Welcome to the jungle

di Irissel
(/viewuser.php?uid=531396)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Welcome to Los Angels ***
Capitolo 2: *** Hello Chick ***
Capitolo 3: *** Basket?no, Grazie ***
Capitolo 4: *** mai giudicare un libro dalla copertina ***



Capitolo 1
*** Welcome to Los Angels ***


«Spero per te che sia uno scherzo.» non poteva prendere una decisione del genere senza prima consultarmi, eravamo rimasti solo noi due da soli e c'eravamo fatti la promessa che per ogni decisione ne avremmo parlato assieme prima di decidere ed ora mi lancia una bomba di queste dimensioni. Era inaccettabile.
«Mi spiace tanto, ma dopo aver perso il lavoro l'anno scorso trovarne uno qui in zona avendo per giunta poche credenziali mi era impossibile.» nell'ultimo anno mio padre era cambiato tantissimo perdendo quasi totalmente la sua allegria e la sua voglia di fare. Eravamo seduti l'uno davanti all'altro in cucina, cavoli era da tanto che non parlavamo cosi..cosi seriamente, dopo la morte di mia madre e di mio fratello cercavamo di stare fuori casa il più possibile; entrambi soffrivamo in silenzio e in modo solitario per la loro perdita, pochi abbracci e lacrime versate solo in assenza dell'altro. 
«Dove dobbiamo trasferirci?» guardò prima me e poi guardò attorno alla stanza come per trovare coraggio negli oggetti per rispondermi.
«Los Angeles» lo disse tutto d'un fiato e non riuscii a capire se avevo sentito bene e meno.
«Los Angeles?» con la testa bassa annui e io per poco non mi misi a piangere.
Avrei dovuto lasciare i miei amici e il mio oceano Atlantico per l'oceano Pacifico, è un tradimento bello e buono certo in compenso sarei andata a Long Beach per fare surf ma non sarebbe stata la stessa cosa. Miami e Los Angeles non erano cosi vicine, distavano esattamente 2731 miglia e serviva per l'esattezza 1 giorno e 14 ore per arrivarci e tutte quelle miglia non potevo di certo farle per andare a trovare i miei amici, non poteva farle ogni volta che mi andava perché era troppo anche per una come me che amava viaggiare e spostarsi con ogni mezzo di trasporto possibile ed immaginabile.
«Di che lavoro si tratta? Ma non puoi aspettare almeno un anno cosi finisco la scuola qui a Miami? Poi potrei trovare un college vicino a Los Angeles» alzò lentamente la testa, come se questa pesasse tanto quanto un macigno. Gli occhi azzurri e un pò incavati erano spenti e tristi e guardandolo in quelle condizioni mi venne un nodo in gola. Sapevo benissimo che anche per lui non era facile andarsene e se aveva preso una decisione del genere era certamente stato costretto da forza maggiori.
«Mi dispiace, ma non ho più soldi per pagare la casa e nemmeno per mangiare. Ho il conto totalmente in rosso, a Los Angeles ho trovato lavoro come guardiano di un dormitorio della scuola superiore,non ci sono affitti da pagare e abbiamo la possibilità di mettere da parte un pò di soldi per poi ritornare a Miami magari entro un anno. Domani abbiamo l'aereo, scusa per il poco preavviso ma non sapevo come dirtelo.» mi guardava speranzoso e credeva in quello che stava dicendo. Ritornare a Miami entro un anno, la cosa era fattibile, vivere a Los Angeles solo per un anno non mi avrebbe certamente stravolto l'esistenza, si trattava solo di vivere in un posto diverso e un pò lontano da casa, certo avrei preferito sapere qualche giorno prima del trasferimento cosi da preparare le valige tranquillamente e magari salutare i miei vecchi amici ma in un modo o nell'altro li avrei salutati, tanto si sarebbe trattata di una separazione momentanea.
«Ok, preparo le valige» cercai di sorridergli per fargli capire che sarebbe andato tutto bene, che noi due ce la saremmo cavata come da un anno a questa parte, Miami o Los Angeles non faceva differenza l'importante era stare assieme. Mi alzai e mi avvicinai a lui abbracciandolo da dietro schioccandogli un bacio sulla guancia. Ne ero certa se ero con mio padre tutto era possibile.
Andai in camera cercando di fare il più possibile lunghi respiri per calmarmi. Los Angeles Los Angeles Los Angeles. La mia testa non faceva altro che pensare a quello, avevo cercato di fare coraggio a mio padre ma ero io quella un pò spaventata in realtà. Nuova vita, nuova scuola e soprattutto nuovi compagni.


