The darkness and the light

di Everlast98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chanter ***
Capitolo 2: *** La mia famiglia ***
Capitolo 3: *** La mia vita e' uno schifo ***
Capitolo 4: *** Quando tutto ebbe inizio... ***
Capitolo 5: *** Spiegazioni per ognuno di noi ***
Capitolo 6: *** L'inizio e' sempre difficile ***
Capitolo 7: *** La motivazione della metamorfosi ***
Capitolo 8: *** Un nostro inizio ***
Capitolo 9: *** Le nostre strade si dividono ***
Capitolo 10: *** Separati non siamo niente ***
Capitolo 11: *** Il cambiamento ***
Capitolo 12: *** Indecisioni ***
Capitolo 13: *** Nuovi incontri in discoteca ***
Capitolo 14: *** Roy e la sua storia ***
Capitolo 15: *** Lo scontro ***
Capitolo 16: *** E' arrivata la mia fine ***
Capitolo 17: *** Mistero ***



Capitolo 1
*** Chanter ***



Era un giorno come tanti, mi alzavo sempre alla solita ora per andare a scuola e mi preparavo. Misi i miei pantaloni stretti preferiti blu a fiori sulle tinte del rosa per risaltare il mio fondoschiena, una canotta celeste aderente per risaltare la mia terza di seno con sopra un cardigan color carne per non sembrare accattivante. Mi avvicinai alla scarpiera e presi le mie vans rosa chiaro, quasi confetto. Andai in bagno, dove c'era lo specchio per mettermi, leggermente, la matita nera, per risaltare i miei occhi marrone scuro, quasi neri, e un lucida labbra trasparente. Poi presi un elastico e incominciai a farmi una coda, quando finii la presi e la legai in una cipolla roscia abbastanza ordinata. Corsi subito per prepararmi la cartella, mettendo un quaderno a righe e a quadretti nello zaino turchese a righe bianche con le rifiniture di pelle marroni. Frettolosamente tornai in bagno per darmi un ultima occhiata e vedere se tutto stava in ordine. Vestiti, trucco e capigliatura erano perfetti, poi passai ad osservarmi lo smalto rosa carne con il french bianco brillantinato. Anche lui era perfetto. Quando finii di contemplare le unghie, iniziai a guardarmi la pancia indecisa se alzare la maglietta, o meno, per controllare una cosa. O meglio, per ripormi come tutte le mattine la solita domanda: «Perché?». Avvicinai lentamente la mano ai lembi della maglietta e, quando ci riuscii, alzai, sempre con la solita velocità, la maglietta fino sotto il seno e vidi il problema alla mia domanda. Era piccolo, ma di un colore nero intenso e aveva la forma di uno spicchio di luna: era un tatuaggio. Ma non era il solito tatuaggio che ti facevi per sfizio o per ribellarti alla società, io non l'avevo mai chiesto, ci ero nata e basta. Nessuno mi aveva mai chiesto se lo volevo, nessuno della mia famiglia si era preso la briga di darmi qualche chiarimento, insomma nessuno sapeva niente di niente ed i questi io ero la prima a farne parte. Guardai quello spicchio di luna, vicino all'ombelico, per qualche minuto fino a che non mi stancai di pormi il solito «perchè?» del giorno. Abbassai la maglietta e scesi giù a fare colazione: latte e cereali, rigorosamente al cioccolato. Quando finii, misi le stoviglie nel lavandino, presi lo zaino e uscii di casa per dirigermi alla fermata dell'autobus. All'inizio potrei sembrare la ragazza perfetta, senza problemi, con un milione di amici e tanti ragazzi che mi venivano appresso, ma non era così. Con la mia famiglia non avevo un rapporto e a malapena ci degnavamo di un saluto quando ci vedevamo. In fatto di amici...forse era meglio non parlarne, perché io non avevo amici, io ero sola. Tutto questo era brutto, pesante' vorrei tantissimo una famiglia che mi coccolava, che mi apprezzava, che mi domandava come stavo e che mi facesse sentire a casa e protetta. Il mio viaggio in autobus durò all'incirca 30minuti, appena arrivai scesi e mi diressi all'entrata della scuola. Camminai per il corridoio da sola, come se fossi "la ragazza nuova". Mi guardavo intorno e ciò che vedevo era solo risate, scherzi, amicizia e amore. Appena guardavo delle coppie che si baciavano mi chiedevo sempre se tutto quello fosse vero o solo una finzione. La mia classe era composta da membri di tutti i tipi: ragazze che ti squadravano dall'alto al basso come se fossi un moscerino, quelle timide che non riuscivano a guardare, addirittura, il loro riflesso e poi c'ero io, "la solitaria". Vi starete chiedendo dove fossero i ragazzi...dove c'era casino c'erano anche loro, infatti si trovavano in fondo alla classe. Gli unici posto che trovai liberi erano entrambi ai primi banchi, gli altri erano occupati da altri ragazzi. Mentre tutti ridevano e scherzavano, una professoressa dall'aria severa entrò in classe. Io speravo solo che la sua aria severa fosse tutta una montatura.
«Bravi, è il primo giorno di scuola e già vi fate conoscere in questo modo. La scuola è un posto dove si studia e si sta in silenzio.»disse la professoressa.
«Prof., chi le dice che noi veniamo a scuola, per studiare?»disse uno dei tanti ragazzi spavaldi che si trovava in fondo.
La classe si mise a ridere, ma in fondo aveva ragione, chi viene a scuola solo per studiare!? Alcuni ci vengono per fare nuove amicizie, per conoscere gente, per divertirsi fra di loro.
«Come ti chiami, così ti segno già come ragazzo peggiore della classe e ti marchio a vita.»rispose la professoressa.
Dopo questo malinteso la prof. iniziò a spiegare cosa si sarebbe fatto in quest'anno, mentre i ragazzi e le ragazze degli ultimi banchi si scambiavano dei bigliettini.
-TOC TOC-
«Avanti...»disse la professoressa.
Nessuno si degnò di aprire la porta.
«Sarà uno dei tanti ragazzi cretini che si divertono a fare queste cose il primo giorno di scuola.»disse la professoressa per giustificarsi da quella mancanza di rispetto.
-TOC TOC-
«Avanti...»ridisse la professoressa.
E ancora una volta, nessuno si degnò di aprirla. La prof., furibonda, si stava dirigendo verso la porta, quando questa si aprì. Una ragazza, alta, formosa al punto giusto, capelli ricci e biondo cenere come il grano e occhi verdi come smeraldi, fece la sua comparsa.
«Ti serve qualcosa?»disse la professoressa.
«Questa dovrebbe essere la mia classe, mi hanno mandato qui.»disse la ragazza.
«Ora controlliamo subito, come ti chiami!?»disse la professoressa prendendo il suo registro in mano.
«Petal Ricci.»disse la ragazza, che da come diceva lei, si chiamava Petal.
«Sì, sei capitata nella classe giusta.»disse la professoressa dopo aver fatto scorrere il suo dito ossuto su tutta la lunghezza del registro fino a fermarsi alla "R".
La ragazza iniziò a guardarsi intorno spaesata...
«Cosa fai ancora qui? Vai a metterti seduta.»disse la professoressa.
«Non so dove mettermi.»disse Petal.
Tutta la classe iniziò a ridere, compresa io stavolta.
«Impossibile che non sai dove metterti. Ci sono dei posti solitari agli ultimi banchi, ma se non vuoi stare da sola puoi far compagnia a questa ragazza che si trova al primo banco.»disse la professoressa.
Solo dopo che mi accorsi di avere tutti gli occhi della classe addosso, mi resi conto che "a questa ragazza" ero io. Petal non se lo fece ripetere due volte e si mise seduta vicino a me.
«Ciao, sono Petal e tu come ti chiami!?»disse eccitata di fare amicizia il primo giorno di scuola.
«Pacere Chanter.»dissi dopo un lungo silenzio in cui io stavo pensando se presentarmi o meno.
«Sembri una ragazza silenziosa, timida, che non vuole fare amicizia, vero!?»disse e tutto il suo entusiasmo si spense insieme al suo sorriso.
«Io? Beh, ecco...»dissi rimasta stupita da quella domanda e situazione.
«Come pensavo. Però non è difficile fare amicizia, guardati intorno, ci potrebbero essere persone stupide che darebbero la vita per conoscerti.»disse lasciandomi senza parole.
«Sono timida e, per ora, faccio fatica a fare amicizia.»dissi sorridendo dopo aver preso un'altra pausa visto che con la precedente affermazione mi aveva lasciato senza parole.
«Beh, per ora, hai trovato la tua prima amica, cioè io.»disse
Io la guardai e le sorrisi.
§   §   § 

Tutti corsero all'uscita mentre io camminavo tranquillamente per i fatti miei. Non avevo tanta voglia di ritornare a casa.
«Che fai? Non vuoi andartene? Corri!»mi disse un ragazzo mentre passava, o meglio, correndo, anche lui.
Lo guardai e, credo, che arrossii lievemente.
«Beh, ci vediamo. Ciao.»disse sfuggendo alla mia vista.
Uscita da scuola, mi recai alla mia solita fermata dell'autobus. Il viaggio durò 30minuti, ma mi parve molto di meno visto che stavo con lo sguardo perso oltre il vetro ad ammirare il paesaggio. Finalmente era arrivata la mia fermata. Mentre stavo scendendo, un ragazzo mi venne addosso e mi fece cascare per terra rovesciando tutto il contenuto del mio zaino.
«Guarda dove via. Ci sono un sacco di svitati e deficienti al giorno d'oggi.»disse un ragazzo sulla trentina d'anni.
Con quelle parole mi ferì e mentre si allontanava, feci scendere una lacrima sul mio viso. Intanto però un' altra persona aveva raccolto tutti i miei libri e mi stava porgendo la mano per alzarmi.
«Grazie.»dissi dopo aver accettato la mano che mi aveva dato per tirarmi su.
«Non potevo lasciare una ragazza per terra, che dici!?»disse quest'altro ragazzo.
Gli sorrisi e inizia a guardarlo...mi ricordavo qualcuno di familiare...
«Hey, aspetta tu sei quella ragazza che per la scuola, invece di correre, cammina. Piacere Federico.»
«Sì, sono io. Piacere Chanter.»
Rimanemmo a fissarci per 10minuti nei quali riuscì a captare la maggior parte dei tratti somatici di quel ragazzo: alto, almeno 1.75-1.80, pettorali scolpiti messi in evidenza dalla sua maglietta attillata a V nera, capelli biondi e lisci, che al contatto con il Sole diventano dorati e occhi marroni con delle pagliuzze verdi, insomma un bel ragazzo.
«Ora devo andare, ciao.»disse prima di scappare via, ma non prima di avermi mollato i libri in mano.
Entrai in casa, o meglio, entrai "nella casa dei morti". Mi recai immediatamente in camera mia, buttandomi di peso sul letto e rimuginando su questo primo giorno di scuola. Sarebbe stato magnifico se tutte le giornate fossero state come questa.

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Capitolo 2
*** La mia famiglia ***



La mattinata non era iniziata nel migliore dei modi. Stavo con lo sguardo perso nel vuoto mentre le lacrime mi ricavano il viso. Ci sarà al mondo una ragazza più triste di me? Il dolore mi stava uccidendo, non potevo parlarne con nessuno, dovevo tenermi tutto dentro, però le lacrime mi aiutavano. L'acqua mi aiutava a calmarmi, mi rinvigoriva, mi rilassava. Io amavo la pioggia, amavo la 
sua freschezza, il suo rumore che emetteva quando si scontrava con il tetto delle case, le figure che inventava sui vetri degli autobus o sulle finestre della scuola. Un'altra cosa che amavo era il buoi. Facevo tutto al buoi, piangevo, ascoltavo la musica, mangiavo, ascoltavo il rumore della pioggia al buoi. Buoi e pioggia per me erano tutto. Ma quando queste due cose non c'erano, come adesso, mi sentivo male, stanca, debole, inutile. Ma la cosa più brutta era un'altra. Che senso aveva vivere in un mondo in cui non si era apprezzati? In un mondo cui ti sentivi inutile? Dove a nessuno importi? Più mi ponevo queste domande e più le lacrime scendevano giù dal mio viso.
 
§   §   §

Mi alzai dal letto a causa del forte mal di testa che mi pulsava. Mi sentivo stanca e confusa. Non avevo voglia di fare niente e di vedere nessuno. Scesi, ancora con il pigiama, in cucina dove c'erano tutti. Un imbarazzante e straziante silenzio crebbe tra di noi quando arrivai. Perché? Ero di troppo in questa casa? L'unica cosa confortante in tutto ciò era la mia sorellona che, anche se litigavamo o non ci parlavamo per settimane, mi voleva bene. Guardai mia madre.
«Buongiorno.»dissi con voce tremolante a mia madre.
Lei mi guardò per un paio di minuti e se ne andò senza rispondermi.
«Buongiorno.»disse mia sorella Carmela
La guardai e le sorrisi anche se dal mio viso scese una lacrima.
«Ti preparo la colazione o vai via?»mi chiese mai sorella
«Io? Beh, ecco...meglio che vada.»dissi imbarazzata.
«Certo. Ciao.»disse prima che io mi fossi diretta verso le scale che portavano nella mia camera.
Forse era arrivato il momento di raccontarvi un po' della mia famiglia. Carmela aveva 17anni ed era completamente diversa da me. Capelli boccolosi mori, neri che le arrivavano fino a metà seno e due perle grigie si trovavano al posto degli occhi. Era poco più alta di me, all'incirca 1.65, formosa al punto giusto. Mi capitava che alcune volte la sentivo sfogarsi, piangendo, nel suo letto, cercando di opprimere i singhiozzi, non parlava mai dei suoi problemi con me, con mamma o con chiunque altro. Mi sentivo sempre morire dentro non potendola aiutare. Non potevo fare niente per lei. Mia madre...io e lei abbiamo uno strano rapporto. Distante, freddo, dialoghi formati da semplici sguardi assassini, se potessero. Lei si è spenta con la scomparsa di mio padre e alla sua malattia. Sì, lei è malata di cuore. Tra un anno dovrà essere operata, il dottore ci aveva avvertite che era molto pericoloso e che, forse, non uscirà viva. È una donna sulla quarantina, corpo sciupato dal tempo e dalla mancanza di cure. I suoi occhi azzurri, come il mare, erano contornati da delle occhiaie molto evidenti ed erano...spenti. Il volto era scarno e gli zigomi erano molto sporgenti rispetto al normale, aveva la pelle secca non solo del viso, ma anche del corpo. Le unghie delle mani e dei piedi erano tutte spezzate e rovinate. I suoi capelli, una volta splendenti e mossi, erano di un castano scuro opaco, privo di vita, pieno di nodi e disordinati. Lei, a differenza di me e Carmela, non aveva avuto tatuaggi fin dalla nascita, ma si era fatta una lupa sulla parte interna del polso. Una delle tante cause del fallimento della nostra famiglia era nostro padre. Ha deciso di abbandonarci, ma il fatto era che aveva deciso tutto in una notte.

Inizio Flashback

Era domenica mattina. Il cielo era oscurato da qualche nuvola che non minacciavano di piovere. Io, Carmela e mia madre eravamo giù a fare colazione. Eravamo tutte con il pigiama, ridevamo, scherzavamo, sembravamo una vera e propria famiglia felice. Ad un tratto sentimmo dei rumori provenire dal piano di sopra. Dopo qualche minuto vedemmo nostro padre, con delle valigie in mano, dirigersi verso la porta di casa.
«Io vado, addio.»disse freddo e guardando il pavimento.
Aprii la porta e se ne andò.


Fine Flashback

Da quel giorno la nostra famiglia era diventata un vero disastro, una vera delusione. Ed ecco a voi la mia famiglia assente. Stavo ancora davanti all'armadio per decidere cosa mettermi prima di andare a scuola. Alla fine optai per una camicia tre quarti blu, dei jeans grigi e le vans nere. Misi una cintura di cuoi nera perché i pantaloni mi stavano un po' grandi. Guardai fuori dalla finestra e vidi un Sole splendente, così decisi di mettermi anche un cappello, con visiera, nero. Presi la prima borsa che mi capitò e ci misi dentro tutto il necessario.

Arrivai a scuola e con lo sguardo cercai di trovare il ragazzo che l'altra volta mi aveva aiutato ad alzarmi da terra. Volevo vedere il suo sorriso contagioso per almeno qualche secondo. Alla fine entrai in classe delusa, c'erano i soliti idioti, ma poi vidi Petal farmi cenno di venire da lei.
«Eccoti Cha.»disse lei entusiasta.
«Ei, come va!?»dissi io contagiata dal suo entusiasmo.
«Beh...non saprei.»disse facendo svanire tutta quell'allegria che prima la possedeva.
«Io non ho dormito tutta la notte e sono abbastanza stordita e confusa.»
«Hai pianto!? Hai gli occhi gonfi.»disse preoccupandosi del mio stato.
«No, no, non ho pianto. Va tutto bene.»dissi con, forse, troppa freddezza.
«Sentimi...so cosa vuol dire piangere e non sentirsi amata dalla propria famiglia. Tu non sai niente di me e della mia vita.»disse con tono serio.
«C...come!?»dissi sbalordita da quello che aveva detto.
«Non ho voglia di parlare.»disse con la stessa freddezza che io, in precedenza, avevo usato.
Sentendo tutto ciò, il mio cuore si ghiacciò, mi immersi nei miei pensieri non riuscendo a non farli andare via. Forse lei avrà i miei stessi problemi?

 
§   §   §

Stavo ancora pensando a Petal. Che cosa aveva voluto dirmi? Aveva la mia stessa vita? Sentivo uno strano legame con lei, ma non riuscivo a capire che cosa ci fosse sotto a tutto questo.

Persa nei miei pensieri, mi andai a scontrare con qualcuno.
«Di nuovo tu!?»disse una voce molto familiare.
«Oh, scusami.»disse senza guarda a chi fossi andata addosso.
Alzai piano la testa. Non potevo crederci, era lui. Adoravo immergermi nei suoi occhi marroni con pagliuzze verdi guardare il suo ciuffo biondo come il Sole e sorridere insieme a lui.
«Andiamo a casa insieme?»disse cercando di sciogliere il ghiaccio.
«Ok.»dissi un po' in imbarazzo.
«Andiamo...»
Ci avviammo alla fermata, ma l'autobus non si fermò.
«Ci tocca andare a piede.»
«Ah, davvero. Fa niente.»dissi dopo essermi ripresa dalla vista dei suoi pettorali appena visibili da sotto la maglietta nera.
Dovevo riprendermi velocemente. Stavo arrossendo in continuazione ogni volta che lui mi rivolgeva la parola.
«Beh, ecco...»dicemmo insieme io e Federico, prima di guardarci e di ridere contemporaneamente.
Dopo la lunga scarpinata carica di sguardi e di silenzi, arrivai a casa, maledicendo il poco tempo passato insieme a lui.
«Eccoci arrivati. Io abito in quella casa che sta laggiù.»disse indicandomi una casetta molto graziosa.
«Grazie, ci vediamo.»
Lui si avvicinò di più a me lasciandomi un bacio sulla guancia. Mi sentivo stranamente più leggera, il battito del cuore stava accelerando, l'ansia mi stava giocando brutti scherzi, volevo stringerlo forte, anche se un motivo non c'era. Sarà fidanzato? Gli interesserò? Ci sarà mai un posto per me nel suo dolce e caldo cuore?

SpAzIo AuTrIcE

Angelina Jolie in Sienna, la mamma di Chanter e Carmela, la sorella di Chanter


Jennifer Lawrence in Carmela, la sorella di Chanter

 

Bella Thorne in Chanter


Alex Pettyfer in Federico


Claire Holt in Petal

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Capitolo 3
*** La mia vita e' uno schifo ***



Appena un raggio di Sole mi toccò il viso, capii che non era giornata e così decisi di non andare a scuola, sarei stata a casa almeno per un giorno.

«Cosa!? Non sei andata a scuola!»sentii urlare dalla soglia della mia camera, ma era una voce che, soprattutto, quest'anno avevo sentito pochissimo.
Non feci tempo a reagire che mia madre mi levò le coperte da dosso, mi picchiò e mi disse le peggiori parole che una madre poteva dire ad una figlia. Quelle parole mi avevano ferito nel profondo del cuore e le lacrime uscirono involontariamente dai miei occhi. "Gli schiaffi" facevano meno male delle "parole". Il dolore delle "parole" ti segnavano la vita, il dolore degli "schiaffi" andava subito via. Mia madre si chiamava Sienna, era molto assente nella mia vita. Pensava sempre a sé stessa, ma pensava al mio futuro, o almeno credevo. Di quale futuro stavamo parlando se acconto a me mancava un affetto materno? Non lo sapevo nemmeno io. Molte volte avevo sperato che lei entrasse, senza motivo mi desse un abbraccio e poi mi dicesse Ti voglio bene. Tante volte avevo sognato tutto ciò, ma sapevo che mai sarebbe successo. La mia vita ormai era stata segnata. Il destino voleva che io maturassi da sola e prematuramente. Erano le 08:30, potevo ancora farcela ed entrare con un po' di ritardo. Noi, alunni, potevamo entrare fino alle 09:00. Non ero mai stata una ragazza perfetta, secchiona, preferivo che gli altri mi adorassero per ciò che ero io e non per ciò che gli altro volevano che diventassi. Mia madre non aveva smesso di picchiarmi, fino a quando un raggio di Sole le colpì il volto e la bruciò, cadendo per terra. Lei mi guardò dritta negli occhi. Era arrabbiata, ma anche sorpresa. Forse non se lo aspettava. Quando si alzò, il raggio di Sole scomparve e con lui mia madre. Ero...stupita! Ma cosa era successo pochi minuti fa? Un raggio di Sole aveva colpito in pieno il viso di mia madre bruciandola, come se volesse proteggermi. Sembrava come se...io per difendermi dai suoi schiaffi avessi chiesto al Sole di aiutarmi...no, non poteva essere vero, era una mia impressione, sì era proprio così. Mi avvicinai tutta dolorante e stanca all'armadio e lo aprii. Presi una canottiera grigia con le scritte nere, un pantaloncino beige, un cardigan color panna e delle scarpe grigio scuro. Mi avvicinai al portagioie e presi una collana d'oro con la croce, degli orecchini con i baffi e un bracciale d'oro. Afferrai la borsa con la stessa fantasia degli orecchini e ci misi dentro i miei occhiali da sole e altre cose varie. Non mi truccai e lasciai i capelli sciolti. Per le 08:45 ero davanti ai cancelli della scuola, entrai in classe e, in silenzio, mi sedetti vicino a Petal. Indossava una camicia bianca, un maglione marrone, sopra, dei leggings neri e delle scarpe marroni. Niente trucco o acconciatura strana. Come avevo detto prima, questa giornata non era iniziata nel migliore dei modi e infatti mi dimenticai di prendere i quaderni e l'astuccio. Che cosa ci facevo a scuola senza un quaderno o una penna? Ero nei guai, cercai di fare finta di niente e seguii la lezione, ascoltando tutto ciò che disse il professore, mentre gli altri prendevano gli appunti.
«Prendi il quaderno e la penna e scrivi come tutti i tuoi compagni.»disse il professore vedendomi senza niente.
Il professore sembrava pendere dalle sue labbra, era incantato per ciò che disse finché un altro nostro compagno lo chiamò e lui dovette andarsene. Non sapevo cosa dire, cercai di aprire la bocca, ma non ne uscì niente e lo guardavo fisso negli occhi, mente i miei erano sul punto di lasciar cadere qualche lacrima.
«Chanter mi ha dato il quaderno perché ero rimasta indietro, scusi è colpa mia.»disse Petal dandomi un suo quaderno con una penna dentro.
Non potevo credere a ciò che avevo appena sentito, qualcuno mi aveva difeso, aiutato.
«G-grazie Petal.»disse con voce tremante.
«Di niente.»

 
§   §   §

Ormai la scuola era finita, con un finto sorriso uscii e vidi Federico con un'altra ragazza. Sul mio viso scesero alcune lacrime di cui Petal non riusciva a spiegarsi visto che mi guardava con aria interrogativa. Guardai attentamente la ragazza accanto a lui: capelli ricci e castano chiaro, occhi azzurri, come il cielo, alta, magra e formosa. Indossava una maglietta a tre quarti azzurra, dei jeans grigi e i sandali che riprendevano il colore della maglia. Aveva un bracciale, degli orecchini con i diamanti e un anello, molto appariscente. Aveva le mani curatissime e si sentiva benissimo il suo profumo delicato e dolce. Portava i capelli in una disordinata treccia laterale e il suo viso non era segnato dal trucco. Lui era...perfetto. Indossava un maglione nero a righe bianche e rosse, dei jeans strappati e delle scarpe nere. Avevo un orecchino azzurro, un braccialetto d'oro con vaghi accenni dello stesso colore e una collana sugli stesso toni. Mi ero illusa di poter essere la sua ragazza un giorno. Io non avevo nient e di speciale, solo tanti problemi che non si risolvevano. Il problema era che essi non si risolvevano da soli.

SpAzIo AuTrIcE

Olivia Wilde in Viviana, la ragazza che stava insieme a Federico

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Capitolo 4
*** Quando tutto ebbe inizio... ***



Non potevo immaginare che sarei stata male per un ragazzo. Mi ero innamorata...mi ero innamorata della persona sbagliata. Insomma...questo era uno dei tanti ragazzi gentili e carini di cui mi ero innamorata, forse facevo così perché non avevo mai avuto una relazione seria e perché non avevo mai condiviso gioie e dolori con nessuno. Ero stanca della mia vita, delle mie imperfezione e di 
me stessa. Gli schiaffi di mia madre, la distanza che si era creata tra me e Petal e la ragazza di Federico mi avevano affaticato e senza volerlo caddi in un lungo e profondo sonno.
 
§   §   §

Aprii lentamente i miei occhi e rimasi a guardare il soffitto con l'intento di non andare a scuola anche se sapevo che mia madre mi avrebbe menato. Non volevo vedere di nuovo Federico con la sua ragazza. Ero in ansia per la futura reazioni di mia madre riguardo a ciò. Avevo imparato con il tempo che a lei le importava il mio futuro solamente che me lo dimostrava in un modo diverso e un po' brusco, forse anche troppo, ma lei rimaneva mia madre ed era la mia roccia. Anche se non ci degnavano mai di uno sguardo o di una parola. Andavo avanti indietro, dalla mia camera a quella di mia sorella, mentre Carmela mi guardava male non capendo il mio comportamento. Improvvisamente delle lacrime mi scesero dagli occhi, entrai in camera mia e sbattei forte la porta dietro di me. Che mi stava succedendo? Perché mi sentivo così in ansia, così...strana? Non riuscivo a trovare delle risposte alle mie domande ed era frustrante tanto che mi scesero molte più lacrime di prima. Sentii dei passi avvicinarsi alla mia camera, con un veloce gesto aprii la porta e mi ritrovai l'unica persona che al momento non volevo proprio vedere: mia madre. Mi girai di spalle a lei, non volevo guardarla in faccia e non volevo ancora darle un'altra delusione. Lei rimase lì, ferma. L'improvviso silenzio che si era creato da noi fu rotto da un mio singhiozzo.
«Perché piangi? Che succede?»mi chiese con fare nervoso.
Non parlai colta di sorpresa sia perché mi aveva parlato sia perché era...strana, anche lei. Rimasi immobile. Si avvicinò di più a me e, forse per il mio stato penoso, alcune volte sospirava.
«Sei la mia rovina!»urlò uscendo dalla mia stanza sbattendo bruscamente la porta.
Quelle parole riaprirono le ferite fresche di ieri e accasciandomi a terra, piansi. Perché ero lì? Ero sola, ero inutile.

 
§   §   §

La noia mi stava uccidendo. Non potevo rimanere un altro minuto di più in quella casa. Mi avvicinai dall'armadio e presi una maglietta a maniche corte turchese, una gonna blu e dei sandali di cuoi marroni. Misi un cinturino di cuoio abbinato ai sandali, degli orecchini argentati con gli uccellini e un anello nero. Mi diressi in bagno e mi specchiai. Avevo gli occhi gonfi. Decisi di mettermi un po' di mascara, dopo tonnellate di correttore per eliminare il gonfiore sotto gli occhi, e un rossetto rosso scuro per far attirare l'attenzione sulle mie labbra a cuore. Presi il mio telefono con la cover azzurra con le nuvole bianche e andai verso la porta. Mentre scendevo le scale, mi scontrai con mia sorella.
«Dove vai?»mi chiese con tono curioso.
«Vado a fare una passeggiata...»dissi.
«Aspetta, vengo pure io.»disse correndo al piano superiore.
Andai in salotto e aspettai il suo ritorno.

POV. CARMELA

Mi diressi velocemente all'armadio, non volevo far aspettare mia sorella di sotto. Indossai una canottiera blu a fiori, degli shorts strappati e le scarpe alte bianche. Presi i miei occhiali da sole e il mio telefono con la cover con delle palme e la scritta Pink e mi infilai un anello d'oro. Andai in bagno e misi un po' di mascara nero sulle ciglia e un lucida labbra. Avevo finito, ma prima di uscire presi una cosa per Chanter. Forse era arrivato il momento di spiegare un po' di cose...scesi giù e la trovai seduta sul divano con lo sguardo perso nel vuoto. Tirai fuori il telefono e decisi la cosa, secondo me, migliore al momento.

SMS A VIVIANA
*È arrivato il momento. Vediamoci all'inizio del bosco tra qualche minuto. Avverto io Pagan e gli altri, porta il tuo gioiello.*


SMS A PAGAN, BEE E STONE
*Ragazzi portate tra qualche minuto i vostri gioielli al bosco. Dobbiamo farli incontrare, dobbiamo dirgli e spiegargli alcune cose.*


Dopo aver mandato a tutti i messaggi andai da Chanter. Lei si alzò dal divano e, velocemente, uscii di casa. Avevo insistito per andare al bosco di nostro padre. Lui lo adorava, ci andavamo sempre insieme. Mi misi per terra e fui subito seguita da Chanter che si posizionò vicino a me. Chiuse gli occhi lasciandosi scompigliare i capelli dal vento fresco. Decisi che era il momento giusto, tirai fuori una benda e la posizionai davanti ai suoi occhi
«Carmela, ma che stai facendo!?»disse agitandosi un pochino.
«Ti fidi di me?»le chiesi
«Sì, mi fido di te, ma...»
«Allora se saprai aspettare tutti i tuoi dubbi svaniranno, te lo prometto.»le dissi e a quelle parole si tranquillizzò. Ora dovevo solo aspettare Viviana e Pagan, visto che Bee e Stone erano occupati a proteggere i loro gioielli. Erano rimasti incastrati a Londra con una ragazza e un ragazzo ignari dei loro poteri, come sempre d'altronde. Intanto a Chanter decisi di presentarle metà dei mio gruppo e metà del suo. Sapevo già come l'avrebbe presa, ma non c'era più tempo da perdere. Lui si stava risvegliando.

