Port Royale (prov)

di Darko
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Barcellona ***
Capitolo 2: *** Il racconto ***
Capitolo 3: *** Atalaia ***
Capitolo 4: *** Fuga precipitosa ***
Capitolo 5: *** Il Corsaro Nero ***
Capitolo 6: *** Il pirata, la sventura e la leggenda ***
Capitolo 7: *** Le colonne d'Ercole ***
Capitolo 8: *** L'enigma del pirata ***



Capitolo 1
*** Barcellona ***


1.Barcellona
Capitolo 1
Barcellona

“Sono stufo di questo posto. Le vie puzzano e gli spagnoli non mi sono mai piaciuti”.

Un umile scaricatore stava lavorando giù al porto, mentre la città dormiva. Un uomo, annunciato dall’odore di alcool, lo prese per una spalla: -Ehi ragazzo! Vedi di trattare gentilmente quelle casse di rum o mi assicurerò personalmente di buttarti a mare-
Il lavoratore borbottò un “Si, signore” e continuò il suo incarico. Quella notte pioveva e sembrava durasse un’eternità. Ma alla fine arrivò l’alba, accompagnata dalla campana della cattedrale. Toccava le sei e significava la fine del turno di lavoro.
La sua casa era nei quartieri nuovi. Si, quelli nuovi, ma non certo in una di quelle splendide villette; quei quartieri erano sulle colline, da dove si godeva di un’ottima vista sul mare. Già il mare. Era sempre stato la sua ragione di vita; per lui aveva abbandonato lo zio a Madrid ed era corso in cerca di ventura a Barcellona. Una nave sarebbe salpata per le Americhe e stava reclutando marinai. Aveva investito tutto in quell’impresa, ed aveva fallito. L’equipaggio era al completo e la nave non aveva bisogno di “sguatteri”. Così era rimasto a Barcellona come scaricatore di porto.
Era arrivato. Non si era mai accorto di come fosse cadente la sua dimora. Il portone aveva un aspetto malsano, le finestre erano scrostate e cigolavano, il vento aveva divelto qualche tegola e una grondaia non aveva retto al peso dell’acqua. Ora penzolava indecorosamente lungo il muro, che era tappezzato di buchi ed aveva dei rampicanti che lo soffocavano. Si frugò in tasca e cercò la chiave. Non ebbe nemmeno il tempo di cambiarsi perché si era già addormentato sul letto.
-Xavier!- Niente. –Xavier!- il secondo tentativo fu accompagnato da uno scrollane e il giovane si svegliò, si stropicciò gli occhi e si mise a sedere sul letto.
-Ma chi diavolo…-
-Sono io, alzati pelandrone!- Aurora era entrata in camera sua e lo aveva svegliato. Era una ragazza strana. Innanzi tutto perché una spagnola bionda e con gli occhi verdi era molto rara, secondo perché continuava a perdere del tempo con lui.
-Ma come hai fatto a…Ah! Lascia perdere. La porta era aperta vero?-
-Si. E’ già la terza volta questa settimana. Alla quarta ti troverai una spiacevole sorpresa-
-Tu non sei abbastanza spiacevole?-
Aurora cambiò stanza e tornò subito dopo con un bacile colmo d’acqua, un rasoio ed uno specchio.
-Simpaticone! In ogni modo lavati e fatti la barba…anzi no! Sei più tenebroso con quei “baffoni”- rise, mostrando i denti bianchi.
-Dai, ti preparo qualcosa- uscì.
-Comunque, so badare a me stesso!- non era vero, era un pasticcione e non avrebbe saputo come fare senza Aurora. Si lavò; l’acqua era gelida. Si guardò allo specchio: il pezzo di vetro argentato rifletteva l’immagine di un ragazzo scarmigliato, con i capelli castani scompigliati e gli occhi verdi, verde smeraldo.
Mangiarono qualcosa e poi andarono al mercato. Comprarono da mangiare e da bere con la paga di Xavier e tornarono a casa per la cena. Poi Xavier uscì di casa. Un’altra dura giornata di lavoro lo aspettava.
Quella notte passò come tutte le altre: umida, faticosa, snervante e puzzolente. Alle sei, stufo, tornò a casa. Cercò la chiave, ma questa volta nella tasca non c’era. Poi con un lampo ricordò: la chiave che rimaneva sul tavolino mentre la porta si chiudeva e la serratura scattava.
-Maledizione!- urlò e calciò un sasso che rotolava in discesa, imprecando poi per il dolore. Frustrato, si sedette sullo scalino e si appoggiò al portone. Era aperto. Si alzò di scatto e spinse piano la porta socchiusa. Effettivamente in casa sua c’era qualcuno: il braciere mandava vivaci scoppiettii dall’altra stanza, accompagnati dalla fioca luce del fuoco. C’era un mantello sull’appendiabiti. Uscì dalla porta, prese un pezzo di legno abbastanza robusto che aveva visto prima e rientrò, sperando con tutte le forze che quello fosse il nuovo mantello da viaggio di Aurora. Solo allora si accorse che la serratura era stata forzata. Entrò lentamente nella stanza e si avvicinò da dietro alla sedia, piano.
L’intruso era sdraiato con i piedi sul bordo del braciere, intento a riscaldarsi. Almeno così sembrava. Infatti dalla sommità della sedia spuntava solo un cappello a larghe tese.
Continuò ad avvicinarsi, il bastone levato, pronto a colpire.
-Cosa credi di fare ragazzo?!-
La voce lo fece trasalire e si girò di scatto. Sulla soglia stava un uomo alto, abbastanza massiccio. La sua faccia era abbronzata e solcata da qualche ruga. I suoi occhi grigi brillavano.
-Chi sei?- Xavier era spaventato, ma cercava di non darlo a vedere allo sconosciuto.
-Qualcuno che probabilmente non ti piacerà conoscere- disse l’uomo, poi prese il suo cappello ed uscì:
-Non c’è una locanda decente in questa maledetta città?- Xavier non si mosse: -Ti devo parlare, ma non qui!-
Xavier stette un poco a pensare, poi decise di fidarsi dello sconosciuto. “Devo essere pazzo” e uscì anche lui.
Lo accompagnò da Pedro, senza scambiare una parola e si fece guidare dal vecchio in una stanzina che era sempre vuota. Poi il vecchio chiamò Pedro il locandiere:
-Fai in modo che nessuno ci interrompa, chiaro?- estrasse due dobloni. Pedro annuì e fece per uscire.
-Ehi! Portami una paella e una brocca di vino, per due- estrasse un altro doblone sotto gli occhi sgranati di Xavier e lo lanciò al locandiere. Pedro prese le monete al volo e sparì dietro la porta.
Il vecchio tornò a rivolgersi a Xavier: -Come ti chiami?-
-Xavier, ma per gli amici è Xavi-
-Come sospettavo- Xavier stette in silenzio. Solo allora si accorse che il vecchio aveva una saccoccia con sé.
-Tuo padre ti ha lasciato qualcosa. E’ morto da anni ormai, ma io non riuscivo a trovarti e tuo padre non sapeva dove fosse finito suo figlio. Perciò…- prese la saccoccia e la lanciò al ragazzo. Era molto pesante e si intuiva la presenza al suo interno di qualche oggetto metallico. Non sapeva cosa dire, ma:
-Comunque non mi hai ancora detto chi sei!-
-Ehi! Ehi! Ogni cosa a suo tempo. Prima mangiamo qualcosa, ho una fame!-
Pedro era entrato portando due piatti di paella e una brocca di vino. Il vecchio guardò il ragazzo: -Mangia pure, offro io!-
-Grazie- borbottò Xavier cominciando a mangiare la sua porzione. Nessuno dei due parlò finchè i piatti rimasero vuoti e la brocca non fu asciutta. A questo punto Xavier attese impaziente. Il vecchio si frugò nelle tasche della giacca e ne tirò fuori una pipa; la caricò e la accese.
La città si era svegliata già da un pezzo e da quella stanza cominciavano ad udirsi i primi marinai che si bevevano un boccale prima di partire.
Il vecchio parlò: -Conoscevo tuo padre molto bene e devo ammetter che era un grand’uomo-
-Tu conoscevi mio padre? Dimmi com’era. Ti prego, io non l’ho mai conosciuto-
Il vecchio sospirò: -Lo avevo immaginato. Bene! Sei disposto a sentire una lunga storia?-
-Sì, se mi aiuterà a sapere qualcosa su mio padre-
Xavier si mise comodo, pronto ad ascoltare l’uomo che avrebbe cambiato la sua vita.  