Welcome To Los Angeles. Il grande cartellone blu capeggiava accanto alla carreggiata  mentre sui vecchi muri che l'affiancavano spiccavano i murales, per giunta uno più bello dell'altro ma tra tutti il mio preferito era certamente quello che raffigurava il viso di Marylin Monroe in bianco e nero su uno sfondo rosa, sembrava quasi una fotografia talmente era bello e realistico.
Guardai l'ora. Erano gia le 6 del mattino, mi attendeva una nuova vita e, contrariamente a quanto pensavo all'inizio, ero terrorizzata. Non ero certamente la persona più socievole del mondo, ridevo e scherzavo con tutti senza particolari problemi ma faticavo non poco a conoscere persone nuove. Nemmeno durante le gare di surf o le partite a basket riuscivo a fare quattro chiacchiere con gli altri giocatori e partecipanti. Non ero timida ero semplicemente un lupo solitario esattamente come mio padre.
Ero cosi immersa nei miei pensieri che nemmeno mi resi conto che l'autobus si era fermato davanti ad una scuola.
«Questa è la West Adams High School. Dovete scendere qui giusto?»
«Si grazie» presi anche io la valigia e il mio zaino e seguii mio padre fuori dal mezzo ringraziando il conducente.
«Tesoro siamo arrivati. Andiamo, dobbiamo parlare col direttore.»
Essendo cosi presto nel cortile davanti alla scuola non c'era anima viva, meglio cosi, sarebbe stato ridicolo vedere una ragazza arrivare a inizio anno con borsoni e valigie.
Il Direttore mi fece una buona impressione, sembrava tenere molto alla scuola e ai suoi alunni. Dietro la grande scrivania di legno massello sembra ancora più piccolo di quanto non fosse realmente. Portava un paio di occhiali dalla montatura leggera che doveva mettere e togliere in continuazione e dovetti cercare di non ridere perchè era alquanto comico.
«Bene, vi accompagno al vostro alloggio e poi Jane ti mostro la tua classe.»
«Ok, la ringrazio.»
Lo seguimmo fuori dal suo studio e poi fuori dalla scuola. La casa era poco distanza dall'edificio, non era grande ma per due persone era più che sufficiente, entrammo e con enorme piacere vidi che gli scatoloni, inviati da mio padre qualche giorni prima, erano li e cosa più importante erano intatti. C'erano molte cose importanti sia per me che per mio padre e sarebbe stato un peccato se si fosse rotto qualcosa.
La sala era piccola con un divano in ecopelle nera un pò rovinato, sarebbe bastato un copridivano per metterlo a nuovo, nel mobile difronte c'era un televisore non grandissimo ma era abbastanza dato che io non la guardavo mai nemmeno a casa, il bagno aveva i sanitari puliti e in ordine, mancava solo una tenda per la doccia altrimenti avremmo rischiato di bagnare ovunque ogni volta. Il problema più grande si presentò aprendo le camere da letto.
C'erano 5 ragazzi e una ragazza distesi nei nostri letti, tre nella mia stanza e tre in quella di mio padre. 
«FUORIIIII» il Direttore era piccolo e sembrava senza engergia tanto era magro ma quando si mise ad urlare mi spaventai anche io.
Vidi i ragazzi svegliarsi lentamente stiracchiandosi. Prima guardarono il Direttore, poi mio padre e per finire la sottoscritta.
Si alzarono e si avvicinarono e me.
«Volevamo scaldarti il letto. Dovresti ringraziarci sai?» era il colmo. Entro in casa, trovo dei perfetti sconosciuti nel mio letto e per di più devo anche ringraziarli.
«Spero tu stia scherzando.» si mise esattamente davanti a me mentre i suoi amici erano dietro, non li vedevo ma li sentivo ridere. Il ragazzo era almeno 15 cm più alto di me, se non di più e anche portando le braccia al petto non l'avrei certamente intimorito anche perchè non era tanto la sua altezza a mettermi soggezzione quanto più gli occhi. Vi assicuro che occhi  cosi non posso esistere in natura, cosi azzurri da sembrare bianchi e freddi non possono essere un dono di madre natura. Tutta la sua figura mi inquietava e agitava. A Miami quei pochi amici che avevo erano perlopiù ragazzi e tenevo testa a tutti loro, ma lui mi intimoriva e se ne rendeva conto perchè non smetteva un secondo di osservarmi come se cercasse di leggermi dentro.
«Voi 6 andate nel mio ufficio immediatamente.» il piccolo Direttore li spinse fuori dalla nostra casa e io potei notare come erano disfatti e sporchi i nostri letti. 
Tolsi le lenzuola dai letti per poterle gettare in lavatrice e fortunamente trovai un ricambio pulito nell'armadio in camera di mio padre, dopodiche disfai le valigie cercando di sistemare tutto accuratamente nel cassetti, odiavo il disordine ed in particolare nella mia camera. A Miami mio fratello aveva il vizio di ribaltare la mia stanza per infastidirmi e farmi arrabbiare riuscendoci ogni volta, perfino questa cosa stupida mia mancava di lui. Pensando a mio fratello e prendendo per caso la sua maglia che usava durante le partite a basket mi venne voglia di piangere ma cercai di controllarmi alzando lo sguardo a dandomi leggeri schiaffetti sul viso. 
Fu totalmente inutile.
«Mi manchi stupido idiota.» sdraita sul letto con ancora le scarpe ai piedi e la sua maglia al petto iniziai a piangere.
Quando mio padre venne a chiamarmi avvisandomi che il Direttore mi aspettava, mi trovò con gli occhi rossi e le guancie bagnate dalle lacrime.
«Jane» sapeva che la cosa migliore era lasciarmi stare senza provare a consolarmi e lo ringrazia quando, benchè preoccupato, non si mosse per entrare in camera rimandendo  vicino allo stipite.
Gli sorrisi e annuii col capo, stavo bene ma il trasferimento sembrava avermi allontanato ancora di più dalla mamma e da Kevin. Sistemai la maglia sotto il mio cuscino, uscii dalla porta e andai verso l'ufficio del Direttore.
L'inizio delle lezioni si stava avvicinando e iniziavano ad arrivare i primi ragazzi che fortunatamente non mi degnarono di uno sguardo troppo concentrati a ripassare sui loro libri.  Avendo un pessimo orientamente feci molta fatica ad arrivare nell'ufficio, trovarlo fu però un sollievo.
Feci per bussare ma la porta si aprì in quel momento facendomi trovare faccia a faccia di nuovo col ragazzo dagli occhi di ghiaccio e la sua compagnia.
«Sto ancora aspettando un tuo grazie.» mi stava innervosendo quel tizio.

«Jane vieni pure, voi fuori immediatamente.» prima della fine dell'anno avrei fatto una statua interamente d'oro al Direttore.
Mi spiegò a grandi linee i corsi che si teneva in quella scuola, gli orari sia delle lezioni che i turni per le pulizie che variavano in base alla classe, mi spiegò inoltre il sistema delle classi: nella sezione A vi erano quelli che avevano una media tra 9 e 10, nella B coloro che avevano una media tra 8 e 9 e via dicendo fino ad arrivare alla F dove c'erano i peggiori dell'istituto. Come suddivisione non era male in questo modo, avendo una media del 9, avrei potuto frequentare tranquillamente le lezioni senza avere qualche compagno idiota che si divertiva a disturbare in classe, che per giunta era un'altra cosa che detestavo.
Accenò anche al fatto che ogni studente era obbligato a scegliere un corso extrascolastico che prevedeva vari sport o materie artistiche come arte, recitazione, canto o danza, oltre all'obbligo di partecipare alla vastità di gite che venivano fatte durante l'anno per ogni singola classe in modo da rafforzare i rapporti tra gli studendi.
«Spero di esserti stato chiaro, in caso vieni pure quando vuoi nel mio ufficio.»

