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Liberamente ispirata a “I Cavalieri dello Zodiaco”
Liberamente ispirata a “I Cavalieri dello Zodiaco” di M.
Kurumada
ALEDILEO presenta
I CAVALIERI DELLO ZODIACO
3
DI
DEI E DI RIMPIANTI
Nota dell’autore:
Cronologicamente questa
fanfiction è ambientata molto prima rispetto alle vicende delle due fanfic precedenti
(Fulmini dall’Olimpo e La Grande Guerra), di cui NON è richiesta
la lettura per la comprensione della stessa, e prima anche della serie classica
e di Episode G, volendo narrare una vicenda accaduta proprio all’epoca
dell’investitura dei Cavalieri d’Oro.
Purtroppo, essendo quello un
periodo piuttosto oscuro, i cui fatti vengono spesso presentati in maniera non
molto chiara (e difforme tra anime e manga), ho dovuto necessariamente
apportare piccole modifiche, con lo scopo di rendere la trama in sé più chiara
possibile. Mi perdonino i puristi per questo atto, ma era, a mio parere,
l’unico modo per organizzare una storia avvincente e al tempo stesso ordinata
al proprio interno, anche se, purtroppo, a condizione di sacrificare qualche
elemento della serie classica.
Grazie a tutti i lettori che
da anni seguono le mie storie. Apprezzo ogni commento e il vostro interesse con
vero piacere.
Mancava poco ormai, pochi attimi soltanto, e ciò che
aveva temuto per secoli si sarebbe realizzato. La fine del mondo in cui era
cresciuto e della luce di cui si era abbeverato.
Un fulmine si schiantò tra le sabbie dell’esterno,
rischiarando con la sua luce la grande vetrata del lato orientale, mostrando il
volto sconvolto e affannato del vecchio custode. Il rombare del tuono coprì le
grida strazianti degli ultimi soldati posti a difesa dell’antica biblioteca,
uccisi con un colpo solo, dilaniati nel profondo da violenti tagli di lama
infuocata.
“Dobbiamo... fermarlo...” –Mormorarono gli ultimi
difensori.
Ma si spensero poco dopo, stritolati da vampe
incandescenti di potente energia cosmica, che trinciò le loro carni,
permettendo al loro aggressore di passare oltre. Al loro unico aggressore di
oltrepassare i grandi portoni rifiniti d’argento dell’ingresso della Biblioteca
di Alessandria ed entrare al suo interno, per carpirne il suo ultimo segreto.
Quello che gli avrebbe permesso di dominare il mondo.
“Kaboom!!!” –Con un dito distrusse l’ultima porta
che lo separava dalla sua meta, varcando la soglia che lo avrebbe fatto entrare
nel mito.
Le fiamme del caminetto avvamparono impetuose, per
lo spostamento d’aria prodotto, mentre la sua demoniaca figura si stagliava
sull’ingresso dell’antica sala, la più remota, dove i saggi avevano riunito i
testi più antichi e preziosi. E dove il custode della Biblioteca, Galen il
saggio, si era nascosto, stringendo a sé un arcaico manoscritto, chiuso con
un sigillo dorato su cui millenni addietro una runa a forma di A era stata
impressa.
“Figlio del Demonio!!!” –Gridò Galen,
indietreggiando, mentre rivoli di sudore gli scendevano sul viso, impaurito da
quell’orribile visione.
Un uomo ricoperto da una scarlatta armatura, dagli oscuri
riflessi di morte, stava avanzando spedito nel salone, scuotendo il mantello
dalla pioggia che lo aveva inzuppato all’esterno. Al suo fianco pendeva
un’affilata lama infuocata, e parve a Galen, che oscure fiamme vi si
attorcigliassero attorno, fondendosi in un’unica macabra arma di morte.
“Se sai perché sono qua, saprai anche che dovrai
consegnarmi quel libro!” –Sibilò l’uomo, fissando Galen con i suoi occhi di
brace.
“Mai!!!” –Gridò Galen, e in quell’unica parola mise
tutto il fiato che aveva in corpo, tutto l’orgoglio e la determinazione che
aveva sempre provato nello svolgere quell’importante compito, tutta la vita che
ancora gli restava.
E senza aggiungere altro gettò l’antico manoscritto
tra le vive fiamme del caminetto, che subito lo avvolsero, divorando
voracemente la logora carta.
“Maledetto!!!” –Urlò l’uomo, e con un balzo fu
davanti al caminetto, per cercare di afferrare il testo prima che le fiamme lo
mangiassero completamente.
Ma quel mucchio indistinto di carta che riuscì ad
agguantare gli si sbriciolò in mano, polverizzandosi come innocua cenere,
nascondendo per sempre i segreti di un’intera esistenza. Rabbioso, si voltò di
scatto verso il vecchio curatore, tagliandogli la testa con un secco colpo di
lama infuocata. Nessun grido, nessuna supplica, soltanto il tonfo secco del
cranio dell’uomo sul marmoreo pavimento della Biblioteca che aveva custodito
per secoli, facendone la sua casa. La sua tomba.
L’uomo dalla scarlatta armatura rinfoderò la spada,
mentre i suoi occhi ancora gridavano di rabbia, e tirò un calcio furioso al
caminetto, disperdendo i ciocchi di legno e tutte le ceneri, con i resti del
libro dentro contenuti, lasciando le fiamme libere di danzare nell’antica sala,
libere di cibarsi di tutto quel sapere nascosto. In pochi minuti l’intero
tempio della saggezza avvampò come una stella, divorando il suo prezioso
contenuto: libri, manoscritti antichi, pergamene, rotoli di papiro redatti
millenni prima scomparvero, secoli e secoli della storia del mondo andarono perduti,
mentre la demoniaca figura gridava istericamente al suo interno, incurante
delle fiamme che esplodevano intorno a lui.
Se ne andò poco dopo, deluso e amareggiato per
quell’unica perdita che per lui contava, per quell’unico manoscritto che avrebbe
potuto cambiare il destino del mondo, lasciando il corpo del vecchio Galen ad
ardere sul pavimento. Bruciò, ardentemente bruciò, come l’intero tempio della
saggezza, e di lui rimase soltanto uno scheletro consumato. Uno scheletro che,
nella mano destra, stringeva ancora con forza un sigillo dorato, un sigillo che
Flegias non aveva trovato.
Era tradizione che
ad Atene ogni anno, dal 566 a.C., in agosto venissero organizzate feste in onore
alla Dea Atena, note con il termine di Panatenee, occasioni per celebrare la
Divinità protettrice degli uomini, che tanto aveva lottato per difendere la
Terra dalle forze oscure. Con il passare dei secoli però, e il moltiplicarsi
delle Guerre Sacre, la tradizione era andata in disuso, dimenticata da
questioni più importanti che avevano conquistato le attenzioni dei Sacerdoti e
dei Cavalieri di Atena. Ma quell’anno, il 1973, il rappresentante della Dea
sulla Terra aveva deciso di recuperare l’antica tradizione, riportandola a
nuovi splendori e caricandola di un’occasione simbolica di grande importanza:
la nomina di nuovi Cavalieri a difesa del Santuario della Dea Guerriera.
Dall’alto
del suo punto di osservazione, la terrazza panoramica sul retro della
Tredicesima Casa, il Grande Sacerdote osservava l’intenso paesaggio scivolare
sotto di lui nell’amaranto di quella sera d’estate. Gli ultimi raggi di sole
illuminavano le rocce della Collina della Divinità, sul cui versante
meridionale Atena aveva fatto edificare secoli prima le Dodici Case dello
Zodiaco, percorso obbligato per chiunque volesse recarsi al suo cospetto, o a
quello del suo Celebrante, incaricato, in sua assenza, di governare saggiamente
il Grande Tempio, mantenendo le legioni efficienti in attesa di nuove guerre.
Ed era proprio in occasione di queste, quando il male si addensava nuovamente
sulla Terra, che Atena si reincarnava. E questo Shin ben lo sapeva.
Dea
Atena! Mormorò, appoggiato al balcone
della terrazza. Il giorno della tua rinascita è prossimo! Lo sento! E sento
anche la lunga ombra dell’oscurità protendersi su di noi! Per questo motivo
abbiamo radunato questi giovani Cavalieri... per farne i portatori della
Speranza, un messaggio che grazie al tuo aiuto invieremo agli uomini che vivono
in tempi grigi come questi! Lo scoppiettare dei fuochi d’artificio lo
riportò al presente, da cui spesso amava estraniarsi, soprattutto in quei
momenti di festa, a cui, considerando le elevate preoccupazioni del suo
incarico, mai partecipava.
Egli
era Shin dell’Ariete, uno dei più valenti Cavalieri d’Oro della
generazione che aveva combattuto contro Ade nella Guerra Sacra del 1743, un
anno così lontano di cui poche memorie erano rimaste, essendo rimasti in due
coloro che potevano raccontarle: Shin e il suo compagno, il Cavaliere della
Bilancia. Due soltanto su settantatre Cavalieri scesi in campo contro le
demoniache costellazioni di Ade. Due soltanto, a cui la Dea aveva affidato
compiti molto precisi: Shin infatti era stato incaricato di ricostruire le
legioni di Atena, istruendo nuovi Cavalieri e preparando tutti loro alla
successiva guerra, da combattersi in un’epoca oscura, come il millennio che
stava terminando.
Avrò
adempiuto il mio dovere? Si domandò
Shin, ricordando il giuramento che fece alla Dea in quel lontano giorno. Avrò
servito coerentemente Atena, come un vero Grande Sacerdote avrebbe dovuto fare?
Dubbi attanagliavano la sua mente, dubbi che aveva sempre avuto, ma che in quei
giorni, mentre una strana angoscia lo dominava, si facevano sentire in maniera
più pressante. Oh, Dohko! Quanto vorrei che tu fossi qua! Per parlare con
te, come facevamo un tempo, prima che le responsabilità del mondo ci
sommergessero, separandoci! Mormorò, lasciando vagare la mente al di là del
Grande Tempio, oltre il Mediterraneo, fino alle remote terre d’Asia, cingendo
con il cosmo una piccola vallata della Cina meridionale, dove un vecchio dalla
pelle violacea sedeva compostamente di fronte ad una scrosciante cascata, da
più di duecento anni. Shin sorrise e per un momento provò una forte nostalgia,
un profondo desiderio di rivedere e riabbracciare l’antico compagno, al cui
fianco aveva combattuto, e al cui fianco era stato pronto a morire.
Sospirò,
scuotendo la testa, e mettendo da parte tutti i suoi ricordi personali. Per
quelli, ormai, non c’è più tempo! Mormorò, allontanandosi dal balcone. Adesso
è solo tempo di agire! Nel rispetto dei pianidella Dea! Dimenticò
il proprio passato, accantonandolo come aveva fatto con il suo nome, noto
soltanto ai propri allievi; per tutti gli altri, e per il popolo che Atena
adorava, egli era solamente il Grande Sacerdote di Atene, scelto dalla Dea
stessa come suo rappresentante, tramite tra la Divina Volontà e quella dei
Cavalieri e dei suoi servitori e, quindi, bocca assoluta di verità.
Trascinandosi
a fatica, il Sacerdote rientrò nelle sue stanze, raggiungendo la Sala del
Trono, camminando stentatamente, data la sua veneranda età. Per quanto avesse
il fisico di un Cavaliere, investito dal benigno potere delle stelle, Shin era
comunque un uomo, e come tale mortale. Aveva vissuto duecentoquarantotto anni e
qualcosa gli faceva presagire che non sarebbe arrivato a duecentocinquanta. Che
forse non avrebbe potuto neppure stringere tra le mani la deliziosa fanciulla
che un giorno, quando avrebbe preso coscienza di sé, avrebbe guidato i
Cavalieri contro le forze dell’oscurità. Vorrei poter vivere abbastanza per
vedervi sorridere, Dea Atena! Mormorò, trascinandosi fino al trono, e
sprofondando su di esso. Almeno una volta!
Pochi
minuti dopo le porte della sala si aprirono e un giovane ne entrò,
incamminandosi verso il trono e inchinandosi in segno di rispettoso ossequio.
Era un bel ragazzo, giovane e ben fatto, con corti capelli castani e occhi
marroni, ampie spalle e portamento deciso, ricoperto dalle vesti tipiche dei
Cavalieri durante il loro addestramento: una cotta di rame e cuoio, che copriva
solo alcune parti delicate del corpo umano, quali il petto, le spalle e le
ginocchia. In fronte portava una fascetta rossa.
“Micene
di Sagitter!” –Parlò il Sacerdote, pregandolo di alzarsi. –“So che avevi
chiesto udienza…”
“Perdonatemi
se vi reco disturbo, Grande Sacerdote!” –Disse Micene, con tono educato.
–“Ma era mia intenzione rivolgermi a voi, che di Atena siete ministro e voce, per
ottenere saggi consigli!”
“Consigli?!
E quali consigli potrebbe dare un vecchio come me ad un aitante Cavaliere
d’Oro?”
“Consigli
paterni!” –Sussurrò Micene, prima di spiegare. –“È di mio fratello che vorrei
parlarvi!”
“Di
tuo fratello?! Il nuovo Custode della Quinta Casa?!”
“Proprio
lui, Ioria del Leone! Per quanto le sue capacità siano indubbie, credo che
ancora non abbia preso coscienza di sé, del suo ruolo di Cavaliere d’Oro, di
ultimo baluardo del Tempio di Atena!”
“Eh
eh... è molto probabile, Micene! Molto probabile! In fondo... abbiamo avuto
tutti dodici anni!”
“Questo
è vero! Ma non vorrei che la leggerezza che ostenta si trasformasse in
atteggiamenti pericolosi o lesivi del suo ruolo di Cavaliere d’Oro! Il nostro
compito è difendere le Dodici Case, combattendo per Atena, non farci schernire
dagli altri Cavalieri per i nostri buffi atteggiamenti!”
“L’unico
consiglio che posso darti, Micene di Sagitter, è di rimanere accanto a tuo
fratello, anche adesso che ha ottenuto l’Armatura d’Oro, e di continuare ad
addestrarlo come hai fatto nei sei anni precedenti! Ioria ha ancora molte cose
da imparare, e avrà tempo per fare esperienze, come lo avranno tutti i
Cavalieri che ieri sono stati insigniti del supremo titolo: l’Ariete, il Toro,
il Cancro, la Vergine, lo Scorpione, l’Acquario e i Pesci! Non temere i giorni
che verranno, Cavaliere di Sagitter, ma preoccupati di quelli che sono! Grazie
ad essi, e per mezzo di essi, costruiremo il nostro futuro!”
“Sei
valente e saggio, Cavaliere di Sagitter, il più amato dai giovani! Il tuo nome
è preceduto dalla fama delle tue imprese e del tuo coraggio, ma soprattutto
l’ammirazione che i ragazzini nutrono per te dipende dal tuo ardore, dal tuo
infinito amore per Atena! Amore che, sono certo, saprai trasmettere anche a tuo
fratello, per quanto birbante egli possa all’apparenza sembrare!”
In
quel momento, mentre Micene si accomiatava, una porta laterale si aprì e una
figura mascherata ne uscì, stupendo lo stesso Cavaliere di Sagitter che mai lo
aveva incontrato personalmente.
“Uh!
Perdonatemi, mio Signore! Avevo dimenticato che eravate a colloquio con il
Cavaliere del Sagittario!” –Esclamò l’uomo, inginocchiandosi dispiaciuto.
Che
fosse un uomo, Micene lo intuì dalla voce, maschile e ben bilanciata, dato che
il viso era ricoperto da una maschera scura, identica a quella del Sacerdote,
come identiche erano le vesti che indossava, eccezion fatta per alcuni fregi
sull’elmo.
“Non
preoccuparti, Arles!” –Lo rassicurò il Sacerdote, facendogli cenno di
avvicinarsi. –“Micene di Sagitter, ti presento Arles, ex Cavaliere d’Argento
dell’Altare, nonché Primo Ministro di Atene!”
“È
un onore per me conoscervi, Primo Ministro!” –Si inginocchiò Micene.
“No!
L’onore è mio, nobile Sagittario!” –Affermò Arles con voce gentile. –“Non
inchinarti, non ne hai motivo! Sono soltanto un servitore del Grande
Sacerdote!”
“Un
servitore... e la mia guardia del corpo!” –Precisò il Celebrante di Atena,
spiegando a Micene che le funzioni del Primo Ministro non erano semplicemente
organizzative, bensì di sicurezza.
Vestendo infatti
come il Sacerdote, e indossando la stessa maschera, Arles poteva essere
tranquillamente scambiato con il Celebrante stesso, al quale spesso si sostitutiva
durante particolari celebrazioni, quando le condizioni fisiche dell’uomo non
gli permettevano sforzi eccessivi.
“Siete
davvero identici!!!” –Esclamò Micene, spostando lo sguardo dall’uno all’altro.
“Voci
sussurrano che siamo fratelli!” –Ironizzò Arles, facendo sorridere anche il
Sacerdote.
“Ed
è questo ciò che rappresenti per me, mio caro Arles! Un fratello, oltre che un
carissimo amico e aiuto in questa vecchiaia di stenti!”
“Non
parlate così, Grande Sacerdote!” –Esclamò Arles, correndo a prendere la mano
del Celebrante di Atena. –“Sono certo che ancora per molti anni saprete
amministrare saggiamente il Grande Tempio della Dea ed i Cavalieri qua riuniti!
Per loro sarete un’ottima guida e fonte di verità!”
“A
volte…” –Mormorò Shin, con un pizzico di tristezza. –“Vorrei che così non
fosse…”
“Uh?”
–Balbettò Arles, non comprendendo l’affermazione del Sacerdote, il quale non
poté fare a meno di chiedersi come gli fossero uscite quelle parole di bocca.
Micene
ritenne opportuno allontanarsi, salutando entrambi con un profondo inchino e
lasciando Arles ai piedi del Celebrante, impegnato ad accarezzargli la mano con
sincero affetto.
“Qualcosa
vi turba, mio Signore?”
“Presagi...”
–Mormorò il Sacerdote, elusivamente. –“Presagi di morte!” –E nient’altro
aggiunse, facendo preoccupare non poco il Cavaliere d’Argento.
“Volete
che chiami il vostro allievo, il Cavaliere di Ariete?”
“No!
Mur non è ad Atene!” –Rispose fiaccamente Shin, prima che un sorriso si
dipingesse sul suo volto. –“L’ho inviato in Cina in missione! È partito subito
dopo l’investitura!”
“In
Cina?! E a fare cosa, se posso chiedere?”
“A
trovare un amico!” –Rispose Shin, appoggiando la testa allo schienale del trono
e rilassando il suo corpo. Rimase così per pochi minuti, prima di addormentarsi,
mentre il tramonto calava su Atene e un forte vento di malinconia travolgeva le
stanche membra dell’antico Cavaliere di Ariete.
***
Mentre
Micene usciva dalle stanze del Sacerdote, un ragazzetto dai capelli fulvi
correva per le vie del mercato di Atene, con una pagnotta sotto braccio,
inseguito a fatica da un’anziana signora.
“Birbante!!”
–Urlò la vecchia, fermandosi. –“Lo dirò a tuo fratello!!!” –Ma il ragazzo era
già sfrecciato lontano, sgranocchiando la sua pagnotta sgraffignata. –“Che peste!
Me l’ha fatta anche stavolta!!!” –E scoppiò in una grossa risata, tornando alla
sua bottega.
Il
ragazzo continuò a correre per le trafficate vie del mercato del Grande Tempio,
cercando di evitare le persone intorno a lui, ma finendo spesso per sbattere
contro di loro. Infilò una strada laterale, cercando di uscire dalla mischia di
quei giorni di festa, sorridendo soddisfatto per il suo colpo, prima di
sbattere la faccia contro un uomo che proveniva dalla direzione opposta.
“Ouch...”
–Esclamò, cadendo a terra. –“Perché non guardi dove vai?” –Brontolò,
rialzandosi prontamente, prima di riconoscere l’uomo contro cui si era
scontrato. –“Ga... Galarian?!”
Di
fronte a lui c’era un ragazzo sui diciotto anni, con viso leggero, quasi
efebico, e lisci capelli biondi che scendevano fino alle sue spalle. Era magro
e snello, e ricoperto da vesti tipiche ateniesi, compresi i caratteristici
sandali. Galarian Steiner era il migliore amico di suo fratello Micene.
“Puoi
chiamarmi semplicemente Galan, Ioria!” –Commentò il giovane, prima di fare una
nuova predica al ragazzo. –“E preferirei che tu non andassi a rubare pagnotte
al mercato!”
“Ooh,
quante storie, Galan! La signora Pirra mi conosce bene, sa che lo faccio per
scherzare!” –Esclamò Ioria, senza troppa attenzione. –“E comunque puoi
sempre andare a saldare tu il conto!”
“Lo
farò, ma non è questo il punto!” –Precisò Galan.
“Ah
no?!” –Ironizzò Ioria, incamminandosi e masticando il pane. –“E quale sarebbe
il punto?”
“Il
punto è che tu... perdonatemi, voi, vi comportate come un ragazzino, agendo
irresponsabilmente, senza tenere in considerazione il rango a cui appartenete!”
“Oh,
andiamo Galan, non farmi la predica anche oggi! Sai bene anche tu che non
faccio niente di male!” –Disse Ioria, continuando a camminare. –“E piantala di
criticare tutti i miei atteggiamenti!”
“Io
non critico i vostri atteggiamenti, Ioria! Critico la vostra noncuranza, la
leggerezza con cui avete preso il vostro nuovo ruolo! Siete un Cavaliere d’Oro
adesso, e avete grandi responsabilità!”
“Credi
che non lo sappia questo?” –Si fermò improvvisamente Ioria, voltandosi verso
l’uomo al suo fianco. –“Micene non fa altro che ripetermelo, e adesso ti ci
metti pure tu!”
“Cerco
solo di fare il mio dovere!” –Disse l’uomo, reggendo lo sguardo irato del
ragazzo. –“Come ben saprete, Micene mi ha ordinato di prendermi cura di voi! Ed
è quello che ho intenzione di fare!”
“Perfetto!”
–Ironizzò Ioria, lanciando quel che restava della pagnotta a Galan. –“Allora
occupati di sistemare il conto!” –E fece per allontanarsi, mentre un gruppetto
di tre uomini si avvicinava loro.
Il
primo era un uomo di vent’anni, con lunghi capelli blu e un naso appuntito,
ricoperto da un’Armatura violacea simboleggiante un cane; il secondo era
enorme, un grosso Cavaliere dai mossi capelli verdastri e gli occhi verde
chiaro, mentre il terzo era il più piccolo dei tre, gracilino, con folti
capelli color mogano ed un’armatura grigiastra rappresentate una mosca.
“Ma
guarda!” –Esclamò uno dei tre. –“Il novello Cavaliere d’Oro!”
“Dove
hai lasciato la tua armatura?!” –Lo schernì il secondo.
“Non
dirmi che tuo fratello la sta lucidando!” –Ironizzò il terzo.
“Smettetela,
stupidi!” –Esclamò Ioria, rabbioso, guardando in faccia i tre uomini.
Li
conosceva abbastanza bene, e sapeva che erano solo dei gradassi provocatori, ma
non cattivi, solo degli sbruffoncelli. Erano tre Cavalieri d’Argento, di età
superiore alla propria: Orione del Cane Maggiore, Argetti di Eracle
e Dedalus della Mosca.
“Ooh,
Dedalus hai sentito?! Il ragazzino si è arrabbiato!!!” –Rise Argetti di gusto.
“E
piantala!” –Esclamò Ioria, facendosi largo tra i tre uomini.
“Ehi!”
–Lo apostrofò Argetti, afferrandolo per il colletto della camicia e
sollevandolo da terra. –“Un moscerino come te non dovrebbe usare un tono simile!”
“E
voi non dovreste usarlo con un Cavaliere d’Oro, signori!” –Precisò Galan.
“Nessuno
ha chiesto il tuo parere, servitore!” –Lo zittì Dedalus.
“Già!”
–Grugnì Argetti. –“Se è veramente un Cavaliere d’Oro non dovrebbe incontrare
difficoltà alcuna a farsi portare rispetto, no?! Ah ah ah!” –Rise di gusto il
colosso, subito seguito da Dedalus.
Ma
Orione, per quanto divertito dalla scena, percepì istantaneamente che qualcosa
non andava affatto. Tentò di avvertire Argetti ma non fece in tempo, travolto
dall’improvvisa esplosione di luce. Ioria infatti, stufo di essere deriso,
espanse il proprio cosmo, roteando su se stesso e scagliando un violento calcio
nel petto di Argetti, il quale venne travolto e scaraventato contro il muro di
un’abitazione poco distante, che crollò su di lui, ferendolo in più punti.
“Incredibile!”
–Mormorò Orione, osservando Ioria rimettersi in piedi con un solo balzo.
“Aargh…”
–Brontolò Argetti, liberandosi dai calcinacci che gli erano caduti addosso.
–“Stupido moccioso! Ti farò vedere io cos’è la vera forza!”
“Adesso
basta!” –Lo fermò Orione. –“I Cavalieri di Atena non combattono tra loro!”
“Ben
detto, Cavaliere del Cane Maggiore!” –Parlò una sesta voce, irrompendo nella
conversazione.
Tutti
i presenti, tranne Ioria, si voltarono verso il lato della strada da cui era
provenuta la voce, incontrando il fiero sguardo di un uomo alto e moro,
ricoperto da dorate vestigia lucenti. Non aveva più di quindici anni, ma la sua
figura longilinea lo faceva sembrare più adulto della sua reale età, e i suoi
occhi, quel determinato sguardo nobile, conferivano alla sua figura una
magnificenza capace di attirare le lodi e le ammirazioni di numerosi Cavalieri,
seppur più anziani di lui.
“Ooh…”
–Balbettarono i Cavalieri d’Argento, intimoriti da quell’apparizione quasi
divina. – “Nobile Cavaliere di Capricorn!”
“Atena
non vuole che i suoi Cavalieri combattano tra di loro! Non è questo il mondo
cui la Dea anela, bensì ad un mondo di pace e serenità, dove gli uomini possano
vivere in concordia tra loro!”
“Sì…
nobile Cavaliere!” –Esclamarono i Cavalieri d’Argento, inginocchiandosi di
fronte a lui.
“Inoltre...”
–Ironizzò Shura di Capricorn. –“Non credo vi convenga sfidare un
Cavaliere d’Oro!”
“Uh?!”
–Balbettò Orione, alzando lo sguardo verso Ioria.
“Foste
anche centomila, non sareste abbastanza per uno dei Custodi Dorati!” –Commentò
Capricorn, osservando l’aria schiva del Cavaliere di Leo.
Ioria
non disse altro per tutta la durata della conversazione, limitandosi ad
osservare di sottecchi Orione, Dedalus e Argetti che si allontanarono, con la
coda tra le gambe, mugugnando tra loro.
“Non
era necessario il tuo intervento, Capricorn!” –Si limitò ad esclamare infine,
voltando le spalle all’uomo. –“So cavarmela anche da solo!”
“Ne
sono certo, Ioria!” –Commentò l’altro, osservando il ragazzo scomparire nel
tramonto di Atene. –“Devi solo prendere coscienza di te stesso, e di quello che
rappresenti!”
“Riuscirà
nell’impresa?” –Domandò Galan, rimasto in piedi accanto a Capricorn.
Il
Cavaliere d’Oro sospirò per un momento, di fronte allo sguardo sinceramente
preoccupato del servitore di Ioria, prima di rispondere.
“Abbiamo tutti
bisogno dei nostri tempi, per capire chi siamo! E per accettarlo! E Ioria non è
da meno!” –Esclamò, con un sorriso. –“Ma verrà un giorno in cui il Leone d’Oro
comprenderà il suo potenziale, e lo scopo della sua discesa su questa terra! E
allora tutto gli sembrerà più chiaro! Tutto assumerà una nuova luce, dando un
senso a ciò che fino ad allora era rimasto vuoto e indecifrabile! Dagli tempo,
Galan, sono certo che troverà la sua strada!” –Detto questo, il Cavaliere d’Oro
si allontanò, avvolgendosi nel bianco mantello fissato ai coprispalla della sua
corazza.
In un lampo di
luce Capricorn scomparve dal mercato di Atene, oltrepassando i campi difensivi
del Grande Tempio e portandosi proprio all’ingresso di esso, di fronte al
Cancello principale. Salutò con educazione i soldati di guardia, che
ricambiarono ammirati il saluto del Cavaliere, aprendo i due grandi portoni, su
cui le ali di Nike, Dea della Vittoria, erano rappresentati.
Dopo che aveva
fatto edificare le Dodici Case, numerosi secoli addietro, Atena aveva aggiunto,
in tempi successivi, molteplici edifici ai piedi della Collina della Divinità,
luoghi aperti e pubblici, come l’Arena dei Combattimenti, l’armeria, palestre
per gli allenamenti dei Cavalieri, e aveva provveduto a circondare l’immensa
struttura di un muro perimetrale, composto da robusti mattoni di pietra e alto
più di tre metri. Tre cancelli, disposti in coincidenza dei punti cardinali,
est, ovest e sud, interrompevano il bianco recinto, permettendo ai Cavalieri e
ai servitori di Atena di avere accesso al Grande Tempio, nascosto agli occhi
degli uomini da potenti campi di energia, sorretti dalla Divina Volontà, che
rendevano impossibile alle persone normali raggiungerlo. Sul quarto lato,
quello che dava a settentrione, si ergeva la Collina della Divinità, un’erta
altura rocciosa e spigolosa di millesettecento metri, la cui sommità era
raggiungibile tramite un unico percorso obbligato: la lunga scalinata di marmo
bianco che si snodava attraverso le Dodici Case dello Zodiaco.
E proprio alla
Decima, quella da lui presieduta, Capricorn si stava recando, quando notò, con
la coda dell’occhio, un volto familiare impegnato a conversare con il capo dei
soldati in una guardiola laterale. Micene! Sorrise, riconoscendo il
valoroso Cavaliere che da anni attirava le sue simpatie e la sua ammirazione.
Mosse la mano per salutarlo, ma si accorse che il ragazzo non lo aveva notato.
Fece per chiamarlo a gran voce, ma dall’espressione seria che lesse sul suo
volto preferì evitare. Sospirando, Capricorn diede le spalle a Micene e al
Cancello Principale, incamminandosi a passo svelto verso le Dodici Case, mentre
una strana angoscia si andò impadronendo di lui.
Cos’aveva
Micene? Si domandò,
camminando tra i numerosi soldati del Santuario. Un’espressione pesante gli
graffiava il viso, uno sguardo preoccupato che poche volte ho letto sul suo
volto! Chissà cosa aveva da dirgli il Capitano delle guardie?! Rifletté,
strusciandosi il mento più volte. Ma poi abbandonò tutte quelle congetture,
realizzando di essersi lasciato dominare dalla fantasia. Probabilmente
Micene stava soltanto conversando con il capitano sullo stato di dissolutezza
delle nostre guardie in questi giorni di festa! Più di una volta numerosi
soldati sono stati trovati ubriachi, e ciò non si addice al rango di difensori
del Santuario di Atena!
Tutto immerso nei
propri pensieri, si accorse soltanto all’ultimo di essere giunto ai piedi della
bianca scalinata di marmo che conduceva alle Case dello Zodiaco. La prima,
quella dell’Ariete, si ergeva qualche decina di metri sopra di lui,
inconfondibile con quel suo aspetto orientaleggiante. Capricorn sorrise,
spostando lentamente lo sguardo sulle splendide costruzioni, residenza dei
dodici Cavalieri di rango più elevato, tra gli ottantotto: i Cavalieri d’Oro di
Atena, di cui egli faceva parte. Non li conosceva tutti personalmente, avendo
visto molti di loro per la prima volta solamente il giorno precedente,
assistendo, insieme agli altri due Cavalieri d’Oro già insigniti, alla
cerimonia seduto sugli spalti dell’Arena: Micene e Gemini, gli unici con cui
aveva stabilito un rapporto più profondo di conoscenza, dovuto essenzialmente
alla loro maggiore età.
Micene e Gemini
avevano infatti diciotto anni e da sei servivano Atena come Cavalieri d’Oro, e
come istruttori degli aspiranti Cavalieri. Ioria era infatti stato addestrato
proprio dal fratello e Capricorn nutriva per lui una sconfinata ammirazione, da
sempre, fin da quando era arrivato al Grande Tempio, tre anni e mezzo prima,
per ottenere il riconoscimento ufficiale dell’armatura d’Oro conquistata in
Spagna dopo sei anni di duro addestramento. L’Armatura del Capricorno!
Mormorò, sfiorando il freddo metallo dorato che lo ricopriva, e spostando poi
lo sguardo in alto, tra i pinnacoli rocciosi della Collina della Divinità,
cercando la Decima Casa di cui era il custode: ne vide solamente il tetto,
sormontato dalla statua marmorea simboleggiante il mitico animale che, secondo
la leggenda, rappresentava la capra Amaltea che aveva allattato Zeus da
bambino.
Sorrise,
sentendosi veramente orgoglioso di rivestire un ruolo simile, e per un momento
pensò al suo maestro, morto l’anno precedente di leucemia, e strinse i pugni
con fermezza, senza abbandonarsi alla disperazione, consapevole che egli, dal
paradiso dei Cavalieri, lo stesse osservando e proteggendo. Maestro! Vi
renderò orgoglioso! Diventerò un Cavaliere di Atena valoroso e splendido come
Micene! Sorrise, incamminandosi lungo la bianca scalinata di marmo.
Mentre la notte
calava su Atene, nella Cina meridionale il sole sorgeva e due aspiranti
Cavalieri raggiungevano il luogo dell’addestramento. In una piccola valle,
protetta da alti pinnacoli rocciosi, scrosciavano le acque di una cascata,
bagnando con i loro frizzanti spruzzi il cappelletto di paglia di un vecchio
seduto di fronte ad essa, su un pinnacolo sporgente a ridosso dell’ancestrale
cascata. Piuttosto basso, dalla pelle rugosa e violacea, l’anziano sedeva
continuamente sulla sporgenza rocciosa, anche nei giorni di pioggia, e a molti
osservatori esterni poteva sembrare quasi addormentato, tanta era la
concentrazione, il livello di meditazione che era capace di raggiungere.
Dohko era il suo nome, ma nessuno ormai lo
chiamava in quel modo da duecento anni, non essendo più vivo nessuno per
ricordare il suo nome, ad eccezione di un unico amico che da troppo tempo non
incontrava. Per il mondo era semplicemente il Vecchio Maestro, anziano
Cavaliere di Atena che aveva scelto di mettere a disposizione delle nuove
generazioni il suo sapere e la sua abilità, sia fisica che morale, addestrando
allievi ai Cinque Picchi.
“Maestro!” –Lo
chiamò una squillante voce, inginocchiandosi di fronte all’uomo, che gli dava
le spalle. –“Siamo pronti per iniziare!”
“Molto bene....”
–Commentò il Vecchio Maestro, continuando a fissare la cascata.
Fece un cenno con
una mano, e i due ragazzi inginocchiati dietro di lui si alzarono, allontanandosi
e portandosi ai margini della sporgenza rocciosa, dove il terreno si apriva
gradualmente in una fascia pianeggiante, circondata da alte montagne. Là i due
ragazzi si misero uno di fronte all’altro, in posizione da combattimento,
pronti per lanciarsi uno contro l’altro ad un cenno del maestro.
Il più alto, e
apparentemente il maggiore di età, era ben fatto fisicamente, con scompigliati
capelli scuri e occhi neri, che risplendevano sul suo viso abbronzato;
indossava una semplice canotta bianca, che ben metteva in mostra il suo fisico
scolpito, sopra un paio di pantaloni larghi, adatti per i movimenti veloci che
era tenuto a compiere quotidianamente, ed una fascia sul braccio destro. Ascanio era il suo nome, come il mitologico figlio
di Enea.
Il secondo era più
magro, e leggermente più basso, con lunghi capelli castani che scendevano sulle
spalle, un viso poco colorito, reso vivo da lucenti occhi grigi che splendevano
di voglia di vivere e di imparare. Erano cinque anni che si allenava ai Cinque
Picchi, davanti allo sguardo attento del Vecchio Maestro, ma sentiva di avere
ancora molto da imparare, di doversi impegnare ancora, più di quanto avesse
fatto finora, per tenere il passo con l’altro allievo, il quale, seppur
arrivato solo da due anni, sembrava essere riuscito a sviluppare il proprio
cosmo in un tempo ridotto. Ma questo non lo avrebbe affatto demoralizzato, anzi
avrebbe spinto Tebaldo ad impegnarsi ancora.
“Uh?!” –Si chiese Ascanio, notando che il maestro ritardava nel dare loro il
cenno di inizio. –“C’è qualche problema, Vecchio Maestro?” –Domandò da lontano,
abbassando le braccia.
Lo stesso fece Tebaldo, incuriosito anch’egli dallo strano atteggiamento
dell’istruttore, solitamente preciso e puntuale nei suoi allenamenti.
“Problema?!” –Mormorò
il Vecchio Maestro. –“Il mondo è pieno di problemi e non per tutti c’è una
soluzione! Ahimé, vorrei essere giovane e aitante
come voi, innocenti Cavalieri, per poter correre via... sfrecciare nel vento e
trovare in esso una risposta alle mie angosce! Ma non mi è concesso... no, non
mi è concesso! Posso solo rimanere qua, di fronte a quest’antica cascata, ad
osservare le scroscianti acque scivolare verso il basso, in un continuo
magnifico ripetersi all’infinito!”
“Maestro...”
–Mormorò Ascanio.
“Pur tuttavia
sembra che oggi la monotonia di questa nostra esistenza sarà interrotta!”
–Esclamò con aria decisa il Vecchio Maestro, balzando improvvisamente in piedi.
–“Qualcuno sta venendo a farci visita! Ed è nostro dovere accoglierlo con il
massimo degli onori!” –Aggiunse, incamminandosi verso i due ragazzi, aiutandosi
con il suo corto bastone di legno.
“Qualcuno viene a
farci visita?! E di chi si tratta?”
“Di un Cavaliere!”
–Mormorò il Vecchio Maestro. –“Sì! Di un Cavaliere di Atena!”
Pochi istanti più tardi
un luminoso cosmo fece la sua comparsa nella vallata dei Cinque Picchi,
abbagliando le azzurre acque del lago e della cascata e attirando l’attenzione
dei tre uomini, che si voltarono verso il sentiero principale, che passando
attraverso le montagne conduceva proprio alla residenza del Vecchio Maestro.
Là, ritto in mezzo alla mulattiera, si ergeva un giovane dai lisci e lunghi
capelli viola, ricoperto da una scintillante Armatura d’Oro, dotata di due
grossi corni appoggiati sui coprispalle. Sulla fronte
due nei rossicci, proprio sopra gli occhi verdi. Fissato alla schiena, un
candido mantello bianco oscillava leggero ai morbidi passi del Cavaliere, il
cui volto era perso negli occhi del Vecchio Maestro, di cui tanto aveva sentito
parlare dal suo insegnante.
“A quanto pare
siamo stati battuti sul tempo!” –Sorrise l’anziano, incamminandosi verso il
nuovo arrivato. –“Aah! Questi giovani Cavalieri... sempre di fretta!!”
–Ridacchiò, mentre i due allievi lo seguivano incuriositi.
“Vecchio Maestro
dei Cinque Picchi!” –Esclamò il Cavaliere, con voce educata. –“È un onore e un
piacere incontrarvi! Sono Mur dell’Ariete,
Cavaliere d’Oro di Atena e allievo di Shin!”
Detto questo il
ragazzo fece qualcosa che stupì gli stessi discepoli di Dohko:
si inginocchiò di fronte al Vecchio Maestro, in segno di rispetto. Anche loro
erano soliti farlo, come gesto di referenza tra allievo e maestro, ma per un
momento parve strano ad entrambi che un Cavaliere d’Oro, supremo difensore del
Tempio di Atena, si prostrasse ai piedi di un uomo che, per quanto saggio e
giusto, era ormai apparentemente un vecchio, incapace di combattere. E questo
non fece che aumentare il dubbio nei loro animi, soprattutto nel giovane Ascanio, la cui mente era sempre in movimento, atta a
cogliere tutto ciò che si muoveva nel mondo intorno a lui.
“Mur dell’Ariete, eh?!” –Sorrise il Vecchio Maestro. –“E
così sei tu l’allievo di Shin! Che piacere
incontrarti infine! Sei il benvenuto nella mia modesta dimora! Purtroppo, le
mie attuali condizioni di senilità non mi permettono lussuosi ricevimenti, ai
quali forse sarai abituato, vivendo ad Atene, ma saprò rendere omaggio come si
deve all’allievo del mio più vecchio amico!”
“Non al lusso sono
abituato, Vecchio Maestro!” –Precisò Mur, seguendo
l’anziano uomo. –“Ma al vivere in pace con me stesso, come Shin
mi ha insegnato! E non sono le ricchezze, le materialistiche ricchezze, che
conducono alla felicità o alla pace dei sensi, né soprattutto ad Atena!”
“Ottimi
insegnamenti ti ha passato Shin!” –Rispose il Maestro,
ritornando sullo spuntone roccioso. –“Ascanio! Tebaldo! Andate a pescare nel lago! Voglio offrire a Mur del buon pesce fresco!”
“Si, maestro!”
–Risposero i due giovani, correndo via lungo un sentiero fino alle rive del
lago sottostante, dove avrebbero reperito deliziosi pesci per il loro ospite.
“Allora...
dimmi... Cavaliere di Ariete... Come sta il mio vecchio amico? O forse dovrei
dire il Grande Sacerdote?!” –Domandò l’anziano combattente, rimettendosi a
sedere di fronte alla cascata.
“Apparentemente bene,
Vecchio maestro! Ma credo che l’età si faccia sentire anche per lui, per quanto
egli non voglia darlo a vedere! Per non creare preoccupazioni inutili!”
“Oh, l’età è un
annoso problema per tutti! Specialmente per gli anziani come noi! Ma Shin è un sopravvissuto! Proprio come me! E sono certo che
Atena ha scovato la purezza del suo animo e la forza del suo cosmo,
permettendogli di vivere una lunga vita, tre volte una vita normale! La nobiltà
di Shin è indubbia!”
“E pure la vostra,
Cavaliere di Libra!” –Commentò Mur, ma l’anziano lo
zittì.
