Legolas & Co.

di Illidan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione ***
Capitolo 2: *** L'infanzia di Legolas ***
Capitolo 3: *** La festa ***
Capitolo 4: *** Duemilaottocento anni dopo ***
Capitolo 5: *** La scuola di Elrond ***
Capitolo 6: *** Il discorso di Elrond ***
Capitolo 7: *** Il primo giorno di scuola ***
Capitolo 8: *** La punizione ***
Capitolo 9: *** Radagast il Bruno ***
Capitolo 10: *** Tali figli tali padri ***
Capitolo 11: *** Il processo - Parte prima ***
Capitolo 12: *** Il processo - Parte seconda ***
Capitolo 13: *** Una tranquilla lezione di Beorn ***
Capitolo 14: *** Lo stregone del Nord ***
Capitolo 15: *** 870 anni prima ***
Capitolo 16: *** Ritorni, racconti e ricatti ***
Capitolo 17: *** La Festa del Ringraziamento ***
Capitolo 18: *** Attraverso il Dunland ***
Capitolo 19: *** Dalla Chiusa a Pontelagolungo ***
Capitolo 20: *** Imlelil ***
Capitolo 21: *** Capri espiatori ***



Capitolo 1
*** Prefazione ***


PREFAZIONE

PREFAZIONE

 

Se avete letto Il Signore degli Anelli, se avete tutti i libri di J.R.R. Tolkien, se avete la sua immagine in ogni angolo della casa e se gli rivolgete delle preghiere prima di andare a dormire, allora fatemi due favori: non leggete questa fanfic e non guardate il nome dell’autore perchè non desidero che mi vengano recapitate minacce di morte per ciò che ho scritto. Lasciate perdere questa pagina di Efp e tornate a leggere fanfic fantasy serie e noiose.

Se invece non tenete in casa un santuario con la foto del Maestro circondata di ceri, se avete solo visto il film, se vi siete addormentati alla pagina 8 o se non avete mai letto Tolkien perchè preferivate leggere cose più serie come “La storia delle sedie a dondolo nel corso dei secoli” o “Come ipnotizzare il vostro vicino e costringerlo a potare le vostre aiuole mentre voi state seduti comodi sul divano”, allora potete leggere questa fanfic e anche il mio nome e magari lasciare un bel commento.

Quindi, se avete deciso di proseguire, vi voglio raccontare una bella storia (falsa) sul perchè l’ho scritta.

Era un bel giorno d’estate e stavo camminando in montagna, quando all’improvviso, con vece assidua (espressione arcaica che qui significa ‘con fitta successione’), scivolai su una pietra, caddi in un dirupo e precipitai in uno stagno. Se uno cade in acqua e sa nuotare, allora non c’è problema, se invece non sa nuotare, allora è un casino e gli servirebbe una barca. Fortunatamente, io so nuotare benissimo, ma sfortunatamente la barca c’era e io ci finii proprio sopra. Per la botta che presi, rimasi svenuto sulla barca per un po’. Nel mezzo del mio sonno da svenimento ebbi una visione: Tolkien mi compariva e mi diceva (in inglese ovviamente) che nelle sue opere non c’era niente di divertente e che l’unica cosa che poteva far ridere era il fatto che Bilbo fosse tanto pauroso. Lui mi pregava di rimediare e di usare i suoi personaggi per fare qualcosa di comico, all’interno però della Terra di Mezzo. Poi ha aggiunto un’altra cosa:“I pray you: remember that Tom Bombadil doesn’t take any drug!” Io gli ho risposto che lo sarebbe solo sembrato e poi mi ha svegliato una voce di un montanaro:“Fera da la mia barca, ladrun!”

Il non troppo gentile montanaro mi ha condotto fuori dalla sua proprietà in un modo conforme al suo carattere, espressione che qui significa ‘a spintoni e pedate’.

Perciò io, consacrato a rifacitore di Tolkien, mi accingo a descrivere in maniera distorta ed idiota la Terra di Mezzo e i suoi abitanti.

Spero che la mia storia vi piaccia!

 

PS: è vero che i poeti e gli scrittori vivono di sogni e di chimere, ma gli autori di fanfic soprattutto di recensioni! Perciò vedete di non farmi morire di fame!

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** L'infanzia di Legolas ***


Prima di cominciare rispondo a chi ha commentato:

Prima di cominciare rispondo a chi ha commentato:

 

@Rodelinda: Oh porco orco! Ti prego, abbi pietà! Non mi maledire in sindar e non mi lanciare contro l’esercito grigio! Sul serio, io non intendo offendere nessuno, meno che mai una che mi potrebbe incatenare per sempre negli abissi del Thangorodrim!

A parte gli scherzi, proverò a mettere un po’ a posto la punteggiatura (forse mettendo un po’ meno virgole). E poi cosa intendevi per “sconclusionato”?

Ho provato a guardare la tua storia “seria e noiosa”, ma purtroppo sono ancora troppo piccolo per poterla leggere. Dev’essere vietata a tutti quelli con meno di 1800 anni elfici (18 per gli uomini). Mi spiace, ma tra qualche anno la leggerò, te lo prometto!

 

@Suikotsu: Grazie per l’appoggio! Per rispondere alla tua domanda oziosa, mi pare ovvio, no? Me li legge Kael’Thas!

 

Grazie anche a tutti quelli che hanno letto senza commentare (vergogna!).

 

 

                                                                            L’INFANZIA DI LEGOLAS

 

Dovete sapere che non avevo le idee chiare su cosa scrivere all’inizio. Infatti gli ambienti familiari dei personaggi sono abbastanza strani e non riuscivo a decidere quale fosse il più ironico. Senza contare che non dovevo copiare altre parodie (almeno cercare di non farlo). Così ho deciso di iniziare con Legolas. Perchè proprio lui? Perchè è insopportabilmente perfetto, espressione che qui significa ‘alla fine di ogni battaglia non ha neanche un graffio, ha il vestito immacolato e i suoi capelli sono in perfetto ordine’. Anche perchè il Maestro non parla molto di lui e di suo padre e non accenna neanche l’esistenza di una madre (il che è inverosimile, Mr. Tolkien). Per di più Peter Jakson (senza nulla togliere alla sua bravura di regista) non parla neanche di Thranduil, padre di Legolas, e così quando guardi il film pensi:“Aragorn, figlio di Arathorn, Gimli, figlio di Gloin, e Legolas, figlio di... Boh!” In realtà ci sarebbero altre critiche da fare all’amato regista, ad esempio il fatto che Arwen salvi Frodo, quando invece a salvarlo è il grande eroe Glorfindel; ma non sto scrivendo una critica al suo immane lavoro. Tornando invece al motivo per cui mi avvalgo di Legolas come protagonista, c’è anche da dire che quello che fa sempre la figura un po’ dello stupido nel film è Gimli, che secondo me non ha un solo neurone in più di Legolas, cioè sono entrambi scemi nella stessa misura.

La nostra storia dunque comicia all’inizio della III era, un giorno imprecisato alla fine dell’estate.

“ED ECCO IL GRANDE EROE CHE ESCE DALLA CAVERNA FREDDA E BUIA DOVE HA DORMITO E VEDE NELLA RADURA UN ESERCITO DI 100 GOBLIN GUIDATI DAL LORO RE, IL TERRIBILE AZOG. L’ EROE NON HA ALCUNA PAURA: CON LA SUA POTENTE SPADA ANNIENTERà I NEMICI. L’EROE ATTACCA: I GOBLIN E LE LORO PIANTE CARNIVORE CADONO SOTTO LA SUA FURIA!  AZOG STA PER COLPIRE L’EROE, MA LUI è Più VELOCE E GLI TAGLIA LA TESTA.”

CRAAASHHHH!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Suppongo che non abbiate mai sentito dire che una testa fa “CRASH” quando viene recisa. E infatti quella che l’eroe, che altri non è che il principe Legolas all’età di 100 anni (pochi per un elfo), aveva tagliato non era la testa di Azog, ma quella della statua di Fingolfin (grande re elfico della I era) che si trovava nel giardino della reggia di re Thranduil, padre di Legolas e Signore di Bosco Atro.      

“LEGOLAAASSS!!! COSA HAI FATTO?!?” tuonò re Thranduil, vedendo la testa della statua rotolare fino ai suoi piedi.

“ORA L’EROE RICEVERà LA SUA RICOMPENSA, CONSEGNANDO AL PADRE L’ARMA CON LA QUALE HA STERMINATO I GOBLIN!” disse Legolas, porgendo al padre esterrefatto il badile con il quale aveva: distrutto tutte le aiuole del giardino, i fiori pregiatissimi e l’antichissima statua.

“MA COSA DICI VANDALO DISTRUTTORE!!! ANCHE LA MATTINA PRESTO FAI DEI DISASTRI TERRIBILI! DA QUA’ QUEL BADILE CHE TE LE DO’!!!” e cominciò a rincorrere il piccolo Legolas con il badile, cosa che può essere pericolosa anche per chi insegue, visto che può inciampare e farsi male.

 “LA GIUSTIZIA NON FA IL SUO CORSO!” esclamò Legolas scappando via.

Dovete sapere che Legolas aveva già combinato disastri simili tante volte e ogni volta non veniva mai punito perchè...

“THRANDUIL!!! SEI PAZZO A INSEGUIRE NOSTRO FIGLIO CON QUELLA VANGA!?!” tuonò Natial, moglie di Thranduil, sulla soglia della reggia.

“Ma cara... guarda il giardino... guarda cosa ha fatto... e in ogni caso non è una vanga, è un badile..” rispose il re elfico con voce sottomessa.

“FAI ANCHE LO SPIRITOSO!?!” disse la moglie colpendolo con un mattarello rivestito di mithril, un materiale indistruttibile. “OUCH!”

Ora vieni a tavola! E dopo metti a posto il giardino insieme a Jerry, il maggiordomo!” disse imperiosa, mentre Legolas sgattaiolava all’interno del palazzo.

“IO MI CHIAMO JAMES!!! POSSIBILE CHE NON SE LO RICORDI MAI!!! J, A, M, E, S!!! JAMES! JAMESSSSS!!!” ululò dalle cucine reali il maggiordomo che detestava non essere chiamato con il suo nome.

“Scusi, ma adesso ci porti da mangiare, per favore.” rispose Natail. Poi lei e suo marito entrarono. La sala d’ingresso era molto grande e alta e aveva grandi vetrate in alto su tutti i lati. Aveva pianta rettangolare ed era riccamente addobbata di arazzi raffiguranti grandi gesta dei re del passato. Al centro si trovava un lunghissimo tavolo che andava quasi dalla porta all’altra estremità del salone, dove si trovavano due troni, di Thranduil e Natail. Quest’ultimo era un po’ più alto per qualche strana ragione. Sui lati più lunghi si aprivano tante porte, che conducevano alle cucine, alla cantina, alle segrete, alla sala dove si scaricavano i barili vuoti nel fiume e alle stanze della servitù. A fianco dei due troni si trovavano due rampe di scale in marmo che portavano ai piani superiori dove c’erano le stanze dei reali e dei loro ospiti. Il tavolo era apparecchiato solo nell’ultima parte, quella più vicina ai troni, perciò ci volle un po’ di tempo prima che re e regina raggiungessero le loro sedie. Thranduil si sedette a capotavola, alla sua sinistra Natail e alla sua destra Legolas. Poi James arrivò con la colazione e mangiarono tutti gli squisiti cibi elfici.

A questo punto bisogna descrivere i personaggi di cui abbiamo parlato.

Il piccolo Legolas era piuttosto alto, come tutti gli elfi, era biondo, come tutti gli elfi, e aveva gli occhi azzurri; ma per la sua innocente età aveva una mente diabolica e moltissime manie di grandezza ed entrambe le cose si manifestavano a danno di suo padre.

E inoltre Legolas non era certo un vero nobilelfo: mangiava quanto un hobbit, cioè tantissimo, ed era composto a tavola come un nano, cioè per niente. Non voleva mai studiare, leggeva solo i libri di avventure fantastiche e di guerre terribili e sperava sempre di poter diventare un famoso personaggio come quelli dei suoi libri.

Suo padre, re Thranduil, era molto simile a lui per l’aspetto, solo che era più alto e aveva gli occhi neri. Da giovane era stato piuttosto turbolento, ma poi con l’età aveva assunto il ruolo di buon padre e buon marito. Purtroppo però, aveva capito subito che qualcosa non andava in Legolas: dopo averlo tenuto in braccio la prima volta gli era inspiegabilmente sparito il portafoglio. Sebbene gli oracoli avessero più volte profetizzato che suo figlio avrebbe avuto un ruolo determinante nella storia della Terra di Mezzo, lui non poteva affatto credere che quel monello che era la sua peggiore dannazione dopo gli orchi e i nani sarebbe mai stato un grande eroe.

Sua madre, Natail, non era un’elfa di nobili natali, per la verità prima di sposare Thranduil lavorava nel più scalcinato tabarin di Bosco Atro. Poi però conobbe il principe e abbandonò il suo precedente lavoro. In seguito si era rivelata un’ottima moglie e amante dei libri. Aveva un solo difetto: secondo lei, Legolas, il suo bambino, non aveva mai torto.

Ora che è stata descritta la famiglia reale, possiamo continuare.

“ED ECCO L’EROE CHE PRENDE LA COPPA DELLA SAGGEZZA! OH, QUANTO PESA! OPS!”

SPLASHHHHH!!!!!!!!!

Purtroppo la coppa della saggezza era la ciotola degli elflakes di Thranduil e Legolas gliela aveva fatta cadere in testa, mentre lui si era chinato a prendere il suo cucchiaio da terra.

“LEGOLAAASSSS!!! NON POSSO NEANCHE MANGIARE IN PACE!!! TI SEMBRA POSSIBILE!?!”

“L’EROE HA DATO AL PADRE L’ETERNA SAPIENZA E ORA AVRà UNA GRANDE RICOMPENSA!”

“L’UNICA COSA CHE AVRAI SARA’ UNA SOLERTE BASTONATURA E ...”

“THRANDUIL!!! SMETTILA DI SGRIDARE LEGOLAS: NON HA FATTO NIENTE!”

“IO... IO... vado a cambiarmi, cara. E poi preparerò l’occorrente per la festa di stasera...”

“FESTA?! CHE BELLO! UNA FESTA!!!” canterellò Legolas saltellando intorno al tavolo.

“Sì, amore ci sarà una festa alla quale verranno alcuni importanti ospiti, nonchè parenti. Tu parteciperai, ma dovrai essere cortese e educato.” disse Natail.

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Capitolo 3
*** La festa ***


Risposte ai commenti:

Risposte ai commenti:

 

@Suikotsu: No, non vengono gli amici, adesso lo leggerai...

 

@Hareth: Grazie mille per i tuoi complimenti, vedrò di mettere in pratica quello che dici, prima o poi...

 

@gittypanda: Sono contento che ti piaccia! (Comunque scherzavo nel rispondere a Rodelinda, solo non volevo che sembrasse che volessi offendere qualcuno. Poi l’ho letto anch’io Tolkien, per la cronaca.)

 

Grazie anche a tutti gli altri lettori, ma soprattutto a beba7 e a gittypanda che hanno messo questa storia tra i loro preferiti!!! Grazie ancora!                                     

 

                                    

                                                                            La festa

 

Legolas salì le scale fischiettando, andò a lavarsi e cambiarsi e poi tornò giù. Suo padre era già lì e stava affidando le diverse commissioni all’esercito di domestici che aveva davanti. Siccome erano tantissime dovette andare anche lui a ordinare molte cose per la festa, perchè i servitori non bastavano da soli. A Thranduil non dispiaceva andare a far compere, era soltanto angosciato per il fatto che quella piattola di suo figlio volesse seguirlo.

Legolas infatti non gli lasciava respiro con le domande.

“CHI VIENE ALLA FESTA? QUANDO C’è LA FESTA? PERCHè COMPRI LE CANDELE? PERCHè COMPRI DELLE STATUETTE DA GIARDINO? PERCHè CHIEDI ALLO SCULTORE DI AGGIUSTARE LA STATUA CHE ABBIAMO IN GIARDINO? ORA TORNIAMO A CASA? PERCHè MI GUARDI MALE? SEI ARRABBIATO? Sì? NO? PERCHè NON RISPONDI?”

Thranduil avrebbe tanto voluto rispondergli più o meno così:“CHIUDI QUELLA CIABATTA!!! NON POSSO RISPONDERTI PERCHÈ  TU PARLI DI CONTINUO!!! SEI INSOPPORTABILE!!!”

Ma non osava perchè sapeva che si sarebbe messo a piangere e che sua moglie lo avrebbe punito severamente se ciò fosse accaduto. Naturalmente, Legolas sapeva benissimo che suo padre era impotente contro la mamma e perciò continuava a torturarlo.

Fortunatamente per Thranduil le commissioni finirono e tornò alla reggia con il figlio. Là tutti si stavano preparando e il re aveva appena finito di lavarsi nel bagno al secondo piano quando Legolas ne combinò un’altra delle sue.  

“ED ECCO IL GRANDE EROE CHE VEDE L’IGNARO PAPà CHE STA PER ESSERE ASSALITO DA UNA PIOVRA GIGANTE. MA LO SALVERò SPINGENDOLO LONTANO DAL LAGO! CARICAAAAAAAAAAAA!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!”

“MA CHE... UAAAAAA!!!” disse Thranduil volando fuori dalla finestra e cadendo sulla montagna di panna che si trovava lì sotto e che era stata portata per la festa.

Così Legolas fece sì che suo padre fosse insultato da sua madre e che si dovesse fare di nuovo il bagno che aveva appena finito. Intanto il maggiordomo e i suoi aiutanti apparecchiavano la tavola. Quando però mancavano solo i piatti, Legolas saltò fuori dall’angolo del salone dove si era nascosto e rubò a James il cappello da cuoco. Allora lui cominciò a inseguirlo, ma per sua sfortuna in quel momento entrò Natail.

“JIM! PERCHÈ STAI INSEGUENDO MIO FIGLIO ANZICHÈ  APPARECCHIARE???” gridò infuriata e il maggiordomo si fermò subito.

“IL MIO NOME È JAMES!!! E poi vostro figlio mi ha rubato il cappello da cuoco.”

“Ma bravo! Siccome ti piace tanto giocare, sarai tu da solo a finire di preparare la tavola! Vieni Legolas, che ti metto un bel vestito nuovo.” disse Natail e Legolas le corse subito dietro mentre il maggiordomo diventava rosso dalla rabbia. Poco dopo il principino, con i lunghi capelli biondi perfettamente pettinati, era davanti alla porta con sua madre.

Il primo ad arrivare fu Elrond di Gran Burrone, un elfo con i capelli castani perchè suo padre era un uomo, con sua figlia Arwen, una giovane elfa poco più bassa di Legolas, nera di capelli.

“Salve a voi, nobili congiunti, e a te, Legolas figlio di Thranduil. Io mi chiamo Erlond e lei è mia figlia Arwen. Sono felice di rivedervi in questi tempi funesti così vicini alla fine del mondo.” disse il mezzoelfo che, come avete capito, era molto pessimista. Infatti si racconta che non sorridesse più dal giorno in cui suo fratello gli aveva detto che rinunciava all’immortalità (in quel caso aveva riso perchè pensava che si trattasse di uno scherzo, ma non era così).

“MA Sù CON LA VITA CARO BERLOND!!! CIAO ARWEN!”

“COME HAI OSATO CHIAMARMI COSI’?!? NON SAI CHE BERLOND VUOL DIRE BALORDO IN ELFICO ANTICO?!?”

“NON URLARE A MIO FIGLIO, ELROND!!!” urlò più forte Natail.

“Cos’è questo baccano? Insomma! La festa non è ancora iniziata!” disse Thranduil, arrivando nella sala dopo essersi lavato.

“TUO FIGLIO MI HA INSULTATO!!!” ululò Elrond intronando tutti.

“Oh, ma non farci caso: è solo un bambino. Inoltre non sgridarlo davanti a mia moglie, che pensa che sia un angioletto!” sussurrò Thranduil a Elrond, il quale cambiò discorso.

Poco dopo arrivarono Celeborn e Galadriel, signori di Lothlorien, due elfi alti che avevano vissuto così tanto da ricordare anche il re Fingolfin (zio della Dama di Lorien).

“Salute a voi, signori di Bosco Atro. E a te piccolo principe Legolas, destinato a compiere grandi cose.” disse Galadriel, che prevedeva il futuro.

“MA PERCHè HAI GLI OCCHI FISSI? SEMBRI PAZZA! MA COS’è CHE HAI DETTO? PUOI PREVEDERE IL FUTURO? PREVEDIMELO, PREVEDIMELO!”

“IO PREVEDO CHE AVRAI UN SACCO DI LEGNATE PER AVER INSULTATO MIA MOGLIE, STUPIDO DELINQUENTELLO!!!”abbaiò Celeborn.

“Suvvia caro non urlare. Legolas è solo curioso ed è anche simpatico. Ti consiglio inoltre di non sgridarlo in presenza di sua madre. Non ti conviene.” sussurrò Galadriel che era amica di Natail e la conosceva bene, perchè si incontravano molte volte a Lorien. 

Parlarono di molte faccende.

“Ma perchè non c’è mia figlia Celebrian e i miei nipotini Elladan e Elrohir con te, Elrond?” chiese Galadriel, che era appunto suocera del pessimista.

“Sono andati a trovare lo zio Cirdan ai Porti Grigi.”

“Le farà bene un po’ di mare, Gran Burrone è davvero un posto noiosissimo! Piuttosto perchè non ti sei messo quel mantello che ti ho regalato?” Elrond non lo aveva indossato perchè era orribile, come tutti i regali della suocera.

“Ci sono notizie sull’Anello?” chiese Thranduil per cambiare discorso.

“Pare di no. Quegli imbecilli degli uomini l’hanno perso e ora chissà dov’è finito!” rispose Celeborn senza usare mezzi termini.

“Diventi sempre più bella, Arwen! Sembri tua madre.” disse Natail alla giovane elfa andandole vicino e abbassandosi alla sua altezza.

“Grazie zia. Lo sai che la nonna mi ha predetto che fra 2700 anni incontrerò l’unico amore della mia vita?” bisbigliò Arwen all’orecchio della madre di Legolas (che non era propriamente sua zia). Lei sorrise divertita.

Tutti questi discorsi annoiavano terribilmente Legolas anche perchè nessuno gli prestava attenzione. Allora, purtroppo per tutti, ricominciò a fantasticare...

“ED ECCO IL GRANDE EROE CHE è CIRCONDATO DA ORRIBILI E NOIOSISSIMI MOSTRI CHE TENGONO PRIGIONIERO LUI E LA SUA MAMMA! MA EGLI NON HA AFFATTO PAURA! ECCO CHE ARRIVA IL LORO CAPO CON DEI TERRIBILI STRUMENTI DI TORTURA! MA L’EROE GLI FARà UNO SGAMBETTO E CADRANNO SUI MOSTRI E LUI SARà SALVO INSIEME ALLA SUAMAMMA CHE è STATA IPNOTIZZATA DA QUELLA STRANA ELFA CON GLI OCCHI FISSI!”

“MA COS... AAAAAAAHHHHHHHH!!!!!!!”

CRASHHHHHHHH!!!!!!!!!!!

Non erano però dei terribili strumenti di tortura, bensì...

“AHIA! OH, NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!!!! IL MIO PREZIOSISSIMO SERVIZIO DI PIATTI CESELLATI IN ARGENTO E IN ORO RISALENTE AGLI ANNI DEGLI ALBERI!!! JAMEEEESSSSS!!! COS’HAI FATTO?!?”

“Io niente signore! È stato vostro figlio che mi ha fatto lo sgambetto!”

“DAVVEROOOOOOO?!? LEGOLAAAAAAAASSSS!!!!!!!!!!! VIENI QUA SUBITO!!!”

“COSA C’E’ DA URLARE, THRANDUIL?!? CHI HA ROTTO IL SERVIZIO DI PIATTI?”urlò Natail.

“E’ STATO LEGOLAS!!! HO BEN TRE TESTIMONI OCULARI! STAVOLTA LO METTI IN CASTIGO!!!”

“NON ACCUSARE NOSTRO FIGLIO! GLIELO CHIEDERO’ IO! Sei stato tu, bambino mio?”

“IL MAGGIORDOMO è INCIAMPATO SU QUELLA PIEGA DEL TAPPETO. NON SONO STATO IO. PAPà MI ACCUSA SEMPREEEEEEE!!!!!!!! UEEEEEEEEHHH!!!!!” come vi ho detto, Legolas era un vero furfante.

“AH, E’ COSI’!?! VOI QUATTRO BUGIARDI E FANNULLONI RACCOGLIETE I COCCI SUBITO E IN FRETTA!!! Tu invece, caro bambino, vieni a tavola con Galadriel e Arwen.”

“Ma signora non siamo stati noi... suo marito e il maggiordomo hanno detto la verità.” dissero Elrond e Celeborn insieme.

S-I-L-E-N-Z-I-O!” gridò Natail, sfondando la barriera del suono.

“Ma perchè va sempre a finire così!?” disse Thranduil chinandosi a raccogliere i cocci con rassegnazione.

Dopo che ebbero finito andarono a tavola e James portò la cena.

Legolas mangiava come un hobbit e un nano messi insieme, cioè mangiava tantissimo, molto in fretta e scompostamente. Naturalmente suo padre si vergognava in maniera terribile di lui e, cercando di non farsi notare, lanciava delle occhiatacce al figlio.

Legolas mangiò il primo e il secondo con le mani, sebbene a Thranduil fossero quasi usciti gli occhi dalle orbite per lanciargli occhiate penetranti. L’unico effetto che ottenne con i suoi sguardi quasi da pazzo fu che Elrond pensò che sua moglie Celebrian, nonostante i suoi attacchi depressivi, fosse molto meglio di Natail.

Il dolce fu un’enorme torta a strati!

Il maggiordomo la portò in tavola aiutato da cinque sguatteri. Legolas, che guardava quel dolce mentre si avvicinava lentamente con un grandissimo sorriso, ovviamente ci si avventò sopra e prese l’ultimo strato.

“NOOOOOOOOO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! PERCHÈ, PERCHÈ SEMPRE A ME?!?” urlò Thranduil quando l’enorme torta gli cadde addosso e lo seppellì.

“Legolas non farlo più. E ora vai a dormire, da bravo.” disse dolcemente Natail, mentre Celeborn e Elrond aiutavano Thranduil a togliersi tutta la torta da dosso.

“Johnny, vieni a pulire per terra.” disse Natail mentre usciva con Galadriel e la piccola Arwen.

“IO MI CHIAMO JAMES!!!!” urlò il maggiordomo, che non sopportava di non essere chiamato con il suo nome.

“Insomma pulisci!”

Dopo che Thranduil fu libero dalla torta salutò i suoi amici e parenti e, quasi volesse perdonare Legolas, disse loro: “Beh, peggio di cosi non può diventare!”

Ma si sbagliava...

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Capitolo 4
*** Duemilaottocento anni dopo ***


Sono sempre contentissimo che questa storia riesca a far ridere quelli che la leggono

Sono sempre contentissimo che questa storia riesca a far ridere quelli che la leggono! Grazie a tutti!

(Ma quelle che hanno messo questa storia tra i loro preferiti... perchè non commentano, a parte gittypanda? Siete timide?)

 

@Suikotsu: Certo che è Legolas! Almeno... è il Legolas che ho inventato io! Sauron è un dilettante al confronto! Ora vedrai...                 

 

Nota: questo capitolo non è molto lungo, più che altro è l’introduzione per quelli seguenti, ben più voluminosi. Scusatemi, ma preferivo dividerlo dal resto, sennò veniva una cosa davvero lunga.    

 

 

                                                                                 Duemilaottocento anni dopo

 

“LEGOLAAAAASSSSS!!! DOVE SEI STATO TUTTA LA NOTTE!?!” tuonò re Thranduil a Legolas che era appena sceso nel salone con un occhio nero, i vestiti strappati e con l’aria di uno che non ha dormito per neanche un minuto.

“YO,  LA  NOTTE è FATTA PER FARE A BOTTE!

E NON URLARE CHE MI VIEN DA VOMITARE!

E NON URLARE ALTRIMENTI POTRESTI LA MAMMA SVEGLIARE! YEAH, YEAHHH!!!!!”disse Legolas, parlando in una lingua sconosciuta (almeno a suo padre).

“MA COME PARLI!?! NON SI CAPISCE NIENTE!!!”

Legolas si muoveva in modo strano, simile a un nano ubriaco e a un beorniano assonnato, e agitava le dita in strani gesti scaramantici.

“DOVE SEI STATO ALLORAAA???”

“YO, FRATELLO, NON MI STANCARE, NON MI INTERROGARE SE NON VUOI FARMI ARRABBIARE!”

“NON CONFESSI, EH? MA ADESSO NON TI MUOVERAI DA QUI FINCHE’ NON ME LO AVRAI DETTO!!!”

Il gesto che gli fece Legolas fu, per sua sfortuna, subito interpretato dal padre, che si mise a inseguirlo con una scopa (la prima cosa che gli capitò a tiro). Ma anche questa volta...

“THRANDUIL!!! COSA STAI FACENDO?!? HAI RIDOTTO LEGOLAS IN QUESTO STATO PIETOSO?!? SEI UN MOSTRO!!!”

“Ma non sono stato io!” frignucolò Thranduil.

“COME NO!!! DAMMI QUELLA SCOPA!!! Legolas, caro, vai a fare colazione.” disse Natail, dando la scopa in testa a Thranduil.

Legolas era diventato più grande, più bello e più malvagio. Andava a scuola solo per fare scherzi terribili al professore, a Esgaroth, la città degli uomini situata sul Lago Lungo appena fuori da Bosco Atro verso Est, era visto come un vandalo distruttore di taverne e rubava i soldi al padre.

Thranduil cercava sempre di incastrarlo, ma la moglie non gli credeva mai.

Dopo la colazione Legolas andò a cambiarsi e poi portò in giardino suo padre e gli fece vedere...

“Il cavallo speedy superveloce! L’ho comprato l’ultima volta che sono andato a Rohan per un torneo di tiro con l’arco. Ti piace?” disse Legolas.

“Dev’essere molto costoso. Dove li hai trovati i soldi?” rispose Thranduil guardando il cavallo bianco che aveva marchiato a fuoco sul deretano due S maiuscole. In quel momento arrivò in cortile un elfo dai capelli neri vestito con un frac nero che portava in mano un vassoio su cui si trovava una pergamena.

“Ecco i bilanci dei suoi tesori, altezza.” disse il maggiordomo.

“Grazie, James...LEGOLAAAAASSS!!! I MIEI SOLDI!!! SE TI PRENDO TI AMMAZZO!!!” ma Legolas era già lontano sul suo cavalllo superveloce.

A questo punto Thranduil pensò:“Devo liberarmi di Legolas! I miei bilanci statali sono andati a picco! Ma come fare? Lo mando in guerra? Meglio di no! Dopotutto è il mio unico erede, purtroppo. Potrei affidarlo allo stregone Gandalf, ma lui non vorrebbe mai un simile peso. Lo metto in prigione? Se non ce l’ho fatta in più di duemila anni... Uhm... Ci sono: lo manderò alla scuola speciale di Elrond! Così magari la pianterà di derubare me, Celeborn e Elrond.”

Questa sua decisione piacque a Natail che voleva che Legolas si preparasse a diventare un grande eroe come aveva predetto Galadriel.

E così decisero una data, lasciando Legolas all’oscuro di tutto.

Legolas intanto stava costruendo una nuova taverna a Esgaroth sia per farsi perdonare sia per trovare una nuova fonte di guadagno. Aveva già un modo per arricchirsi, che però era illegale: il commercio delle foglie. Ne commerciva di tutti i tipi (verdi di Bosco Atro, color oro di Lothlorien...) e ciò era contro le leggi di suo padre, di Elrond, di Celeborn, del governatore di Esgaroth (Pontelagolungo nella lingua degli uomini) e di tutti gli altri re della Terra di Mezzo. Ma nessuno riusciva mai a incastrarlo e così continuava con la sua lucrosa attività, con la quale finanziava la costruzione della locanda. Dopo due settimane, proprio il dieci settembre fu completa.

Però la sera dell’inaugurazione, mentre c’era una musica assordante, proprio mentre stava ballando in maniera sfrenata, due enormi mani lo afferrarono per la collottola e lo sollevarono da terra.                                                                                                                  

Legolas girò la testa e vide una figura grande e grossa con foltissima barba e capelli neri. Aveva un grandissimo nasone e due occhi neri e dalla sua espressione si poteva capire che la musica ad alto volume lo disturbava. Era alta più di due metri e sotto i semplici e larghi vestiti nascondeva una muscolatura che sembrava di ferro. Nonostante ciò, l’elfo mostrò il suo coraggio.

“LASCIAMI ANDARE!!! AIUUUUUTOOOOOO!!! AAAAAIUUUUUTOOOOOOOOOO!!!” urlò a squarciagola. Nessuno dei suoi amici, ubriachi e atterriti dallo sconosciuto, si mosse.

“Ma sta’ un po’ zitto e fermo.” disse l’enorme essere dando a Legolas un pugno fortissimo che lo tramortì completamente per ore.

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Capitolo 5
*** La scuola di Elrond ***


In questo capitolo verranno aggiunti molti altri personaggi (e così si spiegherà anche perchè nel titolo ho scritto Legolas &

In questo capitolo verranno aggiunti molti altri personaggi (e così si spiegherà anche perchè nel titolo ho scritto Legolas & Co.) e l’intreccio narrativo si complicherà (spero di riuscire a non farmelo crollare addosso!)

Inoltre, se c’è qualche fan di Legolas, ora si prenderanno in giro anche gli altri.

Prima però bisogna rispondere a quei prodi che hanno perso cinque minuti del loro preziossimo tempo per commentare, dando così linfa vitale all’autore.

 

@beba7: Sono contento che ti piaccia e grazie per aver commentato! Legolas sarà ancora così quando entrerà nella Compagnia? Non so, c’è ancora tanto tempo prima che entri... Tempo in cui ne può combinare di tutti i colori!

 

@gittypanda: Ora vedrai questo!

 

@Suikotsu: Disciplina, hai detto? Magari...     

 

E adesso...                        

 

                                                               La scuola di Elrond

 

Il mattino dopo, quando si svegliò, scoprì di essere in groppa al gigantesco figuro che stava camminando di gran lena verso l’uscita di Bosco Atro a Ovest e quindi verso le Montagne Nebbiose.

“Ma chi sei? Dove mi stai portando?” disse gentilmente, sentendo ancora male per il colpo della sera prima.

“Sono Beorn, l’uomo orso. Ti sto portanto a Imladris.” rispose.

“Che cosa vuol dire Im... Insomma che vuol dire?” chiese Legolas che non sapeva minimamente di cosa stesse parlando quel bestione.

“Santo cielo! Non ne ho la minima idea! Ma tu dovresti saperlo: è elfico antico.” rispose Beorn.

“Certo che lo so!” disse Legolas, che in realtà non sapeva quasi niente di elfico antico perchè a scuola usava il libro per lanciarlo in testa al preside. “Mumble, mumble... im voleva dire grande e ladris... PRIGIONEEEEE!!!!!!” pensò atterrito Legolas. Ma aveva sbagliato: infatti era laris che voleva dire prigione, invece ladris significava burrone. Infatti Beorn lo stava portando alla Casa di Elrond, Gran Burrone.

Elrond educava i giovani principi, insegnava loro la cultura, la storia, le tradizioni, le arti e le lingue di tutti i popoli  della Terra di Mezzo e Beorn, suo amico e guardacaccia (nel senso che curava gli animali come fossero suoi figli, e alcuni orsacchiotti lo erano), insegnava tutti i tipi di lotta.

Beorn era un enorme energumeno che aveva la capacità di trasformarsi in un grosso orso bruno e ciò gli capitava soprattutto quando si arrabbiava (e lui si arrabbiava spesso, perchè era molto permaloso). L’unica cosa che poteva fermare la sua furia omicida quando era nella forma d’orso era il miele.

A questo punto, Legolas, che aveva tratto le sue tanto brillanti quanto sbagliate deduzioni, si mise a urlare come un ossesso e a dimenarsi per liberarsi dalla presa dell’uomo orso.

Beorn allora gli diede un altro sganassone sulla testa e il principino elfico svenne nuovamente.

Quando si svegliò era in una camera piccola e buia. Si trovava sopra un letto piuttosto duro e privo di cuscino. Si guardò attorno e vide una sedia, un tavolino, una finestra con le inferiate e una porta chiusa con un catenaccio.

“Mi hanno già messo in cella!!!” pensò terrorizzato.

Allora si mise a sbraitare come un matto e alla fine un elfo dallo sguardo gentile e paziente venne ad aprire.

“Benvenuto a Imladris, Legolas figlio di Thranduil! Sono Idrel e sono tuo cugino acquisito di settantottesimo grado. Hai fatto un buon viaggio?”

“BUON VIAGGIO UN CORNO! MI HA RAPITO UN BRUTTO BESTIONE ENORME CHE MI HA DATO DUE SVENTOLE TERRIBILI! E, COME SE NON BASTASSE, MI DAI IL BENVENUTO QUI, A GRAN PRIGIONE?!?” sbraitò Legolas.

“Ma cosa dici? Forse Beorn ti ha colpito troppo forte... Comunque la colazione è servita. La mensa è quaggiù in fondo. Vestiti e poi vieni.” disse gentilmente Idrel.

“Ma cosa mi metto? Non ho nessun vestito con me.”

“Le aquile giganti hanno prelevato il tuo guardaroba mentre venivi portato qua. Su, sii felice! C’è tanta gente simpatica che devi conoscere.” rispose Idrel e poi se ne andò.

Legolas si vestì pensando che quella era proprio una strana prigione e uscì dalla sua stanza osservando la splendida casa di Elrond.

Era una grande reggia costituita dall’unione di varie case ed edifici, che si trovavano in fondo a una valle proprio sotto le Montagne Nebbiose.

Un fiume scorreva in mezzo alla dimora elfica e così la divideva in due parti, unite da ponti maestosi e coperti da tettoie decorate da affreschi all’interno e ricoperte di edera e piante sopra.

Legolas pensò che per essere una prigione, seppur strana, era proprio bella.

A un certo punto sentì un’odore che gli ricordava quei regali che inviava Galadriel da Lorien a sua madre: i pani elfici avvolti in foglie di cannella e circondati da glassa.

Pensò ancora che, se quella era una prigione, si doveva proprio mangiare bene e seguì il profumo che, ne era certo, lo avrebbe portato alla mensa.

Durante la strada vide un sacco di elfi sorridenti e felici che sembravano essere appena tornati da lunghi viaggi o essere in procinto di partire. Infatti Gran Burrone era anche una tappa forzata per un qualunque viaggio attraverso il Nord della Terra di Mezzo.

Legolas si stupì invece di non vedere nessuna guardia e, quando vide un edificio con un’insegna recante la scritta mensa, pensò che avrebbe certamente trovato buon cibo, gente simpatica e una perfetta armonia e si disse ancora una volta che quella era davvero una prigione assai particolare e bizzarra.

Ma, quando entrò, vide uno spettacolo incredibile e che certamente non era il massimo della calma e della serenità, come quello che aveva invece trovato fuori. Un giovane uomo con i capelli lunghi e biondi e la barba sfatta e baffi castani mangiava seduto sulle panche affianco al suo cavallo; un elfo anziano con i capelli neri e lo sguardo duro, che era inseguito da un’elfa più giovane che gli urlava di fermarsi, inseguiva agitando un mattarello con grida terribili e poco educate un giovane  uomo del Nord; un uomo con una faccia da idiota mangiava i tovaglioli e ogni cosa non commestibile che trovava mentre un nano dai capelli e la barba rossa e un altro uomo molto giovane cercavano di impedirgli di mangiare anche la tovaglia.

Legolas guardava stupefatto questa scena e pensava:“Per mille sacchi di denaro rubati a mio padre! Questa non è di certo una prigione, e fin qui ci sono arrivato. Ma allora cosa accidenti è questo posto?!?”

Mentre ruminava queste considerazioni, la porta si aprì di nuovo alle sue spalle e lui si scostò per far spazio alla persona che stava entrando in quel momento. L’essere enorme fu subito riconosciuto da Legolas: infatti era Beorn e portava un enorme barattolo di miele.

Il bestione salutò il giovane elfo con un gioviale “ehilà” e si diresse verso un tavolo per gustarsi la sua colazione. Ma in quel momento all’elfo anziano sfuggì il mattarello, Beorn ci mise il piede sopra, scivolò, fece una mezza capriola all’indietro e cadde a pancia all’aria insieme al suo otre di miele che si sfracellò a terra.

“GROOOAAA AAAARRRRRRR!!! IL MIO MIELEEEEEEEEE!!!” urlò Beorn con quanto fiato aveva in corpo, alla vista della terribile catastrofe.

Poi si rialzò e cominciò ad emettere strani versi e a ingrossarsi.

Mentre diventava sempre più grande, tutti si fermarono a guardarlo con aria preoccupata.

Dopo che ebbe raggiunto i tre metri di altezza, al bestione cominciarono a crescere folti peli marroni scuri su tutto il corpo. La bocca divenne più grossa e i denti crebbero a dismisura, diventando terribilmente affilati.

Contemporaneamente le unghie delle mani e dei piedi si trasformarono in enormi artigli. I capelli furono assorbiti dalla pelliccia che ormai ricopriva tutto il corpo e gli occhi divennero due minuscole fessure rosso sangue.

“ROAAARRR!!!” ruggì l’enorme orso bruno e guardò con sguardo omicida le persone nella sala.

“PRESTO PORTATE DEL MIELE!!! E’ INFEROCITO!!!” gridò l’elfo anziano (che era Elrond).

“ECCO IL MIELE!!!” dissero il giovane uomo e il nano e lo versarono nel baratro che Beorn in forma d’orso aveva al posto della bocca. Non appena il dolcissimo liquido toccò le enormi fauci della bestia, essa si fermò, si calmò, si sdraiò e si mise a dormire come un agnellino. E mentre pisolava, riacquistò a poco a poco le sue normali sembianze umane.

“Ho capito!” esclamò Legolas “Questa non è un prigione: è un manicomio! Ma io non sono matto e perciò ora me ne vado.” Stava per uscire dalla mensa, quando Elrond lo prese.

“Legolas! Come sei cresciuto! Scusa se non ti ho salutato prima, ma questo è un vero manicomio!” disse Elrond respirando affannosamente.

“Già” rispose Legolas “ma siccome non sono pazzo ora mi puoi far tornare a casa caro... non mi ricordo chi sei... scusa.”

“Mi chiamo Elrond. Ma cosa volevi dire prima? Guarda che questo non è davvero un manicomio!” disse Elrond, sospirando.

“Ma insomma Berlond: lo è o non lo è?” si lamentò Legolas esasperato.

“COME OSI CHIAMARMI BERLOND?!? NON LO SAI CHE VUOL DIRE BALORDO!?!” urlò Elrond intronando Legolas. L’elfo anziano stava per colpirlo quando il nostro eroe inciampò e cadde sul nano Gimli.

“Attento a dove cadi, stupido elfo!” disse con poco garbo togliendosi Legolas di dosso.

“Taci barbone!” disse il principino elfico e Gimli gli diede un pugno e da lì cominciò un’enorme rissa. Infatti l’uomo che mangiava la tovaglia (Boromir) si gettò con gioia nella mischia trascinandosi dietro anche suo fratello (Faramir). Anche il giovane rohirrim (Eomer) decise di partecipare alla lite e il giovane uomo del Nord (Aragorn) ci fu tirato dentro mentre cercava di fermarla. Elrond fu spinto nella turba da una tazza vagante.

Insomma, per farla breve, tutti i maschi, volenti o no, si davano un sacco di botte senza motivo.

La rissa finì quando Beorn si svegliò: infatti, dopo aver espresso la sua contentezza di poter fare un po’ a botte con un sonoro ruggito da orso, si tuffò nella mischia e stese subito tutti con i suoi micidiali pugni.

“Non c’è niente di meglio di una bella rissa al proprio risveglio!” esordì poi l’immenso uomo orso e si mise a mangiare.

Poi Erlond e gli altri si svegliarono e scoprirono con orrore che il cibo era finito. Infatti Beorn aveva mangiato tutto!

“Beh, venite in cortile, così farò il discorso di apertura come ogni anno.” disse Elrond.

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Capitolo 6
*** Il discorso di Elrond ***


Accidenti

Accidenti! La mia storia è tra i preferiti di ben cinque autori: beba7, gittypanda, sole a mezzanotte, Sengir, Naki_ssj!!! Evviva!!! Festeggiamo con un po’ di miele, Beorn!

Naturalmente c’è sempre da ringraziare anche i tre grandi che continuano a commentarmi:

 

@Suikotsu: Fa paura Beorn, eh? Quale scena di Warcraft ti ricorda? Non è impossibile che ci siano delle affinità, mi piace tantissimo quel gioco!

 

@beba7: Beh, dire che sembra il più normale paragonato a quella gabbia di matti non è difficile...

 

@gittypanda: Anche tu credi che Legolas sia quello più a posto a Gran Prigione? Non hai tutti i torti... Perchè Boromir mangia tutto? Insomma, perchè non è che sia molto intelligente (e perchè mi sta antipatico!).                                

 

 

                                                                                  Il discorso di Elrond

 

Visto che il cibo era, appunto, finito, tutti uscirono dalla mensa, che ormai sembrava un campo di battaglia: infatti i tavoli erano rovesciati, molte sedie erano rotte e tutte le stoviglie erano solo cocci per terra.

Il cortile si trovava di fronte al palazzo dove abitava Elrond, davanti ai due ponti, dalla parte a sinistra. Quando tutti, compreso Beorn, furono lì, il figlio di Eärendil (Elrond per gli ignoranti che non sanno TUTTE le parentele degli elfi), salì sul suo terrazzo affacciato su di esso e cominciò il discorso:

“Benvenuti a Gran Burrone giovani principi e dame! Io sono Elrond figlio di Eärendil e di Elwing della casata di Thingol che sposò Melian la Maia e regnò sul Beleriand. Sono fratello di Elros che rinunciò all’immortalità per regnare su Numenor e che ebbe molti discendenti tra cui Arathorn e suo figlio Aragorn. Sono cugino di quarto grado di Galadriel, regina dei Galadrim, che sposò Celeborn. Ma lei è anche mia suocera perchè ho sposato sua figlia Celebrian. Sono Elrond, colui il quale da mille anni non esce da Gran Burrone. Colui il quale ha per questo scritto un libro:“La Noia assoluta”. Colui il quale è stato lasciato da sua moglie perchè lei lo accusava di essere troppo noioso. Colui il quale ha generato tre figli Elladan, Elrohir e Arwen, due dei quali sono scappati dopo mia moglie.” nel frattempo si addormentarono tutti dalla noia “Colui il quale ha visto crescere e morire i suoi mille parenti: Fingolfin, Finrod Felagund, Finarfin, Luthien, Beren Erchamion e Eärendil.” A questo punto si fermò e con il suono del gong (avete presente? Quello che fa... ehr... ah, già: Gong!)  segnò la fine della prima parte del discorso.

Tutti si svegliarono di soprassalto e finsero di averlo ascoltato.

“Ma che noia sto discorso introduttivo, Eärendil!” disse Boromir che si era perso mentre Elrond nominava tutti i suoi parenti.

“ELROND, FIGLIO DI EÄRENDIL E DI ELWING DELLA CASATA DI THINGOL CHE SPOSò MELIAN LA MAIA E REGNò SUL BELERIAND. Fratello di Elros che rinunciò all’immortalità per regnare su Numenor e che ebbe molti discendenti tra cui Arathorn e suo figlio Aragorn. Cugino di quarto grado di Galadriel, regina dei Galadrim, che sposò Celeborn (ma lei è anche mia suocera perchè ho sposato sua figlia Celebrian). Elrond, colui il quale da mille anni non esce da Gran Burrone. Colui il quale ha per questo scritto un libro:“La Noia assoluta”. Colui il quale è stato lasciato da sua moglie perchè lei lo accusava di essere troppo noioso. Colui il quale ha generato tre figli Elladan, Elrohir e Arwen, due dei quali sono scappati dopo mia moglie. Colui il quale ha visto crescere e morire i suoi mille parenti: Fingolfin, Finrod Felagund, Finarfin, Luthien, Beren Erchamion e Eärendil.” ripetè un po’ arrabiato Elrond“Ora hai capito Boromir figlio di Denethor II, figlio di Ecthelion II, figlio di Turgon I, figlio di Turin II, figlio di...” Boromir e gli altri caddero in un sonno catatonico. Quando ebbe finito di nominare i 26 antenati di Boromir, Elrond suonò di nuovo il gong.

Si svegliarono di nuovo di soprassalto. Boromir stava per parlare di nuovo, ma lo zittirono con una sassata sulla zucca.

Così Elrond continuò il suo discorso:“Voi siete qui a Imladris (o Gran Burrone nella lingua corrente) per imparare le arti, la letteratura, le lingue arcaiche, la tattica e la strategia militare, la storia della Terra di Mezzo, di Numenor e di Valinor, la lotta libera, la schermaglia, la furtività, il linguaggio degli orsi, degli uccelli, dei tassi e degli scoiattoli e per finire la capacità di sopravvivenza in condizioni estreme.”

“MA CHE MANICOMIO E’ QUESTO!?!” urlò Legolas.

“QUESTO NON E’ UN MANICOMIO, E’ UNA SCUOLA! NON CAPISCI NIENTE LEGOLAS FIGLIO DI THRANDUIL DELLA DINASTIA DEGLI ELFI SINDAR!” urlò Elrond.

“Allora perchè tra le materie non c’è il contrabbando?” chiese Legolas.

“COSA DICI!?! IL CONTRABBANDO?!? Sono allibito...” sospirò Elrond appoggiando il mento sulle mani.

“Comunque” continuò Elrond prendendo in mano un librone e aprendolo“qua imparerete queste materie e ciò vi servirà in futuro. Anche per quest’anno le regole sono le stesse:

1)      Non dovete scappare da Gran Burrone e non dovete fare alcunchè al solo scopo di essere espulsi.

2)      Dovete amare tutte le vostre materie.

3)      Non dovete fare scherzi idioti ai professori.

4)      Dovete rispettare quelli più anziani di voi.

5)      Dovete andare a letto alle 21 e alzarvi alle 7, salvo eccezioni stabilite da me.

6)      Non ci devono essere risse.

7)      Dovete rispettarvi fra di voi.

8)      Non ci saranno mai feste, se non quella di fine anno che durerà dalle 20:55 alle 21.

9)      I maschi non devono mai cercare di entrare in contatto con le ragazze, che, per questo, staranno dall’altra parte del fiume.

10)  Non dovete arrecare alcun danno alle cose che vi circondano senza l’autorizzazione di un professore.

11)  Non dovete lamentarvi per il cibo.

12)  Non dovete copiare.

13)  Non dovete suggerire.

14)  Non dovete sospirare pensando alla vostra ragazza mentre siete in classe.

15)  Non dovete avere una ragazza qui.

16)  Non dovete ridere in classe.

17)  Dovete dare il buon esempio per i più giovani.

18)  Non dovete lamentarvi per i compiti.

19)  Dovete sapere a memoria tutto ciò che vi è richiesto.

20)  Non dovete invitare le ragazze in alcun luogo.

21)  Potete respirare in classe, ma in silenzio.

22)  Non esistono giustificazioni di alcuna sorta.

23)  Dovete sempre avere i compiti fatti in modo esatto.

24)  Non dovete farvi beffe dei nomi degli Antichi.

25)  Non dovete usare un linguaggio scurrile.

26)  Non dovete imbrattare i muri.

27)  Non dovete imbrattare i tavoli.

28)  Non dovete imbrattare i banchi.

29)  Non dovete imbrattare i pavimenti.

30)  Non dovete imbrattare la cattedra.

31)  Non dovete imbrattare me.

32)  Non dovete imbrattare le mie cose.

33)  Non dovete entrare nei miei alloggi, a meno che non vi abbia dato il permesso.

34)  Non dovete nemmeno sfiorare la mia libreria, a meno che non abbiate il mio permesso scritto in triplice copia.

35)  Non dovete offendere Beorn, se ci tenete alla vostra vita.

36)  Tutto ciò che spaccate lo ripagate.

37)  Non potete fare causa a nessuno se Beorn vi spezza le ossa nelle sue lezioni.

38)  Non dovete fingere di essere malati per sfuggire alle lezioni.

39)  Non dovete essere malati per sfuggire alle lezioni.

40)  Non devono esserci duelli.

41)  È severamente vietata qualsiasi forma di attività commerciale che non sia approvata dal codice di leggi di Bosco Atro e Lothlorien.

