The one that got away

di Athenae
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The music that spoke to our hearts ***
Capitolo 2: *** Prologo ***
Capitolo 3: *** Perfection, so imperfect. ***
Capitolo 4: *** Protection ***
Capitolo 5: *** Daily life, pain twice ***



Capitolo 1
*** The music that spoke to our hearts ***


Capitolo 0
- The music that spoke to our hearts -
 
Sorrise.

<< Avanti Shin-chan! Fallo per me! Sono curioso! >>

Chiese giocosamente, osservandolo sorseggiare la zuppa calda di fagioli rossi in lattina che teneva tra le mani. Il playmaker dello Shutoku se ne stava beatamente stravaccato sul divano mentre Shintarō era seduto di fronte a lui, su una poltroncina. Entrambi riposavano dopo quattro ore di allenamento extra e di studio intenso. Gli esami di metà semestre si stavano avvicinando e, se Takao voleva continuare a giocare nelle prossime partite, doveva assolutamente salvarsi dai corsi di recupero pomeridiani. Ma l’insufficienza in Chimica incombeva sulla sua pagella così, per il bene di tutti, i due passavano ogni martedì e venerdì pomeriggio a casa di Midorima, cercando di salvare il salvabile.

Lo sguardo di Takao era fisso sulla parete dietro le spalle dell’amico. Il pianoforte a muro era lì, lucido e invitante come sempre. La prima volta che lo aveva visto, pochi giorni prima, era rimasto interdetto: non sapeva che suonasse. Tutto questo lo aveva intrigato parecchio e, non contento delle risposte vaghe e ambigue del diretto interessato, ne aveva parlato con la madre. Lei gli aveva raccontato che, al contrario di quanto sostenesse suo figlio, egli era dotato di un discreto talento: durante il periodo delle medie si esibiva spesso, raccogliendo premi ed riconoscimenti. Perciò, la sua curiosità in merito non aveva fatto altro che crescere.

<<  Ti ho già detto di no. Non suono più e non ricomincerò adesso. Poi non vedo perché ti dovrei accontentare. > Rispose, alzando un sopracciglio, irritato per l’insistenza dell’altro. 

Ma a Takao poco importava della sua reticenza, moriva dalla voglia di sentirlo suonare. Insomma, lo conosceva da due anni e, in tutto questo tempo, non lo aveva mai visto usare quelle dita affusolate se non sul campo da basket per i suoi canestri infallibili: non gli sembrava giusto!

I loro sguardi si incrociarono. Nessuno dei due avrebbe mollato facilmente.

Kazunari sogghignò famelico: voleva la guerra? L’avrebbe avuta. Si alzò e si diresse a grandi passi verso lo sgabello morbido che si trovava davanti al piano e vi si sedette, girandosi poi verso Midorima mentre poggiava un braccio allo strumento in una posa teatrale.

<< Guarda che se non suoni tu mi arrangio da solo e non ti assicuro nulla di piacevole! >> Lo minacciò ridacchiando.

 Sapeva perfettamente che non gli avrebbe mai dato retta e che difficilmente avrebbe colto le sue provocazioni, ma tentar non nuoce. Perciò gli puntò gli occhi grigi addosso, scrutandolo sornione.
<<  Alzati e smettila >> disse secco.

Perché si accaniva così tanto? Era sicuro che la musica classica non fosse una delle passioni di Takao, anzi, aveva sempre creduto che la odiasse e adesso se ne usciva fuori con questa richiesta assurda. C’era qualcosa che sfuggiva seriamente alla sua comprensione.

A quella risposta il ragazzo dai capelli corvini gli diede le spalle, scoprendo i tasti bianchi e neri della tastiera. Sentiva lo sguardo di Shin perforargli la schiena.

<< Ti avevo avvertito. >>

Gli urlò con un sorrisetto sulle labbra, iniziando a dare pesanti zampate sui tasti. Quello che ne uscì era tutto tranne che musica, piuttosto suoni scoordinati e caotici che avrebbero fatto impazzire anche un sordo.

La sua mano sinistra stava per ricadere in un nuovo attentato allo strumento (e alla sanità mentale di chiunque nei paraggi) ma rimase ferma a mezz’aria. Shintarō era in piedi dietro di lui e gli stringeva saldamente il polso. Il playmaker ghignò soddisfatto.

<< Finiscila. >>  Ordinò con la voce lievemente alterata, l’irritazione cresceva sempre di più.

<< Awww!  Shin-chan! Mi stavo divertendo! E ho un’altra mano, ti ricordo. >> Lo stuzzicò, divertito, simulando dispiacere. Almeno era riuscito ad attirare la sua attenzione. 

<< Non ho alcun problema a bloccare anche l’altra, nanodayo. >> Proseguì senza scomporsi, solo la voce era più grave e la profondità dei toni riverberava nella gola del tiratore.

Takao rabbrividì al suono della sua voce, di certo non gli avrebbe dato la soddisfazione di vincere. Sentiva il suo calore attraverso il calore delle dita che si stringevano attorno al suo polso.

<< Allora urlerò. >> Sentenziò sollevando il viso verso di lui. Sbattè gli occhi innocentemente, certo di averlo ormai in pugno.

Shintarō lasciò andare la presa. Si massaggiò le meningi e sollevò gli occhi nella direzione dell’altro che era rimasto bloccato nella stessa, buffa, posizione.

 Lasciarlo continuare a fare quel casino, oppure mettere fine a questo strazio quotidiano dandogli quello che voleva? 

Quanto può farmi male suonare un brano, un istante, per poi riuscire ad ottenere un po’ di pace? Non so quanto posso andare avanti se continua a tartassare i miei poveri timpani a questo modo…

Pensò, ormai rassegnato all’idea di doverlo accontentare.

<< D’accordo. Cinque minuti e basta, poi non ne parliamo più. >> Concesse, emettendo un lungo sospiro.

Si sedette accanto a lui. Quanto tempo era che non sentiva quell’imbottitura morbida e accogliente sotto di sé? Neanche lo ricordava più. Tolse le bende dalle dita e spinse gli occhiali sul naso.

Takao lo osservava, eccitato all’inverosimile. Annuì scioccato all’affermazione di Shin. Stranamente era riuscito ad ottenere quello che bramava da una decina di giorni. Che gli era preso? Forse non aveva voglia di discutere, forse era troppo stanco… ma che gli importava, in fondo? Meglio per sé: si mise comodo e tese le orecchie.

Midorima posò gli occhi sulla tastiera, quasi in contemplazione. Poggiò un dito esile su un tasto bianco. Il materiale liscio e freddo, quella sensazione così familiare, tutto gli scaturiva emozioni che credeva sepolte dentro di sé. Socchiuse gli occhi.

Cosa posso suonare? Schubert? Chopin? Haydn?  Beethoven?
 
Si maledisse per aver buttato tutti gli spartiti, adesso che ci pensava sarebbe stato più utile bruciare direttamente il piano. Almeno si sarebbe risparmiato quest’imbarazzo, adesso. Si ricordava almeno un centinaio di brani… ma non perfettamente, rischiava di fermarsi a metà esecuzione. Giocò nervosamente con il lucky item che teneva in tasca.

Non riusciva a concentrarsi e la cosa che gli rendeva più difficile farlo, era la costante sensazione che gli occhi carichi di aspettativa del ragazzo al suo fianco lo stessero osservando. Sentiva il suo respiro, il suo profumo che gli faceva lievemente girare la testa.

Non voleva deluderlo. Era una sfida con sé stesso.



 
 
Silenzio. 

Un suono dolce, lieve.

Poi altri, una cascata, mille sassolini rumorosi, caddero e volteggiarono nell’aria.

Le sue mani, sul piano, scorrevano velocemente cercando di rincorrere le note di uno spartito immaginario.



 
Cos’era? Mozart? Aveva una conoscenza limitata di quel tipo di musica ma, era certo: non esisteva nulla di simile. Takao ascoltava, rapito, senza capire.