“Taci! Ho
abbandonato le armi molto tempo addietro, ritirandomi in quest’eremo per
adempiere alla missione da Atena assegnatami! Vecchio Maestro! Questo è il nome
con cui i miei allievi mi chiamano! Un epiteto che mi fa sentire ancora amato e
ricordato!”
“Perdonatemi,
Vecchio Maestro! Non era mia intenzione mancarvi di rispetto!” –Si inginocchiò Mur. –“Non ero a conoscenza che i vostri allievi non
sapessero del rango da voi occupato!”
“Non è importante
ai fini dell’addestramento! Ciò che ho cercato di stabilire in questi anni, con
i ragazzi che ho allenato, è stato un rapporto diretto, di fiducia reciproca,
non soltanto di insegnamento scolastico! Voglio che loro mi vedano come un
punto fermo, una persona su cui contare nel momento del bisogno,
indipendentemente dal mio ruolo di Cavaliere d’Oro! Voglio essere un vecchio
per loro, ma un vecchio di cui sanno di potersi fidare, che ha saputo insegnare
loro qualcosa di utile e di saggio, non voglio essere un tramite verso il
potere!”
“Comprendo le
vostre motivazioni, nobile Maestro!” –Rispose Mur.
“Ma dimmi...”
–Riprese l’uomo. –“Cosa mi dici dei tuoi compagni, i Cavalieri d’Oro? Se non
vado errando, adesso il Grande Tempio dovrebbe aver ritrovato la sua massima
schiera di difensori!”
“Due giorni fa
infatti il Grande Sacerdote ha insignito me ed altri sette ragazzi del titolo
di Cavalieri d’Oro, investendoci ufficialmente dell’Armatura e del nostro
ruolo, di Custodi delle Dodici Case!”
“I Dodici Custodi…” –Mormorò il Vecchio Maestro, ed un sorriso lo
sfiorò sul volto. Un sorriso che gli ricordò la promessa fatta da Shin ad Atena in quel lontano giorno di più duecento anni
fa, quando il vecchio amico aveva accettato l’incarico di ricostruire le
legioni della Dea, in tempo per la prossima guerra Sacra. –“Ce l’hai fatta, Shin!”
“Non conosco bene
i miei compagni, ad eccezione del Cavaliere del Toro, con cui ho avuto modo di
scambiare qualche parola! Alcuni di loro li ho solamente incrociati al momento
della cerimonia!” –Continuò Mur. –“Fatta eccezione
per i Cavalieri del Sagittario e dei Gemelli, che per molti sono esempio da
ammirare, data la loro maggiore età ed esperienza! Ma io non li ho ancora
conosciuti!”.
“Mmm…” -Rifletté il Vecchio Maestro, mentre una strana fitta
lo aggrediva al cuore. –“Che sia davvero così?” –Si domandò, lasciando Mur interdetto.
Il Cavaliere di
Ariete non ebbe però tempo di rispondere che le grida festose dei due allievi
distrassero entrambi. Ascanio e Tebaldo
avevano fatto pesca grossa e stavano tornando con una rete piena di squisiti
pesci di lago. Il Maestro invitò Mur a seguirlo
all’interno della sua abitazione, una leggera pagoda situata poco distante,
dove Ascanio cucinò i deliziosi pesci che avevano
pescato, mentre il loro insegnante continuava a conversare con Mur, chiedendo informazioni sulla vita al Grande Tempio di
Atene, e il Cavaliere di Ariete rispondeva cordialmente.
Dopo pranzo Mur camminò lungo i sentieri dei Cinque Picchi, intorno
alla pagoda del Vecchio Maestro, respirando l’aria salutare di quel paesaggio
fantastico, che gli ricordava, a livello di quiete interiore che produceva in
lui, un paesaggio difforme, ma non troppo lontano: quello dello Jamir, una regione dell’Himalaia
tra l’India e la Cina, da cui il Cavaliere proveniva. Mur
sorrise, ricordando sua madre, sempre immersa nelle sue meditazioni e nello
studio di medicine e erbe naturali, migliori, a suo parere, di molta tecnologia
moderna. Studi e interessi che aveva saputo trasmettere al figlio. Mur lasciò vagare la mente indietro, fino a due giorni
prima, ricordando il giorno dell’investitura.
Splendeva
il sole sull’arena del Grande Tempio, in quella splendida domenica di agosto, e
gli spalti erano gremiti di una folla emozionata ma silenziosa. Centinaia tra
Cavalieri, effettivi o in corso di addestramento, e soldati, oltre che semplici
servitori della Dea della Giustizia, erano giunti da tutto il Mediterraneo per
assistere all’evento, unico nel suo genere. Finalmente, dopo più di duecento
anni, il Santuario completava la propria schiera difensiva, affidando a un
gruppo di giovani cuori il compito di presiedere l’ultimo baluardo a difesa di
Atena: le Dodici Case dello Zodiaco.
Nel
silenzio della folla, due individui raggiunsero il palco centrale, camminando
fianco a fianco, portando ognuno un simbolo sacro alla Dea: un uomo dal volto
ricoperto da una maschera rifinita di strani motivi, incastrata in un elmo
dorato, e indossante una lunga tunica bianca, si portò al centro del palco,
dando le spalle al sole e ai suoi lucenti raggi, reggendo un grande scudo
rotondo, di fronte agli occhi interessati della platea di fronte. Era il Grande
Sacerdote, l’uomo scelto dalla Dea stessa a presidiare, in sua assenza, il
trono del suo Tempio. Al suo fianco, un vecchio alto e snello, con una lunga
barba bianca che scivolava sulla sua lunga veste chiara, sorreggeva una statua
di media grandezza rappresentante Nike, la Dea della Vittoria.
“Oh
Atena!” –Esclamò infine il Grande Sacerdote, e all’accendersi della sua voce
tutti i presenti chinarono gli occhi, raccogliendosi in meditazione. –“Dea
della Giustizia! Principessa delle Stelle! Signora della Guerra Giusta! A te
offriamo i sacri simboli che da millenni ti accompagnano!” – E nel dir questo
sollevò lo scudo rotondo al cielo, lasciando che i lucenti raggi del sole vi
scivolassero sopra abbagliando l’intera Arena. –“L’Egida, simbolo di difesa e
potenza! Forgiato da Efesto nella Notte dei Tempi,
con la Polvere di Stelle lasciata cadere da una cometa su questa verde Terra,
da te sempre difesa; esso ti proteggerà in battaglia, impedendo all’oscuro
potere di raggiungere il tuo corpo!” –Quindi abbassò lo scudo, mentre l’uomo
dalla barba bianca innalzava la statua alata al cielo. –“E il simbolo di Nike,
Dea della Vittoria, le cui spiegate ali sempre ci guideranno verso il trionfo e
verso un futuro pieno di luce!”
E
in quella, mentre i due servitori della Dea avvicinarono i due simboli,
un’immensa ed abbagliante luce invase l’intero spiazzo dell’Arena, obbligando
molti presenti a coprirsi gli occhi. Improvvisamente una sensazione di pace
entrò nel cuore della maggioranza, come se un angelo fosse disceso sulla Terra
per portare luce ed amore agli uomini. Ma furono soprattutto gli otto giovani
inginocchiati al centro dell’Arena a risentire di tale benefico influsso. Otto
giovani che per sei lunghi anni si erano preparati, fisicamente e
interiormente, a quel giorno in cui avrebbero dato una svolta alla loro vita,
elevandosi al di sopra degli uomini mortali e caricandosi del compito supremo
di difendere Atena e le umane genti: i Cavalieri d’Oro.
***
La mattina
successiva all’incontro tra Micene e Shin, al Grande
Tempio la vita ricominciava frenetica come sempre, con i consueti allenamenti
mattutini. Le palestre erano disseminate ovunque, soprattutto intorno all’arena
dei combattimenti, dove periodicamente si organizzavano sfide o giochi, in
occasione di importanti festività. Quella mattina gli spalti dell’anfiteatro
erano vuoti, deserti se paragonati alla calca impressionante di due giorni
prima, quando aveva avuto luogo l’investitura dei Cavalieri d’Oro. Vi erano
solamente due uominiche combattevano al
centro dell’arena, lottando duramente tra loro, in un estenuante allenamento
che si svolgeva ogni mattina.
Uno dei due era un
giovinetto magro e non troppo alto, dall’età di un bambino di non più di dieci
anni, con ricciuti capelli castani e occhi verdi, ed era appena stato atterrato
da un montante dell’altro ragazzo, che lo aveva spinto indietro di parecchi
metri, rompendogli il labbro inferiore.
“Rialzati!
Matthew!” –Lo chiamò l’uomo, più grande del bambino.
Era infatti più
alto e robusto, con lunghi e mossi capelli blu, che gli scendevano lungo la
schiena, ed indossava, come il ragazzo, una cotta protettiva di rame e cuoio,
tipica dell’addestramento.
“S... Si...
maestro!” –Mormorò il bambino, rimettendosi in piedi. Si asciugò il labbro con
la mano destra e si avvicinò nuovamente all’uomo, sollevando le braccia, pronto
per ricominciare a lottare.
“Nessuna
distrazione, Matthew!” –Spiegò questi, con tono più dolce. –“Quando affronti il
tuo nemico non devi mai distrarti, mai perdere la concentrazione! Sia su di lui
che su ciò che ti circonda! Tenere sempre i sensi tesi, intenti a percepire
ogni minima vibrazione attorno a te!”
“Anche un globo di
luce?!” –Esclamò una terza voce improvvisamente.
L’insegnante si
voltò d’istinto verso destra, osservando una lucente sfera di energia cosmica
sfrecciare nell’aria, diretta verso di lui; accennando un sorriso, si limitò ad
incrociare le braccia avanti a sé, parando così lo scintillante globo, che su
esse si spense.
“Ben arrivato,
Micene!” –Esclamò, osservando un giovane dai capelli castani correre verso di
loro.
“Volevo saggiare
le tue capacità difensive, Gemini!” –Scherzò Micene, avvicinandosi ai due.
–“Buongiorno Matthew! Come procede l’allenamento?”
“Mo... molto bene,
signor Sagitter! Grazie!” –Balbettò Matthew, confuso
e imbarazzato che un Cavaliere d’Oro si rivolgesse a lui.
“Ti ho detto di
mille volte di non chiamarmi signore! Mi fai sentire vecchio!” –Rise Micene,
arruffando i capelli del bambino. –“In fondo ho l’età del tuo maestro!”
“Mi perdoni...”
–Arrossì Matthew, prima che la voce di Gemini lo richiamasse.
“Continua per il
momento il tuo allenamento da solo, Matthew! Con cento giri dell’arena di corsa
e mille addominali! Tornerò da te quanto prima!” –Esclamò, allontanandosi
insieme a Micene.
“Non essere troppo
duro con lui!”
“Devo esserlo,
Micene! È indisciplinato!”
“Come Ioria?!” –Ironizzò Micene.
“Non proprio.
Matthew è semplicemente svogliato! Talvolta credo non sia nel suo destino
diventare Cavaliere di Atena, ma che lo faccia per fare un favore a me, per
rendere felice il suo maestro!”
“Beh... se così
fosse non otterrà mai un’Armatura!” –Commentò Micene, uscendo dall’arena con
Gemini. –“Le ottantotto Armature di Atena sono destinate a uomini capaci di
risvegliare il lucente cosmo dentro di loro, con l’aiuto delle stelle loro
guida e protettrici in battaglia!”
“Credo che Matthew
non abbia ancora trovato la sua stella...” –Mormorò Gemini, prima che Micene
gli tappasse improvvisamente la bocca con una mano spingendolo nell’ombra di un
vicolo. –“Uh?!”
“Scch!!! Le informazioni che sto per darti sono estremamente
riservate!” –Sibilò Micene. –“Ma avevo bisogno di parlarne con qualcuno, e tu, Gemini,
sei la persona più indicata al riguardo!”
“Ma… Cosa succede?”
“Qualcuno ha
tentato di entrare nel Grande Tempio ieri pomeriggio!” –Mormorò Micene.
“Qualcuno…?! E qualcosa mi dice che non si tratta di
semplici turisti, non è così?”
Micene scosse il
capo, con aria preoccupata, quindi si guardò intorno, facendo cenno a Gemini di
seguirlo. Sfrecciarono nei vicoli del Grande Tempio, passando dietro alle
palestre e alle abitazioni dei soldati, prima di giungere a un sentiero a
ridosso del versante occidentale della Collina della Divinità; una mulattiera
che conduceva ad un abbandonato tempio per la consultazione degli astri, usato
dai primi Sacerdoti prima della costruzione dell’osservatorio sulla Collina
delle Stelle.
“Dove siamo?”
–Mormorò Gemini, seguendo Micene lungo quell’irto sentiero polveroso, che
correva proprio radente ad un precipizio.
“È la vecchia Via
delle Stelle! In questo Tempio i primi Celebranti della Dea pregavano Atena e
le stelle!” –Spiegò Micene, giungendo di fronte ad un’abbandonata costruzione,
un piccolo tempio dal porticato composto da doriche colonne. –“Guarda!” –E fece
cenno a Gemini di seguirlo all’interno.
La vecchia porta
di legno era stranamente socchiusa e impronte sul polveroso pavimento
indicavano che qualcuno vi si era recato di recente, anzi, a giudicare dagli
strani segni, Gemini dedusse che qualcosa era stato trascinato all’interno del
Tempio, di forza, quasi strascicato in terra.
“Dea Atena!!!”
–Esclamò il Cavaliere, incapace di trattenere un grido di terrore. Di fronte a
loro, sdraiati sul marmoreo pavimento del piccolo tempio, c’erano i corpi privi
di vita di tre soldati del Grande Tempio, ancora sporchi del sangue delle loro
ferite. –“Che significa, Micene?” –Domandò, chinandosi sui cadaveri.
“Vorrei saperlo
anch’io!” –Mormorò Micene con preoccupazione.
“Dove li hai
trovati?”
“Ieri sera,
all’ora del tramonto, il Capitano delle guardie mi aveva convocato per dirmi
che tre dei suoi soldati non erano rientrati dal pattugliamento lungo il muro occidentale… e temeva avessero approfittato per scendere ad
Atene ad ubriacarsi per i festeggiamenti…”
“Ma così non è stato…” –Commentò Gemini, poggiando una mano sui visi
freddi dei tre uomini.
“Li abbiamo
cercati insieme, lungo le mura perimetrali esterne…
finché non li abbiamo trovati, morti, gettati in mezzo ai cespugli! Abbandonati
agli avvoltoi!”
“Mio Dio, è
terribile!” –Mormorò Gemini. –“E non hai idea di chi abbia compiuto tale
massacro?”
“Nessuno ha
sentito niente! Nessuno ha udito niente! Nessun cosmo accendersi, nessun nemico
avvicinarsi alle mura!”
“Eppure qualcuno
li ha massacrati!” –Incalzò Gemini.
“Abbiamo tenuto la
notizia nascosta, per il momento, per non diffondere il panico tra le guardie!”
“Hai informato il
Grande Sacerdote?”
“Non ancora. Non voglio
affaticarlo, è molto vecchio e stanco, e speravo di risolvere questa faccenda
senza doverlo scomodare! Magari con il tuo aiuto!”
“Sarei ben lieto
di contribuire, Cavaliere di Sagitter! Ma non saprei
proprio da dove iniziare! Hai trovato niente intorno ai cadaveri? Qualche segno
di lotta? Qualche oggetto dimenticato dagli aggressori? Una qualsiasi cosa che
possa aiutarci a comprendere cosa sta accadendo?!”
“Niente!” –Affermò
Micene a bassa voce. –“Ma c’è una cosa interessante…
Guarda questi tagli!” –E sfiorò con la mano le ferite dei tre uomini. Erano tre
lunghe ferite, che sembravano squarci di un’affilata lama, ma anziché essere
molto profondi erano lunghi e sembravano…sembravano…
“Ustioni?!”
–Commentò Gemini, toccando la pelle indurita dei soldati. –“Come se fossero
stati bruciati da un taglio di spada infuocata!”
“Molto infuocata!”
–Precisò Micene. –“Al punto da sciogliere persino le protezioni dei soldati!”
–E indicò le cotte fuse e poi solidificate addosso ai corpi dei tre uomini.
“Conosci queste
armi?”
“Non direttamente… Ho varie idee al riguardo, ma nessuna
risolutiva, tranne una, la più ovvia!”
“E quale?”
“Dobbiamo stare in
guardia!” –Esclamò Micene con decisione. –“Se qualcuno ha tentato di accedere
al Grande Tempio, arrivando persino ad uccidere alcuni soldati, significa che
tenterà nuovamente! E noi dobbiamo farci trovare pronti! Per fermare la loro
avanzata nella città di Atena!”
Detto questo, i
due Cavalieri si allontanarono dall’abbandonato edificio, discendendo la via
sterrata che li condusse nuovamente nel Grande Tempio di Atena. Micene salutò
Gemini con un gesto della mano, incamminandosi verso le Dodici Case, mentre il
Cavaliere dei Gemelli rimase fermo per un momento, silenzioso ed immobile,
intento a concentrare i sensi intorno a sé. Dopo pochi secondi si mosse,
dirigendosi verso il retro di un edificio dove, lo aveva percepito chiaramente,
una figura in ombra lo stava aspettando, appoggiato al muro con le braccia
incrociate al petto.
“Cosa vuoi da me, Kanon?”–Domandò Gemini, con aria indispettita.
Un simpatico
pranzo era in corso alla Seconda Casa dello Zodiaco, presieduta da un giovane
ma robusto Cavaliere: Aldebaran, originario del
Brasile, paese in cui aveva ottenuto la scintillante armatura del Toro. Proprio
per festeggiare la sua investitura, Aldebaran e suo
fratello avevano organizzato un banchetto, approfittando dell’occasione per
trascorrere un po’ di tempo insieme.
Il
Cavaliere del Toro, per quanto fosse solamente un dodicenne, era già molto
alto, più alto di Ioria e Mur,
suoi coetanei, e aveva un fisico robusto e ben piazzato e un viso maschile, con
corti capelli castani, che lo facevano sembrare un ragazzo di diciotto anni, se
non fosse stato per l’espressione di beata ingenuità che spesso compariva sul
suo volto. Alla tavola imbandita di specialità greche erano presenti suo
fratello, Eurialo, Cavaliere del Dorado, e il migliore amico di lui, Niso,
Cavaliere del Tucano, Ada, l’anziana nonna di Aldebaran
e Eurialo, e due Cavalieri d’Argento, appena
ventenni: Noesis del Triangolo e Albione
di Cefeo, compagni di avventure di Eurialo, e suoi coetanei.
“Amici!”
–Esclamò Eurialo, alzandosi in piedi. –“Propongo un
brindisi a mio fratello! Il quale, superando le mie fosche previsioni, è riuscito
nel miracoloso intento di conquistare un’Armatura d’Oro!” –Ironizzò, sollevando
un calice riempito di profumato vino.
“Avevi
qualche dubbio al riguardo, Eurialo?” –Scherzò Toro,
alzandosi a sua volta.
“Qualche?!”
–Rise il fratello. –“Un’infinità vorrai dire!!”
Anche
gli altri ospiti risero serenamente, sollevando i loro bicchieri al cielo e
brindando con gioia al nuovo Cavaliere di Atena. Solamente Nonna Ada,
data la sua anziana età, non si mise in piedi, ma rimase seduta a gustare la
sua morbida focaccia, aiutata da Niso, grande amico
del suo primo nipote, al punto che lo considerava, al pari di Eurialo e Aldebaran, nipote suo,
come fosse sangue del suo sangue.
“Vuole
altro vino, signora Ada?” –Domandò Niso cortesemente.
“Oh
no! Credo di aver bevuto già abbastanza!” –Ridacchiò l’anziana signora,
lievemente sbronza.
Niso era
un biondino di diciotto anni, con lucenti occhi verdi e una morbida pelle, il
cui viso era segnato da qualche lentiggine sulle guance, che rendeva la sua
espressione ancora più giovanile e sbarazzina di quanto già fosse realmente.
Nonna Ada gli era molto affezionata al punto da considerarlo suo nipote, tanto
grande era l’amicizia che lo legava a Eurialo e alla
sua famiglia: Niso era infatti orfano e fin da
bambino era stato cresciuto nella casa della signora Ada, legando fin da subito
con il nipote Eurialo, di due anni più grande.
Eurialo,
la cui stazza Aldebaran presto avrebbe raggiunto, e
forse superato, era un robusto ventenne dalle ampie spalle e dal portamento
fiero, dal viso maschile e segnato da numerose cicatrici, segni inequivocabili
dei suoi numerosi addestramenti e delle molteplici imprese in cui era solito
gettarsi a capofitto. Aveva lisci capelli scuri che raccoglieva dietro la nuca
con un fermaglio, ed occhi verdi, simili al colore della sua corazza, la quale
rappresentava il Dorado, cioè il Pescespada.
“Ehi,
Niso!!!” –Lo chiamò Eurialo,
dandogli una robusta pacca sulla spalla, al punto da fargli tremare il
bicchiere che teneva in mano. –“Non vorrai ubriacare mia nonna!! Ah ah ah!”
“Ooh... nonna!” –Esclamò il Toro, alzandosi da tavola e
raggiungendo l’anziana signora, per baciarle la mano, mentre tutti gli altri
osservavano sorridendo la scena.
Nonna Ada era
un’ottantenne vecchietta, un tempo Sacerdotessa di Atena, una delle prime che
aveva esportato il culto della Dea della Giustizia nel lontano Brasile, da cui Aldebaran e Eurialo provenivano.
E di questo era sempre stata orgogliosa, fiera di aver servito Atena e di aver
svolto importanti missioni di carità e assistenza in nome della Dea. Era una
piccola signora, bassa e un po’ robusta, con un viso rotondo e chiaro, su cui
spuntavano brillanti occhi azzurri, lucenti come le stelle, pieni di stima e
ammirazione per i suoi nipoti, divenuti Cavalieri di Atena. Combattenti per
la giustizia e la libertà! Mormorò, mentre i suoi occhi si illuminavano di
lacrime di gioia.
“Non sai quanto
sia felice di averti qua quest’oggi!” –Sorrise il Toro, ringraziando l’anziana
signora per aver lasciato il paese natale e aver viaggiato fino in Grecia,
considerando la tarda età.
“Non quanto sono
felice io, Aldebaran! Tu e Eurialo
mi avete reso orgogliosa ogni giorno della mia vita, da quando siete nati, e
adesso che anche tu, come tuo fratello prima di te, sei diventato Cavaliere di
Atena, il mio cuore non può che traboccare di emozioni!”
“Nobili parole le
vostre, Sacerdotessa di Atena!” –Esclamò uno degli ospiti della tavolata,
alzandosi e raggiungendo il Toro e Nonna Ada.
“Noesis del Triangolo! Hai già iniziato gli addestramenti
del tuo allievo?”
“Non ancora! Non
ho ancora incontrato un giovane desideroso di mettere completamente la sua vita
nelle mani di Atena! Ma puoi star certo, Cavaliere del Toro, che quando lo
troverò farò di tutto per insegnargli tutto ciò che è in mio potere!”
“Sono certo che
sarai un ottimo insegnante, Noesis!” –Intervenne
Albione, entrando nella conversazione. –“La tua saggezza è vasta quanto le tue
abilità guerriere e non...” –Ma il discorso del Cavaliere di Cefeo rimase a metà, interrotto da un brusco cenno del
Toro, il quale zittì tutti, prima di tendere i sensi e socchiudere gli occhi,
di fronte agli sguardi semistupefatti dei presenti. Nonostante la sua giovane
età, era pur sempre un Cavaliere d’Oro e fu il primo ad avvertire le deboli
vibrazioni dello spaziotempo che precedettero l’accendersi impetuoso di cosmi
ostili. Quando riaprì gli occhi, avendo chiaro tutto ciò che stava accadendo,
incontrò lo sguardo preoccupato ma determinato del fratello, già alzatosi da
tavola e lanciatosi avanti, insieme a Niso.
“Al Cancello
Principale!!!” –Gridò Eurialo, uscendo dalla Seconda
Casa, e confermando ciò che il fratello aveva percepito pochi attimi prima.
Anche Toro fece per muoversi ma Noesis lo fermò.
“Il tuo compito è
presiedere la Seconda Casa dello Zodiaco e impedire a qualunque nemico di
superarla! Anche a costo di morire!” –Precisò, prima di essere affiancato da
Albione.
“Ma io… vorrei combattere con voi!!”
“Questa non è la
tua guerra! Spetta a noi, Cavalieri di Bronzo e d’Argento, la difesa generale
del Grande Tempio!” –Gli rispose Albione. –“Voi, i Cavalieri d’Oro, siete
l’ultima difesa, l’ultimo baluardo prima di arrivare dal Sacerdote e da Atena!
Ricordalo, Cavaliere del Toro!”
“Sì!” –Si limitò a
rispondere il Cavaliere d’Oro, stringendo i pugni.
Albione e Noesis si lanciarono fuori dalla Seconda Casa, seguendo le
scie cosmiche dei compagni, lasciando Toro da solo, in piedi accanto
all’imbandita tavola, affiancato dall’anziana nonna, la quale gli sfiorò una
mano, prima di stringerla tra le proprie, cercando di infondere al nipote
coraggio e speranza. Quella stessa speranza di cui lui, Cavaliere d’Oro,
avrebbe dovuto farsi portatore.
Quando Eurialo e Niso arrivarono nel
piazzale retrostante il Cancello Principale, quello che dava a meridione, trovarono
i soldati semplici impegnati ad affrontare un buon numero di invasori, che
erano riusciti persino ad abbattere il massiccio portone di ferro su cui erano
scolpite le ali di Nike.
“Non abbattuto!”
–Precisò Niso. –“Ma liquefatto!!! Guarda!” –E infatti
il portone era crollato a terra, distruggendo anche pezzi di muro, ma sembrava
arso su se stesso, completamente divorato da mortifere fiamme che erano
arrivate persino a sciogliere il ferro dei cardini e delle rifiniture.
“Incredibile!”
–Sgranò gli occhi Eurialo, ma l’amico gli diede una
botta per incitarlo ad agire.
“I nostri soldati
hanno bisogno di noi!” .
Una cinquantina di
guerrieri stavano massacrando i soldati di Atena ed erano tutti simili tra
loro, ricoperti da vesti di color verde e oro, che non sembravano armature, ma
semplici tuniche protettive in stile egizio, con il copricapo a forma di
sfinge. Ciascun soldato reggeva una spada, carica di lucente energia, con la
quale stava affrontando e ferendo mortalmente i soldati del Grande Tempio.
“Fermatevi,
invasori! Non un altro passo vi permetteremo all’interno del Santuario di
Atena!” –Esclamò una voce, attirando l’attenzione dei soldati, che si voltarono
verso l’alto, scorgendo due figure in piedi su una sporgenza rocciosa,
evidentemente due Cavalieri di Atena.
Quello sulla
destra era grosso e massiccio, ricoperto da una brillante armatura verdastra,
dalle argentee rifiniture, simboleggiante un pesce spada, le cui pinne erano
affisse ai bracciali della corazza, mentre l’uomo a sinistra, più basso e
magro, aveva un’armatura dai colori vivaci, proprio come il variopinto uccello
che rappresentava, ed aveva l’elmo a forma di lungo becco colorato; affisse
allo schienale due morbide ali scendevano dietro di lui, completando la corazza
del Tucano.
“Chi siete voi?”
–Domandò uno dei guerrieri invasori.
“Dovremmo essere
noi a porvi tale domanda, non credete?” –Ironizzò Eurialo,
prima di presentarsi. –“Eurialo del Dorado, Cavaliere di Bronzo di Atena!”
“Ed io sono Niso del Tucano!” –Aggiunse l’amico, prima di
puntare il dito contro i soldati invasori. –“E voi pagherete per un simile
oltraggio!”
“Oh oh oh!” –Risero molti guerrieri, per niente intimoriti
dall’arrivo dei due Cavalieri di Bronzo. Alcuni sollevarono le loro spade che
immediatamente si caricarono di energia cosmica e produssero un raggio di luce
che sfondò la parete rocciosa in cima alla quale si ergevano Eurialo e Niso.
“Attento Niso!” –Gridò Eurialo, balzando
verso il basso. Ma il ragazzo non si fece sorprendere, aiutandosi con le ali
della sua corazza a scivolare verso il basso, sotto forma di un variopinto
uccello dal cosmo incandescente. I soldati dalle egizie uniformi cercarono di
fermarlo, puntando le loro spade verso l’alto, scagliandogli contro violenti
raggi energetici che il ragazzo seppe evitare con abilità, muovendosi ad una
velocità maggiore, mentre l’amico veniva in suo aiuto.
Eurialo infatti era balzato sui guerrieri, iniziando
a tempestarli di pugni e calci, lanciandosi senza tregua su tutti loro,
afferrandone un paio con le sue robuste braccia e scaraventandoli contro i loro
compari, intimoriti dalla corpulenta mole del Cavaliere di Atena, il quale,
infine, decise di smettere di giocare e di espandere il proprio cosmo,
spazzandoli via quanto prima. Sfrecciò in mezzo a loro, forte della velocità
del suono che gli era propria, ferendoli con rapidi e precisi affondi,
facendoli accasciare al suolo uno dopo l’altro, con la tunica distrutta proprio
all’altezza del cuore.
“Maledetto!”
–Gridò uno dei soldati, osservando cadere i propri compagni. –“Cosa hai fatto
loro?” –E sollevò la propria spada, proprio mentre Eurialo
si voltava verso di lui.
“Li ho feriti!
Raggiungendoli al cuore con la mia spada!” –Rispose, avanzando a passo deciso.
“La tua spada?!”
–Ripeté il guerriero, notando che l’uomo non portava alcun’arma. –“Quale?!”
“Questa!” –Fu la
rapida risposta di Eurialo, che con un balzo si portò
di fronte a lui, penetrando il suo cuore con una lama sottile sottile ma altamente precisa e mortale.
“Oo... ouch...” –Balbettò il
guerriero, prima di accasciarsi a terra, in una pozza di sangue. Ma Eurialo non ebbe pace, dovendo fronteggiare immediatamente
l’assalto di altri soldati invasori e non potendo correre in aiuto dell’amico,
impegnato in battaglia contro numerosi guerrieri.
Niso era stato circondato e per quanto fosse
veloce in battaglia, più abile rispetto alla media dei Cavalieri di Bronzo, la
superiorità numerica degli avversari giocava a suo sfavore, obbligandolo a
continui spostamenti, facilitati dall’uso delle ali ma che lo impegnavano in
termini di energia fisica.
“Spade del
sole!!!” –Esclamarono i
guerrieri, riunendosi tra loro. –“Irradiate!!!”
Un gigantesco
raggio di energia rovente saettò nell’aria diretto verso Niso,
il quale fu abile a lanciarsi in alto, venendo raggiunto di striscio soltanto
all’ala sinistra, ma il colpo lo sbilanciò e lo fece ricadere a terra,
obbligandolo a un ardito gioco di arti. Si appoggiò infatti sulla mano destra,
piegando il braccio per non schiantare il polso, prima di balzare di nuovo in alto
di scatto, buttandosi contro alcuni avversari, travolgendoli. Quindi si voltò
verso gli altri, accendendo il suo cosmo, dai variopinti colori, e
concentrandolo sull’elmo a forma di becco.
“Becco del
Tucano!” –Esclamò Niso, mentre l’elmo della sua armatura si caricava di
accesi colori, allungandosi a dismisura, proprio come il becco di un tucano, e
sfrecciando verso i guerrieri invasori, che furono travolti e scaraventati
lontano. Soltanto uno riuscì a raggiungere Niso, che
lo notò soltanto quando questi gli era di fronte, con la spada carica di
rovente energia distruttrice.
“Spada del Sole!” –Gridò il soldato, scagliando un fendente
contro il fianco sinistro di Niso, raggiungendo una
zona non coperta dall’armatura e facendolo urlare dal dolore.
“Aaargh!!!” –Gridò Niso,
accasciandosi a terra, toccandosi il fianco ferito, da cui sangue subito iniziò
a uscire. Ma, per quanto il guerriero sollevasse la spada, per colpirlo di
nuovo, non ebbe il tempo per farlo, trapassato da dietro, all’altezza del
cuore, da un lungo stiletto simile a una lama stretta e affilata. Sputò, mentre
la lama usciva dal suo corpo, prima di accasciarsi a terra, morto.
“Non… preoccuparti!!” –Mormorò Niso,
cercando di nascondere il dolore. –“È solo un graffio!”
“Io non direi!”
–Precisò Eurialo, con preoccupazione.
Ma la loro
conversazione fu interrotta da un nuovo violento assalto degli ultimi guerrieri
invasori rimasti, i quali, riunitisi tra loro, avevano puntato le spade contro
i due Cavalieri di Atena, pronti per scagliargli contro la loro violenta
energia rovente. Prima che potessero muoversi però furono investiti in pieno da
una feroce tempesta di energia cosmica, che scaraventò molti di loro in alto,
avvolgendoli tra le sue spire quasi fosse un piccolo ma violento tornado.
“Onda d’urto!!!” –Gridò una possente voce, mentre altre
due figure travolsero i rimanenti invasori. –“Labirinto Oscuro!”
–Esclamò una seconda voce, sferrando un calcio contro alcuni guerrieri.
“Ma voi siete...”
–Mormorò Eurialo, riconoscendo i tre Cavalieri
d’Argento.
“Fatevi avanti
canaglie e affrontate l’ira di Argetti
l’invincibile!” –Tuonò il colosso, affiancato da Dedalus
della Mosca e da Orione del Cane Maggiore, intervenuti in aiuto dei
due amici.
“Eurialo! Niso!” –Si avvicinò
Orione ai due. –“Siete feriti?”
“Io no! Ma Niso… ha una strana ferita sul fianco!” –Esclamò Eurialo, mostrando il corpo sfregiato del giovane amico. Il
taglio della Spada del Sole aveva creato una ferita sul fianco del
Cavaliere del Tucano, ustionando la sua pelle con forza e violenza, e adesso
tale bruciatura sembrava che stesse aumentando ancora, desiderosa di espandersi
e divorare il corpo del ragazzo.
“Che Atena ci
protegga!” –Esclamò Orione, confessando di non aver mai visto una ferita
simile.
“Devo condurlo
immediatamente alle infermerie!” –Affermò Eurialo
preoccupato.
“Ma nessun dottore
è in grado di curare una simile ferita!” –Brontolò Argetti,
prima che un’occhiataccia di Orione lo zittisse.
“Eurialo... temo che Argetti abbia
ragione! Soltanto un cosmo potente e curativo, come quello del Grande
Sacerdote, può intervenire al meglio!”
Mentre i quattro
Cavalieri erano intenti a discutere tra loro, un’abbagliante cosmo, caldo come
il sole, apparve in mezzo a loro, obbligandoli a tapparsi gli occhi tanta era
la magnifica lucentezza che emanava. Una figura dai biondi capelli lucenti
sollevò Niso dalle braccia di Eurialo
e lo portò via con sé, pregando di poter ancora intervenire per salvare il
ragazzo.
“Ma cosa?!”
–Balbettò Dedalus quando la luce svanì. –“Dov’è
andato Niso?”
Eurialo sospirò con preoccupazione, prima di cercare
con lo sguardo le Case dello Zodiaco, fermandosi sulla sesta, quella della
Vergine, e ringraziando il suo custode per il celere intervento.
“Possa il Custode
della Porta di Ade estirpare il male che ti sta divorando, amico mio!”
–Mormorò, prima che il vociare dei soldati del Grande Tempio lo distraesse.
Tutti erano in
fibrillazione, desiderosi di avere notizie, di sapere chi fossero quegli
sconosciuti guerrieri dalle tuniche egizie che li avevano aggrediti, che
avevano massacrato ventotto di loro senza lasciargli possibilità alcuna di
controbattere, armati di quelle speciali spade in grado di raccogliere la luce
solare e scagliarla, sotto forma di rovente energia, contro i loro avversari.
“Con una spada
simile, persino il peggiore dei nostri soldati sarebbe capace di mettere in
difficoltà un Cavaliere!” –Commentò Eurialo,
perlustrando lo spiazzo insieme a Orione del Cane Maggiore.
I due si chinarono
su un gruppo di guerrieri egizi morti, raccogliendo una spada e osservandone la
fattura: a prima vista sembrava una normale lama da guerra, dall’impugnatura
decorata e ornata di gemme brillanti. Eurialo la
puntò avanti a sé, ma non sprigionò alcuna energia, e ritenne che soltanto i
legittimi possessori potessero impugnarle e sfruttare appieno le sue
caratteristiche. Orione, notando che un soldato era ancora vivo, si piegò su di
lui, intimandogli di confessare la verità.
“Chi siete? E chi
vi ha mandato ad assalire il Tempio di Atena?”
“Cough... cough…” –Sputò sangue il
soldato sconosciuto. –“Soldati del Sole! Portatori di luce e di…” –E più non parlò, lasciando Orione ed Eurialo insoddisfatti.
Se fossero stati
più attenti, i Cavalieri avrebbero notato una figura ammantata posizionata ai
bordi del Cancello Principale, una figura sogghignante che aveva seguito
l’intero combattimento tra i soldati egizi e i difensori del Grande Tempio. Di
quel tempio che tanto avrebbe voluto abbattere, distruggere, annientare, come
gli idealisti Cavalieri, difensori della pace, che vi dimoravano.
Come la stupida
Divinità appena tornata a nuova vita! Sibilò la figura avvolta in un nero mantello, capace di nascondere le
sue virili forme, lasciando intravedere solamente un’oscura armatura, dagli
scarlatti riflessi di morte. Avrebbe voluto sbarazzarsi di quei Cavalieri
inferiori che stavano cercando di contrastare l’avanzata dei soldati invasori,
ma ritenne conveniente non scoprirsi ancora, per non rivelare troppo in fretta
le proprie carte. Era opportuno che il suo piano procedesse passo per passo,
come lo aveva elaborato in quei mesi oscuri. Il piano che lo avrebbe portato a
dominare il mondo. Sogghignò, prima di scomparire dal Grande Tempio.
Un’ora più tardi, il
Grande Sacerdote di Atena convocò uno straordinario consiglio alla
Tredicesima Casa, con lo scopo di riflettere su quanto avvenuto e prendere
immediati provvedimenti. Ad esso presero parte Eurialo
del Dorado, con il compito di riferire gli eventi
verificatisi e le abilità dei loro nemici, e ben quattro Cavalieri d’Oro, alla
cui presenza il giovane si sentiva imbarazzato. Per quanto avesse un’età
superiore alla loro, e la sua saggezza e la sua forza fisica rasentassero il
livello di un Cavaliere d’Argento, il fascino e l’aura dorata che li ammantava
era capace di intimidire anche un esperto conversatore quale il fratello del
Toro era.
“Racconta
nuovamente, ti prego, Cavaliere del Dorado, perché
grande è il mio desiderio di comprendere a fondo ciò che è accaduto al Cancello
Principale quest’oggi!” –Esclamò il Grande Sacerdote, dando ad Eurialo il permesso di narrare lo scontro con i soldati
dalle vestigia egizie.
I Cavalieri d’Oro
riuniti ascoltavano interessati, e a tratti stupefatti, il resoconto di Eurialo, senza interrompere, riflettendo tra loro
sull’accaduto. Erano presenti Micene del Sagittario, Shura
di Capricorn e Aldebaran
del Toro, indossanti le normali cotte da addestramento e non le Armature
d’Oro, il cui uso, secondo le leggi del Grande Tempio, doveva essere limitato
ai momenti di necessità. Solamente uno la indossava, ascoltando senza troppo
interesse il discorso di Eurialo.
Appoggiato a una
colonna della sala, con le braccia incrociate e un filo d’erba in bocca, il
Cavaliere di Cancer aveva già preso la sua decisione.
Se l’Egitto ha intenzione di attaccare Atene, allora andrò in Africa a far
strage di questi soldatuncoli! Rifletté, sputando
il filo d’erba che aveva mangiucchiato. Sono un guerriero e il mio compito è
combattere! Che Atena lo voglia… o no!
“Tutto questo è
incredibile!!!” –Esclamò Micene. –“Per quale motivo dei soldati egiziani hanno
assalito il Grande Tempio?! Grande Sacerdote, quali rapporti intercorrono tra
Atene e l’Egitto?”
“Alcun tipo di
rapporto, Micene!” –Rispose l’Oracolo di Atena. –“Da secoli ormai le nostre
civiltà hanno preso strade diverse, sviluppando culture e cerimoniali
differenti, senza mantenere legami!”
“E perché ciò è
avvenuto?! Vi furono forse guerre in passato?”
“Se anche ve ne
sono state, Micene, io non le ricordo!” –Sorrise il Sacerdote. –“Semplicemente
ognuno di noi ha avuto i suoi problemi da affrontare e non lo abbiamo fatto
tendendoci la mano! Atena e i Cavalieri hanno trascorso secoli a combattere le
potenti divinità che volevano conquistare la Terra, facendone un loro feudo:
Nettuno per primo mosse guerra ad Atene, presto imitato da Ares, Dio della
Guerra, e dal Sovrano dell’Oltretomba, Ade! L’Egitto, dal canto suo, tagliato
fuori dalle questioni internazionali, ha avuto i suoi problemi di cui occuparsi,
impegnato a trovare un modo per non scomparire, per non dividersi in tante
piccole città, ognuna impegnata ad instaurare un proprio culto, un proprio
dominio sul ridotto territorio circostante, incapace di mantenere stabili
rapporti, di comunicazione e di aiuto reciproco, con le altre! E così
nell’Egitto dell’Età medievale e poi moderna sono fioriti luoghi di culto
diversi, facenti capo a Divinità diverse, spesso in guerra tra di loro o, molto
più semplicemente, e tristemente, disinteressate le une alle altre!”
“Capisco! L’Egitto
non ha dunque conosciuto uno Zeus? Qualcuno capace di unire tutte le genti e le
varie Divinità sotto un unico culto?”
“Lo ha avuto,
Micene! Ra era lo Zeus egizio! Dio del Sole, creatore e padre dell’Enneade, i
nove Dei fondamentali della cosmogonia egizia, Ra regnava sulla Terra tra gli
uomini e gli dei. Durante il suo regno conobbe le vicende umane e invecchiò e
fu in quel momento che, approfittando della sua debolezza, gli uomini gli si
rivoltarono ed egli dovette difendersi inviando il suo occhio per castigarli!