42)  È assolutamente vietato trovarsi fuori dalla propria stanza dopo le 21.

43)  Dovete sempre sapere ciò che vi ho spiegato la volta prima.

44)  Dovete sempre sapere ciò che vi sto spiegando.

45)  Dovete sempre sapere ciò che vi spiegherò.

46)  Dovete sapere tutto il programma scolastico a menadito.

47)  Dovete leggere solo i libri che vi indico io.

48)  Dovete scrivere solo quello che vi dico io.

49)  Dovete fare solo quello che vi dico io.

50)  Dovete vivere solo come vi dico io.

51)  Dovete pensare solo quello che vi dico io.

52)  Dovete essere solo quello che vi dico io.

53)  È vietato cacciare.

54)  È vietato pescare.

55)  È vietato fare del male a ogni animale.

56)  È vietato fumare.

57)  È vietato ingerire alcolici.

58)  È vietato giocare.

59)  È vietato divertirsi.

60)  È vietato essere felici.

61)  È vietato essere innamorati.

62)  È vietato essere stupidi.

63)  È vietato essere disobbedienti.

64)  È vietato essere grassi.

65)  È vietato essere ciò che si è.

66)  È vietato criticare ciò che sono gli altri anche se sono ciò che è vietato essere.

67)  È vietato non essere.

68)  È vietato fare discorsi strani nel cortile.

69)  È vietato rubare.

70)  È vietato truffare.

71)  È vietato tradire.

72)  È vietato fantasticare.

73)  È vietato criticare le regole.

74)  È obbligatorio amare le regole.

75)  È obbligatorio conoscere tutte le regole.

76)  È obbligatorio rispettare tutte le regole.

77)  È obbligatorio obbligare gli altri a rispettare le regole.

78)  È obbligatorio comportarsi in modo conforme alle regole anche se seguendone una se ne trasgredisce un’altra.

79)  È obbligatorio essere diligenti.

80)  È obbligatorio essere onesti.

81)  È obbligatorio essere laboriosi.

82)  È obbligatorio essere liberi.

83)  È proibito uscire da Gran Burrone, a meno che siate accompagnati da Beorn o Radagast.

84)  È proibito non sapere ciò che vi ho detto.

85)  È proibito non sapere ciò che non vi ho detto.

86)  È proibito non ascoltare mentre parlo.

87)  È proibito fingere di dormire mentre parlo.

88)  È proibito dormire mentre parlo.

89)  È proibito fingere di svenire mentre parlo.

90)  È proibito svenire mentre parlo.

91)  È proibito fingere di suicidarsi mentre parlo.

92)  È proibito suicidarsi mentre parlo.

93)  È proibito guardare le soluzioni dei compiti sui miei libri.

94)  È proibito guardare dentro casa mia.

95)  È proibito guardare mia figlia.

96)  È proibito guardare le ragazze.

97)  È proibito guardare le ragazze o mia figlia per sbaglio.

98)  È proibito guardare le ragazze o mia figlia intenzionalmente.

99)  È proibito pensare alle ragazze.

100)         È proibito pensare a mia figlia.

101)         È proibito pensare alle ragazze o a mia figlia per sbaglio.

102)         È proibito pensare alle ragazze o a mia figlia intenzionalmente.

103)         Non potete scrivere a casa senza il mio permesso.

104)         Tutte le lettere saranno sottoposte alla mia censura.

105)         Non potete tornare a casa senza il mio permesso.

106)         Non potete pensare alla vostra casa senza il mio permesso.

107)         Potete tornare a casa vostra in visita solo durante le vacanze lunghe.”

Dopo aver detto questo quintale di regole, Elrond chiuse il librone, suonò il gong e tutti si svegliarono di soprassalto un’altra volta.

“Avete capito le regole? Perchè chi le trasgredirà sarà condannato a passare un giorno di festa in compagnia dell’essere più noioso e antipatico che conosco: mia suocera Galadriel e la dovrà ascoltare mentre vi racconterà tutti i nuovi pettegolezzi!” disse Elrond “Ci sono domande?”

“Ma io di chi è che sono figlio?” chiese Boromir prima che potessero fermarlo.

“Sei figlio di Denethor II, figlio di Ecthelion II, figlio di...

Alcune ore dopo Aragorn, Legolas, Gimli, Eomer, Faramir e Boromir erano in infermeria poichè erano afflitti da disturbi mentali e non capivano più chi fossero. La colpa era di Elrond che aveva spiegato loro tutti i nomi dei loro antenati e familiari. Legolas credeva di essere Gloin, il padre di Gimli, Gimli credeva di essere Arathorn, Aragorn  credeva di essere Arwen, Eomer pensava di essere Denethor, Boromir pensava di essere un cane e per questo abbaiva come un matto e Faramir sapeva di essere Faramir ma credeva di essere sposato e di essere il re del Beleriand.

Elrond provò tutti i rimedi che conosceva per guarirli (“Ocus pocus, sim sala bim, abracadabra”), ma non ci riuscì.

Allora fece venire Gandalf, uno dei più grandi stregoni della Terra di Mezzo, ma nemmeno lui ci riuscì. Allora chiese aiuto Galadriel, la strega elfica, ma neanche lei risolse il problema.

“Non ce la faremo mai.” sentenziò Elrond sconsolato.

“Ma è facilissimo!” disse Natail, madre di Legolas.

“E tu che ci fai qui?” domandò Gandalf.

“Volevo vedere come stava Legolas e Beorn mi ha detto di questa malattia incurabile.” rispose.

“E già! Non c’è proprio alcun modo per guarirli!” sentenziò Gandalf.

“Ma sì che c’è: è facilissimo. Sono solo alcune parole magiche in elfico antico: dkido losjdojhwn dodjswk dofmfidndio.” disse Natail e subito tutti i ragazzi smisero di agitarsi e si ricordarono i loro nomi. Non ho una chiara idea riguardo il significato della formula magica usata dalla madre di Legolas, ma ci sono due probabili traduzioni: una è “È pronta la cena!”, ma l’ipotesi migliore è “Mutandine di pizzo”.

 

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Capitolo 7
*** Il primo giorno di scuola ***


Il primo giorno di scuola

Ringrazio tutti coloro che hanno letto e (un po’ di più) coloro che hanno recensito la mia fic, ovvero:

 

@gittypanda: Ottima scelta per la traduzione! Non è che Elrond si aspetti che si ricordino tutto, lui vuole che si ricordino tutto, cioè parentele, regole e tutto quello che gli dirà, secondo le regole 19, 43, 44, 45, 46, 75, 84 e 85!

 

@Suikotsu: Non so se si ricorderanno di seguirla... La mammina per ora niente e Elrond è sempre così che si presenta, perchè è noiosissimo (come testimonia il libro che ha scitto, La noia assoluta). Certo che le ho pensate io le regole, in un momento di follia, ma questo è solo un dettaglio!

 

@beba7: Sì, le ho inventate io, dopotutto non è stato neanche così difficile: a parte la spinta della follia, il fatto è che una tira l’altra e così... Come mi è venuta in mente la 66? Buona domanda... Scherzo, ma ci stava bene, dopo tutte quelle che impedivano di essere qualcosa, questa doveva impedire di criticare, sennò ci sarebbero state delle liti e ciò contravveniva alle regole 6, 7 e 40!

 

 

                                                                                               Il primo giorno di scuola

 

Dopo che la madre lo ebbe miracolosamente guarito, Legolas andò a dormire nella sua stanza e si addormentò subito per la stanchezza, nonostante il letto fosse durissimo e le coperte piene di buchi.

La mattina Legolas andò in mensa e mangiò in fretta come gli altri, per finire prima che arrivasse Beorn poichè egli era capace di mangiarsi tutto il buffet in un secondo.

Poi Elrond li portò all’interno di un edificio al cui ingresso, sopra la porta, c’era un cartello che recava una scritta: Istirastes rin tew o isfe anglennol. Il suo significato è traducibile pressapoco così:“Sappiate alla lettera, oh voi che vi avvicinate.” Salirono delle scale a chiocciola e poi arrivarono in una stanza adibita a classe e si sedettero. Siccome andarono tutti nei banchi in fondo, Elrond spostò la cattedra in avanti e disse loro:“Quest’anno vi insegnerò le lingue e la storia della Terra di Mezzo ogni mattina, invece il pomeriggio Beorn vi insegnerà la lotta e le lingue degli animali. Cominceremo dalle lingue: per sapere a che livello le conoscete farete un breve test.” E consegnò a ciascuno dei fogli con esercizi di lingua corrente, elfico antico (altrimenti detto Quenya), elfico moderno (o Sindarin), Dunedain, nanesco, orchesco, dialetto di Rohan, di Gondor e della Contea.

Dopo un’ora, in cui aveva continuato a girare fra i banchi per impedire che passassero suggerimenti senza che lui li sentisse, ritirò le verifiche e disse:“Adesso passiamo a storia. Certamente sapete che il mondo iniziò con Ilùvatar e i suoi quattordici figli, i Valar, che erano nell’ordine: Manwë, Ulmo, Aulë, Oromë, Mandos, Lòrien, Tulkas, Varda, Yavanna, Nienna, Estë, Vairë, Vàna, Nessa. Eppure Eru, altro nome di Ilùvatar, generò un quindicesimo figlio, Melkor, che però non è annoverato tra i Valar e nemmanco gli fu affidato il compito di governare Arda con i suoi fratelli. Egli infatti desiderava distruggere la loro opera e sottomettere Elfi e Uomini, che erano stati creati da Ilùvatar, il quale ai secondi aveva concesso il dono della vita mortale. Gli Efli erano divisi in Eldar, Elfi del Grande Viaggio di Cuiviènien; Noldor, Elfi partiti per Aman; Avari, I Riluttanti che rifiutarono di prendere parte al grande viaggio; Sindar, gli Elfi Grigi e Teleri, Elfi che rimasero nel Beleriand. I Nani non esistevano fino a che il Valar Aulë li creò per contribuire alla creazione del Mondo. Ma Ilùvatar lo sgridò molto per questo gesto e...”

Mentre dunque Elrond parlava della nascita del mondo e descriveva tantissimi personaggi dai nomi noiosissimi, solo Faramir stava attento seppur con qualche difficoltà e prendeva appunti. Infatti Legolas e Gimli si scambiavano insulti a volontà su dei bigliettini, Boromir e Eomer discutevano della commestibilità del fieno e Aragorn scriveva una lettera d’amore a Arwen, la sua amata, che però, disgraziatamente per lui, era figlia di Elrond, il quale non sopportava questo fatto e cercava di evitare che si vedessero.

“Bla, bla, bla. Allora Legolas:quale dei Valar creò i nani?” domandò Elrond.

“Ah... ehr... beh... Il nome non me lo ricordo, ma era di certo il più stupido!” disse Legolas. Allora Gimli, che era nel banco di fianco, profondamente offeso, gli diede un pugno e cominciarono a pestarsi. Elrond allora prese dal cassetto della cattedra il mitico righello di mithril, forgiato da Durin I Il Senzamorte, primo signore di Moria in persona, e li fermò.

“Legolas, per punizione per la tua risposta irriverente nei confronti del tuo compagno scriverai 500 volte:- Sono un principe elfico, non uno stupido scaricatore di porto di Esgaroth-. Gimli invece mi dirà dove regnava Thingol detto Elwe mentre Melkor si era nascosto nel Thangorodrim?”

“Eh... uh... ah...” balbettò Gimli che non aveva la minima idea di quello che aveva detto Elrond.

“Nel Beleriand” bisbigliò Faramir per aiutare Gimli.

“Nel Balorderiand!” disse Gimli che aveva sentito male.

COME OSI INSULTARE LA TERRA DEL MIO ANTENATO!?! PER PUNIZIONE SCRIVERAI 1000 VOLTE:- IO SONO UN BALORDO E NON SO NEANCHE CHE COS’E’ IL BELERIAND!!!-” sbraitò Elrond “Adesso andate a mangiare: ne riparleremo domani.”

Tutti i giovani, tranne Aragorn, corsero fuori dalla classe rovesciando i banchi e le sedie e si precipitarono a mangiare, ma in mensa si fermarono inorriditi: per pranzo c’erano solo verdure e baccalà.

“Ma cos’è ‘sta storia? Perchè non c’è nemmeno un po’ di carne?” disse Legolas guardando con disgusto il baccalà ghiacciato.

“È inutile lamentarsi, Legolas, ti chiami così, giusto?” disse Aragorn arrivando con calma al tavolo del buffet “Beorn ama tutti i mammiferi e siccome mangia qui si arrabbierebbe alla vista di un prosciutto o qualcosa di simile.”

“Va bene, ma allora perchè non ci hanno dato pollo arrosto? Il pollo non è un mammifero!” si lamentò Eomer.

“Perchè il baccalà costa meno ed è più facile da trovare dato che vive nel fiume che passa in mezzo a Gran Burrone! Quindi mangiate senza lamentele o contravverrete alla regola 11!” disse Elrond che nel frattempo era entrato e stava prendendo del baccalà.

Con rassegnazione i sei giovani presero ciò che c’era e si sedettero a un tavolo per mangiare.

“Ma come facevi a sapere queste cose, Aragorn?” domandò Gimli.

“Beh, è molto semplice: io sono cresciuto quì.”

“Mazza che noia! Ogni giorno sto’ schifoso baccalà!” esclamò Legolas sollevando il pesce gelido e molliccio con le mani.

“Ma no, cretino! Il pesce c’è oggi perchè Beorn deve mangiare qua.”

“E di solito cosa c’è?” domandò Faramir.

“Tordo lessato!” sospirò Aragorn.

“Che schifo!” dissero gli altri in coro.

“Allora oggi ci è andata quasi bene.” disse Boromir.

“Come vorrei essere a casa mia!” sospirò Gimli.

“Beh, almeno qui è pieno di belle gnocche.” disse Legolas guardando il tavolo delle femmine. Ma fu subito punito da una righellata di Elrond sulla mano destra.

“Ma che ho fatto?!?” esclamò Legolas.

“Hai contravvenuto alla regola 93: non si guardano le ragazze!” disse Elrond dando un’altra righellata in testa a Legolas.

“E questa?” si lamentò il nostro eroe (vabbeh, lo chiamo così solo per non ripetermi).

“Perchè hai infranto anche la regola 25: non si usa un linguaggio scurrile.”

“Ma non ha detto che sono scorbutiche.” disse Boromir.

“Ho detto scurrile!” gridò Elrond colpendo anche Boromir.

“Vuol dire volgare.” bisbigliò Faramir al fratello.

“Comunque potrei invitarne qualcuna a un rodeo a Rohan.” disse Eomer.

“Regola 20: non si invitano le ragazze in alcun luogo!” disse Elrond colpendo anche lui.

“OK, Elrond, abbiamo capito ora puoi anche tornare a sederti.” disse Aragorn. Quando Elrond se ne fu andato, ricominciarono a parlare.

“Ma davvero sei cresciuto quì, Aragorn?” chiese Eomer.

“Sì. Purtroppo mio padre morì prima che io nascessi e fui ospitato con mia madre da Elrond, che è il mio pro-pro-pro-pro-pro-pro-pro-pro-pro-pro-pro-pro-pro-prozio. Mia madre è ormai morta da più di dieci anni e Elrond è tutta la mia famiglia.” disse Aragorn con tono da soap-opera.

“Ma allora sei parente anche di Galadriel?” chiese Faramir.

“Sì, ma molto alla lontana.”

“Senti, ma perchè non te ne sei andato da questo posto orrendo?” chiese Gimli “A casa del mio avarissimo cugino di quarto grado e zio Dain si mangia molto meglio!”

“Beh, perchè... ehm... ma sì avete capito, no?” farfugliò Aragorn sudando e indicando con cenni del capo Arwen, che era seduta a capo tavola del tavolo delle femmine.

“Sei... impazzito di noia?!” chiese Boromir.

“Ma no, cretino! È ovvio che si è innamorato di Arwen!” disse Legolas.

“Shhhh! Se mi sente Elrond mi legna!” bisbigliò Aragorn.  

 “Ma è la tua prima fidanzata, eh? Si vede che non sai come trattare i padri incacchiati.” disse Legolas con fare malizioso.

“Ah, sì? Perchè tu quante ne avresti avute?” chiese Gimli, guardando Legolas di traverso.

“Circa 1000... e tu, caro nanetto?”

“Fra noi nani il fidanzamento è una cosa seria! Quando ti fidanzi con una nana devono essere tutti d’accordo. Poi i familiari della fidanzata ti danno due abiti: uno per il matrimonio, che dovrà essere celebrato dopo 20 giorni, e uno per il tuo funerale, che sarà subito celebrato se ci ripensi!” disse Gimli di rimando “Perciò, siccome sono ancora giovane, non ho la minima intenzione di fidanzarmi. Immagino invece che fra voi elfi sia tutto più facile, eh?”

“In teoria no, ma in pratica... Insomma io sono figlio di re Thranduil, sono principe di bosco Atro, ho una valanga di soldi e sono anche molto figo... Perciò sia le donne elfiche sia le umane fanno la fila per me. Ma siccome nessuna di loro potrà mai piacere a mio padre, lui non mi obbligherà mai a sposarmi!” disse Legolas.

“A Rohan per conquistare una donna bisogna suonare il violino sotto casa sua, farsi vedere da lei mentre si compiono grandi imprese e riuscire a disarcionare suo padre o suo fratello. Perciò non è molto facile neanche per me che sono il nipote del re.” disse Eomer.

“A Gondor è usanza portare alla fidanzata o teste di orchetti per dimostrare il proprio coraggio...” disse Boromir.

“... o suonarle un’antica serenata per mostrarle la propria cultura.” concluse Faramir.

“Fra i raminghi non c’è nessun usanza, essendo che viviamo da soli.” disse Aragorn “Arwen si è innamorata di me perchè l’ho eroicamente salvata da centinaia di goblin.”

“Tutti da solo?” chisero in coro gli altri.

“Ehm... beh... a dire il vero no perchè mi ha aiutato Arwen, che sa tirare bene di spada...” disse Aragorn diventando rosso.

Pfff... AH, AH, AH, AH, AH, AH!!!!” risero gli altri.

“E questo sarebbe stato un grande salvataggio?!?” disse Legolas.

“Ma taci tu che certamente non avrai mai combattuto contro i goblin!” esclamò Aragorn.

“Per la precisione a Bosco Atro c’è solo la caccia al ragno gigante.” disse Legolas.

“Vivi a Bosco Atro? Allora, purtroppo, siamo abbastanza vicini.” disse Gimli.

“Perchè, tu dove vivi?” chiese Legolas.

“Sui Colli Ferrosi. Sono figlio di Gloin, re di quella regione.”

A questo punto cominciarono a raccontarsi da dove venivano e di che famiglia e stirpe erano.

Aragorn passava la maggior parte del suo tempo a Gran Burrone, la casa di Elrond. Per il resto girovagava per le terre del’estremo Nord.

Eomer viveva a Edoras, capitale di Rohan.

Boromir e Faramir a Minas Tirith, capitale di Gondor.

Beorn invece passava la vita in uno spazio indeterminato nel Nord della Terra di Mezzo, ma passava sempre la metà dell’inverno nella Carroccia, la sua casa, spiegò Aragorn che già conosceva il bestione.

Mentre i sei ragazzi parlavano, entrò Beorn, non prese nemmeno un piatto e si avventò sul pesce divorandolo in un secondo e lasciando il tavolo completamente vuoto (i cuochi non trovarono mai più il cucchiaio che avevano messo per prendere il baccalà!).

“Adesso capisco perchè Elrond fa tanta economia: con questo mangione qua il buon cibo sarebbe sprecato.” disse Eomer.

“SALVE RAGAZZI! SIETE PRONTI PER LA LEZIONE DEL POMERIGGIO?” esclamò Beorn dando una così terribile pacca sulla spalla a Legolas che gli fece sbattere la testa contro il piatto pieno di baccalà.

“Dai sù! Andiamo!” disse poi l’enorme uomo “Seguitemi!”

 E camminarono attraverso Gran Burrone, uscirono da Gran Burrone e si allontanarono da Gran Burrone. Mentre camminavano Gimli e Legolas, senza essere sentiti, discutevano di alcune cose.

“Ma quindi è tuo padre quello che ha messo nelle sue prigioni Gloin con i suoi 12 compagni nani? È proprio quel Thranduil?” chiese Gimli a Legolas.

“Sì, sì, proprio quello!” rispose Legolas, ignaro del pericolo.

“Erano anni che aspettavo questo momento.” disse Gimli e diede uno schiaffo a Legolas con un guanto “Ecco: io, Gimli figlio di Gloin, ti sfido a duello! Sta a te scegliere l’ora, il luogo e l’arma.”

“Ma mi fai proprio ridere nano! Comunque, va bene! Domani mattina all’alba nel cortile del discorso di Elrond e sarà una lotta a mani nude.” disse Legolas pensando che Gimli scherzasse.

“Però ci servirà un arbitro... Prenderemo Aragorn perchè non è ne scemo nè troppo ligio alle regole. Gliene parlerò stanotte.” concluse Gimli e si allontanò dall’elfo che ridacchiava.

Percorsero alcune miglia di campagna e di boschi, di pianura e di colline e alla fine, tutti esausti meno Beorn, si sedettero in una radura in mezzo agli alberi.

“Bene, ora che siamo arrivati, vi spiegherò il programma: nei giorni pari sarete con me per la lotta e i richiami dei mammiferi e in quelli dispari con lo stregone Radagast il bruno per studiare la lingua degli uccelli. Oggi si comincia con la lotta.” spiegò Beorn.

“Combatteremo contro di te?!?” chiesero in coro i giovani preoccupati.

“Ma certo che no! Ci arriverete per gradi alla mia forza.”

“Meno male!” sospirarono i ragazzi.

“Comincerete affrontando animali da me addestrati.”

“Ma così saranno fortissimi!” si lamentarono.

“Ma no! E inoltre gli dirò di non farvi troppo male. Bene! Toglietevi tutte le armi di dosso!” disse Beorn.

Quando si furono tolte le armi, Beorn fece uno strano verso (“Squuuoooiiit”) e dal bosco uscì un terribile... minuscolo scoiattolino con la coda rossa!

“E questo dovrebbe essere il nostro avversario?!?” disse Legolas e tutti si misero a ridere.

Cinque minuti dopo erano per terra doloranti e Beorn li stava incerottando, mentre rimproverava lo scoiattolo:“Non avevo ancora detto -via-! E poi ti avevo insegnato a non prendertela per le offese!”

“Ohi, ohi... ma è stato lo scoiattolo a ridurci così?” chiese Boromir.

“Sì. E la colpa è vostra: non dovevate offenderlo!” lo rimproverò Beorn “Per oggi basta con la lotta: è chiaro che siete stanchi. Ora passiamo alle lingue dei mammiferi.”

“Sarà meglio...” dissero in coro.

“Allora: questo è il richiamo dello scoiattolo: squuuoooiiit! Prova tu Aragorn!” disse Beorn.

“Squuuoit!”

Dalla boscaglia si sentì un fruscio e sbucò un enorme orso bruno che riempì di botte Aragorn e gli altri principi prima che Beorn riuscisse a calmarlo.

Come se ne fu andato, Legolas domandò:“Ma che cosa è successo? Perchè è arrivato quell’orso? E perchè non l’hai fermato, Beorn? Con le tue sberle potevi stenderlo subito!”

“È arrivato perchè Aragorn ha sbagliato e ha detto un insulto in orsesco. E non l’ho fermato subito perchè era mio cugino. Ho cercato di farlo ragionare, ma si è calmato solo dopo avervi pestati a dovere. Mi dispiace, ma la colpa è vostra! Anzi è di Aragorn che ha sbagliato: era squuuoooiiit, con tre “u”, tre “o” e tre “i”!” disse Beorn “Riproviamo!”

Alle sei del pomeriggio i giovani principi, malconci e pieni di lividi, tornarono alla casa di Elrond con Beorn.

Erano talmente stanchi e affamati che mangiarono il baccalà senza obiettare e andarono tutti a letto. Tutti? Beh, non proprio...

“Ohi, ohi! Dannazione a quello stupido Beorn e ai suoi richiami! Siamo stati malmenati da orsi, tassi, scoiattoli, cervi, stambecchi, capre, mucche, tori, montoni, vitelli, talpe, topi, cinghiali e lepri! E naturalmente tutti addestrati da Beorn... Non vorrei che volesse ucciderci...” pensò Legolas seduto sul suo lett... ehm, sulla sua branda “Devo scrivere una lettera alla mamma e una ai miei soci.”

Si sedette al tavolino e alla debole luce di una candela scrisse queste due missive.

 

Cara mamma,

Qui sto abbastanza bene. Il menù non è molto vario, Elrond è un brontolone e Beorn è un po’ manesco. Ma per il resto sto bene (meglio di ieri). I miei compagni sono simpatici, eccetto uno stupido e chiassoso nano. Mi mancano i tuoi tortellini alle erbe aromatiche!

Come sta Jordan, no, volevo dire John, il nostro maggiordomo? E Galadriel? E papà? Digli che non gli ho messo io il tasso nell’armadio!

Salutami la mia amata Melania.

 

Mae govannen!

 

Tuo figlio,

                 Legolas

 

 

Ad Araldin, Imlelil e Adrenalin,

Come butta ragazzi?

Der me non c’è malaccioo. Non posso poprio lamenttrmi, a parrte il fatto ch vaccio fatica a soppartare il cibo di qui. Cià lla cuicina deella madre di Imlelil mi manca! Non sapete cuuanto!

Salutii,

Legolas

 

Naturalmente tutti hanno capito il messaggio cifrato contenuto nella seconda lettera, vero? Bastava guardare gli errori. Li avete visti? Cosa vogliono dire? Che Legolas non sa scrivere??? In effetti è un’ipotesi anche questa, ma guardando bene le lettere sbagliate cosa si può capire? Lo vedete il messaggio, ora?

Vabbeh, eccolo: “Portare foglie qui.”

Legolas usava un codice perchè il commercio delle foglie era vietato da tutte le leggi e perchè Elrond in persona apriva ogni busta che usciva ed entrava a Gran Burrone (come peraltro era scritto nelle regole 103 e 104). Legolas sperava di ampliare l’estensione del suo impero commerciale delle foglie includendo Imladris e le terre più a Ovest. Elrond, Celeborn e suo padre cercavano sempre di acciuffare almeno uno dei suoi complici, ma i loro agenti fallivano sempre.

Legolas andò a letto e si addormentò. Ma a un certo punto bussarono alla porta.

“Ma chi sarà a quest’ora?” pensò Legolas, siccome erano le sei del mattino.

“Insomma apri, elfo della malora! Dobbiamo combattere!” tuonò Gimli fuori dalla porta.

“Cosa??? Ma io credevo che scherzassi!” disse Legolas aprendo la porta e ricordandosi del duello.

“Niente scuse, elfo! Se sei troppo codardo per combattere, sarai bollato d’infamia per l’eternità.” disse il nano.

“Che cavolo hai detto???”

“Insomma, ha detto che dirà a tutti escluso Elrond che sei un vigliacco.” disse Aragorn.

“Si, va bene. Fate così... Yawn... NO, ASPETTATE, ASPETTATE!!!” gridò Legolas vedendo che Gimli aveva già svegliato gli altri ragazzi e glielo stava per dire. Si alzò e andò nel cortile dove già c’erano tutti gli altri.

“Così mi dispiaci meglio, elfo! Combattiamo!” disse Gimli.

“Un momento!” disse Boromir “Ci vuole un arbitro.”

“Sì, l’arbitro sono io.” disse Aragorn.

“Neanche per sogno! Sarò io a fare l’arbitro!” esclamò Eomer.

“Ma tu non ci capisci niente di duelli, casomai di tornei a cavallo! Io sarò l’arbitro!” urlò Boromir.

“Zitto, cretino!” disse Eomer e Boromir gli diede un pugno nello stomaco. Così mentre Eomer e Boromir si pestavano, Faramir cercava di fermarli, Aragorn andava di soppiatto da Arwen e Legolas e Gimli parlavano in un angolo del cortile.

“...E così tuo padre Thranduil non ti sta per niente simpatico, eh?” disse Gimli.

“No, per niente. Mi diverto un sacco a fargli degli scherzi terribili come mettergli un tasso nell’armadio. E invece tuo padre Goin ti sta simpatico?” disse Legolas.

“Si chiama Gloin! Però hai ragione: mi sta antipatico quasi come il mio avarissimo zio Dain.” rispose il nano.

“Allora smettiamola di odiarci per dispute dei nostri genitori e voltiamo pagina: d’ora in poi ci odieremo solo per i nostri motivi! Ti va bene caro stupido nano?” disse Legolas.

“Benissimo, caro elfo sottosviluppato.” rispose Gimli, stringendo la mano a Legolas.

Nel frattempo il trambusto causato da Eomer e Boromir che si picchiavano aveva svegliato Elrond che, suonando il gong, aveva riportato tutti alla realtà.

“Smettetela di picchiarvi, cretini!” urlò Elrond “Cominciamo proprio male la giornata!” esclamò dopo averli fermati a suon di righellate.

 

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Capitolo 8
*** La punizione ***


Scusatemi se ci ho messo tanto ad aggiornare, ma in questi giorni ho anche cominciato a fare i compiti delle vacanze e poi ave

Scusatemi se ci ho messo tanto ad aggiornare, ma in questi giorni ho anche cominciato a fare i compiti delle vacanze e poi avevo delle idee, ma non mi veniva l’ispirazione per scriverle bene. Spero che questo capitolo vi piaccia, miei affezionati lettori!

Prima devo però rispondere ai generosi commentatori:

 

@beba7: Lo scoiattolo non è in vendita purtroppo, Beorn ci è troppo affezionato! Aspetta, aspetta! Vai più piano con queste regole, che me le devo segnare! Per ora, comunque, la consegna delle foglie è rimandata. Invece la punizione ci sarà subito!!!

 

@Suikotsu: Lo scoiattolo piace anche a te, vero? All’altra domanda ho già risposto via mail, ma forse in questo capitolo capirai qualcosa di più su Eomer.

 

@gittypanda: Non è un pazzo? Bella domanda... Le foglie non arrivano subito, come ho già detto. Faramir ha una famiglia particolare, in effetti! Più avanti (mooolto più avanti) penso di fare un capitolo per descriverla.

 

@Naki_ssj: Sono contento che ti piaccia! Io adesso la continuo, ma tu continui a commentarla, d’accordo?

 

Ed è necessario ringraziare quelli che hanno messo la mia fanfic tra i preferiti:

beba7
gittypanda
Kabubi
Naki_ssj
Sengir
sole a mezzanotte

 

Grazie, grazie mille!!!

E ora passiamo a...

 

 

                                                                                    La punizione

 

Elrond rinfoderò il righello di mithril, afferrò per le orecchie Eomer e Boromir e gridò:“Sarà possibile che anche alle sei del mattino facciate di tutto per infrangere le regole??? Voi due” continuò tirando i lobi dei due ragazzi “vi beccherete una bella punizione per aver infranto tutte le regole sul rispetto reciproco, sul divieto dei duelli e delle risse e sull’essere fuori dalla propria stanza dopo le 21 e prima delle 7!” Intanto Faramir, Legolas e Gimli, intuendo il pericolo che correvano, cominciarono a scivolare silenziosamente verso le loro cell... ehm, camere.

“In quanto a voialtri tre,” disse Elrond voltandosi di scatto senza mollare la presa su Eomer e Boromir “visto che siete anche voi fuori dalle vostre stanze, riceverete una punizione minore di questi due, ma ne avrete pure voi una! Sono davvero basito per il vostro comportamento! Soprattutto, sono deluso da te, Faramir! Gandalf mi aveva parlato così bene di te! Non credevo che ti saresti fatto coinvolgere da questi fannulloni indisciplinati.”

Faramir chinò il capo e mormorò delle scuse.

“Su, fratellino, non ti abbattere! Ma perchè hai detto che sei un basista, Eärendil?” chiese Boromir, aggravando notevolmente la sua situazione.

“Primo: io non ho detto che sono un basista, non sono mica un criminale come quelle canaglie che commerciano le foglie!” rispose il signore di Imladris guardando male Legolas “Basito vuol dire attonito.”

“E che vuol dire ‘attonito’?” domandò ancora il giovane uomo.

“Silenzio! Consulta un vocabolario!” continuò l’elfo tirandogli l’orecchio “Secondo: devi darmi del ‘lei’ perchè sono molto più vecchio di te. E terzo: non sono Eärendil! Sono Elrond figlio di Eärendil e di Elwing della casata di Thingol che sposò Melian la Maia e regnò sul Beleriand. Sono fratello di Elros che rinunciò all’immortalità per regnare su Numenor e che ebbe molti discendenti tra cui Arathorn e suo figlio Aragorn. Sono cugino di quarto grado di Galadriel, regina dei Galadrim, che sposò Celeborn. Ma lei è anche mia suocera perchè ho sposato sua figlia Celebrian. Sono Elrond, colui il quale da mille anni non esce da Gran Burrone. Colui il quale ha per questo scritto un libro:“La Noia assoluta”. Colui il quale è stato lasciato da sua moglie perchè lei lo accusava di essere troppo noioso. Colui il quale ha generato tre figli Elladan, Elrohir e Arwen, due dei quali sono scappati dopo mia moglie. Colui il quale ha visto crescere e morire i suoi mille parenti: Fingolfin, Finrod Felagund, Finarfin, Luthien, Beren Erchamion e Eärendil.”

Mentre ripeteva ancora il suo discorso introduttivo, si addormentarono tutti, compresi Boromir ed Eomer, nonostante avessero un forte dolore l’uno all’orecchio destro, l’altro al sinistro. Quando ebbe finito, Elrond si accorse che i due che stringeva per le orecchie dormivano appoggiati alle sue gambe e che gli altri tre pisolavano sdraiati per terra nel cortile.

“Oltre a trasgredire valanghe di regole si addormentano mentre parlo, contravvenendo così anche alla regola 88!” pensò lasciando andare i lobi dei ragazzi e togliendoseli di dosso “Questo è davvero troppo! Adesso suono il gong e gli appioppo una punizione di quelle che non se la scorderanno mai finchè vivranno! Ma... quale?” Elrond si fermò un attimo a pensare. In effetti non aveva neanche un’idea. “Potrei aspettare che crescano e poi farli partecipare a una missione terribile dove probabilmente moriranno. No, non posso far passare così tanto tempo. Devo trovare qualcosa di meglio...”

In quel momento arrivò nel cortile Beorn con un’espressione afflitta a dir poco. Il suo volto era l’immagine stessa della tristezza e del dolore.

“Salve Beorn! Che ti è successo?” chiese Elrond stupito.

L’uomo orso, senza neanche rispondere, si mise a piangere disperatamente appoggiando la testa sulla spalla dell’elfo.

“Buhuhuhuhu!!! Una tragedia!!! Sigh! Sob! Ero uscito un attimo da casa lasciando la porta aperta e un altro orso è entrato e mi ha rubato tutto il miele!!!! Buhaaaa!!!” disse piangendo.

“Su, su, non piangere, dai! Si può rimediare...” lo confortò Elrond tirandogli delle pacche sulla schiena e sperando di togliersi di dosso quell’enorme peso sulla spalla (che lo stava anche bagnando tutto con i suoi enormi lacrimoni).

“Nooo, non si può!!! Ho riempito di botte quell’orso, ma ormai si era mangiato tutto il miele!!! Buhuhuhu!! Ora come farò? Non posso andare io a cercarmelo perchè ho promesso ai signori tassi di badare ai loro figli per tre giorni, ma io non posso resitere senza miele per tre giorni!!! Buhaaaa!!!”

Mentre Beorn si disperava, a Elrond venne in mente un’idea geniale per prendere due piccioni con una fava.

“Non ti preoccupare, Beorn: ho io la soluzione a tutti i tuoi problemi!”

“Sniff, davvero?” chiese Beorn soffiandosi il naso nel vestito fradicio dell’elfo.

“Sì, ci penseranno i miei allievi a cercarti il miele nel bosco. Così tu potrai rimanere in casa ad accudire i piccoli tassi e, ti prometto, per stasera avrai di nuovo la tua scorta di miele!”

“GRAZIEEE!!!” gridò Beorn baciando Elrond in bocca “Allora io torno subito a casa. Ciao!” e si allontanò di corsa canticchiando qualcosa tipo:“Miele, dolce miele, stasera ti potrò di nuovo mangiare! Oh, mio dolce, dolcissimo miele, ti potrò con più delizia gustare!”

Elrond lo guardò allontanarsi completamente basito e cominciò a sputare per terra per togliersi di bocca la saliva dell’uomo orso.

Poi entrò nel suo palazzo, si affacciò al balcone e suonò il gong. I cinque addormentati nel cortile si svegliarono di soprassalto.

“Ora che vi siete svegliati, vi comunico che ho preso una decisione circa la vostra punizione.” disse Elrond mentre si alzavano “Oggi salterete le lezioni per tutto il giorno...”

“EVVAI!!! URRÀ!!! YUHUUU!!!”

“...e andrete invece nei boschi a cercare il miele per Beorn.”

“NOOOO!!!”

“Dovete procurargliene quanto gliene basti per tre giorni e cioè trenta vasi! E non cercate di approfittarne per scappare,” proseguì guardando soprattutto Legolas “perchè Beorn non ve lo perdonerebbe!”

“Ma perchè ci hai dato la stessa punizione a tutti? Si stavano picchiando loro due, io e Faramir non abbiamo fatto niente!” si lamentò Legolas.

“Già, io e Faramir non ci stavamo mica picchiando, non devi punirci allo stesso modo!” gli fece eco Gimli.

“Non è giusto per niente, Berlond!” concluse Legolas.

Elrond divenne rosso in viso e gridò:“Lo decido io ciò che è giusto o no! E soprattutto NON MI DOVETE CHIAMARE BERLOND, NON SAPETE CHE BERLOND VUOL DIRE BALORDO IN ELFICO ANTICO??? Con questo insulto avete violato la regola 4: dovete rispettare quelli più anziani di voi, e perciò vi siete meritati la punizione!”

“Complimenti, elfo...” iniziò Gimli, ma poi si ricordò che forse c’era una regola contro gli insulti e quindi era meglio lasciar perdere.

“Adesso andate a fare colazione e poi sbrigatevi a cercare il miele per Beorn senza altre lamentele.” Dal balcone Elrond li guardò allontanarsi. Fece per tornare a dormire, poi tornò subito ad affacciarsi. Osservò di nuovo i suoi allievi. Li contò. Erano cinque. Cinque???

“Dov’è  Aragorn?” chiese un po’ preoccupato.

“Ma dove vuoi che sia? Da A...” cominciò Boromir, ma Faramir lo zittì tappandogli la bocca con le mani.

“Aragorn è a letto nella sua stanza.” affermò sempre tenendo le mani sulla bocca del fratello. Ma, nonostante il suo tentativo di far tacere Boromir, non riuscì affatto a soddisfare Elrond con la sua risposta. L’elfo tornò in casa dal balcone e scese velocissimo nel cortile.

“Non credo per nulla che sia in camera sua. Ma se lo trovo dove credo, stavolta lo rovino sul serio!” gridò e corse verso le stanze dei ragazzi agitando un mazzo di chiavi.

“Meglio andare a mangiare in fretta, tra poco qui ci sarà un finimondo!”disse Legolas e gli altri annuirono andando veloci verso la mensa. Non appena entrarono, si sentì un ruggito tremendo, paragonabile solo a quelli di Beorn quando gli si rompe un barattolo di miele. Fu subito seguito da un urlo di eguale potenza:“ARAGOOORN!!!

Infatti Elrond aveva visto che la sua stanza era (ovviamente) vuota ed era corso alla velocità della luce in camera di sua figlia Arwen.

Mentre in mensa i cinque ragazzi mangiavano il baccalà, fuori Aragorn scappava inseguito dall’elfo che agitava il righello di mithril lanciandogli orribili anatemi.

“Maledetto erede di Isildur, figlio di Elendil! Possa tu fare la fine di Argeleb I di Arthedain! Se ti trovo ancora una volta a baciare Arwen, ti farò patire le sofferenze di Eärnur a Minas Morgul! Ti annegherò nel ghiaccio come Arvedui! Ti farò saltare in aria come Arveleg! Ti farò sbranare dai lupi come Aragorn I! Ma soprattutto, farò sì che tu non abbia figli, come Tarannon Falastur, Narmacil I e Eärnur!!!” gridava Elrond infuriato come una belva. Intanto i cinque giovani erano usciti dalla mensa ed erano andati in cortile.

“Certo che è incredibile: Berlond riesce a essere noioso anche quando è arrabbiato!” commentò Legolas osservando i due che correvano.

“Non per niente è un elfo pizzoso!” ribattè Gimli e Legolas fu tentato di tirargli un ceffone, ma poi pensò che non era una grande idea farlo di fronte a Berl... ehm, Elrond e che tanto avrebbe avuto tutta la giornata per combinargliene di tutti i colori.

“Cosa intendeva per ‘farò sì che tu non abbia figli’? Non intendeva quello che penso, vero?” chiese Eomer ridacchiando.

“Io credo di sì.” rispose Faramir ricambiando il sorriso.

“Già. He, he!” fece eco Boromir.

“Sentite, sarà meglio cominciare ad andare: non abbiamo molto tempo e io non ci tengo a farmi rimescolare le ossa da Beorn. E già che ci siamo, salviamo anche Aragorn, va’!” disse Legolas e si avvicinò a Elrond che stava correndo vicino a loro “Per portare il miele ci servirà un carro, ne hai uno?”

L’elfo si fermò di scatto. “Cos’hai detto? Ah, sì, la vostra punizione! Sì, c’è un carro nelle scuderie e i barattoli vuoti sono nelle cucine.” Detto questo, ripartì velocissimo all’inseguimento dell’uomo del Nord.

I cinque andarono nelle cucine e cominciarono a trasportare gli enormi barattoli di miele vuoti nella scuderia. Li appoggiarono sul retro di un semplice carro di legno scuro. Eomer cominciò a mettere i cavalli sotto il giogo per far trainare loro il carro, visto che era il più abile in questo genere di cose. Dopo si mise a salutare il suo cavallo e a parlargli della sua punizione. Quando tutti i trenta vasi furono sul carro, Faramir disse:“Noi siamo pronti a partire, ma Aragorn come lo salviamo?”

“Per questo ci avvarremo della grandissima abilità di Eomer!” rispose Legolas.

“E cosa devo fare?” chiese l’uomo di Rohan interrompendo la conversazione con il suo cavallo.

“Oh, una cosa molto semplice.” disse l’elfo e gli spiegò il suo piano.

Poco dopo, Faramir, Boromir, Legolas e Gimli, che era seduto nel retro insieme ai barattoli e perciò borbottava maledizioni contro gli altri che lo avevano costretto a sedersi lì, partirono sul carro fino ad arrivare a una delle porte di Gran Burrone. Da lì si usciva andando verso dei boschi alle pendici delle Montagne Nebbiose.

I quattro attesero finchè scorsero Aragorn che arrivava di corsa sempre inseguito da Elrond. A quel punto Legolas fischiò. Sentito il segnale convenuto, Eomer, che si era nascosto in un angolo del cortile, partì alla carica con il suo cavallo e afferrò Aragorn al volo, mettendolo in groppa al cavallo orizzontalmente tra la testa e la sella. Contemporaneamente, Faramir e Boromir frustarono i cavalli e insieme a Eomer lasciarono Gran Burrone di gran carriera.

Elrond, accortosi di aver perso la sua preda, gridò per la rabbia:“Per oggi ti è andata bene, ma non finisce qui, Aragorn, figlio di Arathorn II, figlio di Arador, figlio di Arathorn , figlio di Arassuil, figlio di Arahad II, figlio di Aravorn, figlio di Aragost, figlio di Arahad I, figlio di Araglas, figlio di Aragorn I, figlio di Aravir, figlio di...” e andò avanti ad elencare la stirpe dei re di Arnor fino a mezzogiorno, quando sua figlia Arwen gli si avvicinò e gli disse con compassione:“Papà, è pronto il pranzo.”

Lui allora decise che poteva bastare e andò a mangiare con sua figlia che lo guardava triste.

Ma torniamo ai nostri eroi (si fa per dire). Quando furono abbastanza lontani da Gran Burrone si fermarono in mezzo a un bosco e Aragorn potè scendere da quella posizione scomodissima a cavallo.

“Se non fosse che non ho mangiato niente, direi che mi viene da vomitare! Mi gira la testa in un modo pazzesco!” si lamentò Aragorn mentre barcollava cercando di stare in piedi.

“Intanto ti abbiamo salvato da Berlond e quindi ringraziaci almeno!” disse Legolas scendendo dalla cassetta del carro.

“Ah, sì... grazie...” ringraziò il ramingo ancora frastornato.

“E poi ti abbiamo portato con noi a fare una bella scampagnata per cercare del miele, cosa vuoi di più?” aggiunse Gimli ironicamente emergendo da sotto i barattoli di miele.

“Cosa? Perchè dobbiamo cercare il miele? Che cos’è ‘sta storia?” chiese Aragorn sbalordito.

“Beh, è semplice: Elrond ci ha beccati in cortile a causa del rumore causato da Eomer e mio fratello che si picchiavano e ci ha affibbiato come punizione il compito di cercare il miele per Beorn. Dobbiamo riempire trenta vasi e se non ci riusciamo entro stasera, l’uomo orso non sarà felice.” spiegò Faramir.

“Cioè ci spezzerà le ossa!” disse Boromir anche lui sceso dal carro come il fratello.

“Ma io non ho ricevuto questa punizione...” borbottò Aragorn.

“Sì, ma l’unica alternativa che hai è tornare a Gran Burrone a farti riempire di righellate da Berl... Elr... insomma, dal padre di Arwen! Quindi ti conviene aiutarci, altrimenti Beorn se la prenderà anche con te!” gli rispose Eomer un po’ arrabbiato.

“E va bene! Direi di dividerci in gruppi, così faremo prima. Ogni gruppo prenderà qualche vaso di miele e a mano a mano li riporterà qui al carro.” propose l’uomo del Nord. Così tolsero i cavalli dal giogo del carro, li legarono a un albero e si divisero in gruppi di tre: Faramir, Boromir e Eomer e Legolas, Aragorn e Gimli. Perchè Legolas e Gimli stavano in gruppo insieme? Ovviamente perchè speravano di farsi scherzi tremendi tutto il giorno! Aragorn, però, l’aveva capito subito e quindi si era messo nel loro gruppo per evitare che facessero troppi danni.

A questo punto ciascuno dei gruppi prese dei vasi e si diresse nel bosco in direzioni diverse. Eomer, però, prima di partire, raccomandò al suo cavallo, che aveva lasciato slegato, di venire a chiamarlo in caso di pericolo.

Dopo un po’ che camminavano, l’elfo, il nano e l’uomo videro un alveare sotto un alto ramo di un albero.

“La fonte del miele l’abbiamo trovata, ma ora come facciamo a prenderlo?” chiese Aragorn.

“Non ti preoccupare: ho un’idea.” affermò Legolas “Ma ci serve il nano!”

“Ehi, a che cos’è che servo?” domandò Gimli sospettoso.

“Niente di pericoloso, non preoccuparti!” rispose l’elfo piegandosi per arrivare all’orecchio del nano e potergli sussurrare il suo piano. L’uomo rimase a guardarli in silenzio, stupito che stessero collaborando. Poi Legolas disse a Gimli:“Hai capito?”

“Sì, tutto chiaro. Sarà un gioco da ragazzi!” rispose il nano e si avvicinò all’albero. Quando fu sotto il ramo a cui era appeso l’alveare, estrasse la sua ascia piccola e con tutta la forza che aveva la lanciò. Prese in pieno il sottile sostegno di cera che teneva l’alveare attaccato al ramo e quello cadde a terra.

“Ecco fatto!” disse Gimli “Però non mi hai spiegato bene cosa doveva succedere adesso...” In quel momento le api, infuriate per la caduta volarono addosso al nano.

“Beh, adesso devi correre! Ha, ha, ha!!!”

“Maledetto elfo bastardo!!! AAAH!!!” gridò Gimli correndo via inseguito dallo sciame di api.

“Legolas!” esclamò Aragorn arrabbiato.

“Che c’è? Sono riuscito ad allontanare lo sciame di api dall’alveare. Tu avresti saputo fare di meglio? Dammi una mano a prendere il miele, invece!” L’uomo avrebbe voluto ribattere qualcosa, ma decise che era meglio lasciar perdere. Legolas prese l’alveare e cominciò a svuotarlo dentro i barattoli che gli portava Aragorn. Quando il miele finì, il ramingo cominciò a riportare i barattoli sul carro. Legolas invece rimase seduto a terra appoggiato ad un albero senza fare niente perchè, secondo lui, aveva avuto l’idea e quindi aveva già fatto la sua parte del lavoro, oltre al travaso. Mentre l’elfo si riposava, Gimli fece finalmente ritorno. Aveva la faccia coperta di punture in ogni punto senza barba, baffi o capelli. Raccolse la sua ascia piccola da terra e guardò Legolas.

“Adesso gliela pianto nel petto e poi... Poi cosa? Se lo ammazzo il divertimento finisce subito. Accidenti! No, non posso farlo, morirei anch’io di noia! Questa volta me l’ha fatta lui, ma mi rifarò presto!” pensò il nano e ripose l’ascia sogghignando. Poi Legolas si accorse che era tornato.

“Oh, ciao! C’è da dire che il tuo aspetto, non potendo peggiorare, mi sembra che sia un po’ migliorato! Ha, ha, ha!!!” ridacchiò mentre si alzava.

“Ma di certo è sempre meglio del tuo!” ribattè Gimli.

“Basta! Siete incredibili! Litigate sempre! Scusa, Gimli, ma non avevo pensato che Legolas potesse farti un simile scherzo.” disse Aragorn appena tornato dal carro.

“Non fa niente, lo perdono. Ora sbrighiamoci a trovare altro miele!”

L’uomo e l’elfo si stupirono molto per questa risposta. Ma, siccome il nano aveva già cominciato ad allontanarsi nel bosco, lo seguirono senza ribattere. Aragorn portava dei vasi in braccio, ma erano così tanti che quasi gli impedivano di vedere dove andava, mentre Legolas camminava pensando a cosa avrebbe fatto Gimli per vendicarsi. Così nessuno dei due si accorse subito della scomparsa del nano.

“Ma dov’è finito il tappo?” chiese l’elfo guardandosi intorno.

“E che ne so? Io non ci vedo quasi niente con questi enormi barattoli di fronte agli occhi!” ribattè l’uomo fermandosi e appoggiandoli un attimo a terra. I due scrutarono in tutte le direzioni, ma non videro nessuno.

“Boh, speriamo che non si sia perso...” disse Aragorn un po’ preoccupato.

“Sperare è inutile con un nano deficiente come lui!” esclamò Legolas.

“Ehi, voi due! Cercate me?” chiese una voce dall’alto. L’uomo e l’elfo sollevarono la testa e videro Gimli su un ramo di un albero sopra di loro.

“Che ci fai lassù?” domandò Aragorn.

“Che domande! Prendo il miele!” Infatti a quel ramo era appeso un alveare. “Anch’io ho una bella idea, Legolas! Sta’ a vedere!” Gimli prese la sua ascia piccola dalla cintura e tagliò il sostegno dell’alveare. “Eccoti un bel po’ di miele, caro elfo!”

L’alveare cadde proprio addosso all’elfo e all’uomo, che scapparono entrambi inseguiti dalle api. Mentre correvano, Gimli scese dall’albero e raccolse il miele da terra per metterlo nei vasi. Dopo un’attesa abbastanza lunga, i due fecero ritorno. Erano anche loro coperti di punture come Gimli. Ma, oltre a ciò, erano sporchi di miele, dato che l’alveare, quando gli era caduto addosso, si era rotto. Legolas borbottava fra sè e sè qualcosa riguardo alla sua pelle rovinata e a un nano fatto a fette. Prima che il nano o l’elfo potessero dire qualcosa, Aragorn disse con tono serio e molto arrabbiato:“Statemi a sentire, voi due: adesso che siete pari voglio che la smettiate subito con questi scherzi idioti! Io non ce la faccio più!!! Almeno finchè dobbiamo stare insieme per cercare il miele dovete finirla! Altrimenti vi giuro che se non sarà Beorn, sarò io a rimescolarvi le ossa!!! SONO STATO CHIARO???”

Legolas e Gimli si spaventarono sul serio perchè era la prima volta che vedevano Aragorn così arrabbiato e non si fecero più scherzi per tutta la giornata.

“E poi muoio di fame!” aggiunse Aragorn “Non ho mangiato nulla a colazione e adesso è mezzogiorno!”

“Puoi sempre mangiare il miele che hai addosso.” propose Gimli e lui lo guardò male. Ma, in mancanza di meglio, dovette accontentarsi di quello.