POV. FEDERICO

Ero ormai a casa, seduto sul divano. Stavo giocando con la Play, ma la mia testa era rivolta ad un'altra persona: Chanter. Quella ragazza era un scrigno misterioso e mai stato aperto da nessuno. Era una ragazza strana: capelli rosso come il fuoco, mi sembrava ancora incredibile che non siano tinti, occhi penetranti ed osservatori, di una tonalità così scura, quasi nera, erano...intriganti. Era strano che pensassi a lei quando avevo vicino a me Viviana. Sì, Viviana era la mia ragazza, ci conoscevamo da quando eravamo bambini. I nostri genitori si conoscevano da tempo, erano compagni di scuola e si erano entrambi trasferiti qui, ma poi la famiglia di Viviana era dovuta ritornare alla sua città natale. Adesso Viviana alloggiava in casa nostra finché non riuscirà a trovare un piccolo appartamento adatto a lei e al suo salario. Lei aveva lasciato la scuola quest'anno e aveva deciso di andare a lavorare per vivere visto che i suoi genitori erano fuori per lavoro. Lavorava, adesso, come raccoglitrice e venditrice di funghi, fragole, castagne e tutto ciò che si poteva trovare nel bosco. Viviana era una ragazza splendida e bellissima: adoravo attorcigliare i suoi ricci castano chiaro quando si metteva vicino a me e mi piaceva perdermi nei suoi occhi azzurro cielo, erano magnetici, sorprendenti. Era una ragazza solare, divertente, disponibile, seria, responsabile, insomma...perfetta. Io invece a cosa pensavo!? A Chanter, una ragazza scorbutica, chiusa, acida, ma lo dovevo ammettere, il suo modo di fare e i suoi movimenti, gesti erano...intriganti. Erano ormai ore che pensavo a lei, volevo chiarirmi le idee, ma non riuscivo a trarne nessuna soluzione. Dovevo svagarmi in un altro modo.

POV. VIVIANA

Ero appena uscita dalla doccia, mi ero messa l'asciugamano e mi asciugai i capelli. Presi la piastra, li feci diventare boccolosi e mi avviai, ancora con l'asciugamano addosso, verso l'armadio di Federico. Avevo appena messo apposto la mia roba, Federico mi aveva lasciato uno spazio libero solo per me, forse anche troppo grande, ma aveva fatto bene, ero una femmina avevo bisogno di MOLTO spazio. Presi le prime robe che trovai: maglione bianco con la scritta nera Let's make out, shorts blu scuro e scarpe basse nere. Misi la cover bianca con scritte e disegni neri al telefono e scesi giù per raggiungere Federico. Lo trovai tale e quale a come l'avevo lasciato: giocare, in modo assente, con la Play. Sì, ormai lo conoscevo bene, sapevo che con il corpo era presente, ma con la testa era rivolta a qualcun altro...o qualcun'altra...la cosa mi infastidiva! Io ero la sua ragazza, poteva essere solo mio, ma sapevo che doveva esserci qualcos altro con quella ragazza...come si chiamava!? Ah sì, Chanter, mi sembrava. Era una ragazza...carina: capelli rossi, molto probabilmente tinti, occhi marrone scuro, quasi neri, privi di emozioni, banali. Oltre ad essere una ragazza banale, una come tante, era anche acida, antipatica, chiusa e, ero sicurissima, che stesse macchinando qualcosa contro di me, per rubarmi Federico. Ero rimasta sullo stipide della porta del soggiorno quando mi vibrò il telefono. Era un messaggio

SMS DA CARMELA
*È arrivato il momento. Vediamoci all'inizio del bosco tra qualche minuto. Avverto io Pagan e gli altri, porta il tuo gioiello.*


Non poteva accadere adesso...speravo con tutta me stessa che questo momento non arrivasse, soprattutto adesso che avevo ritrovato Federico. Purtroppo non potevo fare niente, Lui si stava risvegliando e l'unica cosa che potevo fare era di passare questo ultimi momenti insieme. Mi avvicinai a lui e mi sedetti sul divano.
«Amore?»dissi cercando di trattenere le lacrime imminenti.
«Sì? Che succede?»disse fermando il gioco e prestandomi tutta l'attenzione possibile, era davvero preoccupato per la mia reazione.
«Tranquillo...ti va di uscire!? Dovremmo andare in un posto...»
«Dove?»
«Mi dispiace...è una sorpresa, ti fidi di me!?»dissi facendogli il mio sorriso più falso.
«Certo che mi fido di te! Che domande!»rispose sorpreso dalla mia domanda.
«Ok...andiamo!»dissi prendendolo per la mano e tirandolo sù.
«Aspetta...mi devo cambiare. È da più di 5ore che sto con questi vestiti.»
«Ok. Vai.»
E lo vidi salire sù le scale. Forse quella era veramente l'ultima volta che l'avrei visto in casa con la sua monotona vita.

POV. FEDERICO

Salii sù la scale velocemente. Chissà cosa voleva dirmi Viviana...speravo niente di brutto. Mi avvicinai all'armadio e presi una maglietta nera con la scritta bianca, dei jeans bianchi con qualche macchia di grigio e delle scarpe nere. Scesi giù e la trovai con lo sguardo perso nel vuoto a pensar chissà che cosa...mi sentivo male, non volevo vederla così, ci tenevo tanto a lei. Andai più vicino a lei e l'abbracciai. La sentii sussultare per quel gesto e dopo qualche minuto lo ricambiò. Lei mi scostò e circondò le sue mani dietro il collo, tirandomi appena i capelli. Amavo quando faceva così e lei lo sapeva. Io istintivamente misi le mie mani sui suoi fianchi mentre lei si era messa in punta di piedi avvicinandosi alle mie labbra. Si avvicinò e lasciò solo qualche centimetro di distante tra le nostre bocche. Il suo respiro si fondeva con il mio, il suo petto, ormai attaccato al mio, andavo al mio stesso ritmo, i nostro occhi ormai si erano incatenati, la temperatura in quella stanza sembrava essersi alzata. Volevo sentire quella labbra soffici e dolci, che sapevano di fragole, sulle mie. Decisi di eliminare quella distanza tra di noi e ci perdemmo in quel bacio. Il sapore di fragola invase la mia bocca, ma mi sentivo strano...non sentivo più quel bruciore alla bocca dello stomaco, non mi sentivo più le farfalle nello stomaco quando la baciavo, mi sentivo...normale. Volevo staccarmi da lei e smettere tutto ciò, ma mi attirava sempre più vicino a lei. Non riuscivo a smettere, o forse non volevo ferirla. Aprii gli occhi e aumentai la presa sui fianchi di lei fino a che non aprii gli occhi, ma ciò che vidi mi fece...sorridere. Dei pozzi neri avevano preso il posto di quei pezzi di cielo azzurri. Il bruciore allo stomaco riapparse fino a diventare sempre più forte. Lei si staccò, ma io cercai di riavvicinarla a me. Aprii gli occhi e nel vedere una massa di capelli ricci e due occhi azzurro cielo al posto di quei due pozzi neri, i quali avevano riacceso in me quel piacevole bruciore, rimasi deluso. Viviana mi abbracciò e mi lasciò un ultimo casto bacio. Rimasi stupito nell'aver immaginato di baciare un'altra ragazza che non sia Viviana...e poi quel marrone scuro, quasi nero, mi era molto familiare, ma non riuscivo a ricordarmi da chi l'avessi già visti. Viviana prendendomi la mano, mi distolse dai mie pensieri e, mano nella mano, mi diresse fuori da casa mia.

 
§   §   §

Era da casa mia che non parlammo, io per capire di chi fossero quegli occhi e lei, forse, per cercare di concentrarsi meglio sulla strada.
«Siamo arrivati.»disse Viviana come leggendomi nella mente visto che anche io volevo iniziare un discorso per poter far cadere questo silenzio imbarazzante.
Ci fermammo su promontorio verde e fiorito. Alla sua destra, in lontananza, si poteva vedere la cittadina, mentre a sinistra si estendeva un lungo e fitto bosco. C'eravamo solo noi a parte due persone, che non riuscivo a distinguere, ma di cui sapevo, che almeno quella seduta per terra, di conoscere.
«Perché mi hai portato qui?»chiesi freddamente.
Lei aveva gli occhi lucidi, ma subito si ricompose e scacciò via le lacrime imminenti. Tirò fuori dalla tasca dei suoi shorts una benda nera. Io guardai prima lei e poi la benda con fare curioso.
«Ti fidi di me?»disse avvicinando la benda ai miei occhi.
Io istintivamente mi allontanai e la guardai stranito. A quel gesto non poté non piangere, infatti le scesero alcune lacrime. A quella vista il mio cuore si addolcì e con i pollici asciugai le poco lacrime che erano cadute.
«Scusami. Non volevo...è che sono curioso e sai che non amo le sorprese. Mi irritano...»dissi cercando di scusarmi per il mio atteggiamento freddo e distante.
«Va bene...ora posso metterti la benda?»chiese di nuovo insicura e impaurita.
Le diedi un bacio sulla fronte e mi abbassai alla sua altezza per poterla aiutare a mettere la benda. Lei lentamente si avvicinò e me la mise. Non riuscivo a vedere niente, ma cosa mi aspettavo!? Mi prese delicatamente la mano e mi condusse a sinistra...vicino al bosco. Ero ansioso non sapevo che aspettarmi.

POV. PETAL

Le cinque ore scolastiche erano terminate, ero stanca. Da quando ieri avevo parlato con il professore per salvare la pelle a Chanter...aspetta...dov'era Chanter!? Era da ieri, quando la scuola era finita, che non la vedevo. Deve essere successo qualcosa a casa, mi avevo accennato a qualche suo problema in famiglia, o meglio, avevo capito che c'era qualcosa che non andava a casa sua. Lei non parlava molto di sé, era una tipa molto chiusa fin da quando l'avevo conosciuta. Sapevo molto poco di lei: capelli rossi, occhi marrone scuro, quasi neri, fondoschiena e seno accentuati, era chiusa, acida in un primo momento, ma se la conoscevi bene capivi che non era così, mi aveva mostrato il suo tatuaggio a forma di luna vicino all'ombelico, mi aveva detto che aveva una sorella, Carmela e basta, la mia conoscenza su Chanter finiva qui. Il fatto che non mi avesse parlato dei suoi genitori mi faceva capire molto di più di quanto pensi lei. Riuscivo anche a leggere i suoi sguardi, sapevo che stravedeva per un certo ragazzo dai capelli biondi e gli occhi marroni con delle pagliuzze verdi con il quale andavano sempre a casa insieme visto che abitavano abbastanza vicino. Ero sempre stata un'ottima osservatrice, mi bastava poco per capire la maggior parte delle cose di una persona. L'ultima e stressante ora di matematica mi aveva sfinito così decisi di fare una sosta in bagno. Quando arrivai mi chiusi dentro ad uno di quelli che aveva anche lo specchio con il lavandino. In un primo momento rimasi inorridita da come ero arrivata a fine giornata, ma ormai ci avevo fatto l'abitudine. Ero perfetta, per quanto potevo esserlo: i capelli erano esattamente come li avevo lasciati stamattina, boccolosi, come se fossero appena usciti dal parrucchiere, il mio smalto era intatto da settimane, il mio orologio d'argento era arrivato tutto intero anche dopo le numerose botte che gli avevo dato oggi, la mia camicetta in pizzo bianca con il colletto nero non dava segni di avere aloni di sudore sotto le ascelle, guardai come i miei shorts di jeans aderissero perfettamente al mio corpo senza far notare nessuna imperfezione e come i fiocchi delle mie ballerine nere non si fossero slacciati. Presi lo zainetto di cuoio marrone, che ormai avevo da anni e che anch'esso non presentava graffi, e tirai fuori i mie libri e i quaderni: erano tremendamente...nuovi! Per tutte le volte che si erano bagnati, che gli avevo fatte le orecchiette per ricordarmi dove avevo finito di leggere e tutto ciò che potevo fare per rovinarli, essi non davano l'idea di essere stati usati, bensì nuovi. Osservai i mie orecchini della Swarosky e mi ricordai benissimo che mancava un diamante sulla stella di Natale che si trovava nell'orecchio destro, ma, aguzzai meglio l'occhio, era tutto a posto. Odiavo alla grande tutta questa perfezione che mi tormentava dalla mattina presto in cui mi alzavo con i capelli senza nodi alla sera quando finivo il corso di moda senza una goccia di sudore che mi solcasse il viso. Alcune volte mi soffermavo a guardare le mie compagne di scuole e a tutte le loro imperfezione e...le invidiavo. Poi la mia mente si soffermò di nuovo su Chanter e pensai al suo tatuaggio...il suo tatuaggio. Mi avvicinai con la testa allo specchio e lentamente tolsi i capelli da dietro l'orecchio sinistro per poter guardare meglio quell'area, o meglio, per vedere cosa nascondeva quella massa di capelli biondo cenere. Più la mia mano si avvicinava al suo traguardo e più tremava, avevo paura. Avevo sempre odiato ciò che c'era. Erano anni ormai che non lo guardavo più, quasi mi ero dimenticata, ma quando Chanter mi parlò del suo tatuaggio e del suo scontro con la madre, mi si accapponò la pelle. Alla fine, il mio intento morì sul nascere. Presi lo zainetto che avevo poggiato a terra e corsi fuori dai bagni. Appena svoltai l'angolo per uscire da lì, mi scontrai con qualcuno. Lo scontro mi fece finire a gambe all'aria insieme al mio zainetto che si aprii facendo spargere per tutto il corridoio i mie appunti e libri. Non chiesi neanche scusa al malcapitato che si era scontrato con me, velocemente cercai di radunare tutta la mia roba per tornare subito a casa. Mi allungai per prendere il mio ultimo libro quando una mano si posò sulla mia, forse con lo stesso intento che avevo io. Alzai i miei occhi e ciò che vidi mi fece mancare il fiato. Un ragazzo dai capelli castano chiaro e dagli occhi azzurri e gelidi come il ghiaccio mi stava aiutando. Mi persi nel guardare i suoi occhi, tanto che non mi accorsi che stava sogghignando. Mi ricomposi subito, presi il mio libro e cercai di andarmene da lì e da quel ragazzo.
«Non ti preoccupare se mi sei venuta addosso e prego per averti aiutato a raccogliere la roba.»disse in modo sarcastico.
Non potei fare altro che tornare indietro da lui e scusarmi.
«Scusami e grazie. Vado di fretta, sono stanca e voglio andare a casa.»dissi abbassando la testa per probabile rossore al viso.
Lui, con due dita, mi alzò il viso, facendomi scontrare di nuovo con quelle palle glaciali che aveva al posto degli occhi. Grazie a quel suo gesto potei guardarlo meglio: aveva la pelle olivastra, come se venisse dal Pakistan, i suoi occhi risaltavano grazie al colore della pelle e i suoi capelli sembravamo cambiare colore, come se avesse delle mèches, passavano dal marrone scuro a quello più chiaro, notai che aveva delle orecchie leggermente a punta e che il suo naso era semplicemente perfetto. Le labbra erano carnose e abbastanza grandi, desideravo sapere che gusto avessero, forse menta o forse tabacco, poi i miei occhi caddero sull'abbigliamento. Indossava una camicia di jeans slacciata ai primi bottoni per mettere in risalto i suoi pettorali prominenti, però i suoi pantaloni svasati neri non rendevano giustizia al suo fisico, sicuramente, esile, anche nella parte inferiore e le scarpe di cuoio marroni mi ricordavano tanto quelli che facevano escursionismo. In testa aveva un cappello di paglia e ai suoi piedi aveva appoggiato il suo zaino nero visto che in mano aveva ancora le mie cose: smalto blu notte, pennello per il fondotinta, cipria, rossetto rosso scuro, mascara nero, profumo, due matite, un'agenda e un bracciale. Insomma era un tantino...imbarazzante.

POV. PAGAN

Dovevo ricordarmi di ringraziare Carmela per aver dato questo gioiello. Insomma era bellissima: i suoi capelli ricci biondo cenere le ricadevano davanti al viso, i suoi occhi verde smeraldo erano ormai da tempo incatenati nei miei, la sua pelle pallida metteva in risalto tutto ciò ed era anche perfetta, nemmeno un'imperfezione, anzi in lei non riuscivo a trovare niente che non andasse bene. Quella sua camicetta di pizza bianca, quasi trasparente, le rimetteva in risalto il seno non molto evidente, i suoi jeans mettevano in risalto le sue snelle e lunghe gambe, le sue ballerine nere mettevano in risalto il suo minuto e piccolo piede. Vedevo crescere in lei l'ansia quando si mise a guardare la roba che le avevo preso da terra. Forse dovevo iniziare una piccola conversazione per metterla a suoi agio, ma come potevo iniziare...
«Piacere Pagan, e tu?»chiesi togliendole le mie dita dal suo mento per poterle dare la mano.
«Ehm...Petal, Petal Ricci...come fai di cognome, non ti ho mai visto da queste parti...»chiese con la sua vocina innocente e graziosa.
E ora cosa mi inventavo!? Non potevo mica dirgli che di cognome facevo Snowwizzard, mi avrebbe preso per pazzo!
«Ehm...non vengo a scuola qui, comunque Pagan...Romano, sì, Pagan Romano!»dissi quasi urlando.
Petal sembrò spaventarsi per il mio cambio di umore, tanto che sobbalzò e il suo mezzo sorriso scomparve. Che combina guai che ero!
«Ehm...bene, Pagan Romano...io devo andare se gentilmente mi dessi la mia roba...»disse cercando di mascherare il fatto che pensava che fossi matto.
«Ehm...no! Senti Petal...devo portarti in un posto...ciò ti andrebbe di venire a fare una passeggiata con me, vicino al bosco...dovrei farti vedere una cosa...»balbettai cercando di risultare il più credibile e il meno pazzo possibile.
«Senti Pagan, ci conosciamo da quanto? Due minuti? E già mi stai chiedendo di uscire!? Mi dispiace, ma non posso devo andare a casa e dopo devo uscire per andare a trovare una mia amica che ha problemi con i ragazzi, quindi se non ti dispiace, dammi la mia roba.»disse cercando di rimanere calma, vedevo la rabbia bollirle dentro.
«No! Guarda Petal che Chanter e Federico stanno vicino al bosco, se vieni con me ti ci porto. E poi Chanter non può innamorarsi di Federico è contro la sua natura e poi è già fidanzato con Viviana e...»non finii la frase perché Petal mi tolse dalla mani la sua roba.
Era terrorizzata. Mise di corsa le sue cose dentro lo zainetto e si diressi verso la porta.
«Hey, aspetta Petal!»urlai e correndo verso di lei.
«No! Sei un pazzo maniaco, io non ho mai nominato il nome di Chanter! Vattene!»urlò con voce tremante mentre iniziava a correre pure lei.
Non riuscivo a raggiungerla, l'unica cosa che potevo fare era usare i mie poteri. Mi concentrai e cercai di evocare un'eccessiva ondata di profumo da risultare nauseante. Quando focalizzai tutto ciò, feci finta di tirare una palla e la lancia addosso a Petal. Dopo qualche secondo vidi intorno a lei una nebbiolina rosa e subito svenne. Mi avvicinai lentamente a lei e potei vedere la sua innaturale bellezza anche da svenuta: era una dea. La presi come se fosse una sposa e mi diressi verso il punto di incontro che avevo detto Carmela. Speravo che Viviana e lei non avrebbero fatto domande sul perché Petal fosse in questa condizioni. Sarebbe stato imbarazzante anche per un beniamino dell'amore come me spiegare che mi ero incantato nel guardare questa ragazza.

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Capitolo 5
*** Spiegazioni per ognuno di noi ***



Ormai erano passate almeno tre ore da quando ero seduta sul prato con la benda sugli occhi per volere di mia sorella. Nel trascorrere delle ore avevo sentito diversi rumori: passi, voci di mia sorella e di altri due ragazzi, Viviana e Pagan, se avevo capito bene, e in più percepii, vicino a me, altre due persone sedute per terra. Ero in ansia già dal primo momento che Carmela mi aveva m
esso la benda, ma tutto sparii quando i miei occhi furono liberati ed esposti alla luce del Sole, ormai fioca perché stava tramontando. Ci misi un pochino per far riabituare gli occhi, ma dopo un po' vidi tutto con molta chiarezza. Davanti a me c'erano mia sorella, che mi confortava sorridendomi amorevolmente, alla sua destra c'era una ragazza mi guardava torva e se gli sguardi potessero uccidere lei l'avrebbe già fatto, aveva le mani incrociate sotto al seno come se volesse accennare la sua autorità in quel momento, mi sembrava di averla già vista, dall'altra parte c'era un ragazzo...molto carino e, dedussi, molto simpatico visto che non la smetteva di sorridermi. Dopo averli squadrati, mi alzai stiracchiandomi le gambe.
«Ehm...ciao, sono Chanter, voi?»dissi rivolgendomi ai due ragazzi che si trovavano al fianco di mia sorella.
«Piacere mio Chanter, io sono Pagan, Pagan Snowwizzard e lei è...»disse il ragazzo però che non riuscii a finire per l'intrusione di quell'altra ragazza.
«Io sono Viviana, la ragazza di Federico.»disse con un sorrisetto beffardo stampato sul volto.
Rimasi senza parole, ecco dove l'avevo vista. Era la stessa ragazza che avevo visto quel giorno con Federico. Rimasi di sasso a quelle parole e lei sembrava soddisfatta della mia reazione. Carmela, vedendomi in difficoltà, mi fece cenno di girarmi e io eseguii gli ordini. Appena mi girai vidi le due persone che avevano movimentato la mia monotona vita: Federico e Petal. Federico era ancora bendato, proprio come io qualche attimo fa, sembrava stranamente tranquillo, invece Petal era sdraiata, come se dormisse, infatti non aveva una benda sopra gli occhi come Federico e me. Mi avvicinai a Federico, lasciando perdere che dietro di me si trovasse la sua fidanzata, e mi inginocchiai alla sua altezza. Lo guardai e notai subito la sua bellezza anche con uno straccio che gli copriva la maggior parte del viso, sorrisi per il suo stato di quiete e guardai mia sorella per chiederle il permesso di togliergli la benda, lei annui. Avvicinai lentamente le miei mani al nodo della benda, mentre Viviana era tenuta da Carmela molto probabilmente infastidita dalla mia vicinanza con il biondo. Stavolta sorrisi io beffarda e gli slacciai il nodo per perdermi nelle sue piccole pagliuzze verdi che caratterizzavano i suoi occhi. Inizialmente lui li sbatteva per abituarsi alla luce poi mi guardò e mi sorrise dolcemente.
«Ciao Chanter.»amavo il suono della sua voce roca, mi faceva impazzire.
«Ciao Federico.»dissi, molto probabilmente arrossendo.
Sentimmo dei colpi di tosse provenire da dietro le spalle di Federico, si voltò e sbiancò alla vista della sua ragazza. Lei, dal canto suo, era sempre con le braccia incrociate sotto il seno e sbatteva il piede per terra, mentre mia sorella cercava di fulminarla con lo sguardo e il ragazzo ci guardava con adorazione. Il biondo mi scostò subito, lasciandomi lì per terra mentre si dirigeva verso Viviana. Ci rimasi male a quel suo gesto, così decisi di lasciarlo perdere per non assistere ad altre delusione, come un bacio tra di loro. Ora che ci pensavo non avevo mai assistito ad un loro bacio e sinceramente non volevo proprio vederlo. Arrivata vicino al corpo inerme di Petal, la scossi cercando di svegliarla o di ricevere almeno un segno che mi desse la certezza che lei fosse almeno viva. Dopo diversi scossoni, Petal mosse le palpebre e mi sorrise. Era felice di vedermi e questo provocò un sorriso anche da parte mia. Quando la ragazza si mise seduta, si avvicinò Pagan.
«Ti sei svegliata, eh!? Pensavo che non ti saresti più svegliata.»disse Pagan rivolta a Petal.
Sentii la mia amica irrigidirsi al suono della sua voce. Lentamente alzò lo sguardo fino a quando non si posò su di lui. Con una velocità impressionante si alzò e minacciosamente si avvicinò al castano con un dito puntato su di lui.
«Tu! Dimmi che cosa mi hai fatto! Un attimo prima stavo correndo per sfuggire da te e un attimo dopo mi trovo sdraiata su un prato! Dimmi cosa vuoi da me!»urlò Petal.
Sinceramente non l'avevo mai visto arrabbiata e tutta la sua determinazione e la sua ferocia nei confronti di quel ragazzo mi spiazzò. Non avrei mai pensato che una ragazza dolce e carina, esteriormente, potesse essere una tigre, interiormente. Non ci pensai due volte, cercai di fermare Petal prendendola per la vita e tirandola dalla parte opposta di Pagan.
«Hey, hey, hey, è così che mi ringrazi. Ti ho aiutato a raccogliere tutte le cose da terra e tu mi tratti così. E poi ti ho solo fatto svenire, nient'altro. Se poi ti calmi e andate a staccare i due piccioni possiamo iniziare a chiarirvi un po' le idee.»disse Pagan indicando Federico e Viviana.
Guardai verso di loro e ciò che vidi mi fece veramente male. Federico stava baciando, appassionatamente, Viviana. A quella vista, persi tutte le mie forze e caddi per terra con la testa fra le mani, lasciando così la presa su Petal. Gli occhi iniziarono a pizzicarmi, il battito del mio cuore accelerava e l'aria sembrava farsi sempre più pesante. Alzai la testa cercando lo sguardo confortante di mia sorella, ma non la vidi. Vedevo solamente quei due che si baciavano mentre Petal era letteralmente sopra Pagan e gli dava schiaffi e pugni. Poco dopo sentii un mano posarsi sulla mia spalla, alzai subito la testa vedendo mia sorella. Mi rilassai nel sapere che lei era vicino a me.
«Ora basta! Viviana! Petal!»urlò Carmela.
Tutto si fermarono per guardarla. Viviana le lanciò un'occhiataccia, rimanendo però sempre attaccata a Federico, mentre Petal si era fermata Pagan n'è approfittò per neutralizzarla tenendola ferma.
«Ragazzi! Non siamo venuti qui per giocare, forza! Viviana vieni qui e lascia stare Federico, tranquilla non scappa e tu, Pagan, smettila di dare fastidio Petal e vieni qui.»mia sorella iniziò a dare ordine a tutti.
Non l'avevo mai vista così...fiduciosa in se stessa.
«Federico, Petal, venite qui vicino a Chanter.»ordinò ai ragazzi con un tono più calmo e dolce rispetto a quello che aveva usato con gli altri due.
Petal si avvicinò a me circondandomi in un abbraccio affettuosa rendendosi conto per ciò, o meglio per chi, stava soffrendo. Federico lentamente si avvicinò a Carmela e si sedette lontano da me è da Petal e di questo ne fui grata.
«Allora ragazzi, non vi abbiamo portato qui per fare un bel pic-nic tutti insieme, vi abbiamo portato qui per dirvi delle cose importanti. Chanter, vieni qui.»mia sorella mi tese una mano.
Mi liberai dalla stretta della bionda e presi la mano che mi aveva teso.
«Ti ricordi di quando mi parlai del tuo "tatuaggio" e mi chiedevi perché ce l'avevi e perché ce l'avevi sempre avuto!?»disse ed io annuii.
«Ti dispiace farcelo, o meglio, farlo vedere agli altri?»chiese mia sorella.
Io mi irrigidii. Quel tatuaggio era stata la mia rovina, non volevo più vederlo, non volevo più parlare di ciò e invece adesso mia sorella mi chiedeva di far vedere a tutti l'unica cosa di cui non era mai andato fiera e che odiavo con tutta me stessa. Delle lacrime scesero dai miei occhi. Petal nel vederle fu subito al mio fianco e mi abbracciò.
«Senti Chanter...io non te l'ho mai detto, però anch'io ho un tatuaggio da quando sono nata...si trova proprio dietro all'orecchio. Vuoi vederlo?»disse dolcemente ed io, asciugandomi con il dorso della mano gli occhi, annuii.
Lei scostò la sua massa riccioluta verso destra per potermi mostrare il suo orecchio sinistro. Inizialmente non vidi niente, poi aguzzai l'occhio e vidi un piccolo tatuaggio. Era situato proprio dietro all'orecchio e non mi sorpresi nel non averlo mai visto, come avrei potuto con tutti i suoi capelli ricci e come avrei potuto considerando che si trovava proprio dietro all'orecchio. Comunque era un piccolo, rappresentava un fiore, ma constatai che era diverso dal mio. Il suo era anche colorato, il fiore era rosso e tutto il resto, gambo e foglie, erano nere mentre il mio era completamente nero. Era veramente bello. Quando finii di toccarlo lei si spostò per farlo vedere a tutti, iniziò con mia sorella. Lei rimase impassibile, sorrise solamente, poi mandò delle occhiatine verso Pagan e lo invitò a vederlo. Il castano strabuzzò gli occhi, era sorpreso e si allontanò da lei, come se fosse impaurito.
«Non è possibile...»sussurrò Pagan.
«Cosa non é possibile!?»chiese spazientita Petal.
«Calmati Petal, è solamente sorpreso di avere una sorella terreste.»spiegò pacatamente mia sorella.
«Cosa!? Spero di aver capito male, io ho come fratello un cretino!»urlò confusa la bionda.
«Esatto tesoro, ti dispiace? A me, no.»disse Pagan, dopo essersi ripreso, con un sorriso malizioso.
«Certo che mi dispiace! Io non voglio avere un maniaco come fratello.»
«Beh, aspetta, non siete veramente fratelli, solamente appartenete allo stesso clan, quello dei beniamini dell'amore, tutto qui e...»Carmela fu bruscamente interrotta dal castano.
«...e questo non impedisce di conoscerci meglio.»
Petal era stravolta. Ora era immobile davanti al suo fratello ultra-terreno e lo squadrava da capo a piedi. Il suoi occhi, come il suo sorriso, si addolcirono.
«Beh, allora, piacere di conoscerti fratellone.»disse alla fine aprendo le braccia.
Lui non perse tempo che la prese in braccio e iniziò a farla girare. Erano bellissimi insieme, sentiva la risata cristallina di lei e quella più roca di lui.
«Ora potete andare voi due, mi raccomando Pagan insegnale tutto ciò di cui ha bisogno.»lo avvertì mia sorella.
«Certo capo!»disse scherzosamente lui facendo scaturire una risata da parte della sorella.
Si presero per mano e sparirono dietro a degli alberi.
«Ora tocca a te, amore.»disse Viviana con la sua voce mielosa a Federico.
Lui si alzò e si tolse la scarpa destra insieme al suo calzino. Vidi subito una croce dello stesso stile mio, cioè tutta nera, era bellissima.
«Allora, se non l'avevate capito Il tatuaggio di Petal indicava l'amore di conseguenza lei è una beniamina dell'amore mentre il tuo, Federico, indica la vita e la morte é un dono molto potente, ma non quanto quello della luce e del buio, come quello di Chanter.»disse mia sorella.
Così decisi di alzarmi la maglietta e di far vedere a Viviana e Federico anche il mio tatuaggio.
«Cosa!? Questa sbruffona non può possedere il tono più potente di tutti, sarebbe un rischio, è troppo fragile e poi è anche stupida non capire la gravità della situazione in cui ci troviamo!»incominciò a starnazzare quell'oca.
Feci finta di non sentirla e feci segno a mia sorella di andare avanti.
«Quindi Federico saresti un vampiro. Da questo momento in poi non potrai più esporre alla luce del Sole almeno che Chanter non voglia aiutarti e, diciamo, darti il permesso per poter camminare anche sotto la luce del Sole.»lo sguardo di tutti si posò su di me.
«Che dovrei fare, come devo fare?»chiesi non sapendo che cosa fare.
«Devi semplicemente incentrare la tua forza sulla mano, fino a far apparire un palla di luce.»iniziò ad ordinare Carmela.
Cercai di concentrarmi, ma non ne uscì niente. Ormai erano svariate volte che provavo, ma niente. Non riuscivo nemmeno a creare una piccola bolla di luce per proteggere Federico. Stavo al limite delle mie forze e le lacrime minacciavano già per la seconda volta in un giorno di uscire.
«Lo vedi Carmela, non è adatta per questo compito. Te l'avevo detto!»disse Viviana infastidendo il mio sistema nervoso.
A quelle parole sentii una morsa all'altezza del tatuaggio fare pressione su di esso. Sentivo che mi trasmetteva forza così decisi di concentrarmi su quella strana forma di potere. Cercavo di farle fare un percorso che la conducesse fino al palmo della mano. Sentivo molto potere che stava pian piano fluendo verso la mano. Quando ne sentii abbastanza mi concentrai e mi immaginai una bolla di luce. Chiusi gli occhi per concentrarmi meglio.
«Brava Chanter, continua così. Ora apri gli occhi.»disse mia sorella.
Aprii gli occhi e una sfera di luce si trovava proprio sopra al mio palmo. Sorrisi nel vedere il mio risultato, dopo tanti tentativi, splendere così tanto.
«Ora ascoltami attentamente, avvicina lentamente la bolla vicino al petto di Federico, di preciso vicino al suo cuore e poi cerca di metterla al suo interno, ok?»mi chiese Carmela.
«Cosa!? Quella psicopatica non deve avvicinare le sue manacce a Federico, ci siamo capiti!?»Viviana era fuori di sè.
«Ora smettila per favore, come faremo ad uscire se non dai a Chanter la possibilità di aiutarmi!? Smettila di fare la bambina gelosa!»le urlò in faccia Federico.
Lei abbassò la testa, ma la sua gelosia non era svanita, si vedeva. Avvicinai la sfera al cuore di Federico. Notai che lui mi guardava e mi sorrideva come per tranquillizzarmi. Sorrisi sentendomi più sicura di me. Ero arrivata proprio in prossimità del suo cuore, ma lì, la mia sicurezza svanii, avevo paura di fargli del male. Sentii un mano prendermi per il polso. Era calda e grande. Iniziò ad accarezzarmi il dorso della mano che non era occupato dalla sfera di luce. Mi accorsi solo dopo che quella mano apparteneva al biondo. Arrossii a quel gesto, non me lo aspettavo, soprattutto con lo sguardo di Viviana su di noi.
«Insieme.»bisbigliò Federico in modo che potessi sentirlo solo io.
Sorrisi ed annuii. Grazie a lui riuscii a ridurre la piccola distanza che c'era rimasta, riuscendo così a portare a termine il mio compito.
«Scusami Viviana, ma cosa dicevi riguardo a mia sorella!?»chiese sarcasticamente Carmela
Viviana andò su tutte le furie tanto che prese Federico per un braccio e lo portò via staccando così le nostre mani rimasta ancora intrecciate sopra al suo cuore.
«Andiamo Federico!»
«Eh, ciao Chanter.»disse lui
«Ehm...ciao Federico.»dissi io abbassando la testa.
Dovevo ammettere che mi era piaciuto quel piccolo momento che avevamo condiviso. Ero felice del fatto che una parte di me stesse nel suo cuore, che lo proteggesse. Ero felice dentro di me, ma ero anche triste e non capivo perché continuasse a stare con lei. Dovevo dire però che la invidiavo. Ero bellissima, forse anche simpatica, ma la cosa che le invidiavo di più era la sua normalità, la sua vita, insomma cosa che io non avevo. Mia sorella mi abbracciò e mi portò a casa. Mi rinchiusi in camera mia e solo ora mi accorsi che le giornate stavano passando molto velocemente. Rinchiusi nei miei pensieri, mi avviai vicino alla finestra. Solo allora mi accorsi che da lì potevo vedere benissimo la casa di Federico. Mi misi a ridere pensando che lui quell'enorme palazzo lo chiamava casa mentre io pensavo che era un castello. Pensando a castello mi fermai a constatare che lui lì era il re e che, ogni re che si rispetti, deve avere un regina. Ma lui purtroppo aveva già trovato la sua regina. Quanto volevo esserlo io. Ricordai a come mi innamorai di lui, la causa furono i suoi occhi, mi avevano stregato. Era possibile una cosa del genere!? Mi sembra così strano che mi sia innamorata di lui neanche conoscendolo a fondo. Non sapevo nulla di lui, della sua vita. Pensavo a quanto fosse fortunata Viviana.

