciò da dietro,
dovetti trattenermi dal ridere perchè erano al contempo
teneri e comici. Lei cosi piccola e minuta tra le braccia di quel
ragazzo enorme sembrava potesse rompersi da un momento all'altro eppure
era incredibile la delicatezza con cui la circondava. Liam mi ricordava
tanto un gigante buono, una di quelle persone che non avrebbe fatto
male a nessuno nemmeno ad una mosca.
«Noi invece
siamo i gemelli Wilson. Io sono Seth e lui Aaron» li guardai
cercando di trovare qualcosa, anche piccola e stupida, che potesse
differenziarli ma era impossibile perchè erano identici,
perfino nei lor abiti. Stessi jeans scuri, stessa maglietta nera,
stesse converse perfino, stessi occhi castani, stesse labbra sottili,
stessi ricci castani e qualche sfumatura bionda che ricadevano sul loro
viso un pò troppo pallido per essere californiani.
«Siete
veramente identici. Io sono Jane piacere di conoscervi. E tu
sei..» cercare di fare conversazione con cretino dagli occhi
di ghiaccio mi risultava impossibile. La sua presenza mi irritava, non
faceva altro che osservare qualsiasi cosa io facessi.
«Ian
Lewis»Era un cretino e l'ho già detto ma era
bello, non bello come un principe, non bello come Cris, era
più un bello diabolico. Gli occhi azzurri gli davano un'aria
seria, i capelli neri come la notte erano lunghi e scompigliati, la
labbra erano leggermente carnose circondate da un pò di
barba che non lo facevano sembrare più adulto. Era bello ma
non un genere che piaceva a me, era più portata per i
ragazzi biondi.
Ian era troppo intento ad accendersi una sigaretta che non si rese
conto del Direttore alle sue spalle.
«Voi 6
dovreste smetterla di fare baccano.» era l'unico in grado di
tenergli testa, l'unico che non aveva timore di rivolgersi a loro ed in
particolare ad Ian in quel modo.
«Che abbiamo
fatto? Abbiamo solo rapito la nostra compagna di classe. Lei
è ancor viva e in mensa nessuno si è fatto male.
Vero occhi a palla?» si voltarono tutti verso di me, quindi
fu semplice dedurre che Occhi a palla ero io, ho gli occhi grandi ma
non mi sembrava il caso di chiamarmi Occhi a palla. La scelta era:
urlare e piangere cercando protezione nel preside o annuire e fare
finta di nulla per non rischiare realmente di morire.
«Non si
preoccupi, sotto questa scorza da teppisti sono ragazzi timidi,
volevano solo conoscermi senza farlo però davanti a
tutti.» alla mie spalle sentii Beth ridere mentre Liam
cercava di zittirla invano, il Direttore mi guardava confuso senza
sapere se credermi o meno.
«Bene, le
lezioni sono iniziate, dovreste entrare.» non me lo feci
ripetere due volte e lo seguii all'interno dell'edificio diretta nella
mia classe.
Ore 15. Ultima
campanella del primo giorno di scuola. Ero stanca morta, era
più che comprensibile se contiamo il fatto che al mattino
ero partita da Miami per arrivare qui diretta a scuola senza aver avuto
tempo di riposarmi. Presi lo zaino accorgendomi con grande rammarico
che non l'avevo nemmeno aperto dato che c'era stato un gran baccano per
tutto il tempo grazie ai miei cari compagni, la cosa che mi
stupì fu che nessuno dei 6 teppisti era rietrato in classe
dopo la ricreazione, chissà che stavano combinando.
Appena uscii dalla
classe fui verniciata da capo a piedi da quegli stessi imbecilli che
avevo appena conosciuto. Un bel secchio di vernice gialla cosparsa
interamente su di me facendomi assomigliare ad un pulcino e se la
ridevano pure.
«Sembri un
pulcino. D'ora in poi ti chiamerò Chick. Ahahah»
il secchio che uno dei gemelli teneva in mano glielo avrei tirato
volentieri in testa nella speranza d aprirgliela in due come un'anguria.