Intanto anche gli altri tre avevano i loro problemi.

Infatti avevano trovato un alveare, ma non sapevano come fare a prendere il miele senza essere punti.

“Io ho sentito che le api vengono allontanate dal fumo.” disse Boromir.

“E quindi che vorresti fare?” chiese Eomer.

“Dare fuoco all’erba vicino all’alveare in modo che le api se ne vadano.”

“A me non sembra una buona idea. Io ne ho una migliore.” disse Faramir.

“A me invece sembra ottima, perchè a te no?” domandò Eomer.

“Perchè il fuoco è pericoloso e...”

“Pensi che non sappia neanche accendere un fuoco?” chiese Boromir arrabbiato.

“Il problema non è accenderlo, ma tenerlo a bada dopo che l’hai acceso!”

“Non siamo due incapaci! È una cosa semplicissima! Pensa pure alla tua idea, noi intanto prenderemo il miele per Beorn!” dissero insieme Boromir ed Eomer. Faramir si allontanò sospirando.

I due ragazzi presero un po’ di erba secca e alcuni legnetti. Si misero poco distanti dall’albero su cui si trovava l’alveare e cominciarono a sfregare fra di loro i legnetti. Dopo un po’ cominciò a venir su un po’ di fumo e alla fine si accese un vero fuoco.

“Ce l’abbiamo fatta! Alla faccia di Faramir!” esclamò Eomer e si dettero il cinque.   

“Già, la mia grande idea funziona! Tra poco il fuoco affumicherà le api e le farà fuggire!” disse Boromir felice.

“Ma... perchè viene verso di noi, allora?”

Infatti il fuoco non stava andando in direzione dell’albero, ma dei due cretini che lo avevano acceso senza tenere conto del vento, che soffiava verso di loro. In breve furono circondati dalle fiamme e sarebbero morti, se non fosse arrivato Faramir a buttare dell’acqua sul fuoco, spegnendolo in un punto e permettendogli di scappare.

“Faramir! Proprio al momento giusto!” esclamò Eomer, che aveva i pantaloni bruciacchiati in fondo.

“Grazie, fratellino! Ma dove hai trovato l’acqua?” chiese Boromir, che aveva la faccia tutta nera per il fumo.

“C’è un ruscello qui vicino. Sono andato subito a riempire un vaso del miele, temendo il peggio. Ora prendetene anche voi uno, dobbiamo spegnere il fuoco prima che diventi un incendio.” I tre corsero al fiumiciattolo guidati da Faramir e presero l’acqua. Dopo averlo fatto alcune volte, riuscirono a estinguere le fiamme.

“La mia idea era molto più semplice e meno rischiosa.” disse Faramir “Consisteva solamente nell’avvolgersi in un mantello con due fori per gli occhi, nel mettersi i guanti e nell’andare così coperti a prendere il miele dall’alveare. Esattamente come fanno gli orsi protetti dalla loro pelliccia!”

Per fortuna, questa volta gli altri due furono d’accordo con lui e in questo modo riuscirono a riempire molti barattoli. Boromir, che era il più alto, metteva le mani negli alveari e Eomer e Faramir reggevano i recipienti del miele.

Verso le sei del pomeriggio si ritrovarono tutti dove avevano lasciato il carro. Dopo essersi raccontati a vicenda le rispettive sciagure, Eomer fece i complimenti al suo cavallo per essersi comportato bene e Faramir e Aragorn contarono i vasi mentre gli altri li mettevano bene sul carro in modo che non cadessero.

“...ventotto... ventinove... e trenta!!!” esclamò Faramir.

“EVVIVA!!! CE L’ABBIAMO FATTA!!!” gridarono tutti felici.

“Portiamoli da Beorn, così poi potremo tornare a Gran Prigione a mangiare!” disse Legolas.

“Sì, andiamo!” gridarono ancora tutti.

Legolas, Faramir, Boromir e Gimli salirono sul carro (e Gimli fu messo ancora dietro tra i vasi di miele pieni adesso), mentre Aragorn e Eomer montarono sopra il cavallo di quest’ultimo (che fu un po’ provato dal peso di due persone). Poi partirono verso la casa di Beorn. Ci misero un’oretta ad arrivare.  La casa di Beorn era un’abitazione enorme sia per le dimensioni del suo abitante sia per la quantità di cibo che doveva contenere come scorte per l’inverno. Era in mezzo a una radura, vicino ad un fiume, lo stesso che passava in mezzo a Gran Burrone.

Non appena arrivarono videro l’uomo orso che si rotolava nel prato davanti a casa insieme a dei piccoli tassi. Poi anche lui si accorse di loro.

“Ragazzi! Mi avete portato il miele!!! Grazie!!!” gridò correndogli incontro.

“Sì, adesso però noi vorremmo tornare a Gran Burrone.” disse Aragorn.

“Come, non volete restare neanche un po’? Io e i tassini volevamo ringraziarvi!”

“Eh, no, ci aspettano e non possiamo fare tardi. Ci ringrazierai quando ci rivedremo a lezione.” gli rispose Faramir. Nessuno di loro voleva fermarsi perchè avevano tutti paura che i tassini fossero stati addestrati da Beorn e che quindi li riempissero di legnate.

“Ah, va bene. Ma... che vi è successo?” domandò accorgendosi solo ora delle punture di Aragorn e Legolas e delle macchie di miele sui loro vestiti e delle scottature e degli abiti bruciacchiati di Eomer e Boromir.

“Oh, niente. Solo qualche inconveniente nella ricerca del miele.” spiegò Legolas per evitare ulteriori domande.

“Mi spiace! Ora scarico il miele, così poi potete andare.”

Scaricò i trenta enormi barattoli molto in fretta, ma tirò giù dal carro anche Gimli. Dopo essersi scusato con lui per averlo confuso con un vaso di miele, salutò i nostri eroi, che finalmente tornarono a Gran Burrone.

Lasciarono il carro e i cavalli nella scuderia e andarono in mensa a mangiare baccalà senza dire niente.

Elrond, che li aspettava lì per acchiappare Aragorn e dargli una lezione, quando vide come erano ridotti tutti e soprattutto come era conciato il ramingo, decise di lasciar perdere e pensò che avevano imparato la lezione. Così gli augurò la buona notte e andò a letto lasciandoli soli.

Nonostante facesse schifo, i sei giovani divorarono il baccalà come se fosse una prelibatezza. D’altronde, se si ha fame qualunque cibo diventa buonissimo.

Avevano quasi finito di cenare, quando la porta della mensa si aprì.

Entrò una giovane elfa dalla pelle candida e dai capelli neri. Indossava una lunga veste nera con lunghe maniche rosse e una scollatura tonda. Tutti e sei si voltarono a guardarla e Aragorn esclamò con gioia:“Arwen Undomiel, mia adorata, mio unico amore, che vidi per la prima volta nei boschi di Imladris e...”

“E ti innamorasti follemente di me, sì. Ma devi salutarmi sempre così? Sembri mio padre!” lo rimproverò l’elfa.

“È  un vizio di famiglia...” si scusò il ramingo. 

“Spero che tu non lo trasmetta ai tuoi discendenti, perchè altrimenti tanto varrebbe restare qua a Gran Prigione!” scherzò Arwen avvicinandosi ai ragazzi.

“Ehi, l’idea di chiamare questo posto Gran Prigione è mia!” protestò Legolas.

“Ah, ciao Legolas! Sei sempre il solito cretino, vero?”

“Questa è la prima elfa che mi sta simpatica!” disse Gimli ridendo. Il figlio di Thranduil gli tirò un ceffone, il nano rispose con un pugno nello stomaco e cominciarono a pestarsi.

“Fateli smettere o sveglierete mio padre! Non credo che vogliate passare un’altra giornata come questa, vero?” domandò Arwen.

“Manco per sogno!” esclamarono gli altri quattro e divisero subito il nano e l’elfo.

“Ora che avete finito di fare i deficienti, ascoltatemi! Ho sentito da mio padre che eravate stati punti dalle api e che vi eravate bruciati e quindi vi ho portato questo.” disse Arwen estraendo dalla scollatura una boccetta “È un medicinale che ho preso in prestito da Gandalf. È in grado di curare tutte le ferite, punture, ustioni, scottature, lesioni e fratture multiple. Peccato solo che non renda più intelligenti, ma fa niente. Tieni.” diede la boccetta ad Aragorn “Distribuiscilo a tutti in maniera equa. Tranne che a lui, come si chiama, ah, Faramir, che non si è fatto niente. Complimenti, devi essere l’unico con un minimo di cervello!”

“Ascolta, amore, non è colpa mia se le api mi hanno punto! Sono stati quei due idioti che continuavano a litigare che...” cominciò a spiegare Aragorn.

“Ora non importa, usate il medicinale e guaritevi.” lo interruppe Arwen con voce dolce “Me lo racconterai un’altra volta...” L’elfa accarezzò il volto pieno di punture del ramingo e gli diede un bacio sulla guancia. Poi salutò e uscì in fretta.

“Certo che la tua fidanzata è una grande! Se tutti gli elfi fossero come lei...” disse Gimli dando una pacca sulla schiena ad Aragorn (alla spalla non ci arrivava).

“Mia cugina è solo una ragazzetta viziata! Ma devo ammettere che è utile a volte. Dacci l’unguento, Aragorn!” disse Legolas cercando di prendere la boccetta dal pugno serrato dell’uomo.

“Oh, ma che hai?” chiese Eomer.

“Perchè non ti muovi?” chiese Faramir.

“Perchè hai lo sguardo fisso?” domandò Boromir passandogli la mano davanti al viso.

“Mi ha baciato... a pochi centimetri dalle labbra...” disse Aragorn con un sorriso beato.

“Sì, siamo tutti felici per te, ma ora dacci la boccetta!” disse Legolas scuotendolo. Ma il ramingo era completamente perso e nè sentiva una parola di quello che dicevano nè si accorgeva che lo schiffeggiavano, lo sballottavano e lo punzecchiavano con le forchette. Poi a Gimli venne in mente cosa poteva svegliarlo dal suo stato di trance.

“Aragorn, Arwen dice che non ti vorrà più vedere se non ti togli quei segni delle punture dal viso!” gridò nelle orecchie dell’uomo del Nord.

“Cosa???” chiese lui preoccupatissimo.

“Oh, finalmente! Dacci il medicinale adesso!” esclamò Eomer. I giovani, eccetto Faramir, si spalmarono l’unguento sulle punture e sulle ustioni e poi andarono a dormire. Ma prima dovettero imbavagliare Aragorn, che si era messo a declamare le lodi della sua amata a voce così alta che rischiava di svegliare tutti a Gran Prigione, no!, volevo dire Burrone.

 

 

Attenzione: tutti coloro che leggono ma non commentano saranno riempiti di botte dai tassini di Beorn, a cui ho spiegato che l’orso che gli ha rubato il miele è stato mandato dai lettori anonimi!

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Capitolo 9
*** Radagast il Bruno ***


Allora, dai numerosi commenti sono emerse due cose in particolare:

Allora, dai numerosi commenti sono emerse due cose in particolare:

1)i tassini fanno paura a tutti (e vorrei vedere!)

2)l’inizio non invoglia a leggere o talvolta offende. E mi spiace, anche perchè ci ho messo una citazione di un poeta antico (a chi la indovina manderò a casa il righello di mithril di Elrond!). Dite che dovrei cambiarlo?

Mentre aspetto un vostro suggerimento, rispondo ai commenti:

 

@Suikotsu: Sì, probabilmente Beorn viene da lì. Ma perchè volevi che succedesse qualcosa di così brutto? Se Beorn li ammazzava la fanfic finiva qui!

 

@gittypanda: Probabile, visto che Legolas e Gimli adorano riempirsi di legnate. Per la bella sciarra devi aspettare... ehm, 30 capitoli. No, abbassa quel macete! Dai, facciamo 15! No, ferma! Aiutooo!!!

 

@sassisaxi: Oh, che bello, una nuova commentatrice! L’inizio non vuole offendere nessuno, eh! Sono contento che ti piaccia!! Ma... davvero ti metti a fare il fumetto? Che idea geniale!!! Mi mandi qualche disegno, allora?  

 

@beba7: Non ti preoccupare, non verrà nessun tassino a casa tua! Con il miele di Beorn è finita? Forse sì e forse no... Legolas non migliorerà, mi spiace, non v’è speranza!

 

@Eruyome: Un’altra nuova commentatrice! Grazie per il complimento! Ma non farmene troppi o potrei montarmi la testa! Per risponderti: sì, ho preso spunto dal trio di Aldo, Giovanni e Giacomo (come potevo evitare? La tentazione era troppo forte!). Ti chiedo una cosa io adesso: il tuo nickname è la traduzione in elfico del tuo nome vero?

 

Ringrazio le altre due che hanno messo la mia storia tra i loro preferiti:

 

dEiD the ArTiSt
Eruyome

 

Oggi verrà presentato un nuovo professore di Legolas, cioè...

                                            

                                                                                        Radagast il Bruno

 

La mattina dopo, quando si svegliarono, Eomer, Boromir, Legolas, Gimli e Aragorn scoprirono di non avere quasi più nessun segno delle loro varie punture e ustioni. Tolto il bavaglio all’erede di Isildur (che ricominciò subito a tessere l’elogio della sua fidanzata, ma per fortuna a bassa voce perchè non voleva essere sentito da Elrond), andarono tutti a far colazione e poi entrarono in classe.

“Nella giornata di ieri, mentre eravate fuori a scontare la vostra punizione, ho corretto i vostri test di lingue e devo dire che sono orripilanti a dir poco! C’è chi non ha azzeccato neanche gli esercizi sulla propria lingua!” disse Elrond con fare severo “Ora ve li restituisco, ma prima Legolas e Gimli devono consegnarmi il foglio su cui dovevano scrivere le frasi di punizione che ho assegnato loro l’altro ieri.”

L’elfo e il nano si guardarono a vicenda esterefatti: nessuno dei due se l’era ricordato!

“Su, avanti, consegnatemeli!” incalzò l’elfo anziano da dietro la cattedra.

“Ecco... Non è che io non abbia scritto tutte le frasi, ma non posso consegnare il foglio perchè ieri sera i tassini di Beorn se lo sono mangiato!” mentì spudoratamente Legolas.

“In tal caso sarò comprensivo: dovrai portarmelo per domani e dovrai scrivere mille volte, anzichè cinquecento, la frase, che era ‘Sono un principe elfico, non uno stupido scaricatore di porto di Esgaroth’.” Chiaramente Elrond aveva uno strano concetto della comprensione, oppure aveva capito subito che quello che gli aveva detto l’elfo biondo era una balla bella e buona.

“E tu, Gimli? Non sarà successo qualcosa anche al tuo foglio?” domandò al nano.

“Sì, no, beh, ehm... Il mio è stato mangiato da Beorn!” inventò Gimli, che non era mai stato molto bravo a inventare bugie.

“Ah, non sapevo che ultimamente il nostro caro Beorn includesse nella sua dieta anche la carta e l’inchiostro. Lo stesso vale per te, allora: mi porterai domani il foglio e ci dovrai scrivere duemila volte, al posto di mille, la tua frase che era ‘Io sono un balordo e non so neanche che cos’è il Beleriand’. E adesso vi distribuisco i compiti.” disse Elrond alzandosi dalla cattedra con un pacco di fogli in mano e cominciando a darli ai ragazzi “Legolas, hai sbagliato la parte sul dialetto della Contea, sull’orchesco, sull’elfico antico, sul Dunedain e sul nanesco. Stranamente conoscevi la lingua di Rohan e di Gondor, oltre a quella corrente e alla tua. Chissà perchè...” disse dando il compito al figlio di Thranduil. Il nostro amico conosceva quelle lingue perchè aveva vasti commerci di foglie in quelle zone e perciò aveva imparato come farsi intendere.

Aragorn invece, come Faramir, aveva fatto quasi tutto giusto (eccetto l’orchesco) perchè fin da piccolo aveva sentito tante lingue a Gran Burrone. Gimli aveva fatto un po’ più di errori come Eomer. Ma il peggiore era stato Boromir che aveva sbagliato quasi tutto eccetto l’orchesco, ma ci era riuscito per un colpo di fortuna: aveva scarabocchiato il foglio in un modo incomprensibile e per caso ci aveva azzeccato.

“Siccome vi siete comportati in maniera assai scorretta e siete andati così male nel compito, ho deciso di convocare i vostri genitori per comunicargli la situazione.” disse Elrond “Ma naturalmente farò venire solo quelli che possono: Thranduil, Gloin” borbottò annotandoseli sul taccuino “..., Arathorn non può perchè morto nelle nevi, Eomund è stato sbranato dai lupi, Denethor non si fida a venire... beh, gli manderò lo stesso una lettera... deve pur sapere come vanno Faramir e Boromir... speriamo che venga lo stesso. E soprattutto che non dia la colpa di tutto a Faramir!”

Poi ci fu un’altra lezione di storia nella quale Elrond passò un’ora a interrogare Boromir che non si ricordava più neanche dove abitava. Alla fine andarono tutti a mangiare mentre l’insegnante scriveva sul registro una nota su Boromir:“Mostra carenze così gravi, pur essendo solo al terzo giorno di scuola, che ho perfino il dubbio che abbia qualcosa sotto quei suoi capelli castani scompigliati.”

Nel pomeriggio al posto di Beorn avevano una lezione con lo stregone Radagast. Venne a prelevarli in mensa e li portò in uno spazio aperto appena fuori da Gran Burrone. I ragazzi osservarono lo strano personaggio con enorme curiosità fin dal primo istante. Era un vecchio con folti barba e capelli castani, un naso aquilino e due occhi sotto i quali si trovavano due borse grosse come montagne. Indossava solo vestiti color marrone: due stivali marrone scuro, dei pantaloni beige, una giacca marrone chiaro, un mantello un po’ più scuro e un cappello con due punte piegate in direzioni opposte. In mano teneva un bastone pieno di strani segni come di graffi lasciati da moltissimi artigli. Infine il cappello era pieno di cacche di uccelli. Quando si fermarono con quello strano figuro nella radura dove il primo giorno erano stati massacrati dallo scoiattolo, tutti si chiedevano perchè mai fosse conciato in quel modo.

“Salve, ragazzi. Io sono lo stregone Radagast il Bruno. Come vi avrà detto Beorn, vi insegnerò il linguaggio degli uccelli nei giorni pari, ma, siccome ieri avevate una punizione, cominceremo oggi.” bisbigliò lo stregone ai ragazzi.

“Cosa?” chiesero tutti. L’insegnante si avvicinò a loro fino a che il suo naso appuntito arrivò a sfiorare quello di Eomer.

“Ho detto che sono Radagast il Bruno e che vi insegnerò il linguaggio degli uccelli un giorno sì e uno no a partire da oggi.”

“Ma perchè bisbiglia, scusi?” chiese Faramir.

“Perchè gli uccelli sono incredibilmente attratti dalla mia voce.”

“Eh? Non si capisce niente, parli più forte!” disse Aragorn.

“Ho detto che gli uccelli vengono attratti dalla mia voce!” rispose Radagast un po’ spazientito.

“Gli uccelli vengono a tratti? Li dipinge?” chiese Gimli.

“No, gli uccelli sono richiamati dalla mia voce!” rispose più forte.

“Gli uccelli sono rianimati dalla mirnoce??? Cos’è la mirnoce?” chiese Boromir.

“Gli uccelli sono attirati dalla mia voce!!!” gridò Radagast arrabbiato. Subito dopo però, si rese conto del suo errore. Infatti si sentì da lontano un suono sempre più forte che aumentava di secondo in secondo. Sembrava il rumore di mille ali che venivano sbattute nello stesso istante. Ed era proprio così! Infatti prima che nessuno di loro ebbe il tempo di fare o dire qualcosa, arrivò da ogni parte una moltitudine di uccelli di ogni tipo e di ogni colore. In un attimo il cielo sopra la radura fu oscurato da piccioni grigi, corvi neri, passerotti rossi, falchi marroni dal becco giallo, anatre bianche, aquile maestose, cupi nibbi e colombe candide. Di certo un simile spettacolo avrebbe potuto suscitare lo stupore, la meraviglia e l’interesse di un ornitologo, ma su Radagast ebbe un solo effetto: la faccia gli si trasformò in una maschera di terrore.

“Oh, no! Via, andate via! Lasciatemi in pace!” gridò isterico agitando il bastone, ma i volatili sembravano non sentire ciò che diceva. Anzichè andarsene, si gettarono tutti su di lui e sui sei giovani. Ma non cercavano di beccarli o graffiarli, semplicemente volavano loro intorno e gli si posavano addosso. Radagast cercava in tutti i modi di scacciarli, ma gli si posarono lo stesso sul cappello sei piccioni e tre corvi e, quando mise il bastone orizzontale verso l’alto, le anatre, i falchi, le aquile e le colombe lo scelsero che loro appiglio. Per quanto agitasse il bastone i volatili non si staccavano e così lo lasciò cadere a terra e elaborò una nuova strategia.

“Scappiamo!” gridò ai ragazzi, anche loro duramente impegnati nella lotta contro i pennuti. E, dimentichi delle virtù che ogni grande eroe dovrebbe possedere, si trovarono tutti d’accordo con la tattica dello stregone. Fuggirono e fuggirono attraverso i boschi, ma gli uccelli non mollavano. Allora si nascosero in una caverna sotto le propaggini delle Montagne Nebbiose e riuscirono a far perdere le loro tracce.

“Ma perchè sono arrivati tutti quegli uccelli?” chiese Gimli.

“Perchè non se ne volevano più andare?” chiese Aragorn.

“Perchè la mia voce li attira! In qualunque luogo io sia, qualunque cosa io dica, loro sono sempre attratti dal suono delle mie parole. Questo è il potere magico che mi hanno dato i Valar e sinceramente avrei preferito qualcos’altro! Ogni volta che mi sentono, mi stanno addosso e non mi mollano più, giorno e notte! E io non ce la faccio! Sto andando incontro a un esaurimento nervoso!” spiegò lo stregone sottovoce e poi si mise a piangere sopra la giacca di Faramir. I giovani lo guardarono stupiti.

“Su, le poteva capitare di peggio!” disse Legolas con fare rassicurante.

“E poi non è necessario che parli, può anche usare il linguaggio dei gesti.” aggiunse Faramir, guardando preccupato la sua giacca.

“Hai ragione, è una buona idea. Grazie! Farò così d’ora in poi.” ringraziò Radagast sempre bisbigliando e soffiandosi il naso sul mantello del giovane.

“Ragazzi... Credo che questa caverna non sia vuota...” disse Eomer indicando con apprensione due orsi e tre orsacchiotti sbucati fuori dal buio.

“Quell’orso mi è familiare...” disse Aragorn indicando l’enorme orso bruno che ruggì a sua volta nel vedere l’uomo del Nord. Infatti era l’orso che due giorni prima era stato insultato per errore dal giovane durante la lezione di Beorn.

“SCAPPIAMO!!!” E per la seconda volta i giovani e lo stregone si dimenticarono degli antichi valori e voltarono la terga di fronte alla pugna (cioè scapparono a gambe levate, ma detto così suona meglio). Uscirono dalla caverna molto velocemente e arrivarono a Gran Burrone sempre di corsa, inseguiti dalla famelica famiglia di orsi.

 

Commentate o stavolta saranno gli uccelli di Radagast a piombare dal cielo sulla vostra testa, malvagi lettori anonimi!

 

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Capitolo 10
*** Tali figli tali padri ***


Tali figli tali padri

Risposte ai commenti:

 

@Suikotsu: Ora sono tornato, comunque. Radagast in effetti è un po’ sfigato, ma visti gli standard di sfortuna tra gli altri personaggi...

 

@gittypanda: No, non ci viene! Gli antichi valori, già... Boh, non so cosa siano, ma Tolkien ne parla spesso... Vai pure avanti con le recensione chilometriche, non si appalla nessuno!

 

@Mishka: YAY! I tassini e gli orsacchiotti non sono disponibili al momento, sono in vacanza nell’Eriador. Berlond assomiglia a un po’ tutti i professori noiosi, pignoli, crudeli e soporiferi, quindi non mi stupisce che ti sembri di aver incontrato un suo gemello!

 

@beba7: Per i vari animali devi chiedere a Beorn, ma credo che accetterà un pagamento solo in barattoloni di miele! Gli hobbit non si vedranno mai! (Frodo:- Ma come??? Dai, per favoooore!) E va bene... Ma molto, molto, moooooooooooooolto più avanti! Il commercio di Legolas tra pochissimo, invece.

 

Un grazie anche a chi mi segue senza recensire!

 

 

                                                                              Tali figli tali padri

 

Il giorno successivo fu praticamente uguale al primo.

Tranne che per il fatto che la sera stavano arrivando da Elrond per il colloquio Thranduil con sua moglie Natail e Gloin con sua moglie Diìana.

Il re elfico, armato da capo a piedi, entrò nella classe per primo con sua moglie, accolto calorosamente da Elrond.

“Carissimo Thranduil! Che gioia vederti così... in tenuta da guerra?” disse Elrond lanciando un’occhiata perplessa al suo abbigliamento.

La corazza da battaglia comprendeva: una doppia armatura in mithril, un lungo spadone legato alla cintura, la faretra colma di frecce a tracolla sulla spalla, l’arco stretto nella mano sinistra, cinque pugnali di lunghezze differenti nascosti fra gli abiti, mantello dell’invisibilità sulle spalle e una lunga lancia affilata nel pugno destro. Thranduil non si scompose minimamente e rispose con voce ferma:“Caro Elrond, quando devo incontrare mio figlio preferisco essere preparato. Così mi sento più sicuro.”

“Non dire sciocchezze, tesoro!” lo interruppe Natail “Sono molto felice di vederti Elrond. Possiamo cominciare subito il colloquio?”

“No, mia signora, dovete essere pazienti, sua nanezza ha detto che sarebbe arrivato più tardi di voi.”

“NANI?” esclamò Thranduil, che dopo essere stato interrotto, aveva perlustrato la sala con gli occhi, come se sperasse di vedere suo figlio nascosto a origliare, e che chiaramente non provava molto interesse per la conversazione.

“Elrond, non mi avevi detto che ci sarebbero stati nani al colloquio.” disse Thranduil.     

“Sì, ma non ti preoccupare.” disse Elrond fissando con apprensione la lancia di Thranduil “Voi aspettate qui e io attendo gli altri fuori.” Così dicendo, Elrond uscì, lasciando soli Natail e Thranduil.

“Che scandalo! Ci sarà certamente una di quelle nanesse con la barba! Mi raccomando, Natail: non ci parlare, non ci comunicare, non aprire bocca, sta’ zitta!” disse Thranduil.

“Eeh! Ho capito! Non sono mica scema!” rispose la moglie ignorandolo.

Nel frattempo, Gloin, un nano calvo, ma con una folta barba rossa come il figlio e con un enorme martello in mano, e Diìana, che non aveva la barba come aveva immaginato Thranduil ed era anche più magra del marito, erano finalmente arrivati a Gran Burrone. Lungo la strada per raggiungere Elrond, il nano raccomandò:“Diìana, mi raccomando, ho saputo che al colloquio ci saranno degli elfi! Non voglio assolutamente che tu abbia contatti con loro! Non ci parlare!”

“Che noia!” rispose Diìana ignorandolo.

“Piacere di vedervi finalmente, vostre nanezze! Com’è andato il viaggio?” disse Erlond facendosi avanti.

“Molto bene, grazie. Potremmo vedere Gimli?” rispose Diìana.

“No, al momento sta dormendo. Era proprio stanco come tutti perchè oggi Beorn gli ha insegnato come parlare con i tassi e le hanno prese di santa ragione. Ma accomodatevi, prego, gli altri genitori sono già arrivati.” rispose Elrond.

“Fantastico! Meno lo vedo, meglio è! Deve dei soldi a tutta la famiglia!” disse Gloin entrando nella sala.

“Chi, Legolas?” chiese Thranduil.

“Non so di cosa tu stia parlando, elfo! Mi riferivo a mio figlio: la più grande disgrazia che mi sia capita...” ma qui Gloin si interruppe alla vista di ciò che stava succedendo nella sala.

“Natail, cara! Che gioia vederti! Non sei invecchiata di un giorno!” esclamò Diìana abbracciando la moglie di Thranduil.

“Ma guardati sei così magra! Hai seguito la mia dieta, vero? Dovresti vederti: stai benissimo! Oh, mi dispiace di non aver risposto alla tua ultima lettera, ma il tuo piccione era in condizione un po’... drammatiche!” rispose Natail sorridendo felice, mentre tirava fuori dalla borsa un pennuto con un’ala ingessata.

“Oh, cielo! Povero piccolo Trees! Eh, io l’avevo detto a mio marito che dovevamo curarlo, ma lui è il solito spilorcio...” rispose Diìana sospirando.

“Ehi!” gridò Gloin appena ripresosi dallo sgomento.

“Ma come! Voi... voi due... vi... vi conoscete?!?” esclamò Thranduil balbettando per la rabbia.

“Mi hai tolto le parole di bocca, elfo.” disse il nano “COME, VOI VI CONOSCETE???” sbraitò Gloin.

“NON ALZARE LA VOCE CON ME!” ribattè Diìana estraendo il mattarello dalla borsa a tracolla; il marito indietreggiò e lei riprese più tranquilla “Certo che la conosco! E la conosci anche tu!”

Thranduil sbiancò:“COME?!?”

Fu la volta di Natail di alzare la voce:“CERTO CHE MI CONOSCE! POSSIBILE CHE NON TI RICORDI PIU’?!?”

“Che dovrei ricordare, scusa?” chiese Thranduil un po’ offeso.

“DELLA LOCANDA DI PONTELAGOLUNGO, NO?!?” risposero Natail e Diìana insieme. Capisco che questo discorso sia un po’ oscuro e possa causare alcune domande (Quale locanda? Perchè mai sarebbe importante una locanda? A che ora si cena?), ma per adesso vi basti sapere che la locanda di cui stanno parlando è il luogo dove Natail aveva lavorato per fare un dispetto a Thranduil e dove Gloin aveva incontrato Diìana per la prima volta. Naturalmente nè Thranduil nè Gloin se ne ricordavano, ma capirono dall’aria minacciosa delle mogli che sarebbe finita piuttosto male se non avessero finto di ricordare.

“Ceeerto, la locanda... sì... ovvio, vero tappo?” disse Thranduil, ammiccando verso Gloin.

“Uh? Ah, sì, sì, sì, certo, la locanda... Come dimenticare, caro pertica?” aggiunse Gloin ammiccando verso la moglie. Thranduil gli tirò una gomitata che però lo colpì sulle spalle e il nano smise di ammiccare. Ne seguirono lunghi minuti di silenzio. Gloin e Thranduil si squadrarono a lungo, dagli stivali in cui si nascondevano tre pugnali a testa alle lunghe orecchie a punta o, nel caso di Gloin, alla zucca pelata. Elrond cercò di prendere la parola, ma fu come se qualcosa scattasse nelle menti dei due sovrani. 

“Mi ricordo di te: sei quello stupido re elfico che mi ha gettato nelle sue fredde segrete solo perchè attraversavo il suo lurido bosco pieno di ragni giganti con 13 amici e parenti!” sbraitò Gloin rivolgendosi a Thranduil.

“Come osi?!? Avevate cominciato voi attaccando la mia gente che festeggiava nel bosco! Vi ho sbattuti in prigione perchè non mi avete spiegato il motivo della vostra presenza nel mio bellissimo bosco.” urlò più forte Thranduil “E ora che ci penso non mi avete mai pagato il pedaggio per il transito nel mio regno!”

“Cosa??? Pretendi anche che ti paghi per avermi sbattuto in una gelida segreta???” esclamò il nano diventando paonazzo.

Mentre quei due continuavano a litigare, Elrond si era messo a piangere lamentandosi per il fatto che fosse impossibile parlare civilmente e Natail e Diìana avevano ripreso a parlare in un angolo.

“Ricordi i bei tempi alla locanda?” chiese Diìana.

“Sì, tu stavi al banco e io intrattenevo i clienti.” disse Natail sorridendo maliziosa “Ma dimmi, come va a casa tua? Te l’ho già detto che sei in forma? E poi quel vestito ti sta benissimo!”

“Oh, una cosa da niente! Ma anche il tuo è stupendo! Le stoffe elfiche sono sempre le più belle. Ma mi avevi scritto riguardo qualche problema con la servitù?” rispose Diìana.

“Sì, i miei maggiordomi si licenziano tutti inspiegabilmente... quello attuale si chiama Jhons o qualcosa del genere e quello vecchio Gullonion credo.” rispose Natail.

Contemporaneamente da Bosco Atro si levarono due grida all’unisono:“IO MI CHIAMO JAMESGALION!!!

Nel frattempo Thranduil e Gloin avevano cominciato a picchiarsi, ma Elrond li fermò con il mitico righello.

“Vergogna! Vi picchiate come dei bambini! Come i vostri figli!” li sgridò Elrond “E’ proprio vero: tali figli, tali padri.” sospirò poi sedendosi “Devo comunicarvi i risultati dei vostri figli e...” ma non potè finire la frase perchè entrò Idrel trafelato dicendo:“Allarme rosso-blu!”

Non appena lo sentì, Elrond prese una mazza chiodata da sotto la cattedra e uscì con lui borbottando:“Stavolta lo farò capire ad Aragorn che non deve avvicinarsi ad Arwen!”

Rimasti soli, i genitori ricominciarono a parlare.

“Se Legolas è andato male anche stavolta io lo...” cominciò Thranduil.

“Tu niente! Ti ricordo che anche tu da piccolo non andavi bene a scuola!” gli urlò sua moglie.

Non davanti ai nani, cara!” le sussurrò Thranduil.

“Non ti preoccupare Thranduil! Anche Gloin aveva una testa dura come una roccia quando andava a scuola!” disse Diìana.

Ma cara!” le bisbigliò Gloin.

In quel momento sentirono dei rumori da fuori: erano Legolas e Gimli che si picchiavano sia per distrarre Elrond e per dare il tempo ad Aragorn di sfuggirgli sia perchè si erano insultati di nuovo. Allora i due padri si tuffarono nella mischia insieme a Elrond per dividere i figli.

Il rumore richiamò Eomer e Boromir che si decisero di partecipare alla rissa. Dopo un po’ anche Beorn sentì il frastuono e smise di coccolare i piccoli tassi. Appena arrivò li stese tutti come al solito e che si mise a dormire subito dopo.

“Accidenti! Legolas, Gimli, Thranduil e Gloin che se le sono appena date di santa ragione. È proprio vero: tali figli, tali padri!” disse uno sconosciuto dall’ingresso di Gran Burrone.

 

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Capitolo 11
*** Il processo - Parte prima ***


Salve a tutti, sono tornato con l’attessimo seguito

Salve a tutti, sono tornato con l’attessimo seguito! (atteso da chi?ndtutti)

Prima rispondo a coloro che gentilmente e assiduamente commentano:

 

@Strowberry_sin: Grande! Una nuova lettrice, evviva! Speriamo che tua madre non chiami di nuovo il 118, hanno da fare all’ambulanza!

 

@Suikotsu: Grazie mille!

 

@gittypanda: Adesso basta!!!! Non è Denethor!!!! Questa è l’ultima goccia! Guarda, il capitolo con Denethor sarà il seicentesimo, se non la finisci, capito????

 

@Mishka: Come, e il tasso nell’armadio te lo sei già scordato? E poi molti altri, ne parlerò in seguito!

 

@beba7: Bene, sono contento che ti sia piaciuta!

 

Ringrazio anche coloro che leggono senza recensire (moriranno mooolto lentamente!).

 

 

                                                                                 Il processo – Parte prima

 

Qualche ora dopo, grazie alle cure di Natail, Diìana e dello sconosciuto, rinvennero tutti.

“Che piacere rivederti, Glorfindel! Che cosa ti porta qui a Gran Burrone?” disse Elrond allo sconosciuto, che era Glorfindel, lontano nipote di Elrond ed eroe in varie guerre contro gli orchi e i goblin. Era un elfo con i capelli biondi quasi bianchi e con una fisionomia facciale simile a quella di Legolas.

“Può darsi che sia venuto solo per vedere ancora la bellezza della tua casa, mio nobile arciprozio, oppure solo per darti in ritardo il tuo regalo di compleanno da parte di Galadriel.” rispose Glorfindel porgendo a Elrond un pacchettino contenente un’orrenda statuina rococò superkitsch.

“Vedo con dispiacere che i gusti di mia suocera non sono migliorati, eh?” disse Elrond sarcastico notando il maglione violetto con una “G” arancione ricamata al centro che indossava il suo interlocutore.

Il mattino dopo i genitori di Legolas e quelli di Gimli se ne andarono da Gran Burrone per la gioia di Erlond che non poteva sopportare tutti quei casinisti.

Poi la scuola riprese e così i nostri eroi continuarono le lezioni di Elrond, con infiniti nomi e date da ricordare, quelle di Beorn, con legnate e risse continue, e quelle dello stregone Radagast il Bruno, con uccelli molto incavolati dal momento che continuavano a sbagliare i richiami.

Insomma, la vita ritornò a essere normale, o quasi, finchè una sera a cena Elrond chiese a Glorfindel di raccontargli cosa aveva fatto nei tanti anni in cui non si erano visti.

“Beh, ho fatto molte cose, caro zio, e non credo di poterle raccontare tutte... mi ricordo che una volta tre anni fa stavo passando attraverso Dale, la città nella Valle sotto la Montagna Solitaria, e ho visto Bard, il re degli uomini di Valle, che inseguiva un elfo del quale non mi ricordo bene il nome... lo inseguiva perchè aveva distrutto mezza città e...” in quel momento Glorfindel si irrigidì guardando Legolas che tirava il suo cibo addosso a Gimli. “Ma certo! È lui!” urlò indicando il nostro eroe “Fu lui a fare quel disastro senza mai essere punito!” gridò alzandosi e cominciando a inseguire Legolas che si era messo a correre quando aveva sentito che si parlava di lui.

“Beorn, fermalo!” ordinò Elrond e l’uomo orso diede a Legolas uno dei suoi proverbiali sganassoni.

Alcune ore dopo, Legolas si svegliò in una segreta buia e fredda, dove non entrava la luce del sole (anche perchè era notte).

“Accidenti! Sono in un brutto guaio! E solo per quel lontano episodio di tre anni fa...” pensò Legolas. Infatti era stato davvero lui a distruggere mezza città di Valle tre anni prima facendo perdere le sue tracce.

“Legolas, Legolas sei sveglio?” disse Aragorn comparendo dal buio con una candela.

“Come hai fatto a venire qui?” chiese l’elfo.

“-Tutti quelli che vogliono parlare con l’imputato possono farlo- mi ha detto Elrond e così sono venuto.” rispose l’uomo del Nord “Legolas, la situazione è peggiore del previsto.”

“Che vuoi dire? Peggio di così... e comunque non lo è per te!” disse Legolas.

“E invece sì! Devi sapere che Elrond vuole che Glorfindel sposi Arwen al posto mio e sembra che lui sia d’accordo!” disse Aragorn disperato.

“Ma tanto Arwen non è d’accordo, no? E allora...”

“E allora Elrond la obbligherà!” lo interruppe Aragorn “Perciò sono venuto a proporti un patto: io ti farò da avvocato al processo e tu mi darai delle idee per screditare Glorfindel agli occhi di Elrond. Ti va bene?”

“Secondo me ti preoccupi troppo: mia cugina di chissà quale grado non è certo una che si fa mettere i piedi in testa e poi adesso è a Lorien, molto lontano da qui. Quando tornerà dirà di no e finirà lì. Non hai nulla di che temere.”

“Insomma, Legolas, io non voglio avere nessun rivale, chiaro? Accetti il patto o no?” incalzò l’uomo del Nord.

“Certo che sì. Ma ci sarà davvero un processo? E chi sarà il giudice?” domandò Legolas.

“Elrond. E Glorfindel farà l’avvocato d’accusa.” rispose Aragorn “E nella giuria ci sarà Gimli.”

“Sono proprio decisi a condannarmi allora. Ma deve ancora nascere l’elfo, l’uomo o il nano che dimostrerà la mia colpevolezza!” esclamò Legolas.

“Allora sei stato davvero tu! Sarà più difficile del previsto in tal caso.” disse Aragorn e se ne andò.   

Il giorno dopo Legolas fu condotto legato come un salame in una grandissima sala interna a Gran Burrone che era stata disposta per ospitare un tribunale. Infatti c’era una scrivania del giudice in fondo e a lato la tribuna dei giurati. Dopo che il principe si fu seduto al banco degli imputati, Elrond, seduto sul seggio del giudice, disse:“Oggi, 27 settembre 29**, siamo qui riuniti per decidere la colpevolezza dell’imputato Legolas figlio di Thranduil della dinastia degli Elfi Sindar. Prima di iniziare, signor Legolas, ci può dire chi sarà il suo difensore?”

“Sarò io.” disse Aragorn, uscendo dal pubblico.

Molto bene. Avvocato della pubblica accusa Glorfindel, a lei la parola.” disse Elrond con un sorrisetto maligno.

“Grazie.” disse Glorfindel “Le accuse che muovo contro l’imputato sono le seguenti: distruzione quasi completa della città di Valle, attentato alla vita di re Bard e di re Dain II Piediferro e spaccio di foglie di Bosco Atro. Infatti ho il grave sospetto che El comerciador, il misterioso individuo che commercia foglie in moltissimi luoghi, e l’imputato Legolas siano la stessa persona. Comincierò col provare che fu proprio Legolas a distruggere la città di Valle e ad attentare alla vita dei due re già citati tre anni orsono. Per questo fate entrare il mio primo testimone!” concluse Glorfindel e nella sala entrò un uomo alto, bruno e dall’aspetto fiero, re Bard.

“Vostra Altezza re Bard, vuole raccontarci cosa successe esattamente il 20 giugno del 29**?” chiese Glorfindel.

“Sono qui per questo!” disse il re con un tono un po’ seccato “Quel giorno stavo compilando delle scartoffie, come sempre, e così restai chiuso nel palazzo per quasi tutta la mattina. Poi, verso le 11, sentii dei rumori e, affacciandomi alla finestra, vidi un elfo che rotolava giù dalla scalinata davanti alla porta della reggia sotto la Montagna dei nani. Me ne stupii molto e mi riproposi di andare da re Dain per chiedergli una piegazione per un trattamento del genere. Mi ero appena rimesso a scrivere quando sentii un baccano infernale, come se fosse crollato un edificio, e, quando mi affacciai alla finestra, vidi le macerie della taverna centrale di Dale e un elfo che si allontanava indisturbato. Subito pensai:-Per tutti gli smeraldi del mio antenato Girion! Quell’elfo mi dovra molte spiegazioni!- e, radunati dei soldati, uscii dal palazzo. Purtroppo, proprio quando i nani usciti dalla Montagna e i miei soldati stavano per prenderlo, quel demonio mi fece rovinare addosso un’altra taverna. Mi salvai per miracolo anche se rimasi intontito per ore.”

“Re Bard, lei riconosce nell’imputato Legolas l’autore di quel misfatto?” chiese Glorfindel.

“Certo, è proprio lui!” esclamò il re osservando Legolas per la prima volta e gli saltò addosso cercando di strozzarlo.

“Silenzio! Ordine! Beorn dividili!” urlò Elrond e l’uomo orso, vestito da agente del servizio d’ordine con un’uniforme che gli stava strettissima, staccò Bard dal collo di Legolas.

“Non ho altro da aggiungere, vostro onore elfico.” disse Glorfindel.

“Avvocato Aragorn, vuole reinterrogare il teste?” chiese Elrond.

“Certo.” disse Aragorn “Re Bard, lei dice di aver battuto la testa, giusto?”

“Sì.” disse il re.

“Perciò, signor giudice, è chiaro che non possiamo accettare la sua testimonianza come valida, essendo che il teste non possedeva le sue complete facoltà mentali mentre accadeva il fatto.” disse Aragorn.

COSA!?! COME OSI!!!” sbraitò Bard “Ho detto che prima ho visto l’elfo e poi mi è caduta la taverna addosso! E inoltre non è che se ne vedano tanti di elfi a Dale e perciò la sua faccia mi è rimasta molto impressa.”

“La sua domanda, avvocato, è stata provocatoria e priva di fondamento perciò ne terrò conto a sfavore del suo protetto.” disse Elrond “Avvocato della difesa vuole far entrare un suo testimone?”

“Certo. Fate entrare Illilel.” disse Aragorn e dalla porta entrò Boromir camuffato da elfo, con capelli biondi finti e orecchie a punta finti. Legolas si battè la mano sulla fronte pensando:“Perchè non ho scelto di difendermi da solo?”

“Signor Illilel, può dirci cosa ha fatto esattamente il 20 giugno 29**?” chiese Aragorn.

“Ehm, sì... ho giocato a schacchi elfici tutto il giorno con Legolas.” disse Boromir cercando di ricordarsi ciò che Aragorn gli aveva detto di impararsi a memoria.

“Perciò, signor giudice, è impossibile che Legolas abbia distrutto mezza Dale quel giorno.” disse Aragorn.

“Avvocato Glorfindel, vuole reinterrogare il teste?” disse Elrond.

“Certo.” disse Glorfindel con uno sguardo perfido “Signor Illilel vuole dirmi quali pezzi degli scacchi elfici muovono solo in diagonale?”

“Obiezione, vostro onore!” disse Aragorn “La domanda non è attinente all’argomento!”

“Obiezione respinta.” disse Elrond “E lei risponda alla domanda, avanti.” aggiunse rivolgendosi a Boromir, che si contorceva le mani impacciato.

“Ehm... ah... ehr...” farfugliò l’uomo “Aragorn, in quale foglietto mi hai scritto la risposta a questa domanda?”

“Zitto, idiota!” bisbigliò Aragorn mentre Legolas si batteva la mano sulla fronte di nuovo.

“A proposito, quando mi paghi per questo lavoro?” chiese Boromir senza accorgersi del disastro che stava causando.

“Vostra elficità, il testimone è un impostore!” esclamò Glorfindel.

“Ha ragione, avvocato. Guardia! Arresta Aragorn e il falso testimone Boromir!” disse Elrond.

“Subito!” disse Beorn colpendo Aragorn e Boromir con altri due pugni fenomenali.

Ore dopo i due giovani si svegliarono nel sotterraneo insieme a Legolas.

“Ma che coppia di citrulli! Vi siete fatti beccare subito e ora siete in galera con me!” brontolò Legolas.

“Speravo che Boromir non fosse così stupido!” disse Aragorn.

“Ma... non ho ben capito cosa non dovevo dire....” farfugliò Boromir con aria di colpevolezza.

“La prossima volta chiedetelo a me prima di cercare di attuare simili piani deficienti. Comunque, ho chiesto a Eomer di venire qui per aiutarci.” disse Legolas.

“E come ci potrà aiutare?” chiese Aragorn.

“Lo vedrai!” rispose Legolas. Poco dopo, scesero nei sotterranei Eomer, Faramir e Gimli.

“Sono venuto per offirvi il mio aiuto: sarò io a farvi da avvocato.” disse Faramir.

“Mi sembra una buona idea!” esclamò Aragorn.

“Bravo fratellino! Mi devo camuffare di nuovo, allora?” domandò Boromir, ma lo ignorarono tutti.

“Sì, va bene. Ma devi prolungare il processo più a lungo possibile, non cercare di vincerlo. Infatti solo una persona è capace di imporre il proprio volere su Celeborn, Elrond e mio padre: mia madre. Però adesso si trova a Lorien ed è difficile contattarla perchè Elrond non fa andare nessuno in quella direzione.” disse Legolas.

“Ci andrò io!” si offrì Gimli “Elrond non segue i miei movimenti perchè pensa che non ti aiuterei mai.”

“Ma perchè vorresti farlo?” chiese Legolas.

“Perchè ho sentito che vogliono condannarvi tutti a un anno di servizi sociali e, anche se ti conosco da poco, so che mi annoierei a morte senza di te, caro stupido elfo.” rispose Gimli.

“Sono commosso!” disse Legolas “Grazie, nano dal quoziente intellettivo di una pecora. Ma sta attento: ci sono molti elfi che ti odiano più di me a Lothlorien. Dovrai dire che ti manda Thranduil e che hai un messaggio per mia madre Natail. Quando finalmente sarai davanti a lei dovrai dirle che Elrond e Glorfindel stanno per condannarmi ingiustamente e che sono coinvolti anche Celeborn e mio padre. Hai capito?”

“Sì, non sono stupido! Partirò subito! Addio!” disse Gimli e se ne andò.

“Io invece cosa devo fare?” chiese Eomer.

“Devi portare questa lettera a Melania, la mia fidanzata umana di Pontelagolungo. Sii veloce!” disse Legolas dando a Eomer una lettera. Dopodichè Eomer e Faramir se ne andarono.

“E adesso che c’entra la tua fidanzata?” chiese Aragorn stupito.

“Anche se tu mi hai difeso davvero da schifo, io manterrò la mia parte del patto.” rispose l’elfo sdraiandosi sulla paglia.

“Ma come?” L’uomo però non ottenne nessuna risposta, tranne un leggero “Zzzz...”

Il giorno dopo Elrond riunì di nuovo il tribunale e fece entrare Legolas e i nuovi imputati.

Molto bene signori imputati, chi è il vostro legale adesso?” chiese con un sorriso falsamente gentile.

“Sono io, Faramir di Gondor!” disse Faramir avvicinandosi al seggio del giudice.

“Bene. Avvocato dell’accusa Glorfindel, a lei la prima arringa.” decretò Elrond.

“Grazie. Fate entrare il mio secondo testimone, sua maestà re Dain II Piediferro della Montagna Solitaria!” disse Glorfindel e dalla porta entrò un nano basso, grassoccio e con barba, baffi e capellli bianchi e lunghissimi. Sulla testa portava una corona di mithril costellata di smeraldi e rubini forgiata dai primi nani del Nord.

“Sua maestà vuole dirmi cosa è successo il 20 giugno 29**?” chiese Glorfindel.

“Prima vorrei sapere dov’è mio cugino e nipote Gimli! Mi deve un sacco di soldi e speravo di poter finalmente riscuotere.” rispose Dain e Legolas capì perchè Gimli era tanto felice di andarsene.

“Non c’è. Deve essere partito. Ma ciò non è rilevante. Risponda alla domanda invece.” disse Elrond.

“Grunf! Va bene.” disse Dain “Era un giorno di estate e mi sembrava un giorno felice perchè bisognava riscuotere le tasse. Ma alle 10 e 50 si presentò alla mia corte un elfo bagnato, sporco e ubriaco fradicio che mi disse di venire da parte di Trottoil o qualcosa del genere. Siccome non esisteva nessun re con quel nome sulla mia lista di tutti i re della Terra di Mezzo, pensai che fosse solo un imbecille e gli dissi di andarsene. Ma lui mi rispose, con il suo parlare da ubriaco, che mi dichiarava guerra. Allora ci mettemmo tutti a ridere fino a che non aggiunse che ero un idiota. A quel punto gli dissi che, ubriaco o no, la doveva smettere di insultarmi e, poichè continuava, ordinai alle mie guardie di buttarlo giù dalla scalinata. Dopo alcuni minuti sentii l’allarme antiorchi a Dale e uscii con le mie guardie. Fuori vidi l’elfo che abbatteva un edificio e quando cercai di fermarlo mi lanciò contro una trave di legno che mi impedii di muovermi per ore.”

“Vostra nanezza vuole dirmi se riconosce nell’elfo Legolas figlio di Thranduil l’energumeno che la insultò e la picchiò quel giorno?” chiese Glorfindel.

“Certo che sì! E’ proprio lui! Anzi, ora che mi ricordo è anche lo stesso elfo che mi rubò due monete d’oro l’anno scorso...” aggiunse Dain e cominciò a calcolare “sommando le spese... insulti... ecc... Mi deve ben 100.000 monete d’oro! Avanti, paga maledetto elfo!” disse Dain avvicinandosi con aria minacciosa a Legolas che lo guardava che un sorriso da ebete e che farfugliava qualcosa per scusarsi.

“Signor testimone, torni a sedere. Dopo che il processo sarà finito e le sue ragioni avranno vinto potrà salassare l’imputato a suo piacimento.” disse Elrond e poi continuò rivolgendosi a Faramir “Avvocato Faramir, vuole reinterrogare il teste?”

“Ma certo. Re Dain, lei ha affermato che Legolas era ubriaco quel giorno giusto?” chiese Faramir.

“Sì, l’ho detto.” rispose re Dain.