Non so se Ra sia ancora sulla Terra o se il suo spirito vaghi in un limbo
sconosciuto.”
“Credo che questo
sia irrilevante!” –Intervenne bruscamente Cancer.
–“Che importanza ha sapere se questo spettro è vivo o no? Ciò che a noi
dovrebbe importare è conoscere l’ammontare dei nostri avversari, e la
dislocazione dei loro eserciti, per preparare un piano d’attacco con cui
piegarli!”
“Non vedi l’ora di
scendere in campo, non è vero Cavaliere di Cancer?!”
–Esclamò il Sacerdote.
“Perché non
dovrei? Non hanno forse, questi bastardi egizi, fatto affronto alla Dea Atena e
a voi, Gran Sacerdote, che ne siede l’espressione, attaccando il nostro Tempio
e massacrando indiscriminatamente i soldati posti a nostra, e vostra, difesa?
Per quale motivo non dovremmo reagire? Siamo o non siamo i Cavalieri di Atena?”
“Placa il tuo
ardore, Cancer!” –Lo zittì Micene. –“Avrai il tuo
momento di gloria in battaglia, se è la guerra ciò che vai cercando!”
“Io cerco soltanto
una dimostrazione di forza!” –Precisò Cancer. –“Che
dimostri a quelle infami carogne africane che Atene non è persa nella nebbia
dell’oblio ma ancora una valida potenza! Che le armate della Dea della
Giustizia non stanno dormendo nei tempi che furono, ma sono ancora vive, più
energiche e vitali che mai, e pronte ad affrontare qualsiasi nemico si pari
loro di fronte!”
“Cancer non ha tutti i torti, Grande Sacerdote!” –Esclamò
Toro. –“Non che io cerchi la guerra, ma non credo che rimanere inerti ad
attendere un nuovo attacco di questo fantomatico nemico, egizio o meno, sia la
soluzione migliore! Dobbiamo pensare anche ai nostri soldati semplici e alle
numerose persone che vivono all’interno del Grande Tempio! Un nuovo assalto
potrebbe esporli al pericolo!”
“Concordo in
pieno, Cavaliere del Toro!” –Esclamò il Sacerdote. –“Ed è per questo che ho
deciso di inviare un’ambasciata in Egitto, col compito di recepire notizie su
ciò che sta accadendo in quei torridi luoghi!”
“Un’ambasciata?!”
–Sgranò gli occhi Cancer, deluso dalla decisione del
Sacerdote. –“Ma mio Signore… non crede che sarebbe il
caso di armare l’esercito?”
“E tu non crederai
che l’esercito non sia pronto, Cancer?!”
Cos’altro ho
fatto per tutti questi duecento anni? Si domandò Shin, lasciando vagare la mente
all’indietro. Addestrare Cavalieri che a loro volta ne hanno addestrati
altri, e così via, fino a giungere ad oggi, all’anno 1973, così vicino alla fine… così vicino… ad una nuova
Guerra Sacra!
“Chi si recherà in
Egitto, mio Signore?” –La voce squillante di Micene lo rubò ai suoi pensieri.
“Uhm…” –Il Grande Sacerdote ci rifletté per un momento, ma
prima che potesse rispondere una nuova voce proveniente dall’ingresso del
salone si interpose alle altre, facendo voltare i presenti.
“Inviate me,
Grande Sacerdote!” –Ricoperto dalla sua scintillante armatura dorata, un
ragazzo dal volto fiero e dai lunghi capelli blu stava camminando sul tappeto
rosso della Sala del Grande Sacerdote, dirigendosi verso di loro: il suo
nome era Gemini, Cavaliere d’Oro della Terza Casa.
“Perdonate il mio
ardire, Celebrante di Atena!” –Esordì, inginocchiandosi di fronte all’uomo
mascherato. –“Ma grande è il mio desiderio di servire la Dea, e sarebbe per me
un onore, oltre che un piacere, mettere la mia esperienza, sicuramente superiore
rispetto a quella dei miei parigrado di recente investiti del titolo, e la mia
abilità al servizio della giustizia!”
“E sia dunque, Cavaliere
di Gemini! Sarai il mio ambasciatore in Egitto! Alzati e ascolta le mie
parole!”
Che non abbia a
pentirmene! Mormorò Shin, senza capire neppure lui perché. Cosa aveva Gemini da
rendere inquieto persino lui, il Grande Sacerdote di Atena? Cosa covava nel
cuore quell’uomo amato da tutti per la sua purezza, per la sua nobiltà d’animo,
per la sua generosità al punto che molti lo consideravano candidato ideale a
succedere all’attuale Celebrante di Atena?!
“Ti recherai in
Egitto, a Tebe, con il compito di scoprire cosa sta accadendo, e le motivazioni
che hanno spinto Ra, o chi comanda attualmente, ad attaccarci senza motivazione
né preavviso alcuno!”
“Ma non andrai da
solo!” –Continuò il Sacerdote, voltandosi verso il Cavaliere rimasto finora in
silenzio. –“Capricorn verrà con te! Chissà che un po’
d’azione non serva a renderlo meno schivo!”
“Come desidera,
Grande Sacerdote!” –Esclamò Capricorn,
inginocchiandosi.
“Conto molto su di
voi!” –Aggiunse il Sacerdote, mentre i vari Cavalieri si prepararono per
allontanarsi e tornare alle loro abitazioni. –“Non deludetemi!”
“Non
preoccupatevi! Faremo del nostro meglio per evitare ogni conflitto con l’Egitto
o con chiunque altro voglia attentare all’equilibrio cui Atena aspira!”
–Esclamò Gemini, e quell’ultima frase fece venire il voltastomaco a Cancer, che se ne andò indignato e disgustato, presto
seguito da Toro e Eurialo, quest’ultimo preoccupato
per le sorti dell’amico ferito.
Anche Micene,
Gemini e Capricorn si mossero per lasciare il
Tredicesimo Tempio, quando la voce anziana, ma solenne, del Grande Sacerdote
richiamò i primi due.
“Restate ancora un
poco, vi prego!” –Esclamò Shin. –“Perché un
importante annuncio ho da farvi!”
Capricorn non disse niente, limitandosi a uscire dalla
Sala del Trono, ben consapevole dell’unico motivo che potesse spingere il
Sacerdote a convocare insieme i due maggiori Cavalieri d’Oro. La scelta del suo
successore, da effettuarsi tra uno dei due.
Su richiesta del
Grande Sacerdote, Micene di Sagitter e Saga
di Gemini si erano trattenuti nella Sala del Trono, inginocchiati di fronte
al rappresentante di Atena in terra, per ascoltare le sue parole.
Probabilmente, pensarono i due Cavalieri, voleva dare loro consigli su come
affrontare la delicata situazione egiziana, ed evitare quindi una sanguinosa
guerra. Ma il Sacerdote prese entrambi in contropiede, affrontando un
argomento a cui mai avrebbero pensato in quel momento.
“Sono vecchio!”
–Mormorò, lasciandosi cadere sul morbido trono. –“Vecchio e stanco! E credo che
pochi anni passeranno ancora prima che le mie spoglie mortali lascino questo
mondo!”
“Mio Signore...”
–Mormorarono Micene e Gemini, con sincera preoccupazione. –“Non dite così… voi siete la nostra guida... la nostra forza!”
“Presto avrete
un’altra guida!” –Li chetò il Sacerdote. –“Un nuovo oracolo siederà sul trono
di Grecia ed egli, dall’alto della sua lucente saggezza, guiderà i Cavalieri di
Atena verso la prossima Guerra Sacra, la quale, ahimè, tristemente si avvicina!”
“Un nuovo
oracolo?!” –Balbettò Gemini. –“Ma mio Signore... non avrete intenzione di
abdicare?”
“Non lo farò,
infatti! Ma è tempo che faccia una scelta, miei nobili Cavalieri, che prepari
il mio successore ad adempiere al meglio le sacre funzioni quando io non sarò
più in vita! Non voglio lasciare il Grande Tempio nel caos! Non voglio vedere
stupide lotte intestine per il potere!”
“È questo che
temete, Gran Sacerdote? Che vi siano scontri tra i Cavalieri per prendere il
potere?”
“Io temo gli
uomini, Cavaliere di Gemini! La debole e infida natura che è insita dentro
ognuno di noi e che, se non ben indirizzata, può portare a scelte sbagliate, a
liberare il lato oscuro che risiede dentro di noi, la zona d’ombra capace di
oscurare la lucente armonia del cosmo e vincere sulla sapiente guida delle
stelle! Sarebbe un’atroce tortura, per me, che ho dedicato la vita a questo
fine, che ho affidato tutto me stesso ad Atena, per organizzare al meglio il
suo Tempio e i Cavalieri posti alla sua difesa, vedere tali sforzi vanificati!
Vedere i frutti del mio bicentenario lavoro andare sprecati solo per un’assurda
guerra di egoismi! No, Gemini! Non permetterò che ciò avvenga! Per il bene di
Atena e delle genti libere della Terra, che hanno bisogno di uomini valorosi, capaci
di dare anche la vita, per combattere per la loro Dea e per gli ideali di
giustizia e di libertà che lei rappresenta!”
“Noi Cavalieri
combatteremo fino alla fine contro le oscure forze del male!” –Esclamò Micene,
sollevando lo sguardo verso il Sacerdote. –“Quando sarà il momento, nessuno di
noi, Cavalieri d’Oro, d’Argento, di Bronzo, o semplici soldati adoratori della
Dea, si tirerà indietro!”
“Quel momento è
già arrivato!” –Sussurrò il Sacerdote.
Improvvisamente
una porta laterale si aprì, attirando gli sguardi di Micene e Gemini, che si
trovarono di fronte un uomo, abbigliato come il Grande Sacerdote, dal volto
coperto da una scura maschera, che reggeva in mano un piccolo fagotto.
D’istinto, i due Cavalieri si alzarono in piedi, mentre l’uomo si avvicinava al
palco, procedendo con lentezza, avendo molto cura di ciò che stava
trasportando. Un gemito scosse i presenti, facendo preoccupare i due Cavalieri
d’Oro, che rimasero immobili, in piedi, ad osservare Arles,
il Primo Ministro di Atene, raggiungere il palco e porgere il fagotto al
Grande Sacerdote, il quale, con molta delicatezza e maternità, abbassò
lentamente le fasce bianche, rivelando il candido volto di una bambina nata da
poco.
“Inginocchiatevi,
Cavalieri d’Oro, di fronte alla vostra Dea! Atena, Signora della Guerra e della
Giustizia è rinata a nuova vita!” –Esclamò il Sacerdote, sollevando la bambina
in fasce.
Arles per primo e Micene e Gemini subito dopo
chinarono il capo, prostrandosi in segno di rispettosa ammirazione verso la
Dea, tornata a nuova vita. Una sensazione di pace e gioia invase i loro cuori,
un sentimento di serenità infinita per trovarsi di fronte alla Divinità a cui
le loro azioni, le loro stesse vite, erano da sempre consacrate.
“A... Atena…” –Balbettarono Micene e Gemini, rialzando
timidamente il volto.
Era una piccola
bambina, avvolta in bianche fasce, dal candido viso e dai leggeri capelli
violacei, che singhiozzava confusamente tra le braccia del Grande Sacerdote, il
quale, seppure indossasse una maschera, era chiaro a tutti i presenti che
sorrideva, con il cuore pieno di commozione e gioia.
“Atena si è
reincarnata!” –Spiegò infine, rimettendosi a sedere sul trono di Grecia.
–“Questa stessa notte! L’abbiamo trovata stamattina, ai piedi della grande
statua di Atena situata sul retro della Tredicesima Casa, che gemeva e si
agitava deliziosamente, piccola bambina con un grande cammino di fronte a sé.
Così grande che neppure lei, forse, potrebbe riuscire ad immaginarlo!”
“Ma se Atena si è
reincarnata questo significa che...” –Intervenne Micene.
“Che le oscure
forze si sono messe in movimento, che la tenebra sta crescendo sull’intera
Terra, al punto da rendere necessaria la discesa della Dea della Giustizia tra
gli uomini, al fine di radunare i Cavalieri e guidarli in una nuova Guerra
Sacra, con il compito di sconfiggere l’oppressione oscura!” –Esclamò con voce
decisa il Sacerdote. –“Ed è per combattere questa battaglia, in cui si
decideranno i destini del mondo, che ho convocato al Grande Tempio tutti voi
giovani Cavalieri che affiancherete Atena quando sarà il momento, quando il
sigillo che tiene le demoniache ombre sarà infranto ed esse torneranno a
portare terrore e disperazione, proprio come duecento anni fa!”
“Sotto la vostra
guida, Grande Sacerdote, e sotto quella di Atena noi combatteremo!”
–Mormorarono Micene e Gemini, quasi come se stessero prestando un epico
giuramento.
“Non io guiderò
gli eserciti di Atena! Ma uno di voi! L’uomo che ho scelto a succedermi sul
trono di Grecia, l’uomo che, dopo la mia morte, diventerà il nuovo Grande
Sacerdote di Atene!”
“Uh?!” –Farfugliarono
Micene e Gemini, presi alla sprovvista da quell’inaspettata confessione.
Entrambi sapevano
che la scelta del successore al trono di Grecia era solitamente effettuata tra
i Cavalieri d’Oro, essendo quelli di rango superiore e, si presumeva, più
vicini alla Dea, come ideali e purezza di animo. Ma, per quanto il Grande
Sacerdote fosse vecchio e stanco, credevano che li avrebbe comunque condotti
alla prossima Guerra Sacra, magari con l’aiuto di Atena, e non pensavano che
tutto quel discorso era stato fatto per indicare tra loro il suo successore.
“Micene del
Sagittario!” –Parlò il Sacerdote. –“Tu che hai sempre dimostrato saggezza e
lealtà nei confronti della Dea, prenderai il mio posto come Grande Sacerdote di
Grecia! Il tuo coraggio e la tua abnegazione alla causa saranno sentimenti
capaci di attirarti il consenso di tutti i Cavalieri del Grande Tempio, che in
te vedranno, come già vedono tutt’oggi, un eroe, un esempio da imitare!”
“Uh… mio Signore... io...” –Balbettò Micene, imbarazzato da
una simile affermazione.
“E tu, Saga di
Gemini, valoroso Cavaliere di Atena, da tutti rispettato e venerato per la tua
splendida generosità, aiuterai Micene ad adempiere al suo nuovo dovere?”
“Sì, Grande
Sacerdote! Anch’io immaginavo che egli fosse più idoneo a ricoprire tale
incarico, e farò del mio meglio per aiutarlo!” –Esclamò Gemini, prima di
alzarsi in piedi, insieme a Micene.
Il Grande
Sacerdote consegnò la piccola Atena ad Arles e pregò
il Primo Ministro di condurla nel torrione a lei dedicato, sul versante
orientale della Tredicesima Casa.
“Da adesso sei il
suo tutore, Micene! Il tutore della Dea Atena! Nei giorni che verranno ti
istruirò sui tuoi futuri compiti e spero di poterti trasmettere saggezza e
utili consigli, come il mio predecessore fece con me, pur senza vivere
abbastanza per vedermi assiso sul trono di Grecia!”
“Sarà un onore per
me imparare da voi, Grande Sacerdote!”
“Un’ultima cosa...
prima che andiate! Le informazioni che vi ho dato quest’oggi sono strettamente
riservate, assolutamente personali! Notizie che ho scelto di condividere con
voi, i due più valenti Cavalieri, l’orgoglio e il vanto del Grande Tempio, per
elaborare insieme una strategia comune! Non fatene parola con nessuno, per il
momento! Finché questa scomoda situazione con l’Egitto non sarà chiarito,
preferisco rimandare l’annuncio della discesa di Atena sulla Terra!”
“Sono d’accordo
con voi, Sacerdote!” –Esclamò Gemini, e anche Micene annuì. –“Non conosciamo
ancora le intenzioni dei nostri potenziali nemici! È meglio essere cauti prima
di abbandonarci a trionfalistici annunci che potrebbero causare più danni che
non mantenere un semplice segreto!”
“Mi affido a te,
Gemini!” –Mormorò l’Oracolo di Atena, con il cuore in mano. –“L’esito di questa
spinosa situazione dipende dalle tue capacità diplomatiche, in cui molto
confido, come ho sempre fatto!”
“Non vi deluderò!”
–Esclamò Gemini, prima di chinare il capo e incamminarsi verso l’uscita.
Micene rimase
ancora qualche minuto all’interno della Tredicesima Casa, con il cuore colmo di
grandi emozioni. In un breve lasso di tempo la sua vita era stata sconvolta,
con la reincarnazione di Atena e la nomina a futuro Sacerdote. Felicità e gioia
albergavano nel suo animo, ma anche un forte senso di preoccupazione. Non solo
per il difficile compito che lo attendeva, quello di tutore di Atena prima e di
Oracolo della Dea in seguito, ma anche per l’espandersi della tenebra sul
mondo.
“Sono certo che
sarai un ottimo Sacerdote, Micene!” –Lo rincuorò il Celebrante.
“Darò tutto me
stesso, anche la mia vita, per Atena!” –Rispose Micene, prima di inginocchiarsi
e andarsene a sua volta.
“Che tu non abbia
a pentirti di questa tua maledizione!” –Mormorò Shin.
E nuovamente si morse la lingua. Nuovamente percepì di aver pronunciato parole
contro la sua stessa volontà. Presagi che sentiva dentro e non riusciva a
controllare. Stanco, si lasciò cadere sul morbido velluto, prima che uno
scricchiolio lo facesse voltare di nuovo. In tempo per trovare Arles in ginocchio di fronte a sé.
“Atena è nella sua
culla, Grande Sacerdote! Dorme serena, proprio come una bambina!”
“Che possa godere
di questi momenti di pace e serenità, prima che la Divina Volontà si risvegli
in lei!” –Mormorò Shin, con un pizzico di malinconia.
“Non angustiatevi,
Sommo Oracolo! Atena vivrà una vita piena di gioie e di soddisfazioni! C’è
ancora tempo prima che il sigillo si...”
“Puoi perdonarmi?”
–Esclamò di scatto il Sacerdote, sollevandosi dal trono e inginocchiandosi di
fronte ad Arles. Si tolse l’elmo e la maschera,
mostrando il volto stanco e anziano ma ancora acceso da una vivida luce, da una
profonda passione per la giustizia e per Atena. –“Puoi perdonarmi, Arles, per non aver scelto te, come mio successore?”
–Chiese, prendendo le mani di Arles tra le proprie.
“Mio Signore… non dite così! Non avete niente di cui farvi
perdonare!” –Esclamò Arles, stupefatto da un simile
gesto. –“Vostra è la decisione di nominare il nuovo Sacerdote, e credo che la
scelta di Micene sia stata la più giusta, essendo egli, tra i Cavalieri d’Oro,
il più idoneo a succ…”
“Avrei voluto
nominare te, mio successore!” –Confessò Shin. –“Ma la
tradizione vuole che la scelta del Celebrante di Atena ricada tra i Dodici
Custodi, essendo i Cavalieri di grado più alto, e quindi dotati di cuore puro e
cosmo lucente! Ad eccezione del mio vecchio amico, il Cavaliere della Bilancia,
però gli altri Custodi sono tutti troppo giovani, compreso il mio giovane
allievo, Mur! E dei dodicenni inesperti non possono
salire sullo scranno più ambito di Grecia! Solo Micene e Gemini dispongono
dell’esperienza e della saggezza necessarie per governare giustamente!”
“Sono certo che
Micene metterà cuore e anima nel suo nuovo ruolo!”
“Spero di aver
fatto la scelta giusta, mio caro Arles!” –Ammise
infine Shin, tra dubbi e rimorsi. –“E di non avere,
con questo mio atto, alimentato odi e rancori che tanto ho temuto si
verificassero!”
“Temete per
Micene?” –Chiese Arles, aiutando il Sacerdote a
rialzarsi.
“E per Atena! E
per te, e per tutti quanti noi! Un’ombra è scesa sul mio cuore, e non mi dà
pace da giorni! Un’ombra che sembra quasi accusarmi di aver mandato Micene a
morte!”
Quindi si chetò,
scivolando in un profondo, ma angosciato sonno, di fronte agli occhi
preoccupati del Primo Ministro, il quale non poté far altro che sospirare,
ricoprire il corpo stanco del Sacerdote con una calda coperta, prima di
ritirarsi nelle sue stanze e ragionare un poco. Arles
approvava la scelta effettuata dal Sacerdote, avendo grande stima e fiducia nei
confronti di Micene, ed era certo che egli avrebbe adempiuto con onore e
passione al suo nuovo incarico. Ciò che lo turbava, e che probabilmente turbava
anche Shin, era il dubbio che Gemini, forse, non
avrebbe messo la stessa passione nell’aiutarlo. No! Mormorò Arles, con il cuore in trepidazione. Qualcosa mi dice
che Gemini farà cadere molto presto il Regno di Micene!
***
Usciti dalla
Tredicesima Casa, Micene e Gemini si avviarono per la bianca scalinata di marmo
che scendeva lungo la Collina della Divinità, snodandosi per le Dodici Case
dello Zodiaco, in un caldo pomeriggio di agosto. Quando raggiunsero la Decima,
Gemini si accordò con Capricorn per partire per
l’Egitto entro poche ore, il tempo di documentarsi sul loro viaggio e preparare
un discorso da rivolgere ai regnanti africani. Quindi continuarono a discendere
la scalinata, fermandosi all’uscita della Nona, quella del Sagittario, in cui
avrebbero dovuto separarsi.
Gemini salutò
Micene con un cordiale saluto e gli promise che avrebbe risolto questa crisi
diplomatica apertasi con le Divinità Egizie, prima di incamminarsi verso le
scale anteriori, ma il Cavaliere di Sagitter fermò
l’amico, cercando parole che però gli morirono in bocca.
“Spero che tu non
me ne voglia, per quanto accaduto nelle Stanze del Grande Sacerdote!” –Esclamò
infine Micene, fissando Gemini negli occhi.
“Oooh! Ma non dire sciocchezze!” –Lo frenò all’istante il
Cavaliere della Terza Casa. –“Non è mai stata mia intenzione salire al trono
come Grande Sacerdote! Non sai che noia portare tutto il giorno quella maschera
soffocante!” –Aggiunse, ironizzando, per sciogliere il muro di ghiaccio calato
improvvisamente tra loro. –“Non preoccuparti, Micene! Il Sacerdote ha fatto la
scelta migliore, per Atena e per noi tutti Cavalieri! Sarà un onore per me,
combattere sotto la tua guida!” –Esclamò, inginocchiandosi di fronte a Sagitter. –“Sotto la vostra guida, Oracolo della Dea!”
Micene restò per
un momento basito, ancora incapace di rendersi conto della nuova situazione. E
sorrise all’amico, pregandolo di rialzarsi.
“Non farmi
arrossire, Gemini!” –Mormorò Micene, incontrando il fresco sguardo del ragazzo.
“Grandi imprese
compierai Micene! Lo sento nelle stelle!” –Esclamò Gemini, con gli occhi lucidi
di una grande emozione. –“Il tuo nome resterà scritto in cielo, e tutti i
giovani Cavalieri che qua verranno nutriranno per te sconfinata ammirazione,
come io l’ho sempre nutrita per il più valoroso e giusto tra i Cavalieri d’Oro!
E sarà per me un onore, oltre che un piacere, eseguire le tue direttive,
combattendo in nome di Atena sotto la tua guida!”
“Ge…Gemini…” –Mormorò Micene,
mentre l’amico gli dava le spalle, incamminandosi verso l’uscita del Nono
Tempio. –“Torna presto!” –Si limitò ad aggiungere, con un sorriso.
Gemini uscì dalla
Casa del Sagittario, mentre il sole splendeva alto sopra il Grande Tempio di
Atene, seguito dall’attento sguardo del Cavaliere suo amico. Per un momento,
per un maledetto momento, un’ombra sfiorò il volto del giovane Sagitter, un’ombra che gli fece temere che non avrebbe più
rivisto il suo vecchio amico. Micene scosse subito la testa, allontanando quei
tristi presagi, e impegnando la mente in fantasticherie sul suo nuovo ruolo.
Non fece neppure
dieci passi, fuori dalla Casa di Sagitter, che Gemini
subito lo sentì: un cosmo oscuro, inquinato, che lo cercava per tutto il Grande
Tempio. Un cosmo nascosto, celato alla maggioranza, che egli soltanto poteva
percepire, essendo della sua stessa natura, del suo stesso sangue. Di corsa,
attraversò le Dodici Case, dirigendosi ai confini del Grande Tempio, verso un
anfratto tra le rocce e le antiche colonne dove era certo lo avrebbe trovato. E
così fu.
Un giovane,
vestito di abiti e calzari greci, era in piedi di fronte a lui, con sguardo
deciso e soddisfatto, che fece capire a Gemini di aver già compreso tutto. Di
aver già letto nella sua anima.
“Cosa vuoi ancora,
Kanon?” –Domandò Gemini, osservando con disprezzo il
fratello.
“Che tu ammetta la
tua natura oscura, Gemini! Che tu la smetta di nasconderti dietro quel velo di
beata innocenza, di fedele sottomissione alla Dea e tu ammetta ciò che sei
realmente!”
“E cosa sarei,
realmente?!” –Domandò Gemini, scocciato da quella scomoda conversazione.
“Un omicida!”
–Sogghignò Kanon. –“Un omicida che presto ucciderà
Atena e il vecchio Sacerdote, prendendo il suo posto sul trono di Grecia e
dominando, insieme a me, tuo fratello e consigliere, il mondo intero!”
“Tu sei folle, Kanon!” –Esclamò Gemini, balzando avanti e colpendolo in
fratello con un destro in pieno stomaco che lo spinse indietro, facendolo
sbattere contro una colonna. –“Un folle omicida che non merita di essere qua,
nel Grande Tempio di Atena!”
“Io sono un
profeta, fratello!” –Disse Kanon rialzandosi. –“Un
uomo leale e rispettoso di se stesso, che non esita ad affermare ciò che il
cuore gli comanda, ciò che effettivamente sente dentro sé!”
“E uccidere Atena
sarebbe un gesto di lealtà? Di rispetto?!” –Tuonò Gemini.
“Sarebbe un gesto
necessario per conquistare il potere!” –Sibilò Kanon.
–“Il potere, Gemini!!! L’immenso e sconfinato dominio sulle terre emerse, a cui
da millenni gli Dei aspirano! Zeus dai cieli, Nettuno dai mari, Ade
dall’aldilà. Quanto tempo credi che passerà prima che uno di loro muova guerra
ad Atene? E credi che un vecchio stolto e una bambina in fasce saranno capaci
di fermarli?! Nooo... non ci riusciranno! E Atene
cadrà sotto il cupo dominio di queste divinità!”
“Come sai che
Atena si è reincarnata?”
“Me lo hai detto
tu stesso! Adesso! E mi hai anche detto che la ucciderai, con un gladio d’oro!
Uccidendo anche quel vecchio rimbambito del Sacerdote che ha preferito Micene a
te!”
“Taciii!” –Gridò Gemini, scagliando un violento pugno
energetico contro Kanon, il quale venne centrato in
pieno e scaraventato indietro, abbattendo un paio di colonne e schiantandosi
malamente a terra. –“Tu sei folle, Kanon! Folle e
temerario a proporre a me, uno dei Dodici Custodi, di uccidere la Dea che amo e
che ho scelto di servire fino alla morte!”
“La Dea che ti ha
umiliato, scegliendo un altro al posto tuo come nuovo regnante di Grecia!”
“Questo non ha
importanza! Il desiderio di potere e dominio non mi appartiene, Kanon e le tue sporche menzogne terminano qua!”
“Bugiardo,
fratello! Ingannevole e bugiardo! Non soltanto reprimi te stesso, imponendoti
un atteggiamento di buonismo, quando invece la crudeltà e la sete di potere
regnano sovrane dentro di te, ma menti anche sulla tua natura! Per quanto tu
sia un Cavaliere resti pur sempre un uomo, e come tale infido e maligno,
soggetto ai devastanti tormenti interiori e alle proprie egoistiche passioni!”
–Lo accusò Kanon, con baldanza, mentre Gemini
scuoteva nervosamente la testa, stufo di quella discussione che, per lui, non
aveva motivo di esistere. –“Getta via la maschera, fratello, e rivela il tuo
vero volto! Il crudele e sanguinario volto di chi ucciderà Atena, facendo
strage dei vecchi amici, per imporre un nuovo ordine, un forte potere capace di
contrastare Zeus o Nettuno...”
“L’unico che
ucciderò, se continuerai nei tuoi folli progetti di dominio, sarai tu!” –Lo
zittì Gemini con un pugno in pieno stomaco, che fece accasciare Kanon ai suoi piedi, facendogli sputare sangue.
“O… ottimo...” –Balbettò Kanon,
mentre rivoli di sangue gli scorrevano sul mento. –“Continua così, fratello!
Abbandona Atena e libera il tuo vero io! Insieme domineremo il mondo! Insieme
regneremo su questa sterile e impaurita Terra! Tu ed io, Saga e Kanon, del segno dei Gemelli!”
“Credo che tu abbia
parlato troppo, Kanon!” –Commentò Gemini, prima di
sollevare il fratello, afferrandolo per il collo. Ma Kanon
si dimenò selvaggiamente, liberandosi dalla presa e ponendosi di fronte a lui,
in posizione di attacco, accendendo il proprio cosmo, oscuro come la notte.
“Le tue azioni
sono dominate dalla malvagità, Gemini! Perché vuoi negarlo? Perché non vuoi
ammettere a te stesso che pure tu, il Cavaliere più generoso ed ammirato da
tutti, è in realtà un debole, un uomo corrotto e insicuro che ha paura di confrontarsi
con se stesso!?!”
Gemini, a questa
ulteriore provocazione, non rispose, abbassando il capo, mentre un profondo
senso di inquietudine si impadronì di lui, accendendo ulteriormente la follia
nella mente di Kanon.
“Non rispondi?!”
–Gridò questi, concentrando il cosmo sul palmo destro. –“Approvi infine le mie
parole, Gemini?” –Esclamò, scagliando contro il fratello un violento attacco
energetico.
“No!” –Rispose
semplicemente Gemini, risollevando il viso e fermando l’assalto con il palmo
della mano destra, su cui l’energia di Kanon si
spense poco dopo.
“Urgh!” –Strinse i denti Kanon,
stupefatto che il suo attacco avesse fallito così malamente.
“Guarda adesso!”
–Mormorò Gemini, socchiudendo gli occhi ed espandendo il suo cosmo. –“Questa è
la vera Esplosione Galattica!”
Improvvisamente Kanon fu sollevato da terra, travolto da una violenta
tempesta energetica, mentre tutto intorno a lui iniziarono a comparire pianeti
e asteroidi, prima di esplodere con fragore. Per un momento sembrò a Kanon che tutto esplodesse, che l’universo intero si
disintegrasse e lui con esso. Ricadde a terra svenuto e malconcio, con il corpo
coperto di ferite, prima che Gemini lo sollevasse da terra con un brusco
movimento e lo portasse via.
Kanon!
Rifletté Gemini, conducendo il fratello in una prigione sotterranea, sotto il
promontorio di Capo Sounion. Nessuno qua sa che
siamo fratelli, e nessuno utilizza più questa prigione da anni, non essendo
molti, per fortuna, gli uomini malvagi che si macchiano di tradimento! Adesso
io rinchiudo te qua dentro, tra le sbarre di questa prigione, mentre le fredde
acque del Mediterraneo salgono lentamente, in una lenta ma costante alta marea.
Se un giorno ti pentirai e perdonerai te stesso per i tuoi folli propositi
omicidi, se un giorno Atena ti perdonerà per aver complottato contro di lei, e
contro gli uomini a lei fedeli, allora potrai trovare la forza per uscire di
qua, la forza per ricominciare a vivere una vita giusta! Addio Kanon! Aggiunse, richiudendo le sbarre della prigione e
lasciando il fratello all’interno, da solo, come era destino che fosse. Addio
fratello!
Ma non riuscì a
fare neppure qualche passo che la violenta voce di Kanon
lo richiamò, accusandolo del misfatto appena compiuto.
“Gemini!!! Gemini,
liberami, lasciami andare! Non tenere imprigionato tuo fratello, non macchiarti
di un crimine simile!!!”
“È inutile, Kanon! Non aprirò più quella gabbia!”–Commentò Gemini.
–“Non sei degno di uscirne, non finché non avrai compreso la follia insita
nella tua ambizione di dominio! Solo allora, quando ti sarai pentito, potrai
tornare da Atena, ed ella ti accetterà nuovamente tra i suoi difensori!”
“Questo non
avverrà mai, Gemini!” –Sogghignò Kanon. –“Perché tu
ucciderai la Dea molto prima! Ooh... sì... adesso so
per certo che lo farai, e ucciderai anche quel vecchio fanfarone del Sacerdote
e Micene che ti ha tradito! Gemini... alla fin fine sono io il vincitore, non
tu!!”
Gemini non
aggiunse altro, allontanandosi sui gradini della scalinata scavata nella roccia
che conduceva alla prigione di Capo Sounion,
ritornando sulla scogliera dove partiva la strada per il Grande Tempio, con
un’immensa tristezza nel sangue: Kanon, suo fratello
gemello, che da diciotto anni viveva nel suo cuore, aveva finalmente rivelato
il suo vero volto, quello di un distruttore, di un uomo assetato di sangue e
potere, disposto persino ad uccidere una Dea in fasce, protettrice della
giustizia, pur di perseguire i suoi violenti scopi. Disposto persino ad
uccidere il suo stesso fratello, se d’intralcio ai suoi progetti.
Angosciato e
dispiaciuto, Gemini si incamminò verso il Grande Tempio di Atene, pronto per
recarsi insieme in Egitto, per affrontare una grave crisi diplomatica, ma per
un momento si domandò se fosse veramente idoneo per tale incarico, se fosse veramente
idoneo per fare il moderatore. Non aveva risolto la crisi con suo fratello,
anzi l’aveva solamente acuita, e il ricordo di quell’uomo l’avrebbe
perseguitato per sempre, insieme all’atroce tormento che prendeva sempre più
forma dentro di sé, di aver compiuto un gesto ignobile, che poco si addiceva ad
un Cavaliere di Atena.
Noi Cavalieri
della Giustizia dovremmo essere portatori di pace, di speranza, nongiudici spietati disposti a rinchiudere
persino il proprio fratello, solo per un’opinione diversa dalla nostra! Rifletté, tra dubbi e tormenti. Che Kanon avesse infine ragione? Che l’umana natura sia
realmente infida ed incline al male, e che le mie azioni, pur dettate dal
desiderio di pace e giustizia, conducano inevitabilmente ad esso? Gemini
non seppe rispondersi, e per quanto cercasse di scacciare quei nefasti
pensieri, essi tornavano puntualmente ad occupare la sua mente, senza dargli
pace. E per quanto non volesse ammetterlo, l’uomo più giusto di Atene aveva
appena commesso il suo primo crimine. E lo avrebbe portato con sé per tutta la
vita.
Dopo aver
tranquillizzato Nonna Ada, rimasta alla Seconda Casa, con l’aiuto del fratello,
Eurialo era disceso fino alla piazza
principale del Grande Tempio, incamminandosi verso l’infermeria per far visita
all’amico ferito. Dopo essere stato medicato dal Cavaliere della Vergine, Niso era infatti stato affidato alle cure dei dottori, ed Eurialo voleva sincerarsi delle sue condizioni.
Passando in mezzo
al mercato del Grande Tempio, dove numerose bancarelle esponevano i prodotti
tipici, il Cavaliere di Atena, che aveva smesso la sua Armatura d’Argento,
preferendo un fresco abito di foggia greca, ascoltò sbadatamente i confusi
pensieri della gente, sia dei soldati semplici che della folla che comunemente
occupava quei luoghi di ritrovo.
“Hai sentito?
Cinquanta soldati del Grande Tempio massacrati!!!” –Esclamò uno.
“Cinquanta?! Io
avevo sentito dire cento!”
“Ma non c’è stato
anche un caduto tra i Cavalieri di Atena?” –Domandò un altro.
“Ma no! È stato
solamente ferito!” –Replicò un terzo, in un continuo accavallarsi di voci
confuse.
“Comunque sia
dobbiamo stare in guardia! Chiudersi in casa con moglie e figli è la cosa
migliore!”
“E il Grande
Sacerdote cosa fa?” –Chiesero alcuni uomini. –“Se ne sta chiuso nel suo bel
palazzo ad attendere la morte? Tanto lo sanno tutti che è un uomo anziano e
presto lascerà questa Terra!”
“Chi sarà il nuovo
Sacerdote allora?!” –Incalzò un altro.
“Potrebbe essere
il Primo Ministro! Non l’ho mai visto, ma dicono sia il fratello del
Sacerdote!”
“Allora dovrebbe
avere la sua età?!”
Mille voci diverse
giunsero alle orecchie dello stanco Cavaliere di Bronzo, mentre camminava a
passo svelto nella piazza del mercato, infilandosi nelle vie laterali, per raggiungere
l’ospedale, proprio sul versante inferiore della Collina della Divinità, in un
luogo protetto e più riparato.
Chiacchiere da
mercato! Il Sacerdote non
mi sembra certo un uomo col piede nella fossa! Se le stelle lo proteggeranno,
continuerà a servire Atena per molto tempo ancora, e a guidare tutti noi
Cavalieri, che mai come in questo momento ne abbiamo bisogno! E nel dir
questo svoltò a destra, infilando in un vicolo e sbucando poi proprio di fronte
all’infermeria del Grande Tempio.
Era una costruzione
molto semplice, di forma rettangolare, a due piani, la cui gestione era
affidata a servitori della Dea, scelti direttamente dal Grande Sacerdote tra
uomini e donne di fiducia; inoltre vi prestavano servizio numerosi apprendisti,
soprattutto giovani Sacerdotesse, con il compito di aiutare il personale della
struttura.
Quando Eurialo entrò nell’ospedale trovò alcune ragazze intente a parlottare tra loro, e ne attirò l’attenzione con
la sua mole, la quale, per quanto Eurialo non fosse
propriamente bello, gli permetteva di suscitare simpatie e generosi
apprezzamenti sul suo fisico ben messo.
“Perdonate il
disturbo, gentili fanciulle!” –Esclamò, rivolgendosi a due ragazzine. –“So che
è stato ricoverato un ragazzo di nome Niso! Sapete
dove posso trovarlo? È un mio caro amico!”
“Aspetti un
momento, signore! Chiedo ai dottori!” –Sorrise una bambina dai folti capelli
arancioni.
Eurialo sorrise, osservandola correre per i corridoi
della costruzione alla ricerca di un bianco camice, e trattenne una risatina
per il modo in cui le si era rivolto, dandole del voi. Non che sia la prima
volta! Anzi, è piuttosto frequente che i bambini mi diano del “signore”, ma per
quanto faccia piacere mi fa sentire vecchio! Ironizzò, osservando la
bambina ritornare insieme ad un dottore.
“Ma sono tutti
veri questi muscoli?” –Lo chiamò l’altra bambina, dai folti capelli verdi.
“Uh?!” –Esclamò Eurialo, prima di mettersi una mano nei capelli ed
esplodere in una grossa risata.
“Tisifone! Non disturbare un Cavaliere di Atena!” –La
rimproverò il dottore, presentandosi al ragazzo. –“Tu e Castalia non avete
lezioni da prendere, alla scuola per giovani sacerdotesse?
Le due bambine,
imbronciate, se ne andarono a testa bassa, ma Eurialo
intercedette per loro, pregando il dottore di non rimproverarle e di mostrargli
la camera in cui riposava l’amico.
“Eurialo!!” –Esclamò Niso, mentre
il Cavaliere del Dorado entrava nella stanza. –“Per
fortuna sei qua, amico mio! Coraggio, aiutami ad andarmene!” –E fece il gesto
di sollevare le coperte e alzarsi.
“Resta seduto o ti
spezzo una gamba!” –Ironizzò Eurialo, poggiando la
sua possente mano sul petto del ragazzo, e premendolo, senza fargli male, sul
letto. –“Hai bisogno di riposo, non di fuggire in mutande da un ospedale!”
“Ho bisogno d’aria,
invece! Mi duole la schiena a star su questi scomodi cuscini!”
“Smettila di
scherzare, Niso!” –Disse Eurialo.
–“Piuttosto come sta la tua ferita? Si è rimarginata?”
“Vuoi vederla?”
–Disse il ragazzo, sollevando lentamente le coperte e scoprendo il fianco
fasciato.
“Non rovinare la
bendatura!” –Commentò Eurialo, pregando Niso di raccontargli ciò che i dottori gli avevano detto.
“Una ferita
strana, anomala, l’hanno definita! Un’ustione in grado di avanzare sul corpo
umano!” –Spiegò l’amico, ricordando ciò che gli aveva detto il Cavaliere della
Vergine, che lo aveva salvato e condotto con sé, alla Sesta Casa, per curare
con il suo corpo la mortale ferita.
“Mo... mortale?!”
–Balbettò Eurialo, con preoccupazione.
“Se Virgo non fosse intervenuto, sì!” –Sospirò Niso, e per un momento la sua solita espressione sbarazzina
scomparve. –“Devo la vita a quel giovane! Ha solo dodici anni ma possiede un
cosmo vasto, immenso lo definirei, quasi come quelli di Sagitter
o Gemini, che sono più grandi di lui!”
“Non è l’età a
rendere grande un Cavaliere, Niso! Ma la sua forza
d’animo, la purezza del suo cosmo, e la profonda volontà di servire Atena e la
giustizia! E credo che nessuno, più dei Cavalieri d’Oro, incarni meglio tali
ideali!”
“Questo lo so, Eurialo…” –Disse Niso, mentre un
velo di tristezza scese sul suo volto. –“È solo che... che…”
“Hai avuto paura
di morire, non è vero?” –Mormorò Eurialo, con voce
tenera come sempre.
Niso annuì in silenzio, voltandosi verso la
finestra e osservando le tende svolazzare, sospinte da una leggera brezza.
Dietro l’ospedale c’era un prato fiorito, dove i medici conducevano spesso i
pazienti a passeggiare e a svagarsi, e poco oltre sorgeva la Scuola delle
Sacerdotesse, dove le bambine dai sei anni in su venivano addestrate al
mestiere di Cavalieri, ma, in quanto femmine, subivano una discriminazione,
venendo obbligate a indossare una maschera, che coprisse loro il volto, quasi
come a negare la femminilità che avevano rifiutato scegliendo un’arte maschia,
come la guerra.