«Siete un
branco di imbecilli.» se speravano di vedermi piangere si
sbagliavano di grosso, mi sarei vendicata quello era certo.
Correre fuori dalla
scuola fu complicato, tutti quelli che mi vedevano non facevano altro
che ridere e additarmi chiamandomi pulcino e fuori dalla scuola andai a
sbattere contro a Cris sporcandogli anche la maglia.
«Oddio mi
spiace.»
«Tranquilla,
ma che ti è successo?» gli spiegai l'intera
faccenda cercando di contenere in qualche modo la rabbia. Il suo
sorriso dolce fu un bocca d'aria fresca e mentre con fazzoletto cercava
di pulirmi il viso sentivo le guancie diventare rosse e il cuore
battermi a mille. Madre natura era stata gentile con lui, ogni cosa sul
suo viso era assolutamente perfetta, niente stonava nemmeno quella
leggera ricrescita della barba sul mento, era la perfezione fatta a
persona, il principe azzurro delle favole.
La mia vita stava
diventando una favola disney, Iam l'antagonista assieme alla sua banda
di imbecilli e Cris il principe azzurro pronto a salvare la principessa
in pericolo.
«T-ti
ringrazio, non dovevi.» gli sorrisi timidamente nella
speranza che lui non notasse il rossore sulle gote.
«Esatto
Cris, non dovevi.» stranamente non fummo interrotti da Ian,
ma bensì da una ragazza e quando mi voltai vidi la stessa a
cui involontariamente avevo macchiato la maglietta in mensa oggi
pomeriggio. Stavo per spiegarle l'accaduto ma i miei compagni idioti
uscirono dalla scuola improvvisamente spingedomi, accidentalmente mi
auguro, contro la ragazza facendoci cadare sull'erba. Il risultato:
un'altra maglia sporca per lei e una nuova nemica per me.
«Spostati
immediatamente o ti uccido con le mie stesse mani.»
Cris mi venne accanto
e diede ad entrambe una mano ad alzarci.
«Scus..»
«Non
fiatare.» oggi in mensa mi aveva guardato malissimo ma lo
sguardo che mi rifilò in quel momento sembrava incenerirmi.
Con lo sguardo basso
andai a casa dove trovai mio padre intendo a sistemare le sue cose nei
vari cassetti e armadi.
«Che ti
è successo?»
«Non
chiedermi nulla, più tardi facciamo i conti sia chiaro. Ora
faccio la doccia.»
Andai a farmi in
realtà un lungo anzi lunghissimo e rilassantissimo bagno
perchè era solo di quello che avevo bisogno per stare meglio
oltre a Miami, ai miei amici e al surf, ma per quelli avrei atteso
ancora un'anno. Un anno che sarebbe risultato interminabile se le cose
non miglioravano, i miei compagni erano idioti, quella ragazza mi
odiava e quei 6 imbecilli si divertivano a prendermi in giro di questo
passo sarei impazzita.
Spero che la storia possa piacere a qualcuno, sono ben accetti commenti
e critiche. Ho sfornato due capitoli perchè avevo abbastanza
tempo dubito possa essere cosi per sempre :(
Andando avanti con la storia le cose si complicheranno certamente e
sopravvivere non sarà facile per Jane.
Per il protagonista Ian avevo in mente questo figurino http://www.sorrisi.com/wp-content/uploads/2009/02/nir-lavi.jpg Guardandogli gli occhi che
provate? non potete dire che non è un super uomo.
|
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Capitolo 3 *** Basket?no, Grazie ***
Non mi resi
conto di quanto tempo avevo passato nell'acqua finchè non mi
accorsi che avevo la palle sulle mani tutta raggrinzita segno che era
arrivato il momento di uscire dalla vasca e dedicarsi un pò
allo studio individuale. L'unico modo per andarmene da quella classe di
idioti era passare l'esame di metà trimestre che si sarebbe
tenuto all'incirca verso dicembre, non erano esattamente tre mesi se
contiamo il fatto che per me l'anno scolastico qui a Los Angeles era
iniziato a metà settembre ma non era importante, la sola
cosa da fare era mettersi sotto con lo studio e iniziare a prendere in
mano i libri fin da subito.