“Allora è chiaro, signor giudice, che bisogna tener conto di questo fatto come di un’attenuante nei confronti del mio protetto.” disse Faramir.                                            

“Obiezione, vostro onore!” esclamò Glorfindel “Il fatto che fosse ubriaco è invece un’aggravante: vuol dire che questo elfo si tramuta in un pericolosissimo vandalo quando è in stato di ebrezza. Perciò chiedo che venga condannato anche a vivere in un comunità di alcolisti anonimi per un mese oltre a scontare la pena di un anno di servizi sociali.”    

“Obiezione accolta.” disse Elrond con un sorriso diabolico.

“Obiezione, vostro onore! Ogni persona ubriaca si comporta senza sapere cosa fa e perciò...” disse Faramir, ma non riuscì a finire.

“Obiezione respinta!” disse Elrond “Ora possiamo passare a un’altro testimone. Avvocato della difesa, chi vuole portare a testimoniare?”

“Il mio teste è Legolas.” disse Faramir. Legolas allora si tolse di dosso tutte le catene con un solo gesto e si mise sul tavolo dei testimoni.

“Ma come diavolo ha fatto?” chiese Beorn raccogliendo le catene e guardandole come se fossero guaste.

“Signor Legolas, ci vuole raccontare cosa ha fatto esattamente il 20 giugno 29**?” chiese Faramir.

“Allora, prima di tutto devo raccontare ciò che successe il giorno prima, cioè il 19. Mi alzai dopo una notte passata fuori da casa in vari luoghi e mio padre mi diede un foglietto su cui c’era scritto qualcosa di incomprensibile. Mi disse che era elfico antico e che certamente avrei capito quello che c’era scritto. Poi mi disse anche che dovevo assolutamente fare quello che c’era scritto perchè altrimenti sarei stato punito: infatti, mi spiegò, quello era un foglio incantato indistruttibile che avrebbe fatto sparire tutti i capelli al proprietario se non avesse obbedito alle istruzioni su di esso scritte. Naturalmente erano tutte frottole, ma io ci credetti. Ero disperato, ma non gli chiesi di tradurmelo perchè mi vergognavo di supplicarlo. Perciò uscii di casa e andai dai miei amici Adrenalin, Imlelil e Araldin per chiedere aiuto. Dopo che ebbero guardato il foglio, Adrenalin mi disse che c’era una sola cosa da fare: rapire Librelil, il secchione della nostra classe, avvolgerlo in un tappeto e buttarlo giù da un ponte. Poi si mise a ridere sguaiatamente come al solito. Gli altri due miei amici dissero che, secondo loro, bastava rapirlo perchè traducesse l’elfico antico. Così andammo in biblioteca, lo prendemmo alle spalle, lo legammo e lo portammo su una casa su un albero dove c’era (e c’è) un nostro rifugio. Disgraziatamente poi arrivarono le guardie che erano state informate del rapimento e noi scappammo via lasciando là Librelil, senza avergli potuto chiedere cosa ci fosse scritto sul foglio. Allora decisi di andare da solo a una taverna a pensare e lì l’oste mi prestò un vocabolario di elfico antico. Cercai di tradurre ciò che c’era scritto e, per non scordarmelo, me lo appuntai su un altro foglio che ho messo nel mio diario segreto insieme a una copia dell’originale. Beorn, per favore puoi prendermi quel librone enorme non di scuola che si trova nella mia cell... ehm, stanza?” disse Legolas.

“Posso?” chiese Beorn, sempre costretto nel suo vestito da guardia giurata.

“Sì, vai pure e sbrigati.” rispose Elrond un po’ seccato. Dopo un po’ tornò Beorn con un librone enorme strabordante di fogli, foglietti e fogliettini e lo consegnò a Legolas.

“Oh, bene. Ecco qui il foglietto con la traduzione.” disse l’elfo e lesse:“Dichiarare guerra al re dei tappi, insultarlo con alate parole e infine distruggere tutte le osterie di Dale.”

Siccome mi ero ubriacato, caddi in letargo dopo aver finito di tradurre. Mi svegliò l’oste alle undici di sera perchè doveva chiudere e allora vagai tutta la notte per la foresta ed ebbi delle strane visioni che però ora non vi voglio raccontare.

[Visto che Legolas non vuole, dirò io quali furono queste sue visioni: sognò che la sua fidanzata Melania gli portava un altro boccale di birra; che il foglio con gli ordini si animava, gli spuntavano gli occhi, le braccia e delle fauci piene di denti affilati e lo voleva mangiare; che Galadriel gli compariva lontana e vicina sotto la luna con due nuvole e diceva frasi senza senso riguardo a un certo anello e infine che Thranduil arrabbiatissimo lo minacciava di chissà quali orribili torture nel caso non avesse fatto ciò che c’era scritto sul foglietto.]

La mattina mi svegliai in mezzo a un deserto e mi disperai, pensando di essermi perduto, perchè non mi ricordavo assolutamente come ci ero arrivato. Poi però passò un uomo che mi disse:“Elfo, levati da lì che devo scaricare i rifiuti di Dale e dei nani della Montagna Solitaria.” Mi trovavo infatti in mezzo alla discarica e grazie alle informazioni di quel gentile signore riuscii ad arrivare alla reggia di re Dain. Poi quello che è successo lo sapete perchè accadde ciò che vi hanno detto Bard e Dain. L’unica differenza è che non volevo affatto ucciderli e che ero proprio ubriaco fradicio. Infatti quando, dopo aver fatto perdere le mie tracce, tornai a casa e mio padre mi chiese se avessi fatto ciò che c’era scritto nel foglio, io glielo ridiedi e poi svenni. Dopo che ritornai in me non mi ricordavo più nulla e mi tornò in mente solo dopo un mese, quando Adrenalin mi parlò dell’elfo distruttore di Dale e mi disse che, secondo lui, avrebbe dovuto prendere Dain e Bard, avvolgerli in un tappeto e buttarli giù da un ponte. Poi rise sguaiatamente. Ma non dissi nulla a mio padre perchè lui non ebbe modo di sapere ciò che avevo fatto. E infatti nessuno mi aveva mai riconosciuto, almeno fino a l’altroieri.” concluse Legolas.

“Imputato e testimone Legolas, ci vuole dare il foglio con gli ordini scritti in elfico antico?” chiese Faramir e Legolas tirò fuori dal diario un frammento di una pergamena scura tutta macchiata e fradicia di alcool.  

“Lo può tradurre?” chiese il giovane uomo a Elrond, porgendogli l’orrendo fazzoletto.

“Non è certo un’impresa da poco... Sembrano gli scarabocchi di un troll che prova ad usare un pennino...” borbottò il giudice “Ecco, ho capito! C’è scritto:“Rinnovare l’alleanza con il re dei nani, elogiarlo e fare lo stesso con il re di Dale.” Nella traduzione di Legolas c’erano più errori che lettere.”

“Quindi si è trattato di un malinteso, un grave malinteso, ma comunque solo e soltanto un malinteso.” disse Faramir “Perciò chiedo che il mio protetto sia punito di meno, considerando il fatto che le sue azioni non erano intenzionali.”

“Obiezione, vostra elficità!” disse Glorfindel “Il fatto che l’imputato sia un tale idiota da non saper tradurre l’elfico antico non a niente a che vedere con ciò che ha fatto. E inoltre, siccome dopo ne era consapevole e non lo ha confessato, è doppiamente colpevole.”

“Obiezione accolta!” disse Elrond.

“Ma io non ho detto di essermelo ricordato...” cominciò Legolas.

“Signor stenografo Idrel, che cosa ha detto l’imputato poco fa?” chiese Elrond con fare maligno.

“Ha detto esattamente:“Dopo che ritornai in me non mi ricordavo più nulla e mi tornò in mente solo dopo un mese, quando Adrenalin mi parlò dell’elfo distruttore di Dale e mi disse che, secondo lui, avrebbe dovuto prendere Dain e Bard, avvolgerli in un tappeto e buttarli giù da un ponte. Poi rise sguaiatamente. Ma non dissi nulla a mio padre perchè lui non ebbe modo di sapere ciò che avevo fatto.” E niente di più nè di meno.” rispose Idrel con voce suadente.

“D’oh!” disse Legolas con rammarico (E va bene lo ammetto: questa espressione non esiste fra gli elfi, ma è più facilmente comprensibile per noi uomini).

“Molto bene!” disse Elrond “Domani continuerà il processo con l’arrivo di nuovi testimoni. Beorn, riconduci gli imputati in cella.” Ma prima che gli potesse dire che non c’era bisogno di far loro altro, l’uomo orso mollò un ceffone per uno agli imputati e li portò in prigione.

Dopo le solite tre ore, si svegliarono e mangiarono il miele che Beorn gli aveva lasciato per scusarsi. Ma non lo perdonarono, credo, perchè insieme al miele si era scordato là un orsacchiotto, ovviamente addestrato da lui, che li riempì di legnate per il fatto che non gli avevano dato neanche un po’ di miele.

“Sei proprio cattivo!” disse Beorn rimproverando l’orsetto che ormai aveva ricoperto di lividi i tre prigionieri. Dopo che se ne fu andato, arrivò Faramir di corsa.

“Legolas, sei nei guai! Ho sentito che Glorfindel ha trovato un testimone per provare che sei tu El comerciador!” disse all’elfo che rimase indifferente.

“Non importa che cosa potrà provare domani. Se Eomer farà ciò che gli ho detto in fretta, domani l’udienza durerà meno del solito.” disse Legolas sogghignando malvagiamente.

Il giorno dopo Beorn li prelevò di nuovo dalle prigioni e li portò di nuovo al tribunale.

“Avvocato della pubblica accusa Glorfindel, vuole far entrare il suo testimone?” chiese Elrond, di nuovo vestito da giudice.

“Certo. Fate entrare il prigioniero!” disse a due elfi dietro di lui che portarono nell’aula del tribunale un elfo alto con i capelli biondi, magro, con un espressione beota, con un naso rosso causato dalla sbornia quasi perenne, con i vestiti strappati e sporchi di vino e con le mani e i piedi legati. Legolas lo riconobbe subito: infatti era Adrenalin, uno dei suoi tre amici e complici.

“Signor Adrenalin, lei conosce questo elfo?” chiese Glorfindel indicando Legolas, che faceva dei gesti di diniego con le mani e gli occhi.

“Ma scierto scie sci, buonnuomo! Hic!” rispose Adrenalin dondolando la testa.

“E chi è?” chiese Glorfindel.

“È Legolash, figlio di Thranduil. Hic!” rispose lo sciocco e ubriaco elfo.

“Legolas e El comerciador sono la stessa persona?” chiese Glorfindel.

“Ma sciertamente, buonnuomo. Hic! Ansci Legolash mi aveva mandato qua per vendere le foglie di Boshco Atro e Lofftloh... Lotlort... inshomma di Lorien. Hic! Ma non devo dirlo a neshuno pershchè è un shegreto. E persciò, shhhhhh! Hic!” disce... ehm, volevo dire disse Adrenalin, mentre Legolas si metteva a piangere per la sua stupidità (di Adrenalin, non sua, eh! No, perchè... non si sa mai...).

“Ha confessato!” esclamò Glorfindel “Quello che il teste ha appena detto è una inconfondibile e inconfutabile prova d’accusa contro sè stesso e l’imputato Legolas.”

“Inshcon... shche? Pershchè mi deve dire le parolacceee??? Ora mi metto a piangere! Iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiih!!!” disse Adrenalin e si mise a piangere in quel modo orribile.  

“Dev’essergli venuta la sbornia triste.” borbottò Beorn.

“Ma tu che ne sai di sbornia? Non ti ho mai visto bere!” disse Boromir.

“Beh, quando mangio troppo miele mi ubriaco con quello.” rispose l’uomo orso arrossendo.

“Silenzio!” urlò Elrond “Allora, avvocato Faramir, ha qualcosa da chiedere al teste o ne ha uno suo prima che la giuria condanni gli imputati?”

 

E vi lascio qui con questa suspence! Commentate o non saprete mai come va a finire! Muhahahaha!!!!

 

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Capitolo 12
*** Il processo - Parte seconda ***


Il processo – Parte seconda

Eccomi di nuovo! Adesso finalmente si saprà l’esito del processo!

Risposte ai commenti:

 

@Suikotsu: Complimenti per l’intuito!

 

@Mishka: Adesso vedrai! YAY anche a te!

 

@gittypanda: Certo che non è giusto, ma ho già pronta la punizione sia per lui che per l’altro!

 

@stellysisley: Spero che ti faccia ridere altrettanto anche questo!

 

Ringrazio anche Steffa che ha messo la mia storia tra i preferiti (però commenta anche, dai!)

 

Quelli che non lasciano nemmeno un piccolo commento si beccheranno vent’anni di lavori forzati!

 

                                                   

                                                                  Il processo – Parte seconda

 

Ma prima che Faramir potesse dire qualcosa, il portone si spalancò (con un notevole effetto scenico) ed entrò una giovane donna umana da i lunghi capelli castani in parte raccolti e in parte lasciati andare. Indossava un vestito con una grande scollatura, le maniche ampie e si teneva la gonna in alto, mostrando le belle gambe. I suoi occhi scuri corsero da una parte all’altra della sala e si soffermarono su Glorfindel: le sue labbra si incurvarono in un sorriso dolce. Poi corse incontro a Glorfindel, gli saltò al collo e disse:“O amore mio, finalmente ti ho trovato!”

“Eeeh?!? Ma chi sei? Io non ti conosco!” disse Glorfindel cercando di allontanarla da sè.

“Ma dai Glorfi, non devi vergognarti di essere sposato con un’umana.” replicò la misteriosa nuova venuta. In quell’istante Glorfindel sbiancò e poi la sua pelle divenne di una delicata sfumatura verdognola, mentre Elrond diventò rosso papavero, poi rosso fuoco e poi rosso cianotico.

DEGENERATO!!! DA TE NON MI SAREI MAI ASPETTATO QUESTO, NIPOTE TRADITORE!!!” urlò Elrond impugnando il mitico righello di mithril che teneva sotto il banco e agitandolo minacciosamente.

“Non l’ho mai vista in vita mia, lo giuro!” disse l’elfo preso dal panico.

“Ma non dire stupidaggini, maritino mio! Sono venuta a dirti che dovresti tornare a casa ogni tanto a curare i nostri quattro figli.” disse la sconosciuta con fare supplichevole.

COOOSAAA!?!?” sbraitò Elrond saltando in piedi sul banco del giudice.  

“Dai, torna a casa. La nostra prima bambina va già all’asilo!” disse la giovane a Glorfindel che era troppo terrorizzato e allibito per parlare. Dopo ciò Elrond colpì l’elfo pallido come un lenzuolo con il righello e disse:“L’udienza è rimandata! Beorn, riporta i prigionieri in cella! Idrel, cancella le ultime frasi del verbale! E tu, maledetto fellone, vieni nel mio ufficio fra dieci minuti!”

Beorn ricondusse tutti i prigionieri nelle celle e disse che non capiva che cosa ci fosse di male nel fatto che Glorfindel si fosse sposato. Ma nessuno si mise a spiegarglielo e lui se ne andò.

Dopo pochi minuti, tutti gli abitanti di Gran Burrone sentirono dei rumori di righellate e di sedie lanciate contro qualcuno e delle grida provenire dalla stanza di Elrond e si misero a ridere sotto i baffi pensando che Glorfindel si stesse pentendo amaramente di ciò che aveva fatto.

Invece Legolas rise di gusto perchè era l’unico a sapere la verità.

“Ma insomma!” disse Aragorn “Ci vuoi spiegare che cosa è successo al processo?”

“Già, chi era quella donna?” chiese Faramir che era sceso per saperne di più.

“Quand’è che si mangia?” chiese Boromir che non aveva capito di che cosa si stesse parlando.

“Shche ore sciono?” chiese Adrenalin, ancora ciucco.

“He, he!” disse Legolas “È una lunga storia da raccontare...”

“Allora ne facciamo volentieri a meno!” dissero tutti.

“... ma ve la racconterò lo stesso.” disse Legolas e gli altri finsero di pugnalarsi “Nella lettera che ho consegnato a Eomer c’era scritto che ero nei guai e in essa chiedevo alla mia ragazza Melania che mi aiuterebbe...”

“Che mi aiutasse, semmai!” disse Faramir con tono un po’ da professore.

“Shemmai!?! Ma pershchè non la shmettete di dirmi le parolacceee!?!? Iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiih!!!” disse Adrenalin ricominciando a frignare.

“Insomma, le chiedevo di aiutarmi per il processo che mi avevano intentato Elrond e Glorfindel. E le avevo detto di fingersi moglie di Glorfindel per poter guadagnare tempo.” disse Legolas e in quel momento scesero nelle segrete anche Eomer e Melania.

“Come stai caro?” chiese la ragazza dando un bacio a Legolas.

“Ora sto meglio. È stata un’interpretazione fantastica, la tua.” disse Legolas e, guardando Adrenalin che cercava di farsi una canna con la paglia della cella, aggiunse “E sei proprio arrivata nel momento giusto! Quest’idiota stava per farci condannare subito!”

“Ma, Legolash, io non capishco... Non mi avevi mishca detto di portare qui le foglie? Io lo shtavo fasciendo, ma mi hanno presho le guardie di Gorshimbel, no, di Glorfunfuufuel, no, di Gorfindeil! Allora ho scercato di afferrarli, avvolsgerli in un tappeto e buttarli sgiù da un ponte, ma non sci shono riushcito! Hic! Ma non mi risciordo bene che coscia è shushcciesho due o tre notti fa... Hic!” biascicò Adrenalin cercando qualcosa con cui accendersi la canna di paglia.

“Non importa ormai, ma la prossima volta chiederò di fare questi lavori a Araldin, che è l’unico di voi che sa restare sobrio per un giorno almeno!” disse Legolas e poi si rivolse a Eomer “Congratulazioni per la velocità! Hai battuto ogni record! Ma come hai fatto?!?”

“Beh, facile: ho convinto il mio cavallo che se non fossimo arrivati in tempo non avrebbe più mangiato a tavola con me. E allora si è dato da fare.” disse Eomer sotto gli occhi sbalorditi di tutti.

“Va beh, non importa. Adesso bisogna che riporti subito Melania a Pontelagolungo, perchè altrimenti Elrond potrebbe cominciare a farle delle domande e potrebbe capire la verità.” disse Legolas.

“Ma se è solo per questo motivo...” cominciò Eomer.

“E soprattutto perchè il padre di Melania non deve accorgersi che se ne è andata o si arrabbierà moltissimo.”

“Ma non ce la faremo mai a tornare in tempo!” esclamò Eomer.

“Abbiamo più tempo di quanto credi: tra un’ora mio padre andrà al bar e là lo aspetta Imlelil. Con una scusa attaccherà lite e dopo la rissa mio padre sarà troppo occupato a farsi medicare per accorgersi della mia assenza.” disse Melania.

“Ma a che cosa è servito tutto questo? Abbiamo ritardato la condanna e Glorfindel si sta prendendo un sacco di legnate, ma domani? Ci condanneranno lo stesso! E Arwen sarà costretta a sposare Glorfindel e io dovrò vagare triste e smarrito fino alla fine dei miei giorni! Che triste sorte la mia!” si lamentò Aragorn.

“Uffa, Aragy, che noia! Ti dico che domani andrà tutto bene.” disse Legolas.

“Aragy!?! Ma che razza di soprannome è?” chiese Aragorn.

“Legolas a ragione, domani non succederà niente di male.” disse Melania.

Poi si salutarono e la notte passò lieta e silenziosa, salvo il frastuono causato dai vetri rotti, le grida di Elrond e i rumori gastrointestinali di Adrenalin.

La mattina dopo Beorn venne a prelevarli e si stupì del fatto che non avessero chiuso occhio.

“Stanotte io ho dormito benissimo! Tutti quei rumori che provenivano dall’ufficio di Erlond mi hanno conciliato il sonno.” disse il bestione.

“Ma com’è possibile?!?” chiese Boromir, che aveva delle borse sotto gli occhi così grandi che ci entrava un carro da fieno (Noi adesso diremmo un autotreno).

“Beh, i rumori delle risse mi conciliano il sonno.” disse Beorn.

“Yahwn! Questo spiega molte cose!” borbottò Legolas.

Nel tribunale videro che Glorfindel era pieno di lividi e che Elrond si scusava.

“Scusatemi per l’interruzione di ieri, ma dopo quello che avevo sentito da quella mentitrice non ero più in me. Ma ora io e il mio nipote adorato abbiamo chiarito la questione e il processo può continuare.” disse Elrond e continuò “La giuria doveva ritirarsi a deliberare, giusto?”

“Obiezione, vostro onore!” disse Faramir “Dovevo reinterrogare il teste...”

OBIEZIONE RESPINTA!!! TANTO NON MI IMPORTA CHE COSA POSSIATE DIRE E NON IMPORTA NEANCHE ALLA GIURIA!!! VOGLIO CONCLUDERE QUESTO PROCESSO OGGI!!!” urlò Erlond sbattendo il righello sul banco.

“Noi giurati ci ritiriamo a deliberare.” disse la giuria. Dopo mezz’ora nella quale Beorn aveva spiegato ad Adrenalin che era molto più buono il miele delle canne, i giurati tornarono e dissero le sentenze:“Oggi, 30 settembre 29**, dopo aver ascoltato tutte le testimonianze e le accuse, condanniamo l’imputato Legolas figlio di Thranduil, per le accuse di vandalismo, tentato omicidio di personaggi di rango reale, ubriachezza sconsiderata e contrabbando illegale di foglie, a...” Ma non poterono concludere la frase.

Infatti in quel preciso momento il portone si spalancò.

“E adesso chi è?!?” chiese Glorfindel temendo che fosse qualche altra rogna per lui, e aveva ragione. Infatti era entrata la madre di Legolas che teneva Thranduil e Celeborn per le orecchie, dietro di lei c’era Galadriel seguita da un elfo alto e biondo che trasportava Gimli legato come un salame.

COME AVETE OSATO TENTARE DI CONDANNARE INGIUSTAMENTE MIO FIGLIO?!?” urlò Natail, mentre il cielo si oscurava e cominciava una tempesta con lampi e tuoni.

Ma noi... ecco... è davvero colpevole!” dissero Elrond e Glorfindel.

SILENZIO!!!” urlò Natail e aggiunse rivolgendosi a Legolas “Figlio caro, sei stato tu a inviare questo prode nano che mi ha informata della tua condanna infame?”

“Sì, è proprio così!” disse Legolas, con uno sguardo da angioletto.

“Allora libera il nano, caro nipote!” disse Galadriel all’elfo che subito liberò l’infuriatissimo tappo.

“Mi ricorderò della tua brutta faccia, elfo! Mi vendicherò per questo insulto a Gimli, figlio di Gloin!” disse Gimli e subito si pentì di averlo detto.

“Ah-ha! Ti ho trovato, maledetto debitore! Ora mi darai tutti i soldi che mi devi!” disse re Dain, che era tra i giurati, e cominciò a inseguire suo nipote per tutta l’aula scatenando un casino. In questo momento Elrond e Glorfindel cercarono di svignarsela, ma Natail se ne accorse.

FERMI DOVE SIETE, TRADITORI DEL VOSTRO SANGUE! VOLEVATE PUNIRE IL MIO PICCOLO LEGOLAS SENZA MOTIVO, E ORA SARÒ IO A PUNIRE VOI DUE E I VOSTRI DEGNI COMPARI!!!” gridò Natail.

“Moglie cara, non puoi permettere questo! Sono innocente, lo giuro!” disse Celeborn a Galadriel.

“Cara amica, per una volta mio marito ha ragione: non possiamo punirli, altrimenti copriremmo di ridicolo i nostri reami.” disse Galadriel a Natail.

“E va bene! Ma dovete promettermi che non tramerete mai più contro Legolas e i suoi amici, voi tre!” disse Natail un po’ più calma a Elrond, Celeborn e Thranduil.

“Sì, sì. Va bene, va bene.” dissero i tre in ginocchio.

“E in quanto a te, eroe da quattro soldi, non osare mai più dire una sola parola contro Legolas!” aggiunse, rivolta a Glorfindel.

“Ma certo, anzi d’ora in poi non lo vorrò mai più vedere! Addio! Me ne torno nelle terre infestate dai goblin, dove di certo prenderò meno insulti e legnate di qua!” disse Glorfindel in fretta, uscì dalla sala di corsa, salì sul suo bianco destriero e scappò via verso le terre selvaggie.

“Senta signora, a me non importa più di tanto la condanna di suo figlio, ma mi interessa che mi ripaghi dei danni della distruzione della mia città.” disse Bard avvicinandosi a Natail.

“E degli interessi su ciò che mi ha rubato!” aggiunse Dain smettendo per un attimo di inseguire Gimli.

“Va bene, ma dovete riconoscere che non era colpa sua perchè era ubriaco.” disse Natail dando loro due sacchetti pieni di monete d’oro.

“Ma certo! Ci riteniamo soddisfatti!” dissero insieme e Bard uscì dalla porta per tornare a Dale, mentre Dain ricominciò a inseguire Gimli.

“Bene! Noi ora ce ne andiamo, ma ricorda, Elrond: riga dritto o te ne pentirai!” dissero Galadriel e Natail e, presi i loro mariti, svanirono.

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Capitolo 13
*** Una tranquilla lezione di Beorn ***


Attenzione: in questo capitolo verranno usati caratteri grafici naneschi

Attenzione: in questo capitolo verranno usati caratteri grafici naneschi. Chi non ha le font installate su Word, vedrà solo delle parole strane.

Detto questo, passiamo ai ringraziamenti:

 

@Suikotsu: Eh, noi due ne sappiamo qualcosa, vero compare? Comunque, le parole familiari sono solo una tua impressione!

 

@Chary: Sei troppo buona! Grazie per aver messo la mia storia tra i preferiti!

 

@stellysisley: Oh, bene. Spero che ti faccia sempre ridere così!

 

@Mishka: Vedi di fare molti proseliti per la tua setta! YAY!

 

@gittypanda: Certo che ti scuso il ritardo, ora abbiamo tutti da fare (chi per la scuola chi per l’università). La fine è molto lontana comunque!

 

@Rakyr il Solitario: Grazie anche a te per i complimenti e per aver preferizzato la mia storia, ma volevo chiederti... Che cavolo vuol dire nakama? Su Wikipedia viene fuori che è una città giapponese!!! Vabbeh... Riguardo ai kender, Legolas è molto peggio come ladro!

 

 

                                                                  Una tranquilla lezione di Beorn

 

Dopo che furono spariti, Elrond ordinò a Beorn di liberare i prigionieri, di mettersi i suoi soliti vestiti e di portargli dieci barattoli di miele nel suo ufficio come antidepressivo.

E così, dopo che Dain ebbe depredato Gimli di ogni suo avere riconvertibile in denaro, la vita scolastica tornò quella di sempre, e cioè le noiose lezioni di Elrond, le massacranti lezioni di Beorn e i terribili richiami per uccelli di Radagast.

Per tre mesi non successe nulla di interessante, eccetto il fatto che Boromir fu rapito da un’aquila gigante per aver sbagliato richiamo.

Ma giovedì 5 dicembre, alla fine di una lezione di Beorn nella quale erano riusciti a salutare un orso che però poi li aveva lo stesso picchiati perchè lo avevano svegliato dal letargo, l’uomo orso, dopo averli medicati, disse loro che l’indomani sarebbero partiti per un corso di sopravvivenza in situazioni estreme sulle Montagne Nebbiose.

“Ma sei matto, Beorn?!?” esclamò Legolas agitando le mani fasciate.

“Vuoi farci morire?!? Ci saranno almeno venti gradi sotto zero sulle montagne!” gridò Boromir.

“Ma no! State calmi! Andrà tutto bene! Non c’è nessun pericolo...” disse Beorn, ma fu interrotto.

“Invece ci sono! Le Montagne Nebbiose sono piene di goblin e di giganti.” disse Gimli.

“Non ci sono più goblin da tempo ormai, altrimenti non le attraverserei così spesso sempre arrivando indenne. E i giganti si sono ritirati al Monte Gundabad insieme agli altri orchi.” spiegò Beorn ai ragazzi “Salterete una settimana di lezione. E inoltre ci andranno anche le ragazze.”

“Quand’è che si parte?” chiesero i sei principi in coro alzandosi in piedi.

“Domani mattina.” disse Beorn sorridendo per essere riuscito a convincerli.

La mattina dopo uscirono vestiti pesantemente e armati fino ai denti. Avevano almeno venti maglie di lana sotto le pellicce e i caldi mantelli, tre paia di pantaloni e cinque di calze dentro gli stivali, tranne Legolas che portava i mocassini elfici (tanto non gli importava del freddo ai piedi, gli elfi non prendono mai il raffreddore). Quando si muovevano, in maniera alquanto impacciata, si sentiva il clangore delle armi che si portavano dietro nascoste dentro i vestiti.

Quando Quando Beorn, invece vestito normalmente, visto che la sua barba e i suoi capelli lo proteggevano benissimo dal freddo e che nessun possibile nemico avrebbe potuto contrastare la sua forza anche se era a mani nude, li vide commentò:“Vedo che siete bene equipaggiati. Ma siete sicuri di riuscire a camminare?”

“Ma certo, che domande! Vogliamo solo premunirci contro il freddo e i possibili nemici.” rispose Gimli spostando la sua sciarpa rossa sotto la barba per poter parlare.

“Beh, eccovi gli zaini con le provviste.” disse l’uomo orso e sollevò da terra sei zaini così pieni che quasi scoppiavano.

“Ma quanto staremo via?” domandò Legolas.

“Ve l’ho detto: una settimana. Quelle sono le provviste necessarie.” gli rispose Beorn e aggiunse “Le ragazze, per ordine di Elrond, saliranno da un’altra parte, guidate da Radagast.”

Maledetto Elrond!” bisbigliarono i giovani.

“Mi fischiano le orecchie! Qualcuno mi starà pensando.” borbottò Elrond nel suo ufficio mentre prendeva un libro da uno scaffale.

“Andiamo allora! L’ultimo che arriva mi dovrà ripetere tutti i richiami!” esclamò Beorn e, stranamente, tutti si misero a seguirlo il più in fretta possibile.

Camminarono su sentieri in salita, poi in salita e ancora in salita; finchè la strada divenne una parete. Allora si arrampicarono, si arrampicarono e si arrampicarono. Dopo due giorni di cammino, Beorn disse:“Bene: siamo arrivati. Ora voi dovete solo riuscire a tornare a Gran Burrone da soli.”

“Tutto qui?!? Ma allora è facile!” esclamò Boromir.

“Adesso ci accamperemo qui. Domattina io non ci sarò più e voi dovrete far ritorno entro giovedì prossimo.” disse l’uomo orso.

E così si sistemarono in una grotta vicina e si addormentarono.

Il giorno dopo si svegliarono e videro che Beorn non c’era più.

“Niente paura! Conosco queste montagne benissimo!” disse Aragorn.

E così, rifatti i bagagli, si misero a seguire Aragorn.

Dopo alcune ore giunsero a un bivio.

“Per di qua.” disse sicuro il giovane uomo del Nord.

Attraversarono valli e passi, abissi e picchi e arrivarono a un altra biforcazione.

“Da questa parte.” ordinò senza alcuna esitazione Aragorn.

Camminarono ancora per ore in mezzo alla neve, alle rocce e al fango.

E poi giunsero a un altro bivio.

“Mi sono perso!” disse Aragorn con un’espressione di rammarico.

“Cooosa?!? Ma come hai fatto a decidere dove andare prima?” chiesero tutti gli altri.

“Ho tirato a caso.”

“Ci siamo smarriti! Siamo morti! Beorn ritroverà le nostre carcasse nella neve fra vent’anni!” gridò Eomer isterico.

“Calma, calma! Le montagne sono tutte simili. Vedrete che riuscirò a tirarci fuori io da questo pasticcio.” disse Gimli.

“Ma certo! Adesso non contare balle, nano! Le Montagne Nebbiose non sono esattamente uguali a Erebor.” esclamò Legolas.

“No, è vero. Ma mi ricordo che da piccolo mio padre Gloin me le aveva fatte attraversare. E credo di capire dove siamo: ci troviamo esattamente a metà tra il Monte Gundabad e Gran Burrone.” disse Gimli.

“Allora torniamo indietro e cerchiamo di arrivare da Elrond.” disse Faramir.

“Non è così facile: siamo dal versante sbagliato e non possiamo andare dall’altra parte qui perchè è un precipizio. Perciò dobbiamo tornare indietro da questa parte e poi attraversare la cima più a Sud.” spiegò Gimli.

E ricominciarono a camminare, camminare e camminare.

Quando erano a un buon punto, accadde una catastrofe.

Si erano appena accampati su un pendio e stavano cominciando a prendere il cibo, ma in quel momento Boromir ebbe un’idea idiota.

“Posso sentire se c’è l’eco?”

“Assolutamente no. È nevicato da poco e potresti scatenare una valanga, pazzo incosciente.” disse Gimli con tono severo e si voltò.

“Gnè, gnè, gnè! Pazzo sarai te, cento volte più di me!” urlò Boromir alle sue spalle e, come aveva previsto Gimli, venne giù tutta la neve delle Montagne Nebbiose.

I giovani si salvarono per miracolo, ma non accadde lo stesso per una creaturina piccola e viscida che strisciava in fondo alle montagne.

Aveva appena finito di borbottare qualcosa come:“Maledetto Bagghinsss! Noi lo odiamo!!!”, quando fu sommerso da un’enorme quantità di neve e di sassi, che lo trascinarono fino alla pianura vicina al fiume Anduin.

Poichè adesso il passaggio era bloccato e Gimli non sapeva cosa fare Legolas si offrì di fare da guida, anche se non aveva la minima idea di dove fossero e in che direzione dovessero andare.

E così, imbavagliato Boromir per evitare altri guai, i sei giovani ripresero il cammino. Dopo tre giorni di salite e discese, il cibo salvato dalla valanga stava per finire e non pensavano affatto di essere vicini a Gran Burrone.

“Maledetto Legolas! Moriremo di fame e di freddo per colpa tua!” esclamò Aragorn.

“Uffa, pensate che io non lo sappia? Ma non è facile orientarsi qui, mica ci sono i cartelli stradali.” rispose Legolas.

“Guardate! Un cartello!” esclamò Faramir indicando un cartello di legno davanti a loro impiantato nel terreno. Recava una scritta in nanesco: !Enoiznetta !Etanrot orteidni !Dabadnug Etnom li avort is iov a itnavad Ennedni irouf ennev en onussen

“Mmm... ora provo a tradurre queste rune...” borbottò Faramir e cominciò a trascrivere le lettere runiche nell’alfabeto della lingua corrente sul suo taccuino. Il testo del cartello risultava questo:

!Enoiznetta !Etanrot orteidni !Dabadnug Etnom li avort is iov a itnavad .Ennedni irouf ennev en onussen

“Accidenti, non è per niente semplice!” esclamò Faramir “Tu ci capisci qualcosa, Gimli?”

“No, è un dialetto nanico antico... Ma forse posso provare a interpretarlo...” disse Gimli guardando sul taccuino di Faramir.

“Tsè! Non ci riuscirai mai a capirlo, nano!” disse Legolas.

“Davvero, signor elfosotuttoio?” disse Gimli un po’ arrabbiato.

“Ne sono sicuro!” rispose Legolas.

“Allora fallo tu!” disse Gimli dando a Legolas il taccuino di Faramir.

“Sarà un piacere dimostrare ancora una volta la superiorità degli elfi sui nani.” disse Legolas e cominciò a ragionare sul testo.

Sei ore dopo l’elfo era ancora fermo a leggere e rileggere le strane parole.

Cominciava a scendere la notte e Faramir pregava Gimli di tradurre l’iscrizione al posto di Legolas, quando il figlio di Thranduil spiccò un salto gridando:“Evvai! Ho capito!”

“Allora dicci la traduzione, avanti!” disse Aragorn.

“Ma non ha bussato nessuno...” borbottò Boromir, ma non lo sentirono.

“La traduzione è:-Attenzione, attenzione! Ci sono grandi saldi nella città di Gnudaba! Venite in frotte.-” disse Legolas fiero di sè.

“Ma fammi il piacere!” esclamò Gimli strappando il taccuino dalle mani dell'elfo e cominciando a guardarlo insieme a Faramir.

Dopo pochi minuti, Faramir esclamò:“Scappiamo ragazzi! C’è scritto:-Attenzione! Tornate indietro! Davanti a voi si trova il Monte Gundabad! Nessuno ne venne fuori indenne.- Capite che significa?!? Significa che siamo vicini al Monte Gundabad, la sede degli orchi e dei giganti del Nord!”

“Mi sa che siamo un po’ lontani da Gran Burrone...” borbottò Legolas.

“Che cosa dici, stupido elfo? Ma certo che siamo lontani! E la colpa è solo tua, perchè sei una grandissima TESTA DI KATSO!!!(Nda: Non mi è concesso tradurre l’ultima parola.)” urlò Gimli preso da un attacco di rabbia.

Ma il nano capì subito il guaio che aveva combinato gridando così.

Infatti dalla cima dell’enorme monte davanti a loro partì una freccia che sibilò vicino alle loro teste e subito dopo si sentì una voce gracchiante:“NEMICI!!! INTRUSI!!! BANCHETTIAMO CON LA LORO CARNE MIEI FIDI!!!

Legolas, Aragorn, Gimli, Faramir, Boromir e Eomer videro una nera marea di orchi e goblin scendere dalla cima del Monte Gundabad e scelsero subito la tattica da usare con fierezza e coraggio.

SCAPPIAMOOO!!!” gridarono i nostri eroi e cominciarono a correre.

Fuggirono e fuggirono e fuggirono per ore mentre le orde demoniache dei goblin li inseguivano da dietro.

Attraversarono gli Erembrulli, le oscure montagne del Nord e poi le immense distese di ghiaccio di Angmar, la sede del Re Stregone.

Quando ormai erano sfiniti e i goblin stavano per raggiungerli, furono avvolti da una nebbiolina verde chiaro luccicante e svanirono.

 

 

Cosa è successo ai sei cretini? Cos’era la nebbiolina verde chiaro? Volete saperlo?

E io non ve lo dico! MUHAHAHAHA!!!! Vi lascio ancora con la suspance finchè non commentate!!!

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Capitolo 14
*** Lo stregone del Nord ***


In questo capitolo non viene usato più nessuno strano segno grafico

In questo capitolo non viene usato più nessuno strano segno grafico. E allora perchè ve lo dico? Boh... Ah, già: quando il nuovo personaggio parla ho usato il carattere IceAgeD e se non ce l’avete si perde un po’ l’effetto della voce glaciale. Avete presente? Quella voce che quando la senti ti viene da fare: Brrr! Ma che cavolo dico?...

Vabbeh, ringrazio i commentatori:

 

@Chary: Hai ragione, mi sta sui cosiddetti! E poi si sa che le gite d’istruzione sono terribili! Pensa, io vado a Praga a Febbraio, con quaranta sottozerro... Che c’entra? Beh, leggi e divertiti!

 

@stellysisley: Certo, Legolas è impagabile, infatti non lo pago! Ma... Perchè hai tolto la mia storia dai preferiti???

 

@Suikotsu: Perchè è colpa della tua influenza nefasta! Il pericolo c’è... ora vedrai!

 

@Rakyr il Solitario: Pietà, stasera la leggo tutta, giuro! Tieni a bada i kender, nakama!

 

@Mishka: YAY!!!

 

@SHUN2494: Grazie per i complimenti! Ce la farà, e come... beh, lo vedrai, se continuerai a rimanere su queste frequenze!

 

@gittypanda: Non è vero! Gli ho fatto gridare istericamente che moriranno tutti! (Eomer:- Ma tanto lei non mi vuole!!!- Autore:- Vai a frignare da un’altra parte!-) Quale parte migliore di quella? Tieni presente che le altre parti consistevano appunto nel dire KATSATE!

 

 

                                                                         Lo stregone del Nord

 

Ma ora torniamo al punto in cui abbiamo lasciato i nostri eroi e cioè a quando erano stati avvolti da una strana nebbia ed erano spariti agli occhi dei loro famelici inseguitori.

“Dove siamo?” domandò Legolas guardandosi intorno con aria smarrita.

“Non lo so...” disse Gimli.

“Ma ci siamo tutti?” chiese Aragorn.

“Sì, sì.” dissero gli altri tre ragazzi.

“Ma avete la minima idea di dove ci troviamo?” chiese Faramir.

“Siete nella mia proprietà. Piuttosto, chi siete voi?” disse uno strano figuro che sbucò dalla nebbia. Era un tipo scheletrico, con una voce spettrale e un mantello grigio. Era talmente magro che il suo mantello era il doppio di lui e gli scarponi minacciavano di scivolare via ad ogni passo. Inoltre era gobbo e il mantello era logoro al punto che si intravedeva la pelle sotto. Sul volto aveva un’enorme maschera di metallo con solo due fori per gli occhi, da cui fuoriusciva una forte luce gialla verdognola, in mezzo c’era un grande naso ricurvo e in basso si vedeva la barba bianca fatta a pizzetto. Nella mano sinistra, simile ad un ragno bianco, reggeva un bastone nodoso e ricurvo, ma cortissimo tanto da non arrivare a terra.

“Accidenti com’è magro!” esclamò Boromir “Le consiglio di mangiare un po’ più di carne o la porterà via il vento.”

“Come osi fare commenti sul mio fisico, miserabile umano!?!” urlò lo strano figuro agitando il bastone “Ditemi chi siete o vi trasformo in corvi!”

I giovani lo guardavano spaventati, ma Gimli gli rispose:“Dimmi il mio nome misterioso figuro e io ti dirò il tuo! No, aspetta era il contrario... mi sono confuso...”

“Ditemi chi siete, insomma! Parlate in fretta, prima che perda la pazienza e vi trasformi in ramarri!” disse lo strano personaggio agitando minacciosamente un bastone che teneva in mano.

“Ecco, beh... io sono Legolas, figlio di Thranduil; lui è Eomer, figlio di Edmund...” cominciò Legolas.

“Mio padre si chiama Eomund.” disse Eomer.

“Sì, va beh, non importa.” gli rispose l’elfo e continuò “Lui è Gimli, figlio di Gloin; loro sono Faramir e Boromir, figli di Dementhon...”

“Si chiama Denethor!” dissero i due uomini, insieme, a Legolas.

“Ma sì, che importa? Secondo mio padre dovrebbe essere questo il suo nome.” disse Legolas.

“COOOSAAA?!?!” urlò Boromir e, dando uno schiaffo con un guanto a Legolas, aggiunse “Ti sfido a duello! Sta a te scegliere l’arma e il luogo!”

“Oh, che bello! Io voglio fare l’arbitro!” disse Gimli.

“Manco per sogno! L’arbitro lo faccio io!” disse Eomer al nano.

“Ma taci, tu! Capisci solo ciò che riguarda i tuoi stupidi cavalli.” gli rispose Gimli.

“Come osi?!?” urlò Eomer e tirò un ceffone al nano. Avevano appena iniziato a picchiarsi, quando lo strano signore li fermò.

“BASTA!!! SMETTETELA O GIURO CHE VI TRASFORMERO’ TUTTI QUANTI IN TOPI!” urlò l’uomo mascherato e si avvicinò a loro con il bastone e con cattive intenzioni.

“Ah, ah! Dovevi farlo un po’ più lungo quel bastone per prenderci, nonno!” disse Eomer schivando il colpo e allontanandosi.

“Pagherai la tua insolenza: Seria longh!” disse il misterioso figuro e il bastone si allungò fino a raggiungere il giovane e a prenderlo in pieno in testa.

“Ouch!” si lamentò Eomer.

“Ci scusi... ma sa com’è... siamo giovani e impulsivi e...” disse Faramir al vecchio ancora infuriato.

“Va bene, va bene... Ma non ditemi i nomi dei vostri genitori! Che cosa me ne faccio, scusate? Gli mando una lettera in cui dico che vi ho rapiti e chiedo un riscatto?!?” disse lo strano personaggio.

“Sì, buona idea.” disse Legolas e aggiunse “Io sono figlio di Thranduil, il re di Bosco Atro. Facciamo così: io ti do il suo indirizzo, tu chiedi il riscatto e poi facciamo a metà. Eh? Che ne dici?”

“Come osi?!?” urlò il bizzarro figuro, colpendo Legolas con il bastone (che era ancora lungo abbastanza per raggiungerlo) “Con chi credi di avere a che fare? Non sono mica uno squallido stregone da quattro soldi!” in quel momento il cielo si oscurò e le tenebre avvolsero i giovani “Se ci riprovi a farmi una simile proposta ti trasformo in...” e si fermò guardando un po’ Legolas e poi aggiunse “Anzi, no. Ti farò venire le doppie punte!” “NUUUUUUUUUUUOOOOOOOOOO!!! Le doppie punte, NUUUUUUUUUUUUOOOOOOOOO!!!” urlò Legolas, disperato e cominciò a esaminarsi i capelli, atterrito dal pensiero di averle già.

“Ma lei è uno stregone?” chiese Faramir.

“Potrete farmi le domande solo quando ve lo dirò. Piuttosto, tu non mi hai ancora detto come ti chiami, uomo del Nord alquanto maleodorante.” disse lo strano figuro ad Aragorn.

“Che vuol dire alquanto?” chiese Boromir

“Zitto tu, essere dal cevello microscopico!” gli ordinò lo scheletrico vecchio e Boromir si girò con aria offesa borbottando qualcosa del tipo:“Non posso mai dire niente, uffa... e poi, che vuol dire microscopico?”

 “Il suo nome è...” cominciò Faramir, ma fu interrotto.

“Adalgiso Pirletti!” concluse Aragorn e fece cenno di tacere agli altri, i quali capirono tutti tranne Boromir che però non prendeva parte alla discussione e se ne stava in disparte.

Perchè non voleva dire il suo vero nome? Perchè Elrond gli aveva raccomandato di non dire a nessuno il suo vero nome. Altrimenti il nemico lo avrebbe scoperto e tutta la fatica di Elrond di nascondere la sua vera identità sarebbe andata sprecata. Naturalmente tutti i re elfici e Gandalf sapevano chi fosse, ma tacevano. Lui aveva rivelato il suo nome ai suoi compagni perchè gli era bastato uno sguardo per capire che non sapevano un tubo dei suoi antenati nè si sarebbero presi la briga di scoprire qualcosa. Eccetto Faramir, che però non ci sarebbe riuscito lo stesso perchè Elrond aveva nascosto tutte le documentazioni sulla stirpe di Isildur a partire dalla caduta di Angmar in poi.

“Pirletti... Tutto ciò mi ricorda qualcosa... ma, ascolta, posso vedere la tua mano destra?” chiese lo stregone ad Aragorn, il quale si sentì male: nella mano destra aveva l’anello di Barahir. Era l’anello che aveva contaddistinto i re di Arnor e Gondor per secoli, e sapeva che lo avrebbe riconosciuto subito se lo avesse visto. Così pensò di giocare d’astuzia...

“Eccola qui!” disse, porgendo allo stregone la mano sinistra (Nda: Vi prego: fate finta di non aver letto la riga sopra! Sigh!).

“Questa è la sinistra!!!” urlò lo stregone “Mi prendi in giro?!?”

“Allora guarda bene: questa è la destra e questa è la sinistra. Ora le mescolo. E adesso quale è quella giusta?” disse Aragorn con un sorriso demente nel disperato tentativo di fingersi idiota e far pensare al mago mascherato che un idiota non poteva essere l’erede di Isildur. E per un attimo egli lo pensò, ma poi disse con un fremito di rabbia:“E’ questa la destra! E ora fammi guardare!”

E afferrò la mano destra di Aragorn per il dorso, la girò e osservò il dito anulare.

“No, devo essermi sbagliato. Ciò che cercavo non c’è. Non dovevi aver paura, signor Pirletti. Volevo solo vedere una cosa... ma non importa...” disse lo stregone vedendo che non c’era nessun anello neanche nell’altra mano.

Aragorn pensò:“Meno male che non l’ha trovato. Ma ora che ci penso: dove cavolo è finito? Non me lo sono sfilato, perchè temevo che mi vedesse... Ma allora dov’è sparito?” e si voltò a guardare i suoi compagni. Legolas gli fece l’occhiolino. Aragorn pensò:“Meno male che quel furfante me l’ha rubato, così sono al sicuro. Ma poi Legolas me la pagherà. E, soprattutto, mi dirà come ha fatto.”

“Ditemi ancora una cosa: come avete fatto ad arrivare quà?” disse lo stregone.

“Veramente volevamo chiederglielo noi come abbiamo fatto ad arrivare da lei!” disse Legolas stupito.

“Ma che vi è successo, ragazzi? Ditemelo, cosicchè io possa capire come ci siete riusciti.” gli rispose il mago mascherato. E così i giovani, con mille indugi, spacconate, bugie e mezze verità, gli spiegarono che cosa era accaduto a loro.

“Ah, siete stati circondati da una strana nebbia verde? La stessa che c’è anche qua?” chiese lo stregone alla fine del racconto.

“Sì, è proprio la stessa, ora che me lo fa notare.” disse Faramir.

“Maledizione!” imprecò lo stregone “Questo vuol dire una sola cosa: sapete cosa?!?”

“Ehm... no...” disse Legolas.

“Che neanche stavolta sono riuscito a fare il minestrone!” gli rispose e, cercando diradare la nebbia con il bastone, rivelò ai ragazzi un calderone ormai liquefatto da cui ancora usciva una nebbia verde.

“Devo aver sbagliato qualcosa... Forse ci ho messo i tuberi corrosivi al posto delle patate... O forse il sale scioglitutto al posto del sale marino... Ci vedo un po’ poco ultimamente.”

“Strano! Credevo che quegli occhi luccicanti ti facessero vedere anche al buio.” disse Legolas.

“Ma no! Però mi danno molti poteri: ad esempio vedo la massa celebrale degli individui oppure...”

“Le mutande delle ragazze!” concluse Legolas e si prese una bastonata in testa, eppure i ragazzi videro che lo stregone era diventato stranamente rosso sotto la maschera.

“Ma dov’è Boromir?” chiese Eomer. Infatti, da quando il vecchio lo aveva rimproverato, non si era più visto.

“Eccolo là!” esclamò Gimli indicando un’ombra chinata a terra nella nebbia.

“Ma che cosa fa?” domandò Legolas. Ma lo stregone doveva averlo già intuito perchè strabuzzò gli occhi, emanò raggi di luce rossa e sbraitò:“Cosa fai, imbecille!!! Smettila di mangiare quei fiori! Ti faranno male!” Nell’urlare il cappuccio gli si calò sugli occhi, ma lo scostò con rabbia e si avvicinò rapidamente allo sciocco ragazzo che stava masticando lentamente qualcosa.

“Salve, bella farfalla! Questi fiori sono la fine del mondo!” disse Boromir con un’aria ebete e folle.

“Oh, no! Ha già avuto effetto!” sentenziò lo stregone. A queste parole, Faramir prese lo stregone per il mantello e cominciò a scuoterlo.

“Cosa ha avuto effetto? Che succede a mio fratello? Perchè sembra più idiota del solito? I fiori erano velenosi? Morirà? Vivrà? Dormirà? Mangerà? Sarò io l’erede al trono? Sì? No? Forse? RISPONDA!!!”

“Smeeettiiilaaa diii scuoooteeermiiii!!! Tuooo fraaateeellooo nooon moooriiirààà!!!” disse il vecchio e Faramir lo lasciò cadre a terra come un sacco di stracci. Lo stregone si rialzò strofinandosi le braccia e togliendosi la polvere di dosso.

“Semplicemente sarà più idiota del solito.” disse con fare rassicurante. Faramir sbiancò. Se aveste passato più tempo con Faramir, sapreste che suo fratello Boromir è un totale imbecille e sapere che lo sarà ancora di più non è per niente rassicurante.

“Come più idiota? Non è assolutamente possibile!” esclamò Faramir.

“Ba-bà, fratellino!” salutò Boromir saltellandogli attorno come un coniglio.

“Come si può curare?” chiese Faramir allo stregone.

“Ci vogliono complicati attrezzi del mestiere.” gli rispose ed entrò in una piccola capanna che si cominciava a distinguere in mezzo alla nebbia. Dieci secondi dopo, uscì con in mano 10 corde, 6 manette e 3 camicie di forza.

“Ma cosa vuoi fare a mio fratello?” chiese Faramir preoccupato.

“Che domande! Legarlo prima che faccia qualche danno.” rispose il vecchio e si accorse che Boromir stava rosicchiando una gamba del suo tavolo da giardino (che si cominciava a distinguere nelle nebbia).

“Presto! Aiutatemi a fermarlo!” urlò lo stregone e tutti si gettarono su Boromir armati di manette e corda. Dopo mezz’ora di lotta selvaggia, riuscirono a immobilizzarlo.

“Che fatica! Erano anni che non mi battevo così.” disse il vecchio ansimando e aggiunse “Venite pure in casa mia così potremmo parlare civilmente.”