“Non voglio
morire, Eurialo!” –Esclamò infine, voltandosi
nuovamente verso l’amico. –“Non prima di aver realizzato i miei sogni, di aver
combattuto al tuo fianco, per Atena e per la giustizia! E di aver fatto
qualcosa per cui forse un giorno sarò ricordato!”
“Tu hai già fatto
qualcosa, sciocchino!” –Gli sorrise Eurialo, con
sincero affetto. –“Mi hai reso felice per tutti questi anni in cui sei stato
presente nella mia vita! E sappi che non ho intenzione di permetterti di andare
a rischiare la vita per il mondo inseguendo fatui sogni di gloria o di
conquista!” –Ironizzò, agitando il grande indice della sua mano destra.
“Eheheh...” –Sorrise Niso. –“Non è
mia intenzione farlo! Non preoccuparti! Ciò che chiedo è soltanto di essere
utile! Ad Atena, e a te che mi hai dato fiducia per tutti questi anni,
accogliendomi nella tua casa quando ero soltanto un orfano sporco di fango, e
istruendomi alla nobile arte del combattimento, lasciando che il mio cuore si
aprisse ad Atena e ai suoi ideali di pace e serenità!”
“Avrai il tuo
momento, Niso! Come lo avremo tutti noi!” –Commentò Eurialo, poggiando una mano sulla fronte del ragazzo, quasi
in segno di benedizione. –“Non avere fretta di inseguirlo, potresti non vivere
abbastanza per goderne appieno!”
Passi leggeri
distrassero i due ragazzi, facendoli voltare verso la porta d’ingresso, dove,
con sorpresa, ma anche con gioia, trovarono l’anziana Nonna Ada, ritta
in piedi, appoggiata ad un bastone, con un mazzo di fiori in mano. La vecchia
sorrise, prima di ricongiungersi ai suoi cari e portare un po’ di colore in
quella grigia stanza di ospedale.
Nel frattempo,
mentre un’altra giornata volgeva al termine al Grande Tempio di Atena, un uomo
trafficava nelle cucine della Quinta Casa dello Zodiaco, cercando di preparare
del cibo nutriente per il suo padrone. Galarian
Steiner era il servitore del Cavaliere di Leo, migliore amico di suo
fratello Micene, contro cui si era scontrato anni prima, per ottenere perdono
per il gesto compiuto.
Galan infatti aveva tentato di rubare l’Ichor, il tesoro più prezioso del Tempio di Atena, un vaso
contenente gocce di sangue della Dea, capaci di guarire istantaneamente le
ferite più gravi e recare sollievo e conforto ad angosciati malati, ormai
prossimi alla morte. Galarian aveva scelto quel gesto
estremo per salvare sua madre, piegata da un male incurabile, che l’uomo non
aveva la conoscenza sufficiente per vincere, ma era stato scoperto e punito,
con la reclusione nella prigione di Urano.
Ne era uscito il
giorno dopo, per affrontare in un combattimento all’ultimo sangue proprio
l’amico più caro che aveva: Micene del Sagittario, che lo aveva vinto con il
suo colpo segreto. A causa della battaglia Galarian
aveva perso il braccio e l’occhio destro, ma il Grande Sacerdote aveva dimostrato
indulgenza, sforzandosi di comprendere il suo gesto e inserendolo nel seguito
del Cavaliere del Leone, che aveva iniziato da pochi anni il suo allenamento,
sotto l’attento sguardo del fratello.
“Ti affido Ioria!” –Gli aveva detto Micene, in quel giorno di tre anni
prima. –“Egli ha bisogno di un tutore, non soltanto di un maestro di battaglie!
Ma di qualcuno che sia per lui come un padre!”
“E non ci sei tu
per questo, Micene?”
“Io sono suo
fratello! E il suo maestro!” –Aveva commentato Sagitter,
con una punta di tristezza. –“Ma potrebbe accadere che in futuro io non possa
più prendermi cura di lui, come ho fatto in questi sei anni, da quando i nostri
genitori morirono! Se dovessi mancare, se dovessi perire un giorno, sia domani
o tra dieci anni, voglio la certezza di lasciare mio fratello alla migliore
guida possibile!”
“Mi... Micene...”
–Aveva esclamato Galan commosso. E il ricordo di
quella conversazione non lo aveva più abbandonato.
Anche adesso, a
diciotto anni compiuti, era ancora vivo nella sua mente, e spesso, quando si
sentiva in difficoltà o sentiva di non essere in grado di occuparsi di tale
incarico, trovava in quelle frasi, nell’espressione decisa e serena di Micene,
la spinta per andare avanti e non mollare mai.
“Dicono che sia un
vero uomo solo colui al quale puoi affidare la cosa più importante che hai! E
Micene ha affidato Ioria alle mie cure, affinché lo
guidi nel difficile cammino della vita!” –Sospirò Galan,
ricordando quei giorni di tre anni prima.
“Galan?!” –Lo chiamò una squillante voce, entrando
nell’ampia cucina della Quinta Casa.
“Nobile Ioria! Perdonate il ritardo, tutto sarà pronto…”
–Cercò di scusarsi Galan, ma Ioria
lo zittì.
“Non sono qua per
mangiare, Galan! E non voglio che tu mi chiami
nobile! Non sono mica un re!”
“Voi siete più
importante e regale di qualsiasi re della Terra! Siete un Cavaliere d’Oro di
Atena! Ed è un onore per me servire in questa Casa!”
“A volte vorrei
essere soltanto un ragazzo!” –Mormorò Ioria,
quasi parlando con se stesso. –“Non dovermi curare di tutte queste formalità,
di questi cerimoniali che mi sembrano patetici… e
correre via, a rotolarmi nel fango come i miei coetanei, a stuzzicare le
ragazze e rincorrerle tra gli alberi…”
“Ognuno di noi
vive seguendo il destino tracciato dalle nostre stelle!”
“Dunque tu credi
nel destino, Galan?”
“Perché voi no,
nobile Ioria?” –Domandò sorpreso il giovane.
“Vorrei credervi,
ma troppe cose rendono impossibile questa fede, Galan!
Se il cammino di ogni uomo è scritto nelle stelle, o deciso da Dio, perché
molti uomini muoiono? Perché le nazioni si fanno la guerra, condannando milioni
di innocenti a sofferenze atroci? Anche la morte e il dolore sono decisi dalle
stelle? Anche la sofferenza, la fame, la povertà sono intrise nel nostro
destino?”
Il servitore non
rispose, colpito dall’acuta analisi del ragazzo, che nonostante la giovanissima
età dimostrava abili capacità riflessive, proprio come lui e Micene avevano
sempre sostenuto.
“Non credere che Ioria sia solo un corpo vuoto!” –Gli aveva detto Micene un
giorno. –“Egli ha un cuore grande e colmo di gioia per l’umanità! Spero che un
giorno possa trovare qualcuno verso cui dirigere il suo immenso affetto!”
Mai come in quel
momento, a Galan quelle parole sembrarono vere.
“Se il destino di
un uomo è dolore e morte, allora forse sarebbe meglio non nascere, che vivere
una vita di stenti, in cui tutti i nostri atti, tutti i nostri gesti, verranno
sopraffatti alla fine, di fronte alla profonda ineluttabilità dell’essere!”
“Qual è il vostro
pensiero, allora?” –Sorrise Galan, impressionato dal
ragazzo.
“Io non credo nel
destino! Perché credervi significa accettare tutto questo, accettare che gli
Dei o le stelle vogliano imprimere dolore e morte a milioni di uomini, e questo
farebbe di loro biechi tiranni! Mentre io, che di Atena sono Cavaliere, so per
certo che la nostra Dea non lo è, ma è misericordiosa e giusta, e che noi, se
vogliamo interpretare al meglio la sua volontà, dobbiamo impegnarci per portare
luce e speranza agli uomini, soprattutto a quei deboli e vinti dalla vita a cui
non resta altro che piangere per il loro infame destino!” –Spiegò Ioria, con gli occhi lucidi e intrisi di una profonda
determinazione. –“Perdonami se ti ho annoiato... ma... volevo parlare un po’
con te…”
“Sono sempre a
vostra disposizione, nobile Ioria!” –Sorrise Galan, prima di ricominciare a trafficare in cucina. –“Piuttosto… a quale ragazza vi riferite? Non avrete già
adocchiato una delle aspiranti Sacerdotesse?” –Ironizzò, mentre Ioria scoppiava a ridere, arrossendo imbarazzato.
Le genuine risate
di Ioria e Galan
illuminarono il tramonto di Atene, giungendo alle orecchie del pensieroso
Cavaliere del Sagittario, in piedi nella navata principale della Quinta Casa.
Era giunto al Tempio del Leone per salutare suo fratello e scambiare qualche
parola con lui, sperando di infondere nel suo cuore quel sentimento di
responsabilità che temeva mancasse in lui, ma dopo aver udito queste parole, il
profondo desiderio che Ioria covava dentro di essere
utile al mondo, soprattutto ai deboli e ai vinti, non poté che sorridere, e
complimentarsi con il fratello, il quale, nella sua semplicità giovanile,
rappresentava al meglio gli ideali di pace di Atena.
Senza dire niente,
silenzioso come era arrivato, Micene uscì fuori dalla Quinta Casa, mentre
il sole tramontava nella fresca sera di Atene. Sedette su uno dei due grandi
leoni di marmo che ornavano l’ingresso e lasciò vagare la sua mente, al di là
del mare. Pensò a Gemini e a Capricorn, impegnati
nell’improvvisata ambasciata egiziana, e si augurò il meglio nell’impresa, non
soltanto per loro, ma anche per Atena e le genti del Santuario. Quindi pensò al
Grande Sacerdote, e alla piccola Dea che oggi aveva sollevato, stringendola tra
le braccia, e sorrise, pieno di serenità per un simile miracolo.
“Micene del
Sagittario!” –Risuonò una voce nella sua mente. –“Tu prenderai il mio posto
come Grande Sacerdote! Tu sarai il tutore della Dea Atena!”
Io? Il tutore
di Atena? Il nuovo Oracolo di Grecia? Mormorò, e una certa apprensione iniziò a farsi strada dentro di lui.
Non certo per paura né per indolenza, caratteristiche che non gli erano mai
state proprie, ma semplicemente per il dubbio di non essere all’altezza, di non
avere le capacità di analisi e di saggezza che l’attuale Grande Sacerdote aveva
dimostrato per tutti quegli anni.
Non lo conosceva
bene il Sacerdote, avendolo incontrato soltanto poche volte durante il suo
addestramento, ma da quando aveva ottenuto l’investitura a Cavaliere d’Oro,
nell’estate di sei anni prima, aveva iniziato a frequentarlo con maggior
assiduità, spesso su richiesta dello stesso Celebrante che era solito mandarlo
a chiamare e chiedere il suo parere su determinate questioni. Uno degli
incontri più celebri, e più delicati, fu proprio quello intercorso tra i due in
relazione al tentato furto dell’Ichor da parte di Galarian, che il Sacerdote sapeva essere caro amico di
Micene, oltre che l’altro pretendente all’Armatura del Sagittario.
“Una gara persa in
partenza!” –Amava ripetere Galan, riferendosi al
fatto che egli, a differenza di Micene, non aveva saputo sviluppare un forte
cosmo, ed era apparso inadatto per un simile titolo.
E l’Armatura del
Sagittario era andata a Micene, le cui gesta e il cui valore erano cantati in
tutto il Grande Tempio, e la cui opinione era tenuta di conto dal Grande
Sacerdote.
“Proprio per
questo motivo, Micene, mi è difficile rifiutarti una simile richiesta!” –Aveva
commentato il Sacerdote, quando il ragazzo aveva intercesso per Galan di fronte a lui. –“Galarian
Steiner si è macchiato di un grave delitto, cercando di trafugare il tesoro
segreto del Grande Tempio! Il sangue di Atena! Il cui uso è vietato persino a
noi, Sommi Celebranti, e ai Cavalieri d’Oro, se non espressamente indicato
dalla Dea!”
“Comprendo i
vostri dubbi, Grande Sacerdote!” –Aveva esclamato Micene, in ginocchio di
fronte a lui. –“Tuttavia, se il mio parere può essere di qualche utilità,
consentitemi di spezzare una lancia a favore del ragazzo! Egli è stato mio
compagno durante l’addestramento, il più leale compagno con cui mai avrei
potuto gareggiare per l’Armatura d’Oro, così leale al punto da evitare di
chiedere a me di macchiarmi di un simile atto! È stata la disperazione a
muovere la sua mano, Grande Sacerdote! La disperazione di un uomo di fronte a
qualcosa su cui non poteva avere controllo: la morte di sua madre per malattia!
Perciò vi prego, siate clemente, e concedetegli il perdono!”
“Non la morte lo
coglierà, Cavaliere del Sagittario!” –Esclamò il Sacerdote. –“Come ben sai sono
sempre piuttosto restio a provvedimenti simili, di violenza inaudita ed
inconcepibile per un luogo di culto come questo Santuario! Non sai quanto abbia
pianto il mio cuore pochi giorni fa, emanando l’ordine di esilio nei Caraibi
per quella donna e i suoi pirati! Che insegnamento vorremmo dare agli uomini,
quale messaggio di pace e giustizia potremmo esportare, se noi per primi ci
macchiamo le mani del sangue dei nostri servitori? Del sangue di uomini giusti,
dominati dalla disperazione?”
Micene aveva
sorriso, intuendo le parole del Celebrante di Atena, aperte e tolleranti, che
sempre avevano contraddistinto il suo governo e che avevano limitato il clima
di forte violenza, spesso occasionale, che si poteva incontrare nel Grande
Tempio, soprattutto nelle palestre e durante gli addestramenti. Galarian, dopo il combattimento con Micene, venne quindi
condannato a servire il fratello di lui, ma quello, per il giovane Steiner, non
era mai stato un peso, anzi un piacere.
Grande
Sacerdote?! Mormorò Sagitter, seduto sul leone. Saprò comportarmi come tale?
Sarò capace di dimostrare saggezza e tolleranza, senza abbandonarmi ad
eccessivi lassismi che potrebbero minare l’efficienza del Grande Tempio?! Sarà
una grande prova per me! Ooh, Atena!
Datemi la forza per adempiere al meglio tale funzione! Datemi un briciolo della
saggezza del nostro Sacerdote! Che egli sappia trasmettermi la sua forza e la
sua umiltà!
“Micenee!” –La
voce squillante di Ioria lo rubò ai suoi pensieri, ed
infatti il ragazzo comparve nella navata centrale del Quinto Tempio poco dopo,
presto seguito da Galan.
“Ioria!” –Sorrise Micene, balzando giù dal leone di pietra,
ed incamminandosi verso il fratello.
“Cosa facevi sul
leone, Micene?”
“Mi riposavo!”
–Ironizzò il fratello, accarezzando Ioria con una
mano. Quindi incontrò lo sguardo di Galan, che ben lo
conosceva, al punto da percepire immediatamente che qualcosa non andava.
“Ioria, vuoi andare a controllare la focaccia? Non vorrei
che bruciasse!” –Esclamò Galan.
“Ma per chi mi
avete preso?!” –Brontolò il ragazzo. –“Sono un Cavaliere io, mica un cuoco!!”
–E nel dir questo si allontanò, lasciando i due amici da soli al centro del
Tempio del Leone.
“Cosa turba i tuoi
pensieri, Micene?” –Domandò Galan.
“Sono così
prevedibile?!” –Ironizzò Micene, ma l’amico rinnovò la domanda, spingendolo ad
aprirsi con lui. –“Sono turbato da questa tensione con l’Egitto! Non vorrei che
scoppiasse una guerra proprio adesso! In quel caso non potrei esimere Ioria dal combattere!”
“E non credo che
egli vorrebbe rimanere tagliato fuori!”
“Questo è vero!
Per quanto sia diventato un Cavaliere d’Oro, sono sempre protettivo nei suoi
confronti, e vorrei evitargli una guerra aperta!”
“È nel tuo
carattere, Micene, essere protettivo! Lo sei sempre stato con tutti, anche con
me!” –Precisò Galan. –“E sei sempre stato chiuso!
Troppo generoso e preoccupato che gli altri potessero star male per te, al
punto da tenerti dentro i tuoi sentimenti, pur angoscianti che siano!”
“È una predica?”
–Sorrise Micene.
“Vuole soltanto
essere un consiglio! Non c’è bisogno che tu parli per capire quando hai
qualcosa che non va! E non c’è bisogno che tu menta al tuo migliore amico per
nascondere qualcosa di cui non vuoi parlare!”
“Galan…” -Mormorò Micene, mentre il servitore della Quinta
Casa si allontanava.
“Non era una predica,
Micene!” –Sorrise Galan, sollecitando l’amico a
rimanere a cena. –“Semplicemente un invito ad aprire il tuo cuore!” –E
scomparve, rientrando in cucina.
Hai ottime
ragioni per farmi la predica, caro amico! Commentò Micene, rimanendo per qualche minuto nella semioscurità
della navata centrale. Ma non credere che non abbia fiducia in te, o che non
voglia parlartene, ma non posso! No, Galan, non posso
dirti ancora niente! Neppure a te e a mio fratello, che siete da anni la mia
famiglia! Per proteggere Atena nel migliore dei modi! Quindi si incamminò
verso il retro della Quinta Casa di Leo, per rientrare al Tempio del
Sagittario. Ancora una volta immerso nei suoi pensieri. Ancora una volta solo.
***
In quello stesso
momento, molti chilometri a nord del Grande Tempio, nella Foresta Nera della
Germania Meridionale, una bambina correva in un prato attorno a un castello,
rincorrendo un cane bianco a macchie nere. Heinstschein
era il nome del castello, situato in cima ad un aspro colle, ai cui piedi
correvano prati e laghi, e la bambina, dai lisci capelli neri dai riflessi
violacei, era la figlia dei conti che ivi abitavano, insieme a tanta gioviale
servitù.
“Ahaah... fermati Adolfo! Aspettami!” –Rideva la bambina,
inseguendo il cane nell’immenso giardino intorno al castello. Ma il cane
sembrava non udire i rischiami della padroncina, sfrecciando tra gli alberi,
abbaiando, finché non si fermò, permettendo alla bambina di rimetterlo al
guinzaglio.
“Che c’è Adolfo?”
–Domandò la piccola, cercando di calmare il cane, che improvvisamente aveva
iniziato ad agitarsi, quasi come percepisse un pericolo imminente.
Correndo, i due
erano giunti sul retro del castello, a pochi metri da un’abbandonata rimessa,
un magazzino il cui accesso alla bambina era sempre rimasto interdetto da parte
del padre. Ma il cane non sembrava intenzionato ad obbedire agli ordini, e
condusse la piccola fin davanti alla sua porta, il cui lucchetto era stato
chiuso più di duecento anni fa.
“Non…possiamo… entrare!” –Mormorò
la bambina, ricordando gli avvertimenti del padre.
Ma in quel
momento, così vicina alla porta proibita, così travolta dall’influsso di un
antico demonio, la giovane dimenticò gli insegnamenti del padre, e, senza
capire neppure lei come, allungò la mano verso la serratura. Il lucchetto si
aprì e le porte si spalancarono, rivelando ai timidi, ma terribilmente
attratti, occhi della giovane il piccolo interno dell’abbandonato magazzino,
che altro non era se un tempio vuoto in cui era conservata una scatola. Sopra
di essa un sigillo recante la scritta “Atena”.
Atena?! Mormorò la bambina, avvicinandosi alla
scatola, e sfiorandola lievemente. Ma bastò il suo tocco, il lieve tocco del
destino, a far volare via il sigillo di Atena, permettendo a due spiriti di
uscire dalla scatola e librarsi in aria, nel vuoto tempio sopra la testa della
bambina. Immediatamente i due spiriti assunsero le confuse forme di due uomini,
così simili tra loro, per quanto speculari fossero, e ringraziarono la piccola
per averli liberati dopo duecento anni di prigionia.
“Chi... siete?”
–Trovò la forza per balbettare la bambina.
“Hypnos!” –Rispose il primo. –“Colui che governa i sogni!”
“Thanatos!” –Gli
fece eco il secondo. –“Colui che governa la morte!”
La bambina, forse
ricordando antichi precetti del padre, passate lezioni di mitologia classica,
fece un passo indietro terrorizzata, mentre forti gocce di sudore scendevano
sul suo viso pallido e sconvolto. In un momento comprese ciò che aveva fatto, e
se avesse potuto si sarebbe tolta la vita, punendosi per aver liberato lo
spirito maligno con le sue mani.
“Pandora! Fra poco
lo spirito di Sire Ade rinascerà sulla terra come tuo fratello di sangue,
utilizzando il ventre di tua madre! E tu dovrai avere cura del suo spirito!”
Le parole di
Thanatos le tolsero ogni dubbio. Lei, Pandora, figlia dei conti di Heinschtein aveva liberato i demoni dal sigillato scrigno,
contribuendo a incrementare la potenza del male sulla Terra.
Quando Gemini
e Capricorn giunsero a Tebe, nell’Alto Egitto, restarono sbalorditi
dall’immensità della città, che avevano immaginato come una fatiscente località
e abbandonata a se stessa; invece dovettero ammettere che lo splendore dei
tempi antichi, dell’epoca dei Faraoni, era ancora attuale.
Chiamata anche
Uasit, o Pi Amon, la casa di Amon, dal nome del Dio supremo egizio, era nota
agli antichi come la città. Fu capitale del Medio Regno dei Faraoni, in
cui il culto di Amon Ra si diffuse nelle aree circostanti, divenendo grande
meta di pellegrinaggio e dando notevole impulso a attività commerciali e di
scambio, e tale rimase sotto il Nuovo Regno, aumentando ancora il proprio
prestigio, fino alla XXI Dinastia, quando la capitale politica venne trasferita
a Nord, sul delta del Nilo, per quanto la città conservasse un’importanza
fondamentale nel culto di Amon Ra. Da lì iniziò la sua lenta ma progressiva
decadenza, che la rese vittima delle distruzioni di Assurbanibal, ultimo Re
degli Assiri, della schiavitù delle sue genti, di numerosi saccheggi e guerre,
e persino di un terremoto, e che indusse numerosi osservatori, soprattutto
stranieri, a considerarla perduta per sempre, destinata all’oblio del tempo. E
Gemini e Capricorn, come altri greci, erano tra questi.
“Devo
ricredermi!”–Commentò Gemini, entrando per il viale principale di Tebe. –“Avrei
immaginato che la città fosse morta! Invece è ancora un centro pulsante
dell’Alto Egitto!”
“Non soltanto,
Gemini!” –Mormorò Capricorn, guardandosi intorno con circospezione.
Avevano deciso,
per prudenza, di non indossare le Armature d’Oro, preferendo tastare il terreno
e verificare eventuali reazioni, e si erano presentati come normali viaggiatori
stranieri, indossanti vesti greche, con i tipici calzari. Capricorn camminava
sulla destra e tirava veloci occhiate a tutti coloro che incrociavano per
strada, mentre Gemini, apparentemente più rilassato, si perdeva nell’osservare
lo splendore delle mura e dei templi antichi, rimanendo addirittura senza fiato
quando giunsero di fronte a quello che intuirono essere l’edificio più importante.
Circondata da
centinaia di soldati, che intorno vi marciavano armati, un’immensa piramide
nera sorgeva di fronte a loro, alta sessanta metri e dalla base di almeno
altrettanti metri per lato.
“Guarda!” –Esclamò
Capricorn, indicando i soldati. –“Indossano uniformi simili a quelle dei
guerrieri che hanno assalito il Santuario!”
“Prudenza, amico!”
–Mormorò Gemini, con preoccupazione. E si incamminarono verso l’ingresso
principale del monumentale edificio, venendo fermati poco dopo da una pattuglia
di guardie.
“Siamo viaggiatori
greci!” –Esclamò Capricorn. –“Giunti fin qua per incontrare il vostro sovrano!”
“Il nostro
sovrano?!” –Sgranarono gli occhi i soldati.
“Esattamente!”–Precisò
Gemini. –“Colui che comanda la città di Tebe e l’Egitto!”
“La vostra
richiesta è alquanto strana!” –Esclamò un guerriero. –“E oltremodo incerta!”
–Aggiunse, prima che un altro rincarasse la dose. –“Chi siete stranieri? E
perché giungete a quest’ora tarda?”
“Chiediamo scusa
per il nostro ritardo, e per la mancanza di inviti ufficiali, e non è nostro
desiderio causare disagi a voi... ma...” –Esclamò Capricorn, cercando di
recuperare, ma Gemini, stufo di tutti quei discorsi, sollevò l’indice della
mano destra, concentrando il cosmo su di esso.
Immediatamente, un
sottile raggio di luce trapassò la fronte dei vari soldati, mentre Gemini
sorrideva soddisfatto, osservandoli cadere a terra, vittime del suo potere
mentale, mentre la sua energia psichica li invitava a rimettersi in piedi e ad
accondiscendere alle loro richieste.
“Conducetevi dal
vostro signore!” –Esclamò, con un’autorità che stupì persino lo stesso
Capricorn. –“Dobbiamo conferire con chi comanda su Tebe e sull’Egitto!” –E i
soldati, pedine ormai nelle mani del Cavaliere dei Gemelli, acconsentirono,
pregando i due uomini di seguirli, conducendoli all’interno della piramide
nera.
“Dove hai imparato
a plagiare le menti?” –Bisbigliò Capricorn, seguendo Gemini e i soldati.
“Non avevo
intenzione di trascorrere la notte discutendo con dei soldati! Quando ci avranno
condotto dal loro signore, li lascerò liberi!”
Capricorn non
disse altro, piuttosto nervoso per la strana situazione, limitandosi a seguire
i soldati egizi all’interno dell’immensa piramide, formata da molteplici
cunicoli illuminati da fiaccole fissate al muro, finché non giunsero in
un’ampia stanza sul cui fondo si apriva un grande portone dalle borchie dorate,
di fronte al quale stava in piedi un plotone di guardie armate.
“Alt!”
–Esclamarono i soldati davanti alla porta. –“Dove state andando?”
“Accompagniamo
questi viaggiatori da Seth!” –Esclamò uno dei soldati controllati da Gemini.
“Il nostro Signore
sta riposando e non vuole essere disturbato! Perciò ti prego...”
“Sono ospiti
importanti, il cui incontro con Seth è fondamentale per il mantenimento
dell’equilibrio nel Mediterraneo!” –Continuò il soldato, di fronte allo sguardo
attento di Capricorn e Gemini.
Dopo ulteriori
insistenze, e in tempo perché Gemini non decidesse di usare nuovamente il suo
potere psichico sulle guardie al portone, queste acconsentirono, conducendo i
due viaggiatori al di là del portone, in una vasta stanza riccamente
ammobiliata, di statue e mobili in stile egiziano.
Uno strano odore
era nell’aria, un misterioso effluvio di piante particolari, che si
accompagnava a sospetti sibili, cui inizialmente i due Cavalieri non prestarono
orecchio, intenti com’erano ad ammirare il caotico splendore di quel luogo, la
barocca architettura di quel grande salone.
“Chi vi ha detto
di entrare?” –Sibilò una voce, con acidità, rivolgendosi alle guardie.
“Ci perdoni,
vostra altezza, ma... dei viaggiatori vorrebbero conferire con voi!”
“Viaggiatori?!”
–Esclamò sorpresa la voce, provenendo da dietro alcune tende.
Gemini e Capricorn
concentrarono i loro sensi, cercando di mettere a fuoco l’indistinta figura
nascosta dietro ai fluttuanti teli, e per un momento, nella penombra, sembrò
loro che essa mutasse forma, assumendo tratti umani, quegli stessi tratti con
cui si presentò loro.
“Viaggiatori?!”
–Ripeté la voce, sbucando da dietro le tende.
Era un uomo di
mezza età, non troppo alto, con lunghi capelli castani sfilacciati, ornati da
strisce di bianco, che cadevano disordinatamente sulle sue ampie spalle, occhi
piccoli e gialli, che parevano iniettati di sangue, e una grande bocca dalle
labbra rosse, in cui si muoveva velocemente una lingua biforcuta, simile a
quella di un serpente. Indossava una veste verdastra, rifinita d’oro, fermata
in vita da una cinta luminosa, e reggeva in mano un libricino dalle pagine
smunte, che stava probabilmente consultando prima che arrivassero.
“Perdonate
l’intrusione…” -Esclamò Capricorn, inginocchiandosi. –“Siamo viaggiatori greci,
inviati dal Grande Tempio di Atene per conferire con la massima autorità
dell’Egitto!”
“Beh... Allora
siete giunti nel posto giusto, Cavalieri di Atena!” –Sibilò l’uomo stupendo i
due uomini per essere stati riconosciuti.
“Come…?!”
“Potete andare!”
–Esclamò, allontanando le guardie e rimanendo solo con Gemini e Capricorn.
–“Davvero avete creduto di giungere fin qua, nell’antica Tebe, senza essere
notati, Cavalieri di Atena? Siete uomini dai grandi poteri, questo è vero, ma
siete anche un po’ sciocchi!” –Ed esplose in una grossa risata. –“Perdonatemi,
non era mia intenzione mancarvi di rispetto. Volevo soltanto dire che, come massima
autorità dell’Egitto, posso controllare tutto ciò che avviene nella mia città,
e non mi è stato così difficile sentire i vostri cosmi avvicinarsi! Per quanto
celati fossero!”
“Non era nostra
intenzione ingannarvi, signore. Ma poiché siamo giunti come messaggeri di pace,
abbiamo ritenuto opportuno scegliere queste vesti, e non quelle dei
combattenti!”
“Ottima mossa
diplomatica!” –Sorrise l’uomo, scivolando sul pavimento, fino a portarsi loro
di lato e sedersi su uno scranno, che vagamente somigliava a un trono, per
quanto di rozza fattura fosse.
Solo allora,
mentre l’uomo si spostava, Gemini e Capricorn notarono che qualcosa, al suo
passaggio, si mosse sul pavimento, qualcosa frusciò, dando forma a quei
sospetti sibili che avevano udito finora. Intorno a loro, disseminati sul
pavimento e sopra i mobili, nascosti dalla poca luce della stanza, vi erano
centinaia e centinaia di serpenti, di ogni dimensione e specie, lasciati liberi
di muoversi per l’intero salone; e l’uomo, chiunque egli fosse, vi passava attraverso
senza provare il benché minimo sentimento di spaesamento o paura.
“Signore…” -Lo
chiamò Capricorn, cercando di non pensare ai serpenti, per quanto la situazione
lo disgustasse non poco. –“Il Grande Sacerdote di Atena in persona ci ha
assegnato questo incarico, con lo scopo di comprendere le ragioni che hanno
spinto cinquanta soldati egizi ad assalire il Tempio della nostra Dea questa
mattina!”
“Che cosa?!”
–Gridò l’uomo, balzando immediatamente in piedi. –“Questo è impossibile!”
“Affatto!” –Intervenne
Gemini. –“Cinquanta uomini, dalle uniformi identiche a quelle indossate dai
soldati che abbiamo incontrato qua a Tebe, dotati di potenti spade energetiche,
chiamate Spade del Sole, hanno assaltato il Cancello Principale del
Grande Tempio di Atena questa mattina a mezzogiorno in punto, causando la morte
di ventotto soldati e altrettanti feriti!”
“Stento a credere
che quei folli si siano macchiati di un delitto simile!” –Mormorò l’uomo, quasi
riflettendo con se stesso, ma poi, incalzato dalle domande di Gemini e
Capricorn, iniziò a narrare in breve la recente storia dell’Egitto. –“Come
certamente saprete, avendo un minimo di conoscenza al riguardo, l’Egitto non è
mai stato un paese unificato! Religiosamente intendo! Ma sono sorti, durante i
lunghi millenni in cui l’uomo ha adorato gli Dei, numerosi culti in città
diverse, spesso geograficamente vicine ma distanti in quanto a religioni! Vi
sono stati templi in tutto l’Egitto! Ad Assuan, giusto per citarne alcuni, fu
edificato un santuario dedicato ad una triade locale, composta da Anuket, Dea
dell’isola di Sehel, dal Dio Ariete Khumn e da Satis, Dea dell’Isola
Elefantina, a Menfi fu adorato il Dio Api, considerato l’incarnazione del
patrono della città.”
“Ra venne
glorificato qua a Tebe e nell’antica Eliopoli, la città del sole, simbolo del
potente Dio. E spesso, purtroppo, queste città sono state in guerra tra loro,
per motivazioni economiche o di prestigio, o quando non lo sono state hanno
scelto un’altra guerra, silenziosa e lunga ma altrettanto dannosa per le
comunicazioni e i rapporti sociali: l’indifferenza! Non sapete com’è stato
triste, per me, che tanto a cuore ho avuto la prosperità del mio paese,
assistere impassibile alla sua decadenza, all’indolenza che dominava gli
antichi Faraoni e le disincantate Divinità e impediva loro di cooperare per il
bene comune!”
Gemini e Capricorn
ascoltavano interessati il racconto dell’uomo, iniziando lentamente a sentirsi
a proprio agio, per quanto la presenza di quei serpenti attorno li rendesse
nervosi. Improvvisamente, mentre l’uomo narrava le vicende dell’Egitto, a
Gemini parve di sentire una voce, un suono proveniente da lontano che rimbombò
nella sua mente. Un sibilo, un leggero fruscio, impercettibile per Capricorn e
per l’uomo, che lo spinse a voltarsi verso le tende da cui il padrone di casa
era uscito poco prima. Nell’ombra gli parve di vedere occhi rossi fissarlo
avidamente, mentre un’angosciante fitta gli penetrò nel cuore, facendogli
stringere i denti. Durò un attimo, poi non vide più niente, né altri suoni udì
che non fossero le parole pronunciate dall’uomo seduto sul trono.
“Abbiamo
sbagliato!” –Sospirò questi. –“Abbiamo errato per troppo tempo, combattendo tra
di noi, accecati dal potere e dal sogno di sedere sul trono, unificando
l’intero Egitto! Così facendo abbiamo perso il contatto con il popolo, con gli
uomini che un tempo ci adoravano, divenendo vecchie Divinità il cui nome si
perde nella notte dei tempi, spietati assassini desiderosi solo di potere!”
“Di... Divinità?!”
–Mormorò Capricorn. –“Dunque voi siete…?”
“Seth!” –Si
presentò infine l’uomo alzandosi. –“Seth, figlio di Geb e di Nut, una
delle primordiali Divinità egizie, Dio del Deserto, della Siccità e del Cattivo
Tempo, fratello di Iside e di Osiride!”
“Seth?!”
–Ripeterono tra sé Gemini e Capricorn, iniziando a provare una certa
apprensione nel trovarsi di fronte a tale Divinità distruttrice.
“Io sono il
responsabile della nuova unificazione dell’Egitto! Io ne sono stato la mente e
il promotore, colui che ha saputo stabilire una fitta rete di alleanze con le
antiche popolazioni del regno e con le Divinità arroccate nei loro chiusi
Templi!” –Esclamò il Dio, con voce piena di orgoglio. –“Non nascondo che ciò ha
richiesto grandi sacrifici ed immani sforzi, e vittime, inesorabili vittime, ma
ha permesso di raggiungere un equilibrio, di pace e di ordine, riducendo le
guerre intestine e ridando slancio all’economia e alla cooperazione!”
“Dio Seth…”
-Esclamò Capricorn, cercando di capire meglio. –“Cosa potete dirci riguardo
all’attacco subito dal Santuario di Atena questa mattina?”
“Di esso non sono
responsabile!” –Rispose prontamente il Dio. –“Non direttamente almeno!”
“Spiegatevi
meglio!”
“Come vi ho detto,
l’Egitto è oggi una ritrovata potenza, ma questo risultato è stato reso possibile
da un netto giro di vite, da un drastico cambiamento che ho dovuto
necessariamente imporre, con l’aiuto dei miei alleati! Forse a voi, osservatori
esterni, sembrerà una tirannia, una dittatura, ma nel disordine e nell’anarchia
che qua regnavano è stata l’unica scelta in grado di salvare il regno dal caos,
dalle forze centrifughe ideologiche e religiose che avrebbero distrutto
irrimediabilmente l’unità! Non a tutti sono piaciute le mie scelte, le mie e
quelle delle Divinità a me legate, e numerosi movimenti di protesta sono nati,
gruppi di ribelli che arroccati nelle loro roccaforte nel deserto continuamente
ordiscono azioni disturbatrici nei miei confronti e nei confronti della città!”
“Gruppi... di
ribelli?!” –Mormorarono Gemini e Capricorn, nuovamente interessati.
“Si fanno chiamare
i Soldati del Sole, con riferimento al sacro simbolo di Ra, Sommo Dio
dell’Egitto, culto a cui sono devoti, per quanto il Dio creatore mai abbia
avallato le loro tesi violente e sanguinarie!” –Esclamò Seth. –“Hanno assalito
Tebe varie volte, impegnando duramente me e i miei soldati nella difesa della
città! Proprio per questo ho fatto costruire quest’inespugnabile piramide, per
ragioni di sicurezza, sperando che presto si scoraggino e depongano le armi!”
“Crede che siano
costoro ad aver assalito Atene?”
“Ne sono certo!
Non ho altre spiegazioni al riguardo! Non comprendo esattamente il motivo!
Fossero stati anche centomila non credo che avrebbero riportato vittoria alcuna
contro i valorosi Cavalieri di Atena, dallo scintillante cosmo sorretto dalle
stelle! L’unica spiegazione che trovo è che, pur di eliminare me e le altre
Divinità governanti, e riportare l’Egitto al perpetuo caos, siano disposti
persino a vendere la loro terra, rischiando di provocare uno spaventoso conflitto
con Atene, che a nient’altro porterebbe che non ad una guerra fratricida e alla
distruzione reciproca!”
“Un’eventualità
che faremo di tutto per scongiurare!” –Strinse i pugni Capricorn.
“Ne sono certo,
Cavaliere di Atena!” –Esclamò Seth, alzandosi di nuovo in piedi. –“Come io farò
tutto ciò che è in mio potere per risolvere insieme a voi questa incresciosa
crisi che non solo offende l’intero Egitto ma rischia di compromettere
seriamente il lavoro di lunghi anni di sforzi collettivi!”
“Dio Seth… Sono certo
che il Grande Sacerdote di Atene apprezzerà le vostre parole!” –Commentò
Gemini, accennando un sorriso.
“Le parole non
bastano, nobili Cavalieri! Cercherò di rimediare a tali errori, per quanto non
da me commessi direttamente, con le azioni! Ma vi prego, adesso, rimandiamo a
più tardi le nostre conversazioni! Sarete stanchi immagino e avrete bisogno di
riposare e rifocillarvi!” –Affermò Seth, suonando una campana e chiamando un
buon numero di servitori. –“Imbandite una tavola nella Sala del Deserto! Voglio
che i Cavalieri di Atena siano onorati nel migliore dei modi, che gustino, che
assaporino con le loro labbra, le squisitezze del nostro regno, anche
gastronomiche!” –E sogghignò.
“Non vogliamo
recare disturbo, Dio Seth!” –Cercarono di divincolarsi i due Cavalieri d’Oro,
ma il Dio insistette per averli come ospiti alla sua tavola.
“Non capita ogni
giorno di ricevere due valorosi guerrieri greci! Non vorrete farmi il torto di
rifiutare un invito a cena?!”–Ridacchiò il Dio, prendendo entrambi sottobraccio
e incamminandosi verso il portone, fuori dalla stanza. –“Vi assicuro che sarà
un banchetto di tutto rispetto, proprio come siete abituati in Grecia!” –E li
condusse per gli ampi corridoi interni della piramide, seguiti e preceduti da
un buon numero di servitori armati, finché non giunsero in un immenso salone
che lasciò i due Cavalieri senza fiato per la ricca scenografia d’effetto.
Era un’ampia sala
dall’alto soffitto, in cui ventole per l’aria permettevano una libera
respirazione, introducendo anche leggeri odori del deserto, al centro della
quale era stato imbandito un lungo tavolo di legno, ricoperto di numerose
pietanze e decoratissimi servizi pregiati. La luce era assicurata da uno
splendido lampadario ad olio che torreggiava al centro del soffitto, affisso
con cavi dorati, che riprendevano il colore delle pareti: oro, come i riflessi
dei mobili, come le rifiniture degli abiti del Dio Seth, come la cristallina
sabbia che era disseminata sul pavimento.
“E non avete
ancora visto tutto!” –Sogghignò il Dio, tirando una lunga tenda.
Questa scorse via
in fretta, rivelando un’immensa finestra, grande quanto l’intera lunghezza del
lato meridionale della sala, una decina di metri scarsi, uno specchio sul
mondo. Sotto di loro, parecchi metri più in basso, il caldo deserto africano
iniziava a correre verso sud, mentre il Nilo scorreva calmo alla loro destra,
scomparendo all’orizzonte, sottile filo azzurro in un oceano di polvere.
“Questa sala è
meravigliosa!” –Commentò Gemini, estasiato dalle decorazioni, dai
suppellettili, dall’atmosfera che ricreava una vera oasi nel deserto.
“Sono lieto che vi
piaccia, Cavalieri di Atena! La uso solamente per le grandi occasioni!”
–Sorrise Seth, tiratamente. –“E quale migliore di questa?” –E pregò i due
Cavalieri di accomodarsi alla grande tavola, chiamando nuovi servitori per
iniziare il banchetto.
Per un paio di ore
Gemini e Capricorn rimasero a sedere all’imbandita tavola del Dio Seth, mentre
uno stuolo di efficienti servitori continuamente serviva loro nuove portate, di
delicati cibi egiziani, ottimamente preparati. Inizialmente avevano avuto una
certa riluttanza ad assaggiare quelle sconosciute specialità, temendo fossero
intrise di veleno o di sostanze tossiche, ma poi vedendo che le stesse venivano
mangiate con tranquillità dal Dio, si fecero coraggio e iniziarono a
rimpinzarsi, rendendo onore alla cucina del padrone di casa.
“Dove si trova Ra,
Dio Seth?” –Domandò infine Capricorn. –“È ancora vivo?”
“Certo che è vivo!