«Si è stato chiaro, una domanda, ma quindi in che sezione sono?»
«Oh che sbadato, vieni ti mostro la tua classe.»
Lo seguii fuori dal suo ufficio, attraversammo un grande corridoio che data l'ora si stava riempiendo di studenti che non persero un attimo prima di farsi domande tra di loro incuriositi dalla sottoscritta, salimmo due rampe di scale e poi un altro corridoio con la differenza che in questo non c'erano molti studenti ma solo muri disegnati e armadietti rotti finchè finalmente non arrivammo davanti alla classe: 5F.
«F? Perchè? Ho sempre avuto una buona media fin dalle elementari.» avevo voglia di piangere, di scappare e di prendere a pugni il Direttore.
«Mi spiace, ma le classi ormai erano fatto e la tua domanda di iscrizione è arrivata tardi. Comunque non preoccuparti tra tre mesi ci sono gli esami di metà trimestre e hai la possibilità di cambiare classe.» in realtà avrei preso a pugni mio padre una volta arrivata a casa, il suo essere sbadato e fare le cose all'ultimo minuto mi stava penalizzando e non poco.
«In questi tre mesi devo stare qui però. Non ci sono altri modi?»
«Mi spiace, scusa ma devo andare» non riuscii a finire la frase che lo vidi andare via di corsa. 
Guardai la porta. Verde, piena di buchi e tagli, sotto la scritta 5F, fatta certamente a mano con un pennarello indelebile, c'era una scritta poco rassicurante: Lasciate ogni speranza voi che entrate. Qualcuno deve aver studiato Dante il che era quasi rassicurante oltreche minacciosa.
Presi fiato e con quel poco coraggio che mi rimaneva bussai ed entrai in classe. Erano le 8.30, teoricamente la lezione doveva essere già iniziata ma vidi solo un professore terrorizzato, nascosto dal registro e un branco di imbecilli che si divertivano a tirarsi addosso oggentti, urlare e fumare etc..insomma fare tutte cose per nulla inerenti al concetto di scuola a cui ero abituata.
«Salve, sono Jane Moore.» il professore mi salutò con un cenno della testa e con la mano fece segno di accomodarmi dove volevo.
«E sono maleducata.»
Mi voltai e per poco non svenni. Occhi di ghiaccio e la sua banda erano anche loro nella mia stessa classe, mi guardarono e iniziarono a sghignazzare attirando l'attenzione del resto dei compagni. Non risposti alla sua frase idiota e andai a sedermi nel primo banco libero, esattamente davanti alla cattedra.
I miei tre mesi d'inferno erano ufficialmente iniziati.



Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Hello Chick ***


Cercavo di regolare il respiro per poter stare il più calma possibile ma era veramente un' ardua impresa. Erano già le 11 e non avevo fatto nemmeno una lezione, i professori entravano in classe, si sedevano e puntualmente alzavano il registro per coprirsi da strani oggetti volanti che finivano sulla cattedra, dalle penne alle bottiglie ai quaderni e libri agli astucci. La classe non era molto numerosa, solo una quindicina di elementi compresa la sottoscritta, ma erano teppisti indomabili.
Fortunamente la campanella per la pausa suonò e con enorme sollievo riuscii ad uscire dalla classe, ancora un minuto e sarei impazzita seriamente.
Percorsi nuovamente il corridoio sentendo un forte odore di fumo che prima non avevo notato in compenso ora sentivo chiaramente dei passi dietro di me, probibilmente qualche compagno idiota che voleva farmi qualche scherzo cosi velocizzai il passo arrivando in mensa quasi col fiatone.
La mensa era abbastanza grande da poter contenere tutti gli alunni, non avevo una gran fame cosi mi limitai a prendere una mela e un succo di frutta. Feci la cosa più idiota al mondo: aprire un succo di frutta in mezzo a quella baraonda e come se fossi una calamita mi venne addosso un ragazzo che non chiese neppure scusa ed il succo finì addosso ad una ragazza davanti a me. Questa non solo pretese delle scuse, che giustamente feci, ma iniziò anche ad urlare come una matta attirando su di se anzi su di noi l'attenzione.
«Hai visto quello che hai appena fatto?» continuava ad urlare come una matta indicando la sua maglia dove lentamente si stava allargando una macchia di succo ai lamponi. Una bella macchia rossa sulla maglietta bianca.
«Senti mi dispiace non è stato di certo intenzionale» cercai di porgerle un fazzoletto di carta, nuovo chiaramente, che avevo nella tasca dei pantaloni ma dandomi una pacca con la mano me lo fece cadere: era l'unica risorsa che avevo.
«Sei un idiota e per giunta inutile.»
Sarebbe andata avanti ancora per molto tempo se non fosse intervenuto un ragazzo in mia difesa nel vano tentitivo di calmarla.
«Amber stai tranquilla, non penso l'abbia fatto di proposito. Sicuramente hai una maglia di ricambio nell'armadietto, indossa quella per il mometo.» sbuffò indispettita e dopo avermi lanciato uno sguardo poco amichevole mi lasciò in pace.
«Grazie mille.» il ragazzo mi guardò e mi sorrise. Era un angelo, finalmente in tutto questo grigiore vedevo un minimo di luce. Era bello da mozzare il fiato, alto e abbastanza muscoloso, leggermente abbronzato, i capelli erano abbastanza lunghi da arrivargli oltre le spalle e gli occhi verdi e dolcissimi mi guardavano senza mettermi a disagio a differenza di quel cretino dagli occhi di ghiaccio che avevo come compagno.
«Io sono Cristopher Martin, ma chiamami pure Cris. Non ti ho mai visto qui. Sei nuova?» pensevo dalle sue labbra, perfino la sua voce aveva un suono cosi melodico.
«S-si. Mi sono trasferita oggi, io sono Jane Moore. Piacere di conoscerti.»
«Da dove vieni?» doveva essere una delle conversazioni più interessanti al momento per tutti i ragazzi in mensa smisero di mangiare per osservarci.
«Miami»
«Ma quelle di Miami non sono belle, abbronzate, bionde, con un fisico da urlo? Tu non puoi essere di Miami» ancora quella voce, ancora quel branco di imbecilli a rovinare la mia esistenza. Non avevo bisogno di voltarmi per sapere che erano dietro di me, sentivo i loro sguardi e le loro risate alle mie spalle, perfino l'espressione di Cris mutò improvvisamente diventando seria e ostile. Gli occhi erano ridotti a due fessure, le labbra tirate e le mani lungo i fianchi erano chiuse a pugno.
«Che diavolo ci fate voi 5 qui? Non è zona per voi.»
«Ho un nuovo interessante giocattolino per le mani che non ho intenzione di farmi sfuggire.» detto fatto sentii qualcuno prendermi di peso e portarmi fuori dalla mensa sotto gli sguardi pietrificati degli altri ragazzi e di qualche professore. Forse non guardavano me e Cris, che effettivamente non eravamo cosi interessanti, ma piuttosto quegli idioti.
«Fatemi scendere immediatamente. Voi siete pazzi»
Quando fummo davanti ad una grande quercia mi fecere scendere ma non mi diedero tempo di andar via perchè mi circondarono bloccandomi ogni via di fuga.
Ero spaventata. Certe cose non capitavano solo nei film? Qui si trattava di vita reale.
«Dai forza spostatevi.» una ragazza poco più alta di me riuscì a farsi largo in quel muro umano venendomi difronte. Mi guardò inizialmente con ostilità e poi mi sorrise dolcemente finendo per buttarsi al collo abbracciandomi. La paura non era scomparsa in compenso ora avevo la certezza di essere finita in un manicomio e non in una scuola.
«Io sono Bethany Anderson, ma tu puoi chiamarmi Beth. Sono sua sorella.» con un cenno del capo indicò il ragazzo che mi aveva preso di forza. Non si assomigliavano per niente, Beth aveva i capelli lunghi color rame, dei grandi occhi verdi e il viso punteggiato da lentiggini. Era una dolcezza infinita la sua figura, mentre il fratello aveva i capelli castani, poche lentiggi e gli occhi, benchè verdi come la sorella, gli conferivano un aria da eterno bambino.
«I-io sono Jane, ma perchè mi avete preso cosi di forza?» era una domanda più che lecita a mio avviso.
«Perchè il mio fantastico tesoro voleva conoscere la nuova arrivata, compagna di suo fratello Derick e del suo ragazzo. Io comunque sono Liam Miller e se te lo stai chidendo si, siamo in classe assieme.» Liam si avvicinò a Beth e l'abbracciò da dietro, dovetti trattenermi dal ridere perchè erano al contempo teneri e comici. Lei cosi piccola e minuta tra le braccia di quel ragazzo enorme sembrava potesse rompersi da un momento all'altro eppure era incredibile la delicatezza con cui la circondava. Liam mi ricordava tanto un gigante buono, una di quelle persone che non avrebbe fatto male a nessuno nemmeno ad una mosca.
«Noi invece siamo i gemelli Wilson. Io sono Seth e lui Aaron» li guardai cercando di trovare qualcosa, anche piccola e stupida, che potesse differenziarli ma era impossibile perchè erano identici, perfino nei lor abiti. Stessi jeans scuri, stessa maglietta nera, stesse converse perfino, stessi occhi castani, stesse labbra sottili, stessi ricci castani e qualche sfumatura bionda che ricadevano sul loro viso un pò troppo pallido per essere californiani.
«Siete veramente identici. Io sono Jane piacere di conoscervi. E tu sei..» cercare di fare conversazione con cretino dagli occhi di ghiaccio mi risultava impossibile. La sua presenza mi irritava, non faceva altro che osservare qualsiasi cosa io facessi.
«Ian Lewis»Era un cretino e l'ho già detto ma era bello, non bello come un principe, non bello come Cris, era più un bello diabolico. Gli occhi azzurri gli davano un'aria seria, i capelli neri come la notte erano lunghi e scompigliati, la labbra erano leggermente carnose circondate da un pò di barba che non lo facevano sembrare più adulto. Era bello ma non un genere che piaceva a me, era più portata per i ragazzi biondi.
Ian era troppo intento ad accendersi una sigaretta che non si rese conto del Direttore alle sue spalle.