# IL GIORNO DOPO

Mi svegliai contenta nel farlo, forse perché la notte precedente mi ero addormentata pensando a lui. Constatai che oggi c'era scuola e che non vedevo l'ora di vederlo. Presi dall'armadio i miei vestiti: camicia nera, maglione rosa, pantaloni blu scuro a fantasia floreale sui toni del rosa e stivaletti neri. Andai al bagno e mi arricciai un po' i capelli per poter mettere un cerchietto fatto di fiori rosa. Mi truccai con un lucida labbra e mascara nero. Guardai le mani e notai che lo smalto nero era ancora intatto così decisi di non toglierlo. Mi misi un po' di profumo prima di cambiare la cover del telefono con una nera e prendere il mio zainetto nero per poter scendere di sotto e uscire da qui. Uno strano profumo di biscotti mi trascinò in cucina e lì infatti li trovai. N'è presi due: erano caldi, appena sfornati.
«Buongiorno. Vedo che stai mangiando, eh!?»mi chiese Carmela con un sorriso sulle labbra.
«Li hai fatti tu? Complimenti, sono buonissimi.»le risposi
«No, non li ho fatti io.»
«Come, scusa!? Se non li hai fatti tu, chi allora!?»chiesi quasi urlando.
Ci fissammo finché dalla cucina non fece il suo ingresso nostra madre. Iniziai a pensare che fosse stata lei a farli e molto probabilmente anche mia sorella lo stava pensando.
«H-hai fatto t-tu q-quei biscotti?»chiese mia sorella con voce tremante e con uno sguardo perplesso a nostra madre.
«No, non li ho fatti io. Non posso permettermi di arrivare tardi a lavoro per dei biscotti appena sfornati.»le rispose mia madre con una faccia strana.
«Beh, chi li ha portati!?»chiese per sciogliere un po' la tensione.
«Li ha portati una vicina di casa. Abita in quella casa laggiù in fondo. Si sono trasferiti 10giorni fa, niente di importante.»mi rispose mia madre guardandomi male, non riuscivo a capirla.
Sembrava che ogni cosa che facessi o dicessi non andasse mai bene per lei. Cercai di non farci caso e iniziai ad analizzare la frase che aveva appena detto mia madre. In pochi secondi, sentii il mio cuore battere forte e iniziai a tremare. Stavo provando una strana sensazione. C'era qualcosa di strano, ma non capivo cosa, sembrava unico, bello ed irripetibile.
«Carmela, preparati che tra 30minuti dobbiamo andare in ospedale.»disse mia madre riportandomi alla realtà.
Il suo sguardo era assenti, come se non volesse accettare la realtà. Odiavo vederla così. Anche se in questa casa i momenti insieme mancavano, noi rimanevamo una famiglia. C'erano sempre qualcosa che ci legava l'una all'altra, qualunque cosa sarebbe successa saremmo rimaste unite.
«Che ci fai ancora qui!? Vai a scuola sbrigati, porti solo guai qua dentro!»mi urlò mia madre mentre stavo per dare un bacio a mia sorella per tranquillizzarla.
Ci rimasi male. Perché io? Cosa avevo fatto di male per meritarmi tutto questo odio da parte sua? Non la riuscivo a capire. Ero così futile nella sua vita? Uscii di casa con le lacrime agli occhi mentre mi dirigevo alla fermata dell'autobus. Ogni volta che sentivo quelle parole lasciare la sua bocca, il mio cuore piangeva e singhiozzava e volevo rimanere sola. Alcune volte vorrei avere una vita normale, che almeno una volta vada tutto bene. Vorrei una persona che mi abbracciasse, vorrei che lei mi abbracciasse e mi dicesse 'Ti voglio bene'. Ma ormai sapevo che stavo sognando ad occhi aperti. Era un sogno, però, che mi faceva sentire bene ogni volta. Da lontano vidi arrivare Federico. Era bellissimo, indossava un maglietta bianca, un maglione anch'esso bianco, un giacchetto di jeans, un pinochietto, dello stesso materiale del giacchetto, e delle scarpe nere. Portava anche una tracolla nera con dentro gli oggetti scolastici. Non volevo farmi vedere così, non volevo passare per quella che piange sempre, ma tutto ciò non aveva importanza, lui era con Viviana. Lei indossava una tuta blu scuro a pois bianchi con una maglietta bianca a maniche lunghe e All Stars nere. Aveva lasciato i suoi capelli sciolti con solo due mollettine che le tenevano i capelli lontano dagli occhi. Aveva un trucco semplice e se sentiva molto bene che aveva messo un profumo alle fragole. In quel momento aveva il telefono in mano e potei notare il suo telefono con la cover nere. Il suo zaino blu scuro aveva una fantasia etnica. Il mio destino diceva che dovevo rimanere sola. Entrai nell'autobus, sperando che non mi trovassi vicino a loro. Purtroppo eravamo pericolosamente vicini, così decisi di andare più avanti per poter pensare ed essere lasciata in pace, ma qualcuno mi prese per il braccio.
«Hey,Chanter!»mi salutò il biondo.
Mi girai verso di lui visto che mi avevo strattonato, ma non volevo fammi vedere in quelle condizioni, con gli occhi gonfi dal pianto, così gli diedi uno schiaffo e corsi via. Viviana era rimasta scioccata dal mio gesto, ma alla fine anch'io lo ero, non sapevo nemmeno perché l'avessi fatto. Dopo lo schiaffo, mi sentivo peggio di prima. C'era qualcuno in grado di amarmi e di farmi sentire protetta?

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Capitolo 6
*** L'inizio e' sempre difficile ***



Quando ero piccola pensavo che la vita fosse tutta rose e fiori, che l'amore fosse una cosa bella e che l'amore trasmesso dalla famiglia fosse una cosa concessa a tutti i bambini. Desideravo essere grande per poter trasmettere tutto l'amore alla persona che avrei amato e ai miei figli. Cosa pensavo adesso? Vorrei ritornare ad essere una bambina, vorrei ritornare a non capire più nulla della vita. Mi ricordavo che da piccola ero allegra, dolce e spensierata. Mi ricordavo che aspettavo con ansia diventare madre. Volevo avere tra le mie braccia una piccola creaturina che, con il tempo, mi avrebbe chiamata 'mamma'. Era la cosa che amavo di più e che anche adesso desideravo. Mi dispiaceva pensare che ora i bambini non nascevano più dall'amore reciproco dei due genitori, ma per gioco. Avevo sempre odiato questa cosa, il sesso non si dovrebbe fare per gioco solamente per poter andare a dire ai propri amici 'io l'ho già fatto', ma si deve fare con la certezza e la consapevolezza di amare l'altra persona, che ti sarà accanto per tutta la vita, e che il sentimento sia reciproco.
«Non scendi?»mi chiese Federico.
«Cosa?»ero troppo soprappensiero per starlo ad ascoltare.
«L'autobus si è fermato, siamo arrivati a scuola!»mi disse.
Rimasi sbalordita. Non pensavo mi rivolgesse la parola dopo lo schiaffo che gli avevo dato. Pensavo che mi avrebbe ignorato, ma dovevo ammettere che questa cosa mi piaceva. Odiavo venire a scuola, tutti i ragazzi pensavano che io non avessi amici e che fossi sola al mondo. Non potrei dargli torto, era la verità. Mi avviai verso la classe quando ad una tratto vidi Federico che salutava Viviana baciandola. Dentro di me provavo una strana sensazione, non l'avevo mai provata prima, avevo voglia di spaccare tutto. Sentivo all'altezza del mio tatuaggio pizzicare e scariche di potere andavano a fluire sulle mie mani. Capii che quella sensazione si chiamava gelosia. Notai che con la consapevolezza di avere dei poteri, le mie emozioni si erano amplificate e facevo fatica a contenermi. Era più forte di me, volevo che notasse solamente me, che avesse gli occhi solo per me. Ma non ci conoscevamo, non sapevo nulla di lui come lui non sapeva nulla di me, a parte la storia del tatuaggio, e poi a malapena ci scambiavamo qualche parola. Però dovevo dire che le poche cose che ci dicevamo, almeno per me, erano magiche. Entrai in classe, ma non vidi Petal. Perché non era venuta a scuola? Dovevo dire che mi mancava. Mi infondeva il coraggio ad andare avanti nella mia squallida vita. Federico era dietro di me che scherza con il suo amico mentre io scrivevo sul mio diario. Sì, io avevo un diario, dove annotavo tutte le cosa belle e brutte che mi accadevano. Mi aiutava moltissimo dal momento che prima di Petal non avevo nessuno. All'improvviso qualcuno mi tirò i capelli. Che dolore atroce.
«Chi abbiamo qui? La santarellina? Poverina è tutta sola.»sentii una voce, molto probabilmente di chi mi aveva causato quel dolore.
Mi voltai e vidi Darrell che se la spassava nel darmi fastidio. Era il cosiddetto bullo della scuola, si divertiva a sfottere la gente prendendola in giro su come era fisicamente o su ciò che faceva. Dovevo dire, però, che se non fosse così stupido e prepotente sarebbe anche carino. Aveva i capelli ricci, o meglio mossi, mori che ogni volta che gli ricadevano davanti agli occhi se li riportava indietro con una mossa a dir poco sexy, al posto degli occhi aveva due zaffiri e se vi dicevo zaffiri erano proprio così. Con quegli occhi avrebbe fatto invidia a chiunque, erano di un colore difficile da trovare in un'altra persona, ma come dicevo, la sua stupidità rovinava tutto. La sua pelle era ambrata, ma non troppo, il suo fisico non era messo molto male: addominali e pettorali era accentuati, ma non molto. Non si vestiva neanche male: una maglietta a righe gli fasciava il torace, dei jeans strappati lo facevano sembrare più snello e delle scarpe con fantasia della bandiera inglese, che andavano molto di moda adesso, da egocentrico finivano il suo stile un po'...appariscente. I suoi ricci erano tirati su da degli occhiali da sole, e io mi chiedevo, da ormai, 2/3anni perché si ostinasse a tenerli anche in classe, o in posti chiusi. Poi portava sempre dei ciondoli d'argento per far capire che qui dentro lui era il capo, ma, sinceramente, pensavo che fosse tutto tranne che il boss con quei ciondoli femminili. In spalla aveva il suo zaino a scacchi neri e bianchi, se lo portava sempre con sé e un'altra cosa che mi chiedevo era perché lo facesse, ma non gli pesava portarlo tutto il giorno? Molto probabilmente no. Stavo pensando di incenerirlo con una sola mossa della mia mano, ma ci ripensai subito. Non era il caso di fare spettacolo.
«Ma che vuoi?»chiesi acidamente.
Non mi aspettavo una risposta, lo facevo solamente perché era il mio unico modo di difendermi da lui visto che no potevo usare i miei poteri.
Iniziai a guardare nella stanza alla ricerca di Federico, ma di lui non c'era traccia. Nessuno mi poteva proteggere in quel momento, vedevo che Darrell se la rideva alle mie spalle pensando a quanto fossi stupida nel cercare aiuto con lo sguardo.
«Hey, piccola vergine, perché non vai dalla tua mamma? Oh giusto, lei non ti vuole. Sei una vergogna, fai pena.»iniziò così Darrell il suo monologo, che non ammetteva interruzioni, e con quella già mi aveva spiazzato.
Aveva toccato il mio punto debole. Mi alzai, guardandomi ancora in giro alla ricerca di quegli occhi, ma ciò che vidi fu l'intera classe che rideva di me così uscii fuori. Dentro di me provavo tanto rabbia verso di Darrell, ma dovevo controllarmi, non potevo perdere il controllo.
«Avete visto!? Sta piangendo, ridicola!»sentii questa voce alle mia spalle e non mi ci volle molto per capire di chi fosse.
«Ora basta, chi credi di essere Darrell!? Sei solo un bambino! Guardati allo specchio, non sei tanto figo e simpatico come credi tu!»poi udii quella voce roca che tanto amavo eche tanto desideravo sentire in questo momento.
«Hey bello, fatti i cazzi tuoi, ok!? Non fai paura!»ordinò Darrell a Federico.
Ciò che vidi dopo quelle parole non mi fu molto chiaro. Con una sovrannaturale velocità Federico scaraventò Darrell al muro, percepivo, attraverso il nostro legame creatosi il giorno in cui gli avevo dato la possibilità di camminare alla luce del giorno, tutta la sua rabbia, vidi i suoi occhi, caratterizzati dalle pagliuzze verdi che tanto amavo, scurirsi e prendere un colore simile al bordeaux, rosso scuro. E lì, per la prima volta, ebbi paura di lui.
«O-ok a-mi-ico, b-basta-a.»balbettò Darrell per farlo smettere.
Ma Federico fece tutto il contrario: aumentò la presa sul suo colletto della maglietta e lo attaccò sempre di più al muro. Pensai di andarmene senza fare rumore, ma, forse per la paura, incespicai nei miei stessi piedi tanto da attirare l'attenzione dei due ragazzi. Quando i miei occhi scuri, simili a quelli di Federico in questo momento, si incatenarono con quelli suoi, crollai psicologicamente tanto che me ne dovetti andare via con le lacrime agli occhi. Dopo aver fatto una sosta al bagno, rientrai in classe per continuare la lezione. I miei occhi erano gonfi e rossi, ma poco mi importava, ero rimasta scioccata da quello che era successo con Federico e Darrell, non potevo crederci e poi gli altri mi avrebbero deriso sia con che senza le lacrime.

POV. FEDERICO

Lei aveva paura di me. Chanter, per la prima volta, ebbe paura di me, di quello che ero...o di quello che ero diventato!? Dopo quel giorno sul prato al limite del bosco in cui avevo scoperto il mio potere, le cose si erano complicate. Viviana mi aveva detto che aveva trovato un appartamento e che si sarebbe trasferita lì, la sera continuavo a dormire sempre di meno, ogni volta che sfioravo la mia ragazza e lei sobbalzava e mi diceva che ero freddo. Ma oggi le cose erano decisamente peggiorate. Quando vidi che Darrell aveva fatto piangere Chanter, la mia rabbia crebbe a dismisura. Non sapevo il perché della mia reazione, avevo agito d'istinto, senza pensare e poi...sentivo il suono del sangue di Darrell pulsare nella mia testa e subito dopo sentii un'atroce male ai denti laterali, come se volessero scendere. Riuscii a controllare i miei denti, ma la rabbia verso di lui non era minimamente cambiata, l'odiavo per quello che aveva fatto a Chanter. Sentii tutta l'adrenalina del mio corpo concentrarsi sulle braccia e sulle gambe e così partii all'attacco. Corsi, o almeno era quello che pensavo, verso il moro e l'attaccai al muro con tutta la forza che avevo in corpo. E ora ero ancora lì, imbambolato, a ripensare allo sguardo di Chanter prima di andarsene via e lasciarmi lì con quel coglione. Lui cercava di divincolarsi dalla mia presa, ma invano. Mi facevo schifo da solo per essere stato la fonte di quello sguardo pieno di ribrezzo. Ma più pensavo a quei occhi e più mi convincevo che la colpa non era mia, ma di Darrell. Era lui che gli aveva tirato i capelli. Era lui quello che l'aveva chiamata verginella. Era lui quello che l'aveva fatta piangere. Era lui quello che l'aveva fatta deridere da tutta la classe. Era lui la causa di quel terrore e disgusto nei suoi occhi. La fitta ai denti ritornò, ma questa volta non la fermai. Li feci uscire e mi girai per guardare il moro. Lui sarebbe stato la mia prima preda. Vedevo paura, terrore, panico nei suoi occhi, ma non erano niente in confronto al turbine di emozioni che avevano trasmesso quelli di Chanter. Non ci pensai due volte, affondai i miei canini nella vene del collo e bevvi un po' di quel sangue. Era una strana sensazione, mi sentivo forte, appagato e la mia mente si stava annebbiando. Le sue urla strazianti mi fecero ritornare alla realtà tanto che mi staccai e lo lasciai cadere a terra tutto dolorante. Mi ricordai di alcune lezioni che mi aveva detto Viviana su come cancellare le mie tracce dalla sue mente e dal suo corpo, ma solo dopo mi resi conto che mi ci voleva l'aiuto di Chanter. Solo lei poteva annebbiare la sua mente con dei falsi ricordi e cercare, in minima parte, di nascondere i due solchi presenti sul suo collo. Ma ero consapevole che lei non mi avrebbe mai aiutato, o almeno, non adesso. L'unica mia speranza era di nasconderlo e di aspettare qualche giorno prima di chiederle di aiutarmi...oppure ne potevo parlare a Viviana. Dalla padella alla brace, insomma. L'idea di finire il lavoro che avevo appena incominciato mi sfiorò il la mente. Ed ero pure disposto a farlo se la campanella non avesse interrotto la mia camminata verso di lui. Mi accertai che respirasse ancora e poi mi diressi ai bagni. Il mio riflesso non era dei migliori. Occhi iniettati di sangue, bocca e mani sporche, canini promittenti da far paure e vestiti tutti sgualciti. Sarei stato perfetto per fare una controfigura di qualche film horror. Mi pulii e cercai di ritornare il solito ragazzo che stava simpatico a tutti prima di oltrepassare la porta dei bagni per dirigermi nella mia classe.

# 4 ORE DOPO

La giornata finalmente era finita, andai a controllare il corpo di Darrell ancora disteso per terra diverse volte prima di portarlo in infermeria, solo dopo aver controllato che i due fori fossero diventati un lontano ricordo per entrambi. A fine scuola ci ritornai e mi dissero che stava bene e che non si ricordava niente di ciò che poteva essergli successo a causa di una forte botta presa alla testa. Nel sentire quelle parole fui più rilassato. Non dovevo dare spiegazioni a nessuno di ciò che avevo fatto. Mi diressi alla fermata dell'autobus e lì trovai anche Chanter, ma non ci rivolgemmo la parola. Però io non le staccai gli occhi di dosso, volevo tanto sapere cosa pensava di me. Mi fece male al petto pensare che ci stavamo trattando come dei perfetti estranei. Arrivato a casa mi stesi sul letto e da lì la mia testa fu bombardata da domande. Perché non riuscivo a smettere di pensare a Chanter? Perché non ero intervenuto prima? Cosa penserà adesso di me, del mostro che ero diventato?

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Capitolo 7
*** La motivazione della metamorfosi ***



Passai tutta la nottata in bianco a pensare a Federico e al perché mi avesse difesa. I motivi potevano essere tre:
- forse un pochino teneva a me;
- forse provava qualcosa nei miei confronti, e non parliamo di semplice amicizia;
- forse gli facevo solamente pena.

Per tutta la notte riflettei su queste tre cose. Non sapevo cosa pensare. Poi ricordai come aveva reagito: come si poteva sbattere con così tanta forza un ragazzo abbastanza robusto? Forse la sua trasformazione era già iniziata? Anch'io volevo avere pieno controllo sui miei poteri, per una volta, volevo essere diversa dagli altri, ma non ci riuscivo, sembrava che qualunque cosa facevo risultava sbagliata. Controllai l'orario sulla sveglia: erano le 07:30, non mi ero ancora alzata per prepararmi ed andare a scuola. Avevo un po' di paura, non sapevo che aspettarmi da Federico. Non era mai successo niente di buona nella mia vita, solo problemi, ero piena di problemi. Decisi che per oggi dovevo essere forte, ce la potevo fare. Mi misi davanti allo specchio e guardai il mio riflesso. Arrivai alla conclusione che del mio aspetto non avrei cambiato niente, forse sul mio carattere ci dovevo lavorare...e non poco. Un livido in prossimità dello stomaco catturò il mio sguardo e uno strano pensiero sorvolò la mia mente: e se qualcuno osasse mettermi le mani addosso!? Avevo tanta paura di questo. Non avevo mai reagito in vita mia, non sapevo neanche come si faceva. In verità, io cercavo di stare lontana dai guai, non ne volevo sapere niente, non volevo nemmeno entrarci dentro. Presi dal mio armadio un maglione grigio, un jeans chiaro strappato e delle scarpe alte turchesi. Dal portagioie presi una collana d'argento a forma di aeroplanino di carta e misi i miei libri e i quaderni dentro ad uno zaino fucsia a strisce nere. Mi diressi al bagno, iniziai a pettinarmi i capelli, li feci ondulati e mi truccai con un ombretto nero e bianco, una matita nera e un mascara dello stesso colore. Quando finii, scesi in cucina. Purtroppo non trovai la colazione pronta, come al solito. Desiderai tanto che qualcuno, come l'altra volta, mi portasse dei biscotti appena sfornati che ti scaldavano il cuore.
«Ehm, ti sto chiamando da 5minuti, a cosa pensi?»disse Carmela facendomi ricadere nel mondo dei vivi.
«Niente. Niente.»dissi trastullandomi un pochino.
«Non fai colazione?»mi chiese mia sorella.
«Non c'è niente di pronto e non ho i soldi per comprarmela.»risposi con tono piatto.
«Prendili.»mi disse aprendomi la mano e mettendoci dentro 5€.
«No, riprenditeli e conservali per l'operazione di nostra madre. Non importa.»
«Non preoccuparti, ora vai e divertiti.»
«Io...»cercai di dire, ma mia sorella mi interruppe
«Vai o ti meno!»urlò, ma in modo spiritoso.
L'abbracciai senza pensarci. Questo era stato il mio primo abbraccio nei suoi confronti e dovevo dire che era stato bellissimo. Alla fermata dell'autobus vidi Federico. Indossava una maglietta bianca con sopra una felpa grigio scuro, dei jeans neri strappati e le Converse rosse. Al polso portava un braccialetto di cuoio nero e sulle spalle uno zaino dello stesso colore. Sentivo, anche da quella distanza, il profumo che lo caratterizzava. Decisi comunque di non salutarlo. Entrai nell'autobus e inizia a guardare fuori dal finestrino. Non avevo la minima voglia di guardarlo o salutarlo. Vidi dal riflesso del vetro che anche lui era entrato, che mi aveva visto, ma che non mi voleva venire a salutare. Questo gesto non fece altro che confermare una delle tre teorie che mi ero immaginata la scorsa notte: non gli interessava niente di me. Era doloroso vedere lui che faceva l'indifferente ed evitandoti. Arrivati a scuola, pensai a quanto odiavo quel posto per il semplice fatto che ero sempre considerata "la nuova ragazza" che non conosceva nessuno. Avevo intravisto Darrell, ma dopo quello che era successo l'altra volta, decisi di evitarlo e di spedirmi a passo svelto verso la mia classe. Ora che ci pensavo, vestito con quella maglietta grigia, quei pinochietto di jeans e quelle scarpe grigie sembrava un ragazzo normale che il giorno prima non aveva subito nessun trauma. Sì, perché vedere qualcuno sotto i propri occhi trasformarsi in un mostro era un trauma. Poi con quella tracolla nera sembrava un classico alunno pronto per andare a scuola e riuscirne vivo. Ero sul corridoio, ad un passo dalla mia aula, quando qualcuno mi prese per il polso e mi costrinse a girarmi. I miei occhi si incatenarono immediatamente in quei suoi zaffiri e le nostre labbra erano pericolosamente vicine.