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Capitolo 2
*** Il racconto ***


Capitolo 2.Il racconto
Capitolo 2.
Il racconto


-Tanti anni fa abitavo a Margarita, una bella città sulle coste nord-orientale del Sud America. Avevo una piccola attività, producevo rum e mi occupavo personalmente del trasporto via mare. Ero partito con poco denaro, poca esperienza ed una piccola nave, una pinaccia per la precisione.
Naturalmente quando ho cominciato ero rimasto a secco per poter comprare la nave e pagare le attrezzature. Ero costretto a tenere il minimo equipaggio possibile per ridurre le spese, ma ciò mi rendeva molto vulnerabile agli attacchi dei pirati. Per fortuna la mia attività non mi imponeva viaggi lunghi, e soprattutto erano viaggi lungo la costa. La mia pinaccia non avrebbe retto ad una traversata in mare aperto. Passò un anno, più o meno, e il governatore di Margarita, Manuel Casagrande, cominciò ad interessarsi all’attività. Mi aiutò con delle sovversioni pretendendo in cambio dei piccoli incarichi. Cominciai a guadagnare forte e mi allargai: avevo investito anche nella pesca e nel tabacco, che era quello che rendeva di più. Avevo comprato altre navi e avevo imbastito un convoglio per le traversate più lunghe.
Cominciai a stipulare contratti con i commercianti delle varie isole e stabilii delle rotte commerciali con gran parte dei Caraibi meridionali.
Stavo diventando influente.
Un giorno, Casagrande e Fenton Howard, il governatore di Port Royale, mi convocarono ed insieme organizzammo un attacco ad un pirata che stava diventando scomodo.
Io avrei funzionato da esca e Casagrande avrebbe compiuto l’attacco alle navi, Howard invece avrebbe attaccato da terra. Ma i pirati sapevano già tutto. Tesero una trappola a Howard che scappò per miracolo con una manciata di uomini. Per quanto riguarda noi, i pirati ci distrussero ed io persi tutto.
Il capitano salì su ciò che restava della mia nave e mi riconobbe; mi prese con sé e lasciò andare gli altri con ciò che restava delle navi. Erano passati diciassette anni dal mio primo viaggio sulla pinaccia-
Xavier si destò: -Cosa c’entro io con tutto questo?-
-Beh. In teoria tutto. Il pirata era il capitano Francis Black. Ed io sono suo fratello, Thomas Black-
Un gelo improvviso gli invase le viscere. Quello che aveva davanti era lo zio di cui gli aveva tanto parlato sua madre; non lo zio Madrid, quello era il fratello della madre. Questo era il ragazzo che aveva lasciato l’Europa su una nave in cerca di ventura verso le Americhe, ma soprattutto per seguire il fratello Francis.
“Zio Thomas” rivolse a Xavier un sorriso.
Lo sapeva. Lo sapeva. Aveva sempre sognato che suo padre fosse un pirata; tutti quei misteri di sua madre l’avevano fatto riflettere. Poi suo zio lo guardò:
-Lo sai che non sei spagnolo, vero?-
-Sì. Sono inglese-
-Esatto, tu però non ti chiami Xavier-
-Sì, sono Xavier Black-
Lo zio sorrise: -No, tu sei Morgan. Morgan Black.
Xavier, anzi Morgan, rimase colpito dalle ultime affermazioni. Si crogiolava assaporando la potenza del suo nome.
-Dimmi, quanti anni hai ragazzo?-
-Ne ho ventiquattro-
-Uh, come passa il tempo. Quando tuo padre morì, le sue ultime parole furono “Cerca mio figlio. Deve avere circa due o tre anni. Spiegagli tutto ciò che deve sapere quando sarà abbastanza grande”-
Morgan sentiva crescere un dubbio: -Come faccio a sapere che dici la verità?-
Zio Thomas indicò la saccoccia che gli aveva appena dato e disse: -Aprila-
Il ragazzo, titubante, sciolse i laccetti che legavano l’apertura e riversò dolcemente i contenuto sul tavolo. C’erano decine di sacchetti pieni di dobloni, un cappello a larghe tese molto simile a quello dello zio, con un pennacchio rosso e blu e le ornature dorate. Sotto al cappello c’era una splendida giacca. Era d un sorprendente color blu notte e riprendeva degli ornamenti che circondavano i bottoni e si articolavano nel colletto e nelle maniche formando disegni intricati. Aveva le tasche pesanti perché due pistole lavorate a mano le occupavano. Sul manico di ognuna era inciso una B sotto ad un grifone.
-Quello è il simbolo dei Black. Tuo padre lo portava sulle vele-
Morgan si accorse che era rimasto ancora qualcosa nella saccoccia. Estrasse una spada. La prima che avesse mai afferrato. La lama era sottile e l’elsa era lavorata ad opera d’arte. Toccando il pomello, si accorse che era svitabile, da lì estrasse un rotolino di pergamena sotto lo sguardo ammutolito dello zio.
-Ti giuro che non l’avrei mai sospettato- guardò fisso il nipote –Avanti. Aprilo!-
Morgan srotolò la pergamena e lesse:
“Io, Francis John Black, consegno tutti i miei averi, mobili ed immobili, al mio unico e legittimo figlio Morgan Black”. Il testamento di suo padre era accompagnato dalla firma del pirata. Dietro al testamento però, c’era un’altra scritta.
“Orco, nemici! La spada!” Cosa voleva dire? Guardò lo zio e glielo porse aspettando che dicesse qualcosa. Ma quello lo guardò e disse: -Non so cosa possa significare-
Rimasero alla locanda per un po’. Infine Morgan invitò suo zio a dormire da lui.
Mentre tentava inutilmente di prendere sonno, rifletteva. Quel pezzo di carta era stato nascosto per un motivo.
La lunga ombra di Francis Black ora incombeva su di lui.