«Voi 6 dovreste smetterla di fare baccano.» era l'unico in grado di tenergli testa, l'unico che non aveva timore di rivolgersi a loro ed in particolare ad Ian in quel modo.
«Che abbiamo fatto? Abbiamo solo rapito la nostra compagna di classe. Lei è ancor viva e in mensa nessuno si è fatto male. Vero occhi a palla?» si voltarono tutti verso di me, quindi fu semplice dedurre che Occhi a palla ero io, ho gli occhi grandi ma non mi sembrava il caso di chiamarmi Occhi a palla. La scelta era: urlare e piangere cercando protezione nel preside o annuire e fare finta di nulla per non rischiare realmente di morire.
«Non si preoccupi, sotto questa scorza da teppisti sono ragazzi timidi, volevano solo conoscermi senza farlo però davanti a tutti.» alla mie spalle sentii Beth ridere mentre Liam cercava di zittirla invano, il Direttore mi guardava confuso senza sapere se credermi o meno.
«Bene, le lezioni sono iniziate, dovreste entrare.» non me lo feci ripetere due volte e lo seguii all'interno dell'edificio diretta nella mia classe.

Ore 15. Ultima campanella del primo giorno di scuola.  Ero stanca morta, era più che comprensibile se contiamo il fatto che al mattino ero partita da Miami per arrivare qui diretta a scuola senza aver avuto tempo di riposarmi. Presi lo zaino accorgendomi con grande rammarico che non l'avevo nemmeno aperto dato che c'era stato un gran baccano per tutto il tempo grazie ai miei cari compagni, la cosa che mi stupì fu che nessuno dei 6 teppisti era rietrato in classe dopo la ricreazione, chissà che stavano combinando.
Appena uscii dalla classe fui verniciata da capo a piedi da quegli stessi imbecilli che avevo appena conosciuto. Un bel secchio di vernice gialla cosparsa interamente su di me facendomi assomigliare ad un pulcino e se la ridevano pure.
«Sembri un pulcino. D'ora in poi ti chiamerò Chick. Ahahah» il secchio che uno dei gemelli teneva in mano glielo avrei tirato volentieri in testa nella speranza d aprirgliela in due come un'anguria.
«Siete un branco di imbecilli.» se speravano di vedermi piangere si sbagliavano di grosso, mi sarei vendicata quello era certo.
Correre fuori dalla scuola fu complicato, tutti quelli che mi vedevano non facevano altro che ridere e additarmi chiamandomi pulcino e fuori dalla scuola andai a sbattere contro a Cris sporcandogli anche la maglia.
«Oddio mi spiace.»
«Tranquilla, ma che ti è successo?» gli spiegai l'intera faccenda cercando di contenere in qualche modo la rabbia. Il suo sorriso dolce fu un bocca d'aria fresca e mentre con fazzoletto cercava di pulirmi il viso sentivo le guancie diventare rosse e il cuore battermi a mille. Madre natura era stata gentile con lui, ogni cosa sul suo viso era assolutamente perfetta, niente stonava nemmeno quella leggera ricrescita della barba sul mento, era la perfezione fatta a persona, il principe azzurro delle favole.
La mia vita stava diventando una favola disney, Iam l'antagonista assieme alla sua banda di imbecilli e Cris il principe azzurro pronto a salvare la principessa in pericolo.
«T-ti ringrazio, non dovevi.» gli sorrisi timidamente nella speranza che lui non notasse il rossore sulle gote.
«Esatto Cris, non dovevi.» stranamente non fummo interrotti da Ian, ma bensì da una ragazza e quando mi voltai vidi la stessa a cui involontariamente avevo macchiato la maglietta in mensa oggi pomeriggio. Stavo per spiegarle l'accaduto ma i miei compagni idioti uscirono dalla scuola improvvisamente spingedomi, accidentalmente mi auguro, contro la ragazza facendoci cadare sull'erba. Il risultato: un'altra maglia sporca per lei e una nuova nemica per me.
«Spostati immediatamente o ti uccido con le mie stesse mani.»
Cris mi venne accanto e diede ad entrambe una mano ad alzarci.
«Scus..»
«Non fiatare.» oggi in mensa mi aveva guardato malissimo ma lo sguardo che mi rifilò in quel momento sembrava incenerirmi.
Con lo sguardo basso andai a casa dove trovai mio padre intendo a sistemare le sue cose nei vari cassetti e armadi.
«Che ti è successo?»
«Non chiedermi nulla, più tardi facciamo i conti sia chiaro. Ora faccio la doccia.»
Andai a farmi in realtà un lungo anzi lunghissimo e rilassantissimo bagno perchè era solo di quello che avevo bisogno per stare meglio oltre a Miami, ai miei amici e al surf, ma per quelli avrei atteso ancora un'anno. Un anno che sarebbe risultato interminabile se le cose non miglioravano, i miei compagni erano idioti, quella ragazza mi odiava e quei 6 imbecilli si divertivano a prendermi in giro di questo passo sarei impazzita.




Spero che la storia possa piacere a qualcuno, sono ben accetti commenti e critiche. Ho sfornato due capitoli perchè avevo abbastanza tempo dubito possa essere cosi per sempre :(
Andando avanti con la storia le cose si complicheranno certamente e sopravvivere non sarà facile per Jane.
Per il protagonista Ian avevo in mente questo figurino
http://www.sorrisi.com/wp-content/uploads/2009/02/nir-lavi.jpg Guardandogli gli occhi che provate? non potete dire che non è un super uomo.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Basket?no, Grazie ***