Un Dio non può morire! Il corpo di un Dio può restare ferito o addirittura
essere ucciso, ma non il suo spirito, che continuerà a perdurare in un limbo
senza fine, in attesa di tornare alla luce!”
“Capisco…”
“Ra vive nel suo
tempio a Karnak, a pochi chilometri da Tebe! Sull’altro lato del Nilo troverete
la città di Luxor, l’harem meridionale
di Ra! Karnak ne costituiva un tempo il sobborgo settentrionale,
collegata a Luxor da un viale ornato da sfingi! Al termine di tale viale sorge
il complesso templare di Amon Ra, uno dei più antichi e mai violati luoghi di
culto egizi! Egli vive al suo interno, vi si è rinchiuso secoli fa, deluso dal
mondo e dagli uomini che contro di lui si ribellarono, e da allora non ne è più
uscito e nessuno lo ha più incontrato, rifiutando questi ogni contatto con
l’esterno!”
“Incredibile!”
–Mormorano i due Cavalieri di Atena. –Non è dunque possibile avvicinarlo?”
“Non sarò io a
farvi desistere dall’impresa! Ma non credo sia prudente sfidare la collera di
un Dio che ha volontariamente scelto di estraniarsi dal mondo! Senza contare le
guardie poste a sua difesa, abili combattenti, al pari, permettetemi di dirlo,
dei Cavalieri di Atena!” –Fece una pausa e poi riprese. –“Ma quali sono i
vostri nomi? Parliamo da quattro ore ormai e ancora non li ho uditi!”
“Perdonateci
questa distrazione! Io sono Saga, ed egli è Shura, entrambi Cavalieri di
Atena!”
“Saga e Shura!”
–Ripeté Seth, osservando attentamente i due. –“E immagino che il vostro rango
sia elevato, o il Grande Sacerdote non vi avrebbe certamente affidato un così
delicato incarico!”
Gemini e Capricorn
non risposero, scambiandosi un’occhiata imbarazzata, ma da essa Seth comprese
molte cose. E sogghignò, sicuro di avere al proprio tavolo due Cavalieri d’Oro.
Sicuro, ed onorato, che le sue prime vittime sarebbero state due Cavalieri di
massimo rango.
Terminato il
banchetto, il Dio invitò Gemini e Capricorn a trattenersi per la notte, e per i
giorni successivi, offrendosi di fare loro da guida nei dintorni, ed
invitandoli, se volevano, a partecipare ad azioni offensive contro i ribelli
Soldati del Sole. I due Cavalieri di Atena confabularono tra loro per un
momento, combattuti sul da farsi, ma poi, sperando di carpire ulteriori
informazioni utili, accettarono l’invito, e si fecero condurre dai servitori di
Seth in una stanza riservata loro.
Una camera molto
vasta, per quanto scarsamente ammobiliata, ma dotata di due morbidi letti e di
una stanza servizi, completa di una grande vasca da bagno con relativi sali
profumati. Stanco per la lunga giornata, Gemini si tolse le vesti, poggiandole
sul letto, ed entrò nell’ampia vasca appoggiando la schiena sul bordo, cercando
un po’ di conforto ai propri affanni. Capricorn lo raggiunse poco dopo,
immergendosi nella calda acqua, mentre nubi di vapore circondarono in breve i
due ragazzi.
“Cosa ne pensi di
questa storia?” –Domandò Gemini al compagno.
“Vuoi davvero
saperlo?!” –Ironizzò Capricorn. –“Non credo ad una parola di Seth!”
“Realmente?!”
“Avanti, Gemini, è
chiaramente una finzione! Seth sta cercando di imbrogliarci, di manipolare le
nostre menti, mostrandoci un frammento di realtà ed interpretandolo alla sua
maniera!”
“È possibile!”
–Commentò Gemini. –“Pur tuttavia non ho percepito menzogne nella sua voce!”
“Un mercante abile
non è colui che nega l’inutilità di un prodotto, per quanto evidente essa sia,
ma colui che, pur mostrando i difetti dello stesso, riesce a farli passare per
pregi ed indurre l’acquirente all’acquisto!” –Spiegò Capricorn. –“E credo che
Seth abbia scelto questa tattica! Presentarsi come colui che ha restaurato l’ordine,
per nascondere la sua dittatura!”
“Questo
pomeriggio, quando siamo arrivati a Tebe, non mi è sembrato che la gente fosse
schiava, né che vi fossero costrizioni ad opera dei soldati di Seth!”
“Potrebbero aver
accettato la cosa, per paura di rappresaglie!” –Avanzò l’ipotesi Capricorn.
“Questo non spiega
ancora perché alcuni guerrieri dalle uniformi identiche a quelle dei suoi
soldati abbiano assalito il Grande Tempio!”
“Credo che avremo
bisogno di aiuto per sbrogliare questa matassa!” –Commentò Capricorn, uscendo
dalla vasca. –“Domani vorrei far visita ad un amico!”
“Un…” -Rifletté
Gemini. –“Capricorn!!! Vuoi recarti a Karnak?!”
“Potrebbe essere
un’idea!”
“Potrebbe essere
un suicidio!” –Commentò Gemini, uscendo dalla vasca a sua volta.
“In ogni caso...
stai in guardia!” –Esclamò Capricorn, proponendo all’amico di fare dei turni di
guardia per la notte. –“Non sono affatto tranquillo!”
Gemini accettò la
proposta dell’amico senza esitazione, offrendosi volontario per il primo turno.
Rimase sveglio per parecchie ore, a camminare avanti e indietro intorno al
letto del Cavaliere del Capricorno, nel profondo buio della stanza, illuminata
soltanto dalla debole luce della luna del deserto che filtrava tra le tende
della finestra.
Camminò per molte ore,
senza mai smettere di pensare, senza mai smettere di riflettere, in un continuo
flusso di emozioni e sensazioni. Per quanto gli dolesse ammetterlo, c’era una
strana simmetria tra quanto suo fratello Kanon gli aveva proposto quel giorno,
uccidere Atena e prendere dominio del Grande Tempio, e quanto stava accadendo
in Egitto, dove un Dio, Signore della Distruzione, potenza maligna per
eccellenza, aveva imposto la sua autorità, giustificando tutto con la necessità
di mantenere l’ordine ed evitare il caos.
Che sia davvero
così sbagliato? Si domandò,
cercando di razionalizzare i pensieri, sbrigliandoli da qualsivoglia legame
personale. Se il mondo stesse realmente precipitando verso la distruzione, e
gli uomini si uccidessero gli uni con gli altri, in una grande guerra civile,
in una continua guerra di tutti contro tutti, non sarebbe positivo, per
l’esistenza stessa della società, l’instaurazione di un potere unico, superiore
alle umane genti, per quanto dispotico possa essere? Non saremmo disposti a
rinunciare a una parte della nostra libertà, pur di permettere alla società
stessa, al mondo intero, di sopravvivere, anziché condannarlo al caos perpetuo,
e quindi alla sua distruzione?
Quei pensieri
tormentavano la mente del diciottenne Cavaliere d’Oro, insieme al doloroso
ricordo del fratello rinchiuso nella prigione marina. E nuovamente Gemini si
chiese se aveva compiuto la scelta migliore. E nuovamente gli pareva di sentire
la voce di Kanon che risuonava dentro di lui.
“Liberami, Gemini!
O la mia maledizione ti seguirà ovunque!” –Gli aveva detto il fratello, e non
era molto lontano dal vero.
In mezzo a tutto
quel crogiuolo di ricordi e sentimenti contrastanti, tra ragione e cuore, tra
razionalità ed emozioni, un fischio stridette sul suo cuore, un richiamo lontano
che già quel giorno, poche ore prima, aveva udito, nella Sala del Trono di
Seth. Una voce parlava direttamente al suo cuore, e adesso, nel silenzio
inquietante di quella notte, Gemini riuscì chiaramente a distinguere le sue
parole, il messaggio a lui diretto.
Quasi fosse uno
zombie, marionetta nelle mani di un astuto burattinaio perfido, Gemini indossò
le sue vesti e uscì dalla camera, osservando Capricorn per l’ultima volta.
Scansò i guerrieri di guardia alla sua porta, che tentarono di fermarlo, sbattendoli
l’uno contro l’altro, prima di inoltrarsi, a passo morbido, nei sepolcrali
corridoi dell’oscura piramide, apparentemente senza una meta precisa. Soltanto
un richiamo muoveva il suo cuore, spingendo il corpo a scendere verso il basso,
verso i sotterranei della costruzione, nella più completa oscurità.
Quando vi giunse,
ansimando a fatica, per l’angoscia che lentamente si era impadronita di lui,
per lo scontro di sentimenti che aveva luogo dentro il suo animo, si ritrovò in
un’ampia sala sotterranea, buia come la notte, rischiarata soltanto da luci
violacee che creavano deformi ombre lungo le pareti e il soffitto. Da là
proveniva la voce che chiamava il suo animo, dall’ammantata figura al centro
della sala, di cui Gemini poteva vedere soltanto gli occhi, due piccole luci
rossastre, e percepire il cosmo, vasto e malefico, e carico di odio. Quello
stesso odio che, adesso lo temeva realmente, gli era sceso nel cuore.
Gemini era in piedi, al centro di una sala poco
illuminata, nei sotterranei della piramide di Tebe, di fronte all’attento
sguardo di una figura ricoperta da un nero mantello, al di sotto del quale
Gemini poteva scorgere due penetranti occhi rossi, intrisi di sangue e di odio.
Per la prima volta il Cavaliere d’Oro tremò, mentre un brivido lo colse,
sentendo quasi la fredda lama di un coltello scendere sulla sua schiena nuda,
vittima inerme di fronte a un potere più grande di lui. Più grande e oscuro.
All'improvviso i
due occhi rossi brillarono intensamente, liberando violenti raggi energetici
che travolsero Gemini, spingendolo indietro e paralizzando i suoi movimenti,
fermandolo a mezz’aria, incapace di muovere anche soltanto un muscolo senza
intercorrere in forti striature energetiche, riflusso di un vasto e oscuro
cosmo che aveva invaso l’intero sotterraneo. Un cosmo che, per quanto gli parve
troppo tenebroso, Gemini temeva di avere già conosciuto.
“Chi… chi sei?!” –Mormorò.
Ma la figura
ammantata parve non ascoltare neppure le sue fragili parole, sollevando, con un
breve cenno della mano, immense vampate di energia cosmica dal colore violaceo,
quasi evanescenti figure che invasero lo stanzone sotterraneo, producendo
sgomento e preoccupazione nel cuore del Cavaliere d’Oro. Sgomento che andò
aumentando quando iniziò a vedervi, in quelle figura, il volto sogghignante di
suo fratello, che lo accusava per averlo tradito e violentato.
“Ben arrivato, Cavaliere
di Gemini!” –Sibilò infine la figura ammantata, iniziando a camminare intorno
al paladino di Atena. –“Ti aspettavo con trepidazione!”
“Mi… aspettavi?!”
“Naturalmente! Ero
certo che avresti accettato il mio invito! Poiché grande era il desiderio del
tuo cuore di ricongiungersi a me, a colui a cui tutto devi e al quale
ubbidirai!”
“Che cosa?!”
“Gemini!” –Esclamò
la voce con decisione, fermandosi di fronte a lui e permettendo al giovane di
perdersi nei suoi occhi rossastri. –“Cedimi la tua vita, affinché io possa
guidarla, facendone uno strumento di morte! Un’arma capace di uccidere la
vergine Dea e oscurare le stelle di Grecia!”
“Mai!!!” –Gridò
Gemini, cercando di resistere al demoniaco cosmo della figura.
“Resistere è
inutile, Cavaliere, perché presto cadrai! Vinto dalle passioni e dai
sentimenti, vinto dalla tua debolezza, vinto dalla tua eccessiva generosità!
Non ritardare l’inevitabile! È vano e dispendioso!”
“Niente è
inevitabile!” –Strinse i pugni Gemini, iniziando a bruciare il proprio cosmo
luminoso. –“Ed io saprò oppormi alla violenta follia di un deicida!”
“Taci! Idiota!”
–Lo zittì questo, puntando l’indice destro contro di lui e sprigionando un
raggio di luce che travolse Gemini, scaraventandolo contro la parete
retrostante, schiacciandolo con forza contro le mura interne, prima di farlo
ricadere al suolo, ansimante e ferito.
“Chi.... Chi sei?
E cosa vuoi da me?” –Rantolò Gemini, rialzandosi.
“Voglio la tua
mano, Cavaliere! Essa stringerà il gladio con il quale ucciderai la Dea,
liberando il mondo dalla sua dannosa presenza, e aprendo la strada alla
rinascita dell’oscurità!”
“Mai!!!” –Gridò
Gemini, lanciandosi avanti, concentrando il cosmo sul palmo destro, sotto forma
di una brillante sfera di energia. La scagliò contro la figura, che non ebbe
alcun problema a fermarla con la mano e a stringerla con forza, dissolvendola
come fosse aria, stupendo Gemini che rimase ammutolito, di fronte a lui.
“Come già ti ho detto… Vano e dispendioso è opporsi all’ombra, perché essa
tutto travolgerà, essa tutto risucchierà!” –Mormorò lo sconosciuto, facendo
avvampare il suo cosmo.
Violacee vampate
di energia cosmica percorsero l’intero salone, stridendo con forza sul corpo di
Gemini e bruciando i suoi vestiti, fino a lasciarlo nudo ed inerme di fronte
alla figura ammantata, che nuovamente bloccò i suoi movimenti, prima di
concentrare il cosmo sul braccio destro.
“Cedimi la tua
anima, Cavaliere di Atena! Di modo che io possa farne strumento utile alla mia
causa!” –Sibilò l’uomo, mentre Gemini ardeva tra le vampate energetiche,
urlando disperatamente.
“Questo non
accadrà! Dovessi morire per impedirlo, ma non accadrà!” –Ed espanse a dismisura
il proprio cosmo, provocando una violenta esplosione che lo liberò dalle vampe
di energia cosmica del suo assalitore, prima che un’abbagliante luce
rischiarasse per un momento la stanza.
L’Armatura dei
Gemelli, rimasta celata fino a quel momento, apparve in forma di totem,
scomponendosi all’istante e ricoprendo il corpo del suo padrone. Grazie ad essa
Gemini acquistò nuova forza e vigore per affrontare il nemico, il quale aveva
osservato l’intera scena senza battere ciglio, minimamente preoccupato da ciò.
Solamente seccato per dover perdere ulteriore tempo.
“Non servirà!”
–Sibilò la figura, scagliando un violento raggio di energia dall’indice contro
Gemini. Ma il Cavaliere d’Oro fu svelto a rotolare sul pavimento ed evitare il
fascio energetico, prima di contrattaccare con il suo colpo segreto: l’Esplosione
Galattica.
“Umpf!” –Sbuffò lo sconosciuto, aprendo il palmo della mano
destra avanti a sé.
Il violento
assalto di Gemini venne contenuto dalla formidabile difesa della figura
ammantata, che utilizzò il proprio cosmo per creare una barriera su cui si
schiantò l’attacco del Cavaliere, prima di rinviarlo indietro, travolgendo il
suo stesso creatore, che venne scaraventato a terra, molti metri addietro,
perdendo l’elmo della sua corazza.
“No!!! Non è
possibile!! Nessuno aveva mai respinto così facilmente l’Esplosione
Galattica!” –Esclamò Gemini, rialzandosi preoccupato.
“Un simile attacco
non ha effetto alcuno su di me! Sul suo creatore!” –Sibilò l’uomo, e queste parole
atterrarono Gemini, più della violenza del suo stesso potere.
“Che… cosa?!” –Mormorò il Cavaliere, non credendo alle
proprie orecchie. Ma non ebbe il tempo di aggiungere altro che fu travolto da
un improvviso assalto di vampe infuocate, che lo avvolsero, stridendo con forza
sulla sua corazza, sollevandolo da terra e conducendolo al centro del salone,
bloccandolo in aria, inerme e terrorizzato come una lepre di fronte a un
serpente.
“Gemini! Ti ordino
di uccidere Atena!” –Esclamò la figura, fissando il Cavaliere negli occhi.
Una pietra nera
posta al suo collo brillò improvvisamente e i suoi cupi riflessi di morte
invasero l’intera stanza, travolgendo i sentimenti dello stesso Gemini,
piegando il suo senso di giustizia e pace, inquinando il suo animo, come già Kanon aveva iniziato a fare nei giorni precedenti.
“N…Nn…Nooo!!!”
–Gridò Gemini, bruciando al massimo il suo cosmo, e cercando di frantumare i
legami che lo opprimevano. Ma l’oscura figura non gli diede tempo,
travolgendolo con una violenta ed impetuosa tempesta di energia, che fece
vibrare l’intero suo corpo, stridendo sulla sua lucente corazza.
“Chi… Chi sei?!! Mostrati!!” –Ebbe la forza di pronunciare
Gemini, che ancora non voleva crederci, che ancora non voleva accettare
quell’ipotesi.
La figura dagli
occhi rossi si avvicinò a lui, mentre era ancora sospeso in aria, avvolto da
vampe incandescenti, e lo fissò con determinazione, sogghignando.
“Sono il tuo
creatore! Colui che farà di te il carnefice, il traditore della propria Dea,
l’uomo che in futuro verrà disprezzato dai suoi stessi pari!” –Sibilò la
figura, mentre il cuore di Gemini piangeva, rigurgitava violente lacrime di
sangue, vomitando una verità che troppo dolore faceva al suo cuore.
“Ma... maestro…” -Mormorò, con gli occhi lucidi.
“Servimi, Gemini!
Come è giusto che sia! Servi il tuo signore, ed avrai la tua ricompensa! Quando
le stelle si spegneranno e la grande ombra calerà su tutti noi, ci sarà spazio
per te, per un uomo che ha rinnegato i propri ideali di pace e giustizia accettando
la tenebra dentro il suo cuore corroso! Nessuno salirà più in alto di te!!!”
–Esclamò la figura ammantata, tronfia del suo potere.
“Mai!!! Mai!!!
Giammai abiurerò la mia fede in Atena! Giammai!!!” –Esclamò Gemini, facendo
nuovamente esplodere il suo cosmo e liberandosi dalle vampe energetiche.
La violenta
esplosione scagliò la figura ammantata indietro, ma questi fu abile a ricadere
compostamente sul palchetto, mentre Gemini si accasciò a terra, debole e
ansimante, per aver messo sotto duro sforzo il suo cosmo. Inoltre, mentre
tentava di difendersi dagli assalti energetici del suo nemico, doveva anche
prestare attenzione al suo cuore, al suo animo, sempre più avvelenato
dall’oscuro influsso di quell’uomo, che nella pietra nera che portava al collo
sembrava aver condensato il male di un intero universo. Può un uomo opporsi a così
tanto male? Si domandò, mentre la figura lo piegava con il suo
potere, obbligandolo a prostrarsi ai suoi piedi.
“Perché opponi
tutta questa resistenza?! Kanon non ha avuto i tuoi
scrupoli!”
“Ka... Kanon?!” –Balbettò Gemini,
sempre più incredulo.
“Tuo fratello, che
hai rinchiuso a Capo Sounion, ha accettato di buon
grado la mia offerta, permettendo al lato oscuro di dominare quel che rimaneva
della sua coscienza! La Pietra Nera non ha dovuto compiere eccessivi sforzi per
asservire il suo animo al male!” –Spiegò l’uomo, mentre Gemini continuava ad
agonizzare tra le violacee fiamme. –“Mi sono servito di lui per arrivare a te!
Credevo, sbagliando, che egli avrebbe potuto convincerti, che avrebbe potuto
risvegliare anche dentro di te il lato dominante, quello del fiero condottiero
capace di instaurare un suo personale regno di oscurità! Ma ha fallito! E per
questo lo condanno a marcire nella prigione marina!”
“Ka... Kanon…” –Mormorò Gemini,
con le lacrime agli occhi. –“Anche tu sei stato usato!”
“È tempo di
chiudere il nostro scontro! Dove Kanon ha fallito, io
trionferò!” –Esclamò l’uomo, concentrando il cosmo sulle dita. –“Grande è il
tuo senso di giustizia e fedeltà a Atena, me ne rendo conto, e niente posso
fare per piegarti se non prendere la tua anima! Demone dell’Oscurità!!!”
Un violento raggio
energetico colpì Gemini in piena fronte, trapassando il suo cranio, senza
danneggiarlo esteriormente, prima di farlo accasciare con le mani alla testa,
come se scoppiasse.
“No!!! No!!! Non
mi avrai!!!” –Gridò Gemini, cercando di rialzarsi. –“Esplosione Galattica!!!”
Ma nuovamente la
figura fermò il colpo segreto con la mano destra, rinviandolo indietro, insieme
a violente fiamme energetiche che travolsero il Cavaliere di Atena, il cui
spirito ormai andava vacillando e perdendosi nell’ombra, in quella stessa ombra
in cui i suoi dubbi lo avevano spinto.
“Pietra nera!!
Compi il tuo dovere! A te affido l’anima di costui! Fanne lo strumento per
portare anarchia e distruzione, agevolando così la discesa della Grande Ombra!”
–Sibilò la figura, mentre una nera pietra, dagli oscuri riflessi, appariva
nella sua mano, mostrandola a Gemini.
Per l’ultima volta
il Cavaliere tentò di resistere, concentrando il cosmo sul palmo destro e
iniziando a distorcere la realtà, ma la figura ammantata gli impedì di usare
quel potere, piazzando la pietra nera di fronte a lui, cingendola al suo collo
ferito, facendone uno strumento nelle mani del caos.
“Kanoon!!!” –Urlò Gemini. E al fratello che aveva perduto
andarono i suoi ultimi pensieri. Gli ultimi, prima di perdere conoscenza, e di
perdere per sempre quel che rimaneva di se stesso.
“Addio, Cavaliere
di Gemini!” –Commentò l’uomo, mentre il guerriero si accasciava a terra, vinto
e distrutto. –“Niente più rimane del tuo incrollabile spirito! La foga di
combattente di Atena ha resistito, e doveroso sarà l’impegno che la nera pietra
dovrà compiere in questi anni, per reprimere la tua vena di giustizia!” –Fece
una pausa, stringendo i pugni e caricando ulteriormente la pietra nera con il
suo violento e demoniaco cosmo. –“Periodicamente il tuo vero io, la tua vera
natura, volta alla giustizia, cercherà di riemergere, frenando le tue malvagie
azioni, ma saranno solamente momenti effimeri, temporanee esternazioni di
un’angoscia interiore che soffocata presto sarà! La Pietra Nera saprà farti
suo, entrando dentro di te, vincendo gli ultimi patetici scrupoli di coscienza,
e ti trasformerà nel demone che divorerà il Santuario, assalendolo
dall’interno! I tuoi silenziosi passi di morte non saranno uditi dai Custodi
del Tempio, ed essi ti guideranno ad efferati assassini, necessari per
indebolire le lucenti forze che all’Ombra vogliono opporsi!”
La figura
ricoperta da un nero mantello rimase ancora per qualche minuto a fissare il
Cavaliere di Atena riverso ai suoi piedi, ormai svenuto, in preda a folli
deliri universali, ad atroci visioni che stavano spezzando quel che rimaneva
del suo spirito, risvegliando il malvagio lato della sua essenza ed aiutandolo
a dominare l’altro, quello più equilibrato, più benigno, più giusto.
Una porta si aprì
lentamente alle spalle dell’uomo, obbligandolo a voltarsi, per incontrare il
volto sogghignante di Seth, primordiale Divinità egizia ed attuale
sovrano della Piramide nera di Tebe.
“Lo hai vinto?”
–Domandò, osservando il giovane al suolo.
“Non io! Ma i suoi
dubbi! La sua umanità!” –Commentò la figura. –“Abbandonatelo su qualche
spiaggia del Mediterraneo, vicino ad Alessandria! Là saprà trovare una nave per
la Grecia! Per qualche ora, o forse qualche giorno, non ricorderà niente, ma
lentamente i suoi confusi ricordi diverranno nitidi ed egli saprà finalmente
chi è! Un servitore dell’oscurità, futuro assassino di Dei!”
“Se egli ucciderà Atena,
potremo prendere possesso del Grande Tempio ed estendere l’occhio del male fino
alla Grecia!” –Commentò soddisfatto Seth.
“E pensi di
riuscirvi, Dio della Siccità?”
“Dubiti dei miei
poteri, uomo?!” –Ribatté stizzito il Dio.
Ma l’ammantata
figura preferì non rispondere, per quanto il termine con il quale lo aveva
etichettato l’aveva mandato in bestia, volendo evitare uno scontro con il suo
provvisorio e scomodo alleato.
“Hai avuto ciò che
volevi!” –Commentò Seth. –“Adesso lascia a me ciò che io desidero!”
“Accomodati!”
–Rispose la figura, senza troppo interesse, incamminandosi verso la porta.
–“Atene è tua! Se riuscirai a conquistarla!”
E se fallirai,
come è ovvio che accada, contribuirai comunque ad indebolirla, portandola sulla
strada del declino a cui io, quest’oggi, l’ho condannata! Rifletté la figura, abbandonando i
sotterranei, nell’oscura notte d’Egitto. Comunque sia, io ho vinto! Sono
riuscito a piazzare un’ombra all’interno del Santuario di Atena, ed essa mi
permetterà di realizzare i miei piani, distruggendo il Grande Tempio
dall’interno, facilitando la discesa della Grande Ombra!
***
Quella stessa
notte, pochi chilometri a est di Tebe, al di là del fiume Nilo, in un antico
santuario, il più spiritualmente potente dell’intero Egitto, un giovane dai
biondi capelli camminava inquieto per i corridoi della fortezza. Le mani unite
dietro la schiena, lo sguardo perso nelle piastrelle del pavimento, la mente in
continua agitazione.
Cosa sta
accadendo aldilà di queste mura?
Si domandò Febo, fermandosi e concentrando i
suoi sensi per superarle, per andare oltre, attraversando il Nilo e
raggiungendo la città di Tebe. Percepisco una forte volontà oscura che mi
inquieta, che non mi dà pace! E l’impossibilità di agire, di fare qualcosa,
anche soltanto verificare cosa sta accadendo, mi indispone ulteriormente!
“Cosa tormenta il
tuo animo, figlio mio?” –Esclamò una voce di donna, interrompendo le
riflessioni del giovane.
“Madre!” –Mormorò Febo, i cui pensieri lo avevano assorto a tal punto da non
aver sentito l’avvicinarsi della donna.
“Mi chiami sempre
madre, nonostante io non ti abbia generato!” –Sorrise serenamente la donna,
orgogliosa dell’affetto che il giovane provava per lei.
“Voi siete per me
la Madre! La mia Dea!”
La donna non era
molto alta e di corporatura media, con un abbondante seno, su cui ricadevano in
parte i suoi lunghi capelli castani, fermati sopra la testa da un originale
copricapo simboleggiante il trono: due lunghe corna ed un disco dorato al
centro di esse. Il viso era bianco come la neve e pareva non avere età. Dai
suoi occhi grigi non traspariva alcuna sensazione alcuna, né di giovinezza né
di vecchiaia, semplicemente essi parevano ricreare il vento, di cui la donna
era il simbolo.
“E non vuoi
confidarti con me, con Iside, Signora della Maternità e della Fertilità?
Forse potrei aiutarti a capire cosa si agita da qualche giorno nel tuo animo?
Perché tale angoscia è forse anche dentro di me!” –Domandò la donna, mentre il
ragazzo iniziava a girarle intorno.
“Neanch’io riesco a spiegarmelo, madre! Ma sento un’ombra
aleggiare su di noi, su tutti noi!”
“Su Karnak?!”
–Domandò subito Iside, con preoccupazione.
“E non soltanto!
Forse anche su Tebe e sull’Egitto!” –Precisò Febo.
–“Non poter uscire, non poter guardare il mondo che si muove attorno a noi, mi
fa sentire in gabbia e impossibilitato ad agire!”
“Sai che è per il
tuo bene che tuo Padre agisce così!” –Esclamò Iside, con tono docile. –“Egli
teme per noi, per i suoi familiari, ed ha scelto di estraniarsi dal mondo,
dalle moltitudini di guerre che continuamente esplodono su questa Terra! Guerre
di uomini contro Divinità, guerre di uomini contro uomini, come quelle che a
lungo hanno imperversato in queste lande sabbiose!”
“Questo non toglie
che mi senta prigioniero! Mi sembra di soffocare tra queste mura!” –Sbottò Febo, scalciando come un toro.
“Misura le tue
parole, figlio di Grecia!” –Lo zittì improvvisamente una terza voce, irrompendo
nella conversazione tra i due.
Iside e Febo si voltarono verso il corridoio centrale e là
intravidero una figura avvicinarsi loro. La luce delle fiaccole affisse ai muri
laterali rischiarò il sogghignante viso di Anhar,
il consigliere di Ra, l’unico che avesse ultimamente accesso alle sue
stanze. Un uomo apparentemente sui trent’anni, alto e moro, con occhi scuri, a
tratti iniettati di sangue, ed un viso ruvido, molto virile, solcato da una
profonda espressione ostile. Indossava una lunga veste nera con cappuccio,
fermata in vita da una fusciacca scarlatta, che lo faceva assomigliare a un frate
di un qualche monastero cristiano.
“Umpf… cosa vuoi da me, Anhar?”
–Domandò Febo freddamente.
“Che tu mostri
maggior rispetto verso colui che ti ha salvato da morte sicura, donandoti un
tetto sotto il quale abitare e crescere, offrendoti l’amore di una famiglia e
la certezza di una vita serena!”
“Non ho
dimenticato i favori che ho riconosciuto dal Sommo Ra, consigliere!” –Esclamò Febo, senza timore. –“Grande è la riconoscenza che provo
per mio Padre! Ma grande è anche il mio desiderio di conoscenza, di scoprire
cosa vi è all’esterno di queste mura!”
“Non vi è niente
che possa interessarti, Febo di Grecia!” –Lo chetò Anhar.
“Perché devi
ripeterlo ogni volta? Ti turba forse che io sia figlio anche della Grecia
antica?”
“Turbarmi?!
Affatto! Ma mi irrita e mi offende il tuo atteggiamento irrispettoso nei
confronti del mio Signore, nonché tuo Padre, il Sommo Ra! Sei sempre scontento
e insoddisfatto di ciò che hai, e miri sempre avanti, ad accrescere la tua
conoscenza! Vuoi forse rivaleggiare con Amon Ra?”
–Sibilò Anhar, e Febo
avvampò d’ira nel sentire tali parole pronunciate da quella viscida figura.
Si mosse,
caricando il pugno destro, per colpire il Consigliere con un diretto sul viso,
ma Iside intervenne in tempo, per prevenire eventuali guai.
“Consigliere Anhar! Quando potrò incontrare il Sommo? Ho bisogno urgente
di conferire con lui!”
“Incontrarlo?! E
perché mai vuoi prenderti l’ardire di disturbare il suo riposo, donna?”
–Brontolò Anhar. –“Non vi ho forse informato che il
desiderio del nostro Signore è quello di non essere mai disturbato per motivo
alcuno? Non vi ho forse ripetuto più volte che egli mi ha nominato suo Oracolo,
nonché tramite tra la sua volontà, che è legge per tutti coloro che dimorano in
questo splendido tempio di Karnak, e voi? Oseresti forse disobbedire agli
ordini del Sommo, tu, che sei Divinità a lui inferiore e devota?”
“Non è mia
intenzione ribellarmi agli ordini del Sommo Amon Ra,
Consigliere Anhar! Ma poiché da molto tempo non ho
occasione di confrontarmi con lui, in un sereno dialogo, gradirei rimediare a
questa mancanza! E soprattutto gradirei chiedere al mio Signore notizie su mio
marito e mio figlio!”
“Questo non è
adesso possibile!” –Sentenziò Anhar, frenando le
richieste della Dea. –“Ra sta riposando ed è immerso in una profonda
meditazione, come vi avevo in precedenza spiegato! Sarà lui stesso, quando lo
vorrà, per bocca mia, che lo rappresento, a chiamarvi a sé!” –Nient’altro aggiunse il servitore di Amon,
scomparendo nell’ombra del corridoio dei sacri templi di Karnak.
Iside rimase
amareggiata da quelle fredde parole, pronunciate senza comprensione alcuna, e
si lasciò cadere sulle ginocchia, strusciando la veste color cremisi sul
pavimento, abbandonandosi a lenti singhiozzi.
“Madre!” –Esclamò Febo, precipitandosi su di lei, per aiutarla a rialzarsi.
–“Non fate così!”
“Perdonami, Febo! Perdona questa stupida donna che non sa essere forte,
che non sa tirar fuori la propria natura divina, e continua ad essere succube
dei sentimenti!” –Mormorò Iside, aggrappandosi alle spalle del biondino.
“Questi sentimenti
sono la vostra forza, madre! Essi vi danno dignità, vi rendono quello che
siete, la nostra Dea della Maternità e della Fertilità, la Madre delle genti
che in voi trovano conforto e speranza! Non denigratevi per ciò che siete, ma
sentitevi degna di voi stessa!” –La confortò Febo,
incamminandosi con lei verso le stanze della Dea.
“Sono in pena per
Osiride e per Horus! Così tanto che il pensiero di loro sovente mi ritorna in
mente, e non mi dà pace, non mi dà tregua! È come un requiem di morte che suona
dentro di me! Ed io non riesco a farlo tacere, non riesco a trovare un modo per
spegnere questa musica che mi angoscia l’anima, che mi fa presagire oscuri
segni di un futuro più incerto che mai!” –Mormorò angosciata la Dea,
lasciandosi distendere dal ragazzo sul grande letto al centro delle sue stanze.
Il letto in cui a
lungo aveva giaciuto con il suo consorte, il Dio Osiride, prima che il Sommo Ra
gli affidasse un prestigioso, a sentir lui, incarico. Per bocca di Anhar.
Per bocca di
quel maledetto Anhar! Soffocò un singhiozzo Iside, rotolandosi
convulsamente sulle lenzuola di seta. Dove sei, Osiride? Da troppo tempo
manchi in questo letto! E dov’è Horus, nostro figlio? Cos’è accaduto
nell’Oltretomba? Si domandò per l’ennesima volta. Senza ottenere risposta.
Febo sospirò dispiaciuto e accennò qualcosa da
dire alla Madre, ma non trovò niente con cui confortarla, nessuna parola che
potesse valere quanto la speranza di sapere suo figlio e l’amato al sicuro.
Lentamente uscì dalle stanze di Iside e nuovamente si ritrovò nei corridoi del
santuario di Karnak da solo. A pensare e a meditare. Senza giungere a soluzione
alcune. Tranne la più ovvia, la più semplice. Era ancora in gabbia, e per il
momento non riusciva a trovare strada alcuna per liberarsi da tale soffocante
prigionia.
Nel frattempo,
mentre Gemini fronteggiava le sue paure nei sotterranei della Piramide nera, il
Cavaliere di Capricorn dormiva sonni agitati
nella stanza che Seth aveva riservato loro. Immaginò di ritrovarsi nudo, completamente
inerme ed esposto agli assalti nemici, in un letto di sabbia, da cui non
riusciva ad uscire, precipitando continuamente al suo interno, come fosse un
vortice di rena che voleva inghiottirlo e trascinarlo dentro di sé, verso
l’abisso. D’un tratto, mentre Capricorn boccheggiando
cercava di risalire la cima del vortice, questo si trasformò nelle immense
fauci di un serpente, dalla lingua biforcuta e dai taglienti denti, che lo
attendeva sogghignante, per prendere la sua vita.
Si svegliò di
scatto, sudando freddo, ansimando nervosamente, solo per scoprire che l’incubo
che aveva vissuto era più reale del previsto, essendo il suo corpo, e il suo
letto, completamente circondato da sibilanti serpenti. Squamosi, con le lingue
biforcute, i velenosi animali avevano cinto d’assedio il letto del Cavaliere,
col chiaro intento di infilare i loro velenosi denti nel suo corpo.
“Avevo proprio
ragione! La nostra presenza non è affatto gradita!” –Rifletté, bruciando il
cosmo.
Un’abbagliante
esplosione di luce annientò i velenosi serpenti, il mobilio e parte delle mura,
lasciando il giovane nudo, in piedi, proprio mentre grida furiose anticipavano
l’ingresso di una decina di guerrieri armati, dalle chiare intenzioni
guerresche. Capricorn, per quanto in forte inferiorità
numerica, non si lasciò abbattere, evocando l’Armatura d’Oro che comparve sopra
di lui, scomponendosi immediatamente e aderendo al suo atletico fisico.
“Fatevi sotto,
canaglie!” –Tuonò il Cavaliere, mentre un gruppo di soldati si lanciava contro
di lui.
“Uccidetelo!”
–Esclamò una voce maschile, proveniente dal gruppo di guerrieri rimasti sulla
soglia.
Quattro soldati
ricoperti da verdi armature rifinite d’oro, proprio come coloro che avevano
invaso il Grande Tempio, si lanciarono su Capricorn,
brandendo le loro spade che scagliarono infuocati fasci energetici contro il
Cavaliere, che fu abile ad evitarli, riuscendo a muoversi a una velocità
superiore. Con un balzo, Capricorn piombò su uno dei
soldati, afferrandolo per il collo con le proprie gambe, prima di sollevarlo da
terra e scagliarlo in alto, fino a farlo schiantare contro un proprio compare.
Subito gli altri due soldati furono su di lui, liberando violenti fasci
energetici, che Capricorn tentò di schivare con
rapidi movimenti, per quanto ristretto fosse lo spazio a sua disposizione.
“Non dategli
tregua!!!” –Urlò ancora una voce, prima che due guerrieri gli si lanciassero
contro.
Capricorn non vide neppure il loro assalto, tanto
veloce e rapida era stata quell’infingarda mossa, impegnato a difendersi dai
fendenti di energia dei soldati del sole, e fu spinto di lato, fino a sbattere
il cranio contro il muro. Fortunatamente la testa era riparata dall’elmo, che
si scheggiò, impedendo al ragazzo di riportare ferite maggiori, ma la botta fu
comunque notevole, al punto da rintronarlo profondamente. Non riuscì neppure a
rimettersi in piedi che fu afferrato per il collo da due robuste e nodose mani,
simili agli artigli di una bestia, e sbattuto bruscamente contro il muro. Una
volta, due volte, tre, fino a far crollare il muro e far precipitare il ragazzo
di sotto, lungo la liscia superficie incurvata della piramide nera. E i suoi
avversari si lanciarono dietro di lui, determinati ad ucciderlo.
Capricorn rotolò sulla superficie incurvata della
piramide per diversi metri, riuscendo finalmente ad aggrapparsi a una sporgenza
e a frenare la propria caduta, mentre due guerrieri scattavano su di lui.
“Adesso basta!”
–Si disse, balzando in alto, mentre due soldati puntavano su di lui,
superandoli e colpendoli alla schiena con un possente calcio, che li fece
sbilanciare e precipitare a terra.
Prima ancora di
riprendere fiato, Capricorn si sentì nuovamente
afferrare da possenti artigli, che stringevano con forza il suo collo ferito,
scuotendolo come un fantoccio. A fatica, il Cavaliere riuscì a storcere il
collo per osservare l’orribile figura animalesca che lo stava tenendo
imprigionato in una stretta mortale, la stessa che lo aveva intrappolato pochi
minuti prima.
Un corpo mostruoso
simile ad una fiera feroce strusciava con violenza contro la sua dorata
corazza, tenendo fermo il Cavaliere con le sue braccia, che altro non erano che
robuste zampe di animale con affilati artigli assassini; solamente il viso era
umano, quello di una donna dagli scuri capelli a caschetto, neri come la notte,
come gli occhi che lo fissavano con rabbia. Con un gesto violento la mostruosa
figura colpì Capricorn in pieno viso, graffiando le
sue guance e scaraventandolo di sotto, facendolo rotolare fino alla base della
Piramide nera, mentre altre grida selvagge si affiancavano a quelle della
bestia, sovrapponendosi ad essa, in un continuo latrato infernale.
Malconcio e
stordito, Capricorn si rimise in piedi, accendendo il
suo cosmo di dorati bagliori, grazie al quale sgominò una decina di soldati
egiziani che gli si erano avventati contro, brandendo le loro infuocate spade.
Ma non riuscì ad evitare il nuovo assalto di quelli che, Capricorn
comprese, non erano semplici soldati, ma veri e propri guerrieri dotati di
cosmo, proprio come lui. Il quale però traeva origine da una fonte diversa, non
dalla rassicurante e sempiterna luce stellare.
Con orrore sollevò
lo sguardo verso la cima della piramide, in quella calma notte africana, resa infernale
dalle grida dei guerrieri e dal rumore degli scontri, sotto una pallida luna,
testimone di quel gioco al massacro. Perché era quello infatti ciò a cui i
Guerrieri d’Egitto miravano, e per tanto, su ordine del loro Signore, il Dio
Seth, loro comandante e alleato, avevano attaccato insieme, per uccidere subito
il Cavaliere di Atena, senza dargli possibilità alcuna di movimento né di
difendersi.
Un grido
furibondo, simile a un ruggito, accompagnò il balzo della mostruosa figura
dall’alto della piramide, che piombò su Capricorn
sbattendolo a terra e montandogli sopra, bloccando i suoi movimenti con le
proprie quattro zampe, dure e resistenti. Quasi come fosse un vero leone.
“La… lasciami, canaglia!!” –Si dimenò il paladino di Atena,
cercando di liberarsi dalla presa della bestia, e fu solo allora che il
Cavaliere si accorse del suo viso umano, e questo lo fece realizzare.
Con un agile
calcio Capricorn riuscì a liberarsi dell’avversaria,
spingendola di lato, facendola rotolare sulla sabbia, mentre cercava di
rimettersi in piedi. Immediatamente altri due guerrieri furono su di lui e i
loro movimenti furono così veloci e drastici da rendere impossibile al ragazzo
capire chi fossero i suoi avversari, per quanto, nel turbolento polverone
sollevatosi, riuscì a distinguere il fiero sguardo di uno sciacallo e un viso
di lupo. Nient’altro vide, dovendo accasciarsi a terra sanguinante, mentre un
diretto lo aveva ferito allo stomaco, facendogli sputare sangue.
“Fate divertire
anche Sobek!” –Esclamò un guerriero, sogghignando
divertito.
“E sia!” –Sibilò
un altro, ricoperto da una pelliccia grigia. Senz’altro aggiungere, il
guerriero giunse le mani, materializzando una sfera di energia che iniziò a
crescere fino a inglobare Capricorn dentro sé.