Mi asciugai e andai in camera cercando in uno degli scatoloni i miei
libri che usavo alla vecchia scuola, le materie erano simili e lo
stesso erano gli argomenti di studio ma in caso di problemi avrei
chiesto a qualche professore. Iniziai a farmi uno schema
settimanale in modo tale da studiare le stesse materie ogni giorno fino
agli esami. Lunedi: Storia americana, martedi: letteratura e inglese,
mercoledi: economia, giovedi: nulla perchè era il giorno
libero per le attività extracurricolari ed infine venerdi
con matematica e chimica, le materie più difficili era
meglio metterle a fine settimana altrimenti me la sarei rovinata tutta.
A Miami avevo mio fratello che, essendo un anno più grande,
mi aiutava a studiare e a prendere dei buoni voti durante i test ma qui
a Los Angeles mi sarei dovuta arrangiare.
Guardai il letto e poi il libri. Letto e libri. Letto e libri. Alla
fine scelsi il letto, dovevo studiare ma ero anche tremendamente stanca
e studiare con quella stanchezza sarebbe stato controproducente quindi,
dato che erano solo le 17, decisi di fare un riposino per recuperare le
forze.
Ero sola in mezzo a quel campo di basket, tutto
era nero attorno a me, non vedevo nulla se non la palla tra le mie mani
e il tabellone dei secondi che scorreva inesorabile. La palla tra le
mie mani iniziò a scottare sembrava fuoco vivo racchiuso in
quella cosa tonda, la guardai e vivi la mia immagine, vidi me piccola
che giocava con un bambino dai capelli biondi e gli occhi blu, ero io
assieme a Kevin quando ancora eravamo una famiglia felice e serena.
L'immagine sparì e al suo posto vidi mio padre distrutto in
cucina, vidi poi me arrabbiata col mondo rientrare in casa e capii che
nonostante ce ne fossimo andati da Miami il senso di colpa non mi aveva
abbandonato.
Mi svegliai di colpo troppo terrorizzata per poter continuare a
sognare, mi resi conto di avere il viso completamente sudato e i
capelli nuovamente bagnati. Era da diversi mesi che non facevo incubi
del genere, sperai si fosse attenuato il senso di colpa ma sembrava
ogni giorno voler crescere implacabile. Stare a letto era totalmente
inutile quindi, ancora un pò stordita, mi alzai ed andai in
cucina dove trovai un biglietto di mio padre sul tavolo.
"Dato che stavi dormendo cosi bene ho preferito non svegliarti per la
cena, ti ho lasciato qualcosa da sgranocchiare in frigo. P.s. se quando
ti svegli non mi trovi è perchè sono per la
scuola a fare il controllo serale."
«Cena? Controllo serale? Ma che ore sono?» guardai
l'orologio alla parete: 22.30 «ho dormito
tantissimo cavoli, ho saltato sia la cena che lo studio. Da domani mi
devo impegnare seriamente.»
Magiai solamente uno yogurt, alle 22.30 di sera avevo ben poca fame,
guardai un documentario sui pinguini decisamente poco interessante dato
che i pinguini non rientravano tra i miei animali preferiti e verso
mezzanotte ritornai a letto scoprendomi stanca nonostante il riposino
pomeridiano.
Mi svegliai alle 7 col suono delle campane, ieri mattina e durante la
giornata, troppo presa a sopravvivere, non mi resi conto che poco
lontano da noi c'era una chiesa con delle campane molto fastidiose e
rumorose per giunta. Altra cosa che avrei odiato stando qui.
Cercando di non svegliare mio padre, che sicuramente ieri sera aveva
fatto tardi mi preparai e feci colazione, un'abbondante colazione in
modo da non dover andare in mensa per pranzo evitanto cosi altri
incidenti.