Non mi resi conto di quanto tempo avevo passato nell'acqua finchè non mi accorsi che avevo la palle sulle mani tutta raggrinzita segno che era arrivato il momento di uscire dalla vasca e dedicarsi un pò allo studio individuale. L'unico modo per andarmene da quella classe di idioti era passare l'esame di metà trimestre che si sarebbe tenuto all'incirca verso dicembre, non erano esattamente tre mesi se contiamo il fatto che per me l'anno scolastico qui a Los Angeles era iniziato a metà settembre ma non era importante, la sola cosa da fare era mettersi sotto con lo studio e iniziare a prendere in mano i libri fin da subito.
Mi asciugai e andai in camera cercando in uno degli scatoloni i miei libri che usavo alla vecchia scuola, le materie erano simili e lo stesso erano gli argomenti di studio ma in caso di problemi avrei chiesto a qualche professore.  Iniziai a farmi uno schema settimanale in modo tale da studiare le stesse materie ogni giorno fino agli esami. Lunedi: Storia americana, martedi: letteratura e inglese, mercoledi: economia, giovedi: nulla perchè era il giorno libero per le attività extracurricolari ed infine venerdi con matematica e chimica, le materie più difficili era meglio metterle a fine settimana altrimenti me la sarei rovinata tutta. A Miami avevo mio fratello che, essendo un anno più grande, mi aiutava a studiare e a prendere dei buoni voti durante i test ma qui a Los Angeles mi sarei dovuta arrangiare.
Guardai il letto e poi il libri. Letto e libri. Letto e libri. Alla fine scelsi il letto, dovevo studiare ma ero anche tremendamente stanca e studiare con quella stanchezza sarebbe stato controproducente quindi, dato che erano solo le 17, decisi di fare un riposino per recuperare le forze.
Ero sola in mezzo a quel campo di  basket, tutto era nero attorno a me, non vedevo nulla se non la palla tra le mie mani e il tabellone dei secondi che scorreva inesorabile. La palla tra le mie mani iniziò a scottare sembrava fuoco vivo racchiuso in quella cosa tonda, la guardai e vivi la mia immagine, vidi me piccola che giocava con un bambino dai capelli biondi e gli occhi blu, ero io assieme a Kevin quando ancora eravamo una famiglia felice e serena. L'immagine sparì e al suo posto vidi mio padre distrutto in cucina, vidi poi me arrabbiata col mondo rientrare in casa e capii che nonostante ce ne fossimo andati da Miami il senso di colpa non mi aveva abbandonato.
Mi svegliai di colpo troppo terrorizzata per poter continuare a sognare, mi resi conto di avere il viso completamente sudato e i capelli nuovamente bagnati. Era da diversi mesi che non facevo incubi del genere, sperai si fosse attenuato il senso di colpa ma sembrava ogni giorno voler crescere implacabile. Stare a letto era totalmente inutile quindi, ancora un pò stordita, mi alzai ed andai in cucina dove trovai un biglietto di mio padre sul tavolo.
"Dato che stavi dormendo cosi bene ho preferito non svegliarti per la cena, ti ho lasciato qualcosa da sgranocchiare in frigo. P.s. se quando ti svegli non mi trovi è perchè sono per la scuola a fare il controllo serale."
«Cena? Controllo serale? Ma che ore sono?» guardai l'orologio alla parete: 22.30 
«ho dormito tantissimo cavoli, ho saltato sia la cena che lo studio. Da domani mi devo impegnare seriamente.»
Magiai solamente uno yogurt, alle 22.30 di sera avevo ben poca fame, guardai un documentario sui pinguini decisamente poco interessante dato che i pinguini non rientravano tra i miei animali preferiti e verso mezzanotte ritornai a letto scoprendomi stanca nonostante il riposino pomeridiano.
Mi svegliai alle 7 col suono delle campane, ieri mattina e durante la giornata, troppo presa a sopravvivere, non mi resi conto che poco lontano da noi c'era una chiesa con delle campane molto fastidiose e rumorose per giunta. Altra cosa che avrei odiato stando qui.
Cercando di non svegliare mio padre, che sicuramente ieri sera aveva fatto tardi mi preparai e feci colazione, un'abbondante colazione in modo da non dover andare in mensa per pranzo evitanto cosi altri incidenti.
A scuola cercai di essere il più invisibile possibile e fortunatamente nessuno o quanto meno pochi ragazzi si ricordarono del  piccolo incidente con la vernice del giorno prima cosi riuscii ad attraversare il grande corridoio e salire le scale senza problemi.
«Chick, non scappare.» quella voce e quelle risate mi fecero rabbrividire. Nessuno mi aveva notato, parlato o salutato perchè dovevano farlo proprio loro? Era cosi divertente prendermi in giro?
Mi voltai e li vidi tutti li accanto ai bagni, tutti quanti con la sigaretta accesa, chi in bocca chi, invece, la teneva tra le mani. Derick, Liam, Seth, Aaron, Ian mancava Bethany, forse era in ritardo ma, pensandoci bene, non mi pareva nella nostra classe il giorno prima.
«Ma Betha..» fui letteralmente travolta da un tornado dai capelli rossi. Come si dice? Parli del diavolo spuntano le corna, ed eccola li abbracciata a me e contenta di esserlo.
«Ammettilo, mi stavi cercando vero?» aveva sgranato gli occhi e mi ricordava tanto il gatto con gli stivali di Shrek, questa volta non riuscii a trattenermi dal ridere.
«Beh a dire il vero si, ieri eri sempre con loro, mi sembrava strano non vederti.» rimase sorpresa dalla mia risposta e notai gli occhi leggermente lucidi, mi augurai fosse per gioia.
«Sul serio?»
«Certo.»
«Sono contenta.» le sorrisi e lei mi strinse ancora più forte tanto che dovetti chiederle di lasciarmi altrimenti mi avrebbe soffocato.
«Ma tu non sei in classe con me vero?»
«Io sono più piccola di voi, ho 16 anni ma conosco i tuoi compagni da sempre dato che sono amici di mio fratello. Spero di poter diventare presto anche tua amica, mi farebbe piacere.» mi prese in contro piede, sia per la richiesta, sia perchè sembrava più giovane di noi ma non di due anni.
La campanella suonò l'inizio delle lezioni e Bethany si staccò da me per andare a salutare Liam e suo fratello.
«Ciao Jane, ci vediamo presto»