I ragazzi (tranne Boromir che era legato fuori) entrarono nella piccola capanna. Era così piena di libri di incantesimi, di pozioni, di alambicchi, di gabbie con strani animali e di scatole piene di erbe magiche che non ci si riusciva neanche a muoversi. Il vecchio si spaparanzò sull’unica immensa poltrona e invitò gli altri a sedersi sul pavimento o sulle pile di libri.

“Adesso fatemi pure le vostre domande.” disse con aria calma.

“Come abbiamo fatto ad arrivare qui? E ‘qui’ dov’è?” chiese Faramir.

“Dev’essere colpa del mio maldestro tentativo di fare il minestrone: la nebbia verde vi ha teletrasportati qui per un caso fortuito.”

“Davvero! Eravamo inseguiti dai goblin!” disse Gimli.

“Comunque, qui siete in una valle nascosta negli Erembrulli. Nessuno la può trovare a meno che non sia io a indicargliela.” concluse lo stregone.

“Ma tu chi sei?” chiese Legolas.

“Il mio nome è Atragulaiuniliantauthronounatraonowaìseskolirfrà Rauthr. Sono uno stregone eremita.” rispose Atragulaiuniliantauthronounatraonowaìseskolirfrà Rauthr.

“Non avresti un nome più semplice?” chiese Eomer.

“Il mio nome tradotto nella lingua corrente è Alcarin. Ma andate pure avanti con le domande.”

“Perchè porti quella maschera?” chiese Faramir.

“Posso avere anch’io gli occhi luccicanti con annessi poteri?” chiese Legolas.

“NO!!!” sbraitò Alcarin e lo colpì con un librone “Comunque, porto questa maschera perchè...”

“Aspetta, lasciami indovinare: sei il fratello gemello di uno dei più importanti re della Terra di Mezzo e per questo motivo ti hanno messo una maschera di ferro e ti hanno esiliato nel freddo Nord?” disse Gimli.         

“Che idea balorda! Ma come ti è venuta?” esclamò lo stregone.

“Boh... così d’impulso...” rispose Gimli.

“Non importa... Non me lo ricordo perchè la porto... forse per impedire che i miei occhi vi brucino... o forse solo perchè mi da fastidio la neve...”

“Mio fratello guarirà presto?” chiese Faramir preoccupato.

“Ma certo! Sarà demente ancora per un’oretta al massimo e poi sarà come prima.”

“Ma allora non ci sarà alcuna differenza!” disse Legolas e si scansò per schivare il librone che gli aveva tirato Faramir.

“Ci puoi far tornare a casa, Elcolin?” chiese Aragorn.

“IO MI CHIAMO ALCARIN!!!” urlò lo stregone e colpì Aragorn con il bastone (dopo averlo fatto allungare magicamente). Come si può capire, lo stregone non sopportava di non essere chiamato con il suo nome.

“Ma come sei permaloso! Mi ricordi Jerry, il mio maggiordomo.” disse Legolas.

Da Bosco Atro si levò un tremendo grido:“IL MIO NOME E’ JAMES!!!

“Mi è sembrato di sentire qualcosa come James...” disse Eomer.

“Sarà stato il vento.” gli rispose Gimli.

“Comunque, sai come farci tornare a casa?” chiese Legolas.

“Ma certo! Basta che mi diciate dove volete arrivare.” rispose Alcarin.

“Vogliamo andare a Gran Burrone.” disse Faramir.

“COSA?!? VOI SIETE DI GRAN BURRONE???” esclamò lo stregone, mentre nella stanza scendeva l’oscurità “CONOSCETE ELROND, IL MEZZOELFO???”

“Ehm, forse sì o forse no...” disse Legolas.

“E MAGARI SIETE ANCHE SUOI AMICI!?!” esclamò Alcarin.

“No, aspetta. Lo conosciamo, ma non è che lo stimiamo molto.” disse Faramir.

“Già, ha cercato di condannarmi a un anno di servizi sociali!” escalmò Legolas.

“Elrond mi legna se provo a toccare sua figlia.” disse Aragorn.

“Lui e i suoi parenti mi trattano come uno straccio solo perchè sono un nano!” aggiunse Gimli.

“Non permette al mio cavallo di mangiare a tavola!” si lamentò Eomer.

“Dice che mio fratello è un ritardato mentale!” concluse Faramir.

“Beh, su questo ha ragione.” disse Legolas.

“Quindi non siete in amicizia con lui?” chiese Alcarin.

“Assolutamente no!” dissero in coro.

“Ah, bene: i nemici dei miei nemici sono miei amici, mentre gli amici dei miei nemici sono miei nemici.” concluse lo stregone e la luce tornò normale.

“Sì...Io... credo di essermi perso, ma ho capito il senso.” disse Aragorn.

“Ma perchè non lo sopporti? Che ti ha fatto?” chiese Gimli.

“E’ una antica e lunga storia che risale alla mia giovinezza... Una volta ero giovane come voi, sapete?”

“Davvero?” chiese Boromir entrando nella casa dello stregone.

“Come osi, piccolo insolente! Io ti... Ma, aspetta, non eri legato fuori?” domandò Alcarin alquanto sorpreso, mentre si alzava in piedi.

“Sì, ma ho mangiato le corde con i denti e ho sciolto le manette e le camicie di forza bagnandole con il minestrone là fuori. Quei fiori erano davvero buoni!” rispose Boromir e si portò alla bocca un altro fiore. Faramir allora fece un doppio salto carpiato e cadde addosso al fratello prima che addentasse di nuovo il Loto.

“Ma allora sei davvero cretino! Non devi mangiare quei fiori perchè ti rendono folle!” rimproverò Alcarin a Boromir.

“E va bene, ma tu... come ti chiami?” chiese Boromir.

“ALCARIN!!! Possibile che non vi ricordiate di niente!” esclamò lo stregone agitando il bastone e gesticolando con l’altra mano.

“Ma Boromir non era qui prima. Non ha sentito quello che hai detto.” osservò Eomer.  

“Ah, già...” ammise Alcarin, toccandosi il pizzetto con la mano sinistra.

“Puoi andare avanti?” chiese Gimli.

“Sì, va bene. Dicevo, quella storia riguarda la mia giovinezza ed è una lunga storia. Volete sentirla?”

“Poi ci farai tornare a casa?” chiese Aragorn.

“Forse.” disse lo stregone e cominciò il suo racconto.

 

 

E se voi, crudeli lettori anonimi, non commentate, Alcarin vi trasformerà tutti in... in... in calandre!!!!

Lettori:- Cos’è una calandra? E qual è il racconto di Alcarin? Ma soprattutto cos’è una calandra???-

Autore:- Lo saprete nel prossimo capitolo!-

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Capitolo 15
*** 870 anni prima ***


@Suikotsu:

Anche in questo capitolo lo stregone parla come nel precedente, perciò stessa avvertenza.

Risposte ai commenti:

 

@Suikotsu: No, 870 per un elfo sono pochissimi, o almeno non così tanti per dire che Elrond fosse giovane come Legolas.

 

@stellysisley: Beh, grazie! Tutto a posto, chiarito l’equivoco.

 

@Chary: Oscar Wilde ha scritto anche cose divertenti, come l’Importanza di chiamarsi Ernesto, per esempio, leggi quello, ci sono dei punti che fanno schiantare. Comunque, sei davvero troppo gentile, poi mi monto la testa!

 

@beba7: Li ho mandati, ma hanno assalito la gelateria dietro l’angolo e non si sono più mossi! Ti perdono, ma non ti dirò cos’è una calandra!

 

@Rakyr il Solitario: Hum, non so se pure tu meriti di sapere cosa sia una calandra... Muhahahahahaha!!!!

                                    

                                                                      870 anni prima

 

“Questa storia risale a 870 anni, 10 giorni e 20 ore fa. In quell’epoca remota in cui voi non eravate ancora nati...”

“Ehi, io ero già nato!” esclamò Legolas.

“Davvero? E allora perchè non hai combattuto nell’alleanza del principe Eärnur di Gondor e di tutti i re elfici contro il Re Stregone?” chiese Alcarin con fare inquisitorio.

“Volevo partire, ma mio padre Thranduil ha detto che non aveva bisogno di altri nemici. Allora ho provato a seguirlo, ma mi sono perso e sono tornato a casa.” rispose Legolas.

“Ah... Non importa. Dicevo: correva l’anno 1975 ed elfi e uomini di Gondor si allearono contro la Corona di Ferro. L’anno precedente il Re degli stregoni di Angmar aveva distrutto Fornost e aveva annientato il Regno del Nord e perciò doveva essere fermato, perchè altrimenti avrebbe colpito anche Gondor.” Mentre parlava agitò il bastone e fece comparire delle immagini: Fornost in fiamme, il Re Stregone esultante sopra un cumulo di macerie e una svendita di pentoloni.

“Ma l’ultima immagine cos’ha in comune con le altre?” chiese Faramir.

“Niente, è il bastone che non funziona tanto bene.” disse lo stregone dandoci dei colpetti sopra. “Comunque, la vittoria sui nemici si ottenne solo grazie al fatto che tutti gli elfi si unirono contro il comune nemico. A quella battaglia parteciparono Haldir di Lothlorien, Glorfindel e Elrond di Gran Burrone, Thranduil di Bosco Atro e Cirdan dei Porti Grigi. Però non tutti ci andarono di buon grado, mentre altri dovettero faticare per poter ottenere il permesso.” Alcarin agitò il bastone e comparve un ovale di colore argenteo. Al suo centro si materializzarono delle immagini di un palazzo nel folto degli alberi con un giardino molto ben curato e una statua che portava i segni di un’antica devastazione.

“Ehi, ma quella è casa mia!” esclamò Legolas, riconoscendo la stuata che aveva distrutto 2758 anni prima.

Alcarin non disse nulla e nell’ovale apparve l’interno del palazzo dove c’erano Thranduil e Natail che discutevano.

La magia dello stregone consentiva di vedere le immagini e di sentire i suoni (per intenderci, come se avesse creato un piccolo cinema).

“Dove credi di andare???” chiese Natail arrabbiata guardando il marito che prendeva l’arco e la faretra piena di freccie.

“Io? Ma da nessuna parte, cara.” rispose Thranduil raccogliendo il mantello dell’invisibilità vicino all’ingresso.

“Ma come da nessuna parte?!? Porti la corazza da guerra, i calzari silenziosi, la spada al fianco e osi anche dirmi che non vai da nessuna parte!?!” urlò l’elfa prendendo il marito per la manica della cotta di mithril.

“Ecco, io... Sai che c’è quella guerra contro il Re Stregone e...” rispose facendosi piccolo piccolo.

“E tu non ci andrai!” gridò la moglie brandendo un ombrello dagli appositi contenitori vicini alla porta e puntandoglielo contro “Ogni volta che c’è una guerra tu ne approfitti per spassartela e far baldoria con gli amici! E io? Non ci pensi mai a me? Io rimango qui a casa da sola a curare il tuo regno mentre tu ti ubriachi e fai bisboccia!”

“Ma cara, ci andranno tutti i re elfici... Io non posso mancare o penseranno che io sia un vigliacco! Gli Elfi Silvani devono intervenire!” disse Thranduil allontandosi dalla portata dell’ombrello.

“Ma manda qualcun altro, no? Se è solo una questione di rappresentanza, puoi far sempre guidare l’esercito da un altro.” ribattè Natail avvicinandosi.

“E chi mando? Legolas?” domandò Thranduil e in quel momento alle sue spalle si aprì di scatto la porta, colpendolo in pieno e buttandolo per terra.

“Ciao papy, ciao mamy! Per oggi basta scuola!” disse Legolas (che in quell’epoca aveva 1890 anni circa, più o meno 13 anni per un uomo) entrando trionfalmente e scavalcando suo padre per terra.

“Bentornato amore, ma la scuola non finiva alle quattro? Sono appena le dieci.” disse Natail.

“La scuola è allagata e perciò siamo tornati a casa.” rispose Legolas e salì in camera sua.  

“La scuola allagata? Ma che vorrà dire?” si domandò re Thranduil alzandosi da terra.

“Non cercare di cambiare argomento!” lo sgridò Natail “Non voglio mandare in guerra nè te nè Legolas!”

“E allora chi?” chiese l’elfo e in quel momento arrivò il maggiordomo Galion, che aveva preso il posto di James mentre lui era in una clinica perchè soffriva di gravi problemi di identità e si sarebbe licenziato dopo quasi 1000 anni per farlo tornare. Sembrava il fratello gemello dell’altro maggiordomo e infatti lo era. Portava un vassoglio su cui si trovava un foglio di pergamena che consegnò al re.

“Un dispaccio dalla diga, maestà.” Thranduil lo aprì e lesse:“Grande e saggio re Thranduil, siamo dolenti di darvi brutte notizie. Nella giornata di stamattina ci siamo accorti che mentre un ragazzino ci distraeva rubandoci il pranzo, gli altri suoi tre complici, entrambi di tenera età, dirottavano il corso del fiume aprendo solo metà della diga. Ci duole informarvi che questa loro azione ha causato l’inondamento di una vasta area di terreno all’interno della quale si trovava la scuola elementare e media che è stata allagata ed evacuata. Inoltre sarà necessario molto tempo per bonificare la zona e riaprire l’edificio scolastico. Stiamo compiendo indagini per scoprire gli autori del disastro. Ci affidiamo alla vostra clemenza e saggezza. Firmato: i controllori della diga, Fiumelin, Chiusel e Digas.”

“Quattro ragazzini... molto tempo prima che la scuola riapra...” riflettè Thranduil “Ma certo! È stato Legolas, ne sono sicuro, e avrà usato l’aiuto dei suoi amici Arolden, Omlol e Idranelon... oppure si chiamano Ereldin, Amlal e Edrinelin? Bah, non importa! Meglio non dirlo a Natail o non mi crederà e si arrabbierà di più.”

Allora disse alla moglie:“Vedi? Non sarai sola in casa: ci rimarrà anche Legolas e per un bel po’, visto che la scuola è stata allagata da ignoti.”

“Hai ragione... E va bene, vai pure a giocare alla guerra. Mentre non ci sarai farò quello che voglio io!” disse Natail.

“Puoi fare tutto, fuorchè licenziare il maggiordomo e mettere in disordine la biblioteca. E ora vado: l’esercito mi aspetta!” E fece per uscire, ma un ragazzino arrivò alle sue spalle alla velocità della luce e lo afferrò per una gamba. “Posso venire con te alla guerra? Posso? Ti prego ti prego ti prego!” pregò Legolas stringendo la gamba del padre.

“No! Sei troppo giovane e non voglio altri nem... ehm, problemi e preoccupazioni!” disse Thranduil e piegandosi alla sua altezza aggiunse “Goditi le vacanze e non disturbarmi! Sennò dirò a quelli della diga chi è stato a fare quel bel lavoretto stamattina!”

Legolas allora si staccò dalla gamba del padre e quando lui uscì dalla porta, la scena sfumò. Nell’ovale si vide un’altra foresta incantata con alberi maestosi e chiome dorate. Ogni cosa in quella immagine sembrava brillare di luce propria. Poi comparve un enorme palazzo elfico, Caras Galadhon, dimora di Celeborn e di Galadriel. Era costruito interamente sugli alberi ed era pieno di lanterne e di armoniose statue e affreschi.

Ma l’armonia all’esterno non era certo eguagliata all’interno, dove i due re elfici stavano urlando.

“TU NON ANDRAI A FORNOST!!! DEVI RESTARE A CASA A SBRIGARE LE FACCENDE PERCHE’ IL MAGGIORDOMO È SPARITO E NESSUNO VUOLE RIMPIAZZARLO!” gridò Galadriel e Celeborn si appiattì a terra.

“Ma cara, l’hai visto anche tu nello Specchio. Devo andare o il Re Stregone distruggerà tutto il Nord.” cercò di spiegare il marito.

“Lo Specchio mostra tante cose, ma, come i Palantìr, mostra soprattutto ciò che uno vuole vedere e anche delle enormi stupidaggini che non accadranno mai. E in ogni caso non ci andrai! Così è stabilito! Manda qualcun altro o ti farò assaggiare la mia ira!”

“Va bene, va bene...” rispose Celeborn. La moglie gli diede compiaciuta la lista delle cose da fare e lui andò a cercare il suo sostituto. Pensò ai suoi parenti più stretti: tutti morti o fuggiti a Valinor. Allora cercò di ricordare se c’era qualcuno, magari imparentato anche alla lontanissima, che potesse mandare al posto suo.

Mentre pensava camminò dentro il palazzo e quasi senza accorgersene arrivò all’ingresso, dove si trovavano varie panche e sedie dove gli elfi venivano a chiedere la benedizione di Galadriel. In quel momento la sala era deserta, ma su una di queste panche c’era un elfo che dormiva. Celeborn lo riconobbe subito. Aveva folti e lunghi capelli biondi, una faccia un po’ a ovale e un naso a patata. Indossava vestiti bagnati e sporchi di fango ed era evidente che aveva passato la notte dappertutto fuorchè nel suo letto. Era Haldir. Intanto anche Gimli, fuori dall’ovale magico, lo riconobbe.

“È quell’elfo cretino che mi ha arrestato quando stavo portando il messaggio di Legolas alla madre durante il processo!” esclamò e si fece più attento, cercando di vedere se trovasse un modo di ricattarlo da ciò che stava per accadere. Lo stregone intimò silenzio e contemporaneamente all’interno dell’ovale Celeborn tirò un calcione all’elfo addormentato e lo fece cadere dalla panca. Haldir si rialzò subito da terra, sguainò la spada, o meglio il manico di quella che una volta era la spada, la puntò contro Celeborn e disse con tono minaccioso:“Chiunque tu sia ti pentirai di aver colpito Haldir di Lothlorien!”

“Mi pento solamente di aver accolto te e i tuoi fratelli nella mia dimora dopo la morte di tuo padre, scansafatiche buono a nulla!” lo sgridò Celeborn e l’elfo più giovane, appena sentita quella voce che conosceva così bene, cambiò subito tono.

“Zietto caro, ma da quanto che non ci si vede! Sono venuto qui perchè ho qualche debituccio in sospeso...” disse abbracciandolo.

“Non sono tuo zio e non mi stupisco che tu sia già tornato a batter cassa!” rispose svincolandosi dall’abbraccio “Brutto perdigiorno io ti...” e si fermò perchè gli era venuta un’idea. Era vero che non era un gran che come scelta, ma non aveva alternativa. Così si avvicinò con aria gentile ad Haldir che si era un po’ allontanato per la paura di una punizione.

“Caro Haldir, capiti al momento più adatto! Ho giusto un lavoro per te! È una grande occasione: guadagnerai gloria e onore eterni!” disse in tono sognante.

“Davvero?” chiese l’elfo stupito, ricordandosi che allo zio non piaceva scherzare.

“Ma certo! La tua fama si spargerà per tutta la Terra di Mezzo!” rispose Celeborn facendo un ampio movimento con un braccio, come per indicare la vastità del mondo.

“Molto bello, zietto, ma i debiti non si pagano con la fama.” e fece il gesto di rivoltarsi le tasche per dire che erano vuote.

“Non ti preoccupare: come ricompensa ti darò una paghetta settimanale fissa di cen... cinquan... venti monete d’oro. Ti va bene?” gli chiese.

“Sìììì!!! Grazie, zietto! Che lavoro è?” domandò Haldir tutto contento.

“Dovrai guidare l’esercito al posto mio fino a Fornost e là dovrai combattere il Re Stregone.” rispose Celeborn con un sorriso maligno “Partirai nel pomeriggio.” e se ne andò lasciando lì lo sbalordito e atterrito Haldir.

Poi lo scenario dentro l’ovale cambiò di nuovo e si vide Haldir in un accampamento. Le terre nei dintorni erano brulle e aride. Haldir sbuffò e si lamentò ad alta voce:“Ma perchè mi sono fatto fregare come un citrullo e mi sono fatto mandare in questo postaccio! Il rancio fa schifo e non ho visto nemmeno lo sbarluccichio delle monete d’oro!”

Una voce severa parlò alle sue spalle:“Vergogna, Haldir! Dovresti essere fiero di essere stato mandato al posto di Celeborn per partecipare a una sì gloriosa causa!” A parlare era stato Elrond, più giovane e con meno rughe, eppure ugualmente severo. Haldir sbuffò di nuovo.

“Siccome sei ancora giovane, io ti proteggerò in questa battaglia. Perciò dovrai fare esattamente ciò che ti dico.” disse Elrond e l’elfo più giovane pensò:“Ma che bello! Ho anche la balia!” Poi chiese all’elfo più anziano:“Quando si va in battaglia?”

“Quando arriva il principe Eärnur di Gondor.” rispose Elrond.

“Che tipo è?” chiese Haldir.

“Coraggioso, ma poco esperto. Suo padre sta male e ci dobbiamo accontentare.” fu la risposta.

Dopo qualche minuto arrivò un grande esercito di uomini e alla sua guida, su un cavallo bianco, c’era il giovane principe Harry. No, no, no! Volevo dire Eärnur. Era un uomo alto, bello e prestante. In realtà, non avrebbe dovuto essere il principe, perchè suo padre non era re, era solo un capitano vittorioso. Evidentemente, però la sua famiglia era molto influente a Gondor e in aggiunta il precedente sovrano Ondoher, ultimo erede di Anarion, e i suoi due figli, Artamir e Faramir, erano morti in una battaglia contro gli Esterling e gli uomini dell’Harad. Perciò Eärnil, padre di Eärnur, era stato proclamato re, nonostante Arvedui, ultimo re di Arnor, insistesse che la corona doveva essere sua in qualità di erede di Isildur e oltre a ciò perchè aveva sposato Fìriel, figlia di Ondoher. Pensate che difficoltà fare pettegolezzi di gente con nomi simili!

Comunque, tutti gli elfi accorsero e Thranduil, Cirdan, re dei Porti Grigi, e Glorfindel si avvicinarono a Elrond.

Eärnur si girò verso i soldati e fece il suo discorso:“Soldati! Abbiamo affrontato un lungo e palloso viaggio in nave e poi una marcia spedita nell’entroterra. Ma non per niente! Finalmente è giunto il momento di combattere! E perciò alla battaglia! IAAAA!!!!” E partì alla carica da solo.

“Ma dove va?” chiese Cirdan.

“Boh!” disse Thranduil.

“Ehi! Fermo!” gridò Glorfindel.

“Che c’è?” chiese il principe.

“Fornost è da quella parte!” disse Elrond indicando verso la direzione opposta a quella presa dal giovane uomo. Haldir sbuffò di nuovo e la scena svanì. Nell’ovale apparve un campo di battaglia pieno di cadaveri di orchi, troll e uomini malvagi e qualcuno di uomini di Gondor e di elfi. Elrond e gli altri capi esultavano per la vittoria insieme ai soldati.

“Elrond è sopravvissuto, uffa!” brontolò Legolas. Nell’ovale si vide il Re Stregone che, vista la mala parata, montava sul suo cavallo e scappava.

“Il Re Stregone, vista la mala parata, monta sul suo cavallo e scappa! Ma io lo fermerò!” esclamò Eärnur balzando su un cavallo e cominciando a inseguirlo. Ma Glorfindel lo richiamò:“Fermo, giovane principe! Non lo inseguire! Non tornerà più in queste terre! E non morrà per mano di un uomo!” E così profetizzò la caduta del Re Stregone, che sarebbe accaduta dopo circa 1000 anni e a causa di una donna, Eowyn figlia di Eomund, e di un hobbit, Meriadoc Brandibuck. Il principe tornò indietro di fronte a questo parlare solenne.

“Ma che ti sei fumato?” disse invece Haldir, senza mostrare alcun rispetto per la profezia.

“Ma come ti permetti di dire questo a Glorfindel, eroe di Gondolin???” esclamò Elrond.

“Mi avete scocciato! E non fare questo e non fare quello! Ora basta!” esclamò Haldir spingendo un soldato giù da un cavallo e saltandoci sopra “Io vado a prendere il Re Stregone! In barba alle vostre profezie!” E cominciò a inseguirlo, mentre si allontanava verso gli Erembrulli. Elrond allora buttò giù da cavallo un altro soldato, prese il cavallo e cercò di raggiungerlo per fermarlo. L’inseguimento durò un’ora e alla fine Elrond saltò dal suo cavallo addosso a Haldir e caddero entrambi dall’altro destriero. Per terra Elrond ricominciò la sua ramanzina, ma l’elfo più giovane gli tirò un pugno. Allora cominciarono a picchiarsi e nel mezzo della rissa non si accorsero di scivolare giù per un pendio. La valle in cui precipitarono era avvolta da una nebbiolina verde che nascondeva quasi tutto.

“Basta!” esclamò Elrond “Tregua! Dove siamo finiti?” chiese preoccupato l’elfo più anziano guardandosi intorno.

“Siete nella mia dimora. Chi siete, fratelli?” disse una voce da dietro la cortina di nebbia. L’uomo che aveva parlato si avvicinò ai due elfi che così lo videro. Era una figura alta e slanciata. Aveva una maschera di ferro, ma sopra gli occhi, unica cosa che usciva dalla maschera, portava degli occhiali neri. Indossava un mantello e un cappuccio di colori sgargianti e misti. Stava a torso nudo e portava una cintura e dei pantaloni molto alla moda. Teneva un chitarra a tracolla e nella mano sinistra un bastone molto corto e consumato. Sotto i piedi aveva uno skateboard verde e viola. Elrond e Haldir lo guardarono stupefatti. Altrettanto fecero i nostri eroi fuori dall’ovale.

Esiste un’espressione, ‘fuori luogo’, molto adatta a descrivere questo strano personaggio. Una cosa fuori luogo è una cosa che non sembra adatta per la circostanza in cui ci si trova. Per esempio, se ad agosto si va in spiaggia con l’eschimo è una cosa fuori luogo, per non dire che bisogna proprio essere sciocchi ad andare in spiaggia ad agosto con un eschimo.

Quindi posso dire che questo personaggio era del tutto fuori luogo: era vestito come se stesse al mare e stava in montagna, stava a torso nudo come se fosse estate e invece era inverno, c’era appena stata una guerra e perciò dei morti e lui aveva un’aria allegra e spensierata.

Questo personaggio fuori luogo era Alcarin da giovane. 

Dopo un po’ Alcarin si stufò di aspettare e fece:“Avete perso la lingua? Dai, su che non ho tutto il giorno da dedicarvi!”

“Io sono Elrond di Gran Burrone e lui è Haldir di Lothlorien. Ci siamo persi dopo una grande battaglia contro il Re Stregone e siamo capitati qui. Anche se non so bene dove sia ‘qui’.” disse l’elfo più anziano osservando ancora stupito lo strano figuro, che a sua volta lo scrutava attraverso gli occhiali neri.

“Sì, mi sembri sincero, Berlond! Non avete l’aspetto di esattori di Arnor.” dichiarò infine Alcarin. Elrond si infuriò per il fatto che lo avesse chiamato balordo e lo inseguì con la spada elfica, nonostante lo stregone si giustificasse dicendo che non aveva sentito bene.

Intanto Haldir osservava la nebbia e l’annusava. Dopo un po’ domandò allo stregone:“Perchè hai paura degli esattori? Che cosa è questa nebbia? Mi pare di riconoscerla, ma mi sembra impossibile che sia...”

Alcarin si fermò, approfittando del fatto che Elrond si era accasciato alcuni metri più in là, e bisbigliò ad Haldir che non pagava mai le tasse e aveva paura che lo trovassero. Poi aggiunse che il fumo era l’effetto di una certa cosa che fumava illegalmente e diede all’elfo alcune foglie che aveva già visto: quelle verdi di Bosco Atro e gialle di Lohlorien. Probabilmente Alcarin si fidò dell’elfo perchè gli sembrava più simile a lui e fece bene perchè mantenne sempre il segreto.

Poi Elrond si avvicinò e disse:“Ti perdono, ma sai dirci chi sei e dove ci troviamo?”

“Certamente! Io sono Alcarin e faccio lo stregone e voi siete a casa mia, in un luogo magico dove ci si può arrivare solo senza accorgersene!” rispose saltando allegramente.

“Ma eri così da giovane???” chiesero sbalorditi gli eroi fuori dall’ovale.

“Certo che sì! Poi però sono cambiato perchè...”

“Non ti hanno più spedito delle foglie, eh? Potrei spedirtele io allora...” disse Legolas con fare ammiccante.

“NO! Sono cambiato perchè ho messo giudizio e perchè se non ho contatti con nessuno è più difficile che gli esattori mi trovino!”

“Ma se Arnor è stato distrutto secoli fa!” esclamò Eomer.

“Sì, ma ci sono ancora degli esattori fra i raminghi Dunedain e mi cercano!” rispose lo stregone rabbrividendo.

Intanto all’interno dell’ovale Haldir aveva convinto lo stregone a teletrasportarli a casa, cioè a Gran Burrone.

“Vi costerà caro... 500 monete d’oro ciascuno!” disse Alcarin giovane.

“Tanto non ci riuscirai mai.” affermò Elrond che aveva pensato che una persona così fuori luogo non poteva essere brava a fare niente di serio.

“Certo che ci riuscirò!” esclamò lo stregone emettendo lampi dagli occhi.

“Da un pivello come te non mi aspetto altro che ti esca un coniglio dal cappuccio!” replicò l’elfo.

“Ti dimostrerò che ne sono capace, re elfico dei miei mocassini alla moda!” urlò Alcarin e agitò il bastone pronunciando diverse parole magiche (“Curriculum vitae, cursus honorum, Delphi, Delphorum, teletrasportus, teletrasporti in Gran Burro, Burronis!”) e dei lampi di luce avvolsero Elrond e Haldir che dopo un po’ sparirono con un bagliore accecante.

“Visto che ce l’ho fatta, vecchio citrullo?” esclamò Alcarin, rimettendo un coniglio bianco sotto il mantello “E ora pagatem... Corpo di mille foglie! Me l’hanno fatta! Se ne sono andati senza pagare! Giuro che li ritroverò, dovessi aspettare 870 anni!!!”

Dopo che anche l’eco del giuramento finì, l’ovale scomparve e seguì un lungo silenzio.

Fu Gimli a romperlo:“Ma perchè non ce l’hai anche con Haldir? Anche lui non ti ha pagato.”

“In verità, lui mi ha mandato dopo due mesi così tante foglie di Lothlorien che ho considerato saldato il suo debito. Invece Elrond non mi ha mai mandato niente!” esclamò Alcarin sbattendo il pugno su un bracciolo della portona.

“Ma cosa hai fatto per far sì che ti pagasse?” chiese Faramir.

“Gli ho mandato dei biglietti di minaccia con il teletrasporto, ma non ha funzionato. Anzi, lui ha avvisato gli esattori dei raminghi che hanno raddoppiato la sorveglianza in questa regione e non posso fare troppi incantesimi perchè rischio di essere scoperto. Se davvero lo odiate potreste ricordarglielo voi che ancora mi deve pagare?” disse lo stregone.

“Ma certo! Anzi se vuoi potrei direttamente derubarlo e poi facciamo a metà.” propose Legolas e lo stregone gli tirò una bastonata.

“Adesso però facci tornare a casa!” disse Aragorn.

“E va bene. Ma date a Elrond questo biglietto da parte mia.” rispose Alcarin dando a Faramir, che gli sembrava il più affidabile, un foglietto.

 

 

Visto che siete arrivati fin qua, ho deciso di essere magnanimo: la calandra è (ma siete sicuri di volerlo sapere?) semplicemente (davvero sicuri?) un (sicuri sicuri sicuri?)... un uccello simile all’allodola ma un po’ più grosso. Cosa vi aspettavate????

E ora che vi ho svelato l’arcano, commentate!!!

 

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Capitolo 16
*** Ritorni, racconti e ricatti ***


Ritorni, racconti e ricatti

Risposte ai commenti:      

 

@Chary: Grazie mille per l’elogio (che non era affatto privo di discernimento), neanche fossi Italo Calvino! Spero ti sia passata la febbre (sennò non mi commenti e io mi sparo...)

 

@stellysisley: Tutti hanno oscuri segreti da nascondere... (Tipo: come faccio ad andare bene a scuola e contemporaneamente a scrivere questa roba? Mistero...)

 

@Rakyr il Solitario: Eh, già... originale per non dire pazzo o fatto! Riguardo alla parentela non so, Legolas è imparentato più o meno con tutti gli elfi del mondo, ma non mi pare con nessun kender...

 

@xxx_meggy: Bene, sono contento che si aggiungano nuovi lettori, soprattutto tanto ardimentosi da riuscire a leggere tutti i capitoli fino ad adesso! Che Alcarin sia un po’ strano è opinione diffusa, e quindi indiscutibilmente vera!!!

 

@Suikotsu: Ma no, non preoccuparti! Io sono calmo, poi se non commenti mi trasformo in demone e vengo a trovarti!

 

@gittypanda: Con la marea di scuse che hai addotto per giustificare il ritardo ci si potrebbe fare una fanfic comico-demenziale... e verrebbe anche bene! Comunque, sono contento che hai occupato la scuola (l’ho fatto anch’io!), quindi sei scusata per impegni di lotta di classe! Abbasso la Gelmini!  

 

 

                                                                            Ritorni, racconti e ricatti

 

I nostri eroi desideravano moltissimo tornare a casa, cioè a Gran Burrone, da cui mancavano da quasi una settimana. Lo volevano per motivi diversi, come passare un po’ di tempo con la loro amata o mettere un riccio sul divano di Elrond, ma tutti lo volevano. È sempre bello tornare a casa. Però ci possono essere momenti in cui lo si desidera di più, ad esempio quando siete circondati dagli orsi polari a Capo Nord immagino che desideriate moltissimo essere seduti comodi nel vostro salotto. E invece state per diventare cibo per questi enormi plantigradi. Non è facile da accettare, ma, a meno che non passi un elicottero e vi salvi tirandovi su con una corda, non c’è alternativa. Certo, se poi sull’elicottero scoprite che ci sono i vostri peggiori nemici che vi odiano così tanto da volervi uccidere di persona, credo che preferireste gli orsi. Ma sto divagando, meglio tornare alla nostra storia.

Dopo che ebbe dato il biglietto a Faramir, lo stregone uscì di casa e invitò tutti a seguirlo.

Fuori ora si vedeva tutto alla perfezione: vicino alla casa c’era il pentolone che aveva contenuto quella strana sostanza assai diversa dal minestrone ed era tutto pieno di buchi causati da quel liquido corrosivo, poi si vedeva un tavolino con delle sedie, un braciere spento (“Serve per fare magie?” chiese Faramir. “No, per cuocere la carne d’estate.” rispose Alcarin.), un orto pieno di strani frutti tra cui i fiori di Loto, che Boromir prese di nascosto mentre lo stregone era girato, una catasta di legna e un pozzo.

Il tutto era circondato da pareti rocciose molto ripide e Legolas si immaginò che capitombolo dovessero aver fatto Elrond e Haldir.

Lo stregone si fermò in uno spiazzio tra il tavolino e il braciere e disse:“Naturalmente mi dovete pagare per questo servizio... 1000 monete d’oro ciascuno!”

“Ma prima costava 500!” esclamò Gimli.

“Sono passati 870 anni e adesso c’è l’inflazione! Perciò anch’io devo ritoccare i miei prezzi.” rispose Alcarin.

“Va bene... ti pagheremo quando ci sarai riuscito.” propose Legolas.

Ma non li abbiamo tutti questi soldi!” bisbigliò Aragorn all’elfo.

Lascia fare a me...” rispose Legolas e continuò “Allora va bene?”

“Certo che va bene! Farò la magia e poi mi pagherete!” e cominciò a recitare la stessa litania che aveva pronunciato 870 anni prima.

Con qualche fatica, perchè erano sei e non due, riuscì a compiere l’incantesimo e i giovani sparirono.

“E adesso pagatem... Corpo di mille ghiacciai! Me l’hanno fatta anche questi! Ma mi vendicherò e senza aspettare 870 anni!” urlò lo stregone e tornò dentro la sua casa per tessere chissà quali piani di vendetta.

Intanto a Gran Burrone, Elrond stava meditando sul fatto che Legolas e gli altri non tornavano e, dopo aver festeggiato, si chiedeva se fosse una buona idea avvisare i loro genitori oppure far finta di niente e far credere che si erano persi mentre tornavano a casa. Proprio mentre stava passando vicino a un muro decorato da un affresco in cui Elrond più giovane infilzava un troll, successero innumerevoli cose. Quando il re elfico si ricordò il terribile peso della carcassa del troll che gli era caduta addosso, contemporaneamente a Isengard un vecchio con le meche vestito di bianco cominciava a pensare di poter diventare immensamente potente, nel frattempo a Gondor il sovrintendente si lamentava del dolce disgustoso e incolpava di ciò il suo secondogenito (anche se non ne aveva colpa perchè si trovava sugli Erembrulli), intanto sulle rive del fiume Anduin una creaturina strisciante che blaterava cose senza senso su un certo ladro si dirigeva a Sud e nello stesso momento aveva effetto l’incantesimo dello stregone Alcarin.

E infatti i nostri eroi comparvero a Gran Burrone, ma a tre metri da terra.

Tuttavia non si fecero molto male perchè caddero proprio addosso a Elrond, al quale sembrò di venire di nuovo schiacciato dal troll. Il baccano fu tale che lo sentirono tutti gli abitanti dell’ultima casa accogliente (così definita da coloro che viaggiavano da ovest verso est), compreso Beorn che si trovava in una radura molto distante per allenare i cuccioli di castoro. Appena lo udì, corse subito nel punto da cui era partito il rumore nella speranza di poter partecipare a una rissa, ma quando arrivò fu deluso.

“Ma sono già tutti svenuti! Che peccato!” esclamò e poi si accorse che quelle persone svenute erano... “Legolas! Gimli! Aragorn! Faramir! Boromir! Eomer! Ragazzi, ero così preoccupato! Non tornavate più! Stavo per venire io a cercarvi! Mancate da una settimana!” E li abbracciò tutti insieme piangendo di gioia e bagnandoli con le sue enormi lacrime da orso. Beorn infatti, per quanto possa sembrare strano, era un tenerone e si preoccupava moltissimo delle persone che gli venivano affidate. Però era molto manesco e non aveva una chiara idea della sua forza, perciò i ragazzi furono lieti quando li lasciò andare perchè li stava quasi stritolando nell’abbraccio.

“Poi mi racconterete cosa vi è successo e... Oh, santo cielo!” esclamò vedendo Elrond a terra “State bene signor... ehm, ragazzi com’è che si chiama?” chiese mentre si chinava a guardare come stesse.

“Berlond!” rispose Legolas e si allontanò insieme agli altri verso le loro celle, ehm, volevo dire camere, per dormire, anche se erano le tre del pomeriggio. Non appena Beorn chiamò Elrond in quel modo, l’elfo si svegliò subito e urlò il suo nome giusto così forte che lo sentirono tutti nell’arco di dieci miglia.

Prima di entrare nelle sua camera, Legolas fu fermato da Aragorn che gli tirò un ceffone molto forte, nonostante la stanchezza.

“Ma che cavolo...” cominciò l’elfo stupefatto.

“Ridammi l’anello appartenuto al mio antenato Barahir e riconquistato dal mio progenitore Beren e perduto dal mio trisavolo Arvedui e riscattato dal mio bis-bis-bis-bis-bis-bis-bis-bis-bisnonno, brutto ladruncolo di quarta categoria!” disse Aragorn con fare minaccioso.

“Eh?” disse Legolas perchè si era perso in mezzo alle parentele e agli insulti.

“Insomma ridammi l’anello che mi hai rubato prima dell’incontro con lo stregone!”

“Aah, quell’anello con quattro smeraldi! Va bene.” e restituì l’anello ad Aragorn “E già che ci siamo...” e ridiede ad Aragorn il portafogli, un pugnale, la faretra con le frecce e la spada. Poi andò a dormire lasciando Aragorn stupefatto.

Il giorno dopo, dieci dicembre, non c’era lezione perchè era il giorno prima delle vacanze per la Festa del Ringraziamento. Era la festa che gli elfi celebravano a metà dell’inverno e consisteva nel ringraziare i Valar di essere arrivati sani e salvi in quelle terre migliaia di anni prima. Naturalmente questa festività non riguardava uomini, nani e hobbit (questi ultimi però festeggiavano lo stesso perchè era un buon modo per abbuffarsi), ma siccome per Elrond era sacra, faceva tornare a casa tutti gli allievi.

Durante la mattina, tutti, eccetto Faramir, passarono il tempo a raccontare spacconate su quello che gli era successo. Aragorn raccontò ad Arwen, mentre Elrond era impegnato a scoprire chi gli avesse messo un riccio sul divano, che si erano persi sulle montagne a causa dell’inesperienza degli altri, ma che lui li aveva salvati sterminando migliaia di goblin e convincendo le aquile a riportarli a Gran Burrone. Gimli e Legolas facevano a gara a chi la sparava più grossa, l’elfo per impressionare le dame di Imladris, il nano per mostrarsi migliore dell’elfo.

“Quando finii la frecce, strappai un ramo da un albero e solo con quello affrontai migliaia di orchi...” disse Legolas.

“Ma sugli Erembrulli non ci sono alberi!” esclamò Gimli.

“Ti pare che in quel momento potessi pensarci???” ribattè l’elfo.

Boromir parlava a una colonna perchè aveva di nuovo mangiato i fiori di Loto. Infine anche Eomer si pavoneggiava davanti al suo cavallo.

Invece Faramir andò a salutare Beorn portandogli un regalo, perchè era stato comunque un buon insegnante. Questo fu un gesto carino da parte del giovane che voleva perdonare all’uomo orso il fatto che durante le sue lezioni ne avesse sempre prese un sacco e una sporta.

Mentre Beorn si gustava il miele, che era il regalo di Faramir, il giovane gli raccontò cosa era successo veramente in quella settimana. Io non lo riscrivo perchè lo sapete già, ma Beorn fu contento di sentirlo perchè gli piacevano molto i racconti di avventura. Però poi Beorn raccontò ciò che Faramir gli aveva raccontato a Elrond, durante il pranzo. Lo fece perchè gli piaceva anche raccontare le storie che sentiva e anche perchè il miele lo aveva messo di buon umore.

Elrond fu felicissimo di venire a conoscenza di un simile racconto e non perchè voleva scriverlo come sto facendo io, ma perchè gli faceva venire in mente un’idea di un modo di ricattare Legolas e i suoi amici.

Il pomeriggio li chiamò in classe per dargli i compiti delle vacanze e disse:

“Ho saputo da fonte certa che voi andate in giro a raccontare frottole circa il vostro viaggetto nel Nord.”

“E allora?” domandò Legolas in tono di sfida.

“E allora avete due possibilità: o passare per bugiardi di fronte a tutti o fare tutti i compiti che vi darò senza lamentele.” rispose Elrond con un sorriso malvagio. Le reazioni dei giovani furono diverse: Boromir aveva uno sguardo ebete per via del Loto, Gimli esultava pensando alla figura che avrebbe fatto Legolas, senza pensare a quella che avrebbe fatto lui, Eomer si preoccupava del fatto che il suo cavallo pensasse che era un bugiardo, Faramir si sentiva in colpa perchè aveva intutito come erano andate le cose, Aragorn era atterrito per il fatto che Arwen sapesse che le aveva mentito e Legolas era del tutto tranquillo e ricambiava lo sguardo di Elrond.

“Se vuoi ricattarci, combattiamo ad armi pari, caro Elrond!” disse l’elfo tirando fuori da una tasca un foglietto. Faramir esclamò:“Ma ce l’avevo in tasca io! Come hai fatto a prenderlo?”

“Te l’ho sfilato prima che venissimo teletrasportati. Tu non ne avresti mai fatto buon uso. Io invece sì!” e si rivolse a Elrond “Se sai tutta la vera storia, saprai anche che noi sappiamo che tu non hai mai pagato il conto allo stregone Alcarin.”

“Certo che so che voi lo sapete, ma non ci sono prove che ciò che voi dite di sapere sia vero!” rispose Elrond.

“E invece sì.” e gli diede il foglietto dello stregone “Non affaticarti a strapparlo: lo stregone l’ha fatto diventare indistruttibile.”

“Come lo sai?” chiese Aragorn.

“Per sbaglio stamattina mi ci è caduto sopra una coltello, ma non si è nemmeno segnato.” rispose l’elfo mentre Elrond diventava bianco come un cencio.

“Avete vinto!” si arrese l’elfo “Cos’è che volete per non dirlo a nessuno e lasciarmi questo foglietto?”

“Sono certo di sapere cosa vogliono tutti i miei amici: nessun compito per le vacanze!” esclamò Legolas mentre gli altri urlavano parole di approvazione (eccetto Boromir, ancora sotto l’influsso dei fiori).

“E va bene!” disse Elrond “Non vi darò nessun compito scritto nè dirò a nessuno la verità. Però posso almeno darvi da leggere un libro?”

“Uno solo?” chiese Gimli con fare sospettoso.

“Sì.” rispose Elrond.

“E nessun esercizio scritto?” chiese Eomer.

“Lo giuro.” rispose solennemente l’elfo, mentre Aragorn faceva dei cenni di diniego a Legolas e gli altri.

“Allora va bene.” dissero tutti tranne Boromir che si stava svegliando in quel momento e Aragorn che si coprì la faccia con le mani, disperato.

 

 

Questo capitolo magari è un po’ breve, ma serve da passaggio tra una vicenda e un’altra mooolto lunga. Continuate a seguirmi e avrete le risposte a queste annose domande:

1)Perchè Aragorn era disperato?

2)Cosa farà Alcarin per vendicarsi?

3)Come saranno accolti i nostri eroi dai genitori al loro ritorno a casa?

4)Riuscirò a rispondere a queste domande?

5)Se non ci riuscirò, dove mi nasconderò per evitare l’ira di voi lettori infuriati e insoddisfatti?

 

Prossimamente su questi schermi!

 

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Capitolo 17
*** La Festa del Ringraziamento ***


@Suikotsu:

Risposte ai commenti:

 

@xxx_meggy: Sei una vera divoratrice di fanfic! Sono contento che apprezzi anche la mia!

 

@Rakyr il Solitario: Beh, alla prima domanda si risponderà subito, per la seconda dovrai aspettare un po’, mentre per la terza mi pare fin troppo evidente che la risposta sia sì! Vedrai come sarà felice Denethor...

 

@Suikotsu: Quanta fiducia! Me la merito? Hum...

 

@stellysisley: Eh già, ma nella Terra di Mezzo non ci sono metodi per misurare il QI purtroppo...

 

@gittypanda: La risposta è... Sìììììììììììììììììììììììììì!!!! Tra tre capitoli comparirà Denethor e tutta la famigliola sarà unita. E potrai vedere il sangue!

 

@Chary: In realtà il tomone l’ho già nominato... Visto che li adori tanto, sono contento di dirti che qui ci saranno i genitori di Legolas!

 

 

                                                                                  La Festa del Ringraziamento

 

Il giorno dopo tutti i giovani si apprestavano a lasciare Gran Burrone appesantiti dal tomo datogli da leggere da Elrond. Era la prima parte della sua opera più grande: La Noia assoluta. Il volume contava più di cinquemila pagine e l’opera completa almeno mille volte tante. Per di più era scritto fittissimo e non era diviso in capitoli. Era un’opera storica dettagliatissima di tutti gli eventi accaduti nel mondo, arricchita dai commenti e dalle riflessioni di Elrond. Oltre a essere illeggibile, dato che usava espressioni lunghissime per dire una sola cosa e riempiva pagine e pagine di descrizioni, pesava mezzo quintale e infatti Elrond si era fatto costruire dai nani una biblioteca apposita in mithril, l’unico materiale in grado di reggere il peso dei tutti i libri e delle loro infinite copie.

In effetti il trasporto fu un problema: perfino Beorn faticò a portarli fuori dall’ufficio di Elrond e fu necessario usare due muli per trasportare una sola copia. Così Beorn prestò i suoi muli ai ragazzi e li aiutò a portare i tomi nella stalla.

“Quel vecchiaccio ce l’ha fatta!” esclamò Gimli mentre faceva fagotto delle sue cose e metteva il libro sui muli.

“Io vi avevo avvisato di non accettare!” si lamentò Aragorn.

“Potevi essere più chiaro nei tuoi segnali!” lo rimproverò Legolas tirando i muli per le redini senza risultato.

“Ma io non capisco... Cosa è successo? Perchè abbiamo questi enormi volumi?” chiese Boromir, ancora intontito dai fiori di Loto.

“Elrond ce li ha dati da leggere per le vacanze.” gli spiegò suo fratello mentre leggeva le prime pagine della sua copia.

“Al mio cavallo non piacciono questi muli.” disse Eomer preoccupato “Gli rubano la biada.”

“Non farti sentire! Se Beorn ci sente si arrabbia: sono suoi!” dissero gli altri meno Boromir che stava cercando di ricordarsi cosa gli era successo nelle ultime settantadue ore.

“Ma tu non ti prepari per partire?” chiese Gimli ad Aragorn vedendo che non faceva niente e stava appoggiato al muro della stalla con un filo d’erba in bocca.

“Io abito qui. Così non devo neanche sopportare la fatica di viaggiare con quei mattoni.”

“Molla il fiore, stupido mulo!” esclamò Boromir cercando di impedire che il mulo gli mangiasse il Loto.

Poi a metà della mattinata riuscirono a partire. E videro che a salutarli  c’erano solo Aragorn e Arwen.

“Berlond è normale che non ci sia,” disse Gimli “ma dov’è Beorn?”

“Gli è venuto un terribile mal di schiena per aver spostato i libri.” rispose Faramir.

Faramir, Boromir e Eomer si diressero verso Sud e Legolas e Gimli verso Est. Siccome nessuno dei due era una cima in geografia, l’elfo non capiva perchè il nano lo seguisse e lo stesso valeva per il nano. Dopo mezz’ora di cammino silenzioso, alle pendici delle montagne nebbiose, Legolas si girò verso Gimli e gli urlò:“Si può sapere perchè mi segui?”

“Non ti seguo affatto, stupido elfo! Sto andando a casa mia!” rispose Gimli tirando i muli con tutta la sua forza.

“Vorresti dire che dobbiamo fare la strada insieme, cretino d’un nano?”

“Non lo so, se c’è un’altra strada per Bosco Atro prendila pure, ma questa è la strada per i Colli Ferrosi ed Erebor. Perciò io vado da questa parte!”

“Te ne dovrai trovare un’altra perchè potrei perdere la faccia se qualcuno mi vedesse viaggiare con un nano! Quindi vattene!” ribattè Legolas e gli diede uno spintone facendolo cadere addosso a un mulo che si arrabbiò e scalciò furiosamente. Nell’agitarsi in questo modo tirò una zoccolata all’altro mulo che si inferocì a sua volta. Alla vista di quel pandemonio anche i muli di Legolas cominciarono a scalciare e colpirono Gimli di schiena sul possente deretano. Allora il nano tirò per ripicca un ceffone all’elfo che cercava di calmare i muli e ne seguì la solita rissa.

Mentre Gimli cercava di staccare a morsi la mano di Legolas che gli tirava la barba, una figura comparve da dietro un albero e prese i quattro muli per le redini.

“Ma non riuscite a stare neanche cinque minuti senza picchiarvi? Vi si sente da Gran Burrone!” esclamò Aragorn mentre cercava di calmare i muli.

“Questo pallido elfo mi stava seguendo!” disse Gimli lasciando andare la mano di Legolas.

“Non è vero: è lui che mi pedinava con qualche cattiva intenzione!” si oppose l’elfo.

“Non mi interessa chi inseguiva chi, vorrei solo sapere se posso aggregarmi a voi.” li zittì Aragorn.

“Tu sì ma il nano no!”

“Tu sì ma l’elfo no!”

“Va bene: andremo tutti insieme!” dichiarò l’uomo.

“Ma non dovevi restare a Gran Burrone per le vacanze?” chiese Legolas lasciando la barba di Gimli.

“Sì, ma poi ho scoperto che Elrond voleva riordinare la sua biblioteca e sono scappato perchè non mi costringesse ad aiutarlo. E poi soprattutto perchè ho saputo che Arwen viene da te per il...” ma nessuno sentì quello che Aragorn voleva dire perchè i quattro muli ragliarono all’unisono per indicare che avevano fame. Mentre li facevano pascolare, Legolas si chiese perchè mai Arwen venisse a casa sua per le vacanze. Poi fece lo sgambetto a Gimli ed ebbe altro a cui pensare.

Dopo la fine del litigio e del pascolo dei muli ripresero la salita, non senza fatica a causa della continua resistenza delle bestie da soma. E a questo punto molti lettori si aspetterebbero una descrizione del paesaggio delle Montagne Nebbiose, suppongo. Ma io non ho nessuna intenzione di accontentarli! Se vogliono sapere com’era quella catena montuosa, si vadano a leggere i capitoli 4 e 5 del romanzo Lo hobbit di Jhon Ronald Reul Tolkien. In quella parte della sua opera il Maestro descrive in modo esaustivo quella regione della Terra di Mezzo.