A scuola cercai di essere il più invisibile possibile e
fortunatamente nessuno o quanto meno pochi ragazzi si ricordarono del
piccolo incidente con la vernice del giorno prima cosi
riuscii ad attraversare il grande corridoio e salire le scale senza
problemi.
«Chick,
non scappare.» quella voce e quelle risate mi fecero
rabbrividire. Nessuno mi aveva notato, parlato o salutato
perchè dovevano farlo proprio loro? Era cosi divertente
prendermi in giro?
Mi voltai e li vidi tutti li accanto ai bagni, tutti quanti con la
sigaretta accesa, chi in bocca chi, invece, la teneva tra le mani.
Derick, Liam, Seth, Aaron, Ian mancava Bethany, forse era in ritardo
ma, pensandoci bene, non mi pareva nella nostra classe il giorno prima.
«Ma
Betha..» fui letteralmente travolta da un tornado dai capelli
rossi. Come si dice? Parli del diavolo spuntano le corna, ed eccola li
abbracciata a me e contenta di esserlo.
«Ammettilo,
mi stavi cercando vero?» aveva sgranato gli occhi e mi
ricordava tanto il gatto con gli stivali di Shrek, questa volta non
riuscii a trattenermi dal ridere.
«Beh
a dire il vero si, ieri eri sempre con loro, mi sembrava strano non
vederti.» rimase sorpresa dalla mia risposta e notai gli
occhi leggermente lucidi, mi augurai fosse per gioia.
«Sul
serio?»
«Certo.»
«Sono
contenta.» le sorrisi e lei mi strinse ancora più
forte tanto che dovetti chiederle di lasciarmi altrimenti mi avrebbe
soffocato.
«Ma
tu non sei in classe con me vero?»
«Io
sono più piccola di voi, ho 16 anni ma conosco i tuoi
compagni da sempre dato che sono amici di mio fratello. Spero di poter
diventare presto anche tua amica, mi farebbe piacere.» mi
prese in contro piede, sia per la richiesta, sia perchè
sembrava più giovane di noi ma non di due anni.
La campanella suonò l'inizio delle lezioni e Bethany si
staccò da me per andare a salutare Liam e suo fratello.
«Ciao
Jane, ci vediamo presto»
La salutai con la mano ed un sorriso prima di vederla scendere di corsa
le scale diretta nella sua classe.
«Ehi
Chick, oggi è giovedi, ci sono solo lezioni
extracurricolari.»
Cavoli, non ricordavo fosse già giovedi e che per giunta non
avevo nemmeno scelto quale lezione fare. Pittura decisamente no
perchè ero negata in disegno, recitazione men che meno
perchè l'idea di potermi trovare difronte a delle persone
per recitare mi terrorizzava, danza era da escludere perchè
avevo la grazie di un elefante marino, stesso discorso per il canto,
non avevo una voce melodica e non ero per nulla intonata. Facendo una
rapida cernita le materie artistiche erano da escludere, rimanevano
solo quelle sportive.
«Che
sport ci sono?» mi guardarono tutti quanti allibiti.
«C'è
nuoto, pallavolo, basket, baseball e football ma è solo per
i ragazzi.»
Vediamo pallavolo no perchè la odiavo, baseball non ci avevo
mai giocato e non mi interessava farlo, le alternative erano nuoto o
basket. La decisione era più che ovvia: nuoto. Dopo la morte
di Kevin e di mamma ho giutato a me stessa che non avrei mai
più giocato a basket, ne in una squadra ne in un campetto
improvvisato in mezzo al paese, il basket per me era morto assieme a
loro.
«Dov'è
la piscina?»
«Se
vuoi ti accompagno.» era meglio non stare troppo soli con
quei pazzi, così, anche se Derick era stato molto gentile
declinai l'invito.
«Grazie
ma mi arrangerò.»