Guardò il suo profilo.
Schiena dritta, palpebre calate, labbra socchiuse… sembrava in trance, chiuso in un mondo tutto suo. Dov’era questo posto? E, quello, era il sempre il suo Shin-chan? Non avrebbe saputo dirlo.
 
Prima che se ne potesse rendere conto il suo cuore aveva iniziato a battere allo stesso ritmo della melodia prima dolce, poi cupa, poi rabbiosa. Con lei cambiavano le emozioni che provava. Aveva sempre avuto, la musica, questo potere? Forse era lui il problema, forse non lo aveva mai percepito.

Le mani non ricevevano più sangue e, piano, si sentiva trascinare in quel luogo sconosciuto dove l'altro si era rinchiuso.
Vedeva prati, colline, città lontane. Un altro pianeta, un universo parallelo… la sua essenza. Lui era ovunque.
 



Shintarō sentì una porta aprirsi dentro di sé. Era rimasta chiusa per troppo tempo.

 Takao. 

Lo vide modellarsi davanti ai propri occhi, le note si plasmavano sul suo corpo e, tra quelle colline lontane, scorgeva il suo viso, le sue labbra… 

Qualcosa di caldo lo bruciò da dentro, si annidò nel suo petto. Qualcosa di nuovo, ma che sempre aveva fatto parte di lui. Anche Kazunari lo percepì.

Un istante. Un attimo.

Il silenzio inghiottì nuovamente tutto.


 
Lentamente, aprirono gli occhi.

 








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ANGOLO DI ATHENAE:
 
Salve a tutti, mi presento: sono Athenae e questa è la mia prima FF in questo fandom. Amo alla follia la Midotaka e adoro il mondo di KnB. Tanto per iniziare, sono pienamente cosciente del fatto che sia un bell'azzardo cominciare a scrivere in un fandom con una storia a più capitoli ma è stato più forte di me: era troppo tempo che desideravo mettere nero su bianco quest'idea malata che mi era balenata in testa, un po' di tempo fa. Innanzitutto devo dire che, l'ispirazione mi è venuta ascoltando "The one that got away" di Katy Perry (che, infatti dà il titolo alla FF), ma ciò non significa assolutamente che seguirò il testo della canzone. Insomma, è stata solo un catalizzatore per creare il filone iniziale. Essendo nuova qui la mia più grande paura è di uscire fuori dal IC dei vari personaggi, spero di averlo rispettato. Per quanto riguarda questo capitolo, vi spiego fin da subito come ma l'ho denominato "Capitolo": perchè è una "porta" aperta sul passato e, ogni volta che farò una cosa del genere... ad avvertirvi ci sarà il corsivo che, per quanto riguarda la narrazione userò solo a questo scopo (mentre negli altri casi lo utilizzerò per il flusso di pensieri dei vari personaggi). Quindi, in sostanza, questo capitolo è relativo ad un avvenimento particolare che influenzerà, poi, i protagonisti. Perciò mi era sembrato importante utilizzarlo come "premessa". Ci sarà, poi, un vero e proprio prologo e, finalmente (alleluja) si inizierà con i vari capitoli. Non vi posso anticipare molto ma, come avrete ben capito dall'introduzione alla storia, i fatti si svolgeranno 10 anni dopo l'ultimo anno di liceo perciò non sarà raro trovare flashback esplicativi (o interi capitoli come in questo caso) nel corso della narrazione. Riaprendo una breve parentesi tecnica su questo Chapt. 0 ... verso la fine ho utilizzato una scrittura in grassetto per differenziare le varie parti del testo (se questo cambio di scritture vi crea problemi vi prego di dirvelo <.< ho davvero paura di fare dei disastri quando scrivo! 
Spero che vi siate goduti la lettura e prego Dio di non aver fatto i miei soliti pastrocchi T^T ! 


Vi volevo avvisare che il prossimo capitolo sarà pubblicato per il 15 gennaio (perdonatemi se vi faccio aspettare tanto ma ho problemi con lo studio e, conoscendomi, riuscirò ad aggiornare la storia solo in un arco di giorni più ampio del normale.. GOMEN T^T!!)

Grazie perla vostra attenzioe, scusate se parlo troppo <.< spero di non avervi annoiati,
Athenae

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Capitolo 2
*** Prologo ***


Prologo.
 
 
 
 
<< Arrivederci, dottor Midorima. >>
 
La voce di Tsubaki, la sua segretaria, trillò allegramente dall'altra parte del bancone della reception. Shintarō si tolse velocemente il camice bianco e lo ripose ordinatamente sull'appendiabiti, per poi infilare quel lungo cappotto di lana nera che la mattina, durante la stagione più fredda, "salutava per lui". Erano le 20.00 precise di un giorno come tanti di un Novembre asciutto.
Tsubaki era abituata a osservare quotidianamente quei piccoli gesti che il suo giovane capo ripeteva con regolarità quasi maniacale. Era facile prevedere ogni sua razione, ormai lei era entrata perfettamente in quel ritmo che scandiva la vita del dottore.

Sapeva che, nell'arco di qualche secondo, si sarebbe girato verso di lei squadrandola con i suoi occhi verdi da dietro le lenti degli occhiali per poi rivolgerle un saluto di cortesia, né troppo affettuoso né troppo formale, prima di sparire con la ventiquattr'ore di pelle nera  sottomano, lasciando dietro di sé solo la scia della sua colonia dalle tonalità agrumate.
 
Sono pur sempre tre anni che lavoriamo insieme, mi stupirei se facesse il contrario.
 
Pensò continuando a osservare le spalle larghe e forti di lui. Il cappotto gli cadeva a perfezione addosso, sembrava un figurino.


****
 
Nei suoi cinquanta anni di vita Aoi -quello era il suo nome -, non aveva mai incontrato un ragazzo tanto geniale e singolare quanto Midorima Shintarō.
Laureato all'Università di Tōkyō in Medicina con il massimo dei voti, una specializzazione in Cardiochirurgia e un dottorato di ricerca: Midorima, a soli ventisette anni, era il più giovane e bravo cardiochirurgo sulla piazza. Un vero portento.
 Si diceva che, prima di intraprendere la carriera medica, egli fosse anche una promessa del basket... nonchè un probabile candidato come membro della Nazionale giapponese.
Tutto questo faceva parte del passato, quando Shintarō ancora frequentava le scuole Superiori.
Tsubaki non sapeva cosa lo avesse spinto a cambiare idea e abbandonare lo sport, sinceramente non si era mai posta il problema: la sua bravura era molto più utile negli ambulatori degli ospedali che in un campo da basket. Quelle mani grandi e quelle dita affusolate, curate e sempre fasciate (eccezione fatta per la mano destra, anche questa un'abitudine ereditata da quando giocava) avevano salvato centinaia di vite umane, cosa che sarebbe risultata fisicamente impossibile tirando una palla dentro un canestro.
 
La prima volta che lo aveva visto non era riuscita a capacitarsi di come quell'uomo alto, dal fisico atletico e dall'espressione fin troppo seria, sarebbe potuto diventare effettivamente il suo novo capo. Certo, non aveva mandato il proprio curriculum senza essersi prima informata su chi fosse il suo datore di lavoro ma, andiamo! Aveva la metà dei suoi anni e già possedeva un posto fisso come primario in uno dei più importanti ospedali della città, senza parlare poi del fatto che stava per aprire uno studio privato! Aveva dell'incredibile ... col tempo si abituò a questa idea. Midorima era in tutto e per tutto professionale, preparato e amava il suo lavoro, Aoi iniziò a rispettarlo profondamente nonostante alcuni inconvenienti iniziali. Infatti, il modo di comportarsi del suo nuovo capo spesso poteva risultare scortese o irritante: non era molto socievole ed era difficile rivolgergli la parola. Non che lui si preoccupasse tanto di questo, anzi! Andando avanti nel tempo, scoprì anche i lati positivi e le tenere stranezze che rendevano quell'uomo ligio al lavoro e al dovere, riservato, silenzioso e freddo... un po' più umano.
Parlando di stranezze, ad esempio, la sua ossessione per gli oroscopi non passò inosservata agli occhi attenti della signora Tsubaki. Shintarō vi credeva ciecamente e ogni giorno lo si vedeva comparire nello studio con sottobraccio enormi pupazzi variopinti oppure "oggetti fortunati" di ogni genere, alcuni anche abbastanza singolari. Inoltre, quando doveva operare, li portava in sala operatoria; avevano tentato più volte di dissuaderlo dal farlo ma, nonostante tenesse particolarmente al rispetto delle regole, quella era l'unica che infrangeva: senza il suo oggetto fortunato del giorno non poteva operare, era stato chiaro.
 
