Obsidian

di Vally98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Diffidenza ***
Capitolo 2: *** Polvere ***
Capitolo 3: *** Il guardiano ***
Capitolo 4: *** Troppe domande ***
Capitolo 5: *** Lampi verdi ***
Capitolo 6: *** Illusioni ***
Capitolo 7: *** Allo scoperto ***
Capitolo 8: *** Sfide ***
Capitolo 9: *** Soluzioni ***
Capitolo 10: *** Missione compiuta ***
Capitolo 11: *** Colpo di genio ***
Capitolo 12: *** All'origine di tutto ***
Capitolo 13: *** Discorsi forzati ***
Capitolo 14: *** Axel ***
Capitolo 15: *** L'anello mancante ***
Capitolo 16: *** Gita in paese ***
Capitolo 17: *** Nostalgie ***



Capitolo 1
*** Diffidenza ***


Camminavo in fretta in quella notte scura e fredda. Anoku era al mio fianco, con la sua solita espressione da belva famelica.
Eravamo a caccia del libro, per questo indossavamo l'atteggiamento sicuro e circospetto da guerriere, quali eravamo.
Le vie erano popolate da gruppi di ragazzi che sembravano non avere nulla di costruttivo da fare.
Anoku mi tirò una leggera gomitata e mi indicò col mento un gruppo che si era riunito sotto la fontana. Riconobbi Axel, visto la sera prima al clan.
Lui ci stava osservando e non appena lo sorpassammo mi accorsi che lui è la sua compagnia iniziarono a seguirci.
Cercai gli occhi di Anoku, il cui viso era però nascosto in un grande cappuccio di pelliccia bianca, perché mi desse un segno su cosa avesse intenzione di fare.
Lei continuò impettita la sua camminata, così la imitai.
Scendemmo le scalinate, con Axel e i suoi compagni ancora dietro di noi.
C'erano lui, il suo amico con la barba sottile con cui era stato per tutta la riunione al clan, e un paio di ragazze.
Le sentivo sghignazzare e fare le oche con i primi due. La cosa mi dette fastidio. Non credo si trattasse di gelosia, quei tipi nemmeno li conoscevo. Semplicemente disapprovavo che dei guerrieri del loro rango si circondassero di gente simile.
- Rallenta - mi sussurrò Anoku e io obbedii.
Probabilmente lei aveva intuito che i nostri persecutori non avevano cattive intenzioni. E io mi fidavo ciecamente dell'intuito della mia compagna.
Infatti appena rallentammo il passo, Axel ci raggiunse.
Aveva chiesto alla sua compagnia di restare indietro, probabilmente, perché così aveva fatto.
Mi venne accanto, sotto il mio sguardo attento e diffidente.
Rimasi colpita dal suo aspetto. Sembrava ancora più bello della sera prima, quasi diverso, di un fascino ammaliante.
Ero già stata colpita dal suo sguardo, che mi aveva perseguitata tutta la sera precedente e che avevo incrociato più e più volte.
Ora però rimasi ammaliata da ogni parte di lui.
Né io né Anoku proferimmo parola. Aspettammo che fosse lui a parlare.
- Io posso aiutarvi.
Inarcai le sopracciglia, come se avesse detto un'assurdità. Sentii Anoku prendere fiato per dire qualcosa, ma la zittii sfiorandole la mano.
Axel mi si avvicinò di più, tanto che quasi il suo corpo sfiorava il mio. Parlava guardandomi diritta negli occhi come se fossimo soli ed era così vicino che sentivo il suo fiato sulla mia pelle.
- Devi fidarti di me. Io posso aiutarti, so dove lo tengono nascosto.
- Come posso fidarmi di te?
- Sai che puoi farlo.
Era vero. Non sapevo spiegarmelo ma i suoi occhi mi davano fiducia.
Rimasi a fissarlo dubbiosa e quasi con disapprovazione.
Lui si scoprì l'avambraccio tirando su la manica della felpa che indossava.
Rivolse il palmo della mano verso il cielo stellato e mi guardò, prima di posare gli occhi sulla sua pelle nuda.
Anche io osservai attentamente l'avambraccio pallido che mi porgeva.
- Posso contattarti, così - sussurrò fissandomi negli occhi e avvicinandosi ancora un po' a me in modo che il mio corpo coprisse il suo braccio proteso, come se tentasse di nascondere quel gesto di alleanza al suo gruppo di amici.
Intuii che voleva che segnassi sulla sua pelle un numero di telefono, un indirizzo o qualsiasi cosa che gli avrebbe permesso di comunicare con me.
Io preferii fare in un altro modo, così da mantenere in qualche modo le distanze tra me e lui, perché anche se avevo accettato il suo aiuto non eravamo amici né confidenti e non ero disposta a fidarmi di lui così ciecamente.
Allora colmai il poco spazio rimasto tra me e Axel con un abbraccio.
Gli misi le mani al collo e lo tirai più vicino. Non era un segno di affetto, chiaramente. Però così potei sussurrargli nell'orecchio i modo tale che i suoi amici non sentissero.
- Vieni alla vecchia fabbrica. Alle tre.
- Ti mette così a disagio avermi addosso? - ridacchiò lui quasi impercettibilmente.
- Non ti ci abituare.
- Rilassati, non sono io il lupo cattivo della situazione.
- Mi chiedo quante cose tu sappia della situazione e come tu le sappia.
- Avremo modo di parlarne.
Sciolsi l'abbraccio e notai che lui mi sorrideva. Era strano. Gli avevo sempre e solo visto uno sguardo truce e misterioso. Quel sorriso sembrava non appartenergli.


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Ciao a tutti cari lettori! Innanzitutto se arrivate a questo punto del capitolo significa che lo avete letto fino in fondo e perciò vi ringrazio di cuore! Spero che vi piaccia la storia e vi prego di lasciare qualche commento, se vi va, così ch'io possa migliorare la forma di esposizione o concetti poco chiari. Ve ne sarei grata. Se vi è piaciuto e avete intenzione di continuare a leggere questa storia vi auguro buona avventura :)

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Capitolo 2
*** Polvere ***


Alle tre, quella stessa notte, Anouk ed io aspettavamo alla vecchia fabbrica l'arrivo di Axel.
- Sei sicura che verrà?
- Quasi certa.
- È quel quasi che mi preoccupa, Amaya.
Mi accorsi che si era voltata a guardarmi, ma feci finta di nulla, mantenendo la mia postura con la schiena dritta, il meno sollevato, e lo sguardo fisso lontano, in attesa.
3.10 e ancora nessuno si era fatto vivo.
- Secondo me non verrà.
- Ti assicuro di sì, Anoku. Porta pazienza.
Aspettammo ancora una decina di minuti e percepii che la mia compagna si stava innervosendo.
all'improvviso udimmo il rombo di una macchina in lontananza, farsi sempre più forte fino a che una BMW blu ci raggiunse con una sgommata sollevando una nuvola di polvere ocra.
Il motore dell'auto si zittii e si aprì una portiera dal lato del guidatore. Quando il polverone si fu dissolto fui in grado di riconoscere la sagoma di Axel che avanzava.
- Scusate il ritardo.
- Credevamo non saresti venuto - sibilò Anoku.
- Eccomi qui invece.
- Avresti dovuto essere qui venti minuti fa.
- Lo so, chiedo scusa, ma ho pensato che un'auto sarebbe stata utile e ho impiegato più del previsto per procurarmela.
Prima che Anoku potesse lamentarsi ancora del nuovo arrivato intervenni io:
- Allora? Dove ci porti?
- Dal libro.
 


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Ciao cari lettori :) Vi ringrazio di avere letto questo capitolo, spero vi sia piaciuto. Se avete delle correzioni da farmi o anche semplici osservazioni sarei lieta di leggere, quindi non esitate :) Grazie mille e buona continuazione :)

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Capitolo 3
*** Il guardiano ***


Salimmo in macchina, Axel alla guida, io al posto del passeggero e Anouk dietro.
- Allora - non vedevo l'ora di iniziare l'interrogatorio.
- Abbiamo un po' di strada da fare. Mettetevi comode - così dicendo Axel premette il piede sull'accelleratore e la macchina schizzò via veloce come un treno.
- Cosa sai tu del libro?
- Alemno quanto ne sapete voi.
- No, ti sbagli, non è possibile - intervenne Anouk.
- Ah sì?! E perché mai? - ribattè lui con un pizzico di arroganza.
Anouk mi lanciò uno sguardo discreto, indecisa se parlare apertamente o evitare certi dettagli.
- Chi sei tu? - intervenni io. Lui ruotò gli occhi verso di me è sorrise quasi con presunzione, stringendo forte tra le mani il volante.
- Axel. Ci siamo già presentati ieri sera, ricordi?
- Sì ma dimmi di più. Non è solo il nome che ci identifica.
- Davvero non ci arrivi?
- A cosa ti riferisci scusa?
- Non hai minimamente considerato la possibilità che io possa essere uno dei quattro guardiani?
Rimasi di sasso, ammutolita, a riflettere. Mi voltai a guardare la strada, distogliendo lo sguardo da Axel.
- E così tu saresti uno dei guardiani? - sbuffò divertita e con sarcasmo Anouk.
- Ti diverte così tanto la cosa?
Anche se non stavo guardando la mia amica in faccia, immaginavo i suoi occhi farsi taglienti e sottili.
- Non sarei qui con voi se non fossi uno di voi, non pensi?
- Stai mentendo - lo ammonii io.
- E Perchè dovrei?
- Vuoi solo scoprire quello che noi sappiamo. Pensi davvero che fingendoti uno di noi ci riuscirai?
- Ahah - la risata argentina di Alex risuonò in tutto l'abitacolo - Amaya apri gli occhi. In fondo sai che è così, lo hai sentito fin da subito che c'è qualcosa che ci lega.
- E perché io non ho sentito nulla? - ribatté Anouk quasi in un ringhio - se stai cercando di far leva su una nosoquale attrazione che c'è tra te e Amaya per provare che sei un guardiano come noi, sappi che è tutto inutile. Sentirei anche io che tu sei uno di noi, se fosse così
- Non ne sarei così sicuro. Il risentimento che provi per tutte le persone che incontri offusca le altre sensazioni. Tu già mi odi Anouk, è logico che non senti nient'altro per me
Non poteva essere lui il terzo guardiano, era... assurdo. Però tutto quello che diceva aveva senso e probabilmente era tutto vero.
Inoltre sembrava conoscerci bene, per sapere di quelle strane sensazioni che associavo alla sua presenza e dell'atteggiamento di Anouk nei confronti delle persone.
- Beh allora benvenuto a bordo.
Lo vidi sorridere compiaciuto e quasi arrogante. Lui sapeva che gli avrei creduto.
- Benvenute a voi.  