Scesi le scale e andai diretta dal Direttore, lui certamente avrebbe
saputo darmi indicazioni corrette. Bussai e ad un suo avanti entrai.
«Signorina
Moore, tutto bene?»
«Si
si certo, volevo chiederle una cosa.»
«Mi
dica.»
«La
piscina dov'è?» mi guardò sorpreso,
come se avessi detto una stupidaggine.
«Non
abbiamo una piscina qui alla West Adams.»
«No?
Ian e gli altri mi hanno detto che come lezioni extracurricolari c'era
anche nuoto.»
«No, mi spiace, la scuola non ha cosi tanti fondi da potersi
permettere una piscina, gli unici sport sono basket, di cui vantiamo
un'ottima squadra, pallavolo e football che ovviamente è
solo maschile, altrimenti per quanto riguarda le materie artistiche
abbiamo canto, recitazione, danza o pittura.»
Ero negata in ogni cosa fuorchè il basket ma che non avrei
mai fatto per nessuna ragione al mondo.
«La
ringrazio.»
«Dato
che sei nuova e magari un pò disorientata puoi fare un giro
tra i vari club per cercare quello adatto a te.»
«La
ringrazio, farò certamente cosi.»
Entrare in un club senza conoscere o quanto meno senza farmi
un' idea di chi lo frequentava mi agitava un pò, cosi seguii
il consiglio del preside e andai a farmi un giro per la scuola.
Andai prima nell'aula di arte trovandovi una quindicina tra ragazzi e
ragazze intenti a disegnare su una tela bianca il vadso di fiori
utilizzato come modello, chiusi la porta cercando di non fare rumore e
passai davanti all'aula di canto ma sentendo delle grida atroci
piuttosto che il canto di un usignolo preferii lasciar perdere e andare
nella sala da ballo dove vi trovai la ragazza con cui avevo avuto un
incidente il giorno prima e quello, oltre alla mia poca grazia, era un
ottimo motivo per andare avanti, recitazione la esclusi a priori dato
che non l'avrei mai fatta. Andai in cortile e vidi alcuni ragazzi fare
football americano, erano animali non esseri umani non era decisamente
adatto a me, andai in una delle due palestre, non avevano una piscina
ma certamente avevano due belle palestre nuove dove nella prima vidi
diversi ragazzi giocare a basket e mi venne subito un nodo alla gola.
«Jane.»
mi voltai e il mio cuore riconobbe subito la voce.
«Cris,
ciao.» gli sorrisi sperando non si notassero le gambe molli
come gelatina.
«Vuoi
giocare a basket?»
«No
no, sono negata, sono solo venuta a fare un giro.» balla,
enorme balla dato che a Miami ero una delle migliori giocatrici di
basket in tutte le scuole, avevo velocità, tecnica ed un
buon occhio per calcolare giusti tempi e capire chi era adatto per
giocare e chi no, ma queste cose non doveva necessariamente saperle.
«Capisco. Sei di Miami giusto? Sarai bravissima con il surf
indubbiamente. Se vuoi resta pure qui a guardare se hai tempo, io devo
tornare in campo.»
«Ok, grazie.» mi misi a sedere sulla panchina
accanto al campo osservando i ragazzi giocare. Erano bravi, chi
più chi meno ma in linea generale erano tutti in gamba,
abbastanza veloci e agili, la mia vecchia squadra li avrebbe certamente
stracciati ma noi eravamo di un livello superiore. Nonostante la
bravura notai che gli occhi non brillavano in nessuno di loro, non come
quando fai una cosa che ami, che ti appassiona, la facevano e si
impagnavano ma non c'era amore in quei passaggi, i quei lanci e in quei
tiri, il tutto ero frutto di ore di allentamento e di partite vinte e
vedere il basket giocato in quella maniera mi rendeva solo triste cosi
con la mano salutai Cris che ricambiò e andai nell'altra
palestra dove sugli spalti incontri quel branco di imbecilli.
«Grazie per non avermi detto che non c'era la piscina, siete
proprio degli stronzi.» si misero a ridere facendomi
imbestialire ancora di più.