Per quanto mi riguarda, non ho la presunzione di essere migliore del più grande scrittore fantasy e perciò dirò soltanto che verso sera i protagonisti si accamparono in uno spiazzo vicino al sentiero, accesero il fuoco con alcuni arbusti e legarono i muli ad alcune rocce sporgenti.

Poi tirarono fuori le scorte alimentari: 10 kg di carne secca (tenuta da parte da Aragorn da ormai sette anni), 4 panini di semi di orzo (gli avanzi della scorta alimentare donata a Gimli da suo padre quattro mesi prima) e 7 pan di via elfico (sfornato quella mattina a Gran Burrone e trafugato da Legolas verso le dieci). Per l’acqua il nano e l’elfo bevvero quella della borraccia di Aragorn senza che lui facesse in tempo a fermarli. Poi spiegò loro che era l’acqua di risciacquo dei suoi ultimi centodue lavaggi. Legolas e Gimli vomitarono copiosamente sul fianco della montagna.

Dopo che ebbero finito iniziarono a cenare.

“Ci dovremo arrangiare con la carne secca e il pane di orzo.” disse Gimli sconsolato.

“Ma la carne ha un colore che non mi piace: è verde e marrone!” esclamò Legolas.

“Ehm, no, ha anche alcune sfumatute blu e gialle... Comunque non è così male... Noi raminghi siamo vissuti così per secoli, dopotutto!” disse Aragorn e ne addentò una fetta.

“Ma dove l’hai conservata per così tanto tempo?” chiese l’elfo alzando timoroso un pezzo di carne.

“In una tasca che ho sul retro dei pantaloni.” disse l’uomo, continuando a masticare come se nulla fosse. Invece Legolas gettò il pezzo sul mucchio degli altri con un urlo di disgusto e Gimli, che ne aveva già mangiate tre o quattro fette, divenne tutto blu e corse di nuovo sul ciglio del sentiero perchè sentiva un profondo desiderio di liberare il suo stomaco da quello che aveva mangiato.

“Ecco perchè ci sono state così tante pestilenze fra i raminghi!” disse Legolas cercando di pulirsi le mani sul mantello.

“Se siete così delicati di stomaco mangiatevi il pane elfico!” esclamò Aragorn spazientito.

Gimli, tornato vicino al fuoco, dichiarò:“Non mi abbasserò mai a mangiare il pane di un elfo!”

“E io non ho nessuna intenzione di offrirtelo!” rispose Legolas, cominciando a mangiarlo.

Gimli addentò il suo pane, ma era come cercare di masticare un sasso. Dopo diversi tentativi, tutti sanno che i nani sono più testardi delle rocce, abbandonò l’impresa e si rivolse a Legolas con fare supplichevole:“Ripensandoci, potrei avere un po’ del tuo buonissimo pane elfico?”

“NO!” rispose poco garbatamente Legolas e continuò a mangiarlo per sè. Così Gimli rimase a stomaco vuoto tutta la sera, fino a che decisero di andare a dormire. Fissati i turni di guardia, uno rimase sveglio, mentre gli altri due si misero a dormire. Almeno, Gimli ci provò, ma i morsi della fame erano tremendi e decise che avrebbe preso quei panini lo stesso, che l’elfo lo volesse o no. Così, durante il turno di guardia di Aragorn, si alzò quatto quatto e cominciò a camminare piano piano verso Legolas.

“Bisogna che io faccia in silenzio, i raminghi come Aragorn hanno un udito finissimo.” pensò il nano mentre passava alle spalle dell’uomo seduto. A un certo punto colpì un sassolino e si sentì un “Tic!” leggerissimo. Gimli si fermò e rimase immobile come una statua guardando il ramingo. Dopo qualche secondo sentì un suono provenire da Aragorn di spalle:“Zzzzz...” Gimli rimase di sale (non nel senso che diventò una statua di sale, ma nel senso che si stupì moltissimo) e pensò anche che se lui li sorvegliava, allora erano davvero in buone mani. Poi ricominciò a camminare verso Legolas. Dormiva sdraiato a pancia in su con il mantello come coperta. Gimli pensò:“Dove li terrà nascosti quei suoi panini? Non vedo tasche nè rigonfiature!” Poi notò una piccola tasca in cima al mantello, seminascosta dal cappuccio. Allora con molta cautela, per non farsi scoprire, scostò il cappuccio e tirò fuori dalla tasca un sacchetto contenente i piccoli ma assai nutritivi panini elfici. Ne prese un paio e poi rimise il sacchetto al suo posto. “He, he! Chi è il ladro più abile, elfo dei miei stivali?” pensò sorridendo mentre tornava al suo giaciglio con quel bottino mangiereccio. Alla luce della luna però gli sembrò di vedere che un panino aveva un piccolo taglio lungo il fianco. Tale cosa avrebbe potuto far insospettire una persona del tutto sazia, ma il nano, che da quattro mesi non mangiava altro che baccalà e che quel giorno non aveva mangiato quasi niente, non si insospettì per nulla. Anzi, li inghiottì in un sol boccone. Poi si mise a dormire contento di averla fatta all’elfo e del tutto sazio grazie alle straordinarie proprietà nutritive del pane elfico.

Quella notte fece sogni strani. All’inizio, era seduto su un trono e ordinava di frustare Legolas mentre suo zio Dain gli portava da mangiare e da bere, ma quando assaggiò il cibo gli lacrimarono gli occhì e sputò fiamme dalla bocca. A quel punto il paesaggio cambiò e vide una capanna in mezzo alla nebbia e lo stregone Alcarin che gli si avvicinava con fare strano, saltellando e gettando margherite e lillà a ogni salto. Lo stregone, con un sorriso idiota sul viso, gli tirò il naso e lui si ritrovò in un deserto pieno di cartelli di divieto di transito. Stava giusto per chiedersi dove passare, quando vide Elrond uscire dalla sabbia e dirgli:“Che cosa fai? Rispetti i cartelli? Ma infischiatene, no? E basta leggere queste robe pallose!” Dicendo quest’ultima frase diede fuoco alla Noia assoluta. Allora Gimli attraversò il deserto in un punto qualsiasi e subito comparvero degli omoni con la faccia da cerbiatto che dissero:“Hai calpestato il territorio sacro! Devi sposare la nostra principessa!” Dopo queste parole gli uomini-cerbiatti lo sollevarono di peso e lo portarono in un palazzo enorme. Era così grande e alto che non si vedeva il soffitto. Poi comparve un uomo con un lungo abito color porpora e con una palla di fuoco al posto della testa che disse con fare solenne:“Che il prigioniero sia condotto nelle stanze di mia figlia!” Poi suonarono delle trombe assordanti e Gimli si ritrovò in una sala piena di tende, drappeggi e divani. Da dietro una tenda uscì una giovane donna bellissima con lunghi capelli rossi e succintamente vestita. Gimli la guardava quasi intimorito da così tanta bellezza. Poi la donna avanzò verso di lui con uno sguardo di desiderio. Quando gli fu davanti si chinò e avvicinò le sue labbra alle sue con l’evidente intenzione di baciarlo. Gimli sentiva il cuore che gli batteva all’impazzata e...

“Sveglia, dormiglione! Il sole è già alto!” esclamò Aragorn svegliando il nano con un secchiata d’acqua che per fortuna aveva preso da un torrente lì vicino. Gimli ebbe qualche difficoltà ad orientarsi, ma quando riuscì a focalizzare l’uomo, gli saltò addosso come una belva.

“Ma che ti prende? È acqua pulita! Perchè ti arrabbi tanto?” gridò Aragorn cercando di fermare il nano.

“Puzzone maledetto, essere imberbe, testa di pastafrolla, ora me la pagherai!!!” urlò Gimli cominciando a tirare calci e pugni.

“Ma che ti ho fatto???” chiese disperato il giovane ramingo cercando di difendersi dai colpi.

“Mi hai svegliato e l’hai fatta sparire!!! Per questo ti ammazzo!!! Ti ridurrò in...” ma non finì la frase perchè Legolas lo colpì alle spalle con un bastone sul suo capone e il nano cadde a terrra.

“Grazie per l’aiuto!” disse Aragorn “Speriamo che tu non gli abbia fatto troppo male!” e si chinò ad osservare Gimli.

“Con il testone duro che ha credo che non si sia fatto proprio niente!” disse Legolas “Ma perchè voleva suonartele di santa ragione?”

“Non lo so! Io l’ho solo svegliato con un secchio di acqua pulita!” rispose il giovane uomo sedendosi a terra.

“Si riferiva a qualcosa che era scomparsa con il suo risveglio, giusto?” chiese l’elfo.

“Sì, mi pare.” Legolas andò a prendere il suo mantello e guardò nella tasca sotto il cappuccio.

“Ho risolto il mistero: quel cretino d’un nano ha mangiato i panini dentro i quali ho nascosto le foglie di Lorien!” spiegò l’elfo ad Aragorn.

“Che metodo ingegnoso per il contrabbando! Ma che effetto hanno le foglie?” chiese l’uomo.

“Beh, procurano visioni piacevoli e strane durante il sonno... Probabilmente lo hai svegliato in un bel momento... Chissà, forse mentre mi metteva al rogo!” disse Legolas ridendo.

“Non credo... Ha detto che l’avevo fatta sparire e quindi credo che c’entrasse una bella donna... Comunque sarà lui a dircelo.” Ma siccome non si svegliava, i due decisero che se lo sarebbero portato a spalla a turno. Così Aragorn prese in spalla Gimli, lamentandosi per il suo peso, Legolas prese i muli per le redini e ripresero il cammino.

Camminarono e camminarono su sentieri ripidi e scoscesi per tutto il giorno, finchè verso sera giunsero in cima. A quel punto cominciò a nevicare tantissimo. Cercarono rifugio in una grotta, ma ci trovarono una famiglia di orsi poco felice della sveglia preletargica. Si salvarono lanciando loro la carne secca di Aragorn e poi fuggendo via. Alla fine si rifugiarono sotto una sporgenza della montagna sotto la vetta. Provarono ad accendere un fuoco ma la legna era tutta fradicia e fece solo un grande fumo grigio. Solo a questo punto Gimli, che aveva dormito tutta la giornata ed era stato sulle spalle dell’uomo e dell’elfo a turno, si svegliò.

“Si soffoca con questo fumo!” disse agitando le braccia.

“Ben svegliato! Ora puoi dirmi il motivo per cui ti sei mangiato i miei panini ieri sera?” chiese Legolas afferrandolo per un braccio e scuotendolo.

“Avevo fame e poi volevo dimostrarti che sono abile quanto te!” rispose Gimli liberando il suo braccio.

“Sì, ma guarda che hai mangiato un panino ripieno di foglie! Quelle foglie che commercio io, ovviamente!”

“Ah... Questo spiega i miei stranissimi sogni...”

“E anche il fatto che hai cercato di ammazzarmi quando ti ho svegliato!” disse Aragorn mentre assicurava i muli alla parete rocciosa.

“Ehm, già... Scusa...” borbottò Gimli mentre ripensava ai suoi sogni.

“Comunque non intendo farti pagare le foglie che hai mangiato, perchè credo che tu non abbia un soldo... E poi non avevi intenzione di mangiarle, però in cambio farai il turno di guardia tutta la notte!” disse Legolas.

Dopo mangiarono i panini che gli diede Legolas, quelli privi di tagli laterali. Quando finirono, Gimli esordì:“Legolas, è possibile che l’effetto delle droghe ti mostri il futuro?”

“Mi sembra di no... Una volta Adrenalin mi ha detto che aveva visto se stesso ricco e vestito quasi come un re, ma ciò non accadrà mai, ovviamente!” rispose Legolas distendendosi sopra il mantello, per evitare che succedesse di nuovo quello che io e voi sappiamo troppo bene.

Gimli sconsolato ci pensò su per un po’ e poi si convinse di quello che aveva detto Legolas e si mise a fare la guardia come un vero uomo del Nord: dormendo della grossa!

Il giorno dopo scesero dalle Montagne Nebbiose, attraversarono il fiume Anduin e penetrarono nell’enorme foresta di Bosco Atro. Ma quando entrarono in mezzo agli alberi alti e tenebrosi, i muli si imbizzarrirono e fuggirono abbandonando i loro carichi.

“Ma che gli è preso?” chiese Legolas attonito.

“Forse anche a loro fa schifo la tua foresta.” suggerì Gimli e l’elfo gli tirò un pugnone e cominciarono a picchiarsi come al solito. Intanto Aragorn pensò che magari avevano sentito che qualcosa di spaventoso si stava avvicinando. Così sguainò la spada e si ricordò che era la Spada-che-fu-rotta e che non era ancora stata aggiustata. “Ma perchè quel cretino di Berlond non me l’ha fatta riparare? Sono passati più di 2000 anni da quando il mio antenato la ruppe!” pensò con rammarico. All’improvviso si sentì un rumore di qualcosa che camminava sugli alberi sopra di loro. Aragorn fece silenzio e anche Legolas e Gimli smisero di picchiarsi. L’essere, ora lo sentivano bene, aveva un passo pesante e sgraziato, del tutto diverso rispetto a quello di un elfo. All’improvviso un rametto cedette e con un orribile grido la creatura cadde in un cespuglio a pochi metri da loro. I tre si avvicinarono con cautela e videro che era... “Adrenalin??? Ma che ci fai qui?” domandò esterrefatto Legolas all’elfo dentro il cespuglio, che infatti era proprio Adrenalin, magro come un osso e sbronzo come al solito. Lui biascicò qualcosa di incomprensibile, bevve un altro sorso dalla bottiglia che teneva nella mano destra e si sbrodolò sulla camicia un tempo bianca ma ora tinta di rosso dal vino.

“Insomma che ci fai qui? Ti avevo detto di andare a Rohan per raccogliere i profitti! Perchè sei ancora qui?” chiese con più insistenza Legolas togliendogli la bottiglia di mano.

“Hic! Ridammi la bottiglia brutto elfo shche shembri Legolash e shei Legolash! Hic! She shei Legolash ho un messashgio da Araldin per te! Shennò non te lo dò! Hic!” disse Adrenalin con quella voce da ubriaco del tutto identica a quella che aveva quattro mesi prima al processo.

“Sono Legolas, dammi il messaggio di Araldin, dai!” rispose l’elfo pazientemente mentre Aragorn e Gimli li guardavano stupiti.

“Eshco shqua!” rispose Adrenalin dando a Legolas un foglietto fradicio di vino e di sudore. Legolas lesse:“-Cari Logoland, atanto attornarre accassse, tu ai in groso, grosisimo gauio! Vani viav! Da toe su fesstegio il Fiasco dun Rimbaltammenzio! Araldin.- Accidenti, quante volte vi devo dire che i messaggi li deve dettare Araldin, ma scriverli Imlelil! Ha scritto giusto solo il suo nome!” disse guardando male Adrenalin.

“Imlelil non poteva! Hic! Era impegnato in un grande dibattimento alla taverna principale di Pontelagolungo! Hic!” rispose l’elfo ciucco.

“Sempre a fare a botte Imlelil! Ma perchè non prende esempio da me?” Aragorn lo interruppe con un tossicchio di protesta e Legolas cambiò argomento “Ma cosa mi voleva dire Araldin? Non te l’ha detto?”

“Shì, ma me lo shono shcordato! Hic!” rispose Adrenalin con il suo sorriso idiota “Ora devo andare a Shoan o Rooohan, Legolash? Hic!”

“Va’ dove ti pare, ma non fare guai!” ordinò Legolas spazientito e l’elfo sbronzo riprese la sua bottiglia di vino e si allontanò cantando una canzone da ubriachi che era nota a tutti gli elfi della Terra di Mezzo.

 

             Tre limoncelli ai Re degli Elfi sopra il tavolo zuppo che risplende

             Sette grappe ai Principi dei Nani sulle loro sedie di pietra

           Nove tavernelli agli Uomini Mortali che il triste mattarello attende

            Un conto per l’Oscuro Oste chiuso dietro la cassa tetra

            Nella sua Locanda, dove il denaro sale e scende.

            Un Vinello per attirarli, Un Indirizzo per trovarli,

            Un Bastone per legnarli e in cucina incatenarli,

            Nella sua Locanda, dove la pecunia sale e scende.

 

Dopo che si fu allontanato, Legolas chiese consiglio agli altri sul significato del messaggio.

“Secondo me, dice qualcosa riguardo un ritrovo di ubriaconi.” disse Gimli, dopo un po’ “Guarda c’è anche scritto Fiasco con la effe maiuscola!”

“Ma no, altrimenti non sarebbe un problema per Legolas, ma per chi avrebbe organizzato il ritrovo se sua madre venisse a saperlo. Secondo me, c’entra un altro processo!” affermò Aragorn.

“Se ci sarà mi difenderò da solo stavolta!” rispose Legolas “Comunque, non ho paura di nessun piano di mio padre e degli altri due, Berlond e Chelleborn o come si chiamano! Andiamo!” E ripresero il cammino dentro la foresta portando i libri in mano con grande sforzo. Quando arrivarono a poca distanza dal palazzo reale, Legolas capì che c’era qualcosa che non andava: infatti si poteva vedere un grandissimo striscione con scritto “Benvenuti!” appeso a due enormi alberi.

L’elfo si stupì perchè suo padre non era mai stato felice di rivederlo e comunque non avrebbe espresso la sua gioia in un modo simile.

“Ma ci stanno aspettando?” chiese Gimli osservando lo striscione.

“Ma no, è per dare il benvenuto agli elfi che verranno qui per il...” ma nessuno sentì Aragorn perchè un urlò coprì tutti i suoni nel raggio di dieci miglia:“E QUESTI SAREBBERO I TOVAGLIOLI PER I NOSTRI OSPITI??? CE NE SONO SOLO 209 MENTRE NE SERVONO 210!!!

Legolas si fermò agghiacciato: quell’urlo gli ricordava una cosa terribile.

“Ma chi è che urla così forte?” domandò Gimli massaggiandosi le orecchie. Legolas non gli rispose e avanzò tra gli alberi per accertarsi che ciò che temeva non fosse vero. Ma quando arrivò nel suo giardino, vide una scena che lo fece impallidire: tutte le statue erano lucidate e coperte di fiori e le aiuole si trovavano in uno stato di assoluta perfezione, neanche il più piccolo fiore era fuori posto e non si vedeva nessuna erbaccia.

“No, non è possibile...” sussurrò Legolas, sempre più bianco.

“Cosa non è possibile?” chiesero Aragorn e Gimli.

“Non possono essere già passati 200 anni...”

“Ma perchè, cosa succede ogni 200 anni?”

Ma Legolas, invece di rispondere, buttò per terra la sua copia della Noia assoluta, mancando per un pelo i piedi di Gimli, si voltò e cominciò a correre a gambe levate, il che non è gentile, perchè se qualcuno fa una domanda sarebbe bene rispondergli. Tuttavia la sua corsa non durò a lungo perchè inciampò  in una radice e ruzzolò per terra. Immagino che tutti voi pensiate che gli elfi non caschino mai e che riescano sempre a schivare tutti gli ostacoli, ma non è così. Soprattutto quando pensano a scappare il più veloce possibile da qualcosa. Perciò Legolas cadde in mezzo al sentiero e, mentre si rialzava, vide un’ombra minacciosa sopra di sè. Con moltissima cautela volse in alto lo sguardo e vide un elfo assai simile a lui, ma un po’ più vecchio. Portava sulle spalle un sacco enorme che sembrava davvero pesante ed era seguito da tanti altri elfi che avevano un uguale carico. Osservò Legolas per un attimo e poi fece una smorfia che assomigliava a un sorriso amaro.

“Sono felice che tu sia venuto in tempo per la Festa del Ringraziamento, figlio mio!” disse re Thranduil mentre arrivavano anche Aragorn e Gimli, che avevano gettato via il loro libro per essere più leggeri, “Hai portato anche i tuoi amici? Bravo, in effetti servono altri sguatteri per la cucina.” aggiunse indicando soprattutto il nano.

“Tu mi ricordi qualcuno... Ah, già! Sei il figlio di Gnoil o qualcosa del genere... Bene, bene! Oggi, finalmente, mi pagherai il pedaggio che tuo padre e i suoi tredici compagni non mi hanno mai dato. James!”

Dal gruppo di elfi emerse il maggiordomo, inconfondibile perchè indossava una camicia bianca su cui era scritta a caratteri cubitali una parola: JAMES. Evidentemente tutti continuavano a sbagliare a chiamarlo.

“Sì, maestà?”

“Conduci questo nano nelle cucine reali e fallo lavorare sodo! Quanto a voi due...” disse riferendosi a Legolas e Aragorn, mentre James e i suoi assistenti afferravano Gimli per le braccia e per le gambe e lo portavano verso il palazzo.

“Io sono qui solo di passaggio, paparino! Ecco, mi sono ricordato che ho un impegno importantissimo e devo andare!” disse Legolas cominciando a scappare. Ma a un gesto di Thranduil un elfo lanciò il suo sacco davanti al fuggitivo, che ci inciampò. Così lo acciuffarono e lo riportarono indietro nel posto dove Aragorn stava immobile con le mani alzate.

“Stavolta non scapperai come hai fatto 200 anni fa! Resterai qui con me a preparare la festa e sarai come me schiavo di una certa elfa. E ora andiamo!” disse Thranduil e tutti si diressero verso il palazzo.

Entrarono dal portone aperto e si ritrovarono nella sala centrale. Sembrava che fosse ancora in costruzione: era pieno di impalcature e non c’era neanche un mobile, un tappeto o un arazzo. Al centro della sala c’era un’elfa dall’aria isterica che stava urlando ordini a tutti quelli che le stavano intorno. Quando li vide entrare esclamò:“MA QUANTO CI VUOLE AD ANDARE A PRENDERE GLI STRACCI PER PULIRE I VETRI E IL PAVIMENTO???”

Ehm, cara ci abbiamo messo di più perchè c’era la coda e poi ho trovato Legolas e i suoi amici che si sono offerti di darci una mano...” disse a Natail indicando suo figlio e Aragorn.

“Veramente io sono qui solo per vedere Arwen e...” iniziò l’uomo, ma era troppo tardi! Natail aveva sentito le parole “si sono offerti” e “darci una mano” e non poteva ascoltare nient’altro perchè stava pensando a cosa fargli fare.

“Sì, va bene, voi potete pulire le finestre. Prendete gli stracci e l’acqua col sapone e andate! Siete ancora lì??? Sbrigatevi!!!” urlò la madre di Legolas e poi corse fuori per andare a controllare ancora il giardino.

Così Legolas e Aragorn si ritrovarono sopra un’impalcatura alta cinque metri davanti a una enorme e altissima finestra che doveva diventare trasparente come l’aria.

“Se dobbiamo renderlo così tanto trasparente, potremmo direttamente togliere il vetro e sarebbe lo stesso! Ma mi vuoi spiegare che cosa avete voi elfi oggi? Sembrate pazzi!” disse Aragorn cominciando a passare il panno sul vetro.

“Secondo la nostra usanza, il giorno ventisette dell’ultimo mese dell’anno, ogni cinquant’anni, uno dei quattro re degli elfi deve ospitare tutti i suoi parenti per festeggiare il Ringraziamento ai Valar che fu celebrato dall’antico re Fingolfin milioni di anni fa quando approdò sulla Terra di Mezzo. Mi sono scordato che sono già passati 200 anni dall’ultima volta e che perciò tocca ancora a noi ospitare i nostri infiniti parenti per la solenne Festa del Ringraziamento. Tutto qui! Se lo avessi saputo sarei andato il più lontano possibile!” sbuffò Legolas pulendo svogliatamente il vetro.

“Ma io ho cercato di dirtelo per tutto il viaggio che venivo qui per vedere Arwen che deve appunto venire con suo padre per questa festa!”

“E perchè non ci sei mai riuscito?”

“Beh, la prima volta hanno ragliato i muli e allora ho rimandato a dopo. Poi hai cominciato a fare a botte con Gimli e quindi me ne sono scordato.”

“A proposito, ma il nano dove sarà finito?” chiese Legolas.

“Nelle cucine a pelare le patate, immagino. Comunque non poteva capitarmi niente di peggio: io sono Aragorn figlio di Arathorn erede di Isildur e di Beren e dovrei perciò compiere grandi imprese, non pulire le finestre! Dovrei uccidere mostri, non lo sporco, non credi?” si lamentò Aragorn.

“Che vuoi fare? Non credo che i tuoi antenati verranno qui a salvarci e non possiamo neanche scappare, per ora. Guarda: gli aiuti maggiordomo sorvegliano tutte le uscite!” Mentre discutevano e continuavano a pulire il vetro, a un certo punto Legolas ci vide attraverso un elfo che camminava indisturbato nel cortile. Era Araldin, uno dei tre compari del figlio di Thranduil. Aveva i capelli biondi coperti da un cappello rotondo con una piuma ed era molto diverso da Adrenalin. Per prima cosa, non era magro nè sbronzo, era vestito di verde e sembrava una persona molto intelligente. Peccato che non sapesse scrivere niente, eccetto il suo nome.

Legolas aprì la finestra e lo chiamò:“Araldin! Sono Legolas! Vieni qua!”

L’elfo si voltò stupito e si avvicinò alla finestra. Quando ci fu sotto disse:“Legolas, come mai ti trovi nella tua dimora? Non hai ricevuto la missiva che ti mandai per mano del nostro sodale Adrenalin?”

“L’ho ricevuta e devo dire che ancora oggi, dopo 2500 anni che ci conosciamo, non riesco a crederci! Tu parli benissimo, ma scrivi da cane! Ora mi devi spiegare che cos’è secondo te il Fiasco dun Rimbaltammenzio!” urlò Legolas.

“Stelle del cielo! Ho scritto forse quell’obbrobrio mentre volevo tracciare sulla carta le parole ‘Festa del Ringraziamento’?” rispose Araldin guardando verso l’alto con aria triste.

“Proprio così, sassi della terra! Guarda in che condizione mi trovo! Perchè non l’hai fatto scrivere ad Imlelil?” chiese Legolas continuando a lucidare la finestra.

“Perchè era impegnato in una lotta per difendere la vita di Adrenalin.”

“Cosa? Ma se stava benissimo quando l’ho visto!”

“Sì, ma, appena poche ore prima che ti incontrasse, era in una taverna di Esgaroth a bere con Imlelil. Mentre erano lì a bisbocciare, è entrato il figlio del governatore di quella città e l’oste gli ha dato il tavolo migliore e, soprattutto, gli ha fatto un forte sconto sul vino. Naturalmente ciò ha fatto infuriare Adrenalin che ha cercato di avvolgerlo in un tappeto per poi buttarlo giù da un ponte.”

“Ma è proprio fissato con questa storia di avvolgere le persone nei tappeti e di buttarle giù dai ponti! È già la quinta volta che sento che si è messo nei guai per questo motivo!” esclamò Legolas con uno sguardo esasperato.

“Concordo con il tuo punto di vista. Comunque gli amici del figlio del governatore presenti nella taverna sono intervenuti in suo favore e il nostro sodale stava per avere la peggio. Allora Imlelil ha sollevato un tavolo e l’ha tirato addosso agli uomini, consentendo ad Adrenalin di fuggire. Purtroppo così essi hanno concentrato la loro attenzione su di lui ed è scoppiata una rissa tremenda, ma non so come è finita perchè il nostro amico alcoolizzato è scappato prima e non ha potuto dunque dirmelo quando l’ho visto.” concluse Araldin.

“Parli come un libro scritto a mano, ma solo un idiota metterebbe per iscritto questi fatti!” sbuffò Aragorn sporgendosi in alto per raggiungere la cima della finestra.

“Ora devi andartene prima che mia madre ti veda, altrimenti subirai la nostra stessa sorte!” disse Legolas, Araldin salutò sollevando il cappello e si allontanò velocemente. I due continuarono a pulire le finestre finchè, dopo mezz’ora, sentirono un urlo orribile dalla cucina. Subito videro Gimli correre nella sala principale a gambe levate inseguito da James che minacciava di ucciderlo con un grosso coltello da macellaio.

“Maledetto nano! Incapace! Inetto! Come hai potuto versare la cioccolata calda sopra il brasato di montone? Spinto da quali nefasti pensieri hai buttato le bucce delle patate dentro il pentolone e le patate nella pattumiera? Per quale motivo hai gettato le uova sulle camicie degli aiuti maggiordomo?” gridava mentre lo rincorreva.

“Ma le volevano in camicia!” rispose Gimli arrampicandosi sulle impalcature per pulire le finestre. Salì molto in fretta, anche perchè James non mollava e arrivò da Aragorn e Legolas.

“Ragazzi, meglio scappare, prima che quel Gianni mi faccia fuori!”

“JAMESSS!!!” urlò il maggiordomo mentre scalava le impalcature con il coltello fra i denti.

“D’accordo, nano! Pensò anch’io che sia giunto il momento di sloggiare! Non voglio incontrare nessuno dei miei lontani parenti, perchè credo di aver contratto debiti più o meno con tutti!” disse Legolas buttando il cencio per terra “Seguitemi!” Prese una corda che penzolava del soffitto, si lanciò attaccato ad essa e arrivò sull’impalcatura dall’altra parte della sala pricipale senza neanche un capello fuori posto. Decisamente non fece lo stesso Gimli, che si lanciò di corsa aggrappato ad un’altra corda, che però, siccome era sottile, non resse il suo peso e si spezzò facendolo ruzzolare di fianco a Legolas.

“Ti manca lo stile, che è innato nel mio popolo, invece.” criticò l’elfo mentre il nano si rialzava.

Intanto Aragorn era ancora sull’impalcatura dall’altra parte del salone e ormai il maggiordomo assassino l’aveva quasi raggiunto. Lui, incurante dell’espressione omicida di James, gli disse:“La prego, consegni questa lettera ad Arwen Undomiel, figlia di Elrond, colei alla quale ho giurato eterno amore a Lorien sulla collina del...”

“Dagli questa lettera e muovi il culo!” gridò Gimli.

Aragorn mise il foglio nella mano libera del maggiordomo, saltò sulla sua corda e atterrò dall’altra parte.

“Preparatevi a saltare!” esclamò Legolas e aprì la finestra alle loro spalle. Mentre James inferocito cercava di raggiungerli, i giovani si buttarono fuori giù, nonostante fossero ad una considerevole altezza. Ma non si fecero troppo male sia perchè gli alberi attutirono la loro caduta, sia perchè piombarono addosso a re Thranduil che stava controllando il giardino.

Quando Legolas vide chi gli era servito da materasso di atterraggio, fece alzare i suoi amici e se la diedero a gambe levate. Ma erano inseguiti da torme di aiuti maggiordomi che guadagnavano terreno. Quando stavano per raggiungerli, ebbero un colpo di fortuna.

“DOVE SONO FINITI TUTTI, GIUSEPPE? DOVE SONO I TUOI AIUTANTI???” tuonò la voce della madre di Legolas. Subito tutti smisero di inseguire i fuggitivi perchè avevano una paura tremenda di essere sottoposti a terribili torture se non si fossero ripresentati all’istante dalla regina.

Così i nostri eroi riuscirono a fuggire verso la diga e la città di Esgaroth, meglio conosciuta come Pontelagolungo.   

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Capitolo 18
*** Attraverso il Dunland ***


@xxx_meggy: Certo che devono fare da materasso, sennò a cosa servono quei vecchi barbogi

Auguro a tutti i miei lettori buona vigilia di Natale e già che ci siamo anche buon Natale, felice anno nuovo, buona Befana, buon Carnevale, buona Pasqua e buon Ferragosto!!! Hum, forse ho esagerato... Meglio restringere il campo e augurare semplicemente: buona vigilia e buon Natale!!!

Risposte ai commenti:

 

@xxx_meggy: Certo che devono fare da materasso, sennò a cosa servono quei vecchi barbogi?

 

@Suikotsu: Si sono salvati... Per adesso!

 

@stellysisley: Già, al confronto abbiamo poco da lamentarci noi! Spero ti sia andata bene!

 

@Rakyr il Solitario: Eh ma che esagerato! Non era poi tanto lungo! Visto che ti lamenti tanto, questo è breve, va’! Però non c’è Legolas (tiè!). Riguardo all’insulto, una minima soddisfazione la devo pur dare ad Aragorn, gli faccio sempre fare la figura dello stupido innamorato perso. Ma me la pagherà... presto...

 

 

                                                                        Attraverso il Dunland

 

Mentre a Bosco Atro succedevano quelle cose narrate nel capitolo precedente, Eomer, Boromir e Faramir si dirigevano verso sud da Gran Burrone per giungere nelle loro terre natie, trascinandosi dietro i muli con i libroni di Berl... ehm, volevo dire Elrond. Viaggiavano tranquillamente (Eomer sul suo cavallo) e piuttosto lentamente, anche perchè Boromir raccoglieva per terra tutte le erbe che vedeva nella speranza di ritrovare quella pianta buonissima, a suo dire, che aveva preso da Alcarin.

“Che pianta è questa?” chiedeva ogni dieci secondi a Faramir che camminava di fianco a lui.

Glinnnan. Conosciuto nella lingua corrente come basilico.” rispondeva annoiato. Allora suo fratello la assaggiava per accertarsene, poi la gettava via e ne raccoglieva un’altra.

“E questa cos’è?” e andò avanti così tutto il primo giorno, tanto che Eomer si domandò se non fosse il caso di zittirlo con una bella bastonata.

La sera si accamparono in uno spiazzo alle pendici delle Montagne Nebbiose, accesero un fuoco e mangiarono le scorte che si era portato dietro il previdente Faramir e che Boromir arricchì con tutte le erbe sane che ormai aveva imparato a riconoscere. Mentre i muli e il cavallo di Eomer brucavano l’erba legati a un tronco con delle corde, i tre parlarono di varie cose di cui non è importante scrivere. A un certo punto Faramir propose:“Sentite, perchè non cominciamo a leggere il librone che ci ha dato Elrond, così ci portiamo avanti?”

“Ma chi ne ha voglia, fratellino? A me sembra una gran sciocchezza anche portarcelo dietro!” ribattè Boromir.

“Già, se proprio vuoi leggilo tu!” aggiunse Eomer “E poi il prof non si chiamava Berlond?”

Faramir, deluso, andò a prendere la sua copia del librone dalla sacca in cui l’aveva messa. Tornò a sedersi vicino al fuoco con non poca difficoltà, visto il peso del volume.

“Posso leggervi almeno l’inizio?” chiese speranzoso. Dopo alcuni attimi di silenzio, Eomer sbuffò:“Eh va bene, leggici l’inizio!”

“Speriamo che parli di piante...” borbottò Boromir.

Faramir allora si avvicinò alla luce del fuoco, aprì il libro sulle ginocchia e lesse:“La Noia assoluta ovvero La storia del mondo raccontata da Elrond di Gran Burrone, Raccolta I, Libro I, Parte I, Proemio:

Questa è l’esposizione, la descrizione, l’illustrazione e la spiegazione degli studi, delle ricerche, dei ricordi e delle storie riguardanti la narrazione degli eventi grandi e meravigliosi, piccoli e orribili dall’inizio del tempo fino ad oggi di Elrond Mezzoelfo di Gran Burrone, figlio di Eärendil, figlio di Tuor figlio di Huor e di Idril figlia di Turgon e dunque erede di Fingolfin e di suo padre Finwë, il supremo re degli elfi, e di Elwing, nipote di Beren e Luthien e dunque del re Thingol e di Melian la Maia.

In questo testo compariranno i racconti, le narrazioni e le rivelazioni di coloro che hanno vissuto le vicende, le cronache trovate in altri libri, le congetture sui periodi bui privi di notizie certe e i commenti dell’autore sui fatti più importanti e famosi. Imperocchè nemmanco le più piccole e insignificanti vicende siano dimenticate, la storia dovrà cominciare, per forza di cose, dall’inizio del tempo e del mondo e avere compimento nella sua fine, ormai prossima. E tutte le date saranno qui presenti perchè conviene a tutti gli elfi, uomini, hobbit e nani conoscere l’immensità del tempo e dell’eternità, affinchè possano essi stessi diventare eterni in quanto universalmente consci per il possesso dell’universale scienza.” e qui Faramir fece un attimo una pausa “Accidenti! È bello tosto, non trovate?”

Ma nè suo fratello nè l’uomo di Rohan gli risposero, poichè si erano entrambi addormentati. Lui li guardò con rassegnazione e continuò a leggere nella mente fino a pagina 100, poi decise che forse era ora di dormire un po’, visto che cominciava ad albeggiare.

Il giorno dopo, consumata la colazione, i tre ripartirono.

“Certo che di discorsi pallosi ne ho sentiti alla corte di mio zio, ma quello li batteva tutti!” disse Eomer in groppa al suo cavallo.

“Già, sembrava di sentir parlare Berlond!” aggiunse Boromir mentre raccoglieva un fiore rosso “E questo cos’è?”

“Quello è un papavero.” rispose Faramir “Comunque, certo che ti sembrava un discorso di Elrond, l’ha scritto lui! E poi non è così male, ho letto la prima parte: parlava della creazione del mondo secondo gli elfi, come nella nostra prima lezione a Gran Burrone, ma era molto più dettagliato.”

“E quale sarebbe l’origine del mondo?” chiese Eomer.

“Beh, c’è un dio supremo, Ilùvatar che ha creato ogni cosa insieme ai quindici Ainur, i suoi figli...”

“Ah... e quanto ci ha messo a creare tutto?”

“Nel libro c’è scritto che non ha creato tutto nello stesso momento, anzi  per la verità ha fatto fare moltissime cose ai suoi figli. Lui ha creato gli elfi e poi gli uomini, ma il resto lo hanno fatto gli Ainur.”

“Che dio sfaticato! E ovviamente ha anche delle preferenze! È per questo che gli elfi lo adorano tanto e noi uomini un po’ meno!” sbuffò l’uomo.

“Questi papaveri non sono male, fratellino!” esclamò Boromir con aria beata mentre cominciava a masticarli.

Il loro viaggio non incontrò particolari ostacoli (eccetto il nuovo stato confusionale di Boromir) fino all’ora di pranzo. Dopo un pasto frugale, continuarono a muoversi verso Sud stando rasenti alle montagne ed entrarono in una regione arida e collinare, chiamata Dunland.

In questa terra vivevano gli uomini selvaggi, così chiamati dagli elfi e dagli uomini di Gondor perchè non si tagliavano mai capelli, barba o baffi (che peraltro secondo alcune dicerie avevano anche le donne), non si lavavano mai e abitavano in semplici capanne organizzate in villaggi sulle colline. Le loro principali attività per procurarsi il cibo erano la pastorizia e la caccia (anche se con scarsi risultati perchè gli animali sentivano sempre il loro terribile odore e scappavano), visto che l’agricoltura era quasi impossibile da praticare in quelle terre. Ogni villaggio aveva il suo capo, che veniva eletto in base a criteri diversi: in alcuni villaggi si sceglieva il più forte, in altri il più astuto, in altri ancora il più sporco.

Tuttavia i dunlandiani cercavano a scadenze ricorrenti di darsi un unico re. Poichè non avevano nessun calendario, usavano come misuratore del tempo il vecchio e saggio Dartagimb, nome che significa in dunlandiano “colui che parla a vanvera ogni volta che apre bocca”. Costui era un uomo vecchissimo che viveva nel villaggio centrale del Dunland. Nessuno sapeva quanti anni avesse, ma a giudicare dal fatto che la sua barba era lunga almeno 100 metri, si poteva presumere che avesse visto Isildur in persona (infatti sosteneva di aver rubato la catenina d’oro a cui era legato l’Unico Anello che il re portava al collo, ma senza aver preso l’Anello). Dartagimb giaceva in un sonno catalettico per la maggior parte del tempo, ma ogni tanto (espressione che indica un’indeterminatezza temporale e quindi può voler dire ogni sei mesi, così come ogni sei anni) si svegliava.

Coloro che avevano la fortuna di assistere al magico momento in cui le sue ciglia rugose si alzavano mostrando gli occhi acquosi potevano anche udire una delle sue frasi colme di saggezza e di demenza senile, ad esempio:“Eh, ormai non ci sono più le mezze stagioni, tutta colpa di quella maledetta rondine! Perchè non vuol fare primavera?” Poi mangiava un brodino e si riaddormentava subito di botto. Perciò i dunlandiani calcolavano il tempo a partire dall’ultima volta che Dartagimb si era svegliato e ogni volta che si risvegliava ripartivano da capo con il computo degli anni. Dieci giorni dopo che il vecchio era temporaneamente risorto dal coma, i capi villaggio si riunivano nel villaggio centrale e si cimentavano in varie prove per decidere chi dovesse diventare il nuovo re. C’era una prova di forza, una d’astuzia e perfino una di sporcizia, ma nessuno era mai riuscito a superare l’ultima, che conferiva al vincitore il potere regale. Essa consisteva nello svegliare Dartagimb dal suo sonno, senza però ucciderlo ovviamente, e quindi i metodi più pericolosi erano vietati, come ad esempio buttarlo giù dal letto, prenderlo a calci o cercare di pulirlo, perchè ciò lo avrebbe fatto morire di crepacuore. In molti avevano tentato, ma ormai nessuno più ci teneva e i capi consideravano questa ricorrenza solo come una buona occasione per darsi un sacco di botte.

Comunque, nonostante le loro usanze bislacche, i dunlandiani erano dei pastori piuttosto rozzi, ma non innocui dal punto di vista militare. Avevano più volte attaccato la vicina Rohan, venendo però sempre sconfitti.

Infatti c’era grandissima rivalità tra i villaggi e una volta, quando alcuni coalizzati avevano tentato di fare guerra a Rohan, avevano perso perchè erano tornati di corsa a casa abbandonando il campo di battaglia poichè avevano saputo che gli altri villaggi avevano razziato tutte le loro pecore e rapito tutte le donne con più di sessant’anni, che dovevano servire come badanti per Dartagimb. Ma dopo la guerra civile delle pecore e delle nonne, peraltro finita presto grazie al contributo delle anziane signore che diedero più legnate ai rapitori di quante non ne diedero i loro nemici, i dunlandiani erano vissuti in pace fra loro e con i vicini per circa duecento anni. E avrebbero continuato, se non fosse venuto uno stregone con manie di grandezza a fare discorsi da campagna elettorale della Lega per spingerli ad attaccare di nuovo e tutti insieme Rohan.

Faramir, Eomer e Boromir si muovevano silenziosi nel paesaggio collinare su una strada di sassi e terra.

“Attenzione! Siamo nelle terre del Dunland: qui vivono solo briganti che assalgono i viandanti!” disse Eomer a bassa voce.

“Perchè dici così? Credevo che adesso ci fosse pace tra voi rohirrim e i dunlandiani. Non è più così?” chiese Faramir stupito.

“In teoria sì, ma loro continuano a sostenere che li abbiamo cacciati dalle loro terre e per questo ci odiano. Perciò dobbiamo stare all’erta ed essere pronti a fronteggiare eventuali imboscate!” spiegò Eomer.

“Uao, che bello!” esclamò Boromir che aveva capito poco visto che aveva mangiato un po’ troppi semi di papavero.

“Io non credo che ci sia da preoccuparsi, dopotutto siete in pace con loro da più di duecento anni. E poi non mi aspetto proprio che compaia dal nulla un uomo alto e barbuto che ci intimi di fermarci!” rispose Faramir all’uomo di Rohan.

“Ehi, quello cos’è?” domandò suo fratello indicando un punto sulla cima della collina. Lì si trovava un uomo alto e con una folta e sporca barba scura. Indossava solo vestiti fatti di lana di pecora mal lavorata: dei pantaloni e una giacca aperta sul davanti in modo da mostrare una gran quantità di peli sul petto. Teneva nella mano sinistra un grande bastone. I tratti del volto erano praticamente invisibili, perchè erano coperti, oltre che dalla barba, anche dagli enormi baffi e dai capelli scompigliati e lerci.

“Fermi dove siete! Non muovetevi!” gridò con la sua vociona agitando il bastone.

“Un‘imboscata! Alle armi!” gridò Eomer e subito sguainò la sua spada. Lo stesso fecero Faramir e Boromir. Purtroppo quest’ultimo perse l’equilibrio e cadde addosso a un mulo che cominciò a scalciare colpendo anche gli altri due muli e il cavallo, che si imbizzarrì e fece cadere a terra Eomer. Mentre Faramir cercava di calmare gli animali e di soccorrere gli altri due, l’uomo del Dunland li guardava assai meravigliato dalla cima della collina. Poi fece un segno dietro di sè e iniziò a scendere, dicendo:“Voi stranieri siete proprio strani! Non c’era mica bisogno di fare tutta questa confusione. Vi avevo detto di fermarvi solo perchè io e mio cognato dovevamo far passare il nostro gregge di pecore!”

“Ah, non era un agguato?” chiese Eomer rialzandosi da terra.

“Agguato? Che idea sciocca! E poi non si devono fare agguati, come ha detto il saggio Dartagimb:‘meglio una pecora oggi che un agguato domani’!” rispose il dunlandiano mentre un gregge di pecore cominciava a comparire sulla cima della collina e a scendere.

“Visto che sono persone pacifiche?” disse Faramir aiutando suo fratello a rialzarsi. Il gregge e i due pastori stavano passando davanti a loro ed Eomer li guardava parecchio stupito. Poi vide una figura che si muoveva sulla cima della collina. Era grassa, bassa e interamente ricoperta di lana.

Pensò che fosse una pecora rimasta indietro e decise di avvisare i pacifici pastori. “Ehi, vi state perdendo una pecora, una bella grossa e piena di lana!” gridò ai dunlandiani.

“Cosa? Dove?” chiesero i due guardandosi in giro.

“Quella là sulla collina! Accidenti se è grossa!” rispose indicando l’essere che si avvicinava.

“Quella è mia moglie!!!” gridò il primo pastore.

“Quella è mia sorella!!!” urlò suo cognato.

“Ops! Mi spiace di avervi offeso, ma d’altra parte era facile sbagliarsi! Ehm, cioè volevo dire...” farfugliò Eomer mentre i due pastori lo guardavano con sguardi assassini. In quel momento arrivò la donna (che effettivamente non era una gran bellezza, insomma, aveva la barba!).

“Che succede qui, Pastorful?” chiese al suo sposo.

“Questo maledetto sbarbatello ha osato insultarti! Ha detto che sei una grossa pecora grassa!!!” dissero Pastorful e il cognato insieme.

“Ehm, non volevo offenderla signora, le assicuro che lei è la donna che ogni caprone vorrebbe, no, cioè...” balbettò Eomer. Intanto Faramir, avendo intuito che la situazione sarebbe precipitata di lì a poco, tirava suo fratello e i muli cercando di allontanarsi il più velocemente possibile.

“Come dice il saggio Dartagimb:‘se insultano tua moglie puoi anche riderci su, ma se insultano anche te allora si devono spaccare un po’ di ossa’! Oggi lo metterò in pratica!!!” gridò il dunlandiano avvicinandosi a Eomer minaccioso.

“Ma, ma no... voi siete pacifici pastori, suvvia...”

“Pacifici sì, ma mica scemi! Te lo do io il caprone!” e partì alla carica con un pugnone. L’uomo di Rohan si scansò appena in tempo e saltò sul suo cavallo in corsa con una precisione da far invidia a Zorro. Mentre galoppava via, sentì alle sue spalle le grida di rabbia dei dunlandiani:“MALEDETTO RAGAZZINO A CAVALLO!!! APPENA SI SVEGLIERÀ DARTAGIMB, SCEGLIEREMO UN RE, ATTACCHEREMO ROHAN E TI DAREMO LA LEZIONE CHE TI MERITI!!!”

 

 

ATTENZIONE!  SONDAGGIO IMPORTANTE:

Il prossimo capitolo dovrebbe essere molto molto moooooolto lungo. Preferite che lo divida in due parti o lo volete tutto intero? Per me è uguale, l’ho già scritto, ma siccome qualcuno si era lamentato della lunghezza del capitolo precedente, volevo sentire i vostri pareri. Quindi rispondete o la maledizione di Dartagimb ricadrà su di voi! E in ogni caso, se siete arrivati qui, commentate, dai! Fatemi questo regalo di Natale!

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Capitolo 19
*** Dalla Chiusa a Pontelagolungo ***


Sebbene nessuno più li inseguisse, Legolas, Aragorn e Gimli corsero ancora per ore attraverso Bosco Atro

La scuola è ricominciata (NOOOOOOOOO!!!!!!!), ma io non vi lascio soli! Spero che abbiate passato tutti delle belle vacanze di Natale, perchè quelle di Legolas sono appena iniziate e non saranno certo piacevoli!

Risposte ai commenti:

 

@xxx_meggy: Tremendi i dunlandiani, vero? Visto il grande successo che hanno riscosso torneranno più avanti!

 

@stellysisley: Già, un errore comprensibile che sarà anche ripetuto...

 

@Suikotsu: Sì, alla fine ho seguito il tuo consiglio.

 

@OrochiMary: Grazie mille per tutti i complimenti e per la doppia recensione! Vista l’enorme quantità delle tue lodi, spero di non deluderti mai! Altrimenti possa io essere costretto a leggere tutta la Noia Assoluta!

 

@ayay: Ehm, sono felice di vedere che hai una grande capacità di rigenerarti! Spero che il numero delle tue vite non si esaurisca prima di arrivare a questo capitolo!

 

@eu91: Ti assicuro che nessuno può battere Boromir... Beh, ora che hai capito, spero che continuerai a seguire le avventure dei sei “eroi” e a recensirmi!

 

@Rakyr il Solitario: Certo che Dartagimb tornerà, avrà una piccola parte, ma sarà comunque sempre citato nei discorsi dei dunlandiani. No, era Saruman: i discorsi che fa ai dunlandiani riguardo la terra rubata loro dagli uomini di Rohan (che stanno, guardacaso, più a sud) mi sembravano smaccatamente leghisti.

 

 

                                                                                  Dalla Chiusa a Pontelagolungo

 

Sebbene nessuno più li inseguisse, Legolas, Aragorn e Gimli corsero ancora per ore attraverso Bosco Atro. Poi finalmente raggiunsero la diga, una grandissima muraglia sul fiume. Era stata costruita proprio al limitare del bosco per contenere l’afflusso delle acque del fiume Selva nel Lago Lungo. Il complesso sistema della chiusa permetteva di dirigere l’acqua dovunque si volesse. E ciò era servito molto a Legolas e i suoi compari in passato. Sopra di essa c’erano tre elfi addetti alla diga da più di 1000 anni: Fiumelin, Chiusel e Digas. Stavano mangiando un pasto frugale sulla sommità. Poi il più giovane e più alto dei tre, Chiusel, che mangiava seduto verso il bosco, scorse con i suoi occhi verde pallido uno strano gruppetto che si avvicinava di corsa dalla foresta. Era composto da un uomo, da un elfo e da un nano che arrancava dietro di loro a una certa distanza. Siccome era piuttosto strano vedere una simile compagnia, scrutò meglio da sopra il parapetto di legno della diga. L’uomo, probabilmente un ramingo del Nord, e il nano, certamente proveniente dai Colli Ferrosi o dalla Montagna Solitaria, non gli ricordarono nessuno, ma l’elfo invece sì. Lo osservò bene, dai capelli biondi perfettamente in ordine agli stivali all’ultima moda, sperando di sbagliarsi, ma alla fine si convinse che ciò che più temeva era vero. “No! Ma che offesa ho mai fatto al dio delle acque Ulmö per meritarmi di nuovo una simile sciagura???” pensò disperato lasciando cadere il suo pan di via nel fiume.

“Che cosa ti prende? Perchè ti sei fissato? Perchè hai buttato il tuo pranzo nel fiume?” chiese Fiumelin che gli si era avvicinato.

“G-gu-guarda l-là!” balbettò indicando il limitare del alberi.

“Beh, ma cosa c’è?” chiese anche Digas, stupito per il suo comportamento terrorizzato e il suo sguardo allucinato. Intanto anche Fiumelin aveva osservato dove indicava Chiusel e si era irrigidito anche lui.

“N-no, l-l’i-incubo è-è t-to-tor-tornato!!!” balbettò indicando verso le figure che si muovevano in mezzo alla foresta.

“Cosa ci sarebbe di tanto orribile? Un Balrog?” chiese Digas continuando a mangiare.

“P-pe-peg-peggio! I-il p-pr-pri-prin-principe Legolas!!!” gridarono all’unisono i due elfi atterriti. A quel punto anche il terzo controllore della diga abbandonò il suo pasto e guardò verso gli alberi secolari. Scorse un uomo che correva guardando dietro di sè chiamando un nano molto dietro di lui. Poi vide che sbatteva la testa contro un albero appunto perchè non guardava davanti a sè e pensò che fosse proprio uno stupido. (Voi lettori non fate come Aragorn, guardate sempre dove andate!)