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Ciao cari lettori :) Vi ringrazio di avere letto questo capitolo, spero vi sia piaciuto. Se avete delle correzioni da farmi o anche semplici osservazioni sarei lieta di leggere, quindi non esitate :) Grazie mille e buona continuazione :)

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Capitolo 4
*** Troppe domande ***


Era già trascorsa un'ora da quando Axel ci aveva raggiunte alla vecchia fabbrica, caricandoci in macchina.
Dopo i primi venti minuti di viaggio era calato il silenzio tra di noi. Nessuno aveva più parlato.
Eravamo troppo presi dai nostri pensieri, dalle paure, dai dubbi. Era una situazione complessa, e strana.
- Vorrei sapere perché ci stai aiutando - dissi, rompendo quel silenzio che perdurava da troppo tempo.
- I guardiani collaborano, no? Abbiamo lo stesso obiettivo.
Rimasi a studiarlo con lo sguardo, sperando che non se ne accorgesse.
- E perché non sei venuto prima da noi?
Lui rise. Sembrava sinceramente divertito, eppure io non avevo detto nulla di divertente. La cosa mi imbarazzava: probabilmente rideva di me.
- Tu credi che tutti sappiano chi siate voi? Non lo si dice in giro. è un rischio.
- Perciò quando l'hai scoperto? Quando hai capito che noi facciamo parte dei Quattro?
- Ieri sera. Al clan. Quando vi ho viste per la prima volta.
Buttai uno sguardo furtivo verso il retro dell'auto, giusto per essere sicura che Anouk stesse ascoltando, poiché, fatto molto insolito, se ne stava zitta, senza ribattere e senza dire nulla.
Ebbi la conferma che era sveglia e attenta e osservava Axel quasi con ossessione. Stava cercando una falla nei suoi discorsi per smascherarlo e dimostrare che si era inventato tutta la faccenda.
- Lo hai sentito anche tu, no? - riprese Axel, visto che non rispondevo.
- Sentito cosa?
- Un tremolio. Dentro di te.
Ripensai alla sera prima, quando ero in compagnia di Anouk ed altri guerrieri e cercavamo di fingere che quella fosse una serata serena. Pensai a quando all'improvviso era entrato Axel con il suo amico, ben più robusto di lui.
Lui sembrava così minuto e così fragile, quella sera. Ma poi avevo incrociato i suoi occhi. Avevo percepito una potenza incredibile, una potenza tanto spietata, con cui non avevo mai avuto a che fare. Avevo sentito qualcosa dentro di me, ma credevo fosse paura. O semplicemente quell'interesse che si prova per le cose sconosciute e misteriose.
- Sì. Credo di sì.
Sentii lo sguardo tagliente di Anouk, che mi accusava di assecondare la messa in scena di quel "guerriero bugiardo".
- Dobbiamo recuperare il libro, trovare il quarto guardiano e tornare dal vecchio Brandon.
- Tu sai di Brandon? - mi lasciai sfuggire, sorpresa.
- Ancora non ti fidi Amaya?
- No, scusa. è che... boh, insomma... sembra tutto troppo facile.
- Troppo facile? - sentii ringhiare la mia amica alle mie spalle.
- Nel senso... si dice che chiudere il quadro richieda tempo. Tanto tempo. E tu spunti così all'improvviso. Se ci credessi direi che è un colpo di fortuna.
- Non credi nella fortuna? - domandò come sorpreso Axel.
- No, certo che no.
- Nel destino?
- No.
Lo vidi sorridere, con la coda dell'occhio, mentre teneva lo sguardo fisso sulla strada e le mani strette attorno al volante.
- C'è qualcosa in cui credi, Amaya?
- Certamente, Axel. Non esistono solo fortuna e destino.
- In cosa credi, sentiamo?
- Nelle cose concrete.
- Concrete? Che significa?
- Nelle cose che vedo, che percepisco, che sento. Non cose lontane, astratte. Quella è solo aria fritta.
- Nelle parole? Nelle parole ci credi?
Mi voltai a guardarlo, e lui fece lo stesso. I nostri occhi si incrociarono per parecchi secondi, poi lui tornò a rivolgere la sua attenzione alla strada.
- Ma che razza di discorsi sono? Pensa a condurci dal libro, e in fretta. Lascia perdere i fatti miei - sbottai.
Lui rimase zitto e ciò, a dirla tutta mi sorprese. Il silenzio ripiombò su di noi fino a quando l'auto non si fermò.
- Siamo arrivati.
 


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Capitolo 5
*** Lampi verdi ***


Scendemmo dalla macchina e rimasi sorpresa trovandomi in mezzo al nulla.
In tutte le direzioni si vedeva una vasta distesa di sabbia o terra rossiccia . C'era solo un elemento che spiccava in mezzo a quel nulla.
Era un enorme edificio, di metallo e vetro. Avrà avuto una decina di piani più o meno.
Era quasi elegante, probabilmente opera di un architetto talentuoso, ma lì, in mezzo a quel nulla, a quella distesa desertica davvero stonava come una farfalla che svolazza in inverno mentre nevica.
- Che cos'è? - mormorò Anouk, stupida quanto lo ero io.
- Non ne ho idea - risposi onestamente, osservando la grandezza di quell'edificio.
- Si tratta di una periferica dei Fritjof.
- I ladri della pace...- mormorai.
- Proprio così.
- Hanno nascosto loro il libro?
- E chi se no? Era ovvio che avrebbero tentato di ostacolarci.
Era la verità. I Fritjof erano i peggiori avversari del quadro dei guardiani e di tutti i clan dei guerrieri.
Era più che comprensibile che avessero nascosto il libro perché non lo potessimo trovare. Sarebbe stato un gran guaio se noi guardiani, una volta riuniti, avessimo avuto in mano il libro. Sapevo perfettamente che i Fritjof ci avrebbero impedito in tutti i modi di prenderlo.
- E noi dovremmo entrare lì? - chiese Anouk.
- Dipende. Se vuoi prendere il libro sì.
La guerriera mi lanciò un'occhiata, per farmi capire che era pronta ad entrare in azione e non si sarebbe mai tirata indietro.
Io le risposi con un lieve cenno della testa.
Pensai che prima di entrare nel covo del nemico avremmo dovuto stilare un piano. Laddentro sicuramente c'erano file di guardia e molti agenti di sorveglianza. I sistemi di sicurezza erano certamente tutti attivati. I Fritjof non si sarebbero mai permessi di perdere il vantaggio che avevano su noi guerrieri. Questo vantaggio era proprio il libro.

Facemmo irruzione nell'edificio.
Ci aspetavamo di trovare delle guardie armate in giro per i corridoi, o che almeno le porte e le finestre fossero controllate da un sistema di allarme.
Invece no, niente di niente.
Anzi. A vederla da vicino la struttura sembrava piuttosto malandata, la vernice che ricopriva i sostegni di metallo era scrostata in più punti, alcuni vetri avevano delle piccole crepe. Regnava il silenzio, sia dentro sia fuori, e all'interno sembrava tutto fermo, immobile. Troppo tranquillo.
- Sei sicuro che sia qui? - chiese Anouk diffidente.
Axel non le aveva risposto, ma si era avvicinato al portone che a prima vista poteva apparire fragile, essendo costituito solo da una grande vetrata, incorniciata in una struttura ferrea. In realtà si trattava di un vetro infrangibile. E comunque, anche se fosse stato possibile, non avremmo mai pensato di romperlo, poiché avremmo potuto attirare l'attenzione di chiunque si trovasse dentro l'edificio e allarmarlo.
Vidi Axel mettersi in ginocchio, fino ad avere la serratura della porta all'altezza del viso. Seguì un flash verdastro e un click, poi le ante della porta si aprirono silenziosamente, come spinte da un leggero colpo d'aria.
Axel si rimise in piedi e ci fece cenno di seguirlo all'interno.
Io rimasi immobile per un po', a fissare il punto da cui era scaturito il flash. Aveva usato la magia. Dunque sapeva già controllare i suoi poteri? Com'era possibile?
Io e Anouk avevamo imparato a farlo solo dopo esserci trovate e avere scoperto di fare parte del quadro.
Prima di allora non sapevamo nulla di preciso sui guardiani e nemmeno padroneggiare le nostre doti in quanto tali. A dire il vero non sapevamo nemmeno di avere queste doti. Eppure Axel sì. Sembrava saperla lunga sul quadro - a meno che non fosse tutta una sceneggiata per apparire informato - e addirittura ora dimostrava di saper usare i suoi poteri.
Cercai di bloccare i miei pensieri e seguii Anouk e Axel dentro l'edificio.