POV. FEDERICO

Stavo morendo dentro e non sapevo nemmeno per quale motivo. Darrell teneva stretta per un polso Chanter, ma la cosa che mi scombussolava era la loro vicinanza. Le loro ciglia si poteva toccare ogni volta che sbattevano le palpebre e mi sembrava strano che le loro labbra non si toccassero. Ma non capivo per quale motivo sentivo un bruciore che mi stava facendo andare in fiamme, quella voglia matta di rovinarlo come ieri. Io avevo Viviana, solo lei, il mio cuore batteva solo per lei, giusto!? Sentii le gengive dolermi e l'adrenalina fluirmi nelle gambe e nelle braccia e tutto ciò poteva dire una cosa sola: stavo perdendo il controllo. Mi dovevo contenere, non potevo creare il panico con tutta la scuola che mi guardava e poi non potevo vedere di nuovo il terrore negli occhi di Chanter. Ieri rimasi straziato da quello sguardo, mi sentivo un mostro, non potevo rivederlo, sarei...crollato. Dopo un po' lo sguardo di lei cadde su di me e iniziai a sentire delle strane vibrazioni positive che mi fecero distendere i muscoli e rilassarmi. Quelle onde erano come una camomilla per il mio corpo e per la mia mente. Non capii subito da dove venivano, ma poi ragionai e la soluzione mi venne chiara in testa: Chanter. Lo stava facendo per me, per farmi capire che potevo stare tranquillo, che non sarebbe successo niente...o forse perché non voleva vedere di nuovo il mostro che, ormai, ero diventato!? Si liberò da quella presa con un semplice strattone. Cosa le passava in quella testa bacata? Sarà andata in tilt sotto lo sguardo seducente del moro? Se solo avesse saputo cosa gli era successo ieri...mi odierebbero entrambi. Comunque l'idea di lei impotente sotto il suo tocco non mi andava a genio. Entrai dentro alla classe e subito la professoressa iniziò a spiegare. Furono tante le volte che volevo guardarla, ma mi trattenni. Io avevo solamente Viviana e lei per me era un'amica o addirittura niente. Dovevo mettermelo chiaro in testa.

POV. CHANTER

Quando la professoressa iniziò a spiegare il mio sguardo cadde immediatamente su Federico. Ero ormai entrata nel mondo dei sogni.
«Chanter...Chanter. Chanter.!»sentii chiamare e poi urlare il mio nome, ma quel suono entrò nelle mie orecchie ovattato tanto che non gli diedi peso.
Non sapevo come, ma ritornai sul pianeta Terra, accorgendomi che ero a scuola.
«Bentornata tra noi, Chanter. Smettila di fissare il ragazzo con la maglia bianca.»disse tranquillamente la professoressa, mentre io diventavo un peperone visto che in quella classe l'unico che aveva la maglietta bianca era proprio Federico.
Non potevo crederci, su 12/13ragazzi solo uno portava una stramaledetta e semplicissima maglietta bianca.
«Chanter si è innamorata di Federico...FEDERICO E CHANTER CHE BELLA COPPIA HAHAH!»urlò Darrell, cogliendo al volo la situazione, e facendomi fare l'ennesima figura.
Mi sentivo presa in giro e umiliata, non riuscivo a rimanere calma, sentivo che da un momento all'altro sarei scoppiata. Dovevo uscire di lì. Mi alzai e corsi fuori dalla classe. Mi accostai ad una finestra in mezzo al corridoi e lì esplosi. Tutta la mia pelle si illuminò irradiando luce propria, come faceva il Sole con i suoi raggi. Sentivo la pelle andarmi a fuoco in contrasto con le lacrime nere e fredde che scorrevano tranquille sul mio viso. Alzai lo sguardo sul vetro della finestra e vidi la mia immagine riflessa. Ero un mostro: pelle fluorescente e bollente accompagnata da delle lacrime nere e fredde. La visione era peggio di quella di Federico. Rimasi lì a piangere e a pensare a quanto fossi sciocca!
«È vero che ti piaccio?»furono quelle semplici parole dette da una persona, a me cara, a farmi tornare alla realtà.
«Non sono affari tuoi.»risposi in modo gelido.
Si sorprese del mio tono freddo, ma d'altronde anche io lo ero. Non avevo mai usato un tono così indifferente nei confronti di nessuno in vita mia. Percepii la temperatura abbassarmi notevolmente e quando alzai gli occhi per puntarli su di lui, mi pentii del modo in cui gli avevo risposto. Si era trasformato, la sua freddezza e indifferenza erano entrate in azione e nessuno l'avrebbe fermate.
«Certo che sono affari miei. Tu non mi piaci e vorrei che la smettessi di venirmi dietro e che ti dimenticassi di me.»disse con tono piatto.
Sapevo che non era lui, che era un'altra persona che si impossessava di lui, ma rimasi comunque ferita nel profondo. Non avevo la minima idea di dargliela vinta.
«Cosa? Sei pazzo!»urlai con tutta la voce che avevo in corpo, tanto che il fascio luminoso che emanava si ingrandì.
Lui, come animale delle tenebre, indietreggiò alla vista dell'accrescimento della mia sfera luminosa, ma questo non gli fece perdere la sua ironia snervante.
«Tu sei pazza di me, lo so. Devi lasciarmi in pace, però, io sto con Viviana e tu lo sai.»affermò con presunzione.
«Guarda che testardo! Non potrei mai innamorarmi di uno come te.»dissi prima di girare i tacchi per andarmene lasciandolo lì, da solo, con l'amaro in bocca per aver perso la battaglia.

POV. VIVIANA

Le voci a scuola giravano molto velocemente e non mi ci volle molto per venire a conoscenza della storia tra Federico e Chanter. Io ero sicura che quella mezza calzetta volesse rubarmi il ragazzo. Andai in bagno per prepararmi psicologicamente alla lotta contro un gioiello. La mia camicia verde, a maniche lunghe e con il cappuccio mi stava un tantino grande, ma l'adoravo visto che me l'aveva regalata il mio ragazzo, i jeans scuri erano a posto come le scarpe di pelle marroni. I miei capelli, sporchi, erano nascosti dal cappello bordeaux che portavo e lo zaino panna a fiori sul rosa era pieno di tutti i quaderni e penne che mi ero portata appresso. Ora dovevo solo pensare cosa dire a quella ragazza per allontanarla da Federico però senza farla scaldare troppo visto che aveva un dono e che poteva usarlo come e quando voleva. Infatti, il principale problema nello stare vicino ad un gioiello e che non sapevi mai come poteva reagire per qualunque cosa. Erano come delle bombe ad orologeria, potevano scoppiare da un momento all'altro sia per la felicità e per la tristezza che per la rabbia e per la paura. Ma decisamente quello non era il mio caso visto che Chanter, da quanto mi avevo detto Carmela, non sapeva ancora usare i poteri. Comunque delle precauzioni non facevano mai male visto che adesso stava per andare a scontrarsi contro il dono più potente che ci fosse mai stato. Con passo deciso, ispezionai la scuola da cima a fondo, ma senza trovarla. Ad un tratto sentii delle imprecazioni uscire dal bagno dei ragazzi. Avvicinando,i, riconobbi la voce e, senza pensarci due volte, entrai dentro, pronta al peggio. Per la scena che mi ritrovai davanti, non sapevo se mi faceva provare compassione verso il mio ragazzo che era distrutto, da chissà che cosa, o arrabbiata per chiunque l'avesse ridotto in quello stato. Mi avvicinò a lui e lo accarezzai su una spalla. A quel gesto improvviso, lo vidi sussultare, ma poi rilassarmi dopo aver capito che fossi io. Stavo per dirgli qualcosa quando sentii un'altra voce imprecare per il corridoio. Quella voce. L'avevo odiata sin dal primo momento e avevo subito capito che avrebbe ucciso il cuore del mio fragile ragazzo. Senza nemmeno troppi convenevoli e lasciando perdere le parole che mi diceva Federico, segui la ragazza, orami fuori l'edificio scolastico.
«Chanter!»urlai nella sua direzione per farla fermare.
E riuscii nel mio intento, ma rimase comunque di spalle. Odiavo quando la gente mi rivolgeva le spalle, non volevo vedere il suo sedere, ma la faccia da idiota che si ritrovava.
«Senti...»disse dopo aver sospirato e degnandomi della sua schifosa faccia.
Mandai a quel paese tutte le mie buone intenzioni nel parlarle da perfetta civile. Nessuno poteva darmi le spalle e sbuffare in uno stesso lasso di tempo, e questo lei doveva capirlo.
«Senti un cazzo! Devi smetterla di andare dietro Federico, sennò ti uccido.»le urlai in piena faccia.
Non mi interessava se si fosse arrabbiata o chissà quale altra cosa, dovevo mettere in chiaro che lui era solo ed esclusivamente mio e che nessuno, soprattutto una sgualdrina come lei, poteva portarmelo via. Mi stupii quando mi voltò le spalle e se ne andò senza dire neanche una parola. Nel frattempo mi affiancò Federico. Dovevo farle capire che lui era solo mio, ci pensai su e mi venne un idea diabolica. Feci cadere per terra il mio zaino pieno zeppo di quaderni e libri facendo un tonfo assordante tanto che anche Chanter si girò a guardarci. Pensai che quello era il mio momento, lanciai uno sguardo d'intesa a Chanter e misi in atto il mio piano. Circondai le mie braccia dietro al suo collo mentre lui, istintivamente, mi cinse i fianchi. E poi tutto venne automatico: le nostre labbra toccarono dando inizio ad un bacio che di casto, secondo me, aveva ben poco.

POV. CHANTER

Quella stronza! Solo lei poteva tirare colpi così bassi! E la cosa che mi faceva rodere di più era che lui le andava pure dietro, l'assecondava e non capiva che quella era solo una messa in scena per farmi ingelosire! Speravo, seriamente, che dopo il nostro legame che avevamo creato, lui avrebbe capito qualcosa in più su di me, non sapevo di preciso cosa, ma qualunque cosa che lo risvegliasse almeno dal letargo che stava attraversando. Sì, perché il suo era un letargo, non pretendevo che si mettesse con me, anche se lo volevo con tutto il cuore, ma che almeno non stesse con quella vipera da quattro soldi e si rendesse conto di che...MOSTRO fosse! Forse era difficile per lui capirlo, visto che era innamorato però una svegliata se la poteva pure dare. Speravo che il nostro legame gli inviasse almeno una parte delle emozioni che io provavo. Volevo aspettare e vedere chi dei due si staccasse per primo, ma non riuscivo a guardarli. Se avessi continuato a farlo sarei stata solo una masochista e sinceramente un'altro dolore era l'ultima cosa che mi serviva. Abbassai lo sguardo e iniziai a pensare a come sarebbe stata la mia vita, a come la vedevo adesso. Vedevo solo solitudine intorno a me e al mio futuro. A quel pensiero un moto di cambiamento si accese in me: era il momento di fare delle scelte e adesso ne dovevo prendere una. Era giunto il momento di cambiare me stessa. Basta essere la brava bambina, mi ero stancata.

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Capitolo 8
*** Un nostro inizio ***



POV. PETAL

La sveglia stava suonando. Che pizza! Chi aveva voglia di alzarsi dal letto? Poi dopo aver preso la mia ultima decisione in cui decisi di lasciare tutto il mio passato, con la mia famiglia, e il mio presente, con Chanter, alle spalle per portare a terminare una missione che mi era stata affidata insieme a Pagan. Forse lui era l'unica cosa positiva che mi ero portata appresso.
 Essa consisteva nel portare a termine una missione degli amici di Pagan che erano misteriosamente spariti qui, a Londra, senza poter salvare i propri gioielli perché le ombre nere, le sentinelle di Lui, li avevano attaccati e, molto probabilmente, li avevano rapiti, se non uccisi. Ora toccava a me e a Pagan portare a termine la missione: sarebbe stata dura. Non avevo più l'energia di una volta come quando passavo le giornate con Chanter. Chanter. Non l'avevo salutata, non mi ero accertata dopo quel giorno al bosco, me n'ero fregata delle conseguenze che la mia partenza avrebbe fatto scaturire. Chissà come stava adesso Chanter, se le cose con Federico erano state chiarite. Avevo capito già da un po' che c'era del feeling tra lei e lui, anche senza il bisogno che lei me lo dicesse, in fondo sono la beniamina dell'amore, no!? Dopo un paio di trilli, mi alzai e mi diressi al bagno per potermi lavare la faccia e i denti. Tornai in camera, dirigendomi verso l'armadio presi una canottiera bianca con la scritta nera, una felpa rossa e bianca, dei jeans e delle scarpe alte rosse. Dal portagioie presi una braccialetto nero con chiazze rosse e bianche e, in testa, mi misi un cappello grigio con delle scritte nere e rosse. Prima di scendere al piano di sotto presi i miei occhiali da sole, lo zaino e il telefono con la cover della bandiera inglese. Scesi di sotto, Pagan non c'era, pensai che fosse uscito per continuare le ricerche. Sì, io e Pagan decidemmo, subito dopo aver lasciato la mia città natale, di prendere un appartamento insieme. Non eravamo fidanzati, né migliori amici, ma molto di più: fratelli, eravamo fratelli. Forse fu proprio per questo che vivevamo in uno stesso posto. Decisi di non fare colazione ed uscii direttamente. Arrivai a scuola in pochi minuto, purtroppo ci abitavo vicino, e andai incontro ad Ann, la mia prima amica di qua. Era una ragazza come tante: aveva i capelli biondo chiaro, come la luce che emetteva il Sole, ed erano ondulati, gli occhi avevano una strana tonalità, inizialmente potrebbero sembrarti viola, ma se guardavi con attenzione notavi che erano blu scuro. La sua caratteristica che la differenziava dalle altre era la sua temperatura corporea: era...fresca. Non fredda, ma fresca, quando faceva caldo molta gente le gironzolava intorno solamente per potersi rinfrescare un po'. Era...strana, ma infondo chi ero io per dire strana a qualcuno quando io non ero del tutto umana!? Comunque era una ragazza limpida, trasparente, non ti faceva mai pesare una conversazione o qualunque cosa e non ti giudicava mai per ciò che eri. Lei era stata la mia salvezza il primo giorno di scuola in cui non conoscevo nessuno. Mi aveva subito accolto a braccia aperte alcune volte potrebbe sembrare una ragazza che non aveva la testa sulle spalle, ma dovevo ammettere che era una delle persone più responsabili che io avessi mai incontrato. Oggi indossava una camicia bianca, una felpa grigia con le scritte rosse e bianche, una gonna a tubino nera, che le metteva in risalto le bellissime gambe, e delle scarpe da passeggio nere con il tacco interno. Al polso portava un orologio rosso e tutta la sua roba scolastica la teneva dentro ad una borsa nera di pelle.
«Hey Petal, come stai!? Ti vedo un po' pallida.»disse Ann con fare premuroso.
«Nulla, nulla. Tranquilla.»gli risposi con il tono più dolce possibile per poterla tranquillizzare.
«Okay, dai entriamo. È suonata.»mi incitò lei.
Incominciammo ad avviarci in classe, ma d'un tratto sentii tirarmi il braccio e mi girai. Era Curtis, il bulletto della scuola. Aveva i capelli di un castano ramato accompagnato da due perle grigie come occhi. Aveva un faccino da cucciolo, ma con il tempo capivi che era solo apparenza: era un vero bastardo. Si sentiva il più figo della scuola, il che era vero, ma per come si comportava anche il peggior nerd del corso di letteratura antica l'avrebbe battuto in fatto di galanteria. Per lui, le ragazze erano tutte ciccione e delle schiave da usare solo per i propri scopi personali, invece i ragazzi se li faceva amici solo per poter copiare i compiti o per sfuggire alle interrogazioni. Quel giorno era vestito con una canottiera bianca con delle scritte nere, una felpa bianca e azzurra, dei jeans chiari strappati e delle scarpe alte nere. Portava due ciondoli d'argento e un orecchino nero, se ve lo stavate chiedendo, sì, aveva il buco all'orecchio. Aveva il mio stesso cappello, cosa che odiai immediatamente, che gli metteva in risalto i suoi capelli lisci e, nell'altra mano, aveva il suo telefono dalla cover galattica e dal quale non si staccava mai. Era da circa una settimana ormai che stavo lì e già c'era chi mi aveva preso di mira, come Curtis, però infondo lui lo facevo con tutti, ma soprattutto con me. Mi tirò per un braccio e mi portò lontano da Ann. Lo seguii perché ormai sapevo che se avessi fatto qualcosa avrei solamente peggiorato la situazione visto che non sapevo ancora usare i miei poteri. Mi condusse dietro la scuola, maledissi mentalmente Pagan per il semplice fatto che non mi aveva fatto imparare nessun trucco per difendermi dai bulli o da chiunque mi avrebbe importunato.
«Ricci, come osi mettere il mio stesso cappello!?»urlò contro la mia faccia prima di darmi un forte schiaffo.
Involontariamente, le lacrime uscirono dai miei occhi e abbassai la testa senza rispondergli. Era meglio.
«Mi rispondi brutta cicciona!»continuò a dire.
Le sue parole mi arrivarono fin nel profondo del mio cuore. Era comunque brutto sentirsi dire certe cose anche se, forse, non lo sei. Un altro schiaffo non tardò ad arrivare.
«Senti, devo andare in classe. Lasciami stare.»dissi mentre altre lacrime rigavano il mio volto.
Mi aveva letteralmente attaccata al muro, gli diedi una piccola spinta, che lo sorprese, tanto da farlo cadere all'indietro. La cosa peggiore non era che cosa avessi fatto, ma dove fosse caduto: su una pozzanghera piena di fango, creatasi dal giorno piovoso precedente. Non persi occasione e scappai temendo ciò che avrebbe potuto fare se si fosse rialzato in tempo.
«Me la pagherai, cogliona!»questo fu ciò che sentii e mi arrivò del tutto ovattato anche se sapevo che il suo tono era forte, pieno di disprezzo e di rabbia.
Corsi velocemente in classe e quando arrivai avevo il fiatone ed ero piuttosto sconvolta.
«Che cosa è successo signorina Ricci?»mi chiese la professoressa appena feci il mio ingresso nella classe.
«Va tutto bene.»dissi con un sorriso falso prima di andarmi a sedere al mio posto.
Ormai andava così da un bel po'. Non segui per niente la lezione, ero troppo presa nel pensare a Curtis e a tutti gli schiaffi che mi dava. C'erano giorni però che andava peggio, una volta feci cadere, per sbaglio, la mia bottiglietta d'acqua sulla sua giacca nuova e lui, per vendicarsi, mi diede un pugno in pieno stomaco.

# 3 ORE DOPO

La campanella suonò: la ricreazione. Ann mi prese per un braccio e mi trascinò velocemente fuori anche se io non volevo visto che avevo ancora paura che Curtis mi mettesse di nuovo le mani addosso.
«Ann ti prego! Rimaniamo in classe.»la supplicai.
«Che è successo Petal con quel tizio!?! Sembri sconvolta!»mi disse Ann.
«Nulla...»dissi.
Non volevo che si mettesse in mezzo tra me e lui. Era molto pericoloso e non volevo che qualcun altro, per me importante, passasse gli stessi momenti orribili che io stavo passando.
«Dai racconta.»mi esortò.
«Mi ha picchiato, mi ha dato due schiaffi perché avevo il suo stesso cappello, ma io non ci avevo nemmeno fatto caso.»dissi esasperata.
«Petal, devi dirlo ai tuoi...scusami, volevo dire a qualcuno, tu mi parli sempre di un certo Pagan, parlane con lui.»mi esortò Ann.
«Ma che scherzi!? Si arrabbierebbe da morire! Non posso, ucciderebbe prima me e poi Curtis.»dissi alzando non poco la voce.
«Ok, ok...entriamo in classe. Si sta avvicinando Curtis.»disse a bassa voce Ann.
Non feci in tempo ad avviarmi verso la classe, infatti mi ritrovai per terra, davanti a tutti, a causa di una spinta.
«Cogliona, indossi ancora il mio stesso cappello!?»urlò Curtis.
«I-io n-non lo sapevo, t-te lo giuro.»dissi balbettando.
Ero per terra quando mi arrivò un calcio nello stomaco. Mi accasciai a terra dolorante, con una mano sullo stomaco e mille lacrime che mi bagnavano il volto. Era un dolore incontenibile, pensavo che fosse arrivata la mia fine. Ann mi prese in braccio e mi portò in classe per poter vedere il risultato del calcio. Mi alzò la maglia, solo dopo avermi posato su una sedia, e scorgemmo un enorme livido ancora non ben nitido. Era sull'altezza dello stomaco e mi faceva molto male. Sentii chiamare il mio nome: era la professoressa. Ci corse incontro e spalancò gli occhi alla vista del mio livido.
«Petal, come te lo sei fatta? Chi te l'ha fatto?»disse con tono autoritario.
«Nulla prof....sono caduta.»dissi non con molta fermezza per convincerla.
«Non sei caduta! Chi te l'ha fatto!»mi urlò in faccia.
«No prof., non posso, mi picchierebbe di nuovo...»dissi, ma non mi accorsi di quello che mi ero fatta sfuggire.
Sentii la campanella che decretava la fine della scuola e subito corsi dirigendomi a casa. Appena arrivai, mi chiusi la porta alle spalle, sapendo già che Pagan non era ancora tornato, e mi diressi di corsa in bagno. Mi tolsi la maglietta, mi avvicinai allo specchio per poter osservare bene il livido e, senza preavvisi, iniziai a piangere immergendomi nel mio stesso dolore. Vidi sul davanzale una lametta, molto probabilmente di Pagan, e decisi di fare, sicuramente, la cosa più stupida che avessi fatto fino ad adesso: mi tagliai.

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Capitolo 9
*** Le nostre strade si dividono ***



POV. PETAL

Quando posai la lametta sul polso fino a farlo sanguinare, mi sentii sollevata. Successivamente il bruciore fu troppo ed altre lacrime scesero. Da ormai una settimana la mia vita era così. Il bruciore stava scomparendo, rimasi ferma qualche minuto per poter guardare il sangue scendermi lungo la mano e intanto pensavo a quello stronzo. Ne aveva fatte troppe in una settimana e per un'attimo pensai di denunciarlo, ma ci ripensai subito. Forse avrebbe potuto fare molto di più, tipo uccidermi. Beh, almeno sarei morta sapendo che qualcuno mi voleva bene visto che i miei genitori mi hanno abbandonato. Mi rimisi il bracciale che avevo tolto per tagliarmi pentendomi subito di ciò che avevo fatto. Andai giù a mangiare, ma il mio stomaco era chiuso e quindi poco cibo arrivo al mio stomaco ancora dolorante. Sentii la porta di casa aprirsi: Pagan.

POV. PAGAN

Indossavo una maglietta e una giacca nere, dei jeans e delle scarpe dello stesso colore quella mattina. Portavo una tracolla nera con tutte le cose che mi servivano. Ero finalmente tornato a casa, ero proprio sul portone di casa mia, cioè...nostra. Ormai erano giorni che giravo per tutta Londra alla ricerca di questi gioielli, ma senza traccia. Poi ero ansioso di vedere Petal...sì, lo ammetto, avevo un debole per lei. Sarà forse perché era mia sorella, anche se acquisita, sarà forse perché era così bella con quei suoi ricci dorati e quei suoi smeraldi che luccicavano ogni volta che era contenta e si scurivano ogni qual volta che non riusciva a portare a termine qualunque cosa, anche una partita alla PlayStation. Era una ragazza stupenda, era sempre pronta ad aiutare il prossimo, non si faceva mai gli affari suoi. Era la persona più frizzante e disponibile che io abbia mai conosciuto. Il pensiero di ripoterla abbracciare, di sentire di nuovo il suo splendido profumo, di potermi immergere nel suo cuscinetto di capelli, di potermi perdere nei suoi occhi verdi e potrei continuare all'infinito se non fosse per l'odore metallico che sentii quando entrai in casa. L'appartamento era proprio come l'avevo lasciato stamattina e non si sentiva nessun rumore. Mi stavo leggermente irritando.
«Petal? Sei a casa?»dissi sperando di ricevere una risposta.
«Sì, fratellone.»disse Petal dalla cucina.
Adoravo quando mi chiamava 'fratellone'. Mi faceva sentire...importante. Feci il mio ingresso in cucina e mi accorsi che aveva dimenticato di rimettersi la maglietta. La scrutai dalla testa ai piedi e potevo dire che avevo un leggero rossore sulle guance, ma mi rabbuiai appena il mio sguardo cadde sulla sua pancia. Vedendomi, anche lei abbassò lo sguardo confusa per rialzarlo terrorizzata.
«Ehm...nulla...all'ora di educazione fisica sono caduta...»disse balbettando, ma capii dalla sua espressione titubante che non era la verità.
«Petal! Che cosa è successo!»urlai andando su tutte le furie.
Ero veramente arrabbiato, non ero mai stato così. Andavo avanti e indietro per la stanza, di tanto in tanto mi tiravo i capelli e qualche volta emettevo dei versi gutturali da far accapponarle la pelle. Dopo un po' ritornai a guardarla e lì vidi paura nei suoi occhi. Uno strano velo si era abbassato sui miei occhi, quell'azzurro cielo, già freddo di mio, l'era diventato ancora di più. Poi le mie mani chiuse a pugno non aiutavano molto, erano diventate bianche per la stretta eccessiva. La mia mascella era tesa come d'altronde i miei muscoli, era diventato una statua tesa, fredda...ingestibile. Prima che me ne rendessi conto, si diressere in camera sua velocemente e chiuse, forse con troppa forza, la porta. Sentivo un moto che mi diceva di raggiungerla, ma ero consapevole che se l'avessi fatto non sarei riuscito a fermarmi. Il mio cervello, però, era andato in panne e non riuscivo a decidere più cosa fare temendo che sarei scoppiato proprio adesso. Mi sorpresi nel sentire la porta di casa sbattere. Ero appena uscito di casa. Un po' fui sollevato per questo, ma dall'altra parte volevo starle vicino, soprattuto in questo momento. Mi misi le cuffiette ed iniziai a pensare a cosa avrei fatto. Passò poco tempo prima che il telefono mi distraesse. Andai a vedere: numero sconosciuto. E chi era? Cliccai il tasto verde.
«Pronto?»dissi.
Non arrivò una risposta.
«PRONTO!?»urlai pensando che l'interlocutore non mi avesse sentito bene.
«Pagan? Pagan Romano, o meglio Snowwizzard?»chiese la voce dall'altra parte.
«Sì, sono io.»risposi con fare duro sapendo che non stavo parlando con un cretino.
«Ok, fatti vedere davanti alla scuola della tua amichetta alle 17:00.»disse con fare sbrigativo e prima che io potessi ribattere, attaccò.
Rimasi immobile pensando a che cosa dovevo fare. Dovevo andare o no? Rimasi con il telefono all'orecchio per un paio di minuti, pensando a questo dilemma. Forse era colui che l'aveva ferita oggi alla pancia. Uno strano moto mi fece avvicinare alla scuola di Petal. Forse feci questo perché non volevo fare i conti con Petal. Infondo, chi ero io per decidere cosa era giusto per lei o no!? Insomma ero solo un fratello acquisito niente di più...o almeno credo...diciamo che era una sorella acquisita molto sexy! Ma che cosa stavo pensando!? Forse stavo andando incontro chi l'aveva picchiata e io stavo pensando a quanto era figa Petal!? Ero così perso nei miei pensieri che non mi accorsi di essere già arrivato davanti alla scuola: erano le 16:45. Mi appoggiai al muretto e aspettai quel quarto d'ora con impazienza. La paura iniziò a salire. Avevo molta paura. E se era veramente colui che l'aveva picchiata non doveva essere umano, visto che sapeva benissimo come facevo di cognome. Pensieri bui e non dei migliori si fecero spazio nella mia mente. Erano le 17:05 quando sentii in lontananza il rombo di un motorino. Si accostò vicino a me e potei notare la bellezza della guidatrice. Aveva i capelli mori e degli occhi scuri, neri come la pece. Aveva un viso molto familiare, ma non riuscivo a ricordare dove l'avessi vista. Mi ispirava poca fiducia. Indossava una camicia nera, dei jeans strappati e delle scarpe nere. In spalla aveva uno zainetto. Mi ero persa in quegli occhi...erano così profondi.
«Ti decidi a salire?»dissi con una voce squillante, che mi fece venire la pelle d'oca solo a sentirla, e un sorriso stampato sul volto.
Aveva un magnifico sorriso. Mi diede il casco e salii in sella.
«Dove stiamo andando?»chiesi prima che partissimo.
«In un posto, stai tranquillo. Tieniti più stretto, però...almeno che non vuoi cadere!»mi rispose sorridendo.
Mi prese le braccia e me le appoggiò sulla sua vita. Involontariamente le strinsi di più ed inutile dire che le mie guance andarono a fuoco. L'aria fredda mi fece poggiare la mia testa sulla sua schiena. Lo sentii ridere, ma non capii cosa mi avesse detto.
«Mmh?»feci invitandola a ripetere l'ultima cosa che aveva pronunciato.
«Ahahah ci sei? Ma ti sei addormentato?»la sua voce squillante era stupenda, l'avrei sentita per ore e ore.
«Ahahah ma quando mai!»constatai che per la prima volta, dopo una settimana, stavo sorridendo...e per di più con una sconosciuta.
«Siamo quasi arrivati.»mi avvisò.
Pochi metri dopo si fermò davanti ad un capannone abbandonato.
«Che ci facciamo qua?»chiesi.
«Nulla, dai entriamo.»mi incitò la mora.
Aprii la porta e pensai che quel posto fosse fantastico. Era pieno di graffiti, io li adoravo, e poi sparsi un po' dappertutto c'erano dei divanetti.
«Dai entra, tranquillo.»continuò ad incitarmi la ragazza, forse con un po' troppa insistenza.
«Ok...»dissi confuso.
Non mi fidavo proprio di quella ragazza adesso, sentivo una strana morsa allo stomaco, ma non di dolore, era più...d'avvertimento, come se da un momento all altro sarebbe potuto succedere qualcosa di brutto. Entrai comunque.
«Forza siediti, io devo andare a prendere una cosa di là.»disse mentre io ormai mi dirigevo vicino ad un divanetto.
Quando uscii di nuovo io ero già seduto. Ma non era sola, c'erano altri ragazzi molto familiari, o meglio ombre nere, ma uno l'era più di tutti: Curtis. Ormai lo conoscevo da anni, molte volte aveva cercato di ostacolarmi nelle mie missioni, ma senza successo. Indossava una canottiera rossa, una felpa grigia, un jeans e delle Superga bianche. Aveva degli occhiali da Sole che gli tenevano sù i capelli, dei bracciali e un anello. Si sentiva uno strano odore in quella stanza, ma non riuscii a capire da cosa provenisse, sembrava...sale nero, cioè un sale che m'impediva di usare i miei poteri, ma pregai con tutto me stesso che non fosse così. Altrimenti sarei stato vulnerabile. Iniziai ad agitarmi e a tremare, ma in modo impercettibilmente, temevo il peggio quando con passo sicuro si avvicinarono a me.
«Cosa ci dobbiamo fare con questa stronzo?»disse la ragazza, che mi aveva accompagnato fino a qui, fino a Curtis.
Dovevo dire che rimasi sorpreso, non me l'aspettavo! Io lo sapevo che non dovevo venire, ma perché ero così ingenuo!? Perché non ero ritornato in dietro da Petal per consolarla invece di fare l'eroe e salvarla da qualcosa a me quasi sconosciuto? Infondo le ombre nere sono ancora un mistero per tutti, anche per i più anziani. Curtis mi tirò addosso una palla nera di fumo prendendomi alla sprovvista. Mezz'addormentato, mi portarono in una stanza chiusa, senza finestre e con solo una lampadina, lasciata cadere dall'alto, che emanava luce per tutta la stanza. Sentii un forte colpo alla testa e poi...buio.