«Da su che scherzavamo, alla fine che hai scelto?»
«Non è affare vostro.»
Mi allontanai il più possibile da loro e guardai le ragazze
giocare dove notai che tra loro c'era anche Bethany, non conoscevo
nulla di pallavolo e non avevo mai visto nessuna partita ne in
televisione ne dal vivo ma guardando il suo viso e l'agilità
con cui si muoveva pensai immediatamente che fosse bravissima ed era
cosi che si doveva fare sport, con passione, volontà e
impegno.
Quando si fermò per bere e riprendere le forze mi vide e con
la mano mi salutò.
«TRA UN ORA HO FINITO ASPETTAMI.» urlò
cosi forte che ebbi la sensazione che perfino all'esterno l'avessero
sentita, annuii col capo per farle capire che l'avevo sentita e attesi
in silenzio e ben lontana da quei matti la fine dell'allenamento.
Con la coda dell'occhio mi ritrovai ad osservarli e mi resi conto di
guardare in modo particolare solo uno di quei teppisti.
Grazie mille a chi ha il coraggio di seguirmi e di commentare. Spero di
non deludervi andando avanti.
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Capitolo 4 *** mai giudicare un libro dalla copertina ***
Mi
divertii ad osservarla giocare ma ancora più era bello
vedere i ragazzi. Derick e Liam erano entusiasti ogni volta che faceva
punto o un bel salvataggio, Ian e i gemelli la incitavano a non mollare
ed era strano per me vederli in quel modo, non avrei mai pensato
potessero essere dei tifosi sfegatati della pallavolo.
«Ehi
Chick, non trovi che sia fantastica?» mi voltai anche se non
ne avevo bisogno dato che quella voce l'avrei riconosciuta tra mille.
«Si,
è bravissima» sorridere a quegli idioti mi venne
spontaneo e mi sorprese ma fui contenta vederli sorridere a loro volta.
Erano contenti e non erano sorrisi di circostanza ma sorrisi sinceri ed
io ero brava a rendermene conto.
Quel momento di pace e serenità fu però
interrotto da alcune ragazze che vollero parlare con me in privato. Non
le avevo mai viste ne nei corridoi e nemmeno in mensa, era evidente che
non dovevo stargli particolarmente simpatica perchè
sembravano arrabbiate quando vennero a chiamarmi.
«Quando
Beth finisce, se non sono ancora arrivata, ditele che l'aspetto alla
quercia.» passai davanti ai ragazzi e Ian mi prese il polso.
«Stai
attenta.» non sapevo se credergli o meno dato che fino a quel
momento non si era comportato da brava persona nei miei confronti ma la
sua preoccupazione e lo sguardo serio degli altri ragazzi mi
inquietò leggermente. Annuii col capo e dopo che mi ebbe
lasciato la mano seguii le ragazze fino al retro della palestra dove
trovai la ragazza che avevo macchiato, per bene due volte, ad
attendermi appoggiata al muro assieme ad altre tre ragazze.
Mi
guardò malissimo appena mi vide nonostante fosse stata lei a
cercarmi quel giorno.
«Tu
sei un disastro ambulante, e non mi stai per niente simpatica ma penso
sia giusto spiegarti alcune piccole regole: innanzi tutto io sono Amber
Baker e ricorda bene questo nome fino alla fine dei tuoi
giorni.» mentre parlava si avvicinava sempre di
più a me, ma se sperava di farmi indietreggiare si sbagliava
di grosso «sono
capo cheerleader della squadra di basket della scuola e presidente del
consiglio degli studenti, ho i voti migliori tutta questa massa di
ignoranti e sono io che organizzo ogni tipo di manifestazione in questa
scuola e per
finire tieni giù le mani da Cris altrimenti per te
è la fine, lui appartiene a me e solo a me tu resta con quel
branco di imbecilli che ti ritrovi come compagni di classe.»
era assurdo tutta questa solfa solo per arrivare al problema
fondamentale: Cris. Era veramente fuori di testa ma con me non
attaccava, io ero la persona più calma al mondo ma nessuno
per nessun motivo al mondo doveva minacciarci. Non sapeva chi aveva
davanti la ragazza e non doveva permettersi di offendere i miei
compagni, solo io ne avevo il diritto.