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Capitolo 6
*** Illusioni ***


Dentro, il palazzo, era proprio come appariva fuori.
Era grande, silenzioso e malandato.
Io, Anouk e Axel scivolavamo per i corridoi, correndo in punta di piedi e muovendoci con agilità.
Anche se in giro non si vedeva nessuno e non si sentiva alcun rumore, era meglio essere cauti e furtivi.
- Ma si può sapere dove sono tutti? - chiesi quando ci appostammo dietro un angolo, tutti stretti uno all'altro.
- Tutti chi?
- I Fritjof che dovrebbero sorvegliare il libro. Sarebbe un'imprudenza imperdonabile lasciarlo così, senza protezione.
- Hai ragione. La cosa è strana. Magari hanno qualcosa in mente, basta che rimaniamo sull'attenti.
- Credo che dovremmo separarci - disse Anouk - come lo troviamo il libro?
Axel sembrò pensare un attimo se quella della guardiana fosse una buona idea, poi rispose:
- Si trova in una stanza apparentemente vuota, ma che in realtà vuota non è.
- Non ha senso, parla chiaro - lo interruppe Anouk.
- Quello che so è solo questo. I Fritjof hanno attuato questo sistema per complicarci l'impresa.
- Perciò dobbiamo escludere le stanze che contengono qualcosa, tipo mobili, attrezzature, scatoloni e soffermarci su quelle vuote.
- Sì - confermò Axel - sì è così. Ma dobbiamo capire lo stratagemma per trovare il libro.
- Ottimo - concluse Anouk e fece per avviarsi ad ispezionare le stanze.
- Aspetta - la fermò il guardiano - non usate la magia qui dentro.
- Perché no? - Anouk vedeva crollare la sua brillante idea di servirsi dei poteri per svelare l'inganno teso dai Fritjof.
- Perché tutto all'interno dell'edificio è stato studiato appositamente per neutralizzare i guerrieri e la loro magia.
- Più chiaramente?
- In poche parole se ti servi dei tuoi poteri vieni eliminato all'istante - intervenni io, intuendo dove Axel voleva andare a parare.
Questo complicava ogni cosa.
  


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Capitolo 7
*** Allo scoperto ***


Ottimo. In un attimo mi ritrovai sola.
Alex era andato per la sua strada e Anouk anche. Soprattutto la mia amica sembrava decisa a voler essere lei a scovare il libro.
Doveva sempre dimostrare qualcosa, forse più a se stessa che agli altri, ma sta di fatto che per lei ogni evento si presentava come una sfida in cui doveva dare il meglio di sé. E il bello era che riusciva sempre ad essere all'altezza delle situazioni, affrontandole con sicurezza e determinazione.
Io invece, non so dirmi il perché, quando rimasi sola mi sentii persa. Ero solo io contro quella sfida che stavo per affrontare.
Non ero ancora abituata al ruolo importante che avevo e non sapevo se ne ero davvero all'altezza. Sentivo gravare una grande responsabilità su di me.
Non volevo essere la guardiana insicura, quella incapace.
Mi imposi di smetterla con questi complessi mentali e di muovermi a ispezionare il terzo piano dell'edificio.
C'eravamo accordati: ognuno avrebbe esaminato per filo e per segno un piano del palazzo. Qualora uno di noi avesse trovato qualcosa avrebbe dovuto chiamare gli altri. E se si fosse trovato in pericolo sarebbe dovuto correre al piano terra e premere un interruttore vicino all'ingresso, che azionava un sistema di illuminazione ad intermittenza in tutte le stanze dell'edificio. Allora anche gli altri lo avrebbero raggiunto e aiutato.
Come piano non era male.
Inziai a correre, col passo felpato, per i corridoi silenziosi e grigi. Salii la prima rampa di scale, poi la seconda, e poi l'ultima.
Era il terzo piano, eppure guardando fuori dalla finestra mi sembrava di essere in altissimo.
- Ok mettiamoci al lavoro.
C'erano tanti, troppi corridoi. E altrettante stanze.
Decisi che era il caso di lasciare un segno davanti alla porta di tutte le aule in cui entravo, per essere sicura di non ripetere la stessa azione due volte, che sarebbe stata solo una perdita di tempo.
Mi tastai la natica, in cerca del coltellino che portavo sempre con me. Mi sarebbe servito per difendermi nel caso in cui qualcuno dei Fritjof fosse spuntato all'improvviso, dato che non potevo far uso della magia, il che non era una grande perdita, piché ancora ero inesperta.
Le prime stanze in cui entrai erano arredate, per cui le esclusi a priori.
Il libro si trovava in una stanza apparentemente vuota.
Dopo aver escluso una decina di aule che contenevano mobili, archivi, scatoloni, cianfrusaglie o strumenti da lavoro o per le pulizie, mi trovai davanti ad una porta chiusa.
Ero indecisa se aprirla ed entrare oppure non farlo. Rimasi un attimo a pensare, quando mi accorsi di alcune voci che provenivano dall'interno.
- Dunque - disse una voce, a cui seguirono parole confuse. Poi una risata fragorosa. Un applauso. E altre parole.
- Allora c'è qualcuno - constatai.
Decisi di passare oltre ed andare avanti con la mia indagine, sforzandomi di fare ancora meno rumore.
Dopo una mezz'oretta dalla separazione dai miei compagni il mio giro era terminato.
Avevo escluso più della metà delle stanze. Quelle vuote, al terzo piano, erano otto.
Tra quelle otto poteva esserci la stanza che cercavo. Oppure essa poteva trovarsi ai piani inferiori. Qui la faccenda si complicava. Parecchio.
Non feci in tempo a pensare a cosa fare per risolvere lo stratagemma che sentii una porta aprirsi e un vociare indiscreto riempire i corridoi vuoti del terzo piano.
Sentii dei passi, delle risate e degli ordini, impartiti con autorità nonostante il clima abbastanza sereno diffuso tra i presenti.
Dalle voci sembravano quasi tutti uomini.
Mi nascosi dietro una parete. Avevo il cuore che batteva forte, eppure non avevo paura. Poggiai la testa contro il muro e feci dei respiri profondi.
Se il mio udito non mi ingannava il gruppo di uomini stava percorrendo il corridoio parallelo al mio, perciò non mi avrebbero vista.
Sentivo il vociare aumentare di intensità, fino a riuscire a distinguere la risata stridula di una donna, forse l'unica e poi i passi pesanti della compagnia scendere le scale.
- Tornate ai vostri posti - diceva la voce autoritaria - abbiamo già corso un rischio a lasciare l'edificio scoperto per così tanto tempo.
- Massì, non possono rimproverarci per una piccola pausa - rispose un'altra voce.
- Non era una pausa. Era una riunione idiota - ringhiò il primo.
- Mi scusi.
Risate. Passi pesanti. Sempre più leggeri. Sempre più lontani.
Rimasi adesa al muro ancora per un po', fino a che il silenzio non tornò ad invadere tutto lo spazio attorno a me.
Poi tirai un respiro di sollievo e feci per rimettermi al lavoro, ma appena mi voltai mi trovai faccia a faccia con un uomo che sorrideva in modo sinistro. Sobbalzai.
Aveva la pelle olivastra e il viso pieno di rughe. L'ultima cosa che vidi furono i suoi occhi grigi, poi lo sentii afferrarmi il polso con forza e distolsi le mie attenzioni dal suo aspetto.
Tirai uno strattone col braccio per liberarmi dalla presa e scattai indietro, giusto per prendere le distanze che mi avrebbero concesso il tempo necessario per pensare a cosa fare.
Dovevo correre al piano terra. Schiacciare l'interruttore. In fretta.
L'uomo premette un pulsante che aveva sulla cintura, facendo scattare una sirena, poi mi si slanciò addosso e tirò un pugno che però andò a vuoto, poiché fui abbastanza svelta da schivarlo. Gli scivolai sotto al braccio inclinando la schiena all'indietro, poi gli tirai un calcio violento dietro al ginocchio.
Questo lo costrinse a piegare le gambe e cadde a terra, però fu rapido a voltarsi, in tempo per evitare la gomitata sulla nuca che gli stavo tirando.
Lui mi afferrò la gamba, ma prima che potesse darle uno strattone la slanciai e gli sferrai un calciò sotto al mento. Lui mollò la presa.
Ne approfittai per prendere le distanze, ancora una volta.
All'improvviso però apparvero altri uomini, vestiti come il primo, all'inizio del corridoio. Erano venuti per me.
A prima vista avrei detto che fossero sei o sette. Da sola non ero sicura di potercela fare, perciò corsi via.
Quelli presero ad inseguirmi, mentre speravo vivamente che Anouk e Axel avessero sentito la sirena che il primo uomo aveva fatto scattare e che avessero capito che avevo bisogno di loro.  