La salutai con la mano ed un sorriso prima di vederla scendere di corsa le scale diretta nella sua classe.
«Ehi Chick, oggi è giovedi, ci sono solo lezioni extracurricolari.»
Cavoli, non ricordavo fosse già giovedi e che per giunta non avevo nemmeno scelto quale lezione fare. Pittura decisamente no perchè ero negata in disegno, recitazione men che meno perchè l'idea di potermi trovare difronte a delle persone per recitare mi terrorizzava, danza era da escludere perchè avevo la grazie di un elefante marino, stesso discorso per il canto, non avevo una voce melodica e non ero per nulla intonata. Facendo una rapida cernita le materie artistiche erano da escludere, rimanevano solo quelle sportive.
«Che sport ci sono?» mi guardarono tutti quanti allibiti.
«C'è nuoto, pallavolo, basket, baseball e football ma è solo per i ragazzi.»
Vediamo pallavolo no perchè la odiavo, baseball non ci avevo mai giocato e non mi interessava farlo, le alternative erano nuoto o basket. La decisione era più che ovvia: nuoto. Dopo la morte di Kevin e di mamma ho giutato a me stessa che non avrei mai più giocato a basket, ne in una squadra ne in un campetto improvvisato in mezzo al paese, il basket per me era morto assieme a loro.
«Dov'è la piscina?»
«Se vuoi ti accompagno.» era meglio non stare troppo soli con quei pazzi, così, anche se Derick era stato molto gentile declinai l'invito.
«Grazie ma mi arrangerò.»
Scesi le scale e andai diretta dal Direttore, lui certamente avrebbe saputo darmi indicazioni corrette. Bussai e ad un suo avanti entrai.
«Signorina Moore, tutto bene?»
«Si si certo, volevo chiederle una cosa.»
«Mi dica.»
«La piscina dov'è?» mi guardò sorpreso, come se avessi detto una stupidaggine.
«Non abbiamo una piscina qui alla West Adams.»
«No? Ian e gli altri mi hanno detto che come lezioni extracurricolari c'era anche nuoto.»
«No, mi spiace, la scuola non ha cosi tanti fondi da potersi permettere una piscina, gli unici sport sono basket, di cui vantiamo un'ottima squadra, pallavolo e football che ovviamente è solo maschile, altrimenti per quanto riguarda le materie artistiche abbiamo canto, recitazione, danza o pittura.»
Ero negata in ogni cosa fuorchè il basket ma che non avrei mai fatto per nessuna ragione al mondo.
«La ringrazio.»
«Dato che sei nuova e magari un pò disorientata puoi fare un giro tra i vari club per cercare quello adatto a te.»
«La ringrazio, farò certamente cosi.»
 Entrare in un club senza conoscere o quanto meno senza farmi un' idea di chi lo frequentava mi agitava un pò, cosi seguii il consiglio del preside e andai a farmi un giro per la scuola.
Andai prima nell'aula di arte trovandovi una quindicina tra ragazzi e ragazze intenti a disegnare su una tela bianca il vadso di fiori utilizzato come modello, chiusi la porta cercando di non fare rumore e passai davanti all'aula di canto ma sentendo delle grida atroci piuttosto che il canto di un usignolo preferii lasciar perdere e andare nella sala da ballo dove vi trovai la ragazza con cui avevo avuto un incidente il giorno prima e quello, oltre alla mia poca grazia, era un ottimo motivo per andare avanti, recitazione la esclusi a priori dato che non l'avrei mai fatta. Andai in cortile e vidi alcuni ragazzi fare football americano, erano animali non esseri umani non era decisamente adatto a me, andai in una delle due palestre, non avevano una piscina ma certamente avevano due belle palestre nuove dove nella prima vidi diversi ragazzi giocare a basket e mi venne subito un nodo alla gola.
«Jane.» mi voltai e il mio cuore riconobbe subito la voce.
«Cris, ciao.» gli sorrisi sperando non si notassero le gambe molli come gelatina.
«Vuoi giocare a basket?»
«No no, sono negata, sono solo venuta a fare un giro.» balla, enorme balla dato che a Miami ero una delle migliori giocatrici di basket in tutte le scuole, avevo velocità, tecnica ed un buon occhio per calcolare giusti tempi e capire chi era adatto per giocare e chi no, ma queste cose non doveva necessariamente saperle.
«Capisco. Sei di Miami giusto? Sarai bravissima con il surf indubbiamente. Se vuoi resta pure qui a guardare se hai tempo, io devo tornare in campo.»
«Ok, grazie.» mi misi a sedere sulla panchina accanto al campo osservando i ragazzi giocare. Erano bravi, chi più chi meno ma in linea generale erano tutti in gamba, abbastanza veloci e agili, la mia vecchia squadra li avrebbe certamente stracciati ma noi eravamo di un livello superiore. Nonostante la bravura notai che gli occhi non brillavano in nessuno di loro, non come quando fai una cosa che ami, che ti appassiona, la facevano e si impagnavano ma non c'era amore in quei passaggi, i quei lanci e in quei tiri, il tutto ero frutto di ore di allentamento e di partite vinte e vedere il basket giocato in quella maniera mi rendeva solo triste cosi con la mano salutai Cris che ricambiò e andai nell'altra palestra dove sugli spalti incontri quel branco di imbecilli.
«Grazie per non avermi detto che non c'era la piscina, siete proprio degli stronzi.» si misero a ridere facendomi imbestialire ancora di più.
«Da su che scherzavamo, alla fine che hai scelto?»
«Non è affare vostro.»
Mi allontanai il più possibile da loro e guardai le ragazze giocare dove notai che tra loro c'era anche Bethany, non conoscevo nulla di pallavolo e non avevo mai visto nessuna partita ne in televisione ne dal vivo ma guardando il suo viso e l'agilità con cui si muoveva pensai immediatamente che fosse bravissima ed era cosi che si doveva fare sport, con passione, volontà e impegno. 
Quando si fermò per bere e riprendere le forze mi vide e con la mano mi salutò.
«TRA UN ORA HO FINITO ASPETTAMI.» urlò cosi forte che ebbi la sensazione che perfino all'esterno l'avessero sentita, annuii col capo per farle capire che l'avevo sentita e attesi in silenzio e ben lontana da quei matti la fine dell'allenamento.
Con la coda dell'occhio mi ritrovai ad osservarli e mi resi conto di guardare in modo particolare solo uno di quei teppisti.