«Bene,
io sono Jane Moore e non mi interessa nulla di quello che fai o chi sei
e Cris non è un oggetto e quindi non ti
appartiene.»
Le ragazze, mentre stavo parlando con Amber, si erano chiuse a cerchio
appena mi voltai le costrinsi a spostarsi o sarebbe stato peggio per
loro.
«Jane
Moore non sai contro chi ti sei messa.» non le
risposi neppure e e dandole le spalle me ne andai via, appena svoltai
l'angolo della palestra andai a sbattere contro Ian che per non farmi
cadere mi cinse la vita col suo braccio facendomi provare una strana e
piacevole sensazione.
«Che
volevano?» il suo sguardo era più serio del solito
«Nulla,
scusa ma devo andare.» cercai di liberarmi dalla sua presa ma
sembrava facesse fatica a lasciarmi «puoi
lasciarmi andare ora» mi guardò ancora e
finalmente decise che potevo andare. Solo perchè aveva
evitato di farmi cadere o perchè era preoccupato questo non
cambiava di certo ciò che io pensavo di loro. Erano idioti e
rimanevano tali.
Alla quercia vidi Bethany con la sacca di pallavolo ad aspettarmi e
stranamente senza i ragazzi.
«Ciao,
scusa ma ho avuto un piccolo impegno.»
«Tutto
bene? I ragazzi mi hanno detto che due ragazze ti volevano
parlare..» le sorrise cercando di rassicurarla
«Si
si tranquilla, nessun problema, a proposito quei delinquenti dove
sono?»
«Il
giovedi spariscono tutti quanti» delinquenti,
molto probabilmente erano a fare qualche disastro per la
città, magari oltre ad essere dei pessimi elementi qui a
scuola lo erano anche fuori.
«Ma
scusa uno non è tuo fratello e l'altro non è il
tuo ragazzo? Dovresti sapere almeno dove vanno.»
«Certo
che lo so, ma tu, almeno per il momento, non sei tenuta a
saperlo.» pensavo fosse mia amica almeno lei ma mi stavo
quasi ricredendo.
«Oltre
a combinare guai a scuola li combinano anche fuori? Come fai
a stare con gente del genere?Mi sembri una ragazza in gamba e
...» non riuscii a terminare la frase in quanto mi diede uno
schiaffò in pieno viso.
«Ti
pensavo più matura e meno superficiale, ti credevo diversa
ma sei come tutte le altre.» come potevo giudicarli in
maniera positiva se per ora non avevano fatto altro che darmi problemi?
La vidi andare via con le lacrime agli occhi ma mi rifiutai di seguirla
e di chiederle scusa, era evidente che non era normale nemmeno lei.
Andai a casa per farmi un bel bagno perchè ne avevo
assolutamente bisogno. Prima quei teppisti che mi sorridono in quel
modo, poi Amber che mi minaccia, Ian che mi abbraccia per non farmi
cadere ed infine Bethany che mi da un sonoro schiaffo, c'era da
diventare matti li dentro.
Il mio programma settimanale non prevedeva nessuna materia da studiare
per oggi ma avendo saltato ieri pomeriggio e volendo andare via il
prima possibile da quella classe decisi di mettermi sotto bene con lo
studio e mi fermai solo a cena quando sentii mio padre entrare in casa
con la spesa.
«Jane
vieni che ceniamo»
Non parlammo molto ma notai qualcosa di diverso in lui, era chiaramente
e visibilmente felice come non lo era da un pò, eravamo qui
solo da due giorni ma i primi cambiamenti si notavano, non aveva
più le occhiaie e sembrava riuscire a dormire serenamente la
notte contrariamente a me.