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Capitolo 8
*** Sfide ***


Corsi giù per le scale. Potevo sentire gli uomini inseguirmi e quasi raggiungermi.
Pensai che sarebbe stato meglio non chiamare Anouk e Axel, per non rivelare la loro presenza, anche se quelle persone di certo potevano trovare strano e stupido che io mi fossi addentrata nell'edificio da sola e perciò sicuramente stavano già cercando dei complici.
All'improvviso ricordai della massa di uomini usciti dalla stanza chiusa. Erano tanti. Ed erano scesi ai piani inferiori.
Al piano terra sicuramente c'erano più persone di guardia che sugli altri piani, quindi scendere fin lì non sarebbe stata una buona idea.
Dovevo tornare al terzo piano, così da non mettere nei guai i miei compagni e da non cacciarmi in un vicolo cieco. Non c'era altra scelta: dovevo affrontare quegli uomini da sola.
Il primo problema ora era come tornare su, poiché se avessi girato i tacchi e avessi iniziato a salire le scale i miei inseguitori mi avrebbero presa.
Decisi che giocare "Celai" sarebbe stato utile.
Perciò arrivata al secondo piano imboccai un corridoio, lasciando che gli uomini mi seguissero e sperando che Anouk non si trovasse da quelle parti. Lo percorsi fino a che non rispuntai ai piedi delle scale, e ancora con quelli della sicurezza alle calcagna le salii, tornando all'ultimo piano.
Loro si erano divisi in due gruppi, con l'intenzione di placcarmi da due lati così che non potessi avere via di fuga, ma scappando di nuovo lassù li avevo spiazzati.
Mi sentivo tanto una bambina che si diverte a farsi rinseguire.
Peccato che non mi stessi divertendo. E che non fossi più una bambina da tempo.
Decisi che era meglio non addentrarmi nei corridoi perché gli uomini mi avrebbero teso la stessa trappola che stavano attuando al piano di sotto. E loro avevano il vantaggio di conoscere molto meglio di me l'ambiente.
Perciò mi feci coraggio e li attesi in cima alle scale.
Cercai di costringere il primo uomo in testa al gruppo a stare sui gradini. Lì sarebbe stato più instabile e io avrei avuto un piccolo vantaggio.
Sfoderai il coltello e feci per colpirlo in faccia, ma lui schivò i miei colpi. Mi afferò il polso, ma con la mano libera gli sferrai un pugno sul naso e mi liberai dalla sua presa.
Mentre lui cercava di riprendersi dal colpo violento gli tirai un calcio in pancia, spingendolo per le scale. Gli uomini dietro di lui però lo sostennero e anzi, lo rislanciarono in avanti, verso di me. Io gli fui addosso in un battibaleno e gli colpii la testa con una violenta gomitata. Lui cadde a terra senza sensi.
Si fece avanti il secondo uomo, che mi colpì con un pugno in pancia che mi tolse il respiro. Ciò gli permise di avanzare di qualche gradino, ma mi ripresi in tempo per restituirgli il pugno che mi aveva tirato.
Un terzo individuo mi aveva preso il braccio e mi stava raggiungendo in cima alle scale, stringendo la presa sempre di più.
Quando fu al mio stesso livello diede uno strattone al braccio che mi costrinse voltargli le spalle, mentre lui mi teneva piegato l'arto contro la schiena. Mi cadde il coltello.
Intanto il secondo uomo si era ripreso e ci aveva raggiunti.
Quello che mi teneva stretta mi tirò i capelli così da alzarmi il viso in modo che guardassi quello che mi aveva tirato il pungo in pancia diritto in faccia.
Lui ora era davanti a me, trionfante.
- Guarda guarda cos'abbiamo qui - mormorò ridendo.
Anche gli altri ridacchiarono. E ciò era molto inquietante.
Mi guardavano come se fossi una preda da cucinare al forno e loro avesso l'acquolina in bocca.
- Una guerriera - disse per prendersi gioco di me.
- Che ci farà qui una guerriera? Così giovane per di più - continuò avvicinando il suo viso al mio.
Cercai di liberarmi dalla presa dell'uomo dietro di me, ma quello mi strinse ancora più forte.
- Non hanno più senso dell'onore se iniziano a mandarci le ragazzine. Cos'è? Credono che posano intenerirci?
- Non sono una ragazzina - ringhiai a cinque centimentri dal suo viso.
- Ah no? - ironizzò - l'avete sentita? - aggiunse rivolgendosi al gruppo. Tutti ridacchiarono.
- No - risposi con presunzione - non sapete con chi avete a che fare.
- Fossi in te abbasserei la cresta. Non sei nella posizione di minacciare.
Gli risi in faccia, spudoratamente.
Come poteva sentirsi lui tanto potente davanti a quella che definiva una "ragazzina" che combatteva da sola contro sei uomini?
- Che caratterino - mormorò mieloso spostandomi una ciocca di capelli dal viso - cosa possiamo fare per placarlo un pochetto?
Dovevo pensare ad una soluzione alla svelta. Mi guardai attorno freneticamente, in cerca di un'arma, un appiglio, qualunque cosa.
L'uomo che parlava si avvicinò ancora di più a me, ma prima che potesse toccarmi ancora il viso eseguii una piroetta su me stessa rannicchiandomi con le ginocchia piegate. Passai sotto al braccio che l'altro individuo mi teneva immobilizzato e lo strattonai, liberandomi dalla presa e sferrando un pugno in faccia alla guardia che mi parlava. Poi gli tirai un calcio nei gioielli e mentre si accasciava a terra mi votlai, presi l'uomo dietro di me per le spalle e gli inflissi una violenta ginocchiata nella pancia e mentre si piegava su se stesso gli colpii la nuca con una gomitata.
Afferrai il coltello e mi fiondai sul quarto uomo che avrei dovuto mettere fuori combattimento, ma un quinto mi balzò addosso da dietro.
Lo allontanai con un calcio poco efficace, mentre minacciavo il primo col coltello. La quinta guardia mi afferrò per la caviglia e mi tirò indietro con forza, tanto che caddi a terra. Un'altra si stava piegando per immobilizzarmi le spalle, ma feci una capriola e gli tirai due calci consecutivi sotto il mento e mi rialzai in tempo per fiondarmi addosso a lui, bloccargli la gamba con la mia proprio dietro al ginocchio, prendergli il collo e spingerlo in avanti fino a catapultarlo di testa contro il pavimento.
Rapidamente una delle due guardie rimaste mi prese per i capelli e mi tirò un pugno in faccia, ma fui rapida a reagire nonostante il dolore e tirai un altro calcio nelle parti basse e quello cadde a terra senza fiato.
L'ultimo mi spinse contro la parete. L'urto fu talmente violento che caddi a terra. Avevo picchiato la schiena e poi la testa, e poi ero crollata. Vidi la sagoma della guardia incombere su di me, le sue mani afferrarmi ma io ero troppo tramortita per reagire.
Mi sollevò costringendomi a stare in piedi, ma un secondo dopo lo sentii crollare a terra e per non cadere ancora dovetti aggrapparmi alla parete.
Strizzai gli occhi per capirci qualcosa e vidi Axel e Anouk e ai loro piedi l'uomo senza sensi.
- Stai bene? - mi chiese il primo.
- Sì, credo - risposi cercando di riprendermi.
- Trovato qualcosa?
- Ci sono otto stanze vuote qui, ma non ho avuto il tempo di controllare bene se una di esse fosse quella che cerchiamo.
All'improvviso sentimmo dei rumori provenienti dal tetto. E anche dalla rampa di scale.
- Dannazione. Ci vengono a prendere.
Scendemmo al secondo piano, mentre gruppi di guardia dei Fritjof arrivavano dal tetto e dai piani inferiori.
Dal rumore che facevano era chiaro che fossero tanti. Davvero tanti.
Iniziammo a correre per i corridoi del secondo piano, cercando di depistare almeno il primo gruppo che ci avrebbe raggiunto. Dovevamo sbrigarci: sarebbe stata questione di poco tempo e tutte le guardie ci avrebbero circondati.
- Non ce la faremo mai a batterli corpo a corpo qua dentro - dissi.
- Dobbiamo portarli fuori.
- Non sono così stupidi. Loro faranno di tutto per tenerci qua finché non ci avranno presi.
- Muoviamoci. Troviamo il libro e andiamocene.
"Sì, ma come!?" non potei fare a meno di pensare.
- Quante stanze vuote in questo piano? - chiesi ad Anouk.
- Cinque.
- Al piano terra?
- Tre - rispose Axel.
- Ottimo. Per fortuna sempre meno.
 


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Capitolo 9
*** Soluzioni ***


All'improvviso ci trovammo con un gruppo di guardie da un lato ed un gruppo dall'altro. Non c'erano vie di fuga.
Avevamo previsto che sarebbe successo qualcosa di simile.
L'unica scappatoia sarebbe stata entrare in una stanza prima che i Fritjof ci ragiungessero.
Così facemmo. E chiudemmo anche la porta.
Era una stanza vuota, una delle cinque del secondo piano. L'unica cosa che c'era era una finestra. Era strana però, sembrava avere i vetri spessissimi. Forse era un sistema di sicurezza applicato a tutte le finestre dell'edificio così da renderle infangibili.
- E adesso che facciamo? - chiesi io con una voce tremolante che tentavo ostinatamente di nascondere.
Avevo la faccia dolorante, chissà come la vedevano i miei compagni. Forse rossa, violacea, col segno delle botte e del sangue.
Al momento era l'ultimo dei problemi.
- Se ci raggiungono possiamo buttarci dalla finestra, tanto una volta fuori possiamo usare la magia - propose Axel.
- Già, peccato che noi non siamo abbastanza brave da poter volare - disse Anouk acida, come seccata di dover riconoscere una sua carenza.
- Okay a quello ci penso io - tagliò corto lui.
- Poi dovrai spiegarmi come tu possa avere già un simile controllo sulla magia - gli dissi. Lui per tutta risposta mi sorrise.
- Comunque, un altro piccolo dettaglio - intervenne Anouk - come rompiamo quel vetro? Non sembra molto fragile.
Axel si guardò attorno freneticamente, in cerca di una soluzione, mentre le voci e i passi provenienti dall'esterno si facevano sempre più forti.
Poi il suo sguardo cadde sulla mia mano.
- Il tuo coltello. Certo! - tirò un sospiro di sollievo - io e Anouk proviamo a rallentarli, tu Amaya rompi il vetro col coltello, almeno avremo una via di fuga.
- Quindi addio libro?
- Abbiamo una speranza su sedici che si trovi qui dentro. Credo che questa volta andrà così - ammise Axel.
Proprio in quel momento i Fritjof abbatterono la porta e irruppero nella stanza.
Io corsi alla finestra, Anouk strinse forte un'asta di metallo che aveva preso durante la corsa, Axel si slacciò la cintura di cuoio dalla vita, nella speranza che si rivelasse ultile per difendersi.
Io impugnai fermamente il coltello e iniziai a colpire il vetro con forza, mentre nelle mie orecchie riecheggiavano le urla dello scontro che stava anvendo luogo a qualche metro da me.
Il vetro non era facile da rompere. Dovevo colpirlo con tutta la forza che avevo anche solo per sbeccarlo. Ma non mi sarei arresa.
Continuai a sferrare colpi per minuti e minuti. Interminabili, lunghi, duri.
Sentivo grida, gli urti della mia arma, le frustate della cintura di Axel, la spranga di Anouk, ma non smettevo di picchiare contro il vetro.
Era passato tanto tempo eppure le guardie sembravano non finire mai, Anouk era sempre più ferita, Axel sempre più stanco. E io anche. Non sentivo più il muscolo del braccio, eppure questo continuava a muoversi, a picchiare, con forza, regolarità, monotonia.
I Fritjof stavano costringendo i miei compagni ad arretrare sempre di più e questo non andava affatto bene.
All'improvviso mi fermai. Mi girai e rimasi a guardare lo scontro. Come fossi una spettatrice. Come se quello fosse tutto un film. Non come se stessi rischaindo la vita. E insieme a me anche i miei amici.
Prima ancora di pensarlo scattai in avanti, bloccai il braccio di Axel che stava per colpire una guardia, lo sorpassai, allungai le mani alla cintura dell'uomo e afferrai un oggetto ovale, ruvido, mentre i miei compagni mi sbraitavano addosso, chiedendosi che diavolo stessi facendo.
A un certo punto mi ritrovai mezza stordita da tutte quelle urla, quei colpi e quelli che avevo subito poco prima, dalla paura e dalle mille sensazioni che mi invadevano.
La guardia che avevo davanti ne approfittò e mi spinse con una violenza disumana contro il muro. Aspettai di sentire le mie ossa frantumarsi, una botta che mi avrebbe sbalzato in un altro mondo, forse l'Aldilà, il tonfo sordo che avevo sentito anche prima, sbattendo contro il muro.
Mi schiantai contro la parete, con un gemito sommesso, tra le urla dei due guerrieri e la violenza dei Fritjof. Sentii un dolore insostenibile, la testa perdere la cognizione della realtà, il cuore perdere un battito, la schiena trasmettere il colpo a tutto il resto del corpo. Ma il tonfo che sentii non era sordo, tutt'altro. Lo sentii riescheggiare, quasi.
Allora capii.
Lanciai l'oggetto ovale che avevo in mano ad Axel, che lo prese al volo e capì subito di cosa si trattasse.
Io mi misi in ginocchio, non so dove trovai le forze. Era come se il mio corpo ormai funzionasse da solo, senza che nemmeno io lo comandassi, senza nemmeno dover combattere la stancezza e il dolore.
Impugnai il coltello e iniziai a colpire la parete. Più volte. Con forza. Come stavo facendo prima contro in vetro. Ora lo facevo contro il muro.
E quello crollò. Mi crollò addosso e nemmeno lo sentii. Rimasì là, sdraiata tra le macerie, una maceria io stessa. Chiusi gli occhi. E rimasi così.
Aspettavo di sentire un grande silenzio e poi sentirmi leggera come una nuvola.
Invece sentii un'esplosione e due mani afferrarmi mentre tutto il peso del mio corpo ricadeva sulla mia anima.
Poi più nulla. 