Grazie mille a chi ha il coraggio di seguirmi e di commentare. Spero di non deludervi andando avanti.



Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** mai giudicare un libro dalla copertina ***


Mi divertii ad osservarla giocare ma ancora più era bello vedere i ragazzi. Derick e Liam erano entusiasti ogni volta che faceva punto o un bel salvataggio, Ian e i gemelli la incitavano a non mollare ed era strano per me vederli in quel modo, non avrei mai pensato potessero essere dei tifosi sfegatati della pallavolo.
«Ehi Chick, non trovi che sia fantastica?» mi voltai anche se non ne avevo bisogno dato che quella voce l'avrei riconosciuta tra mille.
«Si, è bravissima» sorridere a quegli idioti mi venne spontaneo e mi sorprese ma fui contenta vederli sorridere a loro volta. Erano contenti e non erano sorrisi di circostanza ma sorrisi sinceri ed io ero brava a rendermene conto.
Quel momento di pace e serenità fu però interrotto da alcune ragazze che vollero parlare con me in privato. Non le avevo mai viste ne nei corridoi e nemmeno in mensa, era evidente che non dovevo stargli particolarmente simpatica perchè sembravano arrabbiate quando vennero a chiamarmi.
«Quando Beth finisce, se non sono ancora arrivata, ditele che l'aspetto alla quercia.» passai davanti ai ragazzi e Ian mi prese il polso.
«Stai attenta.» non sapevo se credergli o meno dato che fino a quel momento non si era comportato da brava persona nei miei confronti ma la sua preoccupazione e lo sguardo serio degli altri ragazzi mi inquietò leggermente. Annuii col capo e dopo che mi ebbe lasciato la mano seguii le ragazze fino al retro della palestra dove trovai la ragazza che avevo macchiato, per bene due volte, ad attendermi appoggiata al muro assieme ad altre tre ragazze.
Mi guardò malissimo appena mi vide nonostante fosse stata lei a cercarmi quel giorno.
«Tu sei un disastro ambulante, e non mi stai per niente simpatica ma penso sia giusto spiegarti alcune piccole regole: innanzi tutto io sono Amber Baker e ricorda bene questo nome fino alla fine dei tuoi giorni.» mentre parlava si avvicinava sempre di più a me, ma se sperava di farmi indietreggiare si sbagliava di grosso «sono capo cheerleader della squadra di basket della scuola e presidente del consiglio degli studenti, ho i voti migliori tutta questa massa di ignoranti e sono io che organizzo ogni tipo di manifestazione in questa scuola e per finire tieni giù le mani da Cris altrimenti per te è la fine, lui appartiene a me e solo a me tu resta con quel branco di imbecilli che ti ritrovi come compagni di classe.» era assurdo tutta questa solfa solo per arrivare al problema fondamentale: Cris. Era veramente fuori di testa ma con me non attaccava, io ero la persona più calma al mondo ma nessuno per nessun motivo al mondo doveva minacciarci. Non sapeva chi aveva davanti la ragazza e non doveva permettersi di offendere i miei compagni, solo io ne avevo il diritto.
«Bene, io sono Jane Moore e non mi interessa nulla di quello che fai o chi sei e Cris non è un oggetto e quindi non ti appartiene.»
Le ragazze, mentre stavo parlando con Amber, si erano chiuse a cerchio appena mi voltai le costrinsi a spostarsi o sarebbe stato peggio per loro.
«Jane Moore non sai contro chi ti sei messa.» non le risposi neppure e e dandole le spalle me ne andai via, appena svoltai l'angolo della palestra andai a sbattere contro Ian che per non farmi cadere mi cinse la vita col suo braccio facendomi provare una strana e piacevole sensazione.
«Che volevano?» il suo sguardo era più serio del solito
«Nulla, scusa ma devo andare.» cercai di liberarmi dalla sua presa ma sembrava facesse fatica a lasciarmi  «puoi lasciarmi andare ora» mi guardò ancora e finalmente decise che potevo andare. Solo perchè aveva evitato di farmi cadere o perchè era preoccupato questo non cambiava di certo ciò che io pensavo di loro. Erano idioti e rimanevano tali.
Alla quercia vidi Bethany con la sacca di pallavolo ad aspettarmi e stranamente senza i ragazzi.
«Ciao, scusa ma ho avuto un piccolo impegno.»
«Tutto bene? I ragazzi mi hanno detto che due ragazze ti volevano parlare..» le sorrise cercando di rassicurarla
«Si si tranquilla, nessun problema, a proposito quei delinquenti dove sono?»
«Il giovedi spariscono tutti quanti» delinquenti, molto probabilmente erano a fare qualche disastro per la città, magari oltre ad essere dei pessimi elementi qui a scuola lo erano anche fuori.
«Ma scusa uno non è tuo fratello e l'altro non è il tuo ragazzo? Dovresti sapere almeno dove vanno.»
«Certo che lo so, ma tu, almeno per il momento, non sei tenuta a saperlo.» pensavo fosse mia amica almeno lei ma mi stavo quasi ricredendo.
«Oltre a combinare  guai a scuola li combinano anche fuori? Come fai a stare con gente del genere?Mi sembri una ragazza in gamba e ...» non riuscii a terminare la frase in quanto mi diede uno schiaffò in pieno viso.