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Capitolo 10
*** Separati non siamo niente ***



POV. PAGAN


Mi risvegliai con un forte dolore alla nuca, dedussi che ero svenuto e che erano passate alcune ore visto che fuori era buio. Cercai di alzarmi, ma persi subito l'equilibro ritrovandomi di nuovo a terra e questa cosa successe per un paio di volte prima di arrivare alla maniglia della porta. L'abbassai: era chiusa a chiave! Imprecai e tirai le mani al cielo ed andai a sbattere contro qualcosa. Capii subito che era la lampadina e cercai in qualche modo di accenderla. Quando ci riuscii, rimasi sbalordito di come ero conciato: ero pieno di lividi. Mi avevano portato via tutto: i vestiti, i gioielli e il telefono. Scariche di brividi percorsero tutto il mio corpo. E ora cosa potevo fare? Mi accasciai per terra, tutto dolorante, ed inizia a piangere pensando a qualunque fine potessi fare. D'un tratto sentii dei rumori provenire dall'esterno. Mi avvicinai alla porta e sbirciai dalla serratura. Vidi la peggior cosa che mi potesse capitare: le ombre nere. Allora non avevo sognato. Non avevo mai pensato che Curtis, quel ragazzo e tutti suoi amici fossero dei compagni di scuola di Petal. Almeno avrei dovuto percepire qualcosa, ma niente, una settimana intera erano riusciti a nascondersi da me, ma come avevo potuto!?
«Beh, allora che ci facciamo con lui!?»chiese una delle ombre.
«Dobbiamo usarlo come esca per prendere pure quell altra oppure portarlo da Lui, dobbiamo aspettare, non abbiamo ancora ricevuto nessun ordine.»disse, molto probabilmente, Curtis-ombra nera.
Sbiancai quando sentii 'quell altra', sicuramente stavano parlando di Petal. Non sapevo quale potesse essere l'opzione peggiore.
«Ok, aspetteremo. Sono le 04:00 e ora di andare.»sentii dire prima di non riuscire a vedere più nessuno dalla mia limitata visuale.
Il rumore del chiudersi della porta mi arrivò forte e chiaro. Riaccesi la luce, che precedentemente avevo chiuso, e mi accorsi di un piede di porco affianco alla porta. Senza pensarci, lo afferrai deciso nel mio intento di spaccare la porta. Ringraziai il cielo nel vedere che la porta era di legno. Aspettai un po' prima di attuare il mio piano solo per assicurarmi che le ombre nere se ne fossero veramente andate via. La mia forza bruta mi permise di spaccare la porta in un lasso di tempo relativamente troppo lungo, ma alla fine avevo tutta la notte per cercare di uscire di lì e dovevo dire che il tempo era l'unica cosa che non mancava. Per non destare sospetto chiusi tutte le luci e cercai di rimettere la porta al suo posto originario. Mi avvicinai, a tentoni, verso un armadietto per poter prendere qualche vestito. Trovai solamente una canotta bianca, una felpa piuttosto piccola bianca e nera e degli stivali neri. Non feci storie e indossai tutto prima di dirigermi alla porta del capannone. Constatai che era chiusa anche quella, ritornai indietro a prendere il piede di porco e incomincia a dare colpi alla serratura visto che quella porta, al contrario dell'altra, non era di legno. Dopo un po' i miei muscoli protestarono a tutto quello sforzo e tutti i lividi non aiutavano di certo. Alla fine mi accasciai per terra e decisi di fare l'unica cosa che mi rimaneva da fare prima di dichiararmi morto: dovevo mandare un messaggio a Petal. Essendo due beniamini dell'amore ed avendo già un legame molto unito, l'unico modo per mandarglielo era attraverso l'aria, sprigionando in essa un profumo che, quando l'avesse trovata, gli avrebbe riferito tutto ciò che volevo riferirle. Finalmente riuscii a mandarglielo, ma ciò mi complicò troppa forza ed infatti svenni calando nuovamente nel baratro.

POV. PETAL

Pagan non tornò a casa. Non volevo sapere dove fosse dopo lo stato di rabbia con cui è uscito da qui,ma dovevo ammettere che mi mancava. Mi diressi in bagno e mi lavai la faccia, avevo una fottuta voglia di tagliarmi, ma resistetti. Sapevo che non mi faceva bene. Mi lavai anche i denti e filai dritta a letto senza neanche mettermi il pigiama. Quando mi stesi, un fortissimo mal di pancia mi assillò. Si presentarono anche i conati di vomito. Andai in bagno e presi un'aspirina prima di ritornare al letto.

# IL GIORNO DOPO

Mi svegliai presto questa mattina, e fui grata per questo così non avrei dovuto scontrarmi con Pagan, sempre se era in casa, e, cosa ancora più strana, avevo una fame tremenda, avevo voglia di cioccolato così fui costretta a mangiare un Kit Kat e un cappuccino prima di ritornare in camera mia e scegliere i vestiti per andare a scuola. Indossai una camicia a tre quarti beige, dei jeans neri e delle scarpe marroni. Mi legai i capelli in una coda alta, mi truccai con degli ombretti marroni, un mascara nero e un rossetto rosso, lasciai lo smalto rosso risalente a qualche giorno fa e mi spruzzai del profumo addosso. Mi misi dei bracciali d'oro al polso, un ciondolo dello stesso materiale e degli orecchini dorati. Presi una borsetta di paiette dorate e ci misi dentro le cose di scuola. Indossai degli occhiali da Sole e presi il mio telefono con la cover floreale prima di uscire da casa. Appena arrivata intravidi Ann. Indossava una canottiera bianca con una scritta floreale, una felpa nera e bianca, dei jeans floreali e delle scarpe una a fantasia della bandiera inglese e l'altra con la bandiera irlandese. Aveva un borsetta a forma di gufo con dentro tutto la roba. Indossava un cappello nero che le metteva in risalto i suoi capelli, al polso aveva dei bracciali colorati e portava, anche, degli orecchini con fantasia inglese. Ad un tratto dovetti starnutire diverse volte tanto che dovetti piegarmi in due per la forza con cui lo facevo.
«Petal! Petal che hai?»chiese Ann impaurita correndo verso di me temendo che fosse ancora per il livido causato da Curtis.
«Nulla. Sarà allergia.»risposi, starnutendole qualche secondo dopo.
«Vieni ti accompagno in infermeria.»disse lei con un tono che non ammetteva repliche.
«Okay.»
I miei occhi iniziarono a lacrimare e a gonfiarsi. Appena arrivammo in infermeria, mi distesi sul lettino e, purtroppo, Ann fu costretta ad andarsene.
«Bene, dimmi dove ti fa male.»mi disse l'infermiera con tono dolce.
«Sinceramente, credo che mi sia raffreddata o che sia allergica a qualcosa, ma mi sembra strano.»dissi io indicandole il naso rosso e gli occhi lucidi e gonfi.
L'infermiera iniziò a fare strani esami, mi controllò anche la gola e le tonsille.
«Signorina Ricci, credo che lei stia benissimo, solo un po' di allergia, passerà.»disse sempre con tono dolce e amorevole.
«C-cosa?»strillai io starnutendo.
Lei mi fece cenno di andare così mi alzai dal lettino e corsi in classe. Quando entrai mi diressi subito vicino ad Ann, come sempre.
«Beh allora? Che ti ha detto?»mi chiese Ann ansiosa.
«Solo un po' di allergia, tutto qui.»dissi io fredda.
«Ah, ok.»
«Sarà qualcosa che gira nell'aria...»

# 5 ORE DOPO

Uscita da scuola, mi diressi velocemente a casa. Ero preoccupata. Pensai al peggio per Pagan...e se gli fosse successo qualcosa!? I peggiori pensieri popolavano la mia mente. Mangia di fretta e mi diressi in camera mia. Mi sentivo stanca, gli starnuti non cessavano e gli occhi mi pizzicavano sempre di più. Alla fine stremata decisi di sdraiarmi sul letto e di lasciarmi cullare dalle braccia di Morfeo, sperando che al mio risveglio avessi trovato Pagan.

Inizio sogno

Ero in un prato verde e fiorito. I petali di tutti i fiori esistenti sulla Terra danzavano accompagnati dal vento in una danza allegra, giocosa e coinvolgente. Io mi trovavo su una collina e ai miei lati si ergeva in bosco di un verde brillante e pullulava di ogni essere vivente terrestre e non terrestre. Davanti a me si trovava un lago cristallino abitato da anatre e cigni bianchi. Il vento mi scompigliava i miei capelli dorati e solo adesso notai che avevo cambiato vestiti. Indossavo un abito corto senza spalline azzurro e delle ballerine nere. Da lontano, sopra al lago, i petali danzavano in modo circolare fino ad arrivare esattamente sulla superficie marina. Mi avvicinai curiosa, continuando però ad osservarmi attorno supponendo che fosse un semplice sogno. Quando arrivai vicino al lago, inciampai su qualcosa, caddi per terra e con le mani cercai di reggermi per non sporcare il vestito. Alzai lo sguardo e potei vedermi riflessa sulla superficie cristallina dell'acqua. I miei capelli erano ricci, come al solito, mentre i miei occhi erano contornati da un po' di trucco. Vidi degli orecchini a forma di un fiore proprio come il mio tatuaggio solo che questi erano azzurri invece che rossi e poi c'era un magnifico ciondolo brillantinato nero a forma di stella. Mi rialzai per poterlo prendere tra le mani. Chissà che cosa rappresentava? Mentre scrutavo con cura il ciondolo, un venticello richiamò la mia attenzione e ciò che vidi mi lasciò senza parole. Davanti a me, i petali turbinavano in cerchio e piano piano formavano una figura, o meglio una persona...mi sembrava tanto familiare. Ad una certo punto al centro del turbine si creò un fascio di luce bianca che si propagò in tutte le direzioni. Era così forte che dovetti girarmi per non perdere la vista. Ero ancora girata ed avevo ancora gli occhi chiusi quando una mano si poggiò sulla mia spalla tanto da farmi irrigidire.
«Petal, stai tranquilla sono io.»quella voce, erano ore se non giorni che desideravo tanto risentirla.
Mi girai di scatto per guardare chi mi avesse toccato e per vedere se non mi ero immaginata tutto. Pagan. Pagan era proprio davanti ai miei occhi in tutti il suo splendore anche solo con una canotta nera, una giacca verde, un jeans e degli stivali marroni. I suoi capelli arruffati erano la fine del mondo e quei occhi, che avevo sempre amato, erano lì che mi scrutavano dalla testa ai piedi. Rimanemmo a fissarci per minuti fino a che non crollai e piansi tra le sue braccia. Inizialmente lo sentii rigido, ma poi si riprese dallo stato di trance in cui ero rimasto e ricambiò l'abbraccio. Sentirlo, poterlo riabbracciare e rivederlo era tutto ciò che da ore desideravo fare. Mentre singhiozzavo lui mi accarezzava la schiena e lasciava teneri baci sulla testa.
«Su, su, non piangere. Adesso sono qui.»sentire la sua voce non fece altro che tranquillizzarmi fino a far cessare i miei singhiozzi.
Con gli occhi lucidi e gonfi, ma soprattutto con il trucco sbavato, lo guardai e gli sorrisi. Lui non fece altro che ricambiare, ma poi si rabbuiò.
«Senti Petal, ho bisogno del tuo aiuto. Non sono potuto tornare a casa perché delle ombre nere mi hanno rapito. Tu devi essere forte per entrambi e devi sapere che dipendo da te. Sono prigioniero in un capannone fuori città, devi riuscire a trovarmi e a liberarmi. Fatti aiutare da Ann.»nel sentire quelle parole tra un po' non svenni.
Decisamente troppe cose tutte insieme. La combinazione tra Ombre nere, rapito, la sua vita dipende da me, prigioniero ed Ann non era brillante, ma questo era ciò che la vita mi porgeva su un piatto freddo e io potevo solo che accettare.
«Ann? Ann Richards, sei sicuro!? Non ho mai percepito niente in lei.»
«E come potresti...il mio più grande errore è stato non averti insegnato le regole basilari e di questo me ne pento, ma ora dobbiamo tirare avanti. Tu devi trovarla, spiegale cos'è e tutto ciò che deve sapere, poi dovrete venirmi a cercare. Se non porterete a termine la missione entro stasera per me sarà la fine...e questo è tutto ciò che ho da dirti. Ora devi andare, non riesco più a sostenere questa connessione. Ciao Petal e ricorda che ti ho sempre voluto bene...se non di più.»
«Cosa? Aspetta, non puoi lasciarmi così, io ho bisogno di te ora!»urlai piangendo alla figura che si stava dissolvendo nell'aria.
«Ciao Petal e ricordati...tu rimarrai sempre la mia stella, quella che brilla di più, ma che emette una luce diversa perché tu sei diversa, unica e mia. Ora porta a termine la missione. Fallo per tutti e due.»quelle furono le ultime parole prima che mi sentissi mancare la terra da sotto i piedi e che cadessi nella completa oscurità.

Fine sogno


Mi risvegliai di colpo. Ero tutta sudata e le coperte si erano annodate al mio corpo non mi permettevano di respirare bene. La prima cosa che pensai era che avevo fatto un incubo. Era l'unica spiegazione. Mi alzai da quel groviglio per dirigermi verso la cucina e prendermi un'altra aspirina. Stavo scendendo le scale quando mi vidi riflessa nello specchio. Ero vestita proprio come questa mattina, non come nel sogno, i capelli, il trucco e tutto il resto era quello di questa mattina fatta eccezione per il ciondolo. Avevo ancora quella stella nera brillantina che mi pendeva e mi sembrava che luccicasse ogni volta di più. Allora non avevo sognato, ma i miei occhi non davano segno di aver pianto, ma infondo cosa andava normalmente nella mia vita!? Niente, ecco la risposta. Corsi in bagno per darmi una sciacquata e, dopo aver fatto, mi diressi all'armadio per scegliere altri vestiti, visto che ormai quelli erano sporchi. Indossai una maglietta a tre quarti bianca con la scritta nera, una gonna nera di pelle e delle scarpe con il tacco. Legai i miei capelli in una specie di coda, mi truccai con ombretti marroni e bianchi, mascara nero , matita nera e lucida labbra rosso. Mi misi un po' di profumo e presi un bracciale nero e bianco, una collana d'oro e nero e degli orecchini d'oro a forma di croce e di catene. Presi una borsa di pelle nera e ci misi dentro il necessario e il telefono con la cover nera con sopra disegnata una croce con dei diamanti neri. Uscii fuori di casa e a grandi passi mi diressi verso la mia meta: casa di Ann.

POV. ANN

Era già qualche minuto che stavo davanti allo specchio guardandomi il collo del piede. Su tutto il collo c'erano diversi uccelli tatuati di nero. Era da quando ero nata che ce l'avevo e ormai ci avevo fatto l'abitudine. Improvvisamente sentii citofonare e sobbalzai per la sorpresa. Strabuzzai gli occhi cercando di capire chi potesse essere, ma non mi venne in mente nessuno. Velocemente presi dall'armadio dell'intimo, una camicia da notte beige, una vestaglia nera e le mie ciabatte nere. Scesi le scale a due a due e aprii la porta tutta affannata. Trovai Petal sull'uscio della porta in un imminente crisi che non tardò ad arrivare. Infatti mi abbracciò e sentii lievi singhiozzi.
«Hey Petal, che succede!? Vieni in camera mia.»dissi continuando a massaggiarle la schiena e a darle pacche confortanti.
La feci sedere sul mio letto, continuò a piangere e io non sapevo più che fare. La vidi immersa in strani pensieri, faceva strane facce come se stesse decidendo qualcosa. Mi tolsi le pantofole per mettermi i calzini visto che avevo piuttosto freddo. Un sorrisetto si formò sul suo volto vedendomi in difficoltà a tenermi in equilibrio su una gamba sola. Notai, però, che si era incantata a guardare il mio tatuaggio. Mi avvicinai a lei fino a che non le passai una mano sugli occhi per risvegliarla. Ritornò nel mondo dei vivi ed emise un sospiro molto profondo.
«Allora...che succede!?»le chiesi.
«Ehm...senti è una cosa grave e molto delicata, promettimi che non lo dirai a nessuno.»dissi mentre mi misi una mano sul cuore con fare fiero.
Sorrise nel vedermi così...felice, quasi normale, vidi di nuovo il suo entusiasmo svanire e riperdersi nei suoi pensieri. Un po' mi dispiaceva vederla così. Prese un altro bel respiro profondo e mi guardò dritta negli occhi.
«Ann, dovrai prestare molta attenzione a ciò che dirò, è complicato da spiegare e lo è ancora di più capire, quindi stai attenta. Io non sono normale...sono una beniamina dell'amore, ho dei poteri magici. Pagan sarebbe un fratello acquisito per me e adesso viviamo insieme perché ci è stata affidata una missione. In tutto questo non ci sono solo i buoni, ma anche i cattivi, le ombre nere, che cercano di ostacolarci nel nostro intento. Ti ricordi di questa mattina? Quando mi sono sentita male? Beh...io, ecco...come dire...Pagan si stava mettendo in contatto con me. Delle ombre nere l'hanno rapito e non so cosa sia successo e...e...»le si spezzò la voce e non riuscii a continuare, non respirava bene, vidi di nuovo i suoi occhi arrossarsi e inumidirsi e fu costretta a correre al bagno. Si accasciò sulla tazza del water e iniziò a vomitare. Subito le tenni alzati i capelli evitandole così di coprirsi il viso. Quando finii, si sistemò per bene e, io e Petal, ritornammo in camera mia. Da quel momento in poi il silenzio calò. Continuavo a fissarla e io vedevo che si sentiva in soggezione. Stava per alzarsi dal letto quando la presi per un polso e la tirai verso di me regalandole un abbraccio.
«Ok, ok, cercherò di prendere bene questa cosa perché tu sei la mia amica e le amiche non si abbandonano mai. Ho capito che in poche parole pensi che io sia una come te, con dei poteri...beh, è una cosa strana, ma devo accettare anche questa cosa, devo essere forte per te! Tu adesso hai bisogno di qualcuno che ti sta accanto, che ti consoli, che ti aiuti e ti dico che io ci sarò. Mi sembra strano che solo dopo una settimana siamo così legate, ma l'amicizia è fatta così. Comunque sono disposta ad aiutarti, ma prima...che hai intenzione di fare? Lo andiamo a salvare?»rimase sbalordita da quel gesto, ma molto di più per il mio discorso.
Mi abbracciò forte e intanto ero sicura che stesse pensando a qualche piano.
«Non lo so. Non ho ancora pensato ad un piano. Ha paura.»disse con la faccia immersa nell'incavo del mio collo.
Mi addolcì per tutta quella insicurezza, capivo che dovevo prendere in mano il controllo della situazione.
«Quindi...dobbiamo pensarci insieme, ok!?»mi chiese con un tono dolce.

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Capitolo 11
*** Il cambiamento ***



Inizio flashback

Alzai la testa di scatto e cercai di incanalare tutta la mia rabbia, sotto forma di energia, sulle mie mani. Mi sentivo...potente. Vidi un'aura nera stendersi sulla mia pelle e delle sfere nere, come la pece, uscirono dai miei palmi al contrario della mia prima volta al bosco, che erano bianche e lucenti. Sentivo che la mia mente si stava spegnendo e sottomettendo ad 
un'ondata di pura energia negativa. Non mi sentivo più padrona della mia mente e del mio corpo. La visione che aveva davanti ai miei occhi non fece altro che farmi continuare nel mio intento. Inquadrai bene l'obbiettivo e sprigionai tutta la mia potenza. Le sfere, prima situate sui miei palmi, volarono e andarono una su Federico e l'altra su Viviana. Vidi i loro corpi volare a qualche metro di distanza poi una fitta nube nera li coprii, togliendomeli dalla visuale. Aspettai prima di andarmene via, volevo sentire il tonfo sordo dei loro corpi a contatto con l'asfalto o almeno vedere solamente i loro corpi per terra. Non successe nessuna delle due cose. Non sentivo niente e non percepivo più la presenza di Federico nei paraggi. Pensai subito che avesse schivato il colpo o che fosse riuscito a riprendersi per portare in salvo sia lui che Viviana, infatti fu così. Quando la coltre di nubi si dissolse non vidi nessuno dei due, segno che il vampiro si era ripreso giusto in tempo per scappare con la sua amata. Pensai che fosse meglio così, in quelle condizioni avrei potuto anche ucciderla e la mia coscienza non doveva essere appesantita da un altro rimorso. Mi avviai verso casa con fare vittorioso: avevo dato inizio al mio piano di completo cambiamento.

# IL GIORNO DOPO

Di prima mattina pensai che il mio radicale cambiamento fosse sbagliato, ci riflettei su e decisi di continuare. Niente e nessuno mi avrebbe fermato. Mi diressi con passo felpato nella camera di mia sorella e rovistai nei suoi cassetti alla ricerca del suo set di tintura per capelli. Sì, mia sorella aveva avuto un momento pazzo in cui si tingeva i capelli, diceva che la faceva sembrare più provocante, più ragazzaccia. Anche se nostra madre non era dello stesso avviso. Mi diressi al bagno, ma all'improvviso l'indecisione prese il controllo della mia mente. Mai più capelli rossi, mai più senza trucco e mai più questi stracci. Ero sicura di ciò che stavo per fare? Dovevo farlo, non potevo tornare indietro, ormai avevo deciso. Così presi il pennello e iniziai a tingermi i capelli.

# 30 MINUTI DOPO

Mi sciacquai i capelli e me li asciugai per vedere che cosa aveva combinato. Ero soddisfatta: alla radice erano mori e ogni volta che scendevo con lo sguardo verso le punte prendevano i toni del viola, poi del rosa fino ad arrivare ad un rosa tenue, confetto. La prima fase del cambiamento era stata fatta, ora dovevo passare al secondo passo. Non mi sentivo abbastanza aggressiva. Avevo intenzione anche di farmi un'altro tatuaggio e qualche piercing, ma avrei aspettato, adesso dovevo cambiare look. Andai in camera mia, tirai fuori tutti i miei vestiti, iniziai a strappare i jeans e qualche leggings, tirai fuori le magliette scollate e rubai dalla scarpiera di Carmela degli stivali: ero pronta, perfetta e mi sentivo desiderata. Indossai una maglietta color panna a maniche lunghe con dei disegni neri a forma di labbra, jeans di pelle nera aderenti, blazer nero di pelle e stivali lunghi di camoscio con il tacco a spillo. Mi slegai la coda che avevo fatto precedentemente, creando così delle onde sinuose sui miei capelli, e mi misi un po' di profumo. Presi una pochette dentro e cercai di metterci dentro tutto il minimo indispensabile.

Fine flashback


# QUALCHE SETTIMANA DOPO

Era un giorno di scuola come tanti. Indossavo una canottiera nera con le scritte bianche, una felpa rossa, bianca e nera, dei jeans neri e delle scarpe panna a pois neri. In spalla portavo una tracolla rossa e grigia con le rifiniture nere. Ormai andavo a scuola in modo diverso, inizialmente i ragazzi mi fissavano, le ragazze erano invidiose e Federico rimase a bocca aperta e queste cose si ripetevano da qualche settimana. Quel giorno entrai in classe e mi diressi al mio solito posto all'ultimo banco, non più primo, ormai non ero più la perfetti a, ma vidi che era occupato da Bonnie Vanni, 'la popolare della scuola'. Aveva i capelli mossi castano ramati, gli occhi verde acqua, snella, abbastanza alta, con una seconda/terza di seno che compensava alla mancanza di un fondoschiena. La sua pelle era pallida e metteva in risalto le sue lentiggini. Aveva lasciato i capelli sciolti e indossava una canottiera fucsia, una felpa grigia, nera e fucsia, pantaloni della tuta neri, che arrivavano al ginocchio e che le metteva in risalto le sue orrende gambe, e le scarpe da jogging nere e bianche.
«Togliti.»dissi duramente a Bonnie mentre masticava una gomma da masticare a bocca aperta con le mani dentro alle tasche della felpa.
«Con chi credi di parlare?»disse Bonnie squadrandomi dalla testa ai piedi.
Questa era la solita pappardella che andava in onda ogni volta che c'era scuola.
«Con te, ora ti consiglio di toglierti.»dissi seccata da tutta quella testardaggine.
«Altrimenti?»mi chiese con sfida.
«Altrimenti nulla.»le risposi con un sorriso sornione.
«Non fai paura.»constatò.
«Tu credi di essere importante?»chiesi già sapendo quale fosse la sua risposta.
«Beh, ovvio!»disse prendendosi un capello tra le mano e girandoselo per arricciarlo.
«Beh, ora non più.»dissi incrociando le mani sotto al seno.
«Cosa intendi scusa?»disse quasi urlando e drizzandosi sulla sedia.
«Se ti fai un giretto in corridoio te ne renderai conto.»dissi lasciandole lo spazio per alzarsi e uscire dall'aula.
Posai lo zaino nel mio posto e la segui con fare divertito. Vidi la sua faccia shoccata attraverso il vetro della bacheca dove erano affissi tutti gli avvisi e cartacce varie. Vedevo i suoi occhi che si tingevano di rosso per la rabbia vedendo il mio nome al primo posto della classifica 'La ragazza più bella della scuola'. Bonnie era sempre stata abituata a vincere, infatti lei adesso si trovava al secondo posto. La vidi strillare e calpestare i piedi prima di andarsene tutta infuriata. Ora mi sentivo importante, apprezzata da tutti e adesso ero anche ricercata dai ragazzi. Però, mi risultava ancora strana questa cosa. Ci dovevo ancora fare l'abitudine. Io, sinceramente, volevo attirare l'attenzione solo di Federico e in parte c'erano riuscita visto che mi fissava in continuazione. Prima di adesso pensavo che 'le ragazze cattive erano le più desiderate', ma...dovevo ricredermi. Dovevo fare in modo di attirare la sua attenzione. Mi sembrava una cosa stupida creare una tattica per conquistarlo, ma adesso era l'unica cosa che potevo fare. Entrai nuovamente in classe, mi avvicinai a lui e gli sfiorai i capelli.
«Ops, scusa.»bisbigliai nel suo orecchio dandogli un bacio sulla guancia prima di uscire da lì.
Aspettai che Federico uscisse per parlare di qualcosa e di noi. Ormai pensavo che il mio piano non avesse funzionato, ma alla fine lo vidi uscire. Era bellissimo. Aveva una maglietta panna con un disegno nero che gli fasciava il suo torace, i suoi muscoli, un pinochietto beige e delle scarpe alte bianche. Sembrava un dio greco. E quel profumo che si era messo questa mattina non faceva altro che annebbiarti la mente e questo non mi aiutava a rimanere lucida.

POV. FEDERICO

Era cambiata. Perché? La mia piccola Chanter era cambiata per chissà quale oscuro motivo...beh, alla fine già sapevo qual era il problema, o meglio chi era il problema: Viviana. Chanter la vede come un ostacolo tra me e lei, ma non poteva avere questa reazione visto che non eravamo niente anche se...no, no, non eravamo niente, non potevano essere qualcosa, io avevo Viviana. Poi ora dovevo dirle quattro paroline visto che quel bacio sulla guancia non mi ero tanto chiaro, diciamo che le cose, da qualche settimana, non mi erano più chiare. Dovevo chiarirmi alcune cose. Mi avvicinai a grandi passi verso Chanter.
«Ci hai messo molto a capire.»disse poggiandosi al muretto.
«Perché sei conciata così?»dissi alludendo ai suoi capelli, al suo look e a tutto ciò che aveva cambiato.
«Non posso? Non ti piaccio?»disse con un finto broncio e con voce seducente.
«Smettila!»urlai visto che mi irritava molto il suo nuovo modo di fare.
«Hey baby, non ti ho fatto nulla, calmati.»dicendo quel 'baby' con una voce che mi provocò diversi brividi.
«Non pensavo che fossi così, veramente.»dissi guardandola dalla testa ai piedi.
Mi guardò negli occhi. Adoravo i suoi occhi, erano diversi, unici li adoravo. Lentamente si avvicinò a me e mi diede un bacio, ma non era un semplice bacio era uno di quelli passionali, sentiti. Quel contatto mi fece venire la pelle d'oca e diverse emozioni mi percorsero la spina dorsale. Forse, lo ammetto, l'avrei rifatto altre mille volte, ma Chanter era molto imprevedibile, chissà quale sarebbe stata la sua mossa per attirare la mia attenzione!?