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Capitolo 3
*** Atalaia ***


3.Atalaia
Capitolo3.
Atalaia


Il giorno dopo Morgan si alzò e scoprì che suo zio non era in casa. Comunque il buon uomo aveva lasciato due dobloni sul tavolo, sopra ad un biglietto:
“Sono giù al porto. Raggiungimi”.
Erano circa le tre del pomeriggio e faceva caldo. Il sole di maggio lo accompagnò per tutta la strada verso il porto, che ormai conosceva a menadito. Arrivò al cancello e il guardino, riconoscendolo, lo fece passare; ora che ci pensava, suo zio non gli aveva detto in che parte del porto cercarlo, ma i suoi interrogativi furono interrotti dalla voce di Thomas: -Oh Morgan! Vieni, vieni-
Lo zio lo stava salutando con voce giuliva agitando la mano. Morgan vide che stava chiacchierando con un uomo barbuto, sporco e grasso; quando si avvicinò ancora di più si accorse quasi immediatamente di trovarsi di fronte al padrone del porto. Non era il vero padrone in realtà, perché lì aveva autorità la Corona, o meglio il governatore. Tuttavia era quello che gestiva i pedaggi e i lavoratori.
Morgan, invitato dallo zio a sedersi, continuò a guardare nervosamente da lui al portolano, che era molto sorpreso di vederlo. Poi lo zio riprese la conversazione con l’altro uomo:
-Tre giorni di riparazione, più le merci e la dotazione, millecentoventidue dobloni!-
-Non se ne parla nemmeno. Quelli solo per la riparazione!-
-Non prendermi in giro. Sarà un miracolo se arriverò fuori dal porto! Va bene. Centotrentacinque, prendere o lasciare!-
Il furfante, resosi conto di non poter tirare più di così la corda, disse lesto:
-Prendo-
-Ah dimenticavo, compreso il ragazzo- disse Thomas. L’uomo ci pensò, tenendo una smorfia imbronciata: -E va bene, tra un’ora andremo alla banca dei Torres per il passaggio di fondi-
Poi tese la mano a Thomas che, riluttante, la strinse.
Lo zio si alzò e Morgan lo imitò; gli fece cenno e lo condusse giù per il porto, dove c’erano le navi ancorate. Morgan sfilò dinanzi a galeoni, caravelle e brigantini, tutti dalle vele un po’ rattoppate, infatti aveva sentito che c’era stata una violenta tempesta nei pressi di Gibilterra. Thomas si era fermato e Morgan fece qualche metro prima di accorgersene; si girò e notò il sorriso soddisfatto sul volto dello zio:
-Bene, bene. Le riparazioni sono ottime- disse osservando una maestosa caravella, che ondeggiava sui flutti sotto di loro.
-Vuoi dire che… vuoi dire che è tua?!-
Morgan era a dir poco incredulo e, boccheggiando, continuava a spostare lo sguardo dallo zio alla nave.
-No. Voglio dire che è tua- proseguì Thomas –l’eredità di tuo padre-
-Ma… ma io non posso…io- balbettò Morgan.
-Naturalmente non sei in grado di governare una nave del genere da solo. Ti servirà un equipaggio; inoltre non mi sembri un lupo di mare, quindi ti servirà un aiuto- proseguì lo zio divertito.
-Ma dove trovo i soldi per un capitano?-
-Beh. In quanto ai soldi non c’è problema- indicò con un gesto teatrale la tasca della giacca –ma un capitano a quest’ora del pomeriggio dove lo potrei mai trovare?- finse di guardarsi intorno e poi guardò Morgan:
-Lei cosa mi suggerisce capitano?- sorrise.
-Saliamo a vedere la mia nave- disse Morgan divertito.
-Signorsì! Capitano Black!-
Presero in prestito una passerella da un magazzino lì vicino e la adagiarono sul bordo della nave; salirono e Morgan notò la targhetta portanome che era ormai sbiadita, la nave era senza un nome.
-Come la dovremmo chiamare?- chiese Morgan.
-Questa è una decisione che spetta a te. La nave con tuo padre si chiamava Zefiro-
-Pirata nuovo, nave nuova- rise. Poi si ricordò che una volta arrivò al porto un convoglio militare di navi inglesi, le celeberrime navi di linea, così chiamate per il loro schieramento in battaglia. Erano dieci, maestose e imponenti, si tennero al largo dal molo perché la loro mole lo impediva loro, e l’equipaggio era arrivato su delle scialuppe. Una di queste era rimasta impressa nella memoria di Morgan. Si chiamava Atalaia.
Guardando la sua caravella, che in confronto ai sette galeoni che aveva di fianco sembrava una barchetta, pensò che le cose piccole sembrano più belle nelle loro mancanze quando affiancate ad altre più grandi.
“E poi i difetti si vedono di meno”. –Quando ero un bambino sognavo di avere una nave tutta mia, e che l’avrei chiamata Atalaia-
-Buffo, davvero buffo- disse lo zio.
-Perché-
-Perché era il nome della mia prima pinaccia-   
   