Ma quando spostò la sua vista più avanti, anche lui si fermò impietrito. C’era un elfo fermo che osservava l’uomo battendosi la mano sulla fronte e dicendo parole forse di rimprovero o di esasperazione. Era impossibile avere dubbi su chi fosse, almeno per tutti quelli che vivevano nella regione che va da Bosco Atro alla Montagna Solitaria. Bastava vedere i suoi capelli sempre raccolti in maniera impeccabile sopra le orecchie a punta e si scopriva subito la sua identità.

“N-niente p-pa-panico! S-st-sta-stavolta n-non gli p-permetteremo d-di a-avvicinarsi! Prendiamo gli archi!” disse Digas smettendo di tremare. Corse verso un’estremità della diga, dove c’era una specie di torretta. Ne uscì tenendo in mano tre archi e tre faretre piene di frecce e li distribuì ai suoi compagni. Si prepararono spasmodicamente e nervosamente perchè quel giorno, se avessero potuto scegliere, avrebbero preferito un’invasione di orchi, piuttosto che la visita del loro principe.

Ma torniamo a Legolas. Il nostro elfo si era appena fermato perchè aveva visto Aragorn schiantarsi contro il tronco di un albero secolare. Si battè la mano sulla fronte e disse:“Ma guarda dove vai, cretino! E tu sbrigati, nano!”

Gimli, lontano e mandido di sudore, mentre continuava a correre, gridò:“Perchè bisogna andare di fretta? Ormai non ci insegue più nessuno!”

“Perchè a quest’ora mio padre potrebbe aver organizzato una squadra di aiuti maggiordomo per venirci a prendere e noi dobbiamo assicurarci di essere molto lontani, cosicchè non ci raggiungano.” spiegò Legolas e si avvicinò ad Aragorn. Era disteso per terra a pancia all’aria e sembrava che sorridesse. Aveva un tremendo bernoccolo bello grosso e ciò spiegava la sua espressione ebete con gli occhi persi verso il cielo. Legolas si chinò e lo scosse per svegliarlo.

“Uao! Vedo le stelle: la stella del Vespro, la stella di Estel, la stella di Beren, la stella di Luthien... Sono già nelle grandi aule di Mandos?” chiese l’uomo con la voce di uno che si è appena scontrato contro un albero (e lui si era appena scontrato contro un albero!).

“Senti, smetti di farfugliare tutti questi nomi astrusi, che sembri Berlond! E ora svegliati!” e l’elfo cominciò a schiaffeggiarlo. A quel punto ad Aragorn il mondo tornò ad essere più chiaro.

“Che botta che ho preso! Ma dov’è che siamo e perchè stiamo correndo, Elladan?” disse mentre si metteva lentamente a sedere.

“O santa foglia! Non ti ricordi più niente? E chi sarebbe questo Elladan? Non mi riconosci? Sono Legolas!” esclamò il nostro eroe mettendo le mani fra i capelli, ma delicatamente per non scompigliarli.

“Legolas... Questo nome non mi è nuovo...” disse tra sè e sè Aragorn accarezzandosi il mento.

Intanto anche Gimli si era fermato a cinque o sei metri da loro perchè era troppo stanco per andare avanti. Si era appoggiato ad un albero e ansimava per la fatica. Siccome aveva sentito che Aragorn non si ricordava più quasi niente, volle dire il suo parere.

“Forse dovresti dargli un’altra legnata in testa...”

“Forse dovrei darmela da solo perchè mi porto dietro un nano dalle trovate idiote!” ribattè Legolas voltandosi a guardarlo.

“Questa me la paghi... quando sarò meno stanco...” rispose il nano sedendosi a terra. Intanto Aragorn aveva scosso un po’ la testa ed era riuscito a fare mente locale.

“Legolas, ma perchè ho deciso di seguirvi? Me ne stanno capitando di tutti i colori!” esclamò rialzandosi.

“Ma che esagerato! Se fossi andato nelle Terre Selvagge ti sarebbe successo di peggio. Per esempio, gli orchi ti avrebbero accolto a frecciate, avrebbero cercato di catturarti e infine ti avrebbero imprigionato.”

“Può darsi che tu abbia ragione... Ora però sarà meglio muoverci. Andiamo Gimli!” esclamò Aragorn e ricominciò a correre verso la fine della foresta con Legolas.

“Nooo! Aspettate! Non avete mai sentito parlare di pausa, tappa, stop, riposo, bivacco?” si lamentò mentre si rialzava per seguirli.

“Ma voi nani non avevate mai bisogno di riprendere le forze, o no?” lo derise il principe elfo senza voltarsi.

“Maledetto senza barba! Quando ti prenderò saranno guai!”

Proprio in questo momento l’uomo e l’elfo superarono il limitare degli alberi e uscirono al sole di mezzogiorno davanti alla diga. Ma non fecero in tempo a fare un altro passo che tre frecce dall’impennaggio bianco si conficcarono sul terreno di fronte a loro.

Legolas alzò lo sguardo verso la cime della diga e gridò:“Oh, che scherzi sono questi? Potevate ucciderci! Non mi avete riconosciuto? Sono Legolas, figlio di Thranduil!”

Ma la risposta di Chiusel non fu affatto rassicurante:“Certo che ti abbiamo riconosciuto, principe devastatore! Ma sappi che stavolta non ti permetteremo di fare uno dei tuoi soliti disastri che poi tuo padre dovrà riparare e così non avrà più soldi per il nostro stipendio! Non fate un altro passo tu e i tuoi compari, o siete morti!”

Legolas disse ad Aragorn:“Non preoccuparti: li convincerò con la mia eloquenza.” e si rivolse ai tre elfi avvicinandosi lentamente “Non voglio farvi nessun danno oggi, voglio solo andare a Pontelagolungo e...”

“L’ultima volta che ci sei stato, per qualche strana ragione, dal Lago Lungo l’acqua è venuta verso il nostro fiume e non viceversa! E abbiamo rischiato di andare a trovare i nostri padri per chiudere le chiuse e fermare l’inondazione anomala! Non ti permetteremo di rifarlo! Non muoverti o aggiusteremo la mira!” gridò Fiumelin.

“Ma non voglio andarci per quel motivo voglio andarci per... per...” ma, disgraziatamente, fu Aragorn a completare la sua frase.

“Per trovare la sua ragazza Melania!” Legolas divenne pallido e si voltò per un attimo a guardare l’uomo con occhi rossi di rabbia.

Poi la voce di Digas, deformata dalla rabbia, tuonò dalla cima della diga:“COSAAA??? MA NON ERA MIA SORELLA ACQUIAL LA TUA AMATA???”

“Brutto idiota, hai visto cos’hai fatto?” sibilò Legolas ad Aragorn e poi continuò rivolto a Digas “Ma certo che è tua sorella la mia ragazza, questo qui è solo un povero cretino che non sa quello che dice e...”

Ma prima che finisse ci fu subito una lapidaria risposta da parte del guardiano delle chiuse:“FUOCO! ACCOPPIAMOLO! INFILZIAMOLO! RIEMPIAMOLO DI BUCHI, LUI E IL SUO AMICO!!!”

“Ma io che ho fatto?” chiese Aragorn, ma l’unica risposta che ottenne fu una freccia che passò sibilando vicina al suo orecchio sinistro.

“Scappiamo!” gridò Legolas, visto che in simili momenti era la sua migliore strategia. Così ricominciarono a correre verso Nord, inseguiti da una pioggia di dardi.

Nel frattempo Gimli era finalmente uscito dalla foresta, giusto in tempo per vedere l’elfo e l’uomo che gli passavano di fianco schizzando come fulmini.

“Ma che cavolo...?” cominciò a chiedersi, ma gli bastò alzare gli occhi verso il cielo per vedere un nugolo di frecce che sembravano dirette verso di lui.

“Porco Durin! Viaaa!” e scappò anche lui ricominciando a seguire gli altri due.

“Corri, nano, se non vuoi diventare un puntaspilli!” gli gridò Legolas che già si trovava a una buona distanza.

“Certo che hai davvero ragione, Legolas! Magari gli orchi delle Terre Selvagge mi avrebbero accolto molto peggio, eh?” disse Aragorn sarcastico all’elfo.

“Zitto e corri! Dopo quello che hai detto, può darsi che Digas e gli altri ci inseguano, perciò dobbiamo trovare un altro modo per arrivare a Pontelagolungo. Là saremo al sicuro e vedrò la mia ragazza, ma tu potevi evitare di far capire a quel pazzo che ho lasciato sua sorella!”

“Ma come faremo ad arrivarci lo stesso se non passiamo attraverso la diga?” chiese l’uomo.

“Semplice: usciremo dalla foresta a Nord, poi proseguiremo verso Est e così raggiungeremo il Lago Lungo. È la strada più lunga ma non abbiamo altra scelta.” spiegò Legolas.

“Non sembrava che fossi così esperto in ardagrafia (Nda: La geografia si chiama così perchè il loro mondo si chiama Arda e non Terra e cioè Gh in greco antico.), anzi, da quando ci eravamo persi sulle Montagne Nebbiose, pensavo che non ne sapessi nulla.” osservò stupito Aragorn.

“Beh, devo sapere quale via di fuga prendere in ogni occasione.”

E così percorsero la strada illustrata da Legolas, l’elfo e l’uomo davanti e Gimli che arrancava dietro.

“Pensa che è tutta salute, Gimli!” gridò Aragorn senza voltarsi per non correre il rischio di sbattere la testa di nuovo.

“Stai zitto, sennò quando vi raggiungo ammazzo anche te!” urlò il nano dato che ormai il distacco dei due su di lui era di quasi cento metri.

Verso sera si fermarono fuori dalla foresta a bivaccare e riposarsi, ma Legolas e Aragorn erano a quasi un chilometro di distanza da Gimli che dovette perciò dormire da solo. Inoltre le scorte di cibo le portava il nostro eroe e così il nano, dopo aver maledetto gli elfi e aver chiesto al dio creatore dei nani Mahal perchè non potesse distruggerli tutti con il suo enorme martellone, dovette mettersi a dormire senza mangiare. Ma siccome la testardaggine nanica è leggendaria, all’inizio provò a cenare con i panini risalenti a quattro mesi prima, che portava ancora con sè perchè potevano servirgli come munizioni per le catapulte del suo regno, ma ottenne solo l’effetto di incrinarsi un molare. Poi cercò intorno a sè del cibo. Ma la sua ricerca non diede grandi frutti: ormai si trovava nelle steppe fuori da Bosco Atro e in quelle terre, un tempo popolate dai draghi, non cresceva nessuna pianta commestibile e non passava nessun animale, se non quelli di grandezza inferiore a una lucertola. Tuttavia non si arrese e scavò il terreno con le mani sperando di trovare almeno una radice che non avesse gravi effetti negativi sulla salute. Con i suoi scavi riportò alla luce (sì, era notte, ma è un modo di dire) uno scheletro completo di un drago alato perfettamente conservato. La scoperta avrebbe riempito di gioia un paleontologo, se ce ne fosse stato uno in tutta la Terra di Mezzo, ma Gimli si sentì incredibilmente frustrato e così andò a dormire a digiuno.

Comunque anche Legolas non dormì bene, forse per le maledizioni del nano, o forse per il fatto che Aragorn russava rumorosamente durante il suo turno di guardia.

La mattina dopo all’alba i primi due ripartirono sempre di corsa. Perchè? Beh, a causa di quello che disse l’elfo mentre facevano colazione con il pan di via. State a sentire.

“A Pontelagolungo passerò una bellissima vacanza con Melania!” disse felice Legolas ad Aragorn mentre addentava il suo panino.

“Beato te che puoi vedere la tua amata quando e come vuoi. Oh, Arwen, amore mio! Adesso starà andando a quella pizzosa riunione dei vostri parenti con quel rompiballe di suo padre e io non la vedrò fino alla fine delle vacanze!” si lamentò Aragorn “Oh, che storia infelice la mia!”

Forse Legolas era ancora assonnato e perciò non si accorgeva del pericolo, o forse si era stancato dei lamenti del ramingo e perciò voleva farlo smettere, o forse ancora non pensava che si arrabbiasse per quello che stava per dire; io non lo so. Ma sta di fatto che gli rispose così:“Insomma Aragorn, se devi faticare così tanto per vederla, scaricala e trovatene un’altra!”

Narra la leggenda che Beren, l’antenato di Aragorn, si fosse innamorato di Luthien, figlia del re elfico Thingol, e che i cugini di settimo grado di lei, Celegorm e Curufin, avessero cercato di dissuaderlo con le buone e con le cattive (cioè con un agguato nella foresta). Beren, aiutato da un cane divino, Huan, li aveva quasi ammazzati entrambi, ma poi li aveva lasciati vivere a causa della loro parentela con la sua amata.

Aragorn non aveva con sè cani leggendari nè sapeva di preciso come Legolas fosse imparentato con Arwen, ma si arrabbiò moltissimo per la proposta dell’elfo, in maniera esattamente conforme alla tradizione della sua famiglia.

“Come osi farmi una simile proposta??? Pensi che il mio amore sia come il tuo, un capriccio destinato a durare pochi mesi??? Credi che io abbia per Arwen la stessa considerazione che tu hai per le tue amichette, razza di verme schifoso???” sbraitò in preda alla rabbia.

“Ehi, vacci piano con gli insulti! Ma che ho detto di così terribile?” chiese Legolas sbalordito di fronte all’ira improvvisa dell’amico.

“Cos’hai detto? Cos’hai detto mi chiedi? COME COS’HAI DETTO??? HAI OSATO INSINUARE LA FRIVOLEZZA DEL MIO AMORE PER LA MIA ADORATA!!!” gridò alzandosi in piedi e afferrando l’elfo per il bavero.

“Ma no, ma no, non avrei mai voluto dire una simile cosa! Scherzavo! Scherzavo!”

“Ah, scherzavi? E così oltre a gettare fango sulla purezza del nostro amore, ci scherzi anche sopra! Scherzavi, eh? Ora ti faccio vedere io cosa ne penso del tuo scherzo!!!” e così dicendo gettò Legolas per terra “IO TI AMMAZZO!!!” E andò veloce con la mano verso la spada nel fodero legato al fianco. Il nostro eroe, vedendo che la situazione prendeva una brutta piega, si alzò in fretta e prese le distanze dal ramingo mentre lui sguinava la sua arma. Poi Aragorn si accorse che ciò che brandiva nel braccio destro era solo un moncherino e maledisse di nuovo Elrond. Allora rimise a posto il suo cimelio ed estrasse una corta scimitarra elfica dal suo nascondiglio dello stivale. Con questa nuova lama assalì Legolas urlando con furia. Ma lui non ci teneva a essere infilzato e così si scansò di lato e ricominciò a scappare verso Pontelagolungo come il giorno prima. Aragorn cascò per terra per lo slancio e la sua arma si conficcò nel terreno arido e duro come una roccia. Non riuscì a svellerla e perciò la abbandonò lì per raggiungere Legolas che aveva già un certo vantaggio a causa della velocità a cui correva.

Gimli, che era a un chilometro di distanza, non vide nè capì bene cosa succedeva fra quei due, ma si accorse solo che avevano ricominciato a correre per un motivo a lui sconosciuto. E allora dovette ricominciare anche lui la corsa, e per di più a stomaco vuoto.

“Oh, Mahal che stai al fianco di Mandos nelle sale degli dei, fammi questa grazia: col tuo sacro martello spacca le gambe a quei due maledetti spilungoni!!!” gridò per la stizza.

Ma Mahal, o Aulë in elfico, doveva essere molto impegnato in quel momento e, a quanto pare, lo fu per tutta la mattina, visto che a Legolas e Aragorn non si spaccarono le gambe, che li portarono a raggiungere finalmente Pontelagolungo.

Era una città interamente costruita su palafitte sopra l’acqua del Lago Lungo. Le diverse vie erano collegate fra loro da ponti e quello più lungo univa la città alla terraferma. Le case erano tutte costruite in legno, per evitare che spezzassero i sostegni col peso della pietra. Nella parte rivolta a Sud e in quella a Nord si trovavano due moli dove attraccavano le chiatte e le piccole imbarcazioni provenienti da Bosco Atro e dalla Montagna Solitaria. La città infatti fioriva per il commercio e gli affari andavano molto bene, tranne quelli con il re di Erebor, Dain, universalmente noto per la sua avarizia.

Sugli uomini comandava un governatore eletto ogni sei anni, ma solo se il sesto anno era bisestile. Perciò non si riusciva mai a capire quando fosse giunta l’occasione di votare e si aspettava semplicemente che il governatore reggente morisse.

Gli uomini di Pontelagolungo avevano buoni rapporti con nani e elfi, anche se non capivano perchè qualcuno fra questi ultimi chiamasse la loro città Esgaroth. Alcuni pontelagolunghesi sostenevano che fosse un insulto, ma la maggior parte di loro erano solo perplessi al sentire quella parola. L’unica cosa che incrinava i rapporti diplomatici fra re Thranduil ed il governatore erano le terribili incursioni del principe Legolas e dei suoi compari nella città. Comunque, nonostante la rigidissima sorveglianza delle guardie nel presidio sulla riva del lago di fronte alla città, queste continuavano, causando la rabbia degli uomini, calmata a caro prezzo dai pesanti risarcimenti versati dal re di Bosco Atro nelle casse cittadine.

Legolas dunque arrivò verso le undici di mattina correndo a perdifiato, poichè ogni tanto sentiva Aragorn gridare terribili minacce dietro di lui e, benchè avesse su di lui un distacco di almeno settanta metri, non aveva la  minima intenzione di rallentare, viste le orribili torture promessegli dal ramingo qualora lo avesse preso. Al posto di blocco c’era una guardia che svolgeva il suo mestiere come un uomo del Nord quale era: dormendo. Così Legolas gli sfrecciò di fronte, saltò la sbarra all’inizio del ponte, lo attraversò e scomparve in mezzo alle case di legno.

Quando arrivò Aragorn, il soldato posto a presidio dell’accesso alla città si era un po’ riscosso dal sonno perchè poco prima aveva sentito un misterioso spostamento d’aria.

“Adesso dov’è finito quel maledetto?” si chiese il ramingo non riuscendo più a vedere l’elfo. Poi si fermò di fronte al posto di blocco e chiese:“Scusi, mi sa dire dov’è andato un elfo passato qui qualche attimo fa?”

“Ah, ecco chi era... Verso la città credo, ma di più non so... Yawn!... A proposito... Yawn!... Lei chi è?” Però Aragorn non gli rispose, il che è molto sgarbato, perchè aveva già saltato la sbarra e passato metà del ponte prima che la guardia finisse il primo sbadiglio.

Intanto Legolas correva in mezzo alle bancarelle del pesce su ponti traballanti e in viottoli stretti. Pensava di rifugiarsi a casa di Melania e di aspettare che Aragorn la smettesse di inseguirlo con smanie omicide. Era fermamente convinto di non correre rischi così facendo, perchè il padre della sua ragazza a quell’ora era sempre dall’altra parte del Lago Lungo a pescare e non sarebbe tornato prima di sera. Ma anche la convinzione più ferma molto spesso si dimostra sbagliata.

Comunque, trovò la casa in breve tempo e bussò alla porta. Dall’interno si sentì una giovane voce femminile:“Sei tornato presto oggi, papà! Cosa è successo?”

“A tuo padre non so, ma io non resistevo più alla voglia di vederti, baby!” disse Legolas e in quel momento la porta si aprì. Fece capolino il viso di una ragazza di circa venti anni con i lunghi capelli castani raccolti con una fascia e che indossava un vestito lungo azzurro. Non appena i suoi occhi scuri incontrarono quelli ammiccanti dell’elfo, un bellissimo sorriso le illuminò la faccia. Spalancò la porta e lo abbracciò piena di gioia. “Legolas! Che bello rivederti! Mi sei mancato così tanto!” esclamò Melania e subito dopo lo baciò sulla bocca. Durante il bacio, che durò almeno una decina di minuti, l’elfo sospinse la fidanzata di nuovo dentro casa e richiuse la porta con un calcio del tallone. Poi, sempre camminando con le labbra incollate a quelle della donna, fece in modo di andare nella camera da letto e di arrivare a sdraiarsi sul vecchio e semplice letto matrimoniale. “Come baci bene!” disse la ragazza ansimando, quando finalmente Legolas la lasciò e si sdraiò accanto a lei.

“È un’altra delle fantastiche qualità elfiche che i miei stupidi parenti non usano mai. Per questo hanno solo tre figli dopo essere rimasti sposati per più di duemila anni!” rispose l’elfo guardando il soffitto e ansimando un po’ anche lui, nonostante tutto. Dopo che si furono scambiati un’altro bacio, lei chiese:“Come mai sei da queste parti, amore?”

“Ma per stare con te, perchè sennò?” Melania si alzò a sedere e lo guardò con un’espressione metà sospettosa e metà divertita. Poi si mise a cavalcioni su di lui e lo fissò dritto negli occhi.

“Leghi, a me non sfugge niente! Anche l’altra volta dicevi così, ma in realtà progettavi di rapinare la sala del tesoro del governatore!”

“Sì, ma poi ti ho lasciato più della metà del bottino.” rispose Legolas guardandola divertito.

“Certo che l’hai fatto, senza il mio aiuto vi avrebbero arrestati tutti e quattro per via degli schiamazzi di Adrenalin! Dai, dimmi perchè sei qui, così comincio a preparare la barca per la solita fuga d’emergenza!”

“Spiritosa... Se proprio ci tieni, sono qui perchè sto scappando da un uomo permalosissimo che ho insultato senza accorgermene, da un nano lento come una lumaca, da un elfo furibondo per un motivo che non ho capito e soprattutto da un’orribile festa di famiglia e riunione di tutti i parenti. Insomma” disse sorridendo “le solite cose, niente di cui preoccuparsi!”

“Ma che sbruffone che sei!” esclamò Melania e si chinò fino a baciarlo di nuovo in bocca. Intanto Legolas cercava di trovare il modo di slacciarle il vestito dietro la schiena, ma proprio in quel momento qualcuno bussò alla porta di casa. L’elfo imprecò mentalmente. Melania si alzò velocemente risistemandosi la veste con un’espressione preoccupata.

“Chi è?” chiese la ragazza avvicinandosi alla porta.

“Chi vuoi che sia? Sono tuo papà! Apri, dai!” tuonò un vocione da fuori.

A quelle parole Legolas saltò in piedi come un lampo e si avvicinò in fretta alla finestra che dava sulla stradina. Sbirciò appiattendosi contro il muro e vide la figura sgraziata e alquanto feroce di un uomo di circa cinquant’anni. Il suo testone rotondo mostrava l’inizio di una bella calvizie, perfettamente contrastata dai baffoni castani. Aveva due occhi poco svegli sotto le grosse ciglia, un tremendo nasone rosso per le varie sbornie che si prendeva ogni volta che andava alla taverna e una bocca un po’ sdentata. Come contorno per tutto ciò aveva una barba mal rasata, dei vestiti sporchi e un pancione causato dalla sua alimentazione squilibrata (oggi provvedono i professori a scuola a spiegare come mangiare bene ai ragazzi, ma allora non c’era nessuno che si prendesse la briga di fare ciò). Teneva in una mano un sacco contenente solo due pesciolini: tutto ciò che aveva pescato in quella mattina. Il nostro eroe capì subito che era Bausciòn, il padre di Melania.

“Allora, che aspetti ad aprire? Sbrigati, brutta pelandrona! Non ho tempo da perdere!” gridò l’uomo ancora più forte e sua figlia gli aprì.

“Come mai sei tornato così presto, papà?” domandò Melania ostentando un’espressione calma e indifferente. Suo padre entrò spingendola di lato e buttò per terra il sacco dei pesci. Poi disse:“Il governatore ha mandato a chiamare tutti gli uomini validi in città perchè aiutino le guardie cittadine a sedare la rissa alla taverna del Totano Ciucco.”

“Ah, quella che va avanti da ieri mattina?” chiese la ragazza mettendosi davanti all’ingresso della camera da letto come se nulla fosse.

“Sì, sembra che nessuno sia ancora riuscito a fermare l’elfo che l’ha scatenata. Dove sono la mia lancia e la mia spada?”

“Non lo so. Forse in cucina nello sgabuzzino. Prova a guardare.”  Bausciòn uscì dall’ingresso, andò nella stanza opposta alla camera da letto e, dopo alcuni minuti in cui si sentirono rumori di rovistamento e caduta di oggetti metallici e di legno, tornò dalla cucina con in mano una lancia e una spada smussata e coperta di ruggine.

“Adesso vado, figliola, torno stasera.” disse e si avviò verso la porta, ma all’ultimo momento si fermò “Ma perchè sei lì ferma davanti alla camera da letto?”

“Così, non c’è un motivo.” rispose lei cercando di restare impassibile. Ma ormai qualcosa era scattato nella zucca vuota di suo padre. Si girò in fretta, la spinse di lato ed entrò nella camera. All’inizio non vide niente, però poi si accorse che la finestra era aperta.

“Ah, lo immaginavo! Il principino è scappato! Oggi finalmente gli farò passare la voglia di venirti sempre a trovare! Lo ammazzerò come un ghiozzo!” gridò precipitandosi fuori di casa con la lancia ben alta in mano e gridando a squarciagola.

Melania lo seguì e si fermò davanti alla porta guardandolo correre lungo la stradetta sulle palafitte. Sospirò. “Uomini! Di qualunque razza, di qualunque età, di qualunque ceto siano, minacciano di uccidersi a vicenda per metà della loro vita, e vengono a farsi medicare da noi donne durante l’altra metà! Legolas mi ha lasciata di nuovo qui e chissà dove andrà adesso. Eh, no! Ora basta! Sono stanca di aspettare che torni! Stavolta non starò qua ferma senza far niente!” pensò con un fremito di rabbia e tornò dentro casa.

Ma lasciamo la fidanzata di Legolas ai suoi piani e torniamo da lui.

Il figlio di Thranduil stava correndo sui ponticelli e sulle palafitte verso il porto a Nord della città. “Meno male che sono riuscito a scappare in tempo, o quel vecchio cretino mi faceva a pezzi! Meglio andarmene dalla città per un po’, tornerò quando si saranno calmate le acque.” pensò Legolas mentre continuava la sua corsa tra la gente che camminava tranquillamente. Attraversò un ponticello sospeso sull’acqua da alcune corde e arrivò sopra una palafitta che era collegata ad altri tre ponti. Stava giusto pensando a quale fosse la strada più breve per arrivare alla sua destinazione quando sentì un urlo proveniente dal ponte alla sua sinistra e vide che dall’altro lato c’era Aragorn che cercava di farsi largo tra la folla.

“T’ho trovato, miserabile verme! Infame calunniatore! Ora te la farò pagare per la tua offesa alla purezza del mio amore!” gridò l’uomo e sguainò la spada. Ma si ritrovò in mano per l’ennesima volta la sua antica spada spezzata e urlò per la frustrazione:“Maledetto Berlond!!! Per colpa tua e della tua negligenza e pigrizia sono costretto a girare con questa abominevole schifezza al posto di una vera arma con cui fare a pezzi quell’elfo e tutti coloro che mi avranno offeso in maniera così grave!”

A questo punto tutti si erano fermati a guardarlo, chi perchè non capiva perchè avesse urlato, chi perchè si chiedeva come mai avesse usato quel lungo giro di parole per dire semplicemente che voleva un’altra spada per far fuori chi voleva. Ma questi ultimi non potevano sapere che chi cresce in compagnia di elfi anziani e saggi impara a parlare come loro e cioè in modo prolisso e noiosissimo.

Comunque, dopo che ebbe pronunciato queste parole, Aragorn si lanciò alla carica attraverso il ponte verso Legolas. Contemporaneamente l’elfo decise che era meglio scappare e si voltò per tornare indietro. Ma nel medesimo istante si sentì un’altra voce urlare di rabbia dall’altra estremità del ponte che il nostro eroe stava per riattraversare.

“Ah, lo sapevo che ti avrei preso, maledetto bastardo! Ti insegno io a baciare di nascosto mia figlia, lurido elfo donnaiolo!” berciò Bausciòn e cominciò a farsi largo fra la gente per attraversare il ponte. Legolas allora cambiò di nuovo strada e fece per correre verso il ponte a Nord, ma si fermò sentendo il padre di Melania pronunciare queste parole:“Fermo dove sei maledetto o ti infilzo!” Il figlio di Thranduil si girò e vide l’uomo grassoccio alzare la lancia, prendere la mira e scagliarla con tutta la sua forza. Però non si mosse. Rimase fermo e sorrise osservando la lancia.

Intanto, nella reggia di Bosco Atro, durante il banchetto per l’ora di pranzo, Thranduil disse a Elrond sottovoce in modo che Natail non lo sentisse:“Legolas è scappato come al solito! E naturalmente mia moglie non se n’è accorta! Perchè finisce sempre così?”

“Non lo so, ma lo sai che mi è successa una cosa strana?” rispose l’altro re “Continuano a fischiarmi le orecchie, come se qualcuno mi stesse pensando...”

“Volete un’altra porzione di insalata, vostra altezza Berlond?” gli chiese un cameriere.

“COME MI HAI CHIAMATO??? NON LO SAI CHE BERLOND VUOL DIRE BALORDO IN ELFICO ANTICO???” urlò Elrond alzandosi di scatto e afferrando il cameriere al collo.

“Ma... il principe... vi chiama sempre così...” ansimò l’elfo diventando pallido e il signore di Imladris lo lasciò borbottando:“Maledetto Legolas...”

Tutto ciò però non c’entra molto con la storia per adesso e quindi continuiamo a parlare di cosa accadde a Pontelagolungo. Legolas era fermo che osservava la lancia. La guardò salire in aria, volare, scendere e mancarlo clamorosamente e disastrosamente. Infatti colpì la cima di un palo, al quale erano legate le corde che sostenevano un lato del ponte a sinistra e uno del ponte a sud. La punta della lancia tagliò i nodi e i ponticelli, privati di metà dei loro sostegni, si rovesciarono da una parte, facendo cadere nelle acque poco profonde del lago tutti quelli che vi si trovavano sopra.

“Un buon bagno farà bene a tutti e due!” disse Legolas avvicinandosi al bordo della palafitta.

“Che tu sia maledetto, Legolas! Quando ti prenderò mi pagherai anche questa!” gridò Aragorn agitando le braccia nell’acqua per restare a galla.

“Eh? Legolas hai detto?” chiese un uomo in acqua.

“Sì, eccolo là l’infame!” gridò Bausciòn indicandolo con una manona.

“Legolas, l’elfo vandalo è qui? Acchiappatelo! È lui la causa di questo disastro!” gridarono alcuni uomini da sotto a quelli sopra le palafitte.

“Ehi, non sono stato io! È stato Bausciòn con la lancia a spezzare i sostegni dei ponti e...” iniziò il figlio di Thranduil.

“Spiegherai questo e tutti gli altri tuoi misfatti al tribunale del governatore! E ora non ti muovere!” gli intimarono alcuni uomini armati di lancia che gli si avvicinavano da dietro. Legolas, nonostante avesse gran desiderio di fare sfoggio della sua straordinaria abilità retorica, si accorse che, in questo caso, la forza bruta e la violenza avevano già preso il sopravvento sugli animi degli uomini e che perciò era assai consigliabile lasciar perdere e dar opra ai calcagni. E cioè se la diede a gambe di nuovo, in parole povere! Scansò tutti quelli che cercavano di catturarlo e passò il ponticello a Nord. Mentre correva, la guardia nel presidio sulla riva del Lago Lungo di fronte a Pontelagolungo venne svegliata da un nuovo arrivato che ansimava coperto da una pioggia di sudore.

“Yawn!... Lei chi è?... Yawn!... Perchè è qui?... Yawn!...” chiese la guardia con la consueta sveltezza al nano che gli stava davanti.

“Sono Gimli, -anf!- figlio di Gloin -anf!-. Sto inseguendo un uomo che insegue un elfo. Anf!” disse Gimli fra gli ansimi cercando di riprendere fiato dopo la lunga corsa appena conclusa.

“Ah... Si riferisce a quei due... Yawn!... Sono andati in città... Ma... Yawn!... aspetti a seguirli, prima devo controllare che lei non sia un pericoloso criminale da non far passare... Yawn!” ma Gimli aveva già cominciato ad attraversare il ponte prima del secondo sbadiglio. La guardia, quando si accorse che era sparito anche quell’altro forestiero, non sapendo cosa fare, preferì dormirci su.

Intanto Legolas era arrivato quasi al centro della città sul lago quando si vide davanti un intero schieramento di guardie. Si fermò a una discreta distanza per sicurezza. Però non erano rivolte verso di lui, ma verso una barricata che sorgeva in mezzo alla via. Salivano e scendevano come per controllare che quello che si trovava oltre fosse ancora lì. Al principio non notarono Legolas, ma poi uno dei soldati se ne accorse e lo apostrofò:“Altolà! Chi sei? Cosa fai qui? Questa zona è interdetta a tutti fuorchè alle guardie, perciò sparisci!”

“Ah, sì? E se volessi passare?” chiese con fare spavaldo.

“Allora ti dovremmo arrestare!” risposero le guardie voltandosi tutte a guardarlo e sguainando le spade.

“Davvero? Però per arrestarmi, prima dovrete prendermi!” disse Legolas “E non è affatto semplice, chiedetelo a mio padre!” Detto questo, prese la rincorsa e spiccò un lunghissimo salto, tanto lungo che atterrò sopra la barricata. Prima che i soldati si capacitassero di ciò che era accaduto e potessero fare qualcosa, l’elfo saltò giù e scomparve alla loro vista.

“Dannazione! C’è scappato! Ora che facciamo?” chiese una guardia.

“Aspettiamo rinforzi, non possiamo certo inseguirlo là da soli, siamo solo in otto! Non volete scontrarvi in così pochi contro quello lì e il mostro insieme?” rispose un’altra e tutti gli uomini furono d’accordo.

 

 

Chi sarà mai questo mostro? Ma soprattutto, chi ha assunto quella guardia così sveglia? E perchè?

Questo e altro (forse) nel prossimo capitolo!

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Capitolo 20
*** Imlelil ***


Legolas camminava sulla strada sulle palafitte oltre la barricata

Spero che siate sopravvissuti tutti (in un modo o nell’altro) al quasi primo mese di scuola dopo Natale. In ogni caso io sono qui a divertirvi con un nuovo capitolo di questo parto della mia follia.

Ma prima rispondo ai commenti:

 

@Rakyr il Solitario: Già, Aragorn è forte, però qui avrà solo una particina.

 

@stellysisley: Ma certo, scusa, come vuole la tradizione dei Dunedain!

 

@Suikotsu: Sì, i nomi li ho inventati io (ti pare che Tolkien si sarebbe mai abbassato a simili livelli???). La parte di Melania ti era piaciuta?

 

@evening_star: Una nuova lettrice (anzi, nuova commentatrice)! Ti perdono tutto, purchè tu perdoni me per quella nefanda introduzione (non vorrei averti offesa, nel caso tu fossi una del primo gruppo). Ma no, Boromir non lo odio proprio, penso solo che sia un po’ (tanto) cretino. Poi ovviamente qui sono tutti cretini, quindi...

 

 

                                                                             Imlelil

 

Legolas camminava sulla strada sulle palafitte oltre la barricata. Si stava giusto chiedendo perchè mai ci fossero quelle guardie così poco svelte e quell’alto sbarramento, quando arrivò in uno spiazzo molto largo. Se lo ricordava: era la Piazza dei Mercanti Avvinazzati. A destra si trovava il lago e a sinistra la taverna del Totano Ciucco. Era attraversata da una delle vie principali, inizialmente dedicata a Elendil, il grande re di Gondor, ma poi si cambiò il nome, troppo lungo a causa della sfilza di antenati che dovevano comparire sulla targa secondo gli eredi del monarca. Così ora si chiamava Via Bard, che era il nome dell’eroe che aveva ucciso il drago Smaug alcuni anni prima e che non era così tanto interessato a tutti i suoi antenati, a eccezione di Girion, l’antico re di Dale. E comunque non aveva voluto quel nome sulla targa e quindi il governatore aveva deciso di intitolarla così, mettendoci la data di nascita e di morte di Bard, anche se era ancora vivo. Nonostante le proteste del re di Dale, il governatore aveva stabilito che così sarebbe rimasto e che si sarebbe cambiato solo dopo il suo decesso. Forse era per questo motivo che Bard non veniva spesso a Pontelagolungo, ma ufficialmente era perchè aveva troppo da fare.

Legolas guardò verso la taverna e rimase sbalordito nel vederla completamente ridotta in rovina. L’insegna, raffigurante un calamaro che teneva in una mano, pardon, in un tentacolo una fischetta di vino e che aveva uno sguardo vacuo negli occhi, si trovava per terra a due passi dall’elfo. Tutte le finestre erano spaccate e i frammenti dei vetri erano sparpagliati nella piazza. Insieme ad essi si trovavano per terra sedie e tavoli rotti, piatti e bottiglie in frantumi e cittadini e guardie storditi e ricoperti di bernoccoli e lividi. La porta era chiaramente scardinata, stava soltanto appoggiata sullo stipite. Parte dei muri laterali e del tetto erano sfondati. Regnava un silenzio di tomba. Legolas era molto perplesso.

“Chi può aver fatto una simile cosa? Un gruppo di nani ubriachi? No, ora starebbero gridando le loro canzoni da ubriaconi. Allora chi?... Beorn? Speriamo che ora si sia calmato, ma in ogni caso che cosa ci farebbe qui?”

Visto che i suoi ragionamenti non lo portavano da nessuna parte e che voleva sapere chi aveva distrutto una delle sue taverna preferite, decise di entrare. Si avvicinò alla porta, la aprì, o meglio la sollevò, e la spostò di lato. Fece un passo dentro il locale devastato. Tutti i tavoli e le sedie erano rovesciati o distrutti, così come le bottiglie e le lanterne. Il lampadario era crollato sul pavimento sfondandolo e facendo un grande buco da cui si vedeva l’acqua. Insomma, era uno scenario davvero desolante. Ma Legolas non potè osservarlo subito per bene perchè dovette gettarsi a terra per schivare una bottiglia che si infranse contro il muro.

“Siete venuti con i rinforzi, eh? Quanti siete? Vi avverto che, se non siete almeno venti, io non mi muovo da qua!” gridò una voce allegra da dietro il bancone.

“Non sono una guardia degli uomini del lago, sono un elfo!” rispose Legolas alzandosi da terra.

“Certo, e pensi che ti creda? E quale sarebbe il tuo nome?”

“Beh, io sono...” Ma in quel momento saltò fuori dal bancone una figura alta e minacciosa. Veloce come un lampo, si lanciò contro Legolas e tirò un tremendo maglio destro. Ma lui si gettò di lato con un grido e non si prese quella botta tremenda. Subito lo sconosciuto si voltò e lo afferrò di scatto con la mano sinistra alla spalla destra. Alzò di nuovo il pugno, ma in quel momento i loro occhi si incontrarono.

“Per mille risse! Legolas!”

“Per mille foglie! Imlelil!”

Infatti era proprio Imlelil, il terzo compare di Legolas, quello che sapeva scrivere, ma adorava le risse, per capirci. Era un elfo poco più basso del principe, aveva i capelli più corti e leggermente più scuri ed era vestito certamente in maniera più semplice, cioè indossava solamente delle braghe e una giacca sopra una camicia e non aveva nè mantello nè nessuno di quei vestiti lunghi a strascico che erano soliti portare gli elfi come Berlond, ehm, volevo dire Elrond.

“Cosa ci fai da queste parti, Legolas? Non mi aspettavo di incontrarti. Ma sono felice che tu sia qui: un aiuto può sempre servirmi!” disse Imlelil abbracciando felice Legolas “Andiamo a sederci, così mi racconti.” E andarono verso il bancone. Cercarono due sgabelli ancora intatti e si sedettero.

“Non c’è molto da raccontare... Due giorni fa stavo tornando a casa per la Festa del Ringraziamento con un uomo e un nano...” iniziò Legolas.

“Un nano? Da quando frequenti quella gentaglia? A Gran Prigione cosa ti stanno insegnando?” esclamò stupito Imlelil.

“Credimi, se fosse stato per me non avrei mai fatto la strada con lui, ma, a quanto pare, dovevamo fare lo stesso percorso. Quindi purtroppo sono stato costretto a sopportarlo. E, come se non bastasse, si è mangiato un intero panino in cui avevo nascosto le foglie!”

“Ha, ha, ha! Che cretino! A proposito di pane, è quasi mezzogiorno. Vuoi fare uno spuntino?” chiese l’altro elfo tirando fuori da una tasca alcuni piccoli pan di via.

“Grazie, ma ne ho ancora un po’ del mio, senza ripieno, s’intende. Piuttosto, potresti cercare una bottiglia di vino ancora intera?” rispose Legolas prendendo il suo lembas (altro nome del pan di via) dalla tasca nel mantello. Mentre Imlelil si alzava e andava a frugare fra i cocci sui ripiani e sotto il bancone, il figlio di Thranduil riprese a parlare:“Poi siamo arrivati a Bosco Atro e lì ci è venuto incontro Adrenalin per darmi una lettera che diceva che a casa mia si festeggiava la Festa del Ringraziamento, ma era stata scritta da Araldin e perciò non c’ho capito assolutamente niente! Così, dopo che il nostro amico ubriaco se ne è andato, siamo arrivati a casa mia e mio padre e mia madre ci hanno costretti ad aiutarli nei preparativi. Sono riuscito a parlare con Araldin che mi ha detto che tu eri qui a picchiarti con il figlio del governatore.”

“Già, ma purtroppo lui non c’è più: l’ho steso quasi subito e i suoi amici l’hanno portato via privo di sensi. Ti va bene questo vino?” domandò Imlelil sbucando da sotto il bancone con una bottiglia di rosso e due bicchieri.

“Sì, versa pure.” Legolas bevve insieme al suo amico, poi mangiò un po’ del suo pane e coninuò:“Alla fine siamo scappati e siamo giunti alla diga, ma lì quell’idiota dell’uomo ha fatto capire a Digas che ho lasciato sua sorella e ha rischiato di farci ammazzare da quei tre pazzi. Poi io e lui abbiamo seminato il nano mentre correvamo e non l’ho più visto.”

“Oh, bene! Ma vai pure avanti!”

“Stamattina ho insultato non so bene come l’uomo e quello ha cominciato a inseguirmi minacciandomi di morte. Sono arrivato qua a Pontelagolungo circa un’ora fa e sono andato da Melania, ma sono dovuto scappare quando è arrivato suo padre. Mentre scappavo, mi ha raggiunto anche l’uomo e sono riuscito a sfuggire ad entrambi. Infine ho saltato le guardie e la barricata, sono arrivato qua e tu hai cercato di cambiarmi l’assetto facciale.”

“Pensavo che fossi un’altra delle guardie che vengono da ieri a cercare di arrestarmi.” si scusò Imlelil mentre mangiava il suo lembas.      

“Ma cosa ci fai tu qui? Che cosa è successo alla locanda?” chiese Legolas, anche se pensava di sapere la risposta.

“Beh, ieri l’altro di sera ero venuto qua con Adrenalin per farci una bella bevuta siccome lui doveva partire per Rohan per ritirare gli incassi e non ci saremmo visti per un po’. Stavamo brindando allegramente alla salute delle guardie di frontiera che non riescono mai a prenderci quando è entrato il figlio del governatore. Allora l’oste gli è venuto incontro e gli ha detto che gli faceva un grande onore con la sua visita nella sua umile taverna e mille altri salamecchi del genere. Poi gli ha dato il tavolo migliore e gli ha anche promesso uno sconto sulle sue consumazioni. Adrenalin mi ha guardato deciso e mi ha detto:- Shai cosha gli fascio a quel bellimbushto? Adescio lo prendo, lo avvolgo in un tappeto e lo butto sgiù da un ponte! Uha, ha, ha, ha!!!- Io ho cercato di fermarlo, ma lui si è alzato e ha spaccato la sua bottiglia di vino in testa al ragazzo. Poi ha chiesto all’oste se aveva un tappeto, ma in quel momento tutti gli sono saltati addosso per quello che ha aveva fatto. Sebbene controvoglia, dopo aver svuotato il mio bicchiere, ho sollevato il mio tavolo e l’ho tirato addosso agli uomini che avevano immobilizzato Adrenalin. Lui ne ha approfittato per scappare, dopo aver rubato un’altra bottiglia di vino, ma io non ho potuto perchè l’attenzione si era rivolta su di me. È scoppiata una rissa tremenda che è andata avanti fino al mattino di ieri. Ti risparmio i particolari cruenti, ma ti basti sapere che ho steso tutti quelli che non sono scappati subito a cercare rinforzi. Poi li ho buttati tutti fuori, compreso l’oste, e mi sono seduto sul bancone per riprendere le forze un attimo mangiando il lembas e bevendo qualche bottiglia. Ma a quel punto è iniziato il bello: sono arrivate le guardie per arrestarmi. Allora sono saltato dal bancone e mi sono appeso a una trave del soffitto. Da lì ho tagliato i sostegni del lampadario che è crollato colpendo una parte dei soldati e facendoli cadere nel lago attraverso il buco che si era formato per il colpo. Vedi, è quello lì.” e indicò lo squarcio nel pavimento “Poi ho spezzato con un’ascia presa dai soldati una colonna portante dall’alto e ho fatto crollare il tetto su un’altra parte degli uomini che volevano catturarmi. I restanti sono scappati in preda al panico portandosi via i feriti. Nel pomeriggio sono tornati con dei rinforzi. Li ho respinti fino a tarda sera lanciandogli addosso tutto quello che mi capitava sotto mano, perfino l’insegna della taverna. Poi hanno cercato di prendermi dal lato facendo un buco nel muro là a sinistra, ma io ho rotto gli ultimi sostegni e così la parete gli è crollata addosso, facendoli finire nel lago. Dopo non mi hanno più disturbato, si sono limitati a costrutire forificazioni per impedirmi di scappare. Ma ovviamente non basterebbero due barricate a intrappolarmi, se non fossi io che voglio vedere quanto tempo ancora quei cretini cercheranno di prendermi! Ha, ha!” concluse Imlelil cominciando a ridere.

“Credo che adesso sia meglio fuggire, in ogni caso. Ho sentito che il governatore sta radunando tutti gli uomini abili per arrestarti una volta per tutte.” lo informò Legolas.

“Oh, che peccato! Va bene, andiamo. Almeno stavolta non si potrà dire che il principe Verdefoglia e i suoi compari distruggono sempre le taverne dopo le risse, perchè, come vedi, questa è ancora in piedi.” disse l’altro elfo. Legolas scosse la testa pensando che sarebbe bastato un soffio di vento a buttar giù l’edificio in cui si trovavano. Così si alzarono dagli sgabelli, attraversarono il pavimento facendo attenzione a non cadere nel buco e sollevarono la porta per uscire. Quando furono fuori, Imlelil si girò un attimo per guardare la taverna del Totano Ciucco. Una lacrima gli scese attraverso la guancia. “Quante risse e quante sbronze ho fatto là dentro! Sob! Chissà se ne potrò fare ancora?”

“Smettila di fare il sentimentale! Ora andiamo di qua, verso Nord. Al porto prenderemo in prestito una barca, poi sbarcheremo più su e andremo ciascuno per la sua strada. Tu andrai a cercare Adrenalin per vedere che non si sia messo in qualche guaio, io farò perdere le mie tracce...”

“E poi andrai da Melania, eh?” chiese Imlelil ammiccando.

“Insomma, sono fatti miei o no?” domandò Legolas sbuffando.

“Come no? Però poi ci penso io a salvarti dai genitori e i fratelli infuriati!”

“Senti, è vero che mi hai aiutato un po’ di volte, ma non vorrai contare anche quella volta a Rohan...”

“Certo che sì! Ho anche rischiato di farmi calpestare da un cavallo! Quindi sono ben 236 le volte che ti ho salvato!”

“Ma tieni anche il conto? Che cosa vuoi? Che ti paghi?”

“No, vorrei che mandassi qualcun altro sulle tracce del nostro amico sempre ubriaco. È praticamente impossibile cercare di capire dove potrebbe essere!” esclamò Imlelil.

“Ma sì, sarà andato a stordire qualcuno, ad avvolgerlo in un tappeto e buttarlo giù da un ponte. Basta che lo aspetti sul ponte del fiume Selva e lui verrà da sè.” rispose Legolas “E adesso muoviamoci!”

Mentre loro parlavano, qualcosa si avvicinò dall’acqua alla palafitta. Si arrampicò su e mise sul legno della piazza la sua mano che stringeva un bastone preso in acqua e per questo completamente marcio. Poi salì e si trovò in ginocchio a pochi metri dai due elfi intenti a parlare. La figura grondante d’acqua si erse in piedi, si scostò i capelli castani dal viso e alzò la mazza fradicia.

“SEI MORTO, LEGOLAS!!! IAAA!!!” gridò lanciandosi alla carica. A quell’urlo i due elfi si girarono e si scansarono appena in tempo per evitare il colpo che si infranse per terra insieme al bastone.

“Un altro uomo che vuole botte, eh? Prendi questo!” fece Imlelil e lo colpì alla mascella con un tremendo gancio destro. L’uomo, colpito in pieno, volò per tre metri e poi atterrò svenuto.

“E con questa fanno 237, caro Legolas!” disse accarezzandosi il pugno destro. Il figlio di Thranduil si avvicinò all’uomo svenuto e lo osservò. Anche se era bagnato fradicio e leggermente più pulito, si riconosceva facilmente, almeno lo riconosceva chi lo conosceva.

“No, questa non conta. Non è un papà o un fratello infuriato! È Aragorn, quell’uomo del Nord che ho offeso senza accorgermene di cui ti ho parlato.” rispose Legolas.

“Ma che importa, ti ho salvato o no? Perciò...”

“Attenzione, Legolas figlio di Thranduil e Imlelil! È il governatore di Pontelagolungo che vi parla! Siete completamente circondati! Arrendetevi e dovrete solo pagare per i vari danni, ma non vi sarà torto un capello! Altrimenti farò andare all’attacco tutte le mie truppe!” tuonò una voce proveniente dalla barricata.

“Ehi, perchè hanno detto il nome di tuo padre e non del mio?” chiese Imlelil sorridendo.

“Boh, perchè forse il mio paga.” e aggiunse rivolto verso la barricata “Non pagherò una sola moneta per una rissa che avete iniziato voi! E inoltre prima dovrete prenderci!”

“È proprio quello che intendo fare! Avanti, prendeteli!” gridò il governatore, ma nessun soldato si mosse. “MUOVETEVI, RAZZA DI CODARDI!!!”

“Si muova lei, sor governatore! Siamo solo in trenta e ce ne vogliono almeno il doppio per fermare quel mostro e il suo amico principe!” disse un soldato sempre dietro la barricata. Allora gli uomini cominciarono a discutere animatamente sul come e sul quando attaccare i due elfi, senza però controllare se gli elfi fossero ancora là. 

“Perchè continuano a insultare me e non te?” domandò Imlelil un po’ arrabbiato.

“Sarà perchè sei tu che hai quasi distrutto la taverna!” rispose Legolas e bisbigliò “Ora mentre discutono, scappiamo, d’accordo?”

“Va bene, andiamo.” Si girarono e cominciarono a correre, ma ancora una volta un urlo di rabbia costrinse il figlio di Thranduil a fermarsi.

“MALEDETTO BASTARDO! Crepa, miserabile donnaiolo!” Bausciòn era appena salito anche lui sulla piazza dal lago e grondava d’acqua da ogni parte. I suoi baffoni si erano afflosciati sulla bocca e sul mento e tremava di freddo e di rabbia. Con un ruggito sollevò la lancia gocciolante e la scagliò verso Legolas. Imlelil, nonostante la sua grande abilità nel salvarlo, non si mosse. Neanche lui spostò un solo muscolo, rimase fermo e impassibile. Tutti e tre guardarono la lancia volare, ovviamente mancare sia Legolas che il suo amico di tantissimo e centrare in pieno la parete frontale della taverna. Ma la potenza con cui Bausciòn aveva lanciato l’arma era inversamente proporzionale alla precisione della sua mira e ciò significa che era stata gettata con una forza incredibilmente grande, poichè aveva mancato un bersaglio distante solo quattro metri di ben tre metri e mezzo. Quindi quando colpì il muro, quello scricchiolò in maniera sinistra, ondeggiò avanti e indietro e cominciò a crollare sulla piazza.

“Oh, no! Scappiamo!” gridò Legolas e Imlelil fu perfettamente d’accordo.