Travolto, obbligato a roteare su se stesso, mentre la sfera cresceva ancora,
fino a creare un turbine che sollevò polvere e produsse scariche di energia, Capricorn non riuscì a reagire.
“È tutto tuo, Sobek!” –Sibilò il guerriero, dirigendo il vortice
energetico verso il fiume Nilo.
Dopo aver
scaraventato via il Cavaliere, i Guerrieri Egizi tornarono all’entrata della
Piramide Nera, dove incontrarono il loro Signore: Seth, Dio della Siccità e
del Cattivo Tempo, l’uomo che aveva riunificato l’Egitto, annettendo tutti
i culti sotto un’unica guida: la sua. Il Regno del Sole Nero.
Avvolto nella sua
veste verde, rifinita di oro, Seth era uscito dalla piramide, per controllare
il lavoro svolto dai suoi uomini. Un ottimo lavoro, si disse,
sfregandosi le callose mani. Dei due Cavalieri che Atena aveva inviato in
avanscoperta uno era perso nelle melme del Nilo, e presto Sobek
l’avrebbe ucciso, mentre l’altro giaceva nei sotterranei in uno stato di
sospensione, simile a coma.
“Possente Seth!”
–Esclamò una voce di donna, richiamando il Dio alla realtà.
Seth si voltò e
riconobbe le sgraziate forme della Guerriera della Sfinge inginocchiarsi di
fronte a lui, subito imitata da tutti gli altri guerrieri, ad eccezione di uno,
che rimase in piedi, con lo sguardo fieramente diritto verso gli infuocati
rossi di Seth, il quale, dopo avergli lanciato una torva occhiata di sfida, non
lo considerò troppo, preferendo udire le parole della sua guerriera.
“Come ci ha
ordinato abbiamo massacrato il Cavaliere di Atena, lanciandolo debilitato nel
Nilo!”
“Ben fatto, miei
fidi!” –Sogghignò Seth, passando in rassegna l’esercito di fronte. Dieci
guerrieri, uno più spietato dell’altro, e due stanche divinità, desiderose di
rivalsa e di emergere. Questi erano coloro che avevano aderito al suo piano
quando aveva proposto di conquistare il potere a Tebe, per estenderlo poi
sull’intero Egitto. Una conquista che lo aveva lasciato poco soddisfatto,
avendo infatti incontrato minima resistenza. Un aiuto segreto aveva ottenuto,
permettendogli di superare la sorveglianza di Karnak e usare persino il vecchio
Ra per i suoi sporchi piani. Piani che prevedevano l’unificazione dell’Egitto
sotto un’unica bandiera: l’occhio nero che aveva scelto come emblema. L’occhio,
come il simbolo di Ra, la più possente Divinità che aveva sempre desiderato
emulare e superare, ma nero, come il suo animo perverso. Sogghignò, tirando
un’occhiata verso la cima della Piramide, soddisfatto della sua creazione,
prima di dare un nuovo incarico ai suoi guerrieri.
“C’è un moribondo
nelle segrete! Portatelo via e abbandonatelo sul delta del Nilo!”
“Non possiamo
ucciderlo?!” –Domandò il guerriero dalla pelliccia grigia, colui che non si era
inginocchiato a Seth, rimanendo in piedi a fronteggiare il suo sguardo.
“No, Upuaut! Egli vivrà! E sarà proprio lui ad aprirci le strade
del Regno di Grecia!” –Sogghignò Seth, prima di incamminarsi verso l’interno
della Piramide Nera, seguito dai suoi guerrieri. Un attimo prima di richiudere
il portone, il Dio si fermò ad ascoltare il vento, e gli parve di udire le
grida disperate del Cavaliere di Capricorn impegnato
in battaglia contro un agguerrito nemico.
Per quanto Capricorn si fosse dimenato, non era riuscito infatti a
liberarsi dal turbine di energia, che lo aveva scaraventato direttamente nel
Nilo, in una zona solitaria, proprio all’uscita della città sacra, dove il
fiume scendeva, continuando il suo corso verso nord. Il Cavaliere d’Oro,
nonostante il peso della corazza, che in quel frangente più che un’abile difesa
si stava rivelando pericolosa, riuscì a rimanere a galla, nelle fredde acque
del Nilo, e si mosse cercando di raggiungere la sponda, con rapide e possenti
bracciate, quando improvvisamente fu afferrato per le gambe da qualcosa.
“Ahia!!!” –Gridò,
sentendo dolore alle gambe, per quanto protette dall’Armatura d’Oro.
Come se
qualcosa mi avesse azzannato!
Rifletté, dimenandosi selvaggiamente per liberare le gambe, prigioniere di
qualcosa che sembrava un’enorme tenaglia. Vi riuscì, agitandosi con forza,
prima di realizzare la causa di tale morso. Il fiume era infatti pieno di
coccodrilli, grandi, di colore verdastro, ricoperti di resistenti squame, e
disposti tutti intorno a lui, sbattendo con forza le loro potenti code
sull’acqua e spalancando le fauci, mostrando l’enorme dentatura che era loro
propria.
“Sembra che non
sia la mia serata…” –Commentò Capricorn,
bruciando il proprio cosmo dorato.
Immediatamente
l’acqua sembrò allontanarsi da lui, liberando il suo corpo, che si sollevò in
aria poco sopra il livello del fiume, mentre con una violenta esplosione
sollevò gigantesche onde, travolgendo i coccodrilli intorno a lui. Quindi si
trascinò a fatica fino alla sponda del fiume, cercando di uscire da quelle
melmose acque, quando nuovamente fu afferrato per le gambe. Sorpreso, Capricorn sollevò il braccio destro, caricandolo del suo
dorato cosmo, ma prima che riuscisse a muoversi fu travolto dal balzo di una
misteriosa figura, che uscì dall’acqua, sbattendolo contro l’argine e
atterrando proprio su di essa, quasi fosse un pavimento su cui camminare.
“Incredibile!”
–Esclamò, stupefatto di un simile prodigio. –“Chi sei, tu?”
“È Sobek il mio nome, il Dio Coccodrillo!”
–Esclamò, avanzando sull’acqua, con sguardo fiero.
Era un uomo molto
alto, ma di corporatura poco robusta considerata la sua altezza, ricoperto di
un’armatura dal colore verdastro, che somigliava alla pelle squamata di un
coccodrillo, il cui muso era posizionato sul petto, con le fauci spalancate,
mentre doppie file di digrignati denti sorridevano sinistramente. Il viso era
secco e bianco, reso vivo soltanto dagli occhi, piccoli e neri, e da lunghi
capelli verdastri poco curati che scendevano sfilacciati fino alle spalle. In
testa portava una corona a forma di disco solare, con due corna e numerose
piume di falco infilate in essa.
“Sobek?!” –Ripeté il Cavaliere d’Oro, ansimando
nervosamente.
“Precisamente! Sebek o Sochet anche mi chiamano,
e in Grecia sono noto come Suchos! Sono il Dio del
Nilo e delle Inondazioni, Signore delle Sacre Acque di Egitto, e coloro che hai
travolto con il tuo assalto erano i miei adorati figli, i coccodrilli, bestie
sacre di questa terra da te disonorata!”
“Non era mia
intenzione disonorare te o la tua terra, Dio del Nilo! Solamente di salvare la
mia vita, vigliaccamente attaccata da guerrieri sconosciuti, senza valide
motivazioni!”
“Pare che Seth sia
determinato ad ucciderti, Cavaliere di Capricorn, se
ha mobilitato tutto il suo esercito!” –Sghignazzò Sobek,
manifestando il suo potere. –“E non sarò io a tirarmi indietro!”
–Immediatamente le scure acque del Nilo aumentarono la propria densità,
trasformandosi in una verdastra massa di melma che immobilizzò Capricorn, per quanto questi cercasse di dimenarsi e di
liberarsi, riuscendo a lasciare fuori soltanto il braccio destro.
“Fetide melme del
possente Nilo, fate vostro l’uomo che ha osato assalire i coccodrilli vostri
figli!” –La verde poltiglia crebbe ancora, ricoprendo il petto e le spalliere
dell’Armatura di Capricorn, mentre il Cavaliere
muoveva convulsamente il braccio, cercando di fermare la disgustosa avanzata.
“Ah ah ah! Misera
fine per un Cavaliere d’Oro!” –Rise Sobek,
illudendosi di una facile vittoria. Ma l’esplosione del cosmo di Capricorn lo costrinse a ricredersi, e a fare qualche passo
indietro, sempre sulla superficie dell’acqua, per osservare il ragazzo
liberarsi dall’aggrovigliata massa, grazie al cosmo di cui era padrone.
–“Maledetto!” –Strinse i pugni, irato dal fallimento della sua tecnica.
“A me attaccare,
adesso!” –Esclamò Capricorn, sollevando il braccio
destro verso l’alto e caricandolo del suo cosmo. –“Assaggia il taglio della mia
lama dorata!” –Urlò, liberando un violento fendente di energia che distrusse la
melma residua, saettando verso Sobek.
Per evitarlo, il
Dio si spostò di lato, ma dovette riconoscere la velocità e la potenza di quel
colpo, quasi pari alla velocità della luce. Risultato che anch’egli poteva
tranquillamente raggiungere ma lo stupiva che un ragazzino, per quanto
Cavaliere d’Oro, potesse già esserne padrone. Se questi sono i poteri di un
Cavaliere di Atena, Seth dovrà faticare non poco per conquistare Atene!
“Lama dorata!”
–Rinnovò l’assalto Capricorn, ma anche quella volta Sobek riuscì ad evitarlo, spostandosi lateralmente ed
evocando poi il suo maggior potere, quello sul Nilo.
Le acque del fiume
si scossero, mentre immense onde di acqua salivano verso il cielo, percorse dal
verdastro cosmo del Dio Coccodrillo, in piedi sulla superficie del fiume. Prima
che il ragazzo potesse muoversi, fu spinto verso l’alto con immensa forza da
una colonna d’acqua, venendo in seguito travolto da una gigantesca onda. Quindi
nuovamente Capricorn fu sbalzato in alto da una nuova
colonna, prima di essere travolto da sempre più violente onde di acquatica
energia.
“Ah ah ah! Bel
gioco, non credi, Cavaliere?” –Ironizzò Sobek, cui
quello spettacolo accendeva appassionati sfoghi di soddisfazione. Adorava
combattere, soprattutto contro guerrieri più deboli, sui quali poteva riportare
le migliori vittorie facendo sfogo dei suoi molteplici poteri, alcuni in verità
non molto risolutivi, ma disorientanti, soprattutto su un avversario, com’era Capricorn in quel momento, già ferito e stordito.
Se non faccio
qualcosa morirò affogato!
Rifletté Capricorn, sballottato dalle furibonde acque
del Nilo. Bruciò il cosmo, cercando di resistere, di vincere le correnti del
sacro fiume, fermando i propri movimenti e aprendo le braccia lateralmente.
“Uh?!” –Si chiese Sobek, osservando la scena di fronte a sé.
Capricorn aveva fermato le gigantesche onde d’acqua
proprio mentre stavano per schiantarsi su di lui, una da destra e una da
sinistra, e le stava tenendo ferme, impedendo loro di travolgerlo, con i palmi
delle proprie mani ricoperti del suo dorato cosmo.
“Non è possibile!
Come puoi fermare le mie acque?! Le divine acque del Nilo!!!”
“Non l’acqua
fermo, Dio del Nilo, ma gli atomi che la compongono!” –Mormorò Capricorn, ad occhi socchiusi, per meglio concentrare il
proprio cosmo. –“Come ogni Cavaliere, riesco ad agire sulla struttura
molecolare delle tue acque, fermando il loro movimento!”
“Incredibile!”
–Sgranò gli occhi Sobek, prima che una rabbia
devastante lo pervadesse, adirato che qualcuno avesse sventato una sua tecnica,
pur basilare che fosse.
“E adesso…ri.... prenditele!”
–Gridò Capricorn, con notevole sforzo, spingendo le
braccia di lato e poi avanti, dirigendo le gigantesche onde di energia contro
lo stesso Sobek, che venne travolto e trascinato
sott’acqua, mentre anche lo stesso ragazzo veniva trascinato via dalla
turbinosa corrente.
Per un po’, il
Cavaliere di Atena sballottò nelle agitate acque del Nilo, mentre una mandria
di coccodrilli si avventò su di lui, attaccandolo sia sott’acqua che non appena
usciva fuori per respirare. Indebolito dal breve scontro con Sobek, e dai colpi ricevuti dagli sconosciuti guerrieri, Capricorn ridusse al massimo l’uso del proprio cosmo,
colpendo i coccodrilli con pugni e violenti calci, inducendoli ad allontanarsi
da lui. Sospirò, quasi rilassato, vedendo le bestie allontanarsi guaendo sul
Nilo, mentre egli veniva spinto via, verso Nord, dalla corrente.
Ma la sua
rilassatezza si tramutò nuovamente in terrore, quando un’immensa ombra oscurò
la luna, una gigantesca onda di energia acquatica, che scese su di lui alla
velocità della luce, inghiottendolo nella sua tetra morsa. Quando le acque si
calmarono ed il Nilo poté ritrovare la sua antica tranquillità niente rimase
immerso nel sacro fiume. Shura di Capricorn
era scomparso, ed i coccodrilli parvero sogghignare soddisfatti per la vittoria
del loro Signore.
Quella notte Shin
dell’Ariete non riuscì a prendere sonno, rigirandosi nel letto della
Tredicesima Casa, senza trovare quiete ai suoi pensieri, che gli rimbombavano
imperterriti nella mente, che lo riportavano continuamente là, in Egitto, dove
era certo stesse accadendo qualcosa di oscuro. Aveva accumulato abbastanza
esperienza da poter comprendere molte cose semplicemente concentrando i sensi e
ascoltando il vento. Ma quella notte soltanto sospiri lontani giunsero ai suoi
orecchi. Il resto si perse nelle sabbie dell’Egitto, in quelle immense distese
dove il suo cosmo faceva fatica a entrare. A fatica si addormentò, più per
l’esaurimento delle sue forze che non per il desiderio di dormire.
Lo svegliò il suo
fedele servitore alle prime luci dell’alba, per aiutarlo a vestirsi e a
prepararsi per la grande giornata: quel giorno infatti avrebbero avuto inizio i
giochi sportivi delle Panatenee, una sana competizione fisica organizzata dal
Sacerdote sul modello degli antichi Giochi Olimpici, ed egli, quale
rappresentante di Atena e del Grande Tempio, avrebbe dovuto presenziarvi.
“Avete l’aria
stanca, Grande Sacerdote!” –Commentò timidamente Arles, aiutando
l’Oracolo a scendere nella vasca della Sala della Purificazione. –“Non avete
dormito bene?”
“Non ho dormito
affatto!” –Mormorò Shin, sentendo il peso degli anni ricadergli sulle spalle.
“Mi dispiace! C’è
qualcosa che posso fare per alleviare la vostra stanchezza?”
“Non molto, Arles…
Non molto...” –Si limitò a commentare Shin, prima di accennare un sorriso.
“Se volete, posso prendere
il vostro posto alla cerimonia di inaugurazione dei Giochi?!”
“No!” –Rispose
bruscamente Shin, ma poi ringraziò il Cavaliere d’Argento per l’affetto
dimostrato nuovamente. –“Spetta a me quell’incarico! E saprò trovare la forza
per adempiere al mio compito!”
Nervoso e
insicuro! Rifletté il
Sacerdote, lasciandosi cullare dalle tiepide acque della grande vasca. E
impaurito dai giorni che verranno! La stanchezza fisica mi opprime sempre di
più, in maniera inesorabile. Ogni giorno che passa mi sento un anno più
vecchio, e le preoccupazioni di adesso non fanno altro che incrementare la mia
discesa verso le fine!
Ma non devo
lasciarmi abbattere! Si
disse, stringendo i pugni. Non ho ceduto duecento anni fa, in una guerra
disperata da cui ero convinto di non uscire vivo, e non ho intenzione di farlo
adesso! Per Atena, che mi ha onorato di questo supremo incarico, nominandomi
suo rappresentante in terra; per Dohko e per i compagni caduti nel 1743,
giovani cuori che ardevano per la libertà e la giustizia; e per i Cavalieri di
oggi, che hanno ancora bisogno di qualcuno che li guidi, di qualcuno che li
aiuti nel difficile cammino di scoperta di loro stessi, di ciò che
rappresentano realmente!
È un’epoca,
questa, dove molti valori sono andati perduti, dove la tecnologia e le
materialistiche scienze hanno invaso ogni campo della vita umana, sopraffacendo
i vecchi valori e le tradizioni, che pochi cercano di conservare. È un’epoca di
persone sole, dove l’anonimia regna sovrana, e pochi sono dediti agli antichi
culti, pochi venerano ancora gli Dei, preferendo vuoti simulacri che non
appagano il desiderio umano di infinito. Nostro compito, come Sommi Sacerdoti,
è quello di aiutare gli altri a capire, a comprendere dove e come indirizzare
le risorse che portano dentro!
Per questo ho
organizzato le Panatenee, rivitalizzando gli antichi Giochi, per permettere
agli abitanti del Grande Tempio di avvicinarsi alle vecchie tradizioni, alle
nostre tradizioni! Quelle che abbiamo dimenticato! Poiché siamo stati troppo
impegnati a far la guerra, per difenderci da Ares o da Ade, troppo intenti a
chiuderci in noi stessi, dimenticandoci del nostro passato, di ciò che siamo
stati un tempo! Se davvero è giunta la fine, se davvero i miei giorni stanno
volgendo al termine, voglio lasciare un segno, un ricordo di me. Che possa
rinfrancare gli animi e spingere i giovani di oggi a non arrendersi e a
continuare a lottare, per uno scopo superiore che sempre esisterà!
Rifletteva su
questo l’Oracolo di Atena mentre camminava in cima al corteo che stava
attraversando l’intero Grande Tempio. Il momento culminante della festività
delle Panatenee era rappresentato infatti dalla processione organizzata per il
giorno che si riteneva corrispondere al compleanno della Dea. Il corteo,
nell’antica Atene, prendeva avvio presso la porta cittadina del Dìpylon e
attraversava la città fino a concludersi alla statua della Dea presso
l’Acropoli. Ad esso erano soliti partecipare i magistrati in carica, i
portatori di offerte, i musicanti e i Cavalieri, oltre che la gente comune.
La
processione del mese di Ecatombene dell’anno 1973, organizzata da Shin, fu
ricreata in versione ridotta all’interno del Grande Tempio, ma non aveva niente
da invidiare alle manifestazioni dell’età ellenistica, sia in termini
organizzativi che di partecipazione numerica. Una grande massa di fedeli e di
servitori della Dea si era infatti riunita e procedeva compostamente lungo le
strade del Grande Tempio, pregando Atena e trasportando, come nella tradizione,
uno splendido peplo ricamato.
Questo
indumento femminile, privo di maniche, era ottenuto da un rettangolo di stoffa,
che poteva essere indossato con o senza cintura. Fissato sulle spalle da spille
o fermagli, era formato da una gonna, aperta su un lato, e da una ricaduta che
terminava all’altezza della vita. Era stato ricamato nei mesi precedenti dalle ergastine,
fanciulle scelte allo scopo, dirette da due Sacerdotesse arrefore, e vi erano rappresentate
scene prese dalla Gigantomachia e dalle lotte contro Ares e Nettuno.
La
processione aveva preso le mosse dalla piazza antistante il Cancello Principale
e si era inoltrata per le vie del mercato, lambendo le residenze dei soldati,
l’infermeria e giungendo infine all’Arena dei Combattimenti, i cui spalti erano
gremiti di una folla in silenziosa preghiera. La scelta di partire dal Cancello
Principale non aveva subito modifiche, neppure alla luce degli eventi del
giorno precedente. Là infatti erano stati massacrati ventotto soldati di Atena,
e Niso del Tucano era stato ferito, ma il Grande Sacerdote, su consiglio anche
di Arles, non aveva cambiato i piani organizzativi, nella speranza che, alla
luce di quanto accaduto, la benedizione di Atena scendesse presto sull’intero
Santuario, contribuendo a rasserenare le inquiete anime dei suoi abitanti.
Quando
la processione terminò, i fedeli si accomodarono sugli spalti rimasti liberi
dell’Arena, mentre altri rimasero al centro dell’Anfiteatro, ad osservare il
Sacerdote, sul palco più in alto, intento a compiere il rito conclusivo: un
sacrificio di buoi ad Atena, la cosiddetta Ecatombe, che aveva dato origine al
nome del mese in cui le Panatenee si svolgevano.
Cinque
Cavalieri avevano trasportato due buoi nell’Arena, proprio sotto il palco del
Sacerdote: Eurialo del Dorado, Noesis del Triangolo, Argetti
di Eracle, Dedalus della Mosca e Orione del Cane Maggiore.
Quindi avevano fermato i movimenti delle due bestie, usando soltanto la loro
forza fisica, cercando di placare i loro corpi inquieti, poiché era tradizione
che i sacrifici avvenissero con il consenso immaginato delle vittime, da cui si
doveva ottenere almeno un cenno di assenso.
Eurialo
e gli altri quattro Cavalieri d’Argento, ad un gesto del Sacerdote, condussero
i due buoi sul grande palco, sotto gli occhi attenti della folla, che osservò
la meticolosità dell’operazione. Shin cosparse i corpi delle bestie di acqua,
mentre Nonna Ada e un’altra anziana Sacerdotessa, le due arrefore
che avevano ricamato il peplo consacrato ad Atena, gettavano chicchi d’orzo
sull’animale, per terra e sull’altare al centro del palco.
Niso del Tucano spuntò pochi attimi dopo, raggiungendo il
palco e inchinandosi di fronte al Sacerdote. Nonostante la ferita al fianco continuasse
a dargli fastidio, non aveva voluto rinunciare al suo importante ruolo, quello
di portatore dell’arma del sacrificio. Teneva infatti in mano, avvolta in un
mantello color porpora, una robusta scure, che rivelò e porse gentilmente
all’amico Eurialo, il quale la afferrò con mano ferma, prima di calarla sulle
due bestie, abbattendole.
Il
cruento atto fu accompagnato da una preghiera ad Atena, mormorata dal Sacerdote
e da tutti i fedeli, e doveva simboleggiare la protezione della Dea, invocata a
scendere sull’intero suo Tempio, per evitare nuove guerre e pestilenze. Dopo
l’abbattimento, i due animali vennero sgozzati con il coltello sacrificale,
sempre dalle robuste mani di Eurialo, ma il sangue non cadde a terra, bensì
venne raccolto in un recipiente da Nonna Ada e spruzzato sopra l’altare.
“Conducete
i capi dallo splanchnòptes!” –Esclamò il Sacerdote, rivolgendosi ai
Cavalieri d’Argento. –“Che si occupi dello scuoiamento e della macellazione!” –
Quindi concluse la sua preghiera, mentre i Cavalieri si allontanavano con le
carcasse dei buoi sacrificati. –“Che Atena non chieda altro sangue affinché
regni la pace!” –Si augurò Shin, con la voce che gli tremava.
Quindi il
Sacerdote si abbandonò a un piccolo sermone, pronunciato lentamente, a causa
della stanchezza e da un vago senso di nausea, dovuto all’odore di sangue e di
carne cruda che era rimasto nell’aria, non avendo quella mattina ingerito
niente, per la pessima nottata trascorsa.
“Iniziano oggi i
concorsi ginnici delle Panatenee, organizzati sul modello dei Giochi Olimpici
Ateniesi! Possano essere per voi ciò che sono stati realmente nelle mie
intenzioni! Un’occasione per stare insieme, per conoscersi, per gareggiare
fianco a fianco, con lealtà e con spirito di sacrificio! Un momento per ritrovare
noi stessi e ciò che siamo, tuffandoci nelle dimenticate tradizioni dei nostri
avi! Una celebrazione del nostro Santuario, della nostra Dea che questo luogo
edificò, e della vita, supremo bene di cui disponiamo!” –Quindi si fermò un
attimo, volgendo lo sguardo a destra, mentre un giovane alto e snello lo
raggiungeva sul palco, inchinandosi di fronte a lui.
“Koroibos,
eccellente allenatore sportivo, nonché capo della commissione organizzativa dei
giochi delle Panatenee, dirigerà la manifestazione! E sarà lui, per volontà
mia, e di Atena che io rappresento, ad illustrarvi gli splendidi giochi a cui
preparatissimi atleti prenderanno parte tra breve!” –Esclamò il Sacerdote,
facendo un passo indietro, mentre Koroibos raggiungeva il centro del palco, tra
le grida festose e gli scroscianti applausi della folla.
Era costui un
giovane alto e snello, con ricciuti capelli castani, un viso sbarazzino, dal
carnato chiaro, su cui spiccavano due splendidi occhi verdi. Indossava tipiche
vesti greche, con i calzari coturni annodati intorno alle gambe, e una tenia in
fronte, il nastro portato dai sacerdoti, dai vincitori e dagli atleti
d’eccellenza con significato culturale e festivo.
“Popolo del Grande
Tempio! Siete tutti invitati a partecipare a questa splendida manifestazione
organizzata dal Sommo Sacerdote! Sette saranno le gare in cui i migliori atleti
dell’Attica si cimenteranno! E voi, tutti voi, potrete accompagnarli,
gareggiando con loro, sfidandoli, mettendo in gioco voi stessi e le vostre
capacità!” –Iniziò a parlare Koroibos, cercando di arringare la folla. –“La
prima gara sarà la corsa con i carri, quindi seguiranno la corsa, il lancio del
giavellotto, il pancrazio, il lancio del disco, il salto in lungo ed infine la
celebre lampadedromìa, ovvero la corsa con le torce, che chiuderà,
domani notte, questa lunga serie di gare!
Vi
saranno banchetti in ogni zona del Santuario e spazi destinati alla lirica e
alla poesia dove i nostri abili musici, da tutta la Grecia provenienti,
delizieranno le nostre orecchia con canti e motivi di gran pregio! Spettacoli
di danza e fuochi pirotecnici completeranno il tutto! I premi per i vincitori
delle gare saranno meravigliose anfore panatenaiche, ornate con l’effige di
Atena, e contenente l’olio degli olivi sacri alla Dea, in numero variabile secondo
le discipline e le classi d’età!”
Dopo
che Koroibos ebbe finito di parlare, la folla esplose in scroscianti applausi
ed egli sorrise, soddisfatto di tanta partecipazione. Si voltò indietro,
scambiando qualche parola con l’Oracolo di Atena, prima che questi,
dichiarandosi stanco, si allontanasse con alcuni sacerdoti del suo seguito, con
Nonna Ada e l’altra sacerdotessa arrefora. La folla iniziò a disperdersi,
dirigendosi verso i luoghi in cui si sarebbero svolte le gare e verso le cucine
ed i banchetti per pasteggiare.
Koroibos discese
quindi le scalinate degli spalti, tra i sorrisi e le pacche festose del
pubblico, che lo amava e lo osannava come uno dei migliori atleti di Grecia,
velocissimo nella corsa e preciso come un falco nel lancio del giavellotto.
Raggiunse un gruppetto di Cavalieri di Atena intenti a parlare tra loro e
domandò se si fossero già iscritti alle gare ginniche.
“Certamente!”
–Esclamò il robusto Argetti di Eracle. –“Tocca questi muscoli ragazzo! Sono
quelli che stenderanno tutti i miei avversari nel pancrazio!” –Ironizzò,
mostrando il nerboruto braccio.
“Saprete
certamente che dovrete gareggiare senza fare uso del cosmo ed è per questo
che…” –Esclamò Koroibos, ma Dedalus della Mosca lo interruppe.
“Ed è per questo che,
in quanto Cavalieri, siamo esclusi dalla corsa, ma ammessi soltanto ai giochi
di mera forza fisica!” –Sbuffò, scocciato. –“Che si riducono al pancrazio e
alla corsa coi carri!”
“Non fare
dell’ostruzionismo, Dedalus!” –Lo rimproverò Orione del Cane Maggiore.
–“Anch’io avrei voluto gareggiare nella corsa! Ma non sarebbe corretto nei
confronti degli altri atleti, uomini semplici e valorosi che si sono duramente
allenati, senza disporre dei poteri del cosmo!”
“Precisamente,
Cavaliere del Cane Maggiore!” –Sorrise Koroibos. –“Voi Cavalieri fareste
mangiare loro del fumo!” –Rise, ma la sua battuta non soddisfece l’attesa
delusa dei Cavalieri d’Argento. –“Comunque... vi sono anche altre occasioni di
gareggiare in questi giorni di festa!”
“E quali
sarebbero?” –Domandò Dedalus.
In quel momento
una leggera melodia risuonò nell’aria, un dolcissimo canto d’amore giunse alle
orecchie di tutti i presenti. E fece sorridere Koroibos, che ben conosceva
l’autore di quel motivo. Il Cavaliere d’Argento più amato dell’intero Santuario
di Atena, non solo per le sue indubbie qualità guerriere ma anche per la sua
umanità, per la sua vicinanza con la gente comune, di cui sapeva cantare gli
umori e i sentimenti, pizzicando con le dita la sua lira argentata, per quanto
preferisse cantare motivi d’amore per la sua amata.
“Orfeo della Lira
Cantore!” –Esclamò Dedalus, quasi disgustato, all’apparizione del giovane.
Era costui un
ragazzo quasi ventenne, alto e ben fatto, con mossi capelli celesti e brillanti
occhi che risaltavano sul suo viso elegante. Indossava un’Armatura d’Argento,
dal colore candido come la neve, e stringeva sotto il braccio sinistro una
lira. La mano destra era invece nella mano di un’esile fanciulla dai lunghi
capelli biondi, alta e snella, con uno sguardo pieno di ammirazione e di amore
nei confronti del suo unico e vero amore.
“Salute a voi,
Cavalieri d’Argento!” –Sorrise loro Orfeo, fermandosi davanti ai quattro
uomini. –“E a voi, Maestro Koroibos! Quando inizieranno le gare di canto e di
danza?” –Chiese all’allenatore.
“Questo
pomeriggio, Orfeo! Ma non dirmi che hai intenzione di partecipare, mio caro, o
tutti i concorrenti ritireranno la loro iscrizione! Con tu e la tua cetra in
gara, non c’è gioco per nessuno!” –Ironizzò Koroibos, avvicinandosi alla coppia.
“Non è per la
vittoria che bramo di partecipare, Maestro Koroibos! Ma per cantare il mio
amore ad Euridice, che nella musica al massimo riesco a riversare!” –Spiegò
Orfeo, con voce pacata, sorridendo alla ragazza che si teneva stretta a lui.
–“Per lei io canto, e niente più!”
“Hai un talento
naturale, ragazzo!” –Gli sorrise Koroibos. –“Al suono della tua cetra il mondo
pare fermarsi per ascoltarti! Persino gli alberi e gli animali rimangono
incantati!”
“Ma dubito che sia
arma efficace in battaglia!” –Intervenne bruscamente Argetti, sbattendo un
piede sul terreno. –“Sono i muscoli e la forza fisica a determinare la
vittoria!”
“Non esserne
certo, Cavaliere di Eracle! Lottare contro un nemico è come gareggiare contro
altri avversari in una competizione sportiva! È un’occasione dove dare il
massimo per affermare noi stessi e ciò che siamo! La forza fisica è importante,
indiscutibilmente, ma non è tutto! Non può essere tutto!” –Spiegò Koroibos,
incontrando il sorridente sguardo di Orfeo. –“Vi sono numerose altre doti che
entrano in gioco in battaglia! L’agilità, la velocità, la strategia, la
tenacia, la determinazione! Tutti elementi che mescolati insieme portano il
vero atleta, colui che conosce il suo obiettivo finale e fa di tutto per
arrivarvi, alla vittoria! Perché solo un atleta determinato può vincere una
gara, come solo un Cavaliere determinato può uscire vincitore da uno scontro in
battaglia!” –Esclamò, e le sue parole caddero come una sentenza sui volti
attenti dei Cavalieri d’Argento.
“Lottare per gli
altri, per proteggerli e renderli felici, sentendosi da loro ammirati, è bello,
ed è anche nobile!” –Aggiunse, fissando Orfeo negli occhi. –“Ma può rivelarsi
fatale, se non si è convinti fino in fondo della causa per cui stiamo lottando!
È la motivazione che fa la differenza! Ricordalo!” –Mormorò Koroibos,
allontanandosi.
Orfeo rimase un
attimo colpito dalle parole del maestro e fu il lieve tocco della mano di
Euridice a riportarlo alla realtà. Il ragazzo si voltò verso di lei, trovandola
sorridente e ansiosa come sempre di vivere con lui quello spicchio di vita
mortale che era data loro. Orfeo ricambiò il suo sorriso e si allontanò con
lei, dirigendosi verso i prati dei banchetti, sul lato meridionale del Grande
Tempio.
Argetti, Dedalus e
Orione restarono per qualche minuto ad osservare il Cavaliere allontanarsi mano
per mano con la sua amata, quasi nauseati da tutto quell’amore, ai loro occhi
stucchevole.
“Quello non è un
Cavaliere, è un damerino!” –Brontolò Argetti, arricciando il naso. –“Cos’è? Ha
forse paura di sporcarsi? In un corpo a corpo lo pianterei in terra con un
pugno sul capo!”
“Ed io gli farei
mangiare la mia polvere nella corsa veloce!” –Proseguì Dedalus, con tono
provocatorio. –“Ha paura di sudare e di sporcarsi il bellimbusto!” –Ma Orione
zittì entrambi.
“Non riuscireste
neppure ad avvicinarvi ad Orfeo!”
“Eeh?! Ma cosa
dici, Orione?!” –Sgranarono gli occhi Argetti e Dedalus.
“Voi non conoscete
il potenziale che quel ragazzo racchiude in sé! Nonostante le sue apparenze
eleganti, quasi efebiche, che lo raffigurano più come un damerino intento a
declamare poesie in un salotto, Orfeo è un Cavaliere dagli immani poteri, al
punto che molti sostengono che potrebbe essere un Cavaliere d’Oro, avendo le
capacità per ambire ai Dodici scrigni dorati!”
“Un Cavaliere
d’Oro?!” –Brontolò Argetti. –“Chiacchiere da mercato, Orione!”
“Forse!” –Lo zittì
l’amico. –“O verità nascosta che giace sepolta nel nulla! Nascosta nel timido
cuore di Orfeo, innamorato più della sua bella Euridice che della sua stessa
vita! Quand’egli realizzerà cosa significa per lui essere un Cavaliere di
Atena, forse potremo valutare realmente il suo potere! Per adesso riesco
soltanto a percepire un potenziale celato dentro di lui! Un cosmo vasto e
luminoso, ma al tempo stesso solcato dal dubbio!” –Mormorò Orione, e
nient’altro aggiunse.
Lasciati i tre
Cavalieri d’Argento, Orfeo e Euridice si diressero verso i prati del
lato meridionale, dove erano stati sistemati tavoli e banchetti per pranzare
all’aria aperta e dove nel pomeriggio si sarebbero svolte gare canore, danze e
declamazioni di poesie. Euridice correva nel prato fiorito, inseguendo
farfalle, splendida come la prima volta in cui Orfeo l’aveva ammirata. Più
bella del sole.
“Euridice!” –La
chiamò Orfeo, tirandola a sé e baciandola. Incapace di separarsi da lei anche
solo per un momento. Tremendamente attratto dai suoi occhi, dal suo cuore,
dall’idea stessa di lei.
Perché era quello
che gli mancava ogni volta in cui Euridice si allontanava. Ogni volta in cui
posava il suo sguardo lontano da lui. Eros, Dio Supremo dell’Amore e delle
Forze Primordiali, lo aveva trafitto con il suo dardo, scatenando un
incantesimo, un potere più grande di qualsiasi cosmo, capace di vincere il
tempo e divenire eternità. Un potere chiamato amore.
E di questo Orfeo
era consapevole. Di quanto grande fosse quel potere, di quanto bene lo facesse
sentire, di quanto felice lo rendesse in ogni singolo momento in cui stava con
lei, in cui la cingeva tra le braccia, dichiarandogli il suo amore, e cantando
per lei, nelle fresche notti d’estate, sulla scogliera sul mare. Soli, mentre
tutto il resto rimaneva indietro, tutto il resto rimaneva lontano.
Ma Orfeo era un
Cavaliere, e dei più potenti, a detta del suo maestro. Un uomo che aveva
cercato di risvegliare il potenziale sopito del Cavaliere della Lira, motivando
le sue azioni, cercando di indirizzare lo splendore del suo cosmo verso un fine
ultimo, non contingente. Un fine a cui Orfeo sembrava continuamente sfuggire.
“Cosa ti spaventa
così tanto da frenarti in battaglia?” –Gli aveva chiesto una volta Koroibos.
–“La morte?”
“Non credo di
essere fatto per diventare Cavaliere, maestro!” –Aveva risposto Orfeo,
malinconicamente. –“Le guerre e le stragi non mi si addicono, né la turbolenta
violenza della battaglia! Non datemi del pavido, poiché non esiterei a
lanciarmi nel fuoco se vi sapessi in pericolo, o qualcuno a cui molto sono
legato, ma neppure dell’eroe, perché non credo sia nella mia natura!”
“Gli eroi non
esistono, Orfeo!” –Gli aveva sorriso Koroibos. –“Sono soltanto persone che
fanno la differenza! E tu, con queste nobili e misurate parole, hai già
dimostrato di essere sulla strada buona! La vittoria che brami, la felicità che
cerchi, la otterrai anche con la modestia! Ma fa sì che tale modestia non
diventi indecisione, non diventi rinuncia! O perderai te stesso e i migliori
anni della tua vita a chiederti cosa sia meglio fare per viverla fino in fondo,
senza accorgerti di quante occasioni hai mancato!”
Le parole di
Koroibos risuonavano sempre nella mente di Orfeo, ed egli, talvolta, pensava
fossero la sua maledizione, soprattutto da quando aveva conosciuto Euridice, da
quando si era innamorato follemente di lei. In quei momenti, quando stava con
lei e giacevano insieme sul mare al tramonto, Orfeo non vedeva altro, non
sentiva altro se non il richiamo dell’amore. Neppure Atena, neppure la sua
missione di Cavaliere della giustizia. Tutto passava in secondo piano, tutto
era il secondo piano rispetto all’amore per Euridice. E questo lo spaventava, e
in parte lo faceva sentire in colpa.
Lo spaventava
perché aveva paura di perdere quell’amore che tanta forza e gioia dava al suo
animo, per un banale incidente, per un gesto avventato o in una guerra che non
avrebbe voluto combattere. E spesso si sentiva oppresso, si sentiva frustrato,
incapace di continuare a vivere nel presente, timoroso di non avere un futuro.
Timoroso di poter perdere tutto da un momento all’altro.
Ma al tempo stesso
si sentiva anche colpevole, nei confronti di Atena e dei suoi compagni, e delle
genti che doveva proteggere ma di cui spesso si dimenticava. Non per cattiveria
o per indolenza, semplicemente perché amava fuggire dal mondo e rifugiarsi
nella sua isola felice, dove esisteva soltanto Euridice, il loro amore e
nient’altro. Niente guerre, né violenze, né morte. Soltanto amore.
Koroibos,
maestro mio! Passano gli
anni ma voi rimanete sempre il migliore! Rifletté Orfeo, accomodandosi
insieme ad Euridice a un banchetto. Per
tutti questi anni, anche dopo l’investitura, non avete mai smesso di seguirmi e di darmi utili consigli,
sorreggendomi ogni qualvolta le mie gambe non fossero state in grado di farlo!
E anche oggi ne avete avuto l’occasione!
Perdonatemi se
non sono stato l’allievo che avreste voluto! Se non sono così determinato e
desideroso di combattere come un Cavaliere dovrebbe essere, senza tutta questa
esitazione e questo dubbio che mi attanaglia il cuore! Mormorò, prima che le delicate mani di
Euridice gli sfiorassero il viso, facendolo voltare e perdersi nuovamente in
lei. Ma l’amo! E non vi è altro al mondo che valga per me altrettanto! Non
vi è altro al mondo che mi rechi maggior conforto e felicità!
Nel primo
pomeriggio, dopo un lauto banchetto, Orfeo ed Euridice camminarono nei prati
fioriti attorno al Grande Tempio, fermandosi infine di fronte a una sporgenza
rocciosa, un enorme masso che spuntava al sottosuolo in quel lago di fiori. Il
luogo del loro primo incontro. Là infatti, pochi anni prima, Orfeo l’aveva
ammirata, intenta a cantare sulla roccia, con una corona di fiori in testa.
L’aveva ammirata e ne era rimasto abbagliato, come si resta nel guardare il
sole senza coprirsi gli occhi. E da quel giorno non era passato momento della
sua vita in cui non avesse pensato a lei, all’unico sole capace di scaldargli
il cuore.
Euridice sedette
sulla roccia e Orfeo si accomodò al suo fianco, iniziando a pizzicare le corde
della sua arpa, lasciando scivolare dolci note in quel soleggiato pomeriggio
d’estate. I fiori iniziarono a danzare, roteando intorno a loro, in un profumato
circolo di amore che lentamente si strinse su di loro, mentre le delicate note
di Orfeo invadevano l’aria, in un’armoniosa serenata.
“Risvegliarsi!”
–Mormorò infine Orfeo. –“Mentre le ombre sfumano e il vento dal mare mormora
silenzi lontani, mentre l'angoscia va
giù e lascia al posto alla serenità, mentre smetto di chiedermi come andrà e
perché, e mi limito a farla andare. Mi limito a sorridere, ad assaporare un
raggio di sole, un giorno di felicità che il destino mi ha donato.
Risvegliarsi, e pensare a te. Sensazione strana, sicuramente, ma piacevole....
tremendamente piacevole.”
Sorrise, Orfeo della Lira, ma in fondo al cuore non poté fare a meno di
sentire un corvo gracchiare nell’aria. Un suono stridulo, per quanto
insignificante potesse essere, capace di rovinare l’armonia cosmica di quel
momento. Un grido che gli ricordò il suo dovere di Cavaliere di Atena,
destinato a proteggere la Dea e le genti libere dal male. Un urlo di guerra.