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Capitolo 4
*** Fuga precipitosa ***


4. Fuga precipitosa
Capitolo 4
Fuga precipitosa
.

Stettero sulla nave fino all’ora stabilita con il portolano, poi lo zio Thomas scese dicendo: -Puoi accompagnarmi, se vuoi-
-Non lo so. No, grazie preferisco stare ancora un po’ sulla nave-
-Come vuoi, ma tira dentro la passerella, anche se sei grande e grosso non mi fido a lasciarti solo. Stai attento, mi raccomando, ci sono dei brutti ceffi qua intorno- detto ciò aprì la porta ed uscì nel sole pomeridiano.
Morgan rimase solo all’interno della sua nave e potè finalmente contemplarla. Si trovava nel castelletto di poppa, dove le grosse finestre lasciavano intravedere l’orizzonte, inframmezzato da navi e piccoli pescherecci. L’interno era completamente di legno e c’era un largo tavolo di massello fissato al pavimento, formato da grosse travi tagliate molto finemente. Sulla parete est e su quella ovest si stendevano due grosse librerie, cariche di libri, diari, manuali, ma soprattutto carte di navigazione. Ce ne erano anche alcune sparse sul tavolo, con un calamaio vuoto sopra, ed un penna d’oca che giaceva su uno straccetto, per evitare di macchiare le preziose carte.
Le sedie erano sempre in massello, ma avevano uno schienale imbottito e non erano fissate al pavimento.
Sotto i grandi finestroni, stava un pianoforte, maestoso, d’ebano scuro, con i tasti d’avorio.
Il lampadario che stava appeso al centro del soffitto era in vetro colorato, con delle candele appese sopra. Tuttavia non veniva usato spesso perché erano molto più comodi i candelabri ad altezza uomo. Guardando uno di quei vetri colorati color verde smeraldo, ebbe un lampo.
Aurora.
Erano ormai tre giorni che non la vedeva e lei non si era fatta viva. Non era preoccupato, ma nemmeno tranquillo. Le vicende dell’ ultima settimana lo avevano scombussolato: prima l’arrivo dello zio, poi le sue rivelazioni, l’eredità di suo padre e infine, l’enigma.
Non ne era ancora venuto a capo perché non vi aveva fatto caso, l’aveva lasciato nella tasca della giacca e lì era rimasto. Si controllò la tasca ed estrasse il foglietto.
“Orco, nemici! La spada!”.
Uscì anche lui sul ponte, all’aperto. Si riparò dal sole con le mani, poi gli venne in mente una cosa. Scese di sotto e guardò nelle stanze, tra le brandine; poi si ricordò che lo zio le aveva spostate. Corse di nuovo al castelletto e entrò in una porticina più piccola vicino al portone grande che conduceva alla stanza del capitano. Guardò ai piedi del letto e vide una baule. Lo aprì.
-Eccole!- urlò gioioso. Lì c’erano le cose che costituivano l’eredità di suo padre. Cappello, giacca, spada e pistole.
Le prese e uscì sul ponte. Le indossò euforicamente e si guardò allo specchio sulla porta. Lo spettacolo era garantito. Abituato com’era a vedere un umile portolano, vide un pirata.
“Il pirata Black. Il Corsaro Nero” pensò. Poi la sfumatura blu notte della giacca cominciò ad attirare troppo calore, così come il cappello di feltro. Se li tolse e li appese ad un gancio vicino allo specchio. Rimase con le pistole alla cintura e la spada, avvolta dal fodero. La estrasse e la tese verso il sole. Scintillava come mai e rifletteva una luce bianca accecante.
Corse, saltò, schivò, provò qualche affondo e parò. Preso dall’euforia giunse a prua e la vide.
Aurora era venuta al porto, forse per cercarlo. Stava venendo verso di lui, ma proprio sotto la sua nave c’erano due uomini, forse pirati perché uno di loro aveva una benda sull’occhio e l’altro aveva due vistosi orecchini sotto il lobo sinistro. Aurora era in pericolo. Si guardò le pistole e vide che erano cariche. Corse verso il bordo e calò la passerella. Scese dalla nave con spada in pugno e pistole alla cintura e si nascose dietro ad un palo che serviva per le gomene.
Aurora era troppo importante per lui, l’aveva conosciuta subito dopo il fallimento di Barcellona e lei lo aveva accolto in casa sua, lo aveva aiutato a trovare lavoro e a trovarsi una casa. Inoltre in questo periodo era sempre con lui e lo aiutava continuamente. Aveva soltanto due otre anni meno di lui ed erano legati da profonda amicizia.
Sentì Aurora protestare. I due alzare la voce e poi di nuovo la ragazza. Questa volta gridava.
Morgan balzò fuori allo scoperto e stese uno dei due con un pugno, che gli ruppe il naso. Si girò e, guardandolo negli occhi, trafisse il secondo all’altezza del diaframma; girò il polso per far uscire la spada, provocandogli una ferita letale. L’uomo si accasciò a terra con gli occhi fuori dalle orbite. Aurora si era messa le mani sulla bocca, e quando le si sciolse la tensione, scoppiò in lacrime abbracciando Morgan.
Poi spaventata, si girò urlando a Morgan di spostarsi, il secondo uomo si era rialzato, con il sangue su naso e petto, ed estrasse un lungo pugnale. Lottò con la spada di Morgan e poi con un gesto fulmineo prese Aurora sotto braccio e corse via.
-No!- urlò Morgan, poi un sibilo intenso gli passò vicino all’orecchio. Si girò di scatto e vide lo zio in piedi, la pistola tesa che fumava ancora.
Fece appena in tempo a sorreggere Aurora, poi si voltò di nuovo.
Lo zio controllò che l’uomo fosse morto e poi disse: -Tutto bene?-
-Si- disse Morgan.
-Dobbiamo andarcene di qui, questo era un marinaio regolare, fra poco le guardie saranno qui- poi guardando Morgan –Prenditi cura di lei. Io vado a casa tua a prendere tutto- fece per uscire.
-Aspetta- disse Morgan. Lo zio si fermò.
-Prendi anche le sue cose. E’ la casa davanti a me, primo piano- poi vedendo che lo zio non capiva aggiunse: -Viene anche lei. Sono l’unica cosa che ha. E lo stesso vale per me-
Lo zio annuì. A Morgan sembrò che gli fossero spuntate due grosse lacrime, ma non ci badò. Ora ‘importante era Aurora.
Aspettò fino a sera, preoccupato. Poi finalmente lo zio tornò alla nave e salì, portando due grossi fagotti con sé.
Tuttavia non fece niente, si limitò ad aspettare nervosamente guardando l’orologio.
Alla fine Morgan capì perché. Arrivarono una ventina di marinai, pirati per la precisione. Erano esperti. Thomas non dette loro nemmeno un ordine, ma quelli sapevano già cosa fare, e meno di un quarto d’ora dopo erano fuori dal porto, diretti chissà dove.   
 