POV. VIVIANA

Quel giorno avevo appuntamento con Federico dopo la fine della scuola. Mi diressi verso l'armadio, dopo essermi lavata, per prendere un vestito con le spalline nero molto particolare con la gonna lunga semitrasparente diviso con da un cinturino nero che si mimetizzava alla perfezione. Dalla scarpiera tirai fuori degli stivaletti neri con un piccolo tacchetto e mi andai in bagno per pensare ai capelli e al trucco. I capelli li lasciai sciolti, mentre presi il mascara nero per le sopracciglia e il rossetto viola per le labbra. Mi avviai verso il portagioie per prelevare degli orecchini a forma di leopardo tutti brillantinati e un anello a forma di ala d'angelo. Presi il mio cappello nero ed uscii di casa iniziando a dirigermi verso la scuola di Federico. Erano passate alcune settimane da quando non vedevo quella sotto specie di fungo velenoso. Ma come si faceva ad essere amica sua se lei era la prima ad allontanarti!? Forse non avevamo iniziato con le migliori intenzioni, però non potevo fare solo io! Io ce l'avevo messa tutta dopo che fui stata ripresa da Federico per il mio comportamento freddo nei suoi confronti, ma lei non ti aiutava in nessun modo. Poi dopo che avevo capito quale erano le sue intenzioni, la mia voglia di conoscerla e farmela amica si era andata a nascondersi da qualche parte. E, non per esagerare, aveva anche cercato di uccidermi! Lo sapeva benissimo che io ero vulnerabile davanti a lei, ma non se ne interessò attaccandomi comunque. Dovrei ringraziare il cielo se il mio fidanzato era lì, altrimenti sarei morta. Dovevo però ammettere che facevo un certo effetto alla roscia, non avevo mai visto, da una novellina, un attacco così potente. Era vero che le emozioni giocavano un ruolo importante, ma non ne avevo mai visti di così forti. Dovevo stare attenta e tenerla sott'occhio. Poteva benissimo sfuggirci dalle mani e perdere il controllo su di lei. Un motivo in più per sorvegliarla. Ero persa nei miei pensieri quando svoltai l'angolo che conduceva immediatamente verso la scuola. Quando arrivai, ciò che vidi mi fece strabuzzare gli occhi e mancare il respiro. Non potevo crederci il mio più grande incubo si stava avverando. Le labbra di Federico combaciavano con quelle di una ragazza mai vista prima, con i capelli neri alla radice e che alle punte diventavano rosa. Non so per quale motivo lo feci, ma mi avvicinai comunque a loro e, quando fui abbastanza vicina, diedi uno strattone alla ragazza che si stava divertendo con il mio ragazzo. E lì sbiancai. Quella ragazza era proprio Chanter che, nel vedendomi, fece un sorriso beffardo, mentre Federico era completamente immerso in chissà quale mondo fantastico. Non riuscivo ad emettere parola, qualche volta aprivo la bocca per poi richiuderla non sapendo cosa dire. Ero patetica. Alla fine con le lacrime agli occhi guardai prima Chanter e poi Federico per poter, finalmente, girargli le spalle e andarmene. Sentivo che lui stava animatamente discutendo con lei.
«Ti ringrazio.»disse Federico.
«Non preoccuparti e non dirmi che il bacio non ti è piaciuto!?»disse intrigante lei.
Tutto ciò mi arrivò ovattato e poi il silenzio si impossessò delle mie orecchie. Non sapevo se Federico se ne fosse andato, ma di una cosa era certa: lei adorava ciò che era diventata, le piaceva avere gente attorno e vendicarsi sulle persone che non l'apprezzavano, ma che la giudicavano solo. Ora aveva mostrato 'il suo lato cattivo' e questo non era un buon segno visto che tra le mani aveva il dono più potente in tutto l'universo.

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Capitolo 12
*** Indecisioni ***



POV. FEDERICO

Era cambiata molto sia fisicamente che caratterialmente. Le piaceva avere tutte le attenzioni sia delle ragazze, ma soprattutto dei ragazzi su di lei e la cosa brutta era che io ero geloso. Non mi piaceva quando stava al centro dell'attenzione, quando usciva con un ragazzo diverso tutti i giorni, quando faceva la civettuola con le cheerleader. In poche parole non mi piaceva la sua popolarità. Però adoravo lei come una ragazza timida, semplice, quella che era una volta prima di allontanarmi e chiudersi nel suo piccolo mondo contorto. Mi alzai dal letto per dirigermi verso l'armadio e tirarne fuori la roba che mi sarei messo per andare a scuola. Indossai una maglietta larga a tre quarti grigia, un cardigan con le sfumature dello stesso colore, dei pinocchietto di jeans strappati e delle scarpe alte nere. Nella mia tracolla, dello stesso colore, misi dentro i libri, quaderni di scuola e un note book. Presi gli occhiali da Sole neri prima di uscire di casa e dirigermi verso la fermata dell'autobus. Ecco che vidi Chanter venire verso di me. Indossava una camicia a mezze maniche bianca a strisce nere, una felpa grigia, una gonna e delle scarpe dello stesso colore. I suoi libri di scuola li aveva messi in uno zaino a quadri rossi mentre degli occhiali da Sole gli tenevano la frangetta indietro in modo che i capelli non le andassero davanti agli occhi. Al collo portava una collana di bronzo con il ciondolo a forma di gufo e al polso portava un orologio nero. Solo nel vederla così diversa rispetto a chi mi ero...innamorato...mi fece tornare alla mente ciò che ieri aveva fatto. Era stata un perfetta stronza per avermi baciato di fronte a Viviana, ma non potevo negare a me stesso che il bacio mi era piaciuto. Però mi aveva dato fastidio il modo in cui l'aveva fatto. Ero così confuso, messo con le spalle al muro davanti a due decisioni che mi avrebbero cambiato la vita. Da una parte c'era Viviana, la mia ragazza, o almeno lo speravo, che mi aveva aiutato nei momento difficili, che c'era sempre stata, sin da quando ero piccolo, che con la sua semplicità, ma arroganza, mi aveva fatto innamorare di lei però tutto questo fu messo in dubbio dall'altra scelta: Chanter. Lei poteva essere lo yin o lo yang, il puntino nero nel bianco o il puntino bianco nel nero, il male nel bene o il bene nel male dipendeva tutto da come la guardavi, da come l'analizzavi, da come la conoscevi. Poteva essere il tutto o il niente, ma io sarei stato disposto a rischiare e stare con lei piuttosto che aggrapparmi a Viviana, la sicurezza più assoluta!? Non avevo la più pallida idea.
«Cosa c'è? Non mi dici 'Buongiorno'?»chiese Chanter distogliendomi dai miei pensieri.
«Non ne vale la pena.»e di questo non n'ero affatto sicuro.
«Ci conosciamo, credo che ne valga proprio la pena.»
«Dovrei ringraziarmi con te per avermi fatto mollare dalla mia ragazza, piuttosto.»dissi sarcasticamente.
«È stato un piacere.»
Non sapevo da cosa fui spinto, forse dalla rabbia per essere stato lasciato da Viviana o dalla sua sfacciataggine nel rispondermi, però, sbattei Chanter vicino al muro. Eravamo così pericolosamente vicini, le sue labbra, che tanto bramavo, erano così vicine tanto che i nostri respiri si potevano fondere come del resto anche i nostri occhi che si erano intrecciati tra di loro. Desideravo tanto annullare quella distanza tra le nostre labbra, speravo che anche lei provasse questo, però non lo feci. Non volevo baciare 'la Chanter di adesso', ma quella 'di una volta'. Un silenzio imbarazzante calò tra di noi.
«Lasciami.»disse freddamente da farmi venire i brividi.
«No, non ti lascio.»
«Perché?»
Non sapevo che rispondere. Perché l'avevo attaccata addosso ad un muro vicino ad una fermata dell'autobus? Non c'era risposta. Provai a cercarla nei suoi occhi neri come la pece e vidi solo sofferenza. Sembravano che stessero gridando 'Fai qualcosa! Abbracciami, baciami, fai qualunque cosa, ma falla!'. E in quel momento rividi gli occhi di cui mi ero innamorato. Senza convenevoli, l'abbracciai. Provavo uno strano torpore invadermi in tutto il corpo e detto da un vampiro è il colmo, però era questo ciò che sentivo. Pensai che non avevo mai dato un abbraccio così sincero e puro. Fui sorpreso nel sentire le braccia di Chanter fare una leggera pressione e ricambiare l'abbraccio. Fui felice del fatto che anche lei mi volesse al suo fianco e che fosse 'la Chanter di una volta'.
«Il perché di questo abbraccio?»chiese quando ormai c'eravamo staccati entrambi.
Un'altra domanda senza risposta. Riusciva sempre a farmi stare senza parole questa ragazza. Iniziai a fare mente locale per cercare una scusa plausibile. L'avevo abbracciata perché volevo rivedere 'la vera lei' di cui mi ero innamorato, perché glielo dovevo, perché me l'aveva implorato con gli occhi, perché me lo sentivo dal cuore, perché volevo averla al mio fianco.
«Mi andava di dartelo.»risposi con una mezza bugia.
Infondo non avevo detto né la verità né una menzogna.
«A me in questo momento mi va di baciarti, ma non lo faccio!»bisbiglia digrignando i denti.
All'inizio pensavo di non aver sentito bene, ma poi il suo rossore alle guance mi fece ricredere.
«Che?»chiese più per risentire le parole uscire dalle sue labbra, che per certezza.
«Niente.»
Volevo dirle che non era vero, che avevo sentito perfettamente, ma fu salvata dall'arrivo dell'autobus. Salimmo e decisi di sedermi vicino a lei. La vidi agitata. Perché? Perché mi ero messo seduto vicino a lei dopo mesi?
«Ehi Chanter!»urlò James Estrada per farsi notare da lei.
«EHM...ciao.»
Ero tremendamente geloso. Non si poteva dire che James non era un bel ragazzo. Era l'opposto di me: capelli ricci mori, occhi azzurri con pagliuzze verdi, alto all'incirca 1.65-1.70. Indossava una maglietta giallo canarino, un maglione bianco, un giacchetto marrone, dei jeans e delle scarpe marroni. Al collo aveva il suo ciondolo fatto con il corallo per poter ricordare a tutte le ragazze che glielo chiedevano, che lui era stato sulla barriera corallina e che aveva visto squali pericolosi e altre cose varie. Io non gli credevo affatto, era un bugiardo e un playboy, non gli avrei permesso di intrappolare nella sua rete anche Chanter. Aveva una piccola tracolla bianca e degli occhiali da Sole tiravano indietro i suoi ricci che tutti adoravano. In questa scuola chiunque avesse i capelli ricci sembrava un dio greco e tutte le ragazze gli correvano dietro, insomma, il colmo. Sono tanto belli i capelli lisci, soprattuto biondi, come i miei. Un'altra cosa di cui era conosciuto era il suo modo, cosiddetto talento, nel vestirsi. Io, personalmente, non ci trovavo niente di che nel mettere una maglietta giallo carino. Era ridicolo, io non l'avrei mai messa. Era troppo fluorescente, avrebbe stordito anche un cieco. Pensai a quel cretino per tutto il tempo finché non arrivammo a destinazione. Chanter era così persa nei suoi pensieri che fui costretto a prenderla per mano e dirigerci a scuola. In quel momento pensai che sarei stato il ragazzo più felice del mondo se fossimo fidanzati, ma, purtroppo non l'eravamo. Era strano ciò che provavo per lei, ma quando stavamo vicini mi sentivo bene, era una sensazione piacevole. Vidi James avvicinarsi, sfilarmi la mano di Chanter dalla mia e baciarla. La rabbia mi ribolliva sin dalla viscere del mio corpo. Vedevo lei che non riusciva a liberarsi, che lo spingeva, ma lui non si scontava e, anzi, si avvicinava sempre di più, intensificando il bacio. Non riuscivo più a controllarmi, ma dovevo farlo per lei. Mi ricordavo ancora il modo in cui mi avevo guardato quando avevo quasi ucciso Darrell, il disprezzo, il disgusto, la paura, il terrore...non potevo di nuovo rivederli in lei, altrimenti ne rimarrei devastato. Decisi di agire prima che perdessi il controllo, così mi avvicinai a James e gli diedi un pungo, cercando di misurare la mia forza. Appena lui cadde a terra, mollando la presa su Chanter, la presi e corremmo insieme in classe. La portai in un corridoi desolato, c'eravamo solo io e lei, nessun altro.

POV. CHANTER

Eravamo soli in quello squallido corridoio. Io ormai avevo le lacrime agli occhi. Sentire la violenza di James sulla mia pelle, fede scaturire in me vecchi ricordi: Darrell che mi metteva le mano addosso solo per divertimento. Avevo ancora gli incubi per quello, non riuscivo ad avvicinarmi a lui nemmeno un po', tendevo sempre ad irrigidirmi, a sgranare gli occhi ed avere il respiro accelerato. Ma la cosa che mi scuoteva di più non era le mani di Darrell sul mio polso, ma gli occhi scuri, bordeaux di Federico. Avevo sempre odiato quella sua parte, ma ormai avevo imparato ad accettarlo, però non ero ancora pronta a vederlo trasformato sotto i miei occhi. Le lacrime non smettevano di scorrere sulle mie guance e il respiro non rallentava. Sentii dei gemiti provenire dal mio lato e mi girai subito a vedere che cosa fosse preso a Federico. Lo vidi piegato in due, le mani sopra al petto, con le ginocchia per terra e la testa rivolta verso il pavimento. Lo sentivo benissimo che si stava trattenendo per non fare più rumore, ma la cosa mi spaventava lo stesso. Temevo il peggio.
«Federico...»sussurrai, ma bastò per farlo sollevare la testa da terra e rivolgerla verso di me.
Sbiancai. Mi immobilizzai. Sul suo volto c'erano di nuovo quegli occhi bordeaux e quei canini sporgenti che mettevano i brividi solo a vederli. Sussultai nel rivederlo in quello stato e lui, di scatto, riabbassò la testa mettendosi le mani sulle tempie. Continuava a contorcersi dal dolore. Odiavo vederlo così. Anche se dovevo ucciderlo per tutto il male che mi aveva fatto, io mi sentivo male. Infondo lo amavo, non potevo farci niente. Sentii una strana vibrazione positiva partire dal mio cuore fino ad espandersi in tutto il corridoio. Ormai sapevo di che cosa si trattava, l'avevo già usata una volta per tranquillizzare Federico ed evitare che perdesse il controllo davanti a tutti. Decisi, inconsapevolmente, che era arrivata l'ora di farlo di nuovo. Mi costava tanta fatica mettere in atto questa cosa, ma, dovevo ammettere, che ne valeva proprio la pena. Lentamente, vidi Federico rilassarsi, smettere di contorcersi e di torturare i suoi bellissimi capelli dorati. Provò ad alzarsi, ma alla fine si accasciò per terra, sulle sue ginocchia. Mi avvicinai a lui con passo incerto, ma quando gli arrivai vicino, mi inginocchiai anche io. Aspettai una sua reazione, ma non fece niente. Così decisi di correre il rischio, avvicinai lentamente le mani al suo viso. Mi avrebbe potuto mordere, sbattere al muro, scappare, ma invece decisi di restare. Le mie mani stavano percorrendo la linea della sua mascella, lo accarezzavo e quando mi sentii sicura, pronta a qualunque cosa si fosse presentata davanti ai miei occhi, alzai con delicatezza il suo viso. Cercai di imprimermi nel cervello tutti i piccoli dettagli che, in quel momento, caratterizzavano il suo viso. I suoi capelli erano in disordine, sulla parte alta della fronte si presentavano goccioline di sudore che gli ricadevano fino al naso superando dei piccoli solchi che gli si erano formati in mezzo ad essa per il troppo sforzo e le orecchie, un pochino a sventola, erano tutte rosse. Le sopracciglia erano aggrottate, gli occhi, erano la parte che mi stupì di più, erano rossi, gonfi, lucidi, trasmettevano insicurezza, fragilità e il suo naso emetteva forti e pesanti respiri facendo allargare di poco le narici. La bocca era semiaperta e uscivano vampate di calore piacevoli, la mascella era tesa, rigida sotto il mio tocco e sul collo si vedeva benissimo una vena che sporgevano di più rispetto a tutte le altre e, dovevo dire, che era proprio sexy. Non sapevo che fare in quel momento, vedevo tristezza nei suoi occhi, ma anche la rabbia gli ribolliva da sotto la pelle. Emisi l'unica cosa che dovevo dire in quel momento.
«Grazie Federico.»
Nel sentire quelle parole, il rossore sulle sue orecchie, l'insicurezza e la fragilità nei suoi occhi, la rigidità nella sua mascella e la vena dal suo collo, svanirono. Era la prima persona che conoscevo che riusciva a cambiare così rapidamente il suo stato d'animo. Infondo, però, non eravamo normali, forse erano scontati questi sbalzi d'umore.
«Di nulla. Ti va se oggi sarò il tuo eroe?»fui felice nell'udire di nuovo quella voce roca.
«D'accordo.»dissi con un sorriso a trentadue denti.
Percorremmo i corridoi insieme fino ad arrivare in classe. Quando entrai, un vuoto si propagò all'interno del mio cuore nel vedere il banco di Petal vuoto. Ormai erano mesi che non la vedevo più e la mancanza si era fatta sentire, ma per affrontare tutte le situazione in cui mi cacciavo quotidianamente avevo bisogno di tutte le forze possibili e così cercai di abituarmi alla sua assenza. Era difficile. Sapevo che non avrei mai potuto cancellarla dalla mia vita, ma potevo pensare che fosse morta piuttosto che andata via lasciandomi qui da sola, indifesa. Faceva meno male pensarla così. La presenza di Federico al mio fianco mi riscosse dai miei pensieri. Sentii un'altra persona al mio fianco, non volevo alzare lo sguardo, sapevo già chi era.
«Ehi Chanter, andiamo in bagno, eh!?»disse sottovoce Darrell nel mio orecchio.
Mi irrigidii a quella parole. Ormai Darrell non mi infastidiva più visto che ero diventata 'la più popolare', ma la sua presenza non mi faceva stare tranquilla. Federico si mise all'altezza dei suoi occhi con un sorriso maligno.
«Non ti è bastata l'altra volta? Lo devo rifare?»disse con voce melodiosa, ipnotica.
«Ho capito. Vi lascio stare.»disse in modo meccanico, come se non fosse lui.
Lo vidi andarsene via come se fosse un robot. Strano, decisamente strano. Cercai di non farci troppo caso. Di cose strane ne vedevo tutti i giorni, se ogni volta mi soffermava su ognuna diventavo scema.

# 5 ORE DOPO-POV. FEDERICO

La giornata scolastica era passata piuttosto velocemente. Era ora di tornare a casa, ma prima, volevo sistemare le cose tra me e Chanter. Dovevo capire che cosa volevo nella mia vita: lei o Viviana!? Ero sicuro che sarebbe stata una decisione molto difficile. Appena uscimmo da scuola la vidi e la presi per mano portandola al cortile anteriore della scuola. Era popolato di persone, ragazzi e ragazze, era meglio, così non avrebbe deciso di fare una scenata davanti a tutti se avesse avuto l'intenzione di farla.
«Perché qui?»chiese con la sua dolce voce.
«Devo dirti una cosa importante.»
Non riuscivo ancora a spiegarmi perché così tanta gente si riunisse la dietro dopo la scuola invece di ritornare a casa, ma adesso, questo non era il mio principale problema. All'improvviso da lontano vidi l'ultima persona che volevo lì in quel momento: Viviana. Maglietta larga a mezze maniche verde acido le nascondeva le sue forme accompagnato da un giacchetto azzurro, un pantalone verde acqua le fasciava il fondoschiena e ai piedi indossava delle scarpe marroni e bianche impreziosite da dei piccoli diamantini che le mettevano in risalto lo smalto dei piedi color azzurro. Si era portata con se una borsa bianca, al collo portava una collana d'oro e i suoi ricci castani erano tirati indietro da un occhiale da Sole dello stesso colore dei pantaloni. Era truccata con degli ombretti sui toni azzurri, verdi e rosa, con un mascara colorato, arancione, mentre un lucida labbra le metteva in risalto la bocca. Ebbi l'impulso di baciare Chanter dopo aver visto Viviana così non mi fermai. Era un semplice bacio, senza pretese, uno di quelli casti, dolci, delicati proprio come 'la mia vecchia Chanter'. Mi sentivo bene, protetto dalle sue labbra, ma, all'improvviso mi scostò bruscamente. Nei suoi occhi vedevo rabbia, disgusto, indignazione. Erano lame che mi colpivano in pieno petto. Facevano male.
«Ho capito il tuo gioco.»disse ferendomi di nuovo in modo più violento rispetto ai suoi occhi.
«Quale?»chiesi cercando di fare il vago.
Non volevo che scoprisse il mio stato confusionale. In effetti l'avevo usata per capire chi voleva tra lei e Viviana, ma era necessario. E poi non ero l'unico ad aver fatto degli errori.
«Devi far ingelosire Viviana baciando, vero!?»mi urlò in faccia lanciando diverse occhiatacce in direzione di lei.
Non potevo mentirle per sempre. Eravamo legati, prima o poi l'avrebbe capito che c'era qualcosa sotto, ma non volevo che lo scoprisse così. Forse avevo capito cosa rappresentava per me Chanter...speravo con tutto il cuore che non l'avessi capito troppo tardi.
«Ok...sì...cioè...no...diciamo...»iniziai a balbettare, ma fui fermato da una Chanter dagli occhi freddi, glaciali, inespressivi, al contrario della sua voce forte, arrabbiata, schifata.
«Perfetto, mi hai usata. Era tutto una finta.»
Aveva delle lacrime nere che le ricadevano dagli occhi quando si voltò per andarsene.
«Chanter scusami, non volevo dire questo...»dissi, ma ormai lei era troppo lontana per riuscire a sentirmi.
Con il cuore spezzato in due me ne andai a casa. Dalla finestra della camera sua riuscivo a vederla: era triste, angosciata, non stava facendo nulla se non guardare dritta davanti a se con uno sguardo vuoto, perso e molto probabilmente non aveva neanche mangiato. Le avevo rovinato la vita. Non mi riconoscevo più. Mi passai una mano davanti agli occhi per poi portarla sù verso i capelli per ravvivarli un pochino. Quando guardai di nuovo verso di lei, la vidi intenta a guardare qualcosa sul davanzale della finestra.

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Capitolo 13
*** Nuovi incontri in discoteca ***



Appena adocchiai il biglietto sul davanzale della finestra pensai che fosse di Federico. Un bigliettino di scuse me lo meritavo, ma non era suo e tanto meno chiedeva delle scuse. Era un invito ad una discoteca per giovani ragazzi per l'inaugurazione. Era fissata per domani alle 22:00. Sentivo una strana sensazione, molto negativa, ma mi attirava l'idea di divertirmi un po' dopo quello che era successo con Federico e poi volevo sapere chi me l'aveva mandato. Non avevo nulla da perdere e mi avrebbe aiutato a superare il suo ennesimo tradimento. Era diventata un'ossessione quel ragazzo. Volevo fargliela pagare.

# IL GIORNO DOPO

Mi alzai strana e molto stanca. Ero rimasta tutta la notte a pensare al biglietto e a Federico. Volevo rimanere sotto le coperte calde del mio lettuccio, non volevo fare niente, soprattutto vedere lui. Però non potevo marinare la scuola senza un buon motivo, non volevo. Dovevo far vedere a quel bambino che ero matura ed una ragazza forte. Dal mio armadio presi una canottiera grigia, un giacchetto di jeans, una gonna bordeaux e delle scarpe nere. Presi il mio astuccio blu, rimisi dentro tutte le penne che ieri notte avevo lasciato sparse per la camera e poi lo poggiai dentro allo zaino di pelle nero. Feci colazione con diversi frutti di bosco e un po' di panna prima di uscire e dirigermi verso la fermata dell'autobus. Mi preparai psicologicamente prima che Federico arrivasse, infatti poco dopo lo sentii al mio fianco. Lo guardai di sottecchi e vidi che portava una maglietta bianca a strisce rosse, una felpa nera, bianca e rossa, dei pantaloni a quadri rossi e delle scarpe bianche e nere. Degli occhiali da Sole, della stessa fantasia e colore dei pantaloni, gli tiravano su i capelli biondi dal viso e all'orecchie aveva delle cuffiette. Belle tecnica per distrarsi da me. Portava una tracolla nera, bianca e marrone con dentro penne, un note book e altre cose varie. Il silenzio si era impossessato tra di noi, nessuno dei due voleva proferire parola. Io però dovevo parlargli, fargli capire che aveva torto, volevo delle scuse. Iniziai a prendere coraggio.
«Non devi dire niente?»chiesi alla fine con tono acido e gelido.
«Cosa?»rispose anche lui con tono piatto.
«Fai anche l'indifferente adesso!? Magnifico!»
«So cosa devo dirti, ma non trovo le parole.»disse abbassando la testa.
«Non c'è bisogno delle parole per chiedere 'scusa', ma devi avere le palle per farlo.»ero veramente arrabbiata con lui.
«Scusa, ok!?»mi urlò in faccia distogliendo così la sua attenzione dalle sue scarpe bianche e nere.
«Facile così, eh!?»
«Dobbiamo parlarne proprio adesso?»chiese abbassando la testa di nuovo e sentii la sua voce incrinarsi.
Mi dovevo esser sbagliata. Federico non era uno da pianti e smancerie varie. Avrò sentito male.
«No.»
Stavo salendo sull'autobus quando sentii qualcuno prendermi per il polso. Qualche secondo dopo mi ritrovai tra le braccia di un Federico in lacrime. Che cosa stava succedendo?
«E questo che cosa vuol dire ora?»chiesi addolcendomi un pochino.
«Sono delle scuse e avevi ragione riguardo a Viviana. Non era adatta a me, non valeva la pensa stare con lei.»disse singhiozzando sulla mia spalla bagnandola tutta.
«Perché? Che ti ha fatto?»
«Stamattina non c'era in camera sua così sono andata a cercarla, ma quando arrivai in cucina...c'era un biglietto che diceva che se n'era andata, ma non mi spiegava perché. Poi sentii il mio telefono vibrare e andai a vedere chi mi avesse mandato un sms. L'aprii e...e...vidi una foto in cui Viviana baciava un altro. C'era la data...diceva che era stata scattata qualche settimana fa. Noi stavamo ancora insieme qualche settimana fa. Mi ha tradito. Mi ha usato.»rispose con tono più calmo del solito e di qualche secondo fa.
«Ti ha fatto male, vero!? Ti ha ferito nel profondo.»dissi cercando di fargli capire come mi ero sentita io quando mi usava.
«Sì.»
«Io mi sono sentita nello stesso modo.»dissi abbassando, questa volta io, la testa.
«Scusa.»
Mi stavo rigirando per prendere l'autobus ed andare a scuola quando fui fermata di nuovo dalla mano di Federico.
«Che ne dici se oggi mariniamo la scuola insieme?»mi chiese sorridendomi.
Era da un bel po' che non vedevo il suo sorriso grazie a me. Però non ero proprio sicura, ma l'idea di stare un'intera giornata con lui non si poteva rifiutare, soprattutto quando adesso quella strega di Viviana se n'era andata via.
«Certo.»sorrisi a mia volta.

POV. FEDERICO

Ormai stavamo percorrendo da un po' le vie per poter andare nel mio posto segreto. Mi sentivo rinato accanto Chanter. Non mi sentivo più insicuro, debole e non avevo più paura. Finalmente arrivammo alla spiaggia, era romantica come cosa però non volevo iniziare con lei in modo troppo frettoloso e pregai che non fraintendesse la cosa.
«Scusa se ti ho portato qui, ma questo è il luogo dove passo molto tempo, soprattutto quando devo pensare a qualcosa o mi devo chiarire le idee.»
«Cosa? È un posto bellissimo.»vidi sul suo viso un sorriso a trentadue denti.
Era da un po' che non ero più la causa del suo sorriso e rivederlo comparire grazie a me riusciva a rendermi felice. Era giunto il momento di dirle cosa provavo o almeno di accennarle qualcosina cominciando con piccoli passi.
«Già, lo so. Comunque...non riesco a spiegarmi questa tua trasformazione. Eri bella pure prima, con i tuoi capelli rossi, le tue gote rosate e il tuo modo di vestire. Sì, mi piaceva anche prima.»iniziai dicendole una delle piccole e tante verità che da mesi mi tengo dentro.
«E ora?»mi chiese dopo qualche minuto di silenzio, forse per assimilare le cose che gli avevo detto.
«Ora sei diversa. Sei più dura, più trasgressiva, più...comunque si vede che sei una ragazza dolce. Lo vedo da come reagisci quando sei con me e da altre cose.»
«Federico...tu mi piaci...»bisbiglia arrossendo sulle gote e abbassando sia lo sguardo che la testa.
Era adorabile. Gli misi un dito sulla bocca provocando in lei un sussulto. Lentamente alzò la testa e i nostri occhi si incatenarono. Quei pozzi neri erano diventati il mio rifugio preferito. Ti trasmettono serenità, felicità, calma e poi adoravo vedere quel luccichio nei suoi occhi perché lo faceva solo quando guardava me. Era mio, solo per me e ne ero onorato. Lentamente il mio sguardo cadde sulle sue labbra. Erano piene, rosse e il labbro inferiore tremava in modo impercettibile. Stavo bramando con tutto me stesso di poterle toccare e smettere di farle tremare. Lentamente mi avvicinai alle sue labbra e intanto avevo di nuovo puntato i miei occhi nei suoi. Vedevo che sgranava gli occhi così le sorrisi prima di continuare ad avvicinarmi alla sua bocca. Si tranquillizzò ed un piccolo lampo le passò tra gli occhi, era bellissimo. Era bellissima. Mi sorrise e io fui più calmo. Mancava poco e i nostri respiri si sarebbero fusi diventando una cosa sola. Feci un respiro, presi tutto il coraggio che avevo in corpo ed annullai quella distanza che ormai da tempo ci divideva. Era il nostro primo bacio. Era passionale. Riuscivo a capire che anche lei aspettava da tempo questo momento.
«Cosa significa per te questo bacio?»mi chiese Chanter a due centimetri di distanza.
Mi si formò un groppo in gola. Non riuscivo ad emettere parola. Una sensazione negativa si impossessò di me. Mi allontanai da lei e guardai l'infrangersi delle onde sulla spiaggia e il volo dei gabbiani nel cielo blu. Perché avevo una brutta sensazione riguardo ad un futuro insieme?
«Ho capito. Non significa niente per te. Quando la smetterai di usarmi? Stasera vado in una discoteca e spero proprio di dimenticarmi di te!»mi urlò in faccia rabbuiandosi come sempre.
«Cosa? Questa sera non andrai da nessuna parte!»ero rimasto allucinato da quello che mi aveva appena detto.
Non può andare in una discoteca perché io...l'amavo e ci tenevo a lei. Perché non riuscivo a dirglielo? Perché c'era un groppo in gola che mi impediva di avverare un mio sogno facendo felice non solo me, ma anche Chanter?
«Io invece ci vado, non puoi ordinarmi cosa fare o no. Voglio dimenticarmi di te per sempre. Non vedi che mi fai del male?»
Mi aveva ferito nel profondo del cuore. Aveva ragione non potevo costringerla a rimanere a casa, però potevo provarci. Mi dispiaceva che si volesse dimenticare di me. Ancora una volta non ci eravamo capiti, però lei non usava mai il cervello. Ormai era palese che fossi innamorata di lei perché lei era l'unica a non averlo ancora capito!? Mi dispiaceva farle del male, ma non lo facevo apposta. Però lei adesso, dicendo che non mi voleva più vedere e che mi voleva dimenticare, mi aveva proprio ferito come nessuno aveva mai fatto, nemmeno Viviana quando mi aveva lasciato era riuscita a ferirmi così tanto. Ero arrabbiato sia con me, ma soprattutto con lei.
«Vai dove ti pare. Non mi importa.»
Mi scutò un attimo negli occhi e io la vedo vacillare, ancora una volta. Con le lacrime agli occhi scappò da me. Non avevo la forza di rincorrerla. Perché quando stavo con lei un attimo prima ero felice e l'attimo dopo il mondo mi crollava addosso? Ero felice, però. Almeno in quei momenti belli stavo bene e riuscivo a imprimermi nella mente tutto quanto ed era una cosa stupenda.