L’uomo invece non fece in tempo e la parete di legno cadde rumorosamente addosso a lui e a tutti quelli svenuti nella piazza. I due elfi fuggirono verso nord, ma subito si trovarono di fronte un’altra barricata. Alcuni uomini la stavano scavalcando domandandosi stupiti la causa del frastuono e non appena li videro, puntarono le lance e intimarono:“Fermi! Chi siete? Che cosa è successo? Cos’era quel frastuono?”

“Ma come, non lo sapete???” ribattè Legolas con voce dura.

“Ehm, no...” risposero i soldati un po’ intimoriti.

“E non sapete neanche chi siamo noi???” domandò Imlelil con lo stesso tono dell’amico.

“No... Ci potreste dire chi siete?” chiese il soldato più vicino osservandoli e cercando di ricordarsi se aveva già visto due persone simili.

“Già, chi siamo?” bisbigliò Imlelil all’orecchio a punta del figlio di Thranduil.

“Sono Turgon, il nuovo comandante elfico assunto dal governatore, e lui è il mio vice! Più rispetto quando ci si rivolge a un superiore e al suo luogotenente!!! Quel rumore è il segnale della carica! Sbrigatevi o l’attacco potrebbe fallire! All’attacco di corsa o vi affibbierò venti giorni di punizione ciascuno!!!” gridò Legolas battendo per terra i piedi. Nonostante non sapessero niente di un nuovo comandante elfo nè di un segnale così strano e rumoroso, le guardie partirono tutte di gran carriera, atterrite dal pericolo di beccarsi una brutta punizione mettendo in discussione l’ordine di un superiore che urlava così tanto. Quando rimasero soli, i due superarono la barricata e ripresero a correre.

“Sono davvero strani gli uomini: basta fare la voce grossa e subito credono a qualunque cosa e obbediscono a qualunque ordine. È davvero impressionante il senso di potere che si prova!” esclamò Legolas.

“Sì, però la prossima volta lo faccio io quello più importante. Sono stanco di fare il tuo vice! E poi, che nome sarebbe ‘Turgon’?”

“Boh! Mi è venuto in mente all’improvviso, mi sembra di averlo sentito in una lezione di Berlond, fra le centinaia di nomi e soprannomi. Speriamo che non sia ancora vivo questo signore, perchè non vorrei procurarmi un altro nemico nel caso in cui non capiscano che ero io e si mettano a cercare uno che si chiama così.”

“Già, sennò dovrei essere lì a proteggerti anche da lui. Ecco il porto!” esclamò Imlelil perchè erano arrivati al luogo di attracco settentrionale delle imbarcazioni del Lago Lungo. Era un porto abbastanza grande e costituito da una lunga banchina da cui partivano vari pontili. Erano attraccate molte barche che trasportavano beni di commercio da Dale e soprattutto pesce del lago e perciò c’era un gran puzzo. Tante persone erano occupate a scaricare le merci e a metterle su dei carretti o su delle bancarelle per venderle subito lì. Il porto era pieno di gente insomma, tra quelli che scaricavano, caricavano, vendevano e compravano.

“Come faremo a ‘noleggiare’ una barca? Ci vedranno tutti!” domandò Imlelil facendosi largo fra la folla.

“Non c’è da preoccuparsi, basterà usare la nostra solita abilità, astuzia e intelligenza per fare un lavoretto pulito senza che nessuno si accorga di noi, come quella volta che rubammo tre cavalli a Rohan.” rispose Legolas molto sicuro di sè.

“Ti ricordo che quella volta ci riuscimmo perchè c’era Adrenalin a distrarre tutti con i suoi vaneggiamenti da ubriaco. Ma qui non c’è nessuno che possa distogliere l’attenzione di tutti e permetterci di prendere una barca.” Mentre parlavano, un personaggio di alcuni capitoli fa si faceva largo tra la folla. Per definirlo si potrebbe usare l’espressione ‘ombra del passato’, sia perchè certamente apparteneva al passato di molti, sia perchè sembrava un po’ un’ombra da quanto era magro. Era un uomo vecchio, esile come un fuscello e magro fino alle ossa, anch’esse assai sottili. Aveva un po’ di gobba sulla schiena, coperta da un mantello nero che scendeva fino agli stivali troppo larghi e che aveva anche un cappuccio che nascondeva completamente il suo volto. L’unica cosa che si intravedeva era una fioca luce gialla verdognola. Nella mano destra, bianca e scheletrica, teneva l’impugnatura di un bastone così corto che non arrivava neppure a terra.  

Osservava i due elfi insistentemente, soprattutto quello con tutti i capelli in ordine, e a quanto pare doveva averlo riconosciuto. Infatti sollevò il bastone e, mentre un lampo di luce gialla brillava sotto il cappuccio, lo agitò nella direzione degli elfi pronunciando parole incomprensibili. Ma in quello stesso istante un tizio piuttosto corpulento lo spinse con una spallata e lui cadde di lato. Perciò l’incantesimo che stava lanciando non colpì Legolas, invece centrò in pieno un carretto pieno di pesci poco distante. Ci fu una piccola esplosione e il suo intero contenuto volò sopra il porto. Tutti guardavano stupiti la scena, compresi Legolas, Adrenalin e il vecchio stregone, che borbottò qualcosa come “Dannazione, ho sbagliato di nuovo l’incantesimo! Non doveva esplodere e neanche colpire il pesce!” Passato lo stupore, la gente cominciò a chiedersi cosa fosse successo. Specialmente il proprietario del carretto era interessato a scoprire chi aveva mandato in cielo l’intera pesca della mattinata. Scese dalla sua barchetta e gridò:“Chi è stato? Dov’è quel vandalo maledetto?”

Il vecchio cominciò a strisciare nel tentativo di allontanarsi inosservato, ma una donna con una cesta con tre pesci lo indicò dicendo:“Lui! É stato quel vecchio con il bastone!”

“Dev’essere uno stregone!” fece un signore con una canna da pesca.

“No, è un ladro!” gridò un giovanotto che stava sfilando il portafogli dalla tasca dei pantaloni dell’uomo con la canna da pesca.

“A me sembra tanto un evasore fiscale!” disse un ramingo che portava ricamato sulla manica della giacca la sigla ATA (“Agenti delle Tasse di Arnor”).

“È un maleducato che spinge le persone.” suggerì il tizio piuttosto corpulento che lo aveva spinto prima.

“A me ricorda mio zio.” borbottò un tale.  

“È la copia del mio defunto marito! Ahimè!” si lamentò una vedova tutta vestita di nero con un terribile nasone.

“È un poveraccio senza un quattrino, un miserabile senza dignità!” sbottò un barbone che faceva l’elemosina in un angolo della piazza.

“È un vecchio cretino: alla sua età fa ancora scherzi così deficienti!” commentò un anziano signore ben vestito che faceva lo sgambetto a un ragazzo che correva.

“È comunque meglio di quel fallito di mio marito! Sigh! Me lo aveva detto la mamma!” disse una donnona tirando un pugnone sul capo del maritino.

“Spero che sia uno che sappia spiegarmi cosa è successo!” gridò il proprietario del carretto afferrandolo per il collo e sollevandolo da terra. Nel compiere questo gesto il cappuccio del vecchio calò giù e tutti videro che indossava una maschera di metallo con due fori per gli occhi.

“Ho capito chi è: un matto! Portiamolo al manicomio!” gridò un tizio che camminava sulle mani.

“Io credo che potrebbe essere il fratello gemello di uno fra i più importanti re della Terra di Mezzo e che gli potrebbe essere stata messa questa maschera perchè non ci siano guerre civili nel suo regno.” ipotizzò un signore grassoccio con dei baffoni e folti capelli ricci.

“Che idea balorda! Ma come t’è venuta?” gli riposero tutti eccetto il vecchio e i due elfi.

“Volevo farci un romanzo...” borbottò quello allontanandosi.

“Ehm, caro signore, sono molto dispiaciuto per i suoi pesci, ma posso spiegare...” disse lo stregone ancora sollevato qualche metro da terra.

“Bravo, e sarà anche meglio che ti sbrighi!” sbraitò il proprietario del carretto. In quel momento tutta l’attenzione della gente era rivolta a quei due e nessuno faceva caso ai due elfi che confabulavano.

“Imlelil, mi pare di averlo già visto quel tale, ma te lo dico io chi è per noi: il diversivo che ci serviva!” bisbigliò Legolas all’amico. Poi salirono con movimenti furtivi sulla barchetta del proprietario del carretto, staccarono gli ormeggi e salparono del tutto inosservati. O meglio li vide solo il vecchio stregone che gridò:“Attento! Quei due elfi ti stanno rubando la barca!”

L’uomo lasciò la presa e si voltò insieme a tutti quanti soltanto per vedere la sua barca allontanarsi.

“La mia barca!!! Maledetti ladri!!!” urlò per la rabbia e poi si voltò verso l’incappucciato “Sono tuoi complici vero???”

“Noooo! Non sono miei complici, anzi li detesto! Dovreste inseguire loro, non perdere tempo con me!” rispose cercando di allontanarsi.

“Che razza di verme traditore! Accusa i suoi complici pur di salvarsi!” gridarono tutti.

“Prendiamolo!” urlò la donna con una cesta con tre pesci.

“Catturiamolo!” gridò il signore con una canna da pesca.

“Borseggiamolo!” esclamò il giovanotto che aveva sfilato il portafogli dalla tasca dei pantaloni dell’uomo con la canna da pesca.

“Controlliamogli la dichiarazione dei redditi!” urlò il ramingo che portava ricamato sulla manica della giacca la sigla ATA.

“Spingiamolo!” ordinò il tizio piuttosto corpulento che lo aveva spinto prima.

“Facciamogli uno scherzo cretino!” propose l’anziano signore ben vestito che aveva fatto lo sgambetto al ragazzo che correva.

“Bastoniamolo!” gridò la donnona tirando un altro pugnone sul capo del maritino.

“Ricoveriamolo!” berciò il tizio che camminava sulle mani.

“Ricaviamo un romanzo dalla sua storia!” suggerì il signore grassoccio con dei baffoni e folti capelli ricci.

“No, la cosa migliore è una soluzione non violenta che accontenti tutti!” sentenziò l’ex proprietario del carretto e della barca “Uccidiamolo!!!”

E così tutta la folla, urlando per mostrare che era d’accordo, cominciò a inseguire il vecchio che scappava a perdifiato. Lui correva e correva incespicando per via del mantello e degli stivali troppo larghi. Poi si disse:“Un momento! Io sono Atragulaiuniliantauthro-Pant! Pant!-nounatraono-Puff! Puff!- waìseskolirfrà Rauthr, sì insomma, Alcarin, e sono uno stregone! Non è decoroso che fugga così! Ora userò un incantesimo di teletrasporto. Mi funziona quasi sempre e mi porterà in un luogo relativamente sicuro.”

Agitò il bastone mentre era ancora in corsa e, sotto gli occhi della gente ancor più sbalordita, scomparve in una nuvoletta di fumo.

Riapparve molte migliaia di miglia lontano in una caverna sulle Montagne Nebbiose. Alcarin, dopo aver ripreso fiato, pensò:“Non sono riuscito a prendere quel maledetto imbroglione di Legolas! Ma lo troverò! Oh, se lo troverò! Lo cercherò ovunque vada! Sarò la sua ombra!” Spinto da questi pensieri, gridò:“E QUANDO LO TROVERÒ ME LA PAGHERÀ CARA!!!”  

Dovete sapere, cari lettori, che è molto importante conoscere il significato delle parole. Se uno vi sfida a un duello di fioretto, non vuol dire che lui vi voglia sfidare a una gara di botanica. Allo stesso modo è utile conoscere che cosa significhi la parola “relativamente”: significa che qualcosa è qualcosa rispetto a qualcos’altro. Ad esempio, Gimli è basso paragonato ad Aragorn, ma è alto paragonato a... Ops, ho sbagliato esempio! Beh, comunque avete capito, no?

Perciò Alcarin era in un posto relativamente sicuro, perchè non c’era nessuna folla inferocita che voleva ucciderlo. Però la relatività della sicurezza non era legata anche al gridare a voce alta. Infatti dopo che ebbe gridato, la caverna si trasformò in un luogo relativamente insicuro a causa del fatto che si svegliò la famiglia di orsi in letargo. Mentre attaccavano Alcarin uno di loro commentò:“Roar moar broan! Frof ras bon? Moan!” (Traduzione dall’orsesco:“Questo è troppo magro, deve far schifo come la carne secca di qualche giorno fa! Perchè non ci sveglia mai qualcosa di più buono? Uffa!”)

Lo stregone non sapeva bene la lingua degli orsi, ma fuggì comunque a gambe levate (perdendo tra l’altro uno stivale), poichè aveva intuito che la situazione era decisamente pericolosa.

Intanto Legolas e Imlelil navigavano sul Lago Lungo, o meglio, remavano.

“Quindi quel vecchio che ci è servito come diversivo era uno che non avevi pagato?” chiese Imlelil muovendo il remo nell’acqua.

“Sì, ma non c’è problema: stando a quello che mi ha raccontato potrebbe benissimo diventare un nostro cliente! Da giovane era davvero molto più allegro rispetto ad ora. Comunque se si ripresenta a Bosco Atro, fagli la mia offerta.”

“Non sarebbe ancora meglio se facessimo pagare il conto a tuo padre?”

“Meglio di no, credo che gli arriverà una richiesta di risarcimento spaventosa dopo quello che è successo a Pontelagolungo!”

“Guarda che la taverna l’ha distrutta completamente quel ciccione del papà di Melania, non io!”

“Eh, che ci vuoi fare! La legge è ingiusta. Il governatore dovrà per forza trovare una fonte di risarcimento e un capro espiatorio o stasera non sarà più governatore. Vedrai che prenderà un povero cretino che non c’entra niente e lo getterà in pasto alla folla infuriata.” concluse Legolas.

“Dove andrai ora?”

“A Dale, penso. Dopotutto i conti con gli abitanti lì sono stati saldati e non hanno motivo di avercela con me, giusto?” chiese guardando interrogativamente Imlelil.

“Perchè me lo chiedi? Saranno mesi che non ci metto piede!” rispose offeso “Io invece non ho la minima intenzione di cercare Adrenalin! È adulto e sa cavarsela da solo!”

“Ti devo ricordare quella volta ha dato tutta la merce a una famiglia di tassi perchè era così ciucco da non accorgersi della differenza tra loro e gli uomini del Dunland?”

“Ma anche tu avresti potuto fare confusione: sono tutti coperti di peli allo stesso modo! E poi non ci voglio andare, voglio fare quel che mi pare durante queste vacanze, come te!”

“Non è che queste siano le mie migliori vacanze... Allora dillo ad Araldin di trovare Adrenalin.” acconsentì Legolas.

“Bene! Allora andiamo a riva, io devo scendere per tornare a Bosco Atro.” 

Girarono la barca con i remi e si diressero alla riva del Lago Lungo. Imlelil tirò una tremenda pacca sulle spalle a Legolas e poi scese salutandolo.

“Ah, già: se incontri i guardiani della Diga, potresti dirgli che sono da tutt’altra parte, in un posto lontanissimo e sperduto?” domandò il figlio di Thranduil all’amico che ridacchiò.

“Sì, ma certo. Meglio che li mandi fuori strada, altrimenti dovrò salvarti la vita la duecentotrentottesima volta!” rispose ridendo mentre si allontanava sulla riva sabbiosa.

“Uffa! La duecentotrentasettesima non contava!” gli gridò Legolas, ma ormai era lontano e non lo sentì. L’elfo prese i remi e ricominciò a navigare sul lago e sul Fiume Fluente fino ad arrivare l’indomani, dopo aver fatto una tappa a riva durante la notte, a scorgere la città di Dale all’ombra della Montagna Solitaria quando il sole iniziava a sorgere.  

 

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Capitolo 21
*** Capri espiatori ***


Capri espiatori

Capri espiatori

 

Il titolo di questo capitolo è un termine abbastanza in uso che significa ‘persona o gruppo di persone incolpate per la tradizione popolare, per antiche questioni o per pura sfortuna di crimini o di disgrazie che non hanno commesso o che non potevano causare’.

Spesso la folla, incapace di dare una spiegazione logica agli eventi, cerca di punire il primo probabile sospetto che le capita a tiro. Infatti, nel capitolo precedente, i pontelagolunghesi hanno subito scelto come capro espiatorio Alcarin, perché era vestito strano e non lo avevano mai visto prima. Se invece avessero voluto ragionare, avrebbero capito che allo stregone non importava affatto distruggere il carretto, che lo aveva fatto solo perché era stato spintonato e aveva sbagliato incantesimo e che a lui interessava solamente catturare Legolas e costringerlo a pagargli le 6000 monete d’oro, logicamente più gli interessi, pattuite per il teletrasporto con il quale il nove dicembre aveva rimandato a Gran Burrone lui e i suoi cinque compagni. Naturalmente questo avrebbe comportato anche il racconto di come aveva conosciuto il figlio di Thranduil e di chi era lui in particolare, ma per una simile narrazione non sarebbero bastate meno di dieci ore. E ovviamente la folla inferocita non avrebbe mai aspettato così tanto tempo, ansiosa com’era di ammazzare qualcuno.

Altre volte è invece l’autorità che, per non perdere prestigio ammettendo che la causa del male è la propria negligenza, indica uno straniero o un ‘diverso’ in generale come colpevole di tutto ciò che è accaduto.

In questo caso, però, il governante deve assicurarsi che il malcapitato non sia nessuno di importante, anzi deve essere sicuro che sia proprio una nullità, perché sennò i suoi amici o parenti potrebbero protestare.

Ma ora torniamo alla nostra storia.

Eomer raggiunse subito Faramir e Boromir che correvano tirando i muli per potersi allontanare più in fretta possibile dopo quello che aveva detto il giovane cavaliere.

“Credo di aver capito perché ci sono state guerre tra voi e i dunlandiani: li offendete ed è chiaro che loro vogliano vendicarsi!” disse Faramir.

“Ma... insomma... era facile sbagliarsi...” borbottò Eomer.

“Ha ragione: quelle tre pecore non sembravano certo uomini!” esclamò Boromir con voce assente.

“Visto? Lo dice anche tuo fratello!”

“Dato il suo stato confusionale, io non riterrei motivo di vanto il fatto che lui condivida le tue idee.” ribattè Faramir.

“Cosa??? Non ho capito un tubo!”

“Insomma, ho detto che hai le stesse opinioni di un drogato!”

“Come ti permetti?!? Ti sfido a duello!” esclamò Eomer colpendo Faramir con un guanto.

“Che bello! Voglio fare l’arbitro!” gridò Boromir.

“Senti Eomer, non faremo nessun duello! Siamo ancora in Dunland e quei tre pecorai potrebbero raggiungerci!” ribattè l’unico fra i tre uomini che avesse un minimo senso della ragione “Quindi sbrighiamoci ad andarcene e BASTA!!!”

Gli altri due si zittirono all’istante e il viaggio continuò senza problemi.

Intanto Gandalf, il famosissimo stregone conosciuto in tutta la Terra di Mezzo per le sue imprese e nella Contea per i suoi fuochi d’artificio, stava camminando proprio nella loro stessa posizione del Dunland. Aveva una missione importante: doveva incontrare un suo informatore fra i dunlandiani per accertarsi che non stessero preparando un’altra guerra contro Rohan. Poi, già che c’era, si sarebbe comprato una bella pelle di pecora perché gli anni pesavano anche a lui e le ossa gli dolevano parecchio durante l’inverno.

“Radagast mi ha detto che il nostro amico doveva dirmi queste parole d’ordine:-Vedi una pecora?- e io dovevo rispondere -Sì, anche bella grossa. Ci faremo un sacco di lana con la tosatura.- Ha anche cercato di riferirmi come si chiamasse e che faccia avesse, ma poi l’ha sentito un pettirosso ed è dovuto scappare... Io proprio non capisco in cosa consista il suo grande potere, essere perseguitato dagli uccelli non mi sembra ‘sto gran che...” pensava Gandalf mentre osservava l’orizzonte sperando di scorgere una qualche presenza di vita.

Dopo un po’ di tempo, arrivò in cima a una collina e vide alcuni dunlandiani con una mandria di pecore in fondo al colle. Si diresse subito verso di loro, sperando di poter trovare l’informatore.

Purtroppo per lo stregone, quelli che aveva visto erano Pastorful, sua moglie, suo cognato che stavano discutendo animatamente con altri pastori che avevano appena incontrato.

“E quell’insolente di un ragazzino a cavallo mi ha risposto che comunque era la donna che ogni caprone avrebbe voluto! Ma vi rendete conto??? Mi ha dato del caprone puzzolente, oltre ad aver offeso mia moglie!!!” sbraitava il capr... ehm, Pastorful.

“Per mille pecore e capre! Questi uomini di Rohan sono proprio degli sfrontati! Forse dovremmo dargli una lezione...” disse uno dei dunlandiani appena arrivati.

“Purtroppo è impossibile! Come dice sempre Dartagimb: ‘chi di spada ferisce, ne piglia sempre una sacca’!” sentenziò un’altro.

“Ma i proverbi non dovrebbero fare rima?” chiese il cognato di Pastorful.

“Sì, è vero... Com’è che dovrebbe essere allora? ‘Chi ferisce una vacca, ne piglia sempre una sacca’?” domandò la moglie.

“No, aspetta, non mi suona... Forse era ‘Chi pesta una cacca, ne piglia una sacca’, no?” provò il primo dunlandiano.

“Oppure ‘chi tira una cacca, ne piglia una sacca’?” azzardò il secondo.

“Basta con questi proverbi! Quel che volevo dire era che questi uomini di Rohan non ci vedono proprio per niente! Insomma, vi sembra forse una pecora?” domandò Pastorful indicando sua moglie. Gli altri dunlandiani risposero insieme che non sembrava affatto una pecora e che aveva ragione.

“Già, ve lo dimostrerò: vedete quel tipo là che si sta avvicinando? Ora lo chiederò anche a lui!” disse indicando Gandalf che stava scendendo la collina.

“Salve a tutti!” disse lo stregone quando li raggiunse.

“Salve a te, straniero! Senti, vedi una pecora?” domandò Pastorful indicando verso sua moglie e guardandolo con fare significativo.

“Ah!” fece Gandalf ammiccando “Sì, anche bella grossa. Ci faremo un sacco di lana con la tosatura.”

“C-COSAAA???” gridò il dunlandiano deformando il viso per la rabbia.

“Che c’è, ho detto qualcosa che non va?” chiese Gandalf un po’ preoccupato per l’espressione furibonda di tutti.

“Lo domandi anche, brutto vecchiaccio???” urlò Pastorful tirandogli un pugno in pancia.

“Ouch! Ma che ho fatto?” domandò di nuovo Gandalf portandosi le mani sullo stomaco per il dolore.

“Vecchio idiota, te la do io la pecora!” gridò la moglie di Pastorful colpendolo con un gancio sinistro al mento. Lo stregone cadde a terra e il bastone gli scivolò via.

“Addosso!” gridò il cognato di Pastorful e tutti assalirono lo sventurato Gandalf. Gliene diedero di santa ragione, visto che non poteva difendersi usando il bastone. Dopo che lo ebbero maciullato per bene, decisero che poteva bastare e cominciarono ad andarsene. Pastorful fu l’ultimo ad allontanarsi, prima prese lo stregone per il bavero della veste insanguinata e, guardandolo fisso negli occhi, gli disse:“Non ti azzardare a far rivedere la tua brutta faccia in questa terra! Tu e quel tuo stupido amico di Rohan che vi divertite ad offendere mia moglie sarete fatti a pezzi a colpi d’ascia se oserete ritornare qua! Come dice Dartagimb: ‘uomo avvisato, mezzo non tagliato’.”

Detto questo, lasciò cadere Gandalf e raggiunse gli altri dunlandiani.

Lo stregone rantolò disteso a terra e strisciò fino al suo bastone. Con le sue arti magiche e la sua conoscenza delle erbe si medicò alla meno peggio, fermando almeno le varie emorragie. Quando ebbe finito, decise che era meglio ritornare a Gran Burrone di corsa per evitare di finire davvero male. Mentre cercava di alzarsi in piedi nonostante le numerosissime contusioni e fratture multiple, pensò di essere stato vittima di un cattivo scherzo da parte di Radagast e perciò cominciò a pianificare la sua vendetta. Invece avrebbe dovuto pensare che quello che gli era successo era stato solo colpa della sua sfortuna e che era stato il capro espiatorio di altri caproni... ehm, di persone già infuriate per i fatti loro.

Purtroppo per Radagast, Gandalf non pensò assolutamente queste cose, ma aspettò di incontrarlo nuovamente per dargli pan per focaccia.

Mentre arrancava zoppicando sui sentieri sassosi, un dunlandiano lo scorse da lontano. Questi altri non era che il suo informatore e subito gli corse incontro. Quando Gandalf lo vide, temendo che fosse uno che voleva dargli un altro sacco di legnate, subito gli puntò contro il bastone e gli gridò:“Fermo dove sei o ti incenerisco!”

Il dunlandiano fu piuttosto perplesso per questo suo comportamento e, rimanendo a due metri di distanza da lui, disse:“Va bene, mi fermo qua. Non ti preoccupare, non voglio farti del male. Devo solo domandarti una cosa: vedi una pecora?”

A quel punto, lo stregone perse completamente la ragione: sul suo viso comparve un’espressione di rabbia incontenibile e divenne rosso, i suoi occhi si iniettarono di sangue e la sua mano destra strinse il bastone fino a che le nocche diventarono bianche.

“Ti sei messo d’accordo con Radagast per questo, vero?” chiese con voce ancora abbastanza calma.

“Sì, certo. Ma che ti succede? Perché sei tutto rosso?” domandò l’informatore spaventato.

“Ah, tu e Radagast avete organizzato questo scherzo, eh? Beh, devo dirti due cose: la prima è che avete un pessimo senso dell’umorismo, se vi fa ridere che uno venga riempito di legnate, e la seconda è che ve la farò pagare amaramente!!! Non appena troverò Radagast, avrà quel che si merita; ma per ora mi accontenterò di te! Muori!!!” gridò Gandalf saltando addosso allo sbalordito dunlandiano. Incurante del dolore per le botte prese prima, lo stregone colpì con violenza inaudita il dunlandiano per un bel po’ usando il suo bastone. Poi si rialzò e gli disse:“Non conosco proverbi come quel vostro Dartagimb, ma ti posso dire che mi sono sfogato e che ti devi ritenere fortunato se non ti ho ammazzato! Radagast non avrà la tua fortuna!”

Lasciandosi alle sue spalle il povero dunlandiano che si domandava ancora perchè fosse diventato il capro espiatorio della rabbia di quello stregone pazzo, Gandalf si allontanò zoppicando in direzione della Casa di Elrond.

Alcuni giorni dopo, Faramir, Boromir ed Eomer arrivarono nei pressi di Edoras. La città si stagliava sopra una collina, costruita quasi interamente di legno ad eccezione del grande palazzo d’oro di Meduseld.

“Beh, io sono arrivato. È stato un piacere viaggiare con voi.” disse il giovane cavaliere.

“Sì, insultare le pecore e i caproni è stato davvero divertente!” ridacchiò Boromir non ancora del tutto lucido.

“Già, ma spero che troverai il modo di scusarti, sennò ci sarà difficile passare ancora per quelle terre a gennaio.” fece notare Faramir.

“Uffa, sono dunlandiani, se ne saranno già scordati! Non hanno la memoria lunga, a meno che non gli si ricordi l’insulto e non credo che ci sia qualcuno che darà della pecora a quella signora sovrappeso e con molto pelo superfluo. Addio e buon viaggio! Ci rivedremo a gennaio.” Dopo essersi salutati, Eomer si diresse verso Edoras, mentre i due fratelli proseguirono per la loro strada, che li portò infine a raggiungere Minas Tirith il venti dicembre. Ovviamente tutti sapete com’era fatta la meravigliosa Città Bianca, perciò io non perderò tempo a scriverlo.

Faramir e Boromir, una volta fattisi riconoscere al portone, vennero accompagnati dalle guardie fino alla cittadella, dove si trovava il palazzo regale e sede dei Sovrintendenti.

Loro padre, Denethor figlio di Ecthelion, un uomo sulla cinquantina dagli occhi scuri e i capelli neri con qualche ciocca grigia, li aspettava seduto sul suo scranno di pietra nera disadorno in fondo alla sala del trono. Non appena entrarono, si alzò felice e corse ad abbracciarli. Anzi, per la precisione corse ad abbracciare Boromir, ignorando bellamente il suo secondogenito, che un po’ ne soffrì, anche se ormai era abituato a quel trattamento.

“Oh, finalmente sei tornato, Boromir, figlio mio adorato, mio degno erede!” esclamò Denethor e si profuse per un bel po’ in lodi sperticate di Boromir continuando ad abbracciarlo. Poi infine sembrò accorgersi anche della presenza di Faramir. “Ah, e hai riportato anche il tuo fratellino. Bravo, lui da solo non ce la farebbe mai!” Il ragazzo sospirò: questo non era proprio quel che si dice un caldo benvenuto, ma perlomeno non lo aveva ancora accusato di cose che non poteva aver fatto, usandolo come capro espiatorio.

“Dobbiamo festeggiare il tuo ritorno, mio erede preferito! Andiamo a pranzare!” disse il Sovrintendente al figlio maggiore, il quale però indicò il fratello con un movimento degli occhi. Denethor sbuffò e aggiunse:“Vieni anche tu, Faramir.”

Mentre camminavano verso la sala da pranzo, l’uomo anziano si toccò con una mano una costola come se gli dolesse.

“Stamattina svegliandomi sono caduto dal letto.” spiegò rivolto ai figli una volta che furono entrati nella sala sobria dove si trovava un tavolone apparecchiato per quattro.

“Oh... Mi spiace!” rispose Faramir, sinceramente dispiaciuto.

“Certo che ti dispiace! Ipocrita, è colpa tua!”

“Ma come può essere colpa mia??? Io non c’ero!” ribatté Faramir, mentre pensava:“Ho gioito troppo presto...”

“Certo, sempre scuse patetiche. E poi è vero: tu non ci sei mai ad aiutare il tuo anziano padre, a sostenerlo, a fargli compagnia!”

“Ma papà, sei stato tu che ci hai mandato via e...”

“Ecco, dai sempre la colpa a tuo padre! Inoltre stamattina il cibo a colazione era pessimo, ed era colpa tua!”

“Ma...”

“Zitto!”

“Insomma papà, lui non c’era, era con me, non può averti rovinato la colazione!” esclamò Boromir con la faccia di uno che dice una cosa talmente ovvia che tutti la dovrebbero capire, visto che l’ha compresa perfino lui.

“Ah, che spirito nobile, Boromir! Difendi sempre quell’immeritevole di tuo fratello! E lui non ti ringrazia mai, anzi! Fa di tutto per farti andare male a scuola! Non mi inganni, Faramir: nonostante nella lettera che mi è arrivata ci fosse scritto il contrario, ho capito benissimo che è tutta una congiura per farti sembrare più intelligente e più dotato di Boromir, quando invece è chiaramente lui il migliore!”

“Non è vero, io...” provò a ribattere Faramir, ma Denethor lo zittì con un gesto.

“Basta! Questo è troppo. Addio!” Detto questo, prese una torcia dalle pareti della sala da pranzo e salì su una catasta di legna accumulata lì per accendere il fuoco nel camino. “È la fine, non cercate di fermarmi!” Ma un attimo prima che buttasse giù la torcia una mano gentile gliela strappò via.

“Ancora queste scene, Denethor? La vuoi finire una buona volta con queste manie da piromane suicida?” lo rimproverò la moglie Finduilas usando la torcia per accendere il fuoco nel camino. Era una donna dagli occhi chiari molto bella e giovane rispetto al marito, non aveva infatti più di trent’anni. Il suo viso era quasi pallido e contornato da capelli ramati.

“Manie?? Non è vero, donna! Non l’ho mai fatto!” ribatté Denethor furioso.

“Ma se è già la quinta volta dall’inizio del mese!”

A questo punto il Sovrintendente, preso in contropiede, non seppe cosa rispondere, ma dopo un attimo gli venne un’idea. La moglie tuttavia lo precedette:“E non ti provare a dare ancora la colpa a Faramir! Non ce la faccio più: ogni cosa che ti succede dai sempre la colpa a Faramir. Di questo passo arriverai a dire che è colpa sua se stanotte sei caduto dal letto! O l’hai già fatto?” domandò inquisitoria.

Dal silenzio capì che ciò era effettivamente appena successo.

“Denethor, non la smetterai mai di prendertela con Faramir per ogni cosa? Non capisci che in questo modo ti comporti ingiustamente con tuo figlio, favorendo troppo suo fratello invece?” lo rimproverò la moglie sospirando.

“Ma sta’ zitta, donna fantasma! Va’ via! Vattene a ululare da un’altra parte!” sbottò stizzito Denethor sedendosi a tavola. Finduilas sospirò con rassegnazione e andò ad abbracciare i figli.

“Papà è ancora convinto che tu sia morta otto anni fa, mamma?” le domandò poi Faramir. La madre sospirò ancora.

“Sì, ma ormai ci hanno fatto tutti l’abitudine, così come con le sue altre piccole follie.” rispose guardandolo con compassione. Infatti otto anni prima, Denethor si era svegliato una mattina con la ferma convinzione che la moglie fosse morta. Poco gli importava che Finduilas gli ripetesse che non solo era viva, ma anche in perfetta salute. Lo aveva annunciato al maggiordomo e ai camerieri, i quali avevano guardato stupiti la presunta morta che si vestiva, faceva preparare la colazione e svegliava i figli. Poi anche loro furono informati della morte di loro madre dal padre in lacrime. Boromir e Faramir fissarono loro padre allibiti, dato che Finduilas era seduta di fronte a loro e li stava rimproverando per il modo in cui tenevano le forchette. Nella corte tutti cercarono in ogni modo di far ragionare il Sovrintendente, facendogli vedere che sua moglie era viva e vegeta, ma Denethor non volle cambiare idea, ripetendo testardamente che era così perché “me l’ha detto la pietra rotonda”. A quel punto si cominciò a sospettare che fosse un po’ tocco e perciò si pensò che fosse meglio assecondarlo. Si tennero i finti funerali di Finduilas e tutti piansero per la sua morte in così giovane età. La corte e tutta Minas Tirith furono a lutto per un anno. Anche la stessa Finduilas portò il lutto, dicendo che piangeva “la morte di quel poco di intelligenza che aveva mio marito”. Poi la vita tornò alla normalità: nessuno parlò mai più al Sovrintendente di sua moglie, la quale continuò a vivere con lui e a badare ai suoi figli. Denethor tuttavia, anziché rendersi conto, come una qualunque persona dotata di senno, che la moglie era viva, poiché continuava a vederla, affermò che era il suo fantasma che non voleva lasciarlo. Perciò da sette anni Finduilas conviveva con un uomo che la credeva un fantasma e non le parlava mai, se non per chiederle notizie sull’Aldilà.

“Povera mamma!” dissero in coro i due figli.

“Oh, non preoccupatevi,” rispose lei “io ho promesso di rimanere qui solo finché voi non sarete diventati adulti, poi farò le valigie e me ne andrò via da questa gabbia di matti! E ora venite, mangiamo qualcosa e raccontatemi di Gran Burrone.”

“Smettetela di parlare con un fantasma o vi prenderanno tutti per matti!!!” tuonò Denethor da capotavola.

“Sì, papà.” risposero in coro i figli.

“No, Faramir, tu continua pure, tanto sei irrecuperabile. Invece tu, Boromir, mio eroe, parlami di come hai superato in abilità e forza tutti gli elfi di quel postaccio dove il fantasma mi ha convinto a mandarvi tormentandomi con i suoi orribili gemiti.”

Mentre Faramir e Boromir erano alle prese con il loro pranzo di famiglia, Aragorn veniva posto di fronte a una scelta terribile: o sposare una delle figlie di Surdabanipal XXVII o perdere la testa in senso letterale a opera dell’ascia del boia. Per capirci però qualcosa di più dobbiamo tornare indietro al quattordici dicembre a Pontelagolungo, dove abbiamo lasciato il ramingo svenuto e coperto dalle macerie della Locanda del Totano Ciucco nella Piazza dei Mercanti Avvinazzati.

Subito dopo il crollo di quel che rimaneva della locanda i soldati e il governatore, al sicuro nelle retrovie, avanzarono oltre la barricata per vedere cosa fosse successo. Osservato il disastro, il governatore diede immediatamente ordine di cercare fra le macerie i feriti e di portargli il figlio di Thranduil e il suo amico vivi o morti. Contemporaneamente Legolas, fingendo di essere un fantomatico nuovo comandante elfico, mandava alla carica i soldati che presidiavano l’altra barricata a nord che così si ritrovarono tutti nella piazza insieme agli altri.

“Ma che è successo qua? Dov’è il mostro?” domandarono i soldati appena arrivati.

“Cosa ci fate qui? Vi avevo ordinato di non muovervi dalla barricata!!” gridò il governatore “Sergente, perché hai disubbidito??”

“Ma cosa dice, signor governatore? È lei che ci ha ordinato di caricare!” ribatté il sergente a capo del manipolo.

“Sei uscito di senno??? Io non ho dato nessun ordine!!!” sbraitò l’uomo furioso.

“Senta, è vero che lei in persona non ci ha dato nessun ordine, ma è stato il suo nuovo comandante elfico, Turgon, mi pare, insieme al suo vice che ci ha detto di andare all’attacco. Noi abbiamo solo obbedito!” spiegò il sergente.

“Nuovo comandante elfico??? Ma io non... Aspetta un attimo. Sergente, l’elfo per caso aveva i capelli biondi perfettamente in ordine, neanche una goccia di sudore nonostante avesse corso e mantello e stivali all’ultima moda?” domandò con una strana luce negli occhi.

“Ora che mi ci fa pensare, sì. In effetti era molto simile a...” e si interruppe fissando impaurito il governatore. Deglutì e finì la frase:“Ehm, era molto simile a Legolas...”

“Ah, davvero? BRUTTO IDIOTA!!! Certo che era simile a Legolas, era Legolas!!! E scommetto che il suo compare era Imlelil! Deficienti, ve li siete fatti scappare!!!” ululò il governatore fuori di sé.

Nel frattempo i soldati avevano tirato fuori da sotto le macerie quasi tutti, compresi Aragorn e Bausciòn. Quest’ultimo, appena rinvenuto, era subito corso dal governatore, distogliendo così la sua attenzione dal sergente che venne salvato dalla sua terribile punizione.

“Governatore, dov’è finito quel maledetto elfo donnaiolo?”

“Ma che ne so! Quegli idioti sull’altra barricata l’hanno fatto fuggire e... Ma aspetta, tu che ci fai qui? Non eri fra quelli che avevano tentato i primi attacchi contro il mostro.” domandò il governatore, che conosceva molto bene Bausciòn, dato che si presentava spessissimo nel suo palazzo chiedendo il permesso di istituire una ronda per sorvegliare la sua casa e impedire così che Legolas andasse a trovare sua figlia.

“Io ho inseguito Legolas per i miei motivi che lei conosce bene e sono salito dal lago.” spiegò indicando l’acqua alla loro destra.

“Allora tu forse puoi anche spiegarmi chi ha fatto crollare definitivamente la locanda.” disse il governatore “Perché sarà lui a pagare il conto al proprietario, quando si sveglierà.” Al sentire queste parole Bausciòn cominciò a sudare freddo. Doveva assolutamente dare una spiegazione convincente di ciò che era accaduto senza dire la verità, perché non era certo in possesso di una somma simile a quella necessaria per ripagare l’oste della sua locanda distrutta. Doveva trovare qualcun altro a cui dare la colpa, qualcuno a cui tanto nessuno avrebbe creduto o che si sarebbe preso la briga di ascoltare, uno sconosciuto, uno straniero, magari pure sporco e malconcio. Insomma, doveva trovare un capro espiatorio. In quel momento Aragorn, disteso a terra poco lontano, tossì e borbottò qualcosa riguardo alle budella di Legolas appese a un palo. Bausciòn lo osservò con interesse. Era senza dubbio uno straniero e, da quel che gli suggerivano le sue narici, pure parecchio sporco. Sì, era perfetto!

“Adesso le spiegherò tutto, caro governatore. Vede quell’uomo là a terra, sporco e puzzolente? Ecco, è tutta colpa sua! È stato lui che, volendo uccidere Legolas, mi ha strappato la lancia di mano, gliel’ha lanciata contro, ma lo ha mancato e ha centrato invece la locanda facendola crollare.” affermò Bausciòn.

“Molto bene, Bausciòn. Ho ascoltato la tua versione della storia, ma, per equità, devo fare qualche domanda anche a quello straniero, prima di dichiararlo colpevole e costringerlo a risarcire l’oste.” disse il governatore, felice che Bausciòn gli avesse offerto un così bel capro espiatorio sul piatto d’argento. Ordinò ai soldati di gettare un secchio d’acqua in faccia ad Aragorn per svegliarlo. Il ramingo aprì gli occhi di scatto e schivò abilmente la secchiata.

“Ma che modi sono? Cercare di lavare una persona mentre non può difendersi!” gridò furioso alzandosi in piedi. Il governatore avanzò verso di lui, mentre con dei cenni ordinava alle guardie di attorniarlo impedendogli di fuggire.

“Signore, io sono il governatore di Pontelagolungo e, come tale, devo farle alcune domande. Prima di tutto, che ci fa lei qui?”

“Stavo inseguendo quel lurido verme infame e diffamatore di Legolas per tagliargli la lingua e qualche altro attributo, in modo da lavare l’offesa fatta da costui alla purezza del mio amore.” spiegò Aragorn usando il linguaggio contorto che aveva ereditato dai suoi antenati.

“Dunque tu odi Legolas Verdefoglia e lo vorresti uccidere?” incalzò il governatore.

“Sì, per questo l’ho inseguito fin qui.” rispose Aragorn cominciando a insospettirsi.

“In base a questa tua confessione, ti dichiaro colpevole di aver abbattuto la Locanda del Totano Ciucco nel tentativo di uccidere Legolas, principe di Bosco Atro!” dichiarò il governatore.

“Cosa? No, aspettate un attimo...” si oppose Aragorn, ma venne ignorato.

“Guardie, portatelo via!” ordinò il governatore. Le guardie fecero per afferrare Aragorn, ma l’uomo si liberò dalla loro presa e corse verso il lago. Stese con un pugno Bausciòn che cercava di fermarlo, si tuffò in acqua e fuggì a nuoto.

“Cosa aspettate, idioti? Tirate le frecce, colpitelo!!” gridò il governatore saltando per la rabbia. Ma ormai Aragorn, nuotando velocissimo sia per il freddo sia per allontanarsi più velocemente possibile da quei matti, era già fuori tiro. “Maledetto Legolas! Aveva veramente ragione: gli orchi almeno mi avrebbero catturato senza darmi colpe assurde! Me la pagherà anche per questo!” pensò mentre nuotava a tutta birra verso settentrione.

Il governatore guardò con rabbia indicibile il suo capro espiatorio che fuggiva e poi osservò Bausciòn ancora stordito. “Beh, adesso sarà lui a pagare l’oste... poi punirò il sergente dandogli la colpa di aver fatto scappare Legolas e Imlelil. Sì, dovrei essere a posto, la folla non potrà avercela con me per non aver saputo gestire bene la situazione.” rifletté fra sé sorridendo furbescamente. Ma i suoi piani furono sconvolti ancora una volta. Infatti proprio in quel momento dal porto settentrionale arrivò la folla furibonda che stava inseguendo lo stregone Alcarin ed era stata resa ancora più furiosa dalla scomparsa del suo capro espiatorio.

“Dov’è sparito quel maledetto vecchiaccio???” gridò l’uomo a cui Alcarin aveva fatto esplodere il carretto del pesce e a cui Legolas e Imlelil avevano rubato la barca.

“Sembra scomparso nel nulla...” azzardò un ometto piccolo.

“Non dire stupidaggini!!!” gridò il donnone che era sua moglie tirandogli un pugnone in testa.

“Tipico degli evasori fiscali: scompaiono sempre nel nulla!” sentenziò il ramingo che portava ricamata sulla manica della giacca la sigla ATA.

“Peccato! Dovrò rinunciare alla mia carriera di romanziere!” si lamentò il signore grassoccio con dei baffoni e folti capelli ricci.

“Magari ha usato una delle sue magie per volatilizzarsi.” suggerì l’uomo con la canna da pesca.

“Già, dev’essere così.” concordò il giovanotto che lo aveva precedentemente derubato del portafogli.

“Ma cosa è successo qua?” domandò la donna con una cesta con tre pesci. Solo a quel punto la folla sembrò accorgersi delle macerie della Locanda del Totano Ciucco sparse qua e là nella Piazza dei Mercanti Avvinazzati.

“Ma chi può essere stato a fare questo disastro?” si chiese il tizio che camminava sulle mani.

“È stato il mostro.” gli rispose un soldato e gli raccontò quel che aveva capito della vicenda. In breve tra la folla circolava una gran moltitudine di diverse versioni dell’accaduto:

1)     un elfo furioso aveva distrutto la locanda senza motivo, era stato salvato da un suo amico, insieme avevano sbaragliato tutte le guardie ed erano fuggiti;

2)     l’elfo furioso in realtà era un beorniano magro e presto ne sarebbero arrivati altri con l’avanzare dell’inverno;

3)     a distruggere la taverna erano stati Legolas e un uomo infuriato con lui (probabilmente per una questione di donne);

4)     a distruggerla erano stati Legolas e Bausciòn (certamente a causa di Melania, come tutti sapevano);

5)     il nuovo comandante elfico Turgon aveva ordinato la carica nel momento sbagliato e quindi la locanda era crollata per la delusione data da un simile fallimento (questa in effetti era la versione ritenuta meno verosimile).

Subito l’ex proprietario della barca e del carretto si ricordò che i ladri che gli avevano rubato l’imbarcazione erano due elfi. Perciò fece due più due e capì che erano stati Legolas e un suo amico che avevano distrutto la locanda e rubato la sua barca. Ma anche lo stregone li aveva aiutati. Purtroppo, quel che era certo era che tutti e tre i colpevoli se l’erano data a gambe e, stando a quanto aveva sentito, pure lo straniero infuriato con Legolas. Quindi, non sapendo con chi prendersela, cominciò a inveire contro il governatore.

“Sapete di chi è veramente la colpa di quel che è successo oggi? Del governatore!” esordì mentre la folla si zittiva e anche i soldati e i feriti si avvicinavano per sentirlo “Non è forse lui che dovrebbe proteggerci da pericoli come questi? E invece guardate cosa mi è capitato! Ho perso ogni cosa! Il mio carretto, la mia barca e il mio posto dove ubriacarmi!” gridò indicando le macerie della locanda “E il governatore cos’ha fatto per impedirlo? Ve lo dico io: niente! E non solo non ha fatto niente, scommetto che se la sarà pure presa con chi fra voi ha commesso qualche piccolo errore, non è vero?”

“Hai ragione!” gridò il sergente. Il governatore, solo in un angolo della piazza, cominciò a preoccuparsi. Un brivido gli corse lungo la schiena e pensò freneticamente a un modo per evitare di essere linciato dalla folla.

“Ma io vi chiedo, o Pontelagolunghesi, noi non abbiamo forse un posto di guardia sulla riva per impedire che i pericolosi criminali patentati come il principe Legolas e i suoi compari entrino in città? Ebbene sì, lo abbiamo, peccato che vi sia un’unica guardia sottopagata al suo interno! E sapete perché? Perché il governatore si è intascato i soldi pubblici destinati a quella struttura!” A quel punto il governatore si sentì osservato da un centinaio di occhi furiosi e assetati di sangue.

“Io ho sentito anche dire che la guardia è narcolettica!” affermò un soldato.

“COOOSA??? Siamo protetti da uno che dorme di continuo???” gridò la folla.

“Sì, non c’è da stupirsi che faccia lui la guardia: era quello che si faceva pagare di meno.” spiegò il soldato.

“E poi io credo sia anche un lontanto nipote del governatore!” disse il sergente rincarando la dose. Come se le cose non andassero già abbastanza male per il primo cittadino di Pontelagolungo, in quel momento l’oste, riavutosi completamente dalle botte subite, arrivò nella piazza e vide le macerie di ciò che una volta era stata la sua locanda.

“COS’È SUCCESSO ALLA MIA LOCANDA???” urlò infuriato come una belva.

“Legolas e il suo amico l’hanno distrutta, ma noi pensiamo che, in fondo, la colpa sia del governatore!” gli rispose l’ex proprietario del carretto e della barca.

“Ah, è così? E pensare che facevo sempre lo sconto a quell’ubriacone di suo figlio!”

“Governatore ladro! Governatore incompetente! Governatore nepotista!” rumoreggiò la folla avvicinandosi minacciosamente al poveruomo, pronta a dargli una bella (e in questo caso pure giusta) punizione. Tuttavia, si dice, la Fortuna è capricciosa: cambia continuamente, se un attimo prima ti avversa, l’attimo dopo ti favorisce. E infatti fu ciò che accadde. Mentre il governatore indietreggiava impaurito cercando di ribattere alle accuse, un nano dalla barba rossa ansimante e sfinito dopo una lunga corsa e un ancor più lungo digiuno fece il suo ingresso nella piazza.

“Anf! Scusi, -pant!- ha per caso visto -sbuff!- un uomo che inseguiva un elfo? Pant!” domandò Gimli al governatore tenendosi una mano sulla milza.

“Cosa?” chiese di rimando il governatore al nano voltandosi a guardarlo. Poi il suo volto si illuminò: era salvo! Senza rispondere a Gimli si rivolse alla folla:“Cittadini, statemi a sentire: so che siete giustamente infuriati per quello che è successo oggi e vi capisco. Fate bene a essere arrabbiati! Ma nella fretta di trovare il colpevole della sciagura abbattutasi su di noi avete commesso degli errori di valutazione. Tuttavia non dovete temere: vi spiegherò io come stanno veramente le cose. Ascoltatemi tutti bene: la colpa di tutto quello che di male vi è successo oggi è di questo nano!!!” E finì il discorso indicando Gimli con un gesto teatrale.

“EEEH?!? No, aspettate un attimo! Non posso aver fatto niente, sono arrivato adesso! Non so neanche che vi sia capitato di male!” gridò il nano disperato. Ma ormai la folla aveva deciso che sarebbe stato lui il suo capro espiatorio.

“Ah, lo sapevo che era tutta colpa di quel nano!” affermò l’ex proprietario della barca e del carretto.

“Già, dev’essere stato lui a distruggere la mia locanda!” disse l’oste, quando sapeva benissimo che era stato Imlelil, perché l’aveva visto e aveva ricevuto anche un sonoro ceffone da lui.

“Sono sicuro che è stato lui a rubarmi il portafogli, poco fa!” dichiarò l’uomo con la canna da pesca.

“Già, ha proprio la faccia da delinquente!” concordò il giovanotto che lo aveva borseggiato prima.

“Scommetto che è anche un evasore fiscale!” aggiunse il ramingo che portava ricamata sulla manica della giacca la sigla ATA.

“Non va neanche bene per trarne un romanzo!” si lamentò il signore grassoccio con dei baffoni e folti capelli ricci.

“Di certo è lui che ha ingannato me e gli altri soldati fingendosi un elfo!” concluse il sergente, senza rendersi conto dell’assurdità di ciò che aveva appena detto.

“UCCIDIAMOLO!!!” gridò la folla all’unisono sollevando bastoni, lance, spade e canne da pesca. Gimli, deciso a non farsi fare la pelle da quel branco di pazzi psicolabili, optò per la fuga e si tuffò anch’egli nel lago allontanandosi a nuoto mentre i cittadini gli lanciavano addosso tutto ciò che capitava.

 

 

Chi non muore si rivede, eh? So che non è una scusa, ma tra l’ultimo aggiornamento e questo me ne sono capitate così tante (sono pure diventato maggiorenne, si dice) che solo le disavventure dei miei personaggi sono di più!

 

Ringraziamenti:

 

@Suikotsu: Sono un po’ tutti tremendi!

 

@Rakyr il Solitario: Già, è un bel tipo.

 

@evening_star: In qualche maniera Aragorn si è salvato, no?

 

@stellysisley: Grazie mille!

 

@Chary: Confermo che ha preso dalla madre!

 

@Amaerize: Beh, anche questo capitolo è piuttosto lungo.

 

@Afaneia: In effetti, seguendo la tua logica ferrea, avrei dovuto scrivere i dialoghi in elfico o in lingua corrente e le parole di Gimli e dei suoi parenti in lingua nanica, e avevo anche pensato di farlo, ma poi chi mi avrebbe capito?... Scherzo! Complimenti per l’attenzione! Continua a seguirmi!

 

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