«Ti pensavo più matura e meno superficiale, ti credevo diversa ma sei come tutte le altre.» come potevo giudicarli in maniera positiva se per ora non avevano fatto altro che darmi problemi? La vidi andare via con le lacrime agli occhi ma mi rifiutai di seguirla e di chiederle scusa, era evidente che non era normale nemmeno lei.
Andai a casa per farmi un bel bagno perchè ne avevo assolutamente bisogno. Prima quei teppisti che mi sorridono in quel modo, poi Amber che mi minaccia, Ian che mi abbraccia per non farmi cadere ed infine Bethany che mi da un sonoro schiaffo, c'era da diventare matti li dentro.
Il mio programma settimanale non prevedeva nessuna materia da studiare per oggi ma avendo saltato ieri pomeriggio e volendo andare via il prima possibile da quella classe decisi di mettermi sotto bene con lo studio e mi fermai solo a cena quando sentii mio padre entrare in casa con la spesa.
«Jane vieni che ceniamo»
Non parlammo molto ma notai qualcosa di diverso in lui, era chiaramente e visibilmente felice come non lo era da un pò, eravamo qui solo da due giorni ma i primi cambiamenti si notavano, non aveva più le occhiaie e sembrava riuscire a dormire serenamente la notte contrariamente a me.
«Come mai cosi sereno?» sollevò la testa dal piatto
«Mi piace qui a te no?»
«No per niente, per colpa tua sono finita nella sezione peggiore, ho dei compagni teppisti e una ragazza con le sue amiche oche mi odia, perfino l'unica persone che credevo amica mi ha voltato le spalle dandomi della persona superficiale.»
«Ma tesoro un pò lo sei. Lo sei sempre stata.»
«Non è vero»
«Si invece, ti ricordi alle medie, vicino a noi c'era una ragazza della tua età e tu l'hai sempre presa in giro solo perchè non amava il surf?»
«Ma dopo è diventata la mia migliore amica, l'ho conosciuta e ho capito perchè odiava il surf» rischiare d'annegare da piccoli può essere un grande trauma solo che io, stupidamente, l'avevo subito presa in giro ripetendole che non capiva nulla.
«Vero, ma grazie a tua madre. Cosa ti ripeteva sempre?»
«Mai giudicare un libro dalla copertina» era vero, non faceva altro che ripetermelo, mi diceva sempre che ogni uomo ha una storia da raccontare che merita di essere ascoltata.
«Stasera vieni con me»
«Perchè?»
«Ti mostro una cosa»
Finito di cenare, sparecchiai e mi preparai per uscire con mio padre nel suo giro di controllo serale. Controllammo il campo di football, attorno alla scuola, accanto agli spogliatoi, dentro e vicino alla palestra dove oggi giocava Beth a pallavolo ed infine l'ultima palestra che trovammo aperta con la luce accesa al suo interno.
«Papà non dovremmo chiamare il Direttore?»
«No, vieni ma fai attenzione a non farti sentire» 
Entrammo silenziosamente nell'edificio e cercando di fare meno rumore possibile ci mettemmo accanto alla porta che rimaneva parzialmente nascosta nell'ombra e quando vidi chi stava giocando a basket per poco non mi venne un colpo.
«Ma..» mi padre mi sorrise
«Li ho visti per caso ieri e non me la sono sentita di mandarli fuori e dirlo al Direttore. Mi ricordano tanto te e Kevin.»
Il nodo in gola si faceva sempre più grande e le lacrime faticavano a non scendere. Erano cosi diversi dai teppisti che avevo conosciuto in quei giorni, erano loro eppure allo stesso tempo non lo erano, la squadra di Cris era brava ma in questi vedevo passione e voglia di impegnarsi, forse avevano meno tecnica ma più volontà, forse non avrebbero vinto i campionati scolastici ma chiunque guardandoli poteva vedere quanto amore c'era in quello che facevano. Erano perfetti tutti quanti nei loro ruoli. Ian era adatto ad essere il playmaker, aveva un'ottima capacità di palleggio, altezza giusta ed inoltre era adatto a guidare la squadra, Liam  era adatto come centro avendo una notevole prestanza fisica e quindi più adatto a stoppare e prendere i rimbalzi, Seth e Aaron erano rispettivamente ala grande e ala piccola e giocavano dunque ai lati del campo più adatti al gioco uno contro uno ed infine Derick che ricopriva il mio vecchio ruolo di guardia con la differenza che io avevo solo buona velocità e un buon tiro oltre ad una buona capacità di controllo della squadra in mancanza del playmaker che nella squadra era Kevin.
«Forse dovresti provare a conoscerli meglio, non sono santi ma non sono cattivi e poi ho saputo che ci sono gli esami a dicembre e con quelli potresti cambiare classe volendo»
«Già.» un minuto in più in quella palestra e sarei scoppiata in lacrime, faceva cosi male vedere il basket da lontano che dovetti tornare per forza a casa.




Nota autrice.
Non so assolutamente nulla del basket, quindi scusate per gli errori e le cavolate che ho detto e che probabilmente dirò più avanti.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2379292