POV. CHANTER

Finalmente la sera era arrivata e con lei anche l'ora di andare in discoteca. Indossai un abito Dark molto corto nero e dei tacchi a spillo stratosferici neri. Decisi di mettermi un bracciale, una collana e degli orecchini entrambi pieni di diamanti. Risplendevo come una stella. Era un look molto trasgressivo, dark, provocante e sexy, sembravo una poco di buona però non mi interessava cosa pensava la gente di me, volevo solo divertirmi e sfogare tutta la rabbia che era in me. Mi incamminai verso la discoteca e già da lontano potevo vedere la moltitudine di gente che se ne stava fuori a fumare qualche sigaretta o a prendere una bella boccata d'aria. Appena entrai dentro iniziai subito a ballare in mezzo alla pista attirando subito gli occhi di tutti i ragazzi presenti.
«Scusami. Hey come ti chiami?»mi disse un ragazzo con il quale mi scontrai.
«Scusami tu, io mi chiamo Chanter e tu!?»chiesi anche se sentivo una strana fitta allo stomaco.
Vuol dire che c'era qualcosa che non andava. Forse era lui o semplicemente perché avevo bevuto troppo drink. Era un bel ragazzo. Capelli mori e lisci, occhi neri e aveva dei lineamenti duri, ma capii subito che non era un cattivo ragazzo, come Darrell. Ero alto 1.80 ed era molto muscoloso, massiccio. Aveva un maglietta e dei pantaloni abbinati,entrambi bianchi a strisce colorate, le scarpe erano arancioni, rosse. Incastrati nella maglietta c'erano degli occhiali da Sole gialli.
«Mi chiamo Roy. Che ci fa una bella ragazza come te in questo postaccio?»
Solo in quel momento notai che la sua voce era più roca di quella di Federico ed era difficile riuscire a superarla. Diversi brividi mi percorsero tutto il corpo. Ero in un certo senso intimorita, ma non più di tanto.
«Che vuoi dire, scusa!?»chiesi un po' infastidita.
«So vede che sei diversa da ciò che vuoi far apparire.»rispose squadrandomi dalla testa ai piedi per farmi capire.
«Scusami, ma non capisco.»mi stava facendo innervosire.
Mi stava dando della poco di buono!?
«Sei una ragazza dolce, sensibile e invece adesso, all'esterno, sembri...»
«Ho capito! No, non sono quella...lasciamo perdere.»dissi alzando il tono della voce per farlo azzittire e non sentire quella parola.
«Ok, tranquilla. Andiamo a sederci.»mi propose con un bellissimo sorriso.
Forse mi sbagliavo su questo ragazzo e forse era veramente un dono caduto dal cielo!? Forse la fortuna mi voleva aiutare e regalarmi una persona proprio come me, con difetti e pregi.

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Capitolo 14
*** Roy e la sua storia ***



Erano già diverse ore che stavo lì insieme a Roy e non aveva perso tempo a presentarmi i suoi amici. Avevo conosciuto Beth, aveva all'incirca 18anni ed era una bella ragazza: i suoi capelli erano di un biondo platino mossi con le punte viola, raccolti da un fermaglio nero a forma di fiocco, i suoi occhi erano quasi dello stesso colore, più scuri dei miei, non si riusciva a vedere nemmeno l'iride e aveva uno sguardo maligno, cattivo. Aveva un neo prominente sotto al naso e le unghie rifatte: erano alcune rosa acceso con dei disegnini bianchi, blu e viola ed erano a punta, proprio come una strega, e altre nere con il french dorato anch'esse con la stessa punta di quelle rosa. All'orecchio sinistro aveva tre orecchini, invece in quello destro due buchi e aveva un piercing sul sopracciglio destro e uno sul labbro inferiore dal lato sinistro. Indossava un maglione marrone e nero, un pantalone di pelle nera e dei trampoli dello stesso materiale e colore dei pantaloni. Si era spruzzata molto profumo, si sentiva benissimo, portava con sé una borsa anch'essa di pelle nera e al polso portava un cinturino di cuoio nero con la scritta dorata. Si era messo un lucida labbra color carne sulle sue sottilissime labbra. Un'altra sua amica era Gail, aveva la stessa età di Beth. Aveva dei boccoli castani con le punte ramate, rosse e i suoi occhi avevano la stessa forma ed aria maligna di Beth, ma, al contrario di lei, erano color nocciola, ambrati. Anche lei aveva un neo, ma sotto al mento e aveva anche le unghie rifatte: nere con dei disegnini bianchi ed erano a punta. Due buchi nell'orecchio sinistro, tre in quello destro e sulla narice sinistra e sull'ombelico c'erano dei piercing. Indossava un vestito a mezze maniche bianco, panna a righe nere, blu e delle scarpe marroni. Aveva una borsa marrone di pelle e al collo c'era una collana d'oro. Kenneth, era l'unico amico di Roy che avevo conosciuto, aveva all'incirca 20anni. I suoi capelli erano neri e mossi, mentre i suoi occhi avevano un colore tra il blu cielo e quello oceano: erano bellissimi. Non aveva nessun neo e orecchini, ma aveva un piercing sulla lingua. Una canottiera rosa salmone gli fasciava i pettorali e addominali, una giacca vede e dorata gli ricopriva gli innumerevoli tatuaggi. Me ne aveva fatti vedere alcuni come per esempio la scritta 'Help' sulle nocche della mano destra, la chiave di basso sul polso interno sinistro e solo lo yang sulla clavicola destra. Indossava anche dei pinocchietto bianchi e delle scarpe gialle canarino. Ormai mi sentivo parte del loro piccolo gruppo. Roy mi trattava molto bene davanti a loro, mi sentivo speciale insieme a lui. Per lui ero una principessa, mi faceva ridere e mi sentivo stranamente a mio agio. Ormai non mi sentivo più così da un bel po'. Non lo conoscevo da molto, ma potevo dire che era un ragazzo dolce e gentile. Anche se mi stavo divertendo, sentivo dentro di me un vuoto e una sensazione estremamente negativa.
«Ti stai divertendo?»mi chiese dolcemente Roy.
«Sì, certo.»
«Non mi sembra. Che succede?»
«Niente. Mi sento in imbarazzo perché non ti conosco.»mentii cercando di risultare il più normale possibile.
«Già, hai ragione.»disse Roy incupendosi.
«No, no, tranquillo. Non è colpa tua.»
«Non è vero. Sai solamente il mio nome e non il mio passato, la mia vita. Vieni con me?»mi chiese porgendomi la sua grande e fredda mano.
«Va bene.»
Salutai Beth, Gail e Kenneth ed insieme a Roy uscimmo dalla discoteca. Faceva molto freddo rispetto a quel luogo riscaldato. Prima, in discoteca, mi sentivo libera, invece adesso percepivo di nuovo il peso della mia monotona vita.
«Sali in moto.»istruì Roy invitandomi a salire sulla moto che stava davanti a me.
«Non credo sia il caso.»dissi visto che avevo molta paura della moto.
In più si aggiungeva il fatto che non lo conoscevo.
«Ah, ok. Potremmo andare a piedi?»propose in difficoltà Roy.
«Buona idea.»dissi sorridendogli per farlo ritornare a suo agio.
Iniziammo a camminare, ma nessuno dei due proferiva parola. Forse lui era imbarazzato oppure non aveva niente da dirmi.
«Vedi quella casetta laggiù?»mi chiese dopo un po' Roy mentre io iniziavo ad intravedere le linee dell'abitazione.
«Sì.»
«Quello è il mio piccolo rifugio. Io abito lì. Sei l'unica a cui l'ho fatto vedere, mi vergogno di farlo vedere a qualcuno e di dire qualcosa riguardo la mia vita.»mi confidò Roy.
«E allora perché me lo stai raccontando?»
«Mi fido di te, sembri una brava ragazza.»
«Non dovresti fidarti molto delle persone, sai!?»dissi pensando ad una mia possibile esplosione di energia come quella che avevo avuto davanti a Federico.
No, basta pensare a lui! Ormai dovevo andare avanti e potevo incominciare tutto da capo grazie a Roy. Lo dovevo a me stessa.
«Sì lo so, ma non è molto semplice.»disse, ma io non riuscivo a capirlo.
«Già.»mentii di nuovo non sapendo che cosa rispondergli.
«Vuoi entrare?»
Sì.»dissi con un enorme sorriso stampato sulla faccia.
Entrammo dentro. Era piccola, ma era messa molto male.
«Scusami per il disordine.»si scusò mortificato.
«Posso chiederti una cosa?»
«Certo.»
«Ma i tuoi genitori?»gli chiesi non riuscendo a capire come delle persone adulte potessero vivere lì.
«Non lo so, ci hanno abbandonato in mezzo alla strada quando avevamo dagli 8 ai 12anni. Non sapevamo dove andare, eravamo da soli.»
«Come hai fatto a vivere, dove sei andato? E poi perché parli al plurale?»chiesi non riuscendo a capire il perché parlasse in prima persona plurale.
«Io ho altri 2fratelli: un maschio, Douglas, di 16anni e una femmina, Rachel, di 20.»
«Mi dispiace molto.»
Mi fece vedere una foto in cui c'erano tre ragazzi. Riconobbi subito Roy, poi alla sua destra c'era un ragazzo, Douglas, con i capelli lisci e mori, ma, al contrario di Roy, aveva gli occhi verdi con pagliuzze azzurre. Riuscivo a vedere un piercing sul sopracciglio sinistro e sulla spalla destra c'erano tatuate due banane. Indossava una canottiera nera con le borchie dorate, dei pinocchietto di pelle dello stesso colore e delle scarpe di pelle nera ed oro. Alla sinistra di Roy c'era Rachel. Aveva i capelli tinti di un blu ed arrivavano alla spalla e gli occhi azzurri ed ora mi spiegavo da chi l'avesse presi Douglas. Riuscivo a scorgere il piercing sull'ombelico e il tatuaggio sulla pancia che diceva 'Stay strong'. Aveva le unghie ben curate e quadrate con lo smalto nero e sulla spalla portava una borsa di pelle nera. Indossava una maglietta ed una gonna color giallo canarino, una pelliccia nera e un sandalo con il tacco nero. Erano un bel quadretto tutti e tre insieme. Poi me la tolse dalle mani per darmene un'altra in cui, credevo, fossero rappresentati i suoi genitori. Girai la fotografia e vidi due firme: Lorraine Schneider e Tommy French. La rigirai per poter studiarli attentamente. Lei era una bella donna, alta, magra, con poche curve e forme. I suoi capelli erano mori e boccolosi e i suoi occhi erano azzurro cielo, bellissimi, quasi bianchi, ma erano anche gelidi ed inquisitori. Le sue labbra erano a forma di cuore ed erano di un colore viola a causa del rossetto che si era messa, aveva le gote rosse e abbastanza sporgenti e la sua pelle era perfetta, liscia, pallida, come la porcellana. Indossava in vestito etnico lilla e blu e una zeppa lilla. In mano teneva una borsetta d'oro e al polso c'era un bracciale d'oro con dei fiorellini blu e viola. Aveva anche degli orecchini con la stessa fantasia del bracciale ed un anello viola e blu. Ma la cosa che mi sorprese di più era che non aveva né tatuaggi e né piercing, al contrario dei suoi figli e di suo marito. Infatti Tommy era pieno sia di piercing che di tatuaggi. Era alto, muscolo e robusto. I suoi capelli erano mori e lisci e gli occhi color nocciola, ambrati. Sotto al mento c'era la ricrescita di una lieve barbetta, i lineamenti della mascella erano molto duri ed era molto peloso. Indossava una maglietta a mezze maniche argentata, un pantalone beige e delle scarpe dello stesso colore della maglietta. Gliela ridiedi e le posò su un comodino. Quando si rigirò vidi che aveva lo sguardo basso e triste così, d'istinto, l'abbracciai.
«I tuoi abbracci aiutano molto.»disse stringendomi nella sua morsa fredda, ma confortevole.
Mi allontanai di poco da lui per poterlo guardare negli occhi. Eravamo vicini, forse anche troppo, ma mi sentivo a mio agio, anche se percepivo una negativa sensazione. Mi piaceva stare con lui, forse perché vedevo delle somiglianze nella nostra vita. Era un ragazzo proprio come me. Nonostante la dura vita che aveva passato, tirava avanti.
«Ti posso offrire del tè o qualsiasi altra cosa?»
«Magari un'altra volta! Ora devo andare.»risposi ritornando alla realtà.
«Ti accompagno, se vuoi!?»
«Mi farebbe piacere, molto piacere.»
Uscimmo fuori e vedemmo un brutto tempo: tuoni e lampi infuriavano nel cielo. C'era una tempesta, non si poteva uscire.
«Ora come faccio a tornare a casa?»urlai più per protesta che per trovare una soluzione.
«Dormi qui.»
«Non lo so.»risposi non sapendo se potevo fidarmi di lui.
«Non avere paura di me, non ti farò del male, tranquilla.»
«No, non è per questo...»non sapevo che rispondergli.
Ero indecisa: cosa avrebbe pensato Federico se mi vedesse nel letto insieme ad uno sconosciuto!? Basta! Perché pensavo sempre a lui!? Lui poteva vivere insieme ad una ragazza, lasciando perdere che l'ha tradito, e io non potevo dormire a casa di un 'amico'!?
«Tranquilla, tu dormirai sul letto, mentre io sul divano. Oggi Douglas e Rachel stanno da amici.»
«Va bene.»
Mi abbracciò e stavo per cadere se non fosse stato per la stretta di Roy. Ero stata presa dalla sprovvista. Non me l'aspettavo. Era un abbraccio sincero, non forzato, ma voluto e non dato per compassione, ma per affetto. Mi scansò e i nostri occhi si intrecciarono.
«Scusami, ma sono vestita come...cioè...non posso dormire così...»dissi abbassando lo sguardo pensando a quanto sono stupida per essermi vestita così come una poco di buono.
«Ti do qualcosa di mia sorella, tranquilla.»disse dirigendosi verso l'armadio di Rachel.
Prese una canottiera bianca, un pantaloncino a fiori e delle ciabatte marroni con il pelo bianco dentro. Afferrai un elastico, mi feci una cipolla e presi una coppa di gelato alla fragola che Roy mi stava sporgendo. Sentivo una dolorosa morsa all'altezza dello stomaco e, in quel momento, non sapevo se accettare o scappare sotto la pioggia. Avevo paura.
«Tieni!»disse porgendomi i vestiti della sorella.
«Grazie. Dove...»chiesi balbettando con leggero imbarazzo.
«Sì, scusa. Ora esco e ti cambi.»mi rispose iniziando a dirigersi verso la porta.
Uscì fuori al freddo e al gelo. Notai meglio il monolocale in cui mi trovavo e aveva una forma rettangolare. Non ero abituata agli spazi chiusi e mi sentivo triste nel starci dentro, chissà com'era per lui!? Mi stavano leggermente grandi, ma mi coprivano quel che doveva essere coperto. Roy dopo un po' entrò e vedendomi con i vestiti della sorella, mi sorrise. Era dolce, ma non mi sentivo al sicuro con lui al mio fianco.
«Beh...ti auguro buona notte...principessa!»disse balbettando ed abbassando la voce sull'ultima parola.
Nessuno mi aveva mai chiamato 'principessa', mi sentivo invadere di calore tutto il corpo.
«Buona notte!»gli dissi sfoggiando uno dei miei migliori sorrisi.

# 1 ORA DOPO

Non riuscivo a dormire, mentre sentivo il respiro regolare di Roy. Fuori anche pioveva e i lampi e i tuoni mi facevano paura. All'improvviso sentii un forte tuono e, per lo spavento, gridai. Sentii Roy sussultare e venire verso di me abbracciandomi.
«Tranquilla principessa, ci sono io accanto a te.»mi sussurrò all'orecchio mentre mi cullava nelle sue braccia.
L'idea di stare su un unico letto, come una coppia, mi spaventava, ma non m'importava questo visto che per la prima volta, da mesi, mi sentivo bene insieme a lui.

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Capitolo 15
*** Lo scontro ***



# UNA SETTIMANA DOPO
Mi svegliai grazie ad un raggio di Sole. La mattina era arrivata molto velocemente. Era stata magnifica e non avevo pensato a niente, come facevo di solito. Ero nelle braccia di Roy, mi sentivo bene, ma c'era sempre quella brutta sensazione dietro l'angolo.
«Buongiorno bellissima, dormito bene!?»sentii dietro alle mie spalle, diversi brividi percorsero la mia schiena.
«Buongiorno. Sì, ho dormito bene tra le tue braccia.»
«Mi fa piacere.»
Uno strano silenzio nacque tra di noi, nessuno dei due sapeva cosa fare o dire, però i nostri occhi non smettevano di incatenarsi. Roy, lentamente, mi accarezzò guardandomi sempre negli occhi e poi...mi baciò. L'unica cosa che riuscivo a pensare in quel momento era che dovevo dimenticare Federico, dovevo ricominciare e l'avrei fatto insieme lui.
«Scusami se ti ho baciata, non sono riuscito a trattenermi, sei così bella.»disse staccandosi dalle mie labbra con rapidità, sembrava dispiaciuto, mortificato.
«Non ti preoccupare, mi è piaciuto.»dissi cercando di tranquillizzarlo.
«Voglio conoscerti Chanter, voglio provare ad avere una storia con te.»
Non sapevo cosa dire, ero confusa. Lui era un ragazzo dolce, gentile, ma io amavo Federico, non l'avrei mai dimenticato. Federico rimarrà sempre nei miei pensieri, era stato importante, unico per me e non credevo che me lo sarei mai dimenticato. Poi c'era sempre quella morsa di disapprovazione che attanagliava la bocca dello stomaco. Però se volevo ricominciare da capo e dimenticarmi il mio passato, dovevo andare avanti e forse un giorno mi sarei innamorata di lui, come Federico, insomma eravamo ancora all'inizio.
«A-anch'io, mi piacerebbe tantissimo.»dissi abbozzando un sorriso.
Roy era felicissimo, non ci poteva credere, i suoi occhi luccicavano di una luce strana, quasi...maligna, non sapevo spiegarmelo, ma sembrava contento. Mi abbracciò e, presa alla sprovvista, cademmo sul letto ed iniziò a baciarmi, ma diventavano sempre più intensi. All'improvviso la stretta allo stomaco aumentò provocandomi un dolore immane.
«Roy, no!»urlai scostandomelo di dosso.
«Scusami, non volevo.»
Io ero persa nei miei pensieri. Cosa voleva dire quella morsa!? Forse che dovevo stare lontana da lui. Non riuscivo a pensare con la presenza di Roy, l'idea di stare nella stessa stanza mi soffocava. Dovevo uscire da lì e respirare aria fresca, nuova.
«Ora vado, ciao Roy!»dissi mentre prendevo tutta la mia roba.
Non riuscivo più a pensare, la mia vista si era appannata e il mio respiro si era fatto più pesante. Non volevo più stare con lui così mi diressi a grandi passi verso la porta. In quel momento mi sentivo sbagliata, un errore. Perché tutti i ragazzi pensavano che io fossi un giocattolo che si poteva usare e un minuto dopo buttare. Ormai stavo percorrendo il piccolo vialetto dell'abitazione quando sentii prendermi per il polso. Mi girai di scatto e mi trovai subito tra le braccia di Roy.
«Scusami Chanter, scusami. Non volevo spaventarti.»aveva il fiato corto, era caldo, al contrario delle altre volte, e aveva un buonissimo e rilassante profumo.
«Non lo so...non so cosa mi sia preso...»
«Ti dimostrerò che sono fatto apposta per te. Cambierò, sarò più dolce, gentile, apprensivo. Farò tutto quello che vuoi. Ma resta, ti prego.»
«Non lo so...non saprei...»
«Ok, come vuoi. Fanno tutti così, se ne vanno tutti via. Mi hanno lasciato sempre da solo. Non mai avuto una famiglia, degli amici, una ragazza. Nessuno mi ha mai voluto bene veramente.»era a pezzi, sull'orlo del pianto.
Neanche io avevo mai avuto nessun affetto e un ragazzo. Riuscivo a capirlo, a capire per la prima volta una persona che non sia io. Corsi verso di lui e lo abbracciai.
«Sì, voglio essere la tua ragazza.»gli sussurrai ad un orecchio.
Eravamo vicinissimi, i nostri sguardi, dolcemente, si incontravano, le sue carezze erano delicate sulla mia pelle, le sue labbra erano sulle mie e i suoi abbracci erano confortanti. Mi sentivo bene con lui in quel momento, volevo provare ad avere una storia con lui, più che altro dovevo credere in un futuro con qualcun altro che non fosse Federico. In quel momento ebbi un colpo di fulmine a ciel sereno.
«Scusami, ma ora devo andare. Ho scuola.»gli dissi con le mie labbra ancora sulle sue.
«Chanter, voglio iscrivermi a scuola tua.»
«Perché tu non ci vai?»
«No, non ci sono mai andato, ma per stare con te andrei in capo al mondo.»aveva usato un tono di dolce, tenero.
«Mi farebbe molto piacere.»
Ritornammo insieme dentro casa per far cambiare Roy. Si avvicinò all'armadio e prese una canottiera bianca a righe blu, nere, dei jeans strappati e delle scarpe rosse. Si tolse, velocemente, la maglietta e io chiusi gli occhi mettendomi le mani davanti. Ero sicurissima che le mie guance erano in fiamme, ma era normale. Non avevo mai avuto un rapporto così intimo con nessuno. Percepii dell'aria calda riscaldarmi le mani, poi sentii che Roy me le stava, dolcemente, togliendo. Lo lasciai fare, ma poi mi resi conto che non si era ancora messo la canottiera e allora chiusi gli occhi di nuovo. Le mie mani erano racchiuse in quelle di Roy, continuava a riscaldarle e con il pollice mi massaggiava le nocche. Il suo respiro finiva sulla mia fronte e i miei capelli, arruffandoli di più di quanto non lo fossero già. Il suo naso stava sfiorando il mio. Sentivo le sue risa trattenute dentro al petto che diventavano grugniti. Era una situazione imbarazzante però alla fine aprii lentamente gli occhi. La prima cosa che vidi furono i suoi pozzi neri, erano bellissimi. Immersi la mia testa nell'incavo del suo collo e poi lasciai una leggera e delicata scia di baci. Mi lasciò le mani per poterle portare sulla mia vita. I suoi respiri erano mozzati ogni volta che le mie labbra andavano in contatto con la sue pelle. Era una sensazione bellissima, confortante. Quando mi stancai poggiai la testa all'altezza del suo cuore per poter ascoltare quella dolce e soave melodia. Rimanemmo così per minuti, fino a che lui non mi diede un bacio sulla fronte, se ne andò verso il letto dove aveva lasciato la sua canottiera e poi se la mise. Aprii l'anta riservata a sua sorella e tirò fuori diversi vestiti poi se ne andò a pettinarsi i capelli lasciandomi la scelta su come vestirmi. Presi una canottiera grigia con delle scritte rosse, una camicia a quadri gialla e blu, una gonna e delle scarpe dello stesso colore della canottiera. Mi voltai verso Roy per fargli capire che doveva uscire perché non mi sarei mai cambiata con lui dentro. Infatti prese la sua borsa rossa, mettendoci dentro un note book e delle matite, delle fette biscottate, dei biscotti e dei succhi di frutta. Dopo aver indossato tutto, presi uno zainetto grigio e ci appoggiai dentro l'astuccio blu, nero e altre cose varie. Raccolsi i capelli e, per tirare su la frangetta, mi misi degli occhiali da Sole. Uscii fuori e Roy mi diede il mio succo di frutta all'arancia e qualche fette biscottate. Mi prese per mano e ci incamminammo verso scuola, scambiandoci, di tanto in tanto, qualche bacio. Molta gente ci fissava, ma poco mi interessava. Le nostre mani erano ancora intrecciate quando varcammo il cancello della scuola. Avevo lasciato Roy in segreteria per chiedere se poteva assistere ad una lezione e poi iscriversi, quando mi scontrai con Federico. Non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso. Indossava una maglietta e dei pantaloni bianchi a righe blu, nere, un giacchetto di jeans e delle scarpe nere. Aveva il suo solito zainetto di pelle nera con dentro i soliti libri, quaderni, note book, e l'astuccio rosso contenete le matite ed altro.

POV. FEDERICO

Ero furioso. Le voci che giravano su Chanter e 'il suo ragazzo' non potevano essere vere. Ero arrabbiato con lei, ma soprattuto con lui che me l'ha portata via. Volevo che lei mi abbracciasse, che mi facesse calmare, ma ormai non era più mia. Vidi un ragazzo nuovo entrare dentro la classe e capii subito che era quello di Chanter quando con passo sicuro si diresse verso di lei. Si sedettero vicini, forse per tutte e cinque le ore. Ogni tanto mi giravo per guardarli. Ero geloso, amava me, perché cercare qualcun altro!? Avevo sbagliato tante volte, ma anche lei aveva commesso degli errori. Eravamo disposti a ricominciare da capo, perché mi aveva lasciato!? Non volevo che vivesse il resto della vita con quel Roy, doveva passarla con me, perché solo io ero perfetto per lei. Non potevo restare in quel posto con quei due che non la smettevano di farsi gli occhi dolci.
«Professoressa, posso uscire!?»chiesi sperando che Chanter capisse che doveva seguirmi.
«Sì.»
Così uscii e aspettai sulla porta per sentire se Chanter avesse intenzione di raggiungermi.
«Prof., posso uscire anch'io!?»quella voce.
Era adorabile, cristallina, vivace e doveva diventare mia.
«Sì, ma solo per questa volta.»
Mi incamminai allontanandomi dalla classe. Avremmo discusso, ero sicuro. La vidi uscire e dirigersi verso di me con passo sicuro. Era bellissima. Quei pochi capelli sfuggiti dalla coda, adesso, danzavano attorno a lei insieme al vento. Si guardava attorno anche se sapeva benissimo dove fossi. La sua faccia era una maschera: non trasmetteva emozioni. Le sue lunghe ciglia toccavano le palpebre. La camicia e la gonna svolazzavano, come i capelli. Sembrava un angelo, una stella cadente. Si fermò a qualche centimetro da me. Era incantevole e feci l'unica cosa che mi sentivo di fare in un quel momento. Velocemente, le misi una mano sul fianco e la tirai verso di me in modo che le nostre labbra si toccassero. Il nostro secondo bacio durò qualche minuto. La cosa che mi sorprendeva, ma non più di tanto, era che non mi aveva respinto, non si voleva staccare, lei desiderava quel bacio.
«Ho ragione. Tu mi ami ancora.»dissi staccandomi solo di qualche millimetro dalle sue magnifiche labbra.
«Cosa? Io sono fidanzata, sei tu che mi hai baciato.»disse alzando il tono della voce e troncando ogni contatto fisico.
«Ma questo bacio l'hai voluto, non hai fatto niente per impedirlo.»
«È vero, ma non ho provato niente.»
«Davvero?»ma che cosa stava succedendo alla mia Chanter!?
«Sì.»mi rispose indifferente.
Forse dovevo partire dall'origine, perché lui e non me!?
«Perché ti sei messa con quello?»
«Perché è un ragazzo dolce.»disse con sguardo sognante.
Ok, l'avevo completamente persa. Come poteva un ragazzo inquietante come lui, muscoloso, imponente, con amici pieni di tatuaggi, piercing e che fumano, bevono e si drogano, essere dolce!? Che cosa gli ha fatto quel pazzo!?
«Dolce? Lui? Ma hai visto con chi esce e dove vive!?»gli urlai in faccia.
Ora sì, ero veramente incazzato.
«Federico, lui mi ha raccontato molto della sua vita e poi non si giudica un libro dalla copertina. Lui mi ha rubato il cuore.»
«Sta fingendo, non credergli.»
«E perché dovrei?»
«Perché...ho una brutta sensazione. Si vede che non è un bravo ragazzo. Non ha nemmeno degli amici raccomandabili...»ed era vero.
Appena avevo varcato il cancello della scuola, ero stato subito pervaso da una strana e negativa sensazione. Poi quando lo avevo visto, la morsa all'altezza dello stomaco era aumentata e avevo capito che la stretta c'entrava con lui.
«Non è vero. Vuoi solamente che lo lascio.»urlò iniziando a cambiare colore della pelle, da rosa carne a giallo, come i raggi del Sole.
«Non è vero, credimi!»gli urlai in risposta altrimenti i suoi lamenti di dolore avrebbe sopraffatto le mie parole.
«Perché mi dici tutto questo?»dovetti allontanarmi e nascondermi dietro ad una colonna di cemento armato.
Si stava arrabbiando sempre di più e non la smetteva di irradiare luce. Delle lacrime nere e gialle rigavano il suo viso, sconvolto dal dolore. Stava cercando di non terminare la sua trasformazione con l'apertura delle ali. Dovevo tranquillizzarla, ma prima la verità. Era ora di dirgliela.
«Perché ti amo e ci tengo a te.»gli sussurrai.
Speravo che non l'avesse sentito, ma la scomparsa di grida e luci accecanti, mi fece intuire tutt altro. Uscii fuori dal mio nascondiglio per vedere una Chanter con lo sguardo sorpreso, sconvolta. Era accasciata per terra, i capelli tutti fuori posto, la camicia per terra con qualche strappo, una mano sulla bocca per nascondere i singhiozzi. Era fragile, ed ero stato io a renderla così. Mi sentivo un mostro. Si asciugò le ultime lacrime presenti sul suo viso prima di dirigersi verso la classe. Aveva lasciato lì la sua camicia a quadri blu e gialla e il suo elastico. Quelli erano le uniche cosa che mi sarebbero rimaste di lei, oltre ai ricordi, se non l'avessi salvato da quell'incubo di Roy. Dovevo riuscirci. Per lei.