Ai Cinque Picchi Mur era rimasto ad osservare gli addestramenti degli
allievi del Vecchio Maestro: Ascanio e Tebaldo, due giovani cuori desiderosi di battersi
per la giustizia e di ottenere la sacra armatura custodita in Cina. Il Maestro
spiegò infatti a Mur che nelle acque sotto la cascata
dei Cinque Picchi era custodita una delle cinquantadue corazze di bronzo,
sicuramente la più resistente.
“Secondo le
leggende che in questi luoghi si narrano, questa cascata è nata in epoca
antichissima, da frammenti di stelle! Il Drago, simbolo di Cina, è la
costellazione guida del Cavaliere che indosserà l’armatura nascosta sotto la
Cascata dei Cinque Picchi, una corazza più resistente del diamante grazie al
continuo cadere delle acque della galassia, caricate, a quanto pare, di polvere
di stelle!”
“Polvere di
stelle?!” –Mormorò Mur, ricordando gli insegnamenti
del suo maestro. –“Uno degli elementi necessari per la costruzione delle Sacre
Armature!”
“Necessario e
indispensabile! È essa a conferire lucentezza alle armature dei Cavalieri! Una
luce profonda, espressione del bagliore delle stelle! E le vostre, le Dodici
Armature d’Oro, sono le più luminose, perché in esse, oltre al bagliore delle
stelle, risiede l’immenso potere del sole, trovandosi le vostre costellazioni
lungo l’Eclittica, la via percorsa dalla Terra intorno al Sole ogni anno! Non
sottovalutare il potere della tua Armatura, Cavaliere di Ariete!” –Esclamò il
Vecchio Maestro. –“Chissà… Un giorno potrebbe esserti
utile persino questo mio misero insegnamento!”
“Non denigratevi
senza motivo, venerabile Maestro!” –Affermò Mur con
decisione. –“Preziosi sono i vostri insegnamenti e confortante la vostra
presenza, specialmente per il Grande Sacerdote, vostro antico amico, che qua mi
ha inviato per consegnarvi un dono! Avrebbe voluto venire lui, a respirare
questa tonificante aria, ma la vecchiaia e i suoi impegni non gli permettono di
muoversi! Oggi sono iniziati infatti i giochi delle Panatenee, e Shin avrà dovuto sicuramente presenziarvi!”
Il maestro
sorrise, ripensando al caro amico, ma prima che riuscisse ad aggiungere altro
fu interrotto dall’arrivo improvviso di Ascanio, il
quale, affaticato per l’allenamento, respirava affannosamente.
“Perdonatemi,
maestro!” –Esordì, mentre sudore grondava sul suo volto abbronzato. –“Ma ho
udito parlare delle Panatenee! È dunque vero che il Sacerdote di Grecia ha
ripristinato l’antica usanza?”
Mur annuì, spiegando l’importanza della festa,
occasione di preghiera ma anche momento di sport.
“Ho sempre provato
forte ammirazione per i campioni greci!” –Esclamò Ascanio,
estasiato. –“Immaginavo di essere alla guida di un cocchio nella corsa delle
bighe o di avere il fisico di Eracle, e poter sollevare montagne con la forza
delle braccia, e scagliarle lontano! Oooh... cosa non
darei per essere nell’Arena di Atene a gareggiare!!!”
“Sento un forte
desiderio di emergere in te, giovane Ascanio!” –Disse
il maestro. –“E il pensiero delle Panatenee ha acceso dentro al tuo spirito un
fuoco vitale che non avevo mai ammirato!”
“Chiedo perdono
Vecchio Maestro per questo mio sciocco desiderio infantile, ma ho fin da
bambino ho fantasticato su tale grandioso evento, chiedendomi se, per qualche
caso fortuito del destino, un giorno non sarei riuscito a parteciparvi, non
essendovi altro che desideri così tanto!”
“Nient’altro?!”
–Domandò il maestro, sornione. –“Neppure conquistare l’Armatura del Drago?”
“Ouh... beh... Una cosa non esclude l’altra! Perderei
soltanto pochi giorni del mio addestramento!”
“Per tutti questi
anni...” –Commentò il maestro, senza staccare lo sguardo dalla cascata. –“Sono
rimasto qua… ad osservare l’acqua scrosciare
dall’alto del monte fino alle rive del lago, a chiedermi quante gocce sono
passate davanti ai miei occhi! Ho addestrato molti allievi, alcuni soltanto per
pochi mesi, altri per anni, ma non ho mai concesso permessi di alcun genere, Ascanio! Un addestramento presuppone regole ferree e
decise, che inquadrino gli spiriti irrequieti verso uno scopo più nobile, più
eterno, che non sia la conquista di una coppa d’oro o di un’anfora di olio!”
“Ma... maestro...”
–Mormorò Ascanio, ma l’uomo lo zittì bruscamente.
“Ma non ho mai
smesso di chiedermi cosa ne fosse di tutte quelle gocce e dove finissero.
Spesso avrei voluto essere una di esse, scivolare lungo il fiume e raggiungere
il mare, mettendomi nuovamente in gioco! Se davvero è così grande il tuo
desiderio di prendere parte alle Panatenee, io ti accorderò il mio permesso! A
patto che tu sia in Cina tra quattro giorni, al termine dei giochi!”
“Maestro…io… non so come
ringraziarvi!” –Esclamò Ascanio, in visibilio per una
notizia simile. Si inginocchiò di fronte al Vecchio Maestro, con gli occhi
lucidi di lacrime, e lo ringraziò più volte per la sua comprensione, prima di
rimettersi in piedi. –“Se vincerò, dedicherò a voi la mia vittoria!”
“Te lo auguro,
ragazzo! Ma soprattutto ti auguro di trovare cos’è che vai realmente cercando!”
–Commentò il maestro, prima di riposare lo sguardo sulla cascata. – “Tuttavia
non sarebbe onesto se lasciassi andare soltanto te, perciò Tebaldo
ti accompagnerà, se anche questo è un suo desiderio!”
“Ricordati di
osare sempre, Tebaldo!” –Precisò il Maestro. –“Come
puoi raggiungere un sogno se non riesci a volare abbastanza in alto per
afferrarlo?” –Nient’altro aggiunse il Vecchio
Maestro, entrando in uno stato meditativo simile al trance, augurando buona
fortuna ai suoi allievi, i quali si allontanarono a passo svelto, diretti verso
la pagoda, per recuperare le sacche da viaggio e partire.
Mur rimase ancora per qualche secondo di fronte
all’Anziano Maestro, a chiedersi i motivi del suo strano gesto. Motivi che, lo
capiva bene, andavano al di là dell’esplicito desiderio di accontentare un
allievo irrequieto. Motivi che Mur, e neppure lo
stesso Libra, riuscivano a comprendere appieno.
Ascanio!
Mormorò il maestro, ricordando il primo incontro con il giovane. Per tutti
questi due anni ho cercato di addestrarti al meglio, di insegnarti le tecniche
basilari per sviluppare il tuo cosmo. E credo di esserci riuscito, grazie anche
alle tue notevoli capacità di insegnamento. Ma non è passato giorno trascorso
insieme in cui non ho mai smesso di pensare a quanto tu non fossi destinato a
diventare Cavaliere del Drago. Perdona le mie parole, sono solo i pensieri di
un vecchio stanco. Non è mancanza di fiducia la mia, né poca attenzione verso
le tue indubbie capacità! È soltanto uno stato di continuo presente che mi
rimbalza nella mente ogni momento, una voce sopita che non mi ha dato pace per
questi lunghi mesi, e che mi ha spinto a lasciarti andare. Per non rivederti
più.
“La tua strada è
altrove, ragazzo! Non qua, tra questi picchi, troverai soddisfazione, ma molto
più a ovest, nelle fertili terre d’Europa! Là c’è una missione per te! Là c’è
un destino che ti attende!”
Una lacrima
scivolò sul suo volto, una lacrima di dispiacere, ma anche di speranza. In
qualunque posto andrai, porta sempre con te gli insegnamenti che hai ricevuto
ai Cinque Picchi, Ascanio! Nella speranza che essi,
seppur minimi, possano esserti utili in futuro! Grazie per aver regalato a
questo vecchio dei momenti di felicità, perché grande è stata la mia
soddisfazione nell’allenare un giovane volenteroso e ricettivo come te! Grazie… e addio! Sospirò, prima di voltarsi indietro.
Anche Mur se ne era andato, e probabilmente era già in cammino
verso lo Jamir, ma gli aveva lasciato un dono, come
ordinato da Shin, il migliore che potesse ricevere.
Una lettera scritta a mano dal suo vecchio amico. Il testamento di Shin, che Dohko adesso avrebbe
letto tutto d’un fiato.
***
Mentre cosmi
oscuri si agitavano nelle calde terre egiziane, molte miglia a nord, in
un’isola lontana e non toccata dai tumulti del Mediterraneo un’eterea figura
camminava scalza lungo un sentiero tra le rocce, sulla sommità di un colle
immerso nelle nebbie. Avvolta in un tenue mantello svolazzante al vento,
raggiunse la cima del colle, una piccola piana erbosa delimitata da grossi
massi sporgenti.Al centro dell’area,
rialzata da terra quasi fosse una sporgenza del colle stesso, vi era una
sorgente che formava un pozzo poco profondo, l’accesso al quale era consentito
soltanto ai sacerdoti e non ai novizi. Ed Egli, che dell’isola era il Signore,
ne aveva il massimo diritto di utilizzare quel pozzo. Si affacciò sulla
sorgente e guardò dentro, allungando la mano fino quasi a sfiorare la liscia
superficie di quelle fresche acque, senza mai toccarle o la visione sarebbe
scomparsa. Immediatamente le acque del pozzo si illuminarono e un calice di
luce risplendette sulla cima dell’isola sacra, mescolandosi alle nebbie, in uno
sfavillante gioco di bagliori che fu notato da tutti i suoi abitanti.
“Mostrami ancora
ciò che è stato, specchio dell’Isola Sacra!” –Esclamò con voce decisa. E al suo
richiamo sinuose fiamme sorsero dal pozzo, risplendendo nel cielo nebbioso.
Fiamme che parevano danzare al canto del loro padrone, fiamme assassine che
divorarono nuovamente i manoscritti della Biblioteca di Alessandria. L’uomo
strinse i pugni, sospirando malinconicamente, rivedendo ancora ciò che accadde
quella notte. La tempesta, i fulmini, il viso pallido di Galen,
determinato a non permettere che ancestrali segreti vadano perduti. Con la
morte nel cuore, spense la visione con un gesto della mano, cacciando via le
fiamme e riportando il silenzio e la notte in quella piana erbosa. Lentamente
si incamminò lungo il sentiero, per tornare alla sua dimora, sul colle centrale
dell’Isola Sacra, immerso nei suoi pensieri. Aprì le porte della sua reggia,
entrando nell’ingresso illuminato soltanto da qualche candela e trovò il volto
sereno, ma preoccupato, di Alexer che lo aspettava.
“Hai nuovamente
guardato nel pozzo sacro?” –Domandò l’uomo.
“La vista di
quelle fiamme non mi dà pace…”
“Ti stai
consumando...” –Ma Alexer non riuscì a terminare la frase che l’uomo lo zittì.
“Sento la morte di
Galen come una spada tagliente sul collo!” –Confessò
il suo viso triste, illuminato dalla luce fievole delle candele. –“Avremmo
dovuto salvarlo!”
“Galen sapeva ciò che stava facendo, conosceva ogni rischio
e pericolo del suo compito!” –Cercò di rincuorarlo Alexer, senza molti
risultati. –“E ha saputo difendere gli antichi segreti fino in fondo!” –E
spostò lo sguardo su un oggetto poggiato su un tavolino di legno in mezzo alla
stanza. –“È tutto ciò che siamo riusciti a salvare! Quando siamo arrivati, le
fiamme avevano divorato tutto!”
L’uomo si avvicinò
al tavolo, sollevando il sigillo dorato ricoperto di fuliggine e lo spolverò
con il mantello, restituendogli la sua antica brillantezza. –“Lui dov’è?”
“È tutto pronto!”
–Sospirò Alexer, avvicinandosi all’amico. –“Aspettiamo soltanto il tuo ordine!”
L’uomo, che già
conosceva la procedura, non si stupì affatto della risposta del principe.
Poggiò il sigillo sul tavolino e uscì fuori, in quella tiepida notte di agosto,
avvolgendosi nel suo mantello.
“A te il compito
di presenziare al rito, Alexer!” –Esclamò infine, ritrovando forza e
determinazione, dopo lo sconforto che lo aveva invaso, causato dal dolore per
la perdita di un vecchio amico.
“E tu… cosa farai?”
“Ciò che va fatto!
–Disse, lasciando che il suo cosmo invadesse l’intera isola, penetrando nei
cuori degli uomini che vi dimoravano, negli animali nascosti nelle loro tane,
nella natura che cresceva forte e rigogliosa, chiamando tutti a partecipare al
rito sacro. –“Egli dovrà ascoltarmi! Il futuro della Terra coinvolge anche lui
e saprò trovare argomenti convincenti per farmi udire!” –Detto questo
scomparve, in un lampo di luce, mentre Alexer si avviò verso la piccola valle
sul retro dell’isola.
Là, al centro di
una radura, tutto era stato preparato. Il corpo di Galen,
avvolto in splendide vesti di color porpora, riposava sopra una catasta di
legna, intriso di olio e ricoperto di fiori. A un silenzioso cenno di Alexer,
alcuni servitori avvicinarono delle fiaccole all’ammasso di legna, che subito
avvampò maestosa, illuminando l’intera radura, e i visi tristi di coloro che
intorno si erano riuniti per pregare e rendere omaggio all’ultimo custode della
Biblioteca di Alessandria. Alexer si inginocchiò, per pregare per il vecchio
compagno, prima di sentire il cosmo del Signore dell’Isola Sacra avvampare
molto lontano. Avalon, ne era certo, era già giunto sull’Olimpo.
Non ebbe alcun
problema a raggiungere la sommità del monte sacro, mescolandosi al vento che
spirava sulla Reggia di Zeus e giungendo nella Sala del Trono. Il triste
spettacolo dei corridoi e dei saloni precedenti lo aveva lasciato sconcertato,
quasi disgustato da un simile abbandono. Corpi stanchi e ubriachi di uomini e
Dei giacevano abbandonati, vinti dalla libido, mentre rovesciate coppe di
ambrosia erano sparse sul pavimento, insieme a grappoli di uva e frutta
esotica, ultimi resti di un’ennesima celebrazione disonorata. Fauni ebbri e
ancelle spogliate riposavano su sporche lenzuola, mentre un acre odore di
nettare sacro pervadeva l’intera Reggia del Signore degli Dei.
Questi, stanco per
le gozzoviglie dei giorni precedenti, giaceva scompostamente sul suo scranno,
in cima alla scalinata della Sala del Trono, russando senza troppa eleganza.
Indossava regali vesti da sera, rifinite d’oro, ornate da collane e bracciali,
e in mano stringeva ancora il Fulmine, simbolo del suo potere, forgiato da Efesto nelle profondità dell’Etna. Bastò un fruscio del
mantello per farlo svegliare di soprassalto e osservare l’ammantata figura
ricoperta da luce celeste che aveva di fronte.
“Noto con
dispiacere che la dissolutezza di questo posto è andata aumentando!” –Ironizzò
l’ospite.
Il Signore
dell’Olimpo si ricompose immediatamente sul suo scranno dorato, sbattendo gli
assonnati occhi, per focalizzare l’uomo che aveva di fronte. L’uomo che era
silenziosamente arrivato fino alla Sala del Trono superando i campi difensivi e
le guarnigioni dell’Olimpo.
“Tu?!” –Mormorò
semplicemente, stupito dalla sua presenza.
“È questo dunque
lo splendore olimpico? Sono questi i magnifici fasti dai tuoi aedi tanto
cantati? Divinità ubriache e viziose che vivono di dissolutezza, che profanano
gli antichi valori, permettendo ai soldati di ubriacarsi, ai fauni di
accoppiarsi con le ancelle, macchiando le lenzuola di questo tempio immortale!
Se su tali difese dovremmo contare, allora faremmo meglio a difenderci da
soli!”
“Taci!” –Lo zittì
Zeus, puntando il Fulmine contro di lui. Immediatamente una scarica di energia
guizzò nell’aria schiantandosi ai piedi dell’indesiderato ospite, che non
riportò danno alcuno, evitando l’attacco semplicemente facendo un passo
indietro.
“L’ospitalità è
diventata un’opzione nella tua casa!” –Ironizzò, prima di voltarsi verso il
portone.
Attirati
dall’avvampante cosmo del loro Signore, tre Cavalieri si precipitarono
all’interno, ricoperti dalle loro luccicanti corazze dai vivi riflessi
argentei. Alti e robusti, con ampie spalle e un fisico virile, i tre Ciclopi
Celesti si avventarono sullo sconosciuto che minacciava la sicurezza di Zeus.
“Mio Signore!
Siamo qua!” –Gridarono Bronte del Tuono
e Sterope del Fulmine.
Zeus, dall’alto
dello scranno, riuscì a vedere l’istantanea disfatta dei suoi difensori, grazie
alle torce affisse ai muri della grande sala. Senza troppo scomporsi, l’uomo
caricò il polso della mano destra di energia cosmica aprendola verso i Ciclopi
e scaraventando Bronte e Sterope
contro la parete retrostante, facendola crollare su di loro. Evitò l’affondo
della Spada del Fulmine, brandita da Arge
lo Splendore, semplicemente balzando in alto e atterrando proprio dietro al
Ciclope Celeste. Lo colpì alla nuca, facendolo accasciare a terra, mentre Zeus
si metteva in piedi preoccupato.
“Cosa vuoi?!”
–Domandò Zeus, con lo sguardo pieno di apprensione.
“Aiuto e
conforto!” –Rispose la figura, fermandosi ai piedi della scalinata che conduce
al trono.
“Aiuto?!”
–Mormorò, spiazzato, il Padre degli Dei.
“In nome dell’antica
amicizia che univa i nostri popoli, in nome dell’aiuto reciproco che ci
prestammo secoli or sono, quando tu, Dio dell’Olimpo, e i Cavalieri a te devoti
combatteste al nostro fianco la guerra di Britannia! Per riconoscenza ti
concessi di mantenere una guarnigione segreta nella città di Glastonbury, così vicina all’Isola Sacra, col compito di
difenderne i confini da chiunque avesse osato violarli, e con l’idea di tenerla
nascosta, celandola agli avversi nemici!”
L’uomo ammantato
abbassò il cappuccio, rivelando il suo elegante volto, apparendo in tutto il
suo epico splendore. Aveva un viso maschile e abbronzato, con corti capelli
neri e un leggero filo di barba, gli occhi scuri ma caricati di profondi
riflessi di luce. L’intero suo corpo, alto e ben fatto, sembrava ricoperto da
un sottile ma intenso strato luminoso che gli conferiva l’aspetto di un
ventenne e la dignità di un saggio. Di un Dio. Per quanto egli fosse soltanto
Avalon.
“Cosa turba il tuo
animo, Signore dell’Isola Sacra, al punto da spingerti fino qua, alla Reggia
degli Dei di Grecia?” –Domandò Zeus, con voce più pacata, sedendo nuovamente
sul trono.
“L’ora è tarda,
Divino Zeus! La grande ombra sta per scendere sulla Terra, e se vogliamo
resistere dovremo lottare unendo tutte le nostre forze! Da soli non potremo
resistere! Nessuno di noi potrà!”
La figura ai piedi
della scalinata sospirò un momento. –“La Biblioteca di Alessandria è stata
attaccata! Galen è stato ucciso! E i segreti del mondo
antico sono perduti per sempre!”
“Che…” –Gridò Zeus, sollevandosi di scatto. –“E... il
sigillo?!”
“È nelle nostre
mani! Recuperato da Alexer dal polso di Galen, arso
vivo da diaboliche fiamme! Ma il sigillo non basta per fermare l’ombra!
Dobbiamo riunire i talismani e trasformare la leggenda in realtà se non
vogliamo scomparire! Non sarà facile, perché nessuno sa dove si trovino,
neppure io!”
“La tua ansia è
giustificata, Signore dell’Isola Sacra, ma credo che sia affrettata!”
“Affrettata?!”
–Storse il naso l’uomo.
“Esattamente!”
–Esclamò Zeus, recuperando il controllo di se stesso. –“Abbiamo ancora tempo
per agire! Non lasciamoci travolgere dalle emozioni!”
“Forse non hai
capito la gravità della situazione!” –Ironizzò l’uomo. –“Non ho intenzione di vedere
vanificati tutti i nostri sforzi, né di assistere impotente a una nuova
apocalisse! Ci sono stati uomini che hanno dato la vita affinché questa Terra
potesse esistere e noi abbiamo il compito di tenere alto il loro nome e il
ricordo di ciò che è stato fatto, Zeus! Tu, nascosto tra le nuvole dell’Olimpo,
ti sei abbandonato al lusso e alle piacevolezze, circondato da ninfe e belle
donne, trascorrendo le giornate tra banchetti e gozzoviglie, disinteressandoti
del mondo che ha continuato a correre senza di te!”
“Il tempo scorre
in maniera diversa sull’Olimpo che non sulla Terra! Dovresti saperlo, perché
anche l’Isola Sacra è un vascello fuori dal tempo!”
“Questa non è una
motivazione valida che giustifichi il tuo isolazionismo e il tuo disinteresse!”
–Lo brontolò l’uomo, con voce severa e decisa. –“Hai allentato la presa,
lasciando che antiche ombre si risvegliassero tornando a calcare i terreni di
questo mondo e a mettere in pericolo la stabilità che duramente abbiamo
costruito! Hai abbandonato la cura del tuo esercito, né ti sei curato di
garantirne efficienza ed efficacia, campando sugli allori di ciò che è stato
senza pensare a ciò che sarà!”
“Il mio esercito
non mi ha mai dato problemi! Esiste forse qualcuno in grado di tenere testa ai
Cavalieri Celesti?!” –Domandò Zeus, indispettito dalla provocazione.
“Esiste qualcuno
in grado di far scomparire l’Olimpo e l’Isola Sacra solo con un respiro!”
–Precisò l’uomo, facendo rabbrividire Zeus. –“E se non agiamo adesso,
congiuntamente, domani potrebbe essere tardi! E dopo Galen
altri potrebbero cadere, mettendo a repentaglio l’equilibrio del mondo!”
Zeus rimase in
silenzio, in parte cosciente della verità delle parole udite e in parte restio
ad accettarle. Perché farlo significherebbe accettare che quel giorno si sta
avvicinando! Quel giorno in cui dovremo riprendere le armi e combattere, forse,
la nostra ultima battaglia! Luce contro ombra! E niente più vi sarà!
Rifletté Zeus, prima di sospirare e porre una semplice domanda.
“Cosa vuoi che
faccia?!”
“L’Ultima Legione
ha bisogno di un comandante! E tu devi fornire ai tuoi Cavalieri un uomo forte
e vigoroso, capace di risvegliargli dal torpore in cui sono precipitati in
questi secoli di attesa e di noia! Un uomo deciso ed eroico, che sappia
prepararli al meglio ai giorni neri che verranno!”
“E dove potrei
trovare un uomo simile?”
“Forse… ne ho osservato uno che fa al caso tuo!” –Esclamò
l’uomo, raccontando di aver visto il suo volto nello specchio dell’Isola Sacra,
sicuro che egli avrebbe giovato alla loro causa. –“Manda Ermes a prenderlo!
Convocalo sull’Olimpo e nominalo tuo Comandante!”
Non seppe
spiegarsi neppure lui come, tanta era l’influenza e l’autorità che il Signore
dell’Isola Sacra sapeva evocare, ma Zeus ubbidì senza esitazioni e poco dopo il
Messaggero degli Dei entrò nella Sala del Trono, ricoperto dalla sua
scintillante Armatura Celeste. Inizialmente rimase piuttosto stordito, e
preoccupato, nel trovare i corpi distesi in terra dei tre Ciclopi Celesti, ma
non appena incontrò il suo sguardo Ermes capì ogni cosa. Non lo vedeva da
secoli, da millecinquecento anni quasi, da quando avevano combattuto insieme
sulle verdi piane di Britannia, ma Avalon era rimasto lo stesso per tutto quel
tempo. Tempo che non sembrava scorrere per lui, o se anche lo faceva ciò
accadeva senza produrre riflessi sul suo volto, sempre giovane e deciso come in
passato.
“Bentrovato, Messaggero degli Dei!” –Esclamò Avalon, notando
lo stupore sul volto del Dio.
“Ermes!” –Lo
chiamò Zeus. –“Ho un compito da affidarti! Di primaria importanza per la
salvezza dell’Olimpo e della Terra stessa! Una missione che solo tu puoi
portare a termine, con rapidità e segretezza!” –Bastarono quelle ferme parole a
spazzar via dalla mente di Ermes qualsiasi dubbio lo avesse invaso. Zeus aveva parlato
e i suoi ordini erano l’unica legge che contava per il Messaggero degli Dei,
che si limitò ad annuire e ad andarsene dopo aver ottenuto l’incarico. Avrebbe
parlato con Zeus in un secondo momento, possibilmente in privato, chiedendosi
cosa lo aveva spinto a inviarlo ad Atene, a rapire un giovane sconosciuto per
condurlo sull’Olimpo.
“E tu?” –Domandò
Zeus, dopo che Ermes fu uscito dalla Sala del Trono. –“Cosa farai?”
“Lo addestrerò
alle arti di Avalon, per farne un condottiero abile in ogni battaglia! E
continuerò la ricerca dei talismani, e dei Cavalieri a cui sono stati
affidati!” –Rispose Avalon con decisione.
“Quanti ne hai già
trovati?”
“Tre soltanto! E
già li ho mandati in guerra!” –Ironizzò, in parte colpevolizzandosi per la loro
sorte.
“In guerra?!”
–Balbettò Zeus, non comprendendo.
“Non hai sentito
cosmi burrascosi esplodere in Egitto, Signore dell’Olimpo? O le nuvole che
coprono la cima del Sacro Monte hanno annebbiato persino i tuoi sensi? Le
Divinità d’Africa hanno dichiarato guerra ad Atene e tua figlia, appena tornata
in vita, dovrà affrontare la sua prima prova!”
“Mia figlia?!
Atena?!” –Ripeté confusamente Zeus.
“Umpf… Avalon sarà anche persa tra le nebbie, ma credo che
sia l’Olimpo il vascello finito fuori dal tempo!” –Commentò l’uomo, prima di
avvolgersi nuovamente nel suo mantello e accendere il proprio luminoso cosmo.
–“Svegliati Zeus! Abbandona le dissolutezze di cui si è imbevuto finora il tuo
ego e torna ad essere il carismatico Sovrano che eri un tempo! L’uomo capace di
combattere tra i mortali per difendere la stessa Terra, come combattesti in
Britannia millenni or sono!”
Altro non aggiunse
e scomparve in un lampo di luce, lasciando Zeus ai suoi pensieri. Sterope, Bronte e Arge si ripresero poco dopo, chiedendo perdono per essersi
lasciati abbattere malamente. Ma Zeus li congedò senza voglia di parlarne,
invaso da uno sconfinato desiderio di restare da solo.
Raggiunse le sue
stanze, spogliandosi delle vesti macchiate di vino, ed entrò nella grande vasca
colma di acqua di fonte, profumata dai delicati fiori portati dalle ninfe. Ma
neppure in quella conca celeste riuscì a trovare pace. Né il pensiero di Era,
distesa sull’ampio letto regale del suo Tempio, che ancora sveglia lo attendeva
per giacere insieme, provocò in lui il benché minimo interesse. Tutti i suoi
pensieri erano rivolti ad Avalon e alle funeste notizie da lui portate.
È strano! Rifletté, lasciandosi scivolare nelle calde
acque della vasca. Non ho mai pensato al tempo qua sull’Olimpo! Ho sempre
creduto che esso non ci riguardasse, che il suo scorrere segnasse le vite degli
uomini mortali, non degli Dei, la più magnifica creazione dell’universo.
Eppure, mai come adesso sento il fiato del trascorrere degli anni sul collo,
mai come adesso sento la stanchezza e quella che gli uomini chiamerebbero
vecchiaia. Adesso, così vicini alla fine del mondo.
Dopo un giorno in
cui non arrivavano notizie dall’Egitto il Grande Sacerdote, che non riusciva
più ad avvertire i cosmi di Gemini e di Capricorn,
decise di convocare uno straordinario consiglio di sicurezza, preoccupato per
il deterioramento dei rapporti con le dimenticate divinità del Nilo.
Proprio adesso! Mormorò Shin,
stringendo il bracciale del trono con il pugno stanco. Proprio adesso che
l’ombra è così vicina! Che gli Dei non vogliano che giovani vite debbano essere
sacrificate inutilmente! Sospirò, dando ordine ad Arles
di convocare i Cavalieri d’Oro.
“Che si riuniscano
tutti i presenti al Grande Tempio al ChrysosSynagein! Accorrete alla Riunione Dorata! Affinché io possa
illustrarvi le direttive della nostra azione, mirata a risolvere questa crisi
con l’Egitto, mostrando agli antichi Dei che Atene non dorme, e non brama
guerra alcuna, sempre che non siano loro a proporla!” –Esclamò, con tutta la
grandezza cui la tarda età gli permetteva.
Era la prima
volta, da quando era divenuto Grande Sacerdote, che Shin
convocava il ChrysosSynagein,
la riunione per eccellenza dei Cavalieri d’Oro, poiché per la prima volta, dopo
due secoli e mezzo, il Grande Tempio aveva nuovamente dodici Cavalieri d’Oro al
suo servizio. Il regolamento interno, emanato dai primi Sacerdoti millenni
prima, aveva subito poche modifiche nel corso del tempo e prevedeva periodiche
riunioni tra i supremi difensori della Terra, con il fine di stabilire
strategie di azione, per fronteggiare eventuali minacce e favorire
l’integrazione e la reciproca conoscenza degli stessi. Il ChrysosSynagein era invece una convocazione ufficiale, la
cui presenza era tassativamente imposta dal Sacerdote stesso, ed era convocato
soltanto per motivazioni straordinarie, quale poteva essere un pericolo
imminente di assalto al Grande Tempio.
Non passò neanche
un’ora che gli otto Cavalieri d’Oro presenti al Grande Tempio giunsero alla Tredicesima
Casa, nella stanza chiamata Sala d’Oro, dove da tempi immemori i Custodi Dorati
si riunivano nelle loro adunate generali. Era chiamata anche molto
familiarmente Sala dello Zodiaco, poiché al suo interno era ricreato un
planetario, raffigurante il sole e i pianeti del sistema solare, circondato da
dodici colonne sormontate da statue simboleggianti i segni dello Zodiaco. Tali
statue, ricoperte da polvere di stelle, iniziavano a brillare quando il
Cavaliere del segno corrispondente entrava all’interno della Sala d’Oro, in uno
scintillio capace di ricreare lo splendore delle stelle.
Per primi
arrivarono gli ultimi due Custodi, rappresentanti i Dorati Pesci in cui
Afrodite e il figlio Eros si tramutarono per sfuggire al mostruoso Tifone
quando questi invase l’Olimpo millenni prima, e il Versatore Dorato, o
Portatore d’Acqua: Afrodite di Fish e Camus di Acquarius,
il primo circondato da un vortice di rose rosse e il secondo glaciale e
silenzioso come era solito comportarsi. Seguirono i custodi delle Case
centrali: il meditativo Shaka di Virgo e l’impetuoso Milo di Scorpio,
Custodi della Sesta e dell’Ottava Casa. Per terzi giunsero i due fratelli dei
segni di Fuoco: Micene di Sagitter e Ioria del Leone, presso la cui casa Micene si
trovava al momento della convocazione. E ultimi, per ragioni di tempo
impiegato, i custodi delle case più basse, la quarta, presieduta
dall’irrequieto Death Mask di Cancer,
e la seconda, custodita dal corpulento Aldebaran
del Toro.
“Poiché Mur è in missione, siamo al completo!” –Esclamò il
Sacerdote, entrando nella Sala d’Oro.Al
suo ingresso, i Cavalieri si inchinarono in segno di rispetto, ma il Sacerdote
li pregò di rialzarsi subito, tanto grave era la situazione da evitare
qualsiasi salamelecco che potesse far perdere tempo. –“Ascoltate, giovani
Cavalieri d’Oro! Come qualcuno di voi saprà, due giorni or sono avevo inviato
due vostri parigrado, i Cavalieri di Capricorn e di
Gemini, in missione diplomatica presso le divinità egizie, per ottenere
spiegazioni valide e convincenti riguardo all’assalto che il Grande Tempio ha
subito ad opera di soldati dalle vestigia egiziane!”
“Assalto?!”
–Balbettarono stupiti Scorpio e Fish.
“Che, non avevate
sentito?” –Li rimbeccò Cancer, con la sua solita aria
di sfida. –“Hanno ucciso una ventina di soldati semplici e ferito il Cavaliere
del Tucano!”
“Incredibile!”
–Mormorò il Cavaliere di Fish, a cui Scorpio fece eco. –“Avevo sentito cosmi inquieti esplodere
nel Grande Tempio, ma mai mi sarei aspettato una simile spiegazione!”
“Ne dovrete fare
di strada, Cavalieri d’Oro!” –Li derise Cancer, prima
che l’Oracolo lo richiamasse.
“Non vi ho riuniti
per schernirvi tra di voi, Cavaliere di Cancer!”
–Precisò, riprendendo il suo discorso. –“Dopo tale evento, decisi quindi di
inviare Gemini e Capricorn in Egitto, ma da ieri ho
perso completamente ogni traccia del loro cosmo! Non riesco più a comunicare
con loro!”
“Che cosa?!”
–Sgranarono gli occhi i Custodi. Uno dei primi insegnamenti, che qualunque
Cavaliere riceveva, era quello di prendere conoscenza con il cosmo dentro sé e,
nel caso dei Cavalieri d’Oro, tale facoltà era ulteriormente accentuata,
rendendo loro possibile percepire energie cosmiche, seppur minime o nascoste,
anche da grande distanza. Era sorprendente, per tutti loro, che l’Oracolo non
riuscisse a rintracciare le scie cosmiche di due Cavalieri, che ben conosceva
da anni.
“È vero!”
–Intervenne il Custode della Sesta Casa. –“Neppure io riesco ad avvertire i
loro cosmi!”
“Cosa sei tu,
forse Dio, Cavaliere di Virgo?” –Brontolò Ioria, guardando con occhio torvo il suo parigrado. –“Per
permetterti un simile atto di presunzione!”
“Umpf…” –Il Custode della Porta Eterna neppure lo ascoltò,
rivolgendosi al Sacerdote. –“È come se un’ombra fosse scesa sull’Egitto,
un’ombra che impedisce ai miei poteri di penetrare i segreti del Grande
Deserto, perdendomi nelle tempeste di sabbia, senza trovare traccia alcuna dei
cosmi dei miei compagni!”
“Qualcosa di
spiacevole sta accadendo in quel regno, Cavalieri! E temo che Gemini e Capricorn, se impossibilitati a comunicare con il Santuario,
abbiano bisogno di aiuto!”
“Aiuto?!” –Incalzò
Cancer. –“Mio signore, Gemini e Capricorn
hanno bisogno di un esercito che li sostenga! Se due Cavalieri come loro, il
cui spirito e il cui cosmo è stato temprato dalle battaglie e dalle esperienze
sostenute in passato, non riescono a mettersi in contatto con il Grande Tempio,
questo significa che sono stati attaccati e probabilmente sopraffatti dal gran
numero di nemici che si sono trovati di fronte! Dobbiamo agire, adesso! O
potrebbe essere tardi per salvarli!”
“È la volontà di
salvare due compagni che ti spinge ad essere così impetuoso Cavaliere di Cancer o il desiderio di scendere in battaglia, poco
importa le cause per cui si lotti?” –Gli domandò seccamente Acquarius,
fissandolo con i suoi freddi occhi blu.
“Armiamo un
esercito e partiamo oggi stesso verso l’Egitto! Non lasciamo ulteriormente
l’iniziativa ai nostri nemici!” –Continuò Cancer a
perorare la sua causa. –“Non lasciamo a loro la possibilità di uccidere Gemini
e Capricorn e di muovere quindi guerra a noi! Ad
Atena!”
“Questo non
accadrà!” –Parlò finalmente Micene, inginocchiandosi di fronte al Sacerdote,
chetirò un sospiro di sollievo. –“Mio
Signore! Conceda a me, questa volta, di andare in Egitto, ad accertarmi
dell’accaduto! Troverò Gemini e Capricorn e li
riporterò ad Atene sani e salvi!”
“Farai la stessa
fine di quegli altri due stupidi! Così dovremo preparare tre bare anziché due!”
–Sogghignò Cancer, ma non ebbe il tempo di
ridacchiare troppo che un violento calcio lo raggiunse in pieno petto,
spingendolo indietro, fino a farlo schiantare contro una colonna della sala.
“Non osare
offendere nuovamente mio fratello!” –Ringhiò Ioria,
stringendo i pugni delle mani.
“Ioria!!!” –Lo rimproverò Micene, fulminandolo con lo
sguardo, di fronte agli occhi carichi di dissenso di Scorpio,
Acquarius e Fish, e
probabilmente anche di Virgo, per quanto li tenesse
chiusi.
“Micene....
io....” –Mormorò Ioria, cercando di spiegare il gesto
che lo aveva spinto a reagire.
“Se molto aneli di
combattere, giovane Leone, allora accompagnerai tuo fratello in Egitto! Chissà
che questa esperienza non sia per te formativa!” –Esclamò il Sacerdote, tirando
un rapido sguardo al Cavaliere di Sagitter, che
annuì, intuendo ciò a cui si riferiva. –“Cancer! Vuoi
andare anche tu?”
“Sì, signore!” –.
E in quell’affermazione mise tutta la sua determinazione e voglia di
combattere.
“E sia allora,
scenderai in Egitto con Ioria e Micene! Ma sappi che
non potrai agire di tua iniziativa!” –Precisò il Sacerdote. –“E che al Cavaliere
del Sagittario dovrai rendere conto delle tue azioni! Lui soltanto coordinerà
in mio nome, e in nome di Atena, i vostri movimenti e i vostri comportamenti,
che siano di pace, come spero, o di guerra, come invece temo! Hai capito, Cancer?”
“Ss… si!” –Annuì Cancer, senza
molta convinzione.
Poco importa! Rifletté rialzandosi e incrociando lo
sguardo torvo di Ioria. Non starò certo dietro a
quel ragazzetto! Saprò farmi strada da solo, nel deserto africano! E ucciderò
tutti coloro che mi si porranno di fronte! Per realizzare la volontà di Atena,
Dea della Guerra!
“E noi, Grande
Sacerdote?!” –Domandò Scorpio.
“Voi resterete
qua, e presidierete le Dodici Case dello Zodiaco! Con Mur
in missione, e ben cinque Cavalieri d’Oro fuori Atene, non posso inviare nessun
altro! Se nemici ci attaccassero adesso ci sarebbero soltanto cinque Custodi,
il Toro, la Vergine, lo Scorpione, l’Acquario e i Pesci, a difendere il Grande
Tempio, e non possiamo ridurre ulteriormente le nostre difese!”
“Come comanda…” –Si inchinò Scorpio. Lo
stesso fecero gli altri Cavalieri d’Oro, congedandosi a poco a poco dal
Sacerdote, lasciando solamente Micene di Sagitter di
fronte all’Oracolo di Atena.
Uscendo, Ioria e Cancer si tirarono
l’ennesima occhiataccia, e soltanto l’intervento di Scorpio
impedì loro di picchiarsi nuovamente.
“Affido questa
missione a te, Micene di Sagitter! Sarà la prova
finale!” –Commentò il Sacerdote.
“La... prova
finale?!”
“Certamente! La
prova di fiducia di cui Atena ha bisogno per sceglierti come Oracolo!” –Sorrise
Shin. –“Solamente un uomo giusto ma deciso saprà
risolvere la crisi egiziana e io credo fermamente che tu sia quell’uomo,
Micene! Uno spirito indomito e coraggioso, che non esiterebbe a sacrificare se
stesso per le persone che ama, e capace di discernere l’opzione giusta
nell’ampio ventaglio che una questione simile possa porti di fronte!”
“Io… sarò degno della vostra fiducia!” –Affermò Micene,
prima di allontanarsi dalla Sala Dorata.
Ne sono certo,
Cavaliere di Sagitter! Ne sono certo! Commentò Shin,
osservando il giovane dalle ampie spalle e i vivaci capelli castani uscire
dalla stanza. Nobile cuore il tuo, grande e generoso! Prego Dio che non ti
conduca alla morte! Sospirò infine, lasciandosi cadere sullo stanco trono.
Abbandonata la Tredicesima
Casa, i sette Cavalieri d’Oro si incamminarono verso le rispettive case,
scendendo senza parlare la Scalinata dello Zodiaco. Nonostante fossero
coetanei, ed ognuno di loro avesse trascorso gli ultimi sei anni allenandosi
singolarmente, per sviluppare il cosmo dentro di sé, proprio come i suoi
compagni avevano fatto, non vi era dialogo tra di loro, non vi era desiderio di
approfondire la loro reciproca conoscenza. Non vi era comunanza di interessi,
quella sensazione di vivere lo stesso destino, di vivere nello stesso attimo,
alla ricerca di un frammento di eternità che avrebbe dovuto unire i più
valorosi combattenti della Terra, suprema difesa di Atena e delle libere genti.
E di questo Shin sembrava essere cosciente,
nonostante avesse avuto modo di parlare con ciascuno di loro soltanto per poco
tempo, e ne era profondamente dispiaciuto.
Lasciandosi cadere
sullo stanco trono, il Grande Sacerdote sospirò ripensando ai suoi vecchi
compagni: i Cavalieri d’Oro al cui fianco aveva combattuto più di due secoli
prima nella Guerra Sacra contro Ade. Li ricordò tutti, da Albafica
dei Pesci a Sisifo del Sagittario, sforzandosi di
richiamare alla memoria i loro visi, i loro sorrisi, le loro espressioni
impavide dinanzi alla morte. Erano cresciuti insieme e avevano avuto modo di
conoscersi l’un l’altro, arrivando a rispettarsi, pur nelle diversità dei loro
caratteri, e a credere nelle loro capacità e nella loro unità.
Lo stesso
respiro, ricordò Shin, assaporando le sensazioni che aveva provato in quel
secolo lontano, quando era un diciottenne baldanzoso, chiamato a difendere la
Terra contro l’avanzata del male.