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Capitolo 5
*** Il Corsaro Nero ***


5.Il Corsaro Nero
Capitolo 5
Il Corsaro Nero


Morgan stava cercando di scorgere l’orizzonte. Davanti a sé aveva una distesa di stelle e non riusciva a distinguere dove finisse il cielo e cominciasse il mare. Era assonnato e non vi prestò molta attenzione, limitandosi a rimanere imbambolato con il vento sul viso, misto agli spruzzi del mare. Il veloce susseguirsi dei fatti di quella settimana lo aveva sconvolto; quattro giorni fa era triste nel suo porto, con la sua Aurora, ma tranquillo. Ora aveva appena ucciso un uomo ed era in fuga da Barcellona con la nave di suo padre, manovrata dallo zio, con una ciurma di – ci avrebbe scommesso – pirati.
La brezza marina lo fece rabbrividire e, in flebile protesta, si acciambellò sopra la balaustra del ponte. Sentì una mano sulla spalla e si allarmò di colpo.
-Come va, ragazzo?- Thomas gli sorrideva guardandolo.
-Mmh- annuì stancamente.
-La tua amica come sta?-
-Sta ancora dormendo, non ho voluto risvegliarla- fece uno svolazzo con la mano.
-Sai, avevo la metà dei tuoi anni quando uccisi il primo uomo-
-Come?!-
-Sì, stavo tornando a casa con mia madre, tua nonna, dopo il mercato e un vagabondo ci sbarrò la strada. Era convinto che una donna con il suo figlioletto fossero stati una facile preda e una sicura fonte di guadagno, ma quando provò a toccare tua nonna gli saltai addosso con la forza della disperazione. Era denutrito e lo stesi al primo colpo, ma si rialzò ed estrasse un coltello, provò a colpirmi ma la paura mi diede una forza inaspettata. Gli rigirai il polso e gli conficcai il coltello nello stomaco-
Morgan fissò lo zio attonito.
-Sai la storia del tuo nome?-
-No-
-Allora dovrai sapere che la maggior parte dei pirati, se non tutti,  darebbe un occhio, forse anche il braccio destro, per possedere il tuo nome-
-E’ davvero così importante?- ora Morgan era interessato.
-Beh, si. Morgan Black fu uno dei primi pirati delle Americhe, forse non il primo, ma fu sicuramente il più temibile, il primo ad essere evitato dai mercantili.
Alcuni dicono che nacque in America molto prima della sua scoperta, altri dicono che prese una barchetta e che fuggì dall’Inghilterra. C’è anche una leggenda che dice sia nato da un miscuglio di polvere da sparo, sangue e rum. Ma sei un uomo ormai e non crederai certo a queste cose.
La versione più attendibile è che salpò con un mercantile e naufragò su un’isola assieme a gran parte del relitto. Riparò la nave con il legname dell’isola e ripartì sulla nave. Insieme a lui c’erano alcuni suoi marinai, ma soprattutto suo fratello Bartholomew.
Diventò in pochi anni il più temibile pirata dei Caraibi; la sua flotta divenne immensa e Morgan ne affidò una parte a suo fratello Bartholomew, che divenne presto famigerato quanto il fratello.
Dopo molti anni Morgan tornò all’isola del suo naufragio; l’isola si chiamava Tortuga, come la città olandese di Haiti-
-Cosa c’entra ora l’Olanda?- chiese Morgan affascinato.
-L’Olanda è nota per aver costruito l’unica nave in grado di sconfiggere qualsiasi altra nave da guerra, anche una nave di linea-
-No, è impossibile-
-Si, in olandese il progetto era detto “Juggernaugt”, però ora la nave è conosciuta come l’Olandese Volante e ne è rimasta solo una perché i disegni furono persi moltissimi anni fa-
-L’Olandese Volante…l’Olandese Volante- disse pensieroso Morgan – Ho già sentito questo nome. C’è una storia che si racconta, ma parla anche di un pirata: il Corsaro Nero-
-Ed era questo il soprannome di Morgan Black, il Corsaro Nero- lo zio tirò fuori la pipa e la caricò.
-Poco dopo arrivò a Tortuga anche Bartholomew Black, suo fratello. In quell’isola i due fratelli stilarono il Codice Piratesco, il manuale e la legge che ogni pirata deve rispettare e far rispettare. Il Codice è ancora là, a Tortuga; dicono che sia uno scrigno, il più grande che c’è. Non so dirti altro, questo è tutto ciò che so di Morgan Black-
Si accese la pipa e cominciò a fumare. 