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Capitolo 10
*** Missione compiuta ***


Ero sdraiata. Su un letto o comunque qualcosa di morbido.
Sentivo un suono, come se dell'acqua stesse bollendo.
Aprii gli occhi lentamente.
Provai a muovere un braccio, poi una gamba, poi il busto. Ci riuscivo perfettamente.
All'improvviso, come una tempesta, la mia mente venne bombardata dai ricordi.
Ricordavo tutto quello che era successo. Dall'arrivo di Axel in auto alla vecchia fabbrica, al palazzo di vetro, alla ricerca delle stanze vuote, alla rissa con gli uomini della sicurezza. Tutto.
Mi ricordai dei pugni, degli spintoni e delle botte contro il muro. Eppure non sentivo male in nessuna parte del corpo.
All'improviso chiusi gli occhi. Sperai tanto di non essere sola al mio risveglio. Speravo che ci fosse qualcuno lì con me.
Non so spiegarmi perché, ma il fatto di svegliarmi da sola non mi è mai piaciuto.
Mi girai su un fianco e poi riaprii gli occhi.
Conoscevo quel posto.
Si trattava di una grande sala, con un camino acceso, un grande tappeto grigio e morbido per terra. Sulla destra c'era una grande tavola di legno su cui erano poggiati intrugli di ogni genere. Sulla parete successiva c'era una grande libreria con decine, centinaia di libri.
Io ero su un letto. In realtà più una branda. E sapevo che accanto a me ce n'erano delle altre.
Mi sentivo molto riposata e in realtà il fatto che nella stanza non ci fosse nessuno mi deluse un po'.
Perciò mi sfilai da sotto le coperte e scivolai fuori dal letto.
Notai che indossavo una camicia da notte di lino, corta, con un ampio scollo, e leggera. Era lilla e pareva un indumento elegante.
A piedi nudi zampettai fino alla porta di ingresso e, quasi esitante, la aprii.
Mi accolse un'accecante luce calda, che mi costrinse a chiudere gli occhi.
Quando li riaprii mi apparve un'immensa distesa verdeggiante, illuminata da un sole tiepido e coperta da un cielo azzurro d'acquerello.
- Ti sei svegliata finalmente - esclamò una voce famigliare, dal tono ovattato.
Si trattava di Dakota, il capo clan. Era lui che si era preso cura di me prbabilmente.
- Ehy dormigliona - disse Anouk venendomi incontro - come ti senti?
- Bene - le sorrisi, passandomi una mano nei capelli - credo.
Era tanto che non la vedevo sorridere. Eppure in quella giornata di maggio, con quel sole caldo e quel paesaggio mozzafiato sembrava riuscirle naturale.
Rimasi un attimo a guardarmi attorno, sotto lo sguardo attento dei miei amici.
- Ce l'abbiamo fatta? - chiesi poi titubante, timorosa della risposta.
Anouk sorrise ancora di più.
- Ce l'hai fatta, Amaya. Abbiamo il libro.
Scoppiai a ridere, guardando il cielo e spalancando le braccia.
In quel momento si levò un alito di vento che mi accarezzò la pelle pallida e mi scosse da testa a piedi.
Mi sentivo così fiera, e libera. Ero là dove volevo essere, dove potevo sentirmi un'eroina restando sempre me stessa.
Quella era la mia casa.  


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Capitolo 11
*** Colpo di genio ***


Mi avvicinai a Dakota, che era rimasto ad osservarmi da lontano.
- Grazie - gli dissi sorridendo. Sapevo che era stato lui, coi suoi unguenti strani e alcuni trucchetti di magia a guarirmi.
Mi rispose con un altro sorriso.
Rimanemmo ad osservarci per qualche secondo, senza dire nulla.
Dakota aveva ventotto anni. Era a capo del mio clan ed era responsabile di tutti i guerrieri che ne facevano parte.
Tutti si fidavano di lui e tutti gli obbedivano ciecamente, nonostante la sua giovane età. Persino gli anziani e gli adulti lo rispettavano e stimavano.
Aveva il viso da combattente, due occhi ardesia ombrosi incastonati in esso. Aveva un bellissimo sorriso, ma sorrideva poco. Aveva i capelli corti, castani, che mettevano in risalto la sua espressione autoritaria e severa.
Sembrava austero, ma in fondo era una persona premurosa e probabilmente dolce.
Lo conoscevo da una decina di anni. Mi aveva vista crescere e io lo avevo visto acquistare importanza all'interno del clan.
Potevo dire di conoscerlo bene, probabilmente più di molti altri. In particolare ora che avevo scoperto di essere una guardiana ci eravamo avvicinati molto, poiché doveva vegliare su di me e sugli altri del quadro come Anouk che erano entrati a far parte del nostro clan.
- Come ti senti? - mi chiese poi lui, senza staccare i suoi occhi dai miei.
- Bene. Grazie a te.
- Non ringraziarmi. Ho fatto il mio dovere.
Gli passai una mano sul braccio, rivolgendogli un altro sorriso.
- Come hai fatto a capire dov'era nascosto il libro Amaya? - mi chiese Dakota.
- La parete. La parete era vuota. Me ne sono accorta quando mi ci hanno spinta contro. Noi eravamo in una stanza che si trovava dentro ad un'altra stanza. Capisci?
- Cioè il libro era nascosto tra le pareti della stanza interna e quelle di quella esterna?
- Esatto. Ma non essendo pareti portanti è stato facile abbatterle. A quel punto Anouk ha preso il libro e Axel ha fatto esplodere il vetro con la mina che gli avevo lanciato e che avevo preso dalla cintura di una delle guardie dei Fritjof.
- Ottimo lavoro - si congratulò ammirato.
- Non è stato solo merito mio - ammisi voltandomi verso Anouk.
- A proposito... dov'è Axel?
Mi guardai attorno e mi resi conto che non era lì con noi.
- Non è qui - mi disse Dakota - dovrebbe tornare da un momento all'altro.
- Perfetto. Ho bisogno di parlare con lui.
Così dicendo mi voltai e tornai dalla mia amica, che si era distesa sul prato.
Anche se gli davo le spalle sentivo lo sguardo penetrante di Dakota fisso su di me e la cosa era abbastanza fastidiosa.
Lui era solito studiare le persone in quel modo, analizzarle con lo sguardo. Era una di quelle persone che presta attenzione ai dettagli, ai piccoli gesti e che riesce a conoscere la gente più da queste osservazioni che da centinaia di conversazioni.
Ma com'era possibile che dopo anni e anni che ci conoscevamo aveva ancora bisogno di studiarmi?
 