POV. CHANTER

Entrai in classe, sapendo di avere gli occhi puntati su di me, con la testa bassa e mi sedetti vicino a Roy.
«Cos'è successo?»mi chiese, forse per gli occhi rossi e gonfi, abbracciandomi.
«Mi bruciavano. Forse è allergia.»mentii abbozzando però un sorriso.
«Ok.»rispose sapendo benissimo che non era per l'allergia.
Gliene fui grata per aver messo di fare domande. Sapevo che si preoccupava per me, ma il mio rapporto con Federico doveva rimanere tra noi.

# 5 ORE DOPO

Io e Roy, finita la scuola, ci dirigemmo all'uscita attraverso il cortile e vidi che Federico ci seguiva, ma non ci badai molto.
«Dobbiamo parlare, Chanter.»disse improvvisamente Roy fermandosi in mezzo al giardinetto e prendendomi il viso tra le sue fredde mani.
«Che c'è? Mi stai facendo preoccupare...»
«Non è niente, tranquilla.»un sorriso crebbe sul viso di entrambi.
«Ok...dimmi.»
«Solo felicissimo di essere il tuo ragazzo e ti prometto che non ti lascerò mai, vivrò insieme a te ogni singolo minuto e secondo della mia insulsa vita.»
Erano delle bellissime parole. Mai nessuno me l'aveva dette. Sembrava un sogno, ma come in tutti i sogni, ci sarà sempre qualcuno che li dovrà distruggere. Successe così velocemente che non mi accorsi di Federico che teneva per la gola Roy, mentre gli intimava di stare lontano da me.
«Stalle lontano!»
«Federico lascialo in pace, Federico!»gli urlai rendendomi conto di ciò che stava succedendo intorno a me.
«Cosa vuoi?»gli chiese Roy, con quella poca aria che riusciva a prendere dalla presa di Federico sul suo collo.
Dopo quella domanda da parte di Roy, si scatenò il putiferio. Vedevo pugni partire da Federico e calci da Roy. La gente si stava accerchiando intorno a loro e iniziarono a fare scommesse su chi avrebbe vinto. Altre lacrime scesero dai miei occhi e sentivo, dentro di me, che sarei potuta scoppiare da un momento all'altro. Dovevo andarmene via di lì.
«Basta, siete due bambini.»urlai in preda al panico, per poi scappare cercando una via d'uscita in mezzo a quella folla di studenti.
«Aspetta Chanter.»mi chiamò Federico, ma non mi girai, anzi, aumentai il passo.
«Lei è solo mia, ricordatelo. Aspetta Chanter!»gli rispose Roy venendomi incontro.
Mi si parò davanti, bloccandomi la strada. Non riuscivo ad aggirarlo. Stavo prendendo in considerazione di tirargli una palla nera in pieno petto, ma mi resi conto che non avevo davanti Federico, ma Roy, un perfetto umano che non poteva conoscere la mia identità magica.
«Che vuoi?»chiesi acida e con tutta la rabbia che avevo in corpo.
«Perdonami, mi aveva messo con le spalle al muro.»
«Non farlo più.»gli disse abbracciandolo forte.
Avevo bisogno di un'ancora ed ora la migliore che avessi era lui, Roy. Potevo solamente sperare che Federico la smettesse di fare il bambino, anche se volevo essere sua, e lasciarmi vivere la vita che avevo scelto. Non avevo bisogno di altre insicurezze. La mia famiglia era a pezzi, la mia migliore amica mi aveva lasciato nelle mie disgrazie e l'ultima cosa che doveva capitarmi era che un ragazzo mi abbattesse con false speranze e finte parole dolci. Avevo bisogno di sicurezza e protezione e in Roy ci trovavo tutto ciò.

# LA NOTTE

Dopo quello scontro tra Federico e Roy, me ne tornai a casa con il mio ragazzo. Ora ero nel mio letto e pensavo a tutto ciò che quei due mi avevano detto. Le parole del primo erano l'esatto opposte di quelle dette dal secondo. Ma chi dei due aveva ragione? E perché proprio adesso Federico si era dichiarato? Era vero che mi amava?

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Capitolo 16
*** E' arrivata la mia fine ***


Passai tutta la notte a pensare a Federico e a ciò che mi aveva detto. Non riuscivo a immaginarmi Roy fare del male a qualcuno, era così dolce, gentile e poi aveva un passato così complicato. Però mi sembrava strano che anche qualcun altro avesse percepito una strana e negativa sensazione nei suoi confronti. E se il mio subconscio, insieme a quello di Federico, avesse ragione? Se Roy fosse veramente una persona malvagia? No! Non riuscivo nemmeno a pensarlo. Non era possibile, o almeno questo era quello che credevo. Cercai di dimenticarmi quello che avevo appena pensato e iniziai la mia solita routine. Mi alzai dal letto, dirigendomi verso l'armadio per scegliere che cosa mettermi. Indossai una maglietta a mezze maniche grigia con un uccello nero disegnato sopra, un giacchetto di jeans dal colore sbiadito, una gonna etnica lunga e degli stivaletti di pelle marroni. Mi misi una cintura d'oro e un cappello rosso con il cinturino nero. Andai in bagno per mettermi un lucida labbra sul pesca, quasi arancio, per ravvivare le mie labbra smorte. Prima di scendere di sotto, presi la mia borsa gialla, con dentro il libro di geografia e vari quaderni, e il mio portafoglio di un verde pallido, che appoggiai subito dentro. Feci colazione con una mela e un panino e, subito dopo, venne a farmi compagnia mia sorella Carmela. Era vestita con una maglietta a mezze maniche nera, un jeans strappato e degli stivaletti neri e gialli. Aveva appoggiato la sua pochette verde pino per poter mangiare qualche mirtillo e biscotto ricoperto di yogurt, accompagnato da una tazzina di caffè. Al collo portava un ciondolo dello stesso colore della pochette e i suoi capelli era tirati su da degli occhiali da Sole neri come la maglietta. Molto probabilmente stava andando a cercare lavoro e voleva essere presentabile anche grazie ad un po' di trucco, cioè un ombretto marrone. Alla fine diedi un bacio a Carmela. e mi diressi verso la solita fermata dell'autobus. Quella era la prima mattina in cui non aveva la minima voglia di incontrare Federico, ma, purtroppo, dovevo. Passarono due autobus con la scritta 'DEPOSITO' e li maledissi mentalmente visto che, nel frattempo, stava arrivando Federico. Indossava una camicia a quadri marrone, un maglione, dei pantaloni e delle scarpe dello stesso colore. In spalla portava uno zaino marrone e i suoi occhi erano coperti da un occhiale dello stesso colore. Sentivo il suo solito profumo, ma mi sembrava eccessivo. Si sarà sbagliato e avrà versato tutta la boccetta sul suo collo! Appena mi passò accanto mi fece l'occhiolino e mise dentro allo zaino le sue cuffiette nere. Che cosa?
«Brrr...sta arrivando il freddo.»disse con uno strano ed insolito sorrisetto.
Dal suo alito potevo benissimo capire che si era mangiato un cornetto, della marmellata e si era bevuto, anche una tazza di caffè per colazione.
«Eh già.»infondo eravamo a fine Novembre inizio Dicembre, che si aspettava!?
Il solito imbarazzante silenzio cadde tra di noi. Però alla fine bastavano i nostri intensi sguardi e dolci, teneri sorrisi per capirci.
«Federico, posso dirti una cosa?»chiesi con l'intento di chiarirmi un po' le idee.
«Certo.»
«Posso sapere che cosa provi quando vedi...»non riuscii a finire la frase perché fui interrotta da un Roy raggiante.
«Hey principessa!»
Mi girai molto sorpresa nel vederlo qui. Portava una canottiera celeste a fantasia floreale, un pantaloncino dello stesso colore e delle scarpe rosse tendenti al rosa. Al polso aveva un braccialetto blu, con sé c'era anche il suo zainetto celeste e lui profumava di...frutti di bosco!? Ma non sentiva freddo, dove andava in giro vestito come se fosse estate!?
«Che ci fai qui?»
«Ti sono venuta a prendere, non sei contenta!?»
Non sapevo che dire. Non sapevo se in quel momento dovevo essere contenta perché mi era venuto a prendere o arrabbiata per aver interrotto un momento con Federico dopo la nostra ultima litigata. Volevo finire la domanda che avevo lasciato in sospeso a Federico, ma sapevo che se Roy non se ne fosse andato di lì al più presto sarebbe successo il finimondo e l'unico modo per allontanarlo da Federico era andare via con lui.
«Sì.»risposi con entusiasmo.
Vidi in quel momento Federico con una faccia a dir poco arrabbiata. L'avrebbe ucciso se non ci fossi stata io. Come mai però anche Federico sentiva quella morsa allo stomaco? Era un segno?
«Andiamo con il mio motorino, principessa!»disse Roy distraendomi dai miei pensieri.
«Ma è meglio che vada con il pullman, no!? Fa troppo freddo per andare con il motorino. Tu intanto vai.»dissi cercando di liberarmi di lui per poter stare tranquilla con Federico.
«Beh...forse hai ragione. Lascio la moto qui, vengo con te.»
Speravo tanto in 'd'accordo ti aspetto lì' e invece dovrò resistere per tutto il tragitto e non far caso agli sguardi torvi che, anche adesso, Federico mi starà mandando. Per il freddo i miei denti iniziarono a sbattere. Fecero così rumore, da attirare l'attenzione di entrambi.
«Hai freddo? Mi prenderò cura di te, piccola.»mi chiese gentilmente Roy.
Non feci in tempo a rispondergli visto che fui sommersa in un suo abbraccio. Come poteva un ragazzo, così dolce e gentile con me, essere cattivo!? Non riuscivo ad immaginarmi Roy così, forse Federico stava cercando di persuadermi dicendo che anche lui provava quella morsa negativa allo stomaco, così sarei stata costretta a lasciarlo e andare a nascondermi da lui. Però quello che aveva fatto era stato troppo doloroso per me, io volevo vivere la mia vita insieme a Roy. Finalmente l'autobus si fermò così salimmo tutti e tre, ma anche una quarta persona si aggiunse a noi: Viviana. Era vestita con un top nero, un copri spalle a maniche lunghe dello stesso colore, dei pinocchietto rossi e degli stivaletti neri. In spalla aveva uno zainetto dello stesso colore dei pantaloni. Quando mi fu vicino, capii che aveva corso, a causa del suo fiatone che sapeva di basilico, aglio e whisky: un mix micidiale! Le sue labbra erano ricoperte da un rossetto nude e si era messa anche un po' di eye-liner nero. Tutti i posti erano occupati sull'autobus. Col passare delle fermate si liberarono quattro posti: due infondo e due un pochino più avanti. Io e Roy ci mettemmo in quelli infondo, mentre Federico e Viviana negli altri. Non riuscivo a capire che cosa si dicessero e questo mi dava molto fastidio, tanto che non riuscii a distogliere il mio sguardo da loro.
«Che ti prende?»mi chiese acido Roy.
«Niente, niente.»risposi abbassando leggermente lo sguardo, ma senza smettere di guardarli.
All'improvviso, vidi Roy che si abbassava all'altezza del mio collo lasciandomi dolci e delicati baci. Aveva capito benissimo cosa c'era che non andava e adesso stava facendo di tutto per attirare la mia attenzione. Non ci riuscii, ma Federico alcune volte si girava e ci vedeva. Si voltò definitivamente, con aria di sfida, prima di baciare Viviana. Mi stava sfidando, provocando e non sarei rimasta ferma a guardarlo mentre si baciava con la sua ex. Roy non aveva smesso di torturarmi il collo così decisi di far scontrare le nostre labbra. Ci scambiammo diversi baci fino a che lui non mi mise sopra le sue gambe. Con la coda dell'occhio riuscivo ad intravedere Federico con uno sguardo omicida, ma la colpa non era mia, ma sua visto che non la smetteva mai di provocarmi. Ritornai nel mondo dei vivi quando Roy mi mordicchio il lobo dell'orecchio.
«Oggi, vieni a casa mia.»mi sussurrò.
Un groppo mi si formò in gola e così fui costretta a rifiutare l'invito scuotendo la testa. Lo stavo guardando dritto negli occhi quando la morsa allo stomaco si rifece viva. Perché dovevo andare a casa sua? Eravamo sempre stati da me.
«Ti obbligo a venire a casa mia. Ho una sorpresa da mostrati, principessa.»disse dandomi un leggero pizzicotto sulla pancia.
Io adoravo le sorprese, ma di questa aveva una brutta sensazione. Arrivammo a scuola in ritardo tanto che io, Roy e Federico fummo costretti a correre arrivando in classe con il fiatone.
«Federico, Chanter, giù dal preside.»disse in tono autoritario la professoressa.
«Perché?»cercai di chiedere.
Alla fine qualche minuto di ritardo non era mica la fine del mondo. E poi doveva apprezzare il fatto che avessimo corso per cercare di arrivare in orario. Ma gli adulti non capivano mai niente, o almeno, guardavano sempre le cose negative.
«Siete arrivati di nuovo in ritardo.»
«Perché io no?»chiese gentilmente Roy.
Ma era pazzo? Non era un premio finire in presidenza. Se le cercava sempre il mio ragazzo.
«Tu sei nuovo, sei giustificato per questa volta.»disse sorridendogli.
La guardai torva. Lui era il mio ragazzo, non doveva neanche azzardarsi a fargli un piccolissimo sorriso in mia presenza. Stavo per risponderle a tono, ma fui tirata via, per la mano, da Federico sotto lo sguardo omicida di Roy. Arrivati davanti alla porta con su scritto 'Presidenza', bussammo prima di entrare ed accomodarci sulle rispettive poltrone.
«Che cosa ci fate qui?»chiese il Preside con aria assonnata.
«Siamo arrivati in ritardo.»rispose Federico.
«Aspettate fuori dalla vostra classe, appena suonerà la campanella potrete entrare.»
«Molte grazie.»dissi uscendo senza aspettare che il Preside mi congedasse.
Stavo percorrendo i corridoi della scuola quando sentii la presenza di Federico al mio fianco. Per tutto il tragitto che ci avrebbe condotti davanti alla nostra aula, ci fu silenzio. Quando arrivammo a destinazione, mi misi seduta per terra con la schiena attaccata al muro mentre Federico continuava a camminare avanti e indietro. Il marmo freddo del muro mi fece venire i brividi, avevo freddo e se ne accorse anche Federico visto che si tolse il maglione per mettermelo sulle spalle. Era caldo e soffice, mi sentivo bene con quel suo indumento addosso. Poco dopo si sedette vicino a me e mi strinse in un caloroso abbraccio. Alzai la testa per potermi immergere nei suoi occhi marroni. Adoravo quelle sue pagliuzze verdi. Li stavo contemplando da un po', quando lui si avvicinò e mi baciò. Non mi scansai da quel suo gesto, mi faceva stare bene sentirlo così vicino.
«La dobbiamo smettere di mentirci.»sbottai dopo esserci staccati di qualche centimetro.
«Non capisco che cosa vuoi dire.»
«Ci amiamo, ma il nostro orgoglio ci blocca. Nessuno dei due vuole fare il primo passo.»
«Sì, lo ammetto, mi piaci, ma questo non cambia le cose.»
«Non ho afferrato il concetto.»dissi dubbiosa.
«Io sono innamorato della vecchia Chanter e non di quello che sei diventata per colpa mia. Io amo la mia Chanter, quella timida, chiusa, che arrossiva ogni volta che le parlavo, che non aveva bisogno di trucco, tinte e vestiti per nascondersi e crearsi una maschera, insomma amo la Chanter di una volta, non quella che sei adesso.»
Sentii il mio cuore rompersi in mille pezzi. Mi aveva colpito. Lo guardai dritta negli occhi sperando che stesse mentendo, ma non fu così. Con gli occhi lucidi, gli ridiedi il suo maglione e corsi via da lui andando verso il bagno. Nel tragitto incontrai Roy che non appena mi vide, fece sparire il suo sorrisetto. Aprì le braccia e io non ci pensai molto prima di andargli addosso.
«Perché piangi, piccola!?»mi chiese premuroso Roy.
«Niente, è uno sfogo. Sono molto stanca e stressata in questi giorni.»gli dissi una mezza bugia, ma alla fine era meglio così.
«Ci sono io qui.»mi stava accarezzando la schiena e questo gesto mi tranquillizzava molto.
«È ancora valido l'invito a casa tua, vero!?»
«Ti amo Chanter.»mi rispose Roy con un sorriso a trentadue denti e quella risposta la presi per un sì.
Percorremmo i corridoi che ci avrebbero portati in classe abbracciati. Eravamo quasi vicini quando vidi Federico ancora fuori dalla porta.
«Comunque sì, è ancora valido l'invito per venire a casa mia.»disse improvvisamente Roy con un tono di voce abbastanza alto da farlo sentire anche a Federico.
A quelle parole Federico si avvicinò pallido e arrabbiato verso di me.
«Tu non vai a casa sua.»urlò tirandomi via dalle braccia di Roy.
Sentivo che da un momento all altro sarebbe scoppiato, così, con il nostro collegamento, cercai di farlo tranquillizzare. Sembravo riuscirci, ma sapevo che era ancora abbastanza pericoloso. Però non dovevo farmi abbattere da questo piccolo ostacolo, dovevo far prevalere le mie scelte.
«Lasciami Federico.»dissi dolcemente, ma con fermezza.
«No, non ti lascio.»era sull'orlo di un pianto.
Potevo intuirlo dai suoi occhi lucidi e tristi e dal modo in cui la sua voce si era strozzata a fine frase. Mi sentivo male nel vederlo...fragile. Mi sembrava così strano, poche volte l'avevo trovato in quello stato.
«Lasciala.»disse con durezza Roy.
Tutta la fragilità in Federico si ricompose creando un muro alto e imponente. I suoi occhi erano scuri, le pagliuzze verdi, che tanto adoravo, erano scomparse, i suoi lineamenti era duri e tesi, potevo notare la sua vena sul collo, le sue mani erano chiuse a pugno e le nocche si stavano sbiancando per la presa troppo forte. A quella vista cercai di tranquillizzarlo mentalmente, ma mi era difficile visto che aveva innalzato un muro anche sul nostro collegamento. Però a poco a poco riuscivo a penetrare. Speravo con tutta me stessa che bastasse a non farlo esplodere.
«Perché sennò che mi fai?»chiese con aria spavalda e di sfida Federico.
«Quello che faccio io non ti deve riguardare, ora lasciami.»dissi dolcemente per fargli capire che non ce l'avevo con lui e che se stavo facendo così era solo per il suo bene.
Con mia sorpresa mi lasciò andare. Forse avevo capito perché si sentiva quella stretta allo stomaco: era geloso di Roy. Perché, però, solo adesso si rendeva conto dei suoi sbagli? Perché mi aveva sempre tenuto nascosto i suoi sentimenti verso di me? Perché sentivo quella morsa allo stomaco nei confronti di Roy?

# 5 ORE DOPO

Queste furono le ore più pesanti della mia vita. Nessuno dei tre, dopo quell'avvenimento, proferì parola. Appena suonò la campanella aspettai Roy fuori dalla porta della classe visto che era andato in bagno, ma qualcuno mi prese per il polso e mi trascinò nel cortile. Quel qualcuno era Federico.
«Non andare a casa sua. Ho un bruttissimo presentimento, non voglio perderti, ti prego.»mi disse tenendo una mia mano stretta nella sua.
Sentivo che diceva la verità, ma le diverse azioni fatte oggi e nei mesi passati mi ritornarono alla mente. Lui non si era mai interessato a me, perché farlo ora!? Sì, forse mi amava, ma non si trattava così una persona a cui volevi bene. Niente della mia vita aveva mai avuto un senso logico, ma questa storia tra me, Federico e Roy era un vero mistero. Non riuscivo a capire niente. Erano tutti pezzi staccati tra di loro e che io dovevo mettere in ordine, ma il problema era che non avevano un senso messi insieme. Questa cosa non mi aiutava molto.
«Perché dovrei crederti?»dissi con aria confusa.
«Che cosa ci fai ancora con Chanter? Cosa non hai capito del fatto che lei è mia. Lei è la mia ragazza.»disse con fare sicuro Roy.
In quel momento pensai anche ad un'altra cosa: Roy era arrivato proprio al culmine del mio cambiamento. Era arrivato in un momento in cui avrei mollato tutto se non fosse arrivato lui. Era una coincidenza? E se veramente tutto questo non fosse normale?
«Vieni, andiamo. Nel frattempo in cui tu sei stata con Federico, sono andato a prendere il motorino sotto casa tua.»mi disse Roy.
Arrivati vicino al parcheggio, mi misi il casco e salii sul veicolo. Intanto da lontano vedevo Federico preoccupato, pallido. Era terrorizzato.
«No, no!»urlò Federico proprio nel momento in cui Roy mise in moto il motorino.
Sentivo che tutto questo era sbagliato, tremendamente sbagliato. Come aveva fatto a prendere il veicolo così velocemente da casa mia? La mia testa stava viaggiando alla ricerca di qualcosa che collegasse tutti i miei pensieri disordinati. Arrivammo davanti a casa sua. Ero così distratta che non notai niente, nessun particolare e non mi accorsi nemmeno che ero entrata dentro all'abitazione. Il mio stomaco era in subbuglio, dolori allucinanti lo stavano torturando.
«Che cosa mangiamo?»chiesi, ma non ricevetti risposta.
Mi girai e una nube nera a forma di serpente mi ingoiò. Inciampai nei miei stessi piedi, cadendo per terra e sbattendo violentemente la testa ad un gradino di una scala. Vedevo tutto sfogato: un serpente nero che mi strisciava a fianco, una persona che stava gironzolando per la casa e poi i miei occhi non ce la fecero più, lasciando che il buoi si impossesso' della mia mente.

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Capitolo 17
*** Mistero ***



In quel momento tutto ciò che stava accadendo intorno a me, mi sembrava che venisse da un'altra epoca. La mia mente si era persa nella nube nera e i miei occhi mi avevano completamente abbandonato regalandomi una vista nera. Bastarono pochi minuti per perdere la libertà. Avevo sprecato tempo e fiato, oltre a fiumi di lacrime. Mi sentivo uno schifo. Ero il suo giocattolo, la sua esca. Mi 
aveva rinchiuso in un trappola usando il mio punto debole: l'amore. Sentivo ancora sulla mia pelle la scia che le lacrime avevano lasciato e le corde che mi avevano stretto i polsi. Fui costretta a sopportare tutto. Quanto desideravo in quel momento l'aiuto di Federico, ma l'avevo lasciato per Roy. Me lo meritavo. Ci ero caduta come un'ingenua bambina. Avevo creduto a tutte le sue bugie, mi aveva ingannato, ma la cosa che faceva più male era che non avevo minimamente preso in considerazione quello che Federico mi aveva detto. Ma di una cosa dovevo ringraziare Roy: avevo capito, finalmente, che senza di Federico non potevo vivere, in quel momento lo volevo con me, desideravo il suo aiuto, i suoi baci. Bramavo lui con tutta me stessa.

Inizio flashback

Ero spaventata. Non riuscivo a vedere niente.
«Ti prego lasciami andare. Ti prego.»urlai forse al vuoto, al nulla, con le lacrime agli occhi.
Riuscivo a percepire una forza, una grinta, una malvagità che non avevo mai sentito sulla pelle di nessuno. Non la conoscevo e la cosa che mi sconfortava di più era che non potevo usare i miei poteri, bloccati da qualche forza oscura più potente di me. Riuscii a capire che Roy stava davanti a me grazie alla vampata di calore che mi scaldò il naso.
«Non ti posso lasciare andare, non sei mia servi a qualcun altro. Sarai la sua vittima, dovrai fare tutto ciò che ti dirò e non ribellarti, non voglio più sentire niente uscire dalla tua bocca, ci siamo intesi!?»
«E se reagissi?»chiesi con voce tremante.
«Non ti conviene, potrei uccidere chiunque ti stesse a cuore, ad esempio Federico.»
«Ok, non dirò niente, farò tutto ciò che vorrai, ma lascia in pace Federico.»dissi con voce rotta.
«Sappi però che tu rimarrai mia, la mia ragazza, chiaro!?»mi disse dolcemente sfiorando le mie labbra.
«Certo, farò tutto ciò che vuoi, ma adesso fammi tornare la vista, ti prego.»lo supplicai sentendo di nuovo gli occhi inumidirsi.
Roy mi legò i polsi con delle corde di funi ad un qualcosa che non potevo vedere. 
In seguito mi tornò la vista e la prima cosa che scorsi furono le sue labbra avvicinarsi pericolosamente alle mie. Mi lasciò un tenero e dolce bacio a fior di labbra.
«Ora vado, principessa.»


Fine flashback


Ricordarmi tutto quello che era successo qualche ora fa, mi faceva provare malinconia. Altre lacrime scesero sul mio viso, ero da sola, invisibile e senza un protettore. Non riuscivo a rimanere sveglia, le palpebre si stavano facendo più pesanti ad ogni minuto che passava, non vedevo più niente fino a che chiusi gli occhi e mi lasciai cullare dalla braccia di Morfeo, ma all'improvviso sobbalzai per il forte rumore dello sbattere della porta. Li socchiusi e vidi una persona: occhi chiari e capelli mori. Sarà venuta a salvarmi?! Mi chiesi. Venni presa in braccio, sentivo il suo calore venir trasmesso in tutto il mio corpo e poi una luce accecante mi costrinse a chiudere gli occhi definitivamente.

# IL GIORNO DOPO

Mi svegliai molto confusa, non ero nella stessa cella dei giorni passati. Mi avevano anche cambiato: indossavo un vestito di iuta con le spalline larghe e un cinturino sotto al seno e Roy, o chiunque altro, non si era degnato di darmi delle scarpe, sarei stata costretta a camminare scalza. Sul comodino di fronte a me c'era un piatto riempito con mini zucche, mandarini e confetti o caramelle. C'erano anche diversi libri, con accanto inchiostro e penna per scrivere. La stanza in cui mi trovavo non era molto pulita visto che per terra c'erano diverse foglie secche. Singhiozzai e piansi, fino a che una donna, giovane quanto mia madre, entrò nella camera. 
Non era umana, lo capii subito dal colore dei suoi occhi, dalla pelle e dalla forma delle sue orecchie. I suoi capelli erano neri, di un colore intenso, inoltre mi sorprese molto il fatto che fossero perfettamente lisci e gli coprissero tutta la schiena. Era di qualche centimetro più bassa di me, ma poteva benissimo assomigliare ad una sottiletta vista di lato. Non era truccata e il suo abbigliamento era molto particolare: il suo vestitino nero era formato da un corpetto con le spalline larghe, la parte superiore, e da una gonna piena di tulle, per la parte inferiore, e ai piedi indossava degli stivaletti con un minimo di tacco dello stesso colore dell'abito. Sembrava che venisse da altri tempi. 
Notai il suo ciondolo gigantesco e i suoi tre anelli di grandi dimensioni formati, tutti e tre, da pietre rosa, forse quarzo, verde, smeraldo, e bianca, quasi trasparente, diamante. La linea delle sue labbra era sottile e il naso all'insù addolciva in parte la sua serietà nella forma degli occhi. Erano vuoti, inespressivi, gelidi: la pupilla nera era dilata rispetto al normale, l'iride era di un bianco candido e il contorno, sia interno, cioè vicino alla pupilla, che esterno, prendeva un colore tra il lilla e il violetto. La sua pelle era candida, quasi bianca, sembrava porcellana. Notai sul palmo interno della mano sinistra un marchio inciso sulla sua pelle, forse, con un oggetto bollente: era una piuma. Le sue orecchie erano a punta e piccole. Era già da alcuni minuti che la studiavo attraverso gli spiragli delle mie dita, ma lei sembrava non accorgersene.
«Tranquilla, non avere paura. Sono felice che ti senta meglio.»disse con voce acuta, ma melodiosa.
«Scusa, ma dove mi trovo!?»le chiesi dolcemente.
Si vedeva subito che non aveva intenzione di farmi del male.
«Non temere, mio figlio verrà a salvarti prima che tu venga data a...Lui.»disse abbassando la voce sull'ultima parola.
«Vi prego, mi lasci andare. Voglio tornare a casa!»dissi a bassa voce, ma con le lacrime agli occhi.
Avevo paura di questo Lui. Non avevo la minima voglia di incontrarlo.
«Purtroppo non posso aiutarti, Chanter. Potrebbero punire me o mio figlio e questo non voglio che succeda. E poi non riusciresti a varcare la soglia di questa stanza. Hai la febbre alta, i lividi violacei sui tuoi polsi non sono ancora svaniti. Non sei ancora in forze. Non ce la faresti. Devi riprenderti.»
«Chi mi salverà? Come si chiama tuo figlio?»chiesi cercando di risolvere alcune domande che mi passavano per la mente.
«Non posso dirtelo. È meglio che tu non lo sappia, ma è in pensiero per te.»
«Vorrei ringraziarlo, ma dovrò limitarmi con te.»dissi prima di portare le mie braccia dietro al suo collo e rinchiuderla in un abbraccio forte. Stranamente la sua pelle risultava calda al contatto con la mia. Non perse tempo per ricambiare. Mi sentivo a casa tra le sue braccia. All'improvviso pensai che non avevo mai ricevuto un abbraccio dalla mia vera madre e questo rispecchiava tutte le caratteristiche per esserlo. La lasciai libera dalla mia presa d'acciaio e lei fu costretta ad andarsene. 
Il vuoto s'impossesso della mia mente fino a che la scena dell'attacco di Roy non mi tornò in mente. Non riuscivo a smettere di pensare alla sua cattiveria e a lui. Volevo fuggire. Volevo morire. Ero in questa situazione per la mia nuova personalità. Ma chi ero io veramente? La timida e innocente ragazza o la puttanella della scuola? Chi era colui che doveva salvarmi la vita da questo inferno?

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