Ultimamente il dottore aveva iniziato a portarle (nei giorni in cui il suo segno zodiacale prometteva pessima fortuna) un lucky item. Questo slancio di affetto da parte sua veniva accolto da Aoi con un sorriso dolce, ripensando a quando ancora era troppo scioccata da quel modo particolare di porsi per cogliere la comicità che vi era in questi gesti. Non a forza ogni cosa della vita deve essere ragionevole, chi era lei per giudicare?
 
L'ufficio di Shintarō aveva un piccolo angolo pieno zeppo di questi cimeli, disposti uno accanto all'altro su più ripiani: i più ingombranti sopra e i meno sotto.
Quando lei gli aveva chiesto come mai non ne buttasse mai via e perché non li tenesse a casa, lui le aveva risposto :
 
<< A casa non ho più posto e poi, Tsubaki-san, non mi sembrerebbe affatto giusto gettare via delle cose che mi hanno protetto... Sarebbe come insultare un amico che ti ha appena aiutato, nanodayo.  >>
 
Il ragionamento non faceva una piega e lei era stata costretta a tacere, notando ancora una volta quanto fosse buffo il suo modo di parlare. Anche questo glielo si poteva perdonare, era un così bel ragazzo anche se avrebbe dovuto sorridere di più, per i suoi gusti.
 
Con lui si riusciva a lavorare, richiedeva solo un po' di pazienza in più del normale e molta volontà. Vederlo ogni giorno pronto a visitare, operare, ricevere senza tregua motivava lei e i suoi assistenti a dare del proprio meglio: tutto questo faceva di Shintarō un ottimo capo.

 
****
 
Così erano passati tre anni di duro lavoro.
 
Le sue previsioni si avverarono.
Lui si girò, la ringraziò con lo sguardo per quel saluto sempre allegro, si sistemò meglio gli occhiali sul naso e sussurrò piano:
 
<< Arrivederci, Tsubaki-san, a lunedì. >>
 
Poi sparì con la valigetta piena di documenti, chiudendo la porta dietro di sé.
Il suo profumo rincorse le narici di Aoi, solleticandole appena.
Non poté non trattenere un sorriso di soddisfazione. Le rughe attorno alla bocca si marcarono, il tempo non era stato clemente.
 
Aveva indovinato, come sempre.
 
<< A lunedì. >>
Rispose nonostante non la potesse più sentire.
 
Tsubaki si alzò dalla sedia girevole.
Era quasi sempre l'ultima ad uscire dallo studio. Passò in rassegna le stanze, spense apparecchiature e luci, indossò il proprio pellicciotto sintetico e chiuse la porta a due mandate per poi dirigersi tranquillamente verso il quartiere popolare dove aveva un appartamento.
Aveva ancora quel sorriso ilare sulle labbra, causato dal dottore, capo e collega che ormai era diventato come un figlio per lei.  












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ANGOLO DI ATHENAE:

Rieccoci col nostro nuovo appuntamento. Perdonatemi se ho pubblicato in ritardo e per la brevità di questo scritto ma, sopratutto, grazie del vostro supporto che mi spinge ad andare avanti. Il "numero 0" di questa storia sembra essere piaciuto e tutto ciò mi rende particolarmente felice, spero che vada altrettanto bene con questo "Prologo" che ci porta subito nel presente, dal quale si svilupperà poi la storia. Dico e ripeto che questo capitolo serve solo come orientamento (ed è abbastanza noioso, a mio parere) per introdurvi in quella che è la realtà di Midorima, rivisitata dal punto di vista di una persona che, a mio avviso, non avrà un ruolo preminente nel resto degli eventi. Quanto lavoro che ancora c'è da fare .... mi chiedo perchè io ami così tanto mettermi nei guai da sola.... bha, ad ogni modo spero che la lettura vi sia piaciuta e prego che questo capitolo non vi abbia scoraggiati nel continuare a seguire questo lampo di pazzia che io oso chiamare fanfiction X'D (che ansia, sono terrorizzata... ho paura di scrivere cavolate una dietro l'altra: salvatemi !!)

detto questo, vi do appuntamento per il 26 di questo mese.... 

Bacioni,

Athenae.

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Capitolo 3
*** Perfection, so imperfect. ***


Capitolo I

- Perfection, so imperfect. -

 
Inspirò.
L’aria novembrina gli schiaffeggiò il viso.
Espirò.
Il suo respiro caldo, a contatto con l’aria fredda, creava delle nuvolette di vapore acqueo che rapidamente si dissolvevano.

Finalmente aveva terminato quella lunga giornata di fatiche. Sentiva tutta la stanchezza accumularsi nelle spalle. Ne massaggiò una con la mano libera, osservando la strada trafficata ed illuminata dalla luce giallognola dei la lampioni.
Non vedeva le stelle che avrebbero dovuto brillare nel cielo notturno di Tokyo: raramente riusciva a scorgerne una sola. Solo un blu denso, macchiato del grigio dello smog, si estendeva sopra la sua testa. Ciò nonostante, come alcuni credono in un Dio o in delle divinità invisibili, lui era convinto che quelle luci solitarie governassero il suo destino e quello altrui.

La mano si spostò dalla spalla alla tasca del cappotto scuro.
Bene.

L’orsetto di pezza viola – il lucky item del giorno – era al suo posto. Poteva stare tranquillo. Rimase, poi, qualche istante in quella posizione. Lo sguardo vagò in direzione dell’orologio digitale che si trovava sull’edificio di fronte allo studio medico.

20.05: devo andare o farò tardi.

Pensò, stringendo la presa sulla valigetta di pelle per poi buttarsi nella folla che percorreva caoticamente il marciapiede. Due flussi. Chi andava e chi tornava, e poi gente che urlava, bambini che piangevano, risate di donne: l’ora di punta.
Neanche osservava le facce, tante, che gli andavano incontro. Aveva ben in mente qual era la sua priorità: raggiungere la macchina che aveva parcheggiato poco lontano. Di certo osservare visi di sconosciuti non lo avrebbe aiutato nel suo intento.

Ogni giorno si faceva trascinare in quel via vai incessante, era un avvenimento necessario e quotidiano ma ne avrebbe fatto volentieri a meno.

Si rendeva conto che, ormai, la sua vita si stava riducendo a nient’altro che un ripetersi di eventi perfettamente identici; la si poteva riassumere in un percorso circolare che iniziava la mattina alle 8 e finiva dodici ore dopo: casa – macchina – ospedale – macchina – folla – studio – folla – macchina – casa. Il suo “programma di vita” non cambiava quasi mai se non in casi particolari, eppure questo non lo turbava affatto. Aveva scelto lui stesso di vivere ordinatamente, in modo pulito e organizzato. Questo equilibrio perfetto che si era venuto a creare era una sorta d’incantesimo, una protezione contro le brutte sorprese che il fato gli poteva riservare.

Era talmente immerso nei suoi pensieri, anche questi principalmente rivolti verso il lavoro oppure verso quello schema fisso della sua giornata, che andò a sbattere contro qualcosa…no… qualcuno. Abbassò lo sguardo dal proprio metro e novantacinque (forse di più, l’ultima volta che aveva controllato risaliva a qualche anno prima) e incontrò quello impertinente di un’adolescente nel pieno della pubertà.

La squadrò. Bassa, grassottella, viso appesantito dal trucco e poco invitante, seni tondi e malcelati da un top troppo stretto, fianchi larghi, una gonna che si riduceva a un pezzo di stoffa che riusciva a malapena a contenere le sue forme abbondanti. Non aveva, poi, un’espressione amichevole e la botta ricevuta le aveva scompigliato i capelli color fucsia fosforescente, facendola assomigliare ad un buffo personaggio di qualche anime o manga da quattro soldi.