«Come
mai cosi sereno?» sollevò la testa dal piatto
«Mi
piace qui a te no?»
«No
per niente, per colpa tua sono finita nella sezione peggiore, ho dei
compagni teppisti e una ragazza con le sue amiche oche mi odia, perfino
l'unica persone che credevo amica mi ha voltato le spalle dandomi della
persona superficiale.»
«Ma
tesoro un pò lo sei. Lo sei sempre stata.»
«Non
è vero»
«Si
invece, ti ricordi alle medie, vicino a noi c'era una ragazza della tua
età e tu l'hai sempre presa in giro solo perchè
non amava il surf?»
«Ma
dopo è diventata la mia migliore amica, l'ho conosciuta e ho
capito perchè odiava il surf» rischiare d'annegare
da piccoli può essere un grande trauma solo che io,
stupidamente, l'avevo subito presa in giro ripetendole che non capiva
nulla.
«Vero,
ma grazie a tua madre. Cosa ti ripeteva sempre?»
«Mai
giudicare un libro dalla copertina» era vero, non faceva
altro che ripetermelo, mi diceva sempre che ogni uomo ha una storia da
raccontare che merita di essere ascoltata.
«Stasera
vieni con me»
«Perchè?»
«Ti
mostro una cosa»
Finito di cenare, sparecchiai e mi preparai per uscire con mio padre
nel suo giro di controllo serale. Controllammo il campo di football,
attorno alla scuola, accanto agli spogliatoi, dentro e vicino alla
palestra dove oggi giocava Beth a pallavolo ed infine l'ultima palestra
che trovammo aperta con la luce accesa al suo interno.
«Papà
non dovremmo chiamare il Direttore?»
«No,
vieni ma fai attenzione a non farti sentire»
Entrammo silenziosamente nell'edificio e cercando di fare meno rumore
possibile ci mettemmo accanto alla porta che rimaneva parzialmente
nascosta nell'ombra e quando vidi chi stava giocando a basket per poco
non mi venne un colpo.
«Ma..»
mi padre mi sorrise
«Li
ho visti per caso ieri e non me la sono sentita di mandarli fuori e
dirlo al Direttore. Mi ricordano tanto te e Kevin.»
Il nodo in gola si faceva sempre più grande e le lacrime
faticavano a non scendere. Erano cosi diversi dai teppisti che avevo
conosciuto in quei giorni, erano loro eppure allo stesso tempo non lo
erano, la squadra di Cris era brava ma in questi vedevo passione e
voglia di impegnarsi, forse avevano meno tecnica ma più
volontà, forse non avrebbero vinto i campionati scolastici
ma chiunque guardandoli poteva vedere quanto amore c'era in quello che
facevano. Erano perfetti tutti quanti nei loro ruoli. Ian era adatto ad
essere il playmaker, aveva un'ottima capacità di palleggio,
altezza giusta ed inoltre era adatto a guidare la squadra, Liam
era adatto come centro avendo una notevole prestanza fisica e
quindi più adatto a stoppare e prendere i rimbalzi, Seth e
Aaron erano rispettivamente ala grande e ala piccola e giocavano dunque
ai lati del campo più adatti al gioco uno contro uno ed
infine Derick che ricopriva il mio vecchio ruolo di guardia con la
differenza che io avevo solo buona velocità e un buon tiro
oltre ad una buona capacità di controllo della squadra in
mancanza del playmaker che nella squadra era Kevin.
«Forse
dovresti provare a conoscerli meglio, non sono santi ma non sono
cattivi e poi ho saputo che ci sono gli esami a dicembre e con quelli
potresti cambiare classe volendo»
«Già.»
un minuto in più in quella palestra e sarei scoppiata in
lacrime, faceva cosi male vedere il basket da lontano che dovetti
tornare per forza a casa.
Nota autrice.
Non so assolutamente nulla del basket, quindi scusate per gli errori e
le cavolate che ho detto e che probabilmente dirò
più avanti.
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