“Non
sottovalutarti!” –Gli aveva detto il suo maestro, con un gran sorriso. –“Non
sei soltanto un ragazzino, Shin! Non lo sei più da
quando hai indossato quell’armatura! Forse oggi non comprendi completamente
tutto ciò che sta accadendo, ma posso assicurarti che il tuo ruolo è di
primaria importanza! Viviamo in un’epoca buia, dove le demoniache costellazioni
di Ade sono tornate a oscurare la lucente volta stellata, dopo il sonno che
Atena aveva imposto loro, al termine della precedente Guerra Sacra! Ma il
sigillo che teneva prigioniera l’oscurità ha perso efficacia, vinto dal tempo
che aveva segnato la sua prigionia, ma anche la sua speranza di redenzione!”
“E perché non è
stato posto un nuovo sigillo prima che scadesse?” –Aveva domandato Shin.
Il maestro aveva
sorriso alla spensierata semplicità del ragazzo e gli aveva spiegato che il
tempo doveva fare il suo corso e il mondo conoscere nuove guerre, perché il
continuo scontro tra bene e male, tra luce ed ombra, costituisce la base stessa
della vita, in un dualismo perfetto e infinito.
“Le Guerre Sacre,
combattute tra gli Dei, iniziarono molto tempo addietro, all’alba del mondo,
quando la superficie terrestre si presentava diversa da come oggi appare, Shin! Fu Nettuno, Signore dei Mari, il primo a dichiarare
guerra ad Atena, e dalla violenza dello scontro che ne seguì persino Atlantide
si inabissò! Da allora il mondo non ha mai conosciuto la pace, ma un alternarsi
di ere, come nella vita di un uomo, intervallati da momenti di guerra, tristi
ma ineluttabili!”
“È la guerra
dunque a dominare il Mondo, Maestro?”
“Sì, Shin! La guerra che forgia gli uomini, rendendo pavido il
debole e adulto il ragazzo! Perché essa, pur nella sua crudeltà e violenza,
insegna a credere in qualcosa e a combattere per la propria fede. Insegna al
padre a essere un buon genitore, rischiando la vita per difendere i figli.
Insegna alle donne a non essere flaccide, ma a saper impugnare una spada in
caso di necessità. E soprattutto la guerra irrobustisce i legami, familiari e
affettivi. Cosa è infatti che gli uomini temono maggiormente dalla guerra se
non la possibilità di perdere la propria vita, separandosi quindi dai loro
cari? Ed è per difendere le persone a loro care, i genitori, gli amici, le
donne, che gli uomini si rialzeranno e combatteranno sempre! E i Cavalieri non
sono da meno, uomini come tutti, ma segnati da un’incombenza maggiore, poiché
nelle loro mani, nelle nostre mani, è il destino della Terra intera!”
E aveva ragione! Rifletté Shin,
ricordando quel lontano insegnamento. Per quanto quel giorno non lo avesse
compreso, ritenendolo il maschilistico desiderio di lottare di un uomo, durante
la Guerra Sacra il significato di quel messaggio gli era apparso chiaro.
Combattendo fianco a fianco con gli amici di addestramento, osservando i volti
di coloro che amava versare lacrime amare per la perdita dei propri affetti, Shin e i Cavalieri d’Oro erano riusciti a stabilire un
profondo legame tra loro, capace di vincere il tempo ed essere forte ancora due
secoli dopo. Il sentimento di vivere in un interregnum,
dove i destini di dodici uomini si fusero insieme, divenendo uno solo.
Vorrei che
questo accadesse anche oggi! Mormorò,
per quanto ritenesse dubbia la cosa. I caratteri dei nuovi Custodi Dorati, lo
sentiva, erano poco inclini al compromesso e caratterizzati da un forte
individualismo, che nel caso di alcuni poteva diventare mera superbia e rendere
difficile qualsiasi legame, di amicizia o di semplice rispetto, tra loro. Forse
questa guerra li aiuterà a superare le loro differenze, avvicinandosi l’un
l’altro! Rifletté, prima di abbandonarsi a un inquieto sonno. O forse li
dividerà per sempre! Aggiunse, profeticamente. Possono in fondo le
aquile volare con i gabbiani?!
Quando Micene
raggiunse la Quinta Casa, raccontando a Galan
della missione che gli era stata assegnata, l’amico non sembrò troppo sorpreso,
avendo percepito che la convocazione di un ChrysosSynagein potesse significare qualcosa che richiedeva
l’intervento dei Cavalieri d’Oro.
“Non preoccuparti
per me, Galan! Sono piuttosto resistente! Dovresti
saperlo!”
“Non è di te che
mi preoccupo, Micene! Non soltanto, voglio dire!” –Esclamò Galan,
prima che la loro conversazione fosse interrotta da Ioria.
Il ragazzo
raggiunse infatti i due amici al centro del salone, incitando il fratello a
partire per l’Egitto, desideroso di avventurarsi nella sua prima missione.
“Non sia
avventato, signorino! Non sappiamo quali pericoli nascondono le sabbie del
Sahara!”
“Ehi! Non sono
mica uno sprovveduto!” –Brontolò Ioria, prima che
Micene gli sorridesse.
“Ci troviamo
all’Arena tra pochi minuti! Voglio fare un discorsetto a Cancer
prima di partire! Non voglio grane in Egitto!” – E si allontanò, lasciando Ioria e Galan nel salone della
Quinta Casa.
“Siate prudente!”
–Si limitò a dirgli Galan, accennando un sorriso. Ioria, inizialmente indisposto, abbassò per un momento le
sue difese, rendendosi conto che in fondo a quel ragazzo, l’amico d’infanzia di
suo fratello, voleva bene. E ricambiò il sorriso.
“Non credere di
essere il padrone di questa Casa!” –Ironizzò. –“Ti concedo di usare la vasca
grande, ma solo per quest’occasione!”
“Prima di
andarvene c’è una visita per voi!” –Aggiunse Galan,
fermando Ioria con un colpetto di tosse, a cui sembrò
seguire una risata di bambina, che fece voltare istantaneamente Ioria. Tirò un’occhiata alle colonne laterali del Quinto
Tempio e vide una figura minuta sporgersi da una di esse, una folta chioma rossiccia
che ridacchiava. Il volto era coperto da una maschera bianca, ma Ioria, e anche Galan, immaginò
che la bambina stesse sorridendo al di sotto di essa.
“Ehi... ma…tu…” –Esclamò Ioria, incamminandosi verso il colonnato laterale.
“Poi fatevi
spiegare come ha fatto a arrivare fin qua!” –Ironizzò Galan,
allontanandosi e lasciando i due da soli, nella penombra del colonnato,
rischiarato dalla luce che filtrava dalle finestre in alto.
“Castalia!” –La
riconobbe Ioria. –“Cosa fai qua? Non dovresti essere
alla scuola per Sacerdotesse?”
“Ih ih...”
–Ridacchiò la fanciulla, sbucando da dietro la colonna e mostrandosi a Ioria. Aveva indosso una cotta protettiva scheggiata in più
punti, probabilmente a causa del duro allenamento, che le aderiva delicatamente
al corpo, per quanto minuto e esile fosse quello di una bambina di nove anni.
“Un giorno sarò
una Sacerdotessa, Ioria!” –Scherzò Castalia,
avvicinandosi. –“Ma oggi sono solo una bambina e vorrei giocare con te!”
–Aggiunse, afferrando il ragazzo per mano e cercando di tirarlo via, senza però
smuoverlo, considerata la sua maggiore mole e il peso dell’Armatura d’Oro.
“Non posso giocare
con te! Sono un Cavaliere, e sto andando a combattere!” –Rispose Ioria, cercando di non essere troppo brusco, ritenendo che
in fondo fosse soltanto una bambina.
Castalia si fermò,
lasciando cadere la mano di Ioria e rimanendo in
piedi davanti a lui, a fissarlo per qualche minuto in silenzio. Sospirò,
preparata a quella risposta, avendo udito la conversazione tra Micene e Galan pochi minuti prima, e si avvicinò nuovamente a Ioria, pregandolo di ritornare.
“Non farti
uccidere! Ci sarà tempo per quello!” –E allungò il viso per baciarlo su una
guancia. Ma Ioria la scansò schivo, pregandola di non
preoccuparsi. E si incamminò verso l’uscita del Quinto Tempio, brontolandola
per essere scappata dalla scuola di Sacerdotesse e aver violato la legge del
Grande Tempio che vietava il suo accesso alle Case dello Zodiaco, lasciando la
bambina da sola, a mani giunte, al centro della Casa del Leone, con il cuore in
gola e gli occhi lucidi. Prima di scendere la scalinata esterna, il ragazzo si
voltò verso l’interno e le sorrise.
“Ci sarà ancora
tempo per giocare!” –E se ne andò, riflettendo sullo spirito di iniziativa
della bambina, che non aveva esitato a lasciare tutto, rischiando di essere
punita o addirittura espulsa, solo per venire a salutarlo. Scosse la testa,
cacciando un sorriso malizioso sul suo volto e si incamminò a passo svelto
verso l’Arena, per incontrare Micene e gli altri compagni d’avventura.
Quando i Cavalieri
di Atena arrivarono in Egitto trovarono un’immensa distesa di sabbia ad
attenderli, un vasto deserto solcato da impetuose tempeste cariche di oscura
energia, che impediva loro di procedere ulteriormente usando i loro poteri,
obbligandoli ad usare i piedi.
“Ecco!” –Esclamò
Micene di Sagitter. –“Qua termina il nostro facile
spostamento! Oltre questo deserto esiste un potere molto grande, ancestrale e
oscuro, che limita i nostri movimenti, come la Divina Volontà di Atena
impedisce di usare il teletrasporto alle Dodici Case dello Zodiaco!”
“Poco importa!”
–Aggiunse Cancer. –“Una corsa è l’ideale prima di
menar le mani!”
“Cerca di
controllarti, Cancer! Non sappiamo ancora se dovremo
combattere!” –Lo chetò Micene.
“Non credo siamo
venuti fin qua per farci offrire un bicchiere di ambrosia!”
“Ma non
necessariamente per insanguinare queste immense distese di sabbia!” –Intervenne
una terza voce, facendo voltare i due Cavalieri d’Oro.
Oltre a loro
infatti, e al giovane Ioria, il Grande Sacerdote
aveva inviato Albione di Cefeo, Eurialo del Dorado
e Niso del Tucano, lasciando ai
Cavalieri d’Argento il compito di proteggere il Grande Tempio. Le condizioni
del Cavaliere del Tucano non erano ottimali, essendo sempre provato dalla
ferita della Spada del Sole, ma quando aveva scoperto che Eurialo era stato scelto da Albione come compagno per la
missione egiziana aveva insistito più volte per essere presente al fianco
dell’amico.
“Umpf… Albione di Cefeo! E credi
di poter essere utile con i tuoi catenacci?!” –Ironizzò Cancer,
osservando l’Armatura d’Argento, dal colore blu acceso, dotata di due catene
affisse ai bracciali.
“Smettila, Cancer! Siamo tutti sotto lo stesso sole!” –Esclamò Micene,
dando indicazioni ai cinque compagni. –“E dobbiamo restare uniti e procedere
insieme!”
“Come tuo
fratello?!” –Ironizzò sarcastico Cancer, facendo
voltare Micene e gli altri.
Ioria infatti si era incamminato da solo nel
deserto, scegliendo di procedere in linea retta. Detestava perdere tempo in
noiose e interminabili discussioni, preferendo agire, per quanto avventate
fossero spesso le sue azioni.
“Ioriaaa!!!” –Lo chiamò Micene, correndo dietro al fratello,
presto seguito da Cancer, Albione, Eurialo e Niso. –“Fermati!
Aspettaci! Non puoi andare da solo!”
“Perché no?”
–Brontolò Ioria, avanti rispetto al fratello di un
centinaio di metri. –“Non dobbiamo forse scoprire cosa sta accadendo a Tebe? E
non è Tebe davanti a me?” –Mormorò, sollevando lo sguardo avanti, verso sudest,
dove contava di veder spuntare la città egiziana.
Improvvisamente
una violenta tempesta si sollevò sul deserto, scuotendo le sopite sabbie
africane e travolgendo i sei Cavalieri di Atena, impetuosamente, con violenza,
al punto da limitare loro di vedere a causa del fitto turbinio di sabbia che
disturbava i loro occhi, impedendo persino di trovarsi tra di loro, per quanto
vicini fossero. Micene si accorse a fatica che Ioria
si era allontanato ancora, ma la violenza della tempesta era implacabile, tale
da rendergli difficile soltanto fare un passo.
“Urgh!” –Strinse i denti Sagitter.
–“Di natura divina è questa tempesta! Certo non naturale!”
“Sono....
d’accordo!!” –Rispose a fatica Albione, sempre a fianco di Micene.
“Ioriaaa!!!” –Urlò ancora il ragazzo, ma il fratello parve
non udirlo continuando ad avanzare nella tormenta, grazie anche all’aiuto di
una speciale visiera inserita nell’elmo dorato del Leone che rendeva meno
difficoltoso per lui sopportare quella tempesta di sabbia.
Approfittando di
quel momento di spaesamento anche Cancer, stufo delle
stupide direttive buoniste di Micene, scomparve, decidendo di agire
autonomamente, e questo turbò non poco l’animo del Cavaliere di Sagitter, doppiamente preoccupato.
“Maledizione!”
–Mormorò Micene, continuando a chiamare Ioria in
quella devastante tormenta di sabbia. –“Non dobbiamo perderci! Dobbiamo restare
uniti!!!”
“Tu pensa al
Cavaliere di Cancer! Mi occuperò io di tuo fratello!”
–Esclamò Albione, strizzando l’occhio al ragazzo e lanciando le catene nella
tormenta, dietro alla debole scia del cosmo di Ioria.
Micene sospirò per un momento, ma non ebbe neppure il tempo di ringraziare il
Cavaliere di Cefeo che una violenta folata lo spinse
indietro, sollevandolo persino da terra e sballottandolo in aria, obbligandolo
a spiegare le dorate ali della sua corazza e librarsi nel vento. Quando riuscì
ad atterrare nuovamente a terra, scoprì con orrore, ed enorme dispiacere, di
essere rimasto da solo.
Ioria e i suoi quattro compagni erano scomparsi, e
adesso si trovavano divisi in una terra straniera, che non conoscevano, ed
egli, che avrebbe dovuto condurli sotto la sua guida, aveva fallito.
Al Grande Tempio di Atene erano iniziati i giochi ginnici
delle Panatenee, la partecipazione ai quali era stata superiore alle
aspettative. Forse per desiderio di vittoria in un concorso sportivo, forse per
volontà di emulare gli antichi campioni che resero grande la Grecia nell’Età
Classica, migliaia di giovani, e non soltanto, avevano invaso l’Arena dei
combattimenti e i campi circostanti, dove il comitato organizzatore aveva
preparato l’ippodromo per le gare con i carri.
Il ricordo dei grandi atleti dell’antichità, come
l’ateniese Aurelios Zopyros nella lotta, gli spartani Chionis, nella corsa, e
Kyniska, prima donna ad essere inserita come vincitrice olimpica, o Milo di
Crotone, nella lotta, era ancora vivido e presente. Inoltre il fatto stesso che
un evento simile non avesse luogo da numerosi secoli non aveva potuto che
accrescere l’interesse e le aspettative del pubblico e dei fedeli.
Per garantire la sicurezza il Grande Sacerdote, in accordo
con i Cavalieri di Atena, aveva aumentato l’ordinaria sorveglianza, soprattutto
nelle zone di maggior affluenza, quali l’Arena, l’infermeria e il Cancello
Principale, richiamando un buon numero di Cavalieri e pregando loro di
mescolarsi alla folla, pronti a intervenire in caso di bisogno. Orfeo della
Lira avrebbe difeso i prati del banchetto, dove amava suonare la propria cetra,
Dedalus, Orione e Argetti sarebbero stati presenti nell’Arena e nei luoghi dove
avevano luogo le gare sportive, mentre Noesis del Triangolo avrebbe protetto
l’infermeria in caso di bisogno. L’improvvisata spedizione in Egitto aveva
ridotto il numero di Cavalieri a difesa del Grande Tempio, ma i Cavalieri d’Oro
rimanenti avevano pregato il Sacerdote di non preoccuparsi. Anche se giovani e
inesperti, non avrebbero indietreggiato davanti a niente.
Koroibos, l’organizzatore dei Giochi Ginnici delle
Panatenee, era in piedi su un palchetto montato sul lato esterno della pista
per la corsa con i carri, e stava discutendo con altri allenatori le ultime
rifiniture del percorso, mentre il pubblico disposto tutto attorno scalpitava
freneticamente. Era un giovane alto e snello, con ricciuti capelli scuri ed
occhi verdi. Un viso sbarazzino e giovanile che mascherava la sua vera età,
ormai superiore ai trentadue anni. Era il più celebre allenatore del Grande
Tempio di Atena, a cui numerosi giovani Cavalieri o aspiranti tali si
rivolgevano per ottenere le istruzioni fondamentali, in termini di esercizio
fisico e alimentazione, ed egli, per quanto non fosse mai diventato un
Cavaliere dotato di cosmo, non lesinava loro consigli e dritte al riguardo.
Il Grande Sacerdote aveva una grande stima di lui,
attratto soprattutto dall’umiltà che sempre dimostrava, rifiutando premi ed
encomi pubblici e preferendo dedicarsi alla cura della sua palestra e ad
allenare i giovani, che in lui vedevano un vero e proprio maestro. Anche Orfeo,
Cavaliere della Lira, si era rivolto a Koroibos, ed egli era probabilmente il
ragazzo a cui Koroibos maggiormente si era affezionato. Per il suo carattere
introverso, spesso solitario, e poco socievole, e per la sua grande forza
interiore, sopita e mai compresa, neppure dallo stesso Orfeo, Koroibos dedicò
molte attenzioni al giovane Cavaliere dai capelli azzurri, cercando di aiutarlo
non soltanto a crescere fisicamente, ma anche interiormente.
“Allora, signori miei, vogliamo iniziare questa gara! Qua
c’è un campione da premiare!” –Esclamò Argetti, avvicinandosi alla tribuna dove
parlavano Koroibos e gli altri allenatori, giudici di gara.
“Siamo pronti, Argetti! Prendi pure posizione!” –Rispose
Koroibos, invitando tutti i partecipanti alla corsa con i carri a posizionarsi
sulla linea di partenza.
La corsa con i carri è uno sport di antica origine ed uno
dei più diffusi nel mondo greco, presente in vari tipi di competizione, sia
olimpiche che panatenaiche. Pare che la sua origine sia attribuibile a
personaggi del Mondo Antico come Prometeo, inventore della biga, o Erittonio,
inventore della quadriga. Fu introdotta ufficialmente ai Giochi Olimpici del 680
a.C. e la sua struttura non cambiò nel tempo, al punto che Koroibos e gli
organizzatori della gara per le Panatenee mantennero le regole classiche. Con essa si dava inizio, durante il secondo
giorno, alle vere e proprie gare, infatti al termine della sfilata i giochi
venivano proclamati ufficialmente aperti.
Ad un cenno di
Koroibos, i carri entrarono in processione nell’ippodromo, passando via via
davanti alla tribuna dei giudici e degli istruttori, dove un araldo annunciò i
nomi del proprietario di ogni carro, di suo padre e della città di provenienza.
I carri nell'ippodromo dovevano compiere un certo numero di giri, fissati, come
quelli di Pindaro, in dodici giri di pista, corrispondenti a una decina di
chilometri, facendo molta attenzione. I momenti più pericolosi della gara erano
quelli nei quali i carri giravano di 180 gradi intorno ad un punto preciso
detto “meta”. L'operazione era naturalmente più rischiosa nel caso delle
quadrighe, forse anche per la maggiore spettacolarità rispetto alla gara delle
bighe. Ed infatti, per rendere più accesa la competizione, Koroibos aveva
deciso che i carri in questione dovevano essere appunto quadrighe.
Argetti, privo della sua Armatura di Eracle, si
trovava in cima al suo carro, alto e possente, e teneva con baldanza le redini
della sua quadriga, mentre i quattro cavalli bruni davanti ad essa scalpitavano
voracemente. Ai suoi lati, allineati sulla stessa linea, altri sette
concorrenti, provenienti da tutta la Grecia. Orione e Dedalus erano poco
distanti dalla tribuna e, oltre a tifare per il loro amico, si guardavano
intorno con attenzione. Orione soprattutto sembrava più preoccupato
dell’amico, chiedendosi per quale motivo i Cavalieri d’Oro non erano presenti,
ma erano rimasti rinchiusi nelle loro Case.
Uno sparo improvviso diede il via alla gara, distraendo i
Cavalieri d’Argento dai loro pensieri. Gli otto concorrenti partirono
contemporaneamente, incitando i loro cavalli a sfrecciare nel vento, senza però
esaurirli completamente. Sapevano che la gara era di resistenza più che di
velocità, poiché dovevano compiere una dozzina di giri del circuito, ed era
meglio quindi non fiaccare troppo i quattro animali, conservando le loro forze
per il serrato galoppo finale.
Dedalus incitava l’amico Argetti, trascinato dall’emozionante
sfida, osservandolo farsi largo nella massa indistinta di cavalli e aurighi,
superandone alcuni e trovandosi ben presto in testa. Argetti eseguì i primi
cinque giri con perfetta abilità, ma al sesto ebbe qualche problema alla
seconda meta, per uno sbilanciamento del suo carro. Gli altri concorrenti
allora ne approfittarono per cercare di superarlo, iniziando un testa a testa
per il controllo delle prime posizioni. Qualcuno andò fuori dal circuito, altri
caddero a terra, a causa dello spezzarsi dell’asse della quadriga, e
all’undicesimo giro erano rimasti soltanto in tre: Argetti e altri due ragazzi
di Corinto.
Con impeto, Argetti guidò i cavalli verso l’ultima meta ma
l’asse della sua quadriga non resse lo sforzo eccessivo, troncandosi a metà e
facendo crollare al suolo il corpulento Cavaliere d’Argento. La vittoria andò
quindi ad un giovane bruno di Corinto, il proprietario della cui quadriga fu,
come nella tradizione, incoronato e a lui vennero tributati gli onori del
trionfo. Dedalus raggiunse l’amico ai margini della pista, dove subito erano
intervenuti gli infermieri per verificare le sue situazioni. Una piccola
lussazione alla spalla destra e graffi sul corpo, ma niente di irreparabile.
“Maledizione!!!” –Scalciò Argetti, rialzandosi bruscamente
e scacciando tutti i medici. –“Avevo la vittoria a portata di mano!”
“Mettiti a dieta, gigante!” –Ironizzò Dedalus. –“Forse la
prossima volta l’asse riuscirà a sopportare il tuo peso! Ah ah ah!”
“Dedalus!!!” –Ringhiò Argetti irato, iniziando ad
inseguire l’amico lungo i margini dell’ippodromo, tra l’ilarità generale.
In quello stesso momento altre persone entravano nel
Grande Tempio di Atena rimanendo affascinate ed estasiate dall’aura di
magnificenza che gli antichi edifici sacri sembravano emanare. Due ragazzi
procedevano guardandosi intorno con gli occhi sgranati, increduli di poter
ammirare finalmente tale splendore.
“Incredibile!” –Esclamò Tebaldo. –“Questo Santuario
trasuda di epicità, di una maestosa solennità!”
“Molto di più, Tebaldo! Molto di più!” –Gli andò dietro Ascanio,
tremendamente impressionato. –“Guarda questi marmi come sono lavorati, guarda
che lavoro di intarsio! Questo Santuario è come Roma per gli antichi latini! Il
Grande Tempio di Atena, dove adesso siamo giunti come visitatori, un giorno ci
aprirà le porte come suoi Cavalieri!”
Tebaldo sorrise, camminando a fianco del compagno di
addestramento, finché non giunsero all’Arena dei combattimenti, dove era in
corso uno scontro piuttosto duro tra due contendenti. Incitati dalla folla, al
centro dell’anfiteatro due uomini svestiti stavano lottando tra loro, a mani
nude, gettandosi in terra, rotolandosi sul terreno, in un corpo a corpo
travolgente e a tratti animalesco. Tebaldo si mosse sorpreso per intervenire,
ma Ascanio lo pregò di non intervenire, facendogli cenno di osservare quegli
uomini sul palco laterale intenti ad osservare.
“Non disturbare le gare ginniche!” –Esclamò Ascanio.
–“Questa è una gara di pancrazio!”
“Pancrazio?!” –Mormorò Tebaldo. –“Non conosco tale sport!”
“Il pancrazio è una disciplina di origine greca, a metà
strada tra la lotta e il pugilato, introdotta ad Olimpia in occasione della XXXIII Olimpiade nel 648 a.C., come
frutto di una già matura conoscenza dell'attività atletica e delle esigenze
spettacolari!” –Spiegò Ascanio. –“Il termine deriva dal greco pankration,
pan = tutto e kratos = potere, forza, e significa “intera forza
del corpo”. Infatti lo scopo di tale prova è di vincere l’avversario, a mani
nude, usando tutti i mezzi possibili, compresi gli sgambetti e i morsi! Questa
è la fase chiamata kylisisoalindèsis, la fase della lotta a terra!”.
“Non è molto cavalleresco!” –Precisò Tebaldo, continuando
ad osservare i due uomini azzuffarsi sul terreno come bestie.
“Al contrario! Lo trovo molto affascinante! È una
disciplina che permette di liberare i primordiali istinti dell’uomo in un rito
sublimante! Ed è tra le più complete discipline da combattimento, poiché
comprende tecniche diverse tra loro, ed allena quindi ad un uso generale del
proprio corpo, tra cui all’acrocorismo, ossia alla torsione e conseguente
rottura delle dita delle mani; alla
torsione degli arti chiamata stre-bloùn, ai tentativi di soffocamento, apopnigheìn,
o strangolamento, ànchein!” –Spiegò Ascanio, ma Tebaldo
storse il naso, non molto affascinato dall’insegnamento.
“Un’ottima spiegazione!” –Esclamò una terza voce,
interrompendo il dialogo tra i due amici. –“Perdonate l’intrusione, giovani
visitatori, ma sentendovi parlare così meticolosamente di una disciplina
sportiva non sono riuscito a trattenermi! Io sono Koroibos, l’organizzatore
sportivo delle Panatenee!” –Si presentò l’uomo riccioluto, appena arrivato
all’Arena, dopo aver premiato il proprietario della quadriga vincitrice.
“Io sono Ascanio, piacere di conoscervi!” –Esclamò
Ascanio, subito imitato da Tebaldo.
“Per favore, non datemi del voi! Preferisco usare un tono
più familiare con chi sembra avere i miei stessi interessi!” –Sorrise Koroibos.
–“Conoscete bene il pancrazio a quanto pare!”
“Ho sempre avuto un interesse notevole per le discipline
sportive greche, soprattutto quelle di combattimento! Non sono molto veloce
nella corsa, ma sono resistente e tenace nella lotta!” –Esclamò Ascanio,
stringendo i pugni.
“Ottimo! La tenacia è la dote fondamentale di uno sportivo!
Se non abbiamo in mente la nostra meta finale, ciò che ci spinge a lottare,
difficilmente arriveremo da qualche parte!” –Affermò Koroibos, prima di fissare
direttamente Ascanio. –“Vuoi partecipare?!”
La domanda lasciò Tebaldo di stucco e anch’egli si voltò
bruscamente verso il compagno di addestramento, osservando dipingersi sul suo
volto un lineamento di perfetta soddisfazione. Ascanio annuì con la testa,
accettando l’offerta di Koroibos.
“Sarebbe un onore per me!”
“Potrebbe essere anche la tua morte, ragazzo!” –Precisò
Koroibos, mettendolo in guardia. –“Il pancrazio non risparmia nessuno! Sarai
esposto a colpi terribili, ad una violenza liberata e gratuita che potrebbe
portare anche alla tua morte! Accetti il rischio?”
“Ascanio! Non essere incosciente!” –Intervenne Tebaldo,
pregando l’amico di lasciar perdere. E poi si rivolse a Koroibos. –“E voi non
tentatelo ancora con questi discorsi pericolosi!”
“Il rischio fa parte della vita, Tebaldo!” –Precisò
Ascanio, poggiando una mano sulla spalla dell’amico. –“E se non ti metti in
gioco, se non sei disposto a rischiare, non saprai mai quanto vali!” –Detto
questo si incamminò verso l’Arena, preceduto da Koroibos, che gli fece spazio
tra la folla.
L’allenatore salì sul palco dei giudici, al termine
dell’incontro in corso, e annunciò un nuovo, inaspettato combattimento. Ascanio
venne condotto da alcuni assistenti di Koroibos ai margini dell’Arena, dove
venne preparato per la sfida. Gli furono rasati i capelli, neri e rampanti,
svelando il suo cranio scuro; fu spogliato nudo e gli fu fatto indossare un
perizoma nero, rivelando il fisico scolpito. Il suo corpo venne unto di olio e
cosparso di polvere di pomice, il cui
scopo era quello di controllare la traspirazione eccessiva e di mantenere il
corpo fresco. Quando fu pronto fu portato nell’Arena, per trovarsi di fronte il
suo avversario: un uomo sui trent’anni, alto quasi due metri, grosso e robusto,
dalla carnagione scura su cui spuntavano nodose vene.
“Che lo scontro
abbia inizio!” –Esclamò la voce decisa di Koroibos, mentre tutto intorno la
gente prendeva posizione, Tebaldo in prima fila, per assistere a quel nuovo
incontro, che si preannunciava un omicidio deciso da parte del colosso. –“Vi
ricordo che in questa disciplina non vi sono limiti di tempo ed il combattimento
si protrarrà fino alla resa di uno dei due contendenti! Non esistono regole e
tutti i colpi portati con l’utilizzo del vostro corpo sono ammessi! Buona
fortuna a entrambi i contendenti, siate valorosi e ricordate…” –Aggiunse
sornione. –“Atena vi guarda!”
Subito il
gigantesco uomo si lanciò su Ascanio cercando di afferrarlo, ma il ragazzo fu
abile a lanciarsi di lato e rotolare sul terreno, portandosi alla destra del
colosso e colpendolo con un calcio su una gamba. Ma l’uomo parve non sentire
neppure quella puntura di mosca, calandosi su Ascanio e afferrandolo per una
gamba. Lo sollevò da terra come fosse aria, davanti agli sguardi preoccupati
degli spettatori, e terrorizzati di Tebaldo, e lo sbatté sul terreno come un
cencio, percuotendo il suo corpo di botte.
Ascanio riuscì a
liberarsi della presa del gigante, sferrandogli un calcio in pieno viso, che
gli spaccò la mascella, prima di colpirlo nuovamente in mezzo alle gambe,
facendolo accasciare a terra, tra le grida osannanti del pubblico.
L’idea di essere
al centro di uno spettacolo, circondato da una folla in festa e con una corona
di alloro sul capo, per un attimo distrasse la mente di Ascanio, impedendogli
di vedere il colosso che si abbatteva su di lui, buttandolo a terra e
schiacciandolo con la sua mole. Si azzuffarono per parecchi minuti sul terreno
sabbioso, rotolando, ringhiando, mordendosi ripetutamente, nel pieno delirio
della kylisis, mentre Koroibos dall’alto del palco seguiva la vicenda
con attenzione. Tebaldo lo chiamò a gran voce, pregandolo di interrompere
l’incontro, per salvare Ascanio dalla furia di quel mostro. Ma Koroibos lo
pregò di calmarsi e di attendere.
“Hai così poca
fiducia nel tuo compagno?” –Gli chiese, tornando a poggiare lo sguardo sui due
concorrenti, ormai ricoperti di sabbia e di polvere, mescolati a grumi di
sangue che uscivano dalle ferite che avevano sul loro corpo.
Il gigante aveva
bloccato dal dietro i movimenti di Ascanio e stava cercando di strangolarlo con
le sue robuste braccia. Per qualche interminabile minuto l’intera Arena del
Grande Tempio fu percorsa da un tremendo silenzio, in cui nessuno osava fiatare
tanta era la tensione nell’aria. Le ossa di Ascanio sembrarono scricchiolare
sinistramente sotto la pressione soffocante del corpulento avversario. Per un
momento i sensi parvero abbandonarlo e tutto iniziò ad apparire sfuocato. Gli
occhi verdi di Ascanio tremarono sotto il sole di Atene, avviandosi verso
l’ombra, verso un regno in cui non vi era più lotta né dolore. Ma prima di
cedere gli tornarono in mente gli insegnamenti del Vecchio Maestro e le parole
di Koroibos.
“La tenacia è la dote fondamentale di uno sportivo! Se non
abbiamo in mente la nostra meta finale, ciò che ci spinge a lottare,
difficilmente arriveremo da qualche parte!”
“E io voglio arrivare!” –Mormorò Ascanio, iniziando a
reagire. Afferrò con le mani le robuste braccia del colosso che gli stringevano
il collo e iniziò a spingerle via, liberandosi dalla morsa mortale dell’uomo,
davanti agli occhi attoniti della folla, che non poté che esplodere in
un’esplosione di festosità e in grida di sostegno.
Ascanio spinse ancora, con la sola forza delle braccia, e
riuscì ad aprire gli arti del gigante, sconvolto da un simile prodigio da parte
di un tredicenne; quindi si sollevò lentamente sulle ginocchia, spingendo con
tutta la forza che aveva in corpo, con tutta la forza che aveva nel suo
spirito. Per un momento Koroibos vide un evanescente fuoco brillare dentro gli
occhi di Ascanio, un’aura luminosa pervadergli tutto il corpo. Fu un attimo e il
gigante si ritrovò a terra, letteralmente capovolto da Ascanio, che lo sbatté
sull’arido suolo, spaccandogli qualche ossa. Quindi si gettò su di lui, con il
volto stanco e rigato dal sangue e dal sudore, ed iniziò a tempestarlo di pugni
sul viso e di calci. Il colosso era rimasto sorpreso ed indebolito e non riuscì
ad attuare la mossa di “presa della gamba” per frenare i calci di Ascanio,
sempre più precisi, sempre più mirati.
L’ultimo calcio gli spaccò il viso, strusciando il colosso
sul terreno sabbioso per qualche metro, lasciandosi dietro sé una macabra scia
di sangue. La folla in quel momento impazzì, esplodendo in grida di giubilo e
di trionfo, mentre i giudici fermavano la gara, dichiarando Ascanio vincitore.
Molti spettatori invasero l’arena in festa per applaudire Ascanio, che fu
sollevato sulle spalle di alcuni e portato in trionfo, acclamato come gli eroi
dei Giochi Antichi. Con il cuore che gli batteva all’impazzata per lo sforzo,
grumi di sangue e sabbia sul corpo e un paio di denti rotti, Ascanio contemplò
dall’alto il suo trionfo, sorridendo a Tebaldo, che lo osservava rasserenato
insieme a Koroibos.
“Da quanti anni si sta allenando?” –Domandò a bassa voce
al ragazzo.
“Uh?!” –Tebaldo venne preso alla sprovvista, ed esitò un
poco nel rispondere. –“Du.. Due anni, signore! Da due anni!”
“E ha già tutto quel cosmo dentro!” –Rifletté Koroibos tra
sé. Ricordò la luce che aveva visto negli occhi di Ascanio, la luce di un
giovane cosmo impetuoso. Per un momento aveva creduto che fosse Atena colei che
guidava il suo cammino, ma poi rifletté che, per ciò che aveva potuto
percepire, Ascanio avrebbe seguito un altro percorso. –“Quale che sia non lo
porterà a diventare un Cavaliere di Atena!”
La folla portò Ascanio in trionfo per le strade attorno all’Arena
dei Combattimenti, passando davanti all’infermeria del Grande Tempio, dove i
dottori e le Sacerdotesse erano impegnate a curare gli atleti feriti nelle
varie gare. Alcune bambine, allieve della Scuola per Sacerdotesse, aiutavano i
dottori nella loro opera di assistenza.
“Uff!” –Sbuffò una bambina dai folti capelli verdi, con il
volto ricoperto da una maschera. –“Quando ci fanno cucire dei pezzi di stoffa,
quando ci vanno medicare le ferite degli altri! Ma quand’è che ci insegneranno
a combattere?” –Brontolò Tisifone. –“Non sono venuta fin qua dall’Italia
per diventare una dama di corte!”
“Non essere irritata, Tisifone!” –Cercò di
tranquillizzarla Castalia. –“Questo pomeriggio abbiamo compiti
importanti, nonostante la nostra giovane età! Non capitano tutti i giorni i
Giochi Panatenaici!”
“E per fortuna!” –Sbottò Tisifone, prima che una delicata
figura femminile apparisse dietro di loro. –“Si.. Signora Ada!” –Balbettò la
bambina, incontrando lo sguardo della donna.
“Sento che non apprezzi molto il lavoro di servitrice
della Dea Atena, Tisifone!” –Esclamò la donna con voce pacata, senza ostilità.
“Non è che non apprezzo, signora! Semplicemente vorrei
dedicarmi ad altro, ad imparare a tirare di spada, a guerreggiare, che non a
ricamare!” –Rispose Tisifone.
“Capisco! Stare tra queste quattro mura di ospedale ti
annoia, vero? Beh, annoia anche me!” –Sorrise Nonna Ada, sedendosi su
una seggiola davanti alle due bambine. –“Quando avevo la vostra età e mia Nonna
pretendeva che le dedicassi qualche ora al giorno per pregare con lei, non
potevo fare a meno di essere scocciata! Per quanto adorassi la Dea Atena,
avendo sentito fin da giovane una profonda vocazione verso gli ideali che
rappresenta, ero pur sempre una bambina di otto anni! E non si può pretendere
che un bambino sia già un adulto! Sarebbe come rubargli l’adolescenza!”
Tisifone e Castalia la guardavano con grande ammirazione.
Nonna Ada, giunta al Grande Tempio da pochi mesi, per accompagnare il nipote
Aldebaran verso il riconoscimento ufficiale dell’Armatura del Toro conquistata
in Brasile, era entrata fin da subito nel cuore delle fanciulle e delle
aspiranti Sacerdotesse. Era stata lei infatti a sovrintendere, su ordine del
Grande Sacerdote, il ricamo del peplo di Atena, sostituendo l’altra anziana
Sacerdotessa morta poco prima. Era una donna saggia e molto pratica, che non
dimostrava affatto i suoi ottantatre anni. Qualcuno diceva che un tempo fosse
stata anche una Sacerdotessa guerriero, ma lei non ha mai confermato né
smentito tale tesi, amando ripetere di essere semplicemente una Sacerdotessa
dedita al Culto della Dea Atena.
“Atena ama i suoi giovani! E vuole che crescano con la
giusta dose di spirito combattivo ma anche di spirito dedito agli altri!”
–Spiegò Nonna Ada. –“I Cavalieri di Atena non sono uomini soli, ma combattono
in gruppo, aiutandosi l’un l’altro nei momenti di difficoltà! Come fratelli,
devono essere pronti a darsi la mano, per quanto talvolta l’orgoglio e la
ricerca di gloria in battaglia appannino il credo a cui tengono fede! Voi, che
siete donne, avete dovuto rinunciare già alla vostra femminilità, nascondendo
il vostro volto! Non voglio che rinunciate anche ai vostri giochi!” –Sorrise
loro Nonna Ada, invitandole ad uscire a vedere gli spettacoli. –“Parlerò io con
i vostri superiori!”
“Ooh grazie!” –Esplosero di gioia Tisifone e Castalia,
correndo in fretta verso la porta di uscita. Nella corsa si scontrarono con un
Cavaliere ricoperto da una bluastra armatura d’Argento, che entrava nelle
infermerie per controllare che tutto fosse in regola. –“Ouh, ci perdoni,
signore!” –E scapparono via, preoccupate di aver commesso qualche guaio.
“I giovani! Aaah.. sono sempre di fretta!” –Sorrise Nonna
Ada andando incontro al Cavaliere d’Argento.
Noesis del Triangolo ricambiò il sorriso, pregandola
di non preoccuparsi, e chiedendole se desiderava unirsi a lui nel giro di ronda
attorno all’ospedale, approfittandone per scambiare qualche parola. Nonna Ada
accettò ma appena furono nel cortile assistettero ad un atto inaccettabile. Un
uomo adulto stava schiaffeggiando un bambino, accusandolo di aver rubato della
frutta dal suo banco.
“Ehi!” –Esclamò Noesis, fermando il braccio del nerboruto
uomo. –“Che maniere sono queste? Come ti permetti di picchiare un bambino?”
“Nobile Noesis!” –Mormorò l’uomo, imbarazzato di essere
stato sorpreso da un Cavaliere di Atena. Ma questo non cambiò la sua collera
verso il bambino. –“Sono stanco di quel moccioso! Ogni giorno viene qua, al mio
banco di frutta, e ruba qualcosa! I miei figli non lavorano nei campi solo per
vedere loro padre farsi derubare come un allocco da un moccioso irrispettoso!”
“Capisco! Ciò non toglie che la violenza gratuita contro
gli infanti sia proibita in questo Santuario!” –Lo rimbeccò Noesis. –“Non
tollero, né Atena prima ancora di me, simili atti contro i bambini! Prendi
questi soldi, uomo, ma non osare levare la mano ancora contro di lui! O ti
punirò io stesso!”
“Sì.. sì, signore!” –Balbettò l’uomo, accettando le monete
che Noesis gli aveva posto, e ritornando al suo banco di frutta.
Noesis raggiunse il bambino, seguito da Nonna Ada,
aiutandolo a rimettersi in piedi. Era piccolo, sui sei/sette anni, con un vispo
sguardo e folti capelli neri. Lo pulì dalla polvere e gli curò alcune ferite
sul viso e sulle braccia con il suo cosmo, prima che Nonna Ada lo prendesse per
mano, portandolo ad una mensa pubblica a mangiare.
“Perché hai rubato quella frutta?” –Domandò Noesis, senza
asprezza, per quanto immaginasse già la risposta.
“Avevo fame!” –Rispose il bambino, con gli occhi gonfi di
lacrime. Strusciò il viso sulla tunica di Nonna Ada, quasi per nascondere la
sua vergogna e la sua sofferenza.
“Non hai una famiglia, qualcuno che ti dia da mangiare?”
–Domandò Nonna Ada.
“No! I miei sono morti affogando con una nave anni fa e io
vivo