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Capitolo 6
*** Il pirata, la sventura e la leggenda ***


5.Il pirata, la sventura e la leggenda
Capitolo 6
Il pirata, la sventura e la leggenda


Morgan si svegliò per i gabbiani. Si strofinò gli occhi e mise a fuoco la situazione: si trovava nella stanza del capitano, su una poltroncina, perché nel letto c’era Aurora. Ora la ragazza era sveglia e lo fissava intensamente.
-Bene. Così questa sarebbe la tua nave?- sembrava un po’ irritata.
Morgan sbadigliò: -Beh, in teoria si. Ma in pratica il capitano è mio zio- fece un altro sbadiglio.
-Ah quindi sarebbe tuo zio quello che mi ha detto di starmene chiusa qui e di non uscire per nessun motivo- era sicuramente irritata.
Morgan era un po’ stupito e cercò di cambiare discorso:
-Ho sentito i gabbiani, siamo vicini alla terra?-
-Si, siamo ancorati a Valencia e la nave è deserta. C’è solo uno di guardia e noi due- sorrise. Morgan potè ammirare i suoi denti stupendamente bianchi.
-V…Valencia? Ma quanto ho dormito?-
-Due o tre giorni- rise –Quanto tempo era che non dormivi?-
-Da una settimana- si rialzò e si sciacquò la faccia in un bacile, forse messo lì dallo zio. L’acqua era un brodo. Ora che ci faceva caso era caldo, molto caldo.
Poi all’improvviso sentì uno, due, tre spari. Uscì di corsa in tempo per vedere dei soldati che inseguivano suo zio e i suoi marinai. Erano in difficoltà perché i soldati erano il triplo; stavano arretrando verso l’Atalaia. Morgan tornò dentro a prendere la spada e le pistole di suo padre.
-Cosa succede?- chiese Aurora un po’ spaventata.
-I soldati!- ed uscì.
Corse sul ponte fino alla balaustra e si sporse. I soldati erano rimasti all’inizio del molo e lo scontro era ormai basato sul tiro al bersaglio. Morgan vide un barile vicino ai soldati e vide anche una strisciolina nera che usciva dalla parte rivolta verso la parte del mare, non vista dai soldati. Esitò perché quella polvere avrebbe potuto far saltare anche la nave; poi vide che dal foro, che era quasi sul fondo del barile, non usciva più polvere. Ce ne era poca, quella che bastava.
Caricò la pistola, la puntò sul foro e fece fuoco.
Un fragore impressionante lo investì e una palla di fuoco scaraventò i soldati in mare lasciando un buco enorme dove prima c’era il molo, lasciò però intatta la nave.
I marinai di Thomas lo guardarono stupefatti.
-Salite, presto!- tuonò. Po lanciò una scala di corda verso il molo.
I marinai salirono in fretta e ripresero i loro posti. Zio Thomas si avvicinò al ragazzo, lo guardò un po’ stupefatto, poi:
-Ben fatto, ragazzo!-
Poi prese ad impartire ordini ai marinai. Morgan decise che per il momento non avrebbe fatto nessuna domanda.
Il ragazzo tornò da Aurora.
-Cosa è successo?- chiese la ragazza.
-Un problema con i marinai, ce ne stiamo andando-
Stette qualche oretta con lei, nella quale parlarono, si scambiarono le opinioni su quanto era accaduto.
Nel pomeriggio Morgan uscì, diretto verso lo zio. Era il momento di sapere.
Lo trovò intento ad osservare il mare dalla prua, che ora puntava l’orizzonte.
-Dovrai spiegarmi qualcosa- disse ombrato.
-Eh, si. Avrai capito che questi sono tutti pirati, vero?-
-Si, non ho avuto dubbi fin dal primo momento- disse Morgan –comunque…mio padre fu un pirata, mio zio è un pirata…non trovo altra soluzione, io sarò un pirata. Anche perché non c’è scelta-
-Vero, hai ucciso dei marinai e dei soldati, sei ricercato- sorrise.
Poi sentirono una voce e molte altre che la seguivano. La ciurma si era radunata davanti alla stanza del capitano perché Aurora aveva aperto la porta, ed ora fissava incredula i pirati.
-Tombola!- Thomas accompagnò l’esclamazione battendosi il palmo della mano sulla fronte.
-Una donna a bordo!- disse uno.
-Porta sventura!- gli fece eco un altro.
-Non farò una lega di più!- ancora un altro.
-Allora ti butterò in mare, stupido cane!- intervenne Thomas esasperato, poi rivolto alla ragazza:
-Aurora, ripeti il nome di tuo padre, per intero per favore-
-Don Francisco Torres- citò Aurora.
-E per chi di voi ignoranti non lo sappia, fu conosciuto come MangiaFuoco-
I pirati arretrarono temendo quel nome ed abbandonando ogni contesa.
-Come saprete, una donna non porta sfortuna su una nave se ha dentro di sé sangue pirata- concluse Morgan, ormai accettato da quella marmaglia.
-Ben detto ragazzo!- Thomas ammiccò verso il nipote.
I pirati annuirono, sottomettendosi al loro capitano.
A questo punto Thomas decise di continuare il suo teatrino ed andò verso la stanza del capitano, tornando poco dopo con la saccoccia di Morgan.
-Indossa tutto ragazzo- la lanciò a Morgan.
Morgan si infilò la giacca e il cappello, legò la spada e le pistole al cinturone.
-Quel ragazzo è mio nipote Morgan-
La ciurma era in silenzio, il loro capitano era Thomas Black e quindi quello era Morgan…
-Dì per intero il tuo nome, ragazzo- disse Thomas, poi avvicinandoglisi all’orecchio: -fallo con autorità-
-Mi chiamo Morgan Black!-
La folla esplose di gioia al nome del primo corsaro e corse verso il ragazzo, sollevandolo di peso e portandolo in trionfo.
Quella sera fu indimenticabile e il rum scorse a fiumi.
A notte fonda, Morgan uscì dalla sua stanza frastornato.
L’aria fresca gli fece subito bene e si sentì un po’ meglio. Andò alla balaustra di poppa, sopra il castelletto e lì trovò suo zio, ubriaco. Morgan fece uno stupido cenno con la mano, e lo zio gli rivolse un sorriso ebete in risposta. Entrambi barcollavano, ma sicuramente non per il lento rollio della nave.
-Guarda qua ragazzo- tirò fuori un foglio con la faccia di Morgan, sotto una taglia di diecimila dobloni. Thomas rise:
-Sei una leggenda ragazzo!-