Gli lanciò un paio di insulti che lo riportarono alla realtà e che si sentì costretto ad ignorare, ricambiando lo sguardo bellicoso della ragazzina con uno gelido, prima di proseguire.

Se anche lei diventasse così, non le permetterei di uscire fuori di casa.

Rifletté, stizzito, mentre si avvicinava a una BMW argentata: un piccolo lusso a quattro ruote motrici che si era concesso. Aveva fretta di riconnettersi con l’anello mancante della sua giornata, quello che poteva renderla completa: tornare a casa.
 
Si sentì rassicurato dall’odore familiare della pelle degli interni dell’auto, allacciò la cintura di sicurezza e ripescò dalla tasca le chiavi mettendo in moto. Il display sul cruscotto s’illuminò di un bell’arancione acceso.

20.15: sarò a casa per le 20.30. Cenerò per le 20.45 e, poi, avrò un po’ di tempo per finire quelle maledette pratiche…

Fece marcia indietro e si mise in carreggiata. Inchiodò lo sguardo sulla strada.


 
Quello era uno dei pochi momenti in cui sentiva di essere veramente solo. 
Lui e se stesso, nessun altro. 
Forse era il momento della giornata che odiava di più. Perché pensava.
Ricordava.
Più lo faceva e più si sentiva soggiogato da un immenso senso d’angoscia, il petto gli si faceva pesante e la bocca dello stomaco si chiudeva. Non riusciva a capire quale fosse la causa di tutto questo.


 
Strinse il manubrio con forza.
 


La sua vita era perfetta. 


Non c’è nulla che non vada. Nulla.

Non osava ritenersi insoddisfatto. Come avrebbe potuto? Aveva raggiunto tutti gli obiettivi che si era prefissato e il suo tenore di vita era invidiabile. Si era dedicato anima e corpo per trovare la propria strada, il proprio posto nel mondo, e ci era riuscito. Ne era convinto.

Ma anche quel giorno, come sempre, venne sopraffatto da quelle tristi sensazioni già citate. Con maggiore intensità di prima.


Forse perché si avvicinava il “suo” compleanno. 
Il compleanno di “quella persona” che occupava, come un fantasma, i suoi ricordi.


 
Aprì lo stereo al massimo volume.

Le note penetranti della Sonata in Re maggiore di Schubert riempirono l’abitacolo della BMW e la sua mente affollata da pensieri troppo ingombranti.
Era strano per uno come lui amare un brano imperfetto come quello. Non esisteva la perfezione in questa sonata che, a detta di molti, era notevolmente noiosa. Perché? Per il semplice fatto che il componimento in sé è impreciso. Una scelta voluta. Perciò ognuno ne dava una propria interpretazione e, chi riusciva a non scivolare nella tecnica, ne dava una chiave di lettura che riusciva a valorizzare il brano e lo rendeva accattivante. Era una sfida per ogni pianista, uno stimolo.

Questo era l’unico componimento che riusciva a spazzare via le sue preoccupazioni. Quella macchia nell’opera lo affascinava e catturava profondamente.
Solo alla fine dell’esecuzione le note calanti lo riportavano al mondo reale e a tutto il resto.

****

Intanto il paesaggio era cambiato velocemente. I grattacieli erano diventati case popolari per poi lasciare spazio a villette circondate dal verde.
Spense il motore. Sfilò le chiavi, slacciò la cintura, afferrò il mazzetto di quelle di casa e scese chiudendosi lo sportello dietro.

Un altro schiaffo da parte dell’aria gelida e inclemente.

La villetta bianca, la sua ultima meta, si stagliava in mezzo al piccolo giardino recintato.

Shintarō si avviò verso la porta, iniziava a sentirsi tranquillo. L’anello che chiudeva il cerchio era a uno sguardo di distanza.

Fece per armeggiare con il chiavistello ma riuscì a spalancare la porta in tempo che si sentirono dei passi dall’altra parte, leggeri e delicati.
Si lasciò scappare un lieve sorriso quando, finalmente, il legno scomparve dal suo sguardo.

Un sorriso candido e due occhi verdi come i suoi lo salutarono dal basso.

<< Papà! Sei tornato! >>










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ANGOLO DI ATHENAE: 

Salve a tutti! Finalmente sono in tempo con la consegna! *sprizza gioia da tutti i pori*! Grazie per aver letto la storia fin qui! Siamo finalmente arrivati al vero inizio degli eventi, non vedevo l'ora! Spero di non aver pasticciato con Adult!Midorima... sarebbe un bel guaio. Ad ogni modo volevo iniziare col dirvi che sì, faccio apposta a sospendere il capitolo in questo modo ma non vi aspettate che il prossimo rinizi da questa scena... avrete tutti i chiarimenti a tempo debito. all'inizio partiamo da una semplice fine-giornata del nostro dottore e, come avrete visto, poi la scena si sviluppa durante il viaggio di ritorno. Per chi vuole saperlo non mi sono affatto invenata il riferimento alla Sonata in Re Maggiore di Schubert, esiste veramente ed è realmente un componimento imperfetto... una delle due sonate composte dal maestro quando era ancora in vita, se non erro. L'idea di utilizzarlo come contrapposizione a quella che è la vita "perfetta" di Midorima mi è nata sopratutto per sottolineare quanto sia in realta instabile il suo stato d'animo (spero di esserci riuscita). Nel prossimo capitolo... nuove sorprese <3 spero che vi sia piaciuto quello che avete letto fino ad adess. Purtroppo continuo ad avere impegni e problemi con internet per cui, purtroppo, dovrò aumentare il periodo di produzione dei capitoli. GOMEN!

Questa volta appuntamento per il 12 febbraio! Perdonatemi davvero T^T !

baci e grazie mille per il supporto che mi avete dato in questi giorni,

Athenae.

 

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Capitolo 4
*** Protection ***



 Capitolo II
 
- Protection –
 
 
<< Sono tornato! >>
 
La sua voce colma di fatica fu come un sussurro che riverberò nell’entrata.
 
Si guardò attorno cercando la sua presenza, aspettandosi chissà quanti minuti di ramanzina sul proprio ritardo. Non che la cosa lo preoccupasse più di tanto, ormai c’era abituato: quella lunga convivenza lo aveva reso avvezzo alla spocchiosa rigidità dell’altro, non si sarebbe stupito di trovarlo ancora in piedi ad aspettarlo.
 
Si tolse le scarpe calciandole via con due colpi secchi, queste andarono a finire disordinatamente su quelle già sparse lì attorno. L’ordine? Non sapeva neanche cosa fosse, perché sprecare tempo per trovare un posto a qualcosa che prima o poi verrà usata e spostata da un'altra parte? Davvero non riusciva a capire quale fosse il senso logico di questo ragionamento, dunque si limitava a ignorare le regole della pulizia casalinga, lasciando che fosse l’altro a rimediare ai suoi danni (con tanto di paternali annesse).
 
Si guardò attorno con un sorrisetto soddisfatto. Il tavolino a sinistra, l’attaccapanni a destra e, davanti a sé, il salone con l’enorme finestra attraverso la quale filtrava la luce della luna: era a casa.
 
Diede un’altra occhiata circospetta attorno a sé.
 
Nulla.
 
Sogghignò: forse si era addormentato, per una volta. Il pensiero di essere sfuggito all’ennesimo rimprovero non gli dispiaceva affatto.
 
Magari riesco anche a fumarmi una sigaretta senza che quel seccatore me la levi di bocca e butti tutto il pacchetto, che goduria!
 
Pensò speranzoso, sgattaiolando silenziosamente verso la propria camera. Già sentiva il profumo del tabacco nelle narici e il letto morbido sotto la propria schiena…
 
 
<< KAZUNARI TAKAO! DOVE ACCIDENTI PENSI DI ANDARE? >>
 
Un ringhio. Quella voce roca e fin troppo familiare, increspata dalla rabbia, gli fece venire la pelle d’oca. Saltò sul posto come un gatto al quale era appena stata pestata la coda.
 
Merda. Lo aveva beccato.
 
Provò a muovere un altro passo, cercando di far finta che quel richiamo all’ordine non gli fosse arrivato all’orecchio. Si mosse con disinvoltura quasi credibile.
 
Male, molto male. Pessima idea.
 
Un braccio forte e muscoloso lo afferrò per la vita costringendolo a voltarsi, aveva la tipica espressione di chi sa di essere stato colto in flagrante e cerca di trovare la via di fuga più facile.
 
Sorrise nervosamente e poggiò le mani sul petto ampio del ragazzo, cercando di non incrociare lo sguardo accusatorio che sicuramente gli stava rivolgendo.
 
<< Ehm, Kiyoshi… posso spiegare… >>
 
Esordì, accarezzandogli i pettorali, indugiando con lo sguardo su di essi per poi disegnarvi ampi cerchi con la punta dell’indice. Sentiva la sua presa sempre più stretta, era davvero furioso. Sospirò.
 
<< Dopo lo spettacolo, i proprietari del locale ci hanno offerto da bere e mi sono trattenuto troppo. Quando sono arrivato alla stazione, l’ultimo treno era già partito e… e…. quindi non sono riuscito a tornare in tempo. >>
 
Concluse, cercando di risultare quanto più convincente possibile. Insomma, alla fine stava raccontando la verità.
Ok, aveva omesso la rissa al locale e qualche altro piccolo dettaglio, ma era per il bene di entrambi.
 
Sorrise come per dare maggiore conferma a quanto detto prima e azzardò a sollevare lo sguardo.
 
Kiyoshi era molto, molto irritato. Aveva le narici dilatate, le labbra serrate tanto da venarsi di bianco, le sopracciglia curvavano minacciosamente e gli occhi nocciola erano divorati dal nero della pupilla per l’evidente agitazione.
 
Si sentiva tremendamente nei guai, deglutì giochicchiando con una ciocca dei suoi capelli biondi che, adesso, gli sfioravano quasi le spalle.
 
Non era assolutamente la prima volta che Takao combinava casini in giro o che lo faceva alterare, ma quella sera il senpai era stato chiaro: sarebbe dovuto  tornare a mezzanotte.
Erano le tre.
 
<< Lo so. Puzzi di alcool. >> Sibilò, la voce scossa nel tentativo di contenersi.
 << Ti avevo detto di tornare subito! Non ti ricordi cosa è successo la scorsa volta in quel posto?! E tu, cosa fai?! Te ne sbatti altamente e rimani anche a farti una bevuta? >>
 
Gli urlò addosso, senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi, in cui leggeva una leggerezza che non riusciva a tollerare.
 
Quanto poteva essere incosciente? Quanto ancora l’avrebbe dovuto esasperare?
 
 
Kazunari riusciva a sentire il battito accelerato dell’altro senza neanche sforzarsi e aveva incassato la sfuriata rimanendo immobile tra le sue braccia.
Quando finì di sfogarsi si morse le labbra con forza, sembrava una cosa lunga e lui era troppo stanco … mentre Miyaji aveva l’aria di essere intenzionato a tirare quel discorso per le lunghe.
 
Farsi tutto il percorso a piedi non era stata una buona idea, doveva ammetterlo, ma che altro avrebbe dovuto fare? E perché, poi, lui se la prendeva tanto per una cosa accaduta così indietro nel tempo?
 
<< L’altra volta è stato un puro caso, non ho più 16 anni. >> Rispose, chiudendo le mani a pugno.
Voleva sbrigare questa faccenda quanto prima possibile, moriva di sonno.
 
<< So badare a me stesso. >> Aggiunse, ingaggiando una lotta tra i loro sguardi.
 
 
Kiyoshi esagerava come sempre, non era poi avvenuto nulla di grave e gli dava troppa importanza.
 
Solo perché l’anno precedente, dopo essersi esibito nel gay bar dov’era stato ingaggiato anche quella sera, un cliente gli si era avvicinato nei bagni e aveva tentato di prenderlo con la forza … non significava che quella situazione si dovesse ripetere all’infinito!
In quell’ occasione era stato fortunato e grazie ad un calcio che aveva sferrato nello stomaco del pervertito se l’era cavata egregiamente: solo con un occhio nero.
 
 
Ma al più grande non sembrava piacere per niente quella risposta, si corrucciò ancora di più.
 
<< UN CASO? E se fosse successo di peggio? >> Ringhiò.
 
Ecco, lo aveva soltanto fatto arrabbiare di più. Che poteva fare adesso? Non aveva nessuna voglia di litigare.
 
<< I-Io… non ci ho pensato… era birra gratis… >> mormorò, cercando di ignorare la presa di Kiyoshi che iniziava a fargli male.
<< Basta, sono stanco. Parliamone domani, se proprio dobbiamo. Ti ricordo che questa è la mia vita, non puoi starmi sempre con il fiato sul collo! Rispetta i miei spazi. >>
 
Si sciolse dalle sue braccia, massaggiandosi il fianco dove c’era uno dei tanti lividi di quella sera. Non gli bastava che fosse tornato a casa? Non ne poteva più di cercare ogni modo possibile per assecondarlo e la stanchezza gli aveva fatto uscire dalle labbra quelle parole, forse inopportune.
 
Ci fu un attimo di silenzio.
 
Era palese quanto il ragazzo lo avesse ferito e in quel momento si pentì amaramente di aver sparato quelle cattiverie.
 
<< Rispetterò i tuoi spazi quando tu rispetterai me. >>  esordì con amarezza. << Sono più grande, questa è casa mia e noi abbiamo un accordo! Ti sei impegnato a rispettarlo. Perciò se ti chiedo di tornare in orario, per un motivo più che lecito, tu devi farlo e basta! >>  quasi sbraitò.
 
 
Takao sospirò, abbassando gli occhi.
 
 
 
 
 
Erano passati tre anni da quando aveva rincontrato il senpai.
A quei tempi se la passava davvero male: non aveva neanche un tetto sulla testa e di che mangiare; per un caso fortuito si erano incrociati, avevano parlato di tutto quello che era accaduto dopo il liceo e Kiyoshi, vedendolo in quelle condizioni pietose, gli aveva offerto un letto per la notte in nome della loro vecchia amicizia.
Prima che se ne potessero rendere conto era iniziata la loro coabitazione e, alcune volte, capitava che facessero sesso. Non che si amassero, anzi, a dirla tutta Kazunari aveva capito da tempo che il coinvolgimento di  Miyaji era andato ben oltre di quello permesso in una relazione tra “scopamici”, ma tutto questo non gli faceva alcun effetto.
 
 
 
 
Non avrebbe potuto.
 
Il ragazzo dai capelli corvini si rabbuiò, quando la sua mente sorpassò la linea tra i ricordi accettabili e quelli proibiti.
 
Nessuno avrebbe potuto. Nessuno.
 
 
 
 
Scosse il capo leggermente. Sì, era vero, aveva promesso di rispettare il loro accordo:  obbedire agli ordini del senpai ed aiutare in casa quando poteva. Quella vita era una pacchia, alla fine non gli aveva mai chiesto di fare sforzi sovraumani, ma i veri problemi erano la negligenza di Takao e la gelosia dell’altro.
 
 
<< Non sono una tua proprietà. >> rispose, stranamente serio. << Il nostro patto non include che io lo sia >> concluse, mormorando.
 
 
Gli facevano male la testa, il corpo e il petto per tutti quei pensieri. Lo guardò come a supplicarlo di chiudere il discorso.
 
 Quello era uno di quei momenti in cui il ragazzo allegro lasciava spazio ad un lato ombroso della sua psiche, qualcosa che stava cercando di combattere col tempo.
 
Kiyoshi, per quanto furioso, si rese conto del cambiamento che le sue parole avevano portato in Takao.
 
Forse non era il caso di continuare su quella linea, non quella sera.
 
Insomma, non gliel’avrebbe fatta passare liscia, ma era seriamente preoccupato: voleva evitareche precipitasse nuovamente in quel loop, erano tre anni che cercava di fargli dimenticare tutto.
 
 
 
Gli sollevò il viso, stavolta con meno forza di prima. I capelli biondi e lunghi accarezzavano le guance di Takao e gli occhi severi ma buoni del ragazzo lo stavano tranquillizzando.
 
<< La prossima volta ascoltami, ne riparleremo domani e non pensare che sia finita qui. >> disse, minaccioso, per poi lasciarsi scappare un sospiro.
 
Kazunari gli si strinse al petto. Ogni volta andava a finire così: prima litigavano per colpa sua e dopo era lui stesso a cercare conforto da parte dell’altro.
 
Era solo un cucciolo randagio che Miyaji aveva raccolto quando nessuno lo voleva: spaurito, ferito.
 
Ormai rimaneva esclusivamente l’ombra del palymaker dello Shutoku di dieci anni prima.
 
 
 
 Un’ombra che si era alimentata della luce di un uomo che non era il senpai: l’uomo che Kiyoshi non voleva e non riusciva a perdonare, l’uomo del quale non avrebbe mai occupato il posto.
 
 
 
Il moro lo guardò di sottecchi, circondandogli il collo con le braccia senza dire nulla mentre lo guardava con tristezza.
 
<< … Dormire … >> esortò mugugnando e socchiudendo gli occhi, lasciando che la testa ciondolasse sulla spalla del biondo che, rassegnato, lo prese in braccio.
 
 
 
 
***
 
<<  … Scusa… >>  mormorò quando sentì finalmente il materasso sotto la schiena, gli dispiaceva molto litigare ma, a quanto pare, sembravano non poterne fare a meno.
Le mani del compagno avevano già iniziato a spogliarlo dei vestiti, e fu soltanto grazie all’ombra della notte che riuscì a non notare i lividi della scazzottata, poi gli rimboccò il piumino e le coperte.
 
<< Sei la mia piaga >> sussurrò al suo orecchio, stizzito, mentre gli scostava un ciuffo ribelle dalla fronte ampia e liscia. Takao sorrise divertito a quel commento, prima di scivolare tra le braccia di Morfeo.
 
 
****
 
 
 
Dormiva profondamente.
 
Forse avrebbe dovuto farlo anche lui, erano pur sempre le 4.00 del mattino, ma
non riusciva a darsi pace: quanto ancora poteva fare male il passato?
 
Kazunari ne era perseguitato, bastava una parola per mandarlo in crisi.
Lui che era sempre fonte di sorrisi, diventava malinconico e taciturno: solo Kiyoshi gli era accanto.
 
Oh, ma conosceva la causa di tutto questo.
Tutti, alle superiori, erano concentrati su quel miracolo vivente.
 
 Nessuno riusciva a capire che un essere come quello prende tanto quanto dà: troppo.
 
Si sedette sul letto e gli accarezzò il viso, ormai quella luce non lo avrebbe illuminato mai più: lui era suo. Non lo avrebbe permesso, preferiva farlo soffrire un po’ piuttosto che vederlo cadere a pezzi come tre anni prima, come dieci anni prima.
 
Avrebbe continuato a prendersi cura di lui come aveva fatto fino ad adesso e un giorno, chissà, sarebbe riuscito a strapparlo dai ricordi.
 
 
 
Lo accarezzò ancora, Takao si girò verso il guardiano del suo sonno, sorridendo appena per poi corrucciarsi mentre una lacrima solitaria gli bagnava la guancia esposta.
 
Bisbigliò con voce sofferente qualcosa.
 
Due sillabe.
 
<< Shin-chan … >>
 
Il suo cuore perse un battito.















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ANGOLO DI ATHENAE:

Salve a tutti!

innanzitutto grazie veramente per aver letto fino a qui, con grande piacere ho scoperto che alcuni di voi seguono la storia *commossa* e altri addirittura l'hanno messa tra le preferite!  Non riesco ancora crederci! Perdonatemi sempre se ho questi periodi di stallo un po' lunghetti e mi dispiace davvero tanto rispondere con tanto ritardo alle vostre recensioni che, per me, sono una fonte di gioia illimitate *^*! Bene, adesso che ho sfogato il mio "complesso di Sakurai" finalmente potrò spendere qualche parolina su questo chapter chd, a dire il vero , è quello che mi piace di meno fino ad adesso (non so a voi) ma, la cosa positiva, è che finalmente abbiamo il nostro Takao-chan! Sicuramente avrò sbagliato qualcosa per questo "Takao del futuro" che sembra quasi bipolare... insomma, a mio parere molto distante dal Kazunari che conosciamo ... prego Dio di essere rimasta nel limite dell'IC ... MA, quello che mi preoccupa di più e Miyaji. Innanzitutto sono sconvolta dal fatto che praticamente nessuno, almeno su EFP, abbia mai pensato alla possibilità dell'esistenza di questa pairing! Insomma, sarò strana io, ma Miyaji l'ho sempre visto come quello che ha una cotta segreta per Kazunari oppure come il perenne fidanzato di Kimura o.o. Va be', a parte i miei fangirleggiamenti, quello che realmente mi preme per quanto riguarda Kiyoshi è questo stramaleddettissimo IC, premettiamo che nel manga e nell'anime non si evince molto di questo pg ho dovuto lavorare abbastanza di fantasia e temo di aver sbagliato completamente *incrocia le dita*. Spero almeno che leggere questo capitolo non vi abbia annoiati, ho scritto decisamente di più rispetto ai precedenti e forse avrei dovuto tagliare alcune parti superflue :-/ . Bha, lascio giudicare a voi. Nell'insieme generale ormai avrete capito che amo torturare questi poveri piccoli ragazzi e, quindi, l'infelicità regna sovrana. L'idea di Miyaji che salva Takao mi era piaciuta fin dall'inizio, penso che Kiyoshi darebbe la vita per i suoi compagni e figuriamoci per il ragazzo di cui è innamorato da 10 anni!

Ad ogni modo, forse è meglio che smetta di scrivere ahah XD sto sclerando troppo e rischierei di farvi dei mega spoiler!

Purtroppo tra una settimana partirò per un viaggio all'estero, quindi devo post-posticipare il solito capitolo (GOMEEEN) ... che andrà a cadere per il 12 del mese prossimo. Lo so che mi odiate già tanto per i miei tempi infiniti... un mese di stop è anche troppo ma, vi prometto, che se riuscirò a liberarmi da impegni vari pubblicgerò anche prima.

Un grazie particolare a :

Elsa Maria (come fai a sopportarmi?? E poi, alla fine, possiamo dire che questa ff è tutta dedicata a te ... e grazie per avremi fatto da beta anche all'una di notte!!),
Orfeo_kun,
Sayacchan,
Nisekoi17,
Lilith Valentine Schiffer (anche per l'aiuto che mi hai dato quando avevo perso ogni speranza),
RedMello,
sasukinathebest,
simo95,


e chiunque abbia letto la ff fino ad adesso, per il vostro supporto che mi dà la spinta per continuare questa impresa pazza!!


Athenae

 
 

 

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Capitolo 5
*** Daily life, pain twice ***


Capitolo III
- Daily life, pain twice –
 
Quegli enormi occhi verdi continuavano a squadrarlo, allegri.                        
Shintarō sorrise lievemente, accarezzando la testolina piena di lunghi capelli neri e sottili dietro i quali si nascondevano delle piccole orecchie ansiose di sentire una sua risposta. Prese in braccio la bambina ricambiando a quello sguardo smeraldino con altro verde, il proprio.

<< Papà è tornato. >> disse, con un sospiro di sollievo: alla fine era arrivato in tempo, proprio secondo i suoi calcoli.

Sakura, così si chiamava la creaturina paffuta che teneva tra le braccia,  si accoccolò al suo petto gongolando e gli lasciò un piccolo bacio sulla guancia mentre ridacchiava contenta.

<< Bentornato! >> cantilenò con voce nasale, tutta contenta di ritrovarsi tanto in alto. Adorava suo padre. Le piacevano le sue mani curate, il suo profumo di pulito misto ad agrumi e anche la tenerezza che mostrava solo verso di lei. Insomma, era speciale e gli era affezionata più di quanto un bambino di sette anni mostrava solitamente nei confronti di un genitore.
Midorima, invece,  provava un profondo affetto paterno nei confronti di quella personcina tutta particolare che, probabilmente, era l’unica che riuscisse a strappargli un sorriso ogni tanto.
L’aveva avuta a soli venti anni.
 

 
A quel tempo non c’era spazio per un figlio nella sua vita, ancora studiava all’università e non aveva tempo per nulla di simile. Ma, come spesso accade, la vita non sta di certo ad assecondare le esigenze altrui per un caso (s)fortunato  – era difficile darne un’opinione omogenea -, si era ritrovato genitore quando neanche aveva mai sospettato di volerlo diventare.
Non che si pentisse di nulla: nel suo mondo di angoscia il sorriso e gli occhi innocenti di sua figlia erano il suo unico conforto.

Inizialmente aveva avuto dei profondi dubbi su quella situazione,  ebbe alcuni momenti di debolezza in cui stava per tirarsi indietro ma il suo senso del dovere si fece avanti e non se la sentì di abbandonare una donna incinta e una nuova vita sul ciglio della strada.

Per quanto avesse potuto odiare quello che gli stava per accadere, per quanto stupidamente respingesse e ripudiasse dentro di sé quell’essere che avrebbe cambiato la sua vita non poté fare a meno di ricredersi quando, dopo ore di travaglio in ospedale,  lo strinse tra le braccia per la prima volta.
In quel preciso istante si era reso conto di essere pronto a prendere in mano questo nuovo e gravoso incarico.

Quel piccolo frugolino rosso che dormiva respirando impercettibilmente accostato al suo petto, bisognoso di protezione, fu in grado di trasmettergli una sensazione di calore e serenità che lo fece quasi rinascere, spazzando via la tensione delle ore insonni che aveva passato e, per un secondo, tutti i dolori della sua esistenza.

Poteva dire di essere stato salvato da lei, se Sakura non ci fosse stata probabilmente si sarebbe ritrovato a condurre una vita ben più meschina di quella che conduceva attualmente.
 
***

 
Entrò chiudendo la porta, poggiò le chiavi in una ciotola argentata che si trovava su un mobiletto all’entrata e si tolse il cappotto appendendolo sull’appendiabiti, aiutato dalla bambina che ancora non aveva posato a terra ( e che non sembrava intenzionata a scendere ).

<< La mamma dov’è? >>  chiese, poi, guardandosi attorno con aria circospetta.

<< Sono qui, caro! >> una voce acuta e femminile trillò facendo eco da un angolo indefinito della casa- ci fu un po’ di trambusto e, finalmente, lei apparve.
Era alta, slanciata,  il viso racchiuso in un perfetto ovale era circondato da lunghi capelli corvini che ripiegavano in due ciuffi ondulati sulla fronte pallida della donna i cui occhi grigio celesti brillavano di luce propria mentre la bocca carnosa si schiudeva in un sorriso dolcissimo e colmo d’amore.

Haruka.

Sua moglie, la sua maledizione.

Se la vista della bambina gli procurava un piccolo momento di felicità era consapevole che, una volta incontrata lei, sarebbe tutto crollato e svanito.
Perché? Non c’era nessun motivo valido per reagire in quel modo alla presenza di una moglie tanto perfetta, intelligente, bella e premurosa.
L’unica giustificazione del suo comportamento era i l rimorso: un sentimento che neanche lui era riuscito a decifrare ma che gli si ripresentava quotidianamente, come ad un bimbo capriccioso vengono ripresentate sempre i soliti piatti amari.

Una punizione divina, probabilmente.

Sentiva di non poterle dare quello che meritava, provava disagio ogni volta che la aveva accanto e i suoi sorrisi teneri non facevano altro che farlo sprofondare nell’insicurezza.

Haruka gli si avvicinò accarezzandogli il viso mentre puntava i piedi sul pavimento, riuscendo ad arrivare alla sua altezza per poi guardarlo dritto negli occhi.
Sakura si coprì gli occhi ridacchiando divertita, sapeva bene quello che la mamma e il papà stavano per fare, lo vedeva spesso alla televisione.

Le loro labbra si toccarono velocemente, un istante.

Shintarō quasi cercò di sottrarsi ma, alla fine, lasciò che lei facesse.

La giovane donna sospirò, alzando comicamente gli occhi al cielo.

Era sempre così, sempre. Suo marito non era esattamente luomo più affettuoso al mondo e solo con la bambina sembrava sciogliersi un po, anche se alcune volte arrivava a preoccuparsi per questo motivo.

Che avesse unaltra?

No, non era il tipo e, comunque, non era mai stato particolarmente espansivo con nessuno (per quanto lo conosceva lei) quindi da quel punto di vista si sentiva particolarmente sicura. Già, alla fine era solo lei a farsi quei problemi inutili. Sorrise ancora e sistemò il colletto della sua camicia candida rubandogli un bacio sulla guancia.
Era suo, lo amava alla follia e laveva sposata: questo bastava.

Midorima strinse le labbra infastidito e si scostò dirigendosi verso la sala da pranzo, seguito dallo scalpiccio dei piedini di Sakura che era ritornata a terra.
Lei li seguì.
***
 
La cena era già sul tavolo, fumante. Sapeva quanto lui odiasse non trovare tutto pronto, era un tipo metodico e quindi lei cercava di organizzarsi secondo le sue abitudini che, ormai, dopo sette anni insieme erano diventate anche le sue.

Si sedettero tutti; Shintarō stava accanto a Sakura che giocava con il suo lucky item, ignorando i suoi moniti riguardo al fatto che era meglio che il pupazzo non stesse dove poggiavano il cibo. Dopo i primi due richiami l’orsetto venne messo sul divanetto lì accanto e iniziarono silenziosamente a mangiare.

<< Amore, com’è andata oggi a lavoro? >> esordì lei, tra un boccone e l’altro mentre gli dedicava tutta la sua attenzione.

<< Non male. Ho operato con successo due pazienti gravi.. >> scandì bene le parole senza alzare gli occhi dall’arrosto che stava tagliando accuratamente, neanche il coltello fosse un bisturi.

 << Oh, mi fa piacere. Da te non ci si potrebbe aspettare nulla di meno… >> commentò, ridendo allegra: era orgogliosa di avere un uomo simile come marito.

Ci fu qualche momento di silenzio, rotto dal tintinnare delle posate e la vocetta della bambina che canticchiava la sigla di un anime mentre spostava circolarmente i pezzi di carne già tagliati che aveva nel piatto.
Silenzi come quello ce n’erano tanti e per entrambi era difficile riempirli.

 
Da una parte Midorima, quellangoscia maturata nel tempo era come un blocco, quasi si fosse eretto un muro invalicabile attorno. Così vicino eppure così lontano. Dallaltra vi era Haruka, che cercava disperatamente di arrampicarsi nella fortezza che lui aveva costruito e sperando di riuscire poi a vedere chi fosse suo marito realmente. Voleva essere parte del suo mondo ma veniva respinta da quella freddezza glaciale, ormai faceva finta che tutto andasse bene. Lo faceva per sua figlia, per lui, per sé stessa.

Bevve un sorso di vino, sperando che lalcool spazzasse via le sue insicurezze. Doveva essere la moglie perfetta, doveva fargli rendere conto che senza di lei non sarebbe potuto andare lontano. Desiderava rivendicare il proprio possesso su un qualcosa che sulla cara era già suo.

Si sentiva così stupidaera chiaro che lunica ad essere innamorata fosse lei, eppure non voleva guardare in faccia quella realtà tanto scomoda che entrambi mascheravano falsando un ambiente famigliare altresì instabile.

 
<< Ho finito, grazie per il pasto. >> disse Midorima, alzandosi velocemente dopo essersi pulito le labbra con il tovagliolo, sempre con la sua solita meticolosità.
Non voleva, no cercava di dare una spiegazione a tutto quello.

Gli occhi di lei sembravano implorarlo di rimanere ancora un po’, fece finta di non averli visti.

 
***
 
Si allontanò dalla sala da pranzo, immerso nei suoi pensieri.

“Forse dovrei mandare quel cardiogramma del paziente n.2367 al laboratorio n.9 …”

Non riusciva a staccare il proprio cervello dal lavoro e da quell’impalcatura che aveva minuziosamente ideato per far reggere in piedi la propria vita, se lo avesse fatto si sarebbe dovuto scontrare con la realtà che, alla fine, non era poi così perfetta.

Arrivò alla fine del corridoio e aprì la porta del proprio studio, accostandola lievemente. Non sembrava essere entrato nessuno e questo, da una parte, era un bene.

Vi era una semplice ed ampia scrivania in legno scuro sul fondo della stanza che dava su una grande finestra, dietro la quale era possibile scorgere il piccolo cortile posteriore e la collina che ne occupava lo sfondo arido a causa delle temperature basse. Le pareti erano coperte da librerie colme di volumi da lettura e tomi di Medicina tra i più vari, un modellino anatomico del corpo umano nella sua interezza compariva in un angolo della stanza a mo’ di decorazione. Stranamente quella stanza era l’unica sgombra dai lucky item, pulita ed essenziale.

Si sedette sulla morbida poltrona girevole, prendendo in mano delle carte che già erano poggiate sulla superficie, scorrendone le parole con attenzione.
Tutto era calmo. Tutto andava come doveva.  
                                                                 
Continuò a lavorare per più di un’ora finché non decise di fermarsi, sentendo la stanchezza della giornata sulle spalle.

Si guardò attorno.

Era più forte di lui, si sentiva così dannatamente sciocco. Tenne il viso tra le mani ringhiando lievemente.

Perché? Perché non vai via?” pensò stringendo gli occhi, tormentandosi.

Sospirò rassegnato e portò le mani al collo, tirandone fuori una collana alla quale era attaccata, come ciondolo, una chiave. La sfilò osservando il piccolo oggetto lucido per qualche secondo.
Lo sto facendo ancora, incredibile, non è sano... si chiedeva, inevitabilmente attratto dalla chiave e dal significato che aveva. Cercò con una mano la serratura del cassettone sottostante la scrivania, fece scattare il meccanismo.

Tic.

La mano tremò appena. Non era stata manomessa, perfetto.

Sapeva quanto Haruka fosse tesa, nonostante facesse finta di nulla, perciò no avrebbe escluso un tentativo da parte sua di aprire quel cassetto che teneva gelosamente chiuso.

Ogni sera arrivava quel fatidico momento.
Spostò delle carte in superficie finché non sentì qualcosa di duro. Ne sfiorò il contorno rigido con le dita e tolse l’ampia scatola da lì dentro, posandola sul legno della scrivania.

Di per sé non aveva nulla di speciale: una normale scatola di cartone colorato e anche abbastanza ingombrante.

Ma le scatole non sono importanti, è quello che celano dentro ad esserlo.

La scoperchiò solennemente, con un gesto che ormai era diventato un’abitudine.
 
***
 
Foto, tante, alcune incorniciate e altre no. Attestati, biglietti del cinema e di partite di basket, pagelle, biglietti di auguri e qualche spartito scarabocchiato. Sotto tutto questo una divisa arancione piegata con cura e un’altra bianca si intravedevano, entrambe con il numero 6 e la parola “Shūtoku”  stampata a caratteri neri e cubitali.

Era incredibile come tre anni di vita stessero così comodi in una scatola.

Prese le foto in mano. La maggior parte erano state scattate da Kimura durante il primo anno, quando aveva deciso di comprarsi una macchina fotografica professionale.
Scatti rubati: Midorima che stranamente dormiva in classe dopo le lezioni, loro a mensa,  il festival della scuola… neanche si ricordava quando gliele avesse date.

Prese le uniche due incorniciate, le uniche che non aveva scattato il suo senpai.

La prima era una foto di squadra alla fine dell’anno scolastico in cui si erano conosciuti. Kimura guardava dritto nell’obbiettivo con il suo sguardo buono, Miyaji spuntava dietro di lui e sembrava intento a sbraitare qualcosa mentre puntava il dito contro la camera e Otsubo alzava gli occhi al cielo, esasperato. Lui era al centro e non sembrava alla foto, ma più al braccio che gli veniva buttato al collo mentre lo guardava con vivo imbarazzo. Takao lo stringeva sorridendo come uno scolaretto impunito, mostrando il segno della vittoria con la mano libera.

Takao.

Osservò quel viso stringendo la cornice fino a far diventare le nocche bianche.

Buttò la foto dentro e richiuse tutto, nervosamente,  sbattendo il cassetto con forza per poi accasciarsi sulla poltrona, massaggiandosi le tempie.

Non capiva cosa gli prendesse, ogni giorno affrontava quei ricordi sperando di trovare un mutamento nelle proprie reazioni che, invece, rimanevano sempre le stesse.

Si portò una mano al petto che batteva veloce, buffo per un cardiochirurgo non capirne le cause. Respirò lentamente cercando di calmarsi, non poteva colmare il vuoto che sentiva solo a vedere quel volto… non poteva ignorare quei sensi di colpa, ma per cosa?

Era assurdo, sciocco e masochista.

Non capiva più se fosse il passato a rincorrerlo o se fosse lui stesso ad andarvi incontro nel disperato tentativo di allontanarsi, con scarsi risultati.
Da quando si era sposato quelle sensazioni e quella scena notturna continuavano a ripetersi, quei pensieri lo assillavano.

Doveva dimenticare.

 
***
 
Sollevò lo sguardo sul soffitto.

Haruka, Sakura.

Aveva una famiglia da mandare avanti, le loro esistenze dipendevano dalla sua. A ricordarglielo era la fede all’anulare sinistro, fasciato.
Oro. Oro pesante, tanto che avrebbe potuto strappargli il dito sotto il suo peso.

Si alzò. Erano le 23, aveva bisogno di dormire.

Passò in camera della bambina a controllare il suo sonno, le rimboccò le coperte rosa e profumate. Quel visino innocente non avrebbe mai potuto immaginare i turbamenti che scuotevano l’anima di suo padre.

Andò in camera e si cambiò ripiegando i vestiti con cura per poi infilarsi nel letto dopo aver lavato i denti, quasi fosse un automa.

L’altra metà era vuota ma non ci fece caso.


Chiuse gli occhi.


 
Lo incontrò.


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ANGOLO DI ATHENAE:

ZAN-ZAN! Eccomi qua! Pensavate che mi fossi persa nelle colline d'Irlanda eh? Aahah, scherzo. 
Comunque, grazie per la vostra pazienza! scusate se ho risposto così lentamente alle vosatre bellissime recensioni... davvero Gomen, ma ho avuto anche una brutta influenza e mi sono un po' abattuta... anche se sono soddisfatta di essere riuscita a rispettare la scadenza. un lungo mese ed ecco a voi un lungo capitolo, il più lungo e complesso fino ad adesso. personamente l'ho trovato noioso da scrivere e ho paura di annoiare anche voi, alla fine i capitoli di Midorima sono quelli che mi piacciono di meno :< , bah. Per quanto riguarda questo capitolo in generale qui troviamo uno spiraglio della vita (im)perfetta del nostro amato quattr'occhi, angoscia e tristezza annesse. le parti in corsivo stavola sono state "donate" al punto di vista della nostra mogliettina, Haruka. Penso che lei sarà un personaggio determinante nel corso della storia, fate attenzione alla mammina (??). Spero di non avervi annoiato, sono sfinita e purtroppo non riesco neanche più a vedere quello che scrivo... perciò lascio a voi la lettura e ancora grazie per tutto il vostro supporto, ad ognuno di voi! Il prossimo capitolo sarà per il 25 marzo!
baci,
Athenae




 

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