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Capitolo 12
*** All'origine di tutto ***


"C'era una volta, tanto tempo fa, la Valle di Ossidiana.
Era una piccola valle, stretta tra le cime di antiche montagne, dove la nebbia scivolava spesso, sinistra e silenziosa, e la oscurava dal resto del mondo.
C'era un piccolo paesino in quella valle, con tante casette di legno coi tetti spioventi e i fiori sui davanzali.
Gli abitanti si conoscevano tutti e vivevano in armonia e tranquillità.
Passavano gli inverni, quando la neve cadeva lenta a grandi fiocchi e ricopriva tutta la valle, cospargendola di una strana magia. Si sentivano le voci dei bambini che ridevano e giocavano instancabili e insensibili al freddo.
Passavano le estati, quando ci si sdraiava sui pendii verdeggianti o all'ombra di un vecchio pino. Gli abitanti prendevano il sole, passeggiavano, dipingevano, scalavano le cime consumate delle montagne che circondavano la valle. I bambini si arrampicavano sugli alberi e giocavano con gli animali.
Era una valle pacifica, meravigliosa. Era un angolo di paradiso.
Le famiglie che la abitavano discendevano da antenati che avevano vissuto lì da sempre.
Un giorno, però, la pace che regnava nella Valle di Ossidiana venne interrotta.
Giunsero da lontano degli uomini che chiesero ospitalità agli abitanti per qualche tempo. Questi furono lieti di aiutare gli stranieri, e offrirono loro un posto dove dimorare durante la loro permanenza.
Quegli uomini però portarono il male e la distruzione lassù dove erano sconosciuti.
Erano venuti a cercare una pietra. Una pietra del tutto particolare e dal potere immenso.
Si trattava dell'Ossidiana.
Sapevano che essa era fonte di un'inesauribile potere e che poteva rendere speciale un semplice essere umano.
E quale essere umano non ha l'ambizione di superare tutti gli altri? Di essere speciale, diverso, potente?
Si diceva che sotto il paesino tra quelle vecchie cime ci fosse una cava immensa, dove le pareti, il suolo, non erano di pietre o terra. Ma erano di ossidiana.
Dunque la valle celava questa immensa città sotterranea dove la pietra si trovava in abbondanza. Era essa la fonte di tanta pace e armonia, del perfetto equilibrio che c'era tra gli abitanti, i monti, gli animali.
Il segreto di tanta perfezione era nascosto proprio in quel suolo. E gli abitanti lo sapevano.
Gli uomini erano giunti al paesino proprio per impossessarsi di quella infinita miniera di ossidiana per poterne usurfluire e avere tutto ciò che desideravano.
Tanto egoismo e ambizione portò solo guai e un caos infernale nella valle.
Gli abitanti non potevano permettere che l'equilibrio di tutte le cose venisse guastato da un gruppo di umani pretenziosi e arroganti.
Perciò, un vecchio stregone, che nessuno aveva mai visto nascerere e nemmeno morire, che portava dentro di sé la sapienza di secoli e secoli di storia,  che abitava quelle zone praticamente da sempre, sottrasse tutto il potere dalla città sotterranea e lo rinchiuse in quattro piccole pietre: una pietra d'ossidiana verde, una pietra di ossidiana blu, una pietra di ossidiana bianca e una pietra di ossidiana rossa.
Dento quattro piccoli frammenti era racchiuso un potere incommensurabile: nella pietra verde quello che garantiva equilibro delle terre, nella pietra blu quello che manteneva l'equilibrio delle acque dei fiumi, dei mari e dei torrenti; nella pietra bianca quello che assicurava l'equilibrio dei venti, dei ghiacci e delle nevi; nella pietra rossa quello che avrebbe garantito l'equilibrio del fuoco, del calore, dei vulcani e dei sismi.
Gli uomini, quando si accorsero che la città sotterranea aveva perso tutto il suo potere la distrussero e rasero al suolo il villaggio che la celava da secoli.
Impiegarono anni e anni a capire dove fosse stata riposta tutta l'energia, tutta la magia della valle, e in tutto quel tempo la loro ambizione non si era placata.
Si misero alla ricerca dei quattro frammenti, ma essi erano ben nascosti. Ognuno di essi era stato affidato ad un guardiano, che era stato un abitante della Valle di Ossidiana prima dell'incendio che la rase al suolo.
Gli abitanti soppravvissuti si stabilirono altrove, ma rimanendo sempre separati dagli uomini. Nacquero così i primi clan, che erano come delle tribù, delle famiglie. I vecchi abitanti vennero indicati col nome di "guerrieri" e avevano nel sangue qualcosa che li separava totalmente dagli uomini comuni, li distingueva da loro. Forse un po' della magia della valle era rimasta dentro di loro, per questo erano in grado di fare cose che gli esseri umani potevano solo lontanamente immaginare.
I guardiani non avrebbero mai dovuto cedere all'ambizione di possedere tutto il potere racchiuso nelle pietre. Avrebbero dovuto difenderle al costo della loro stessa vita. E solo per difenderle avrebbero potuto usurfluire della magia dei frammenti.
Il vecchio stregone, quello che aveva fatto l'incantesimo, raccolse tutti i segreti dell valle in un libro.
Un libro che venne nascosto e che solo i quattro guardiani insieme avrebbero potuto aprire. Esso conteneva anche il segreto di come placare gli uomini che ancora cercavano di impadronirsi dell'enorme potere che era stato loro sottratto da sotto il naso.
Così passarono i secoli, eppure ci fu sempre qualche essere umano in cerca dei frammenti, dei guardiani, del libro, del potere.
Ci furono sempre i guardiani, che nascevano in famiglie diverse ogni generazione e avevano capacità superiori a quelle di tutti gli altri guerrieri proprio perché fossero all'altezza di ricoprire il loro incarico.
Ci furono sempre i clan e i guerrieri in essi riuniti, che non si mischiarono mai agli umani e continuarono instancabili una lotta che aveva avuto inizio in tempi remoti ed era stata causata dalla fragilità umana. Ed era proprio questo che i guerrieri combattevano"
 


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Capitolo 13
*** Discorsi forzati ***


Passai quasi tutto il giorno sdraiata sul prato con Anouk. Guardavamo il cielo, inventavamo figure nelle nuvole, ci rilassammo.
Axel non arrivò, nonostante Dakota avesse detto: “Dovrebbe essere qui a momenti”. Avevo molte domande da fargli e non vedevo l’ora che lui rispondesse a tutti i miei dubbi.
Eppure dovetti aspettarlo a lungo.
Per fortuna Anouk mi permise di distrarmi tutto il pomeriggio, così non ci pensai. A un certo punto però non sentii più la sua voce, né la sua risata e quando mi voltai la colsi addormentata.
Allora mi alzai, e la lasciai dormire. Entrai nella casetta in cui mi ero svegliata quella mattina.
Trovai Dakota indaffarato nella preparazione di qualche intruglio.
Mi sedetti sulla tavola dove teneva tutte le boccette e i liquidi colorati, ma in un angolino sgombro, così da non fare danni.
- Allora – dissi – che stai combinando?
Dakota impiegò parecchio a rispondermi, ma io aspettai pazientemente. Avevo notato che stava facendo dei calcoli e aveva bisogno di non essere interrotto.
- Un siero medicinale, è un nuovo esperimento.
- Ooh – mormorai – interessante.
- Davvero lo trovi interessante? – si fermò a chiedermi.
- Mmh... sì – risposi poco convinta, alzando le spalle – perché me lo chiedi come se fosse una cosa strana?
- Non ti è mai importato nulla dei miei “intrugli”.
- Beh...- bofonchiai – sì, insomma...
Lui scoppiò a ridere, poi prese un’ampolla contenente un liquido verde fluorescente e lo versò in una pentola sul fuoco del caminetto.
- Puoi anche dirlo che sei qui solo per me e non per i miei intrugli – disse facendomi l’occhiolino.
Se non lo conoscessi bene non avrei capito che scherzava.
- Che presuntuoso – risposi ridacchiando divertita.
- Senti un po’ chi parla.
- Cosa?! Mi trovi presuntuosa!? – risposi sorpresa e offesa – guarda che ti sbagli! Non sono affatto così... ma tu guarda! Ma ti sembra che...
- Amaya – mi interruppe con una serietà che mi zittì.
- Sì?
- Stavo scherzando – ridacchiò lui – non te la prendere.
Gli tirai una sberla scherzosa sul braccio.
- Non è divertente.
- Oh sì invece. Dovresti vedere come te la prendi.
- Piantala di prendermi in giro.
Prese un barattolo contenente un’erba spezzettata, come l’origano, ne prelevò un pizzico e la lasciò cadere nella pentola.
Io sospirai e guardai il soffitto della casetta, più pensierosa che interessata alle travi di legno che mi sovrastavano.
Rimanemmo in silenzio, mentre lui continuava ad aggiungere ingredienti e a mescolare il liquido che bolliva nella pentola e mentre io mi lasciavo trascinare dai pensieri.
Pensai a quella giornata appena trascorsa, in serenità, con la mia amica, forse la più cara che avessi. Pensai al mio ruolo di guardiana, ereditato per caso da chissà chi oppure, molto più probabilmente, affidatomi dal caso. Pensai alla mattina prima, quando ero riuscita a portare a termine la missione di recuperare il libro. Pensai a tutta la fatica fatta per compiere l’impresa, ai pugni che avevo sferrato e istintivamente mi portai le mani alla faccia e passai le dita sulla guancia, dove ero stata colpita da una guardia dei Fritjof.
- Dakota – continuai dopo una decina di minuti.
Lui stava assaggiando il liquido che bolliva nel caminetto. Alzò la testa e si voltò verso di me.
- Uh?
- Che ne pensi di Axel?
- Axel? – sembrò sorpreso della domanda. Poggiò il mestolo che aveva in mano e si avvicinò a me – intendi quell’Axel che è arrivato con te e Anouk ieri mattina?
- Sìsì, lui. Quello che sarebbe dovuto essere qui stamattina.
- Mmh.
Si fece spazio tra le boccette e le ampolle sul tavolo e si sedette accanto a me.
- Cos’è che vuoi sapere di preciso?
- Non lo so – mi sentii dire prima di pensare ad una risposta – vorrei solo capire. Dice di essere il terzo guardiano. È così? – aggiunsi, voltandomi a guardare il capo clan negli occhi, quasi con insistenza. Lui ricambiò lo sguardo per qualche secondo.
- Tu pensi sia così?
Mi seccava il fatto che non mi desse una risposta chiara e coincisa ma girasse attorno a qualcosa che sembrava volermi nascondere.
- Sì, almeno credo.
- Fidati di te stessa allora.
Io sbuffai e distolsi lo sguardo dal suo. Tornai a guardare le assi del soffitto.
- È rischioso fidarsi, sai? – dissi.
- Certo che lo so. Ma è bello quando sai di poter contare su qualcuno. Sai di non essere solo.
Tornai a guardarlo, come incuriosita. Cercai di leggere oltre ai suoi occhi verdi e tristi. Sembrava parlasse di un’esperienza personale. Non mi aveva mai detto molto di lui, forse non si era mai aperto con nessuno. Perciò ero curiosa.
I suoi occhi però non lasciavano trasparire nulla, se non la familiare tristezza che li accendeva da sempre.
- Ti è capitato? – chiesi allora.
- Che cosa?
- Di sentirti solo.
Lui sbuffò e fece un mezzo sorriso. Non di divertimento.
Guardò per terra e si accarezzò le guance ispide con le dita di una mano.
- Molte volte.
Aspettai che aggiungesse qualcosa, forse un racconto, un esperienza personale. E invece niente.
- Anche a me, sai? Tante volte – confessai. Lui non rispose.
Gli posai una mano sulla gamba e lui alzò di scatto il viso.
- Però vedi... c’è sempre qualcuno di cui potersi fidare – feci una pausa, non sapendo cosa dire - tu sei sempre così triste, distante. Non senti il clan come una famiglia? Anche facendone parte ti senti solo?
Stavo azzardando troppo nell’avanzargli delle domande simili. Non gli avevo mai chiesto nulla di lui, eppure sapevo benissimo che qualcosa lo tormentava. Che fossero ricordi, pensieri, sensazioni, sensi di colpa, responsabilità. Non lo sapevo. Ma qualcosa c’era.
- Può capitare. Qualche volta – rispose. Ancora gli detti del tempo per aggiungere qualcosa.
- Comunque stavamo parlando di Axel, no? – disse d’un tratto accennando un sorriso.
Io rimasi un attimo perplessa e indecisa se continuare il discorso e provare a farlo parlare oppure lasciare cadere l’argomento.
- Sì – dissi in un sospiro – sì, giusto.
Appena terminai la frase udii due colpi di tosse provenienti dall’ingresso.
Mi voltai di scatto, e Dakota fece lo stesso.
- State parlando di me?
C’era Axel sulla porta, con un sorriso beffardo e le braccia incrociate al petto.
Io saltai giù dalla tavola.
- Ciao – dissi colta di sorpresa – ciao Axel.  


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Capitolo 14
*** Axel ***


- Parlavate di me? – ripeté Axel.
- Sì. Ho bisogno di parlarti – gli dissi.
Il guerriero aprì la porta di ingesso ed eseguì un mezzo inchino, come se fosse un usciere in attesa che una signora oltrepassasse l’uscio.
Era un modo per dire “prego, andiamo fuori a parlare”.
Rivolsi uno sguardo a Dakota, mentre indietreggiavo verso l’ingresso.
I suoi occhi tristi e duri di sempre furono l’ultima cosa che vidi prima di uscire, seguita da Axel, che si chiuse la porta alle spalle.
Anouk era ancora stesa sul prato e ancora dormiva. Intanto il sole si era acceso di un rosso fuoco e aveva tinto di arancione e rosa tutto il resto del cielo.
Noi ci allontanammo una ventina di metri dalla casetta di legno senza che nessuno dicesse nulla.
- Allora? – mi chiese Axel affinché parlassi. Poi però sembro pentirsene e cambio domanda.
- Come stai?
- Sto bene, grazie – gli risposi sorridendo.
- Hai fatto un ottimo lavoro, sai?
Sorrisi: - Sì, l’ho sentito dire.
Lui ricambiò il sorriso.
- Allora? Cosa vuoi sapere?
- Tante cose.
Lui mi guardò per un attimo, socchiudendo gli occhi. Poi si abbassò e si sedette a gambe incrociate sull’erba.
Lo guardai stupita per un secondo, poi lui iniziò a picchiettare la sua mano sul terreno.
- Se hai così tante cose da chiedermi mettiamoci comodi, no?
Gli sorrisi e rimasi là in piedi per un po’, prima di sedermi accanto a lui.
- Non credevo sarebbe stato così facile – ridacchiai.
- Risponderò a tutte le tue domande, se è questo che vuoi.
Lo guardai con attenzione per un attimo, come in cerca di capire un eventuale tranello che mi stava tendendo: tanta gentilezza era sospetta. Due sere prima, quando avevo iniziato a conoscerlo avevo avuto a che fare solo con un Axel piuttosto arrogante e misterioso.
Come mai ora aveva cambiato atteggiamento?
- Mh. Bene allora – dissi – da quanto sai di essere un guardiano?
- Un paio d’anni.
Sgranai gli occhi, allibita. Io lo avevo scoperto appena un mese prima, quando avevo trovato una pietra di singolare bellezza e l’avevo mostrata a Dakota perché mi dicesse di che pietra si trattasse. E lui mi aveva detto che era un frammento di ossidiana rossa e che ne esisteva solo uno al mondo.
- Co... com’è possibile?
- Ho trovato la pietra due anni fa, quando i miei genitori sono scomparsi insieme a molti altri guerrieri del mio clan. Era l’unica cosa che trovai intatta a casa mia. Tutto il resto era distrutto.
- Oh – non sapevo cosa dire. Insomma... Axel mi stava raccontando dei fatti tanto personali e nemmeno ci conoscevamo bene. Lui si fidava di me.
Mi sentii terribilmente in colpa per aver diffidato di lui, per aver temuto che stesse mentendo a me e Anouk. In fondo avevo capito sin da subito che potevo fidarmi di lui, proprio grazie a quel “clik” di cui mi aveva parlato lui stesso. Eppure ero rimasta sulla difensiva comunque.
- Mi dispiace – mi sentii in dovere di dire.
- Non c’è bisogno che tu me lo dica. L’ho superata – ribatté col sorriso, per assicurarmi che fosse tutto ok. Forse la compassione nella mia voce lo aveva infastidito. Mi maledissi per aver usato quel tono.
- Non si superano queste cose – ribattei io – non puoi superare quello che questi eventi ti lasciano dentro.
Axel rise sommessamente.
- Che vuoi saperne tu, Amaya? Non l’hai vissuto – ribatté calmo.
- Non sulla mia pelle. Ma so osservare. Tutto ciò che accade lascia un segno.
Axel mi tirò due lievi pugni sulla testa, come se bussasse ad una porta.
- Non pensare troppo. Ti fa male.
- Dai! Non mi dire così. Io sono seria! – ribattei.
- Anche io. Non ti preoccupare per questa storia.
- Va bene – risposi, ma in realtà mi dispiaceva lasciare perdere – seconda domanda...
- Sì ma non mi dire così! – mi interruppe lui – o sembrerà di rispondere alle domande di una verifica – disse scoppiando a ridere.
- Scusami – risposi ridacchiando.
Gli domandai tutto quello che avevo da chiedergli e lui saziò ogni mio dubbio.
Era nato sui monti francesi, dove aveva trascorso l’infanzia. Due anni prima dei Fritjof avevano scoperto dove si era stabilito il suo clan. Avevano distrutto le case, ucciso o rapito i guerrieri del clan, di cui non si era saputo più nulla.
Lui durante l’assalto era nel bosco, lontano dal villaggio, in compagnia di Czek, un grande amico di suo padre con cui passava spesso molto tempo. Quel giorno Czek gli stava insegnando a cacciare e quando erano rientrati al villaggio ogni cosa era stata distrutta.
Axel era andato subito dove prima c’era la sua casa, ora ridotta ad un cumulo di assi e macerie.
In cerca di qualcosa di ancora integro aveva frugato tra i detriti, ma l’unico oggetto intatto che aveva trovato era stato una pietra di ossidiana verde. Era sicuro di non averla mai vista.
La mostrò a Czek, che sapeva molte più cose di lui.
Gli aveva spiegato l’origine di quella pietra e cosa significasse.
Da quel giorno era diventato come un padre per Axel, lo aveva cresciuto, gli aveva insegnato come usare la magia e comunicato tutte le sue conoscenze
Insieme avevano viaggiato a lungo, in cerca degli altri guardiani e senza interrompere l’addestramento di Axel.
Poi erano giunti al clan di Dakota e avevano partecipato ad una festa, due sere prima.
Lì Axel aveva riconosciuto le due guardiane e beh... il resto lo conosciamo.
 


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Ciao cari lettori :) Vi ringrazio di avere letto questo capitolo, spero vi sia piaciuto. Se avete delle correzioni da farmi o anche semplici osservazioni sarei lieta di leggere, quindi non esitate :) Grazie mille e buona continuazione :)

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Capitolo 15
*** L'anello mancante ***


 
Ormai il sole era tramontato quando avevo terminato l’interrogatorio ad Axel.
Lui però era rimasto seduto accanto a me e io non mi ero mossa fino a quando Dakota non ci aveva chiamati a gran voce dalla casetta avvisandoci che la cena era pronta.
Aveva svegliato anche Anouk, che osservava me e Axel perplessa e corrucciata.
- Arriviamo – risposi alla chiamata.
Axel balzò in piedi prima di me e mi allungò una mano. L’afferrai e lui mi tirò in piedi con uno strattone.
Poi insieme ci avviammo verso la casetta, dove Dakota era appena entrato. Anouk invece ci aspettava all’esterno e non ci staccava gli occhi di dosso.
- Ti sei svegliata, dormigliona – le dissi sorridendo, pensando che proprio quella mattina era stata lei a dirmi quelle stesse parole.
Lei si limitò a stringere gli occhi e ad allargare leggermente le narici. Era una smorfia che faceva spesso e io personalmente la trovavo dolcissima. La faceva assomigliare a un gattino appena svegliato.
La presi sotto braccio e insieme entrammo nella casetta.
- Mh che buon profumino!
- Su, muovetevi che si fredda tutto.
Ci sedemmo sul tappeto mentre Dakota ci riempiva delle scodelle di un liquido fumante.
Dopo averci serviti si accomodò con noi.
Passarono parecchi minuti durante i quali nessuno parlò. Poi Axel ruppe il silenzio.
- Allora ragazzi – disse rivolgendosi a tutti – com’è stata la vostra giornata?
- Rilassante – risposi io.
- Mh io credo di essermi giocata tutto il giorno dormendo – ammise Anouk divertita.
Scoppiammo a ridere. Tutti tranne Dakota, che a malapena aveva accennato un sorriso.
- E tu Dakota? Che hai fatto? – lo interpellò Axel.
- Intrugli – rispose il capo clan – come sempre.
Rimanemmo tutti in silenzio, non capendo se quella di Dakota fosse una battuta, un dato di fatto oppure una lamentela. Restammo ad osservarlo per un po’ senza sapere come reagire.
- Beh e la tua, Axel? – chiesi allora io per rianimare la discussione.
- Mh – mugugnò lui sorseggiando la zuppa – intensa.
- Che hai fatto?
- Emh... beh... sono andato con Czek a recuperare la mia pietra.
- Cosa? Non la porti sempre con te? – sbottò con disapprovazione Anouk.
- No – rispose lui, schietto, guardando la guardiana con aria di sfida – non fino ad adesso. Ma sicuramente d’ora in poi lo farò.
- Perché fino ad ora non l’avevi con te?
- L’avevamo nascosta, io e Czek. Probabilmente ne sapevamo entrambi troppo poco sul quadro e pensavamo che sarebbe stato più sicuro non avere con me il frammento di ossidiana. Ora credo che se lo terrò io sarà più difficile che i Fritjof possano impossessarsene. Anche perché combatterei con tutte le mie forze per evitare che ciò accada.
- Fai bene – commentò Anouk con durezza.
Le lanciai un’occhiataccia. Doveva smetterla di fare la dura e la scontrosa con Axel. In fondo era chiaro che fosse davvero un guardiano.
Non poteva continuamente farsi influenzare dai pregiudizi, soprattutto all’interno del quadro, dove la fiducia e l’unione erano strettamente necessarie.
- Dakota – disse Anouk – come troveremo il quarto guardiano?
Il capo clan alzò lo sguardo dalla sua ciotola. I suoi occhi erano malinconici e gravi come sempre ma probabilmente il suo umore quella sera era peggio del solito. Sembrava non volesse essere interpellato. Però rispose.
- Non sarà facile. Per niente. Potrebbe nascondersi ovunque e magari non avere ancora trovato l’ultimo frammento di ossidiana. Non possiamo aspettare che ci trovi lui. Potrebbe non accadere mai. Dobbiamo iniziare a cercarlo.


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Capitolo 16
*** Gita in paese ***


 
Quando mi risvegliai, quel mattino, mi sentii terribilmente stanca.
Avevo dormito nella stessa brandina in cui mi ero svegliata il giorno precedente e in quelle accanto ad essa avevano trascorso la notte Anouk, Axel e Dakota.
Avevo faticato ad addormentarmi, la sera prima, forse perché durante la giornata precedente non avevo fatto molto.
Durante la notte mi ero svegliata sentendo un suono di passi. Ero rimasta sorpresa quando avevo aperto gli occhi: avevo intravisto nel buio Axel che usciva dalla casetta di legno, cercando di non far rumore, e Dakota seduto sulla sua branda che lo fissava.
Il mattino dopo era come se mi fossi dimenticata di quella visione notturna, o probabilmente pareva talmente un sogno che preferii lasciare perdere e non pormi domande.
Ero la prima ad essermi svegliata e non riuscivo a riprendere sonno.
Così decisi di fare qualcosa di utile.
Prima di tutto mi alzai, indossai un paio di pantaloni neri aderenti, una canotta larga e discretamente scollata. Infilai ai piedi degli scarponi da montagna, allacciandoli stretti. Raccolsi i miei voluminosi capelli mossi in una coda vagamente ordinata.
Presi la mia borsa di tela, dalla larga tracolla, che lasciavo sempre nell’armadio all’angolo. La riempii di oggetti e oggettini di vario utilizzo e uscii.
Fuori l’aria era fresca e il sole ancora basso. Probabilmente erano le otto di mattina o giù di lì.
Mi avviai al torrente, non lontano dalla casupola.
Mi lavai la faccia, le mani e sciacquai la bocca.
Dopodiché mi incamminai verso il villaggio occupato dal mio clan.
La casa di Dakota sorgeva lontana dal resto delle abitazioni. Lui non amava il contatto con le persone, preferiva la sua solitudine.
Per raggiungere il villaggio dovevo camminare poco più di una ventina di minuti, percorrendo sentieri sterrati sperduti in mezzo alla natura più sconfinata.
Quando arrivai al paese fui accolta con molto calore: camminando per strada la gente mi salutava con affetto, venivano ad abbracciarmi, a chiedermi come stessi e come andassero le cose, oppure si univano a me desiderosi che raccontassi qualcosa. Erano persone che conoscevo da sempre, ma che vedevo sempre meno.
Mi fermai da Jens, che lavorava in una panetteria. Comprai una pagnotta e la mangiai come colazione.
Poi continuai il mio cammino attraverso il villaggio, destinazione: casa mia.

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Capitolo 17
*** Nostalgie ***


Arrivai presto davanti ad una casa in legno e pietra, con piccole finestre e piccoli balconi, le cui balaustre lignee erano deliziosamente lavorate.
Il tetto era a capanna e la villa aveva tutta l’aria di una baita di montagna. Era circondata da un piccolo cortiletto dove l’erba cresceva appena. Non c’era una recinzione vera e propria a delimitare la proprietà poiché il villaggio era abitato solo da membri del nostro clan e all’interno del clan ci conoscevamo tutti e tutti ci rispettavamo.
Presi un bel respiro profondo e bussai al portone d’ingresso.
Mi venne ad aprire una donna alta e snella, coi capelli castani raccolti in una crocchia fissa dietro la nuca. Aveva un grembiule legato in vita e ci si stava asciugando le mani.
Sembrava che avessi interrotto un impegnativo lavoro culinario in cui si stava cimentando, vista la sua espressione, che tuttavia cambiò nell’istante in cui mi riconobbe.
- Amaya! – colsi una luce guizzarle negli occhi – tesoro vieni dentro.
Così dicendo mi tirò in casa, chiudendo la porta dietro di me.
Mi fece accomodare in cucina, al tavolo dove avevo consumato tutti i miei pasti durante l’infanzia e l’adolescenza, fino a che non mi ero quasi totalmente trasferita da Dakota.
Mi sedetti a quello che era stato il mio posto a quel tavolo e mia madre tornò a tribolare ai fornelli.
- Krag, guarda che c’è Amaya! – gridò la donna mentre una nuvola di fumo le divampò in viso, fuoriuscendo da una pentola a cui aveva tolto il coperchio.
Finì di trafficare con pentole, fiamme e cibarie varie e poi si avvicinò a me, sfilandosi il grembiule.
Intanto udii i passi pesanti di mio padre scendere le scale scricchiolanti.
- Allora? Qual buon vento ti porta qui? – disse mia madre, sedendosi accanto a me.
- Sono venuta a salutarvi. Sentivo la vostra mancanza, tutto qua – risposi facendo spallucce.
- Amaya – disse la voce roca e grave di mio padre alle mie spalle.
Mi alzai e andai a dargli un bacio sulla guancia, poi si sedette al tavolo con me e la mamma.
- Vuoi qualcosa? Lid le hai offerto qualcosa?
- No, non voglio nulla, grazie. Ho mangiato per strada.
Quasi mi commoveva lo sguardo che avevano i miei genitori in quel momento. Mi guardavano come fossi la cosa più bella al mondo e mi facevano sentire così amata... com’era possibile che fintanto che mi avevano avuta lì con loro tutti i giorni tutte le ore era un continuo litigare gli uni con gli altri, mentre ora che li vedevo sì e no una volta ogni due settimane loro non mi avrebbero mai voluta lasciare andare via?
- Ci sono novità? – chiese mio padre, con la poca euforia che lo caratterizzava.
- Ho trovato il libro. Abbiamo il libro – dissi euforica. Sapevo che prendendomi legittimamente quel merito avrei reso orgogliosi i miei genitori.
- Brava figlia mia – si complimentò mio padre, infatti, mentre mia madre si alzava e mi stampava un energico bacio sulla guancia.
Io sorrisi soddisfatta.
Decisi di non rivelare loro il fatto di aver trovato il terzo guardiano. Erano davvero poche le persone a cui era data la possibilità di conoscere la vera identità dei membri del quadro. Perciò era meglio che tacessi l’intera faccenda.
- Dakota è soddisfatto?
- Lo sai com’è fatto, mamma, nulla riuscirà mai a soddisfarlo.
- Hai ragione – rise.
- Come se la passa? – domandò mio padre.
- Mi sembra un po’ stressato. Più del solito, voglio dire. Con tutti i suoi intrugli e le faccende da sbrigare, siamo sempre lì. Però è troppo impaziente e ha troppi pensieri per la testa.
- Non sai di che si tratta?
- Come potrei saperlo? Sai bene che lui non si confida.
- Beh dovresti stargli vicino. Lui è responsabile di te, ma ciò non toglie che anche tu ti possa occupare di lui.
- Lo so, papà. Lo so benissimo. Ci sto provando, davvero. Farò quel che posso.
- Ringrazialo, quando torni indietro. Per tutto quello che sta facendo per te – consigliò mia madre.
- Mamma non c’è bisogno che me lo dici.
- Oh già. Scusa. Ormai non hai più bisogno che ti dica cosa devi o non devi fare.
La vidi osservarmi con nostalgia, quasi rivolesse indietro la bambina che ero, che aveva bisogno di lei, dei suoi consigli, delle sue regole. Ormai ero cresciuta, ero responsabile di me stessa e di un’impresa dall’importanza colossale, da cui dipendevano le sorti di tutti noi guerrieri.
Sospirai. E mi sentii in colpa per non essere la bambina che mia madre aveva bisogno per sentirsi utile. Proprio così: lei aveva dovuto lasciarmi andare, affidarmi a Dakota che avrebbe saputo guidarmi e proteggermi meglio di come avrebbe potuto fare lei, aveva dovuto rinunciare ad una figlia adolescente, trovandosela improvvisamente e inevitabilmente matura, donna. Lei si sentiva inutile, pensava di non essere riuscita a fare nulla per me, da quando avevo trovato la pietra. Pensava che per compiere il mio destino, per essere all’altezza del mio compito, lei non fosse abbastanza per insegnarmi come fare.
Eppure era lei che mi aveva cresciuta fino a quel punto. Era lei che c’era stata sin da quando ero nata – per la verità anche prima, quando ero nella sua pancia – era lei che mi aveva insegnato a camminare, a parlare, a leggere e scrivere, a osservare il mondo, a vivere. Tutto questo lo avevo imparato da lei e non erano cose da nulla. Anzi.
Le presi la mano e la strinsi forte.
- Ti voglio bene mamma.

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