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Capitolo 7
*** Le colonne d'Ercole ***


7.Le colonne d'Ercole
Capitolo 7
Le colonne d’Ercole


Erano ormai una decina di giorni che navigavano lungo le coste della Spagna, e non riuscivano a trovare un luogo isolato dove rifornirsi d’acqua e cibo. Ormai bere rum tutti i giorni faceva innervosire i pirati, non che non gli piacesse sia chiaro, ma l’uso prolungato di alcol cominciava a fare il suo effetto.
Erano sempre più frequenti risse e discussioni e a Morgan sembrò che anche lo zio fosse molto nervoso.
Quel giorno di giugno il caldo era terribile e il pirata di coffa era tramortito dal sole, tanto che Thomas lo fece sostituire. Appena quello fresco salì urlò alla ciurma:
-Le colonne d’Ercole-
Tutti si innervosirono ancora di più perché se andava bene il passaggio era presidiato da navi della marina, se andava male ti attaccavano. E una caravella non poteva far niente contro qualche paio di galeoni ben armati.
Thomas urlò in rimando: -Quante navi?-
-Capitano. Nessuna-
La ciurma esplose in urla di giubilo e volarono i cappelli.
La nave si stava avviando lentamente verso l’ultimo promontorio che li separava dallo stato di Gibilterra, possedimento inglese. Morgan guardò lo zio e vide che, lentamente, al posto del sorriso gli comparve un’espressione di orrore. Il ragazzo si voltò e capì perché. Davanti a loro stavano sei fregate della marina militare inglese, armate fino ai denti. L’incontro fu casuale perché di sicuro non li stavano aspettando, ma quando la caravella ormai lanciata passò vicino ad una delle fregate dall’ammiraglia arrivarono una serie di ordini, accompagnate dai segnali. Thomas capì i segnali: pirati, attacco.
Era troppo tardi. Avrebbe potuto sfruttare solo la sua velocità, perché le fregate erano stracariche di cannoni e munizioni.
“Pensa” si diceva mentre la prima fregata caricava i cannoni.
Poi vide che dopo la cittadina c’era un promontorio unito alla costa solamente da una strisciolina di sabbia. Non c’era altra soluzione, anche perché la fregata cominciava ad avvicinarsi.
-Calate l’ancora di destra e armate i cannoni!- urlò.
Con grande fragore i pirati lasciarono cadere in mare l’ancora che si tuffò con mille spruzzi mentre sotto il ponte si sentivano le palle di cannone entrare negli obici. L’ancora fece il suo dovere, come aveva calcolato Thomas, perché il fondo era abbastanza basso e fece roteare la nave sul suo asse verso destra, così facendo evitò la bordata della fregata. Poi il capitano urlò:
-Fuoco!!!-
La caravella infatti, roteando era arrivata in prua alla fregata.
Con somma gioia di Thomas la bordata colpì la prua, demolendola completamente. La prima nave stava imbarcando acqua, inclinata in avanti, e presto sarebbe affondata.
Pensando che non gli sarebbe andata bene un’altra volta Thomas corse al timone, levò di mezzo il timoniere e cominciò a virare:
-Issate l’ancora, cani randagi!-
L’Atalaia ripartì slanciata verso terra.
I pirati mormorarono e Thomas urlò ancora:
-Vi fidate di me?-
Nessuna risposta.
-Sappiate che dovete se non volete marcire per sempre nelle segrete inglesi!-
L’Atalaia stava filando e Thomas diede un altro ordine:
-Tutte le vele al vento!- poi, a bassa voce tra sé aggiunse: -Non ce la faremo mai-
Poi incredibilmente arrivò un’improvvisa folata di vento che spinse la nave oltre la sua velocità consentita, facendo tendere pericolosamente le vele. Thomas doveva correre il rischio.
La terra era sempre più vicina.
Due marinai si lanciarono in acqua spaventati dalla follia del loro capitano, subito giustiziati dai moschetti dei soldati della fregata inseguitrice. Ciò fece desistere gli altri.
L’impatto fu tremendo e la chiglia grattò rumorosamente sul terreno, per fortuna morbido. La nave scivolò ancora sospinta dal vento fino all’altra parte di mare, nell’Atlantico. Dietro di loro due fregate si arenarono, la terza andò a cozzare contro una di quelle, ed affondarono. Le altre desistettero, ai comandanti aspettava una dura punizione.
La ciurma esplose di gioia e il capitano fu il primo a lanciare in aria il cappello.
Poi l’Atalaia riprese il viaggio.
Morgan si avvicinò allo zio:
-Dove siamo diretti?-
-Alla spado-
-Dove sarebbe?-
-No è Palos, perché se cambi le lettere a “da Palos” viene fuori “la spado”-
Morgan ebbe un tuffo al cuore ed estrasse subito il foglietto. Ma certo era un anagramma! Grazie allo zio aveva già risolto una parte dell’indovinello e sicuramente a Palos sarebbe riuscito a risolverlo completamente.
Tutti i pirati si prepararono ad un’altra scampagnata con i loro vecchio e caro amico rum
.

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Capitolo 8
*** L'enigma del pirata ***


8.L'enigma del pirata
Capitolo 8
L’enigma del pirata

Morgan si svegliò alle prime luci dell’alba, intontito ancora una volta dal rum. Sulla nave c’erano soltanto una decina di marinai che lavoravano: sembravano macchie nere contro il rosso del sole nascente. Sbadigliò sonoramente e si avviò verso il castelletto di prua, salì le scale e barcollò verso la balaustra. Il vento in poppa lo fece subito star meglio, ma continuò a sentirsi gli occhi gonfi e la testa pesante; sentì dei passi e il legno delle scale scricchiolare dietro di lui, si girò e vide Aurora. Aveva messo da parte i suoi classici vestiti ed ora vestiva una camicia a maniche larghe e un paio di pantaloni tenuti su con una cintura; ai piedi portava un paio di stivali neri.
“Che piratesca!” Morgan sorrise. La ragazza si accostò a lui sulla balaustra, sospirò e lo guardò con i suoi occhi verdi fissi in quelli dell’altro, altrettanto verdi.
-Che c’è?- chiese Morgan.
-Perché mi hai portata con te?- Aurora lo fissava.
-Era la cosa giusta. Eri sola- ora era serio.
-E’ vero, ma io non posso fare la piratesca- piagnucolava quasi.
-Ma se tuo padre era un pirata! Piuttosto famoso anche, pensa che…-
-Oh, finiscila! Io non avrei voluto essere come mio padre, sempre in giro per il mondo, non è la vita che fa per me-
-Ma la vita che facevamo prima non era meglio; io riuscivo a sopportarla solo con te accanto- cinse con un braccio Aurora, che rabbrividì.
-Xavi…Morgan, ti sei mai chiesto perché ti seguivo così tanto?- riprese a fissarlo, stringendogli il braccio.
-Un milione di volte- sorrise fissandola.
-Per questo- gli mise le braccia intorno al collo e lo baciò. Morgan le cinse la vita e ricambiò con passione. Ora che ci pensava era da tempo che desiderava farlo, ma qualcosa glielo aveva sempre impedito.
Si staccarono e Aurora passò una mano nei capelli castani di Morgan, prima di trarlo a sé e riprendere da dove si erano fermati. Si staccò:
-Sai di rum!- rise –Tornami a cercare quando ti è passata la sbronza-
Si allontanò guardandolo e sorridendo. Morgan non potè fare a meno di sorridere e si avviò a prua lentamente. La coffa urlò: -Siamo arrivati!- Palos stava dinanzi a loro, seminascosta da una baia.
L’Atalaia avanzava placida nel mare infuocato del mattino, puntando dritta alla sua meta, che se ne stava appollaiata su un piccolo promontorio proteso verso l’orizzonte. Intanto la ciurma si era destata all’urlo della coffa e Thomas stava barcollando verso Morgan in maniera impietosa. Tutti i pirati erano nelle stesse condizioni.
-Ehi ragazzo. Cosa ne dici se ti facessi ormeggiare?- pronunciò le parole con fatica immensa.
-Sarebbe fantastico!- rispose Morgan entusiasta.
Allora Thomas gli fece un cenno invitandolo a seguirlo. Lo condusse al timone e lo aiutò nelle manovre. Alla fine l’Atalaia potè riversare tutto il suo carico sulla banchina del porto. Morgan scese ricevendo le pacche di tutti sulle spalle.
-Una gran bella manovra- disse Thomas.
-Ma sei hai fatto tu!- rispose Morgan piccato.
-E’ quello che credi tu. Ho semplicemente finto- e se ne andò lasciando il nipote di stucco.
Morgan balzò sul molo e seguì il gruppo che si avviava alla taverna. Frugò nella tasca ed estrasse il foglio. La scritta era ancora lì: “Orco, nemici! La spada”.
Ora sapeva che era un anagramma ed aveva già le prime due parole: “da Palos”.
La taverna era abbastanza accogliente, per quanto possa esserlo una taverna frequentata abitualmente da torme di pirati. Ma a Morgan non interessava quel luogo, dal momento che l’avrebbe distratto dal suo scopo. Per questo puntò dritto verso il promontorio che aveva visto dall’Atalaia. Arrivò a corsa, trafelato, e si appoggiò ad una roccia che spuntava tra la vegetazione secca, quando il sole era già alto nel cielo. Tirò fuori il foglio dalla tasca, prese un carboncino e provò l’idea che gli era venuta. Sul foglio c’era scritto: “Orco, nemici! La spada”. Provò ad invertire l’ordine delle lettere e dopo alcuni minuti il risultato fu: “Comincerai da Palos!”.
Ecco, era fatta. Ma ora? Era a Palos ma non gli veniva in mente niente. Poi, abbassando lo sguardo, vide un sasso tra i suoi piedi. Sulla sua superficie risaltava la scritta: “Palos”. Morgan lo raccolse e si accorse che dentro era cava, dentro c’era un rotolino di pergamena consumato e logoro. Morgan lo estrasse. Un altro indovinello campeggiava in nero sul bianco: “Cinque sorelle, in mezzo al cielo, la più piccola educa le altre; segui l’astro, e quando muore le si spegne nella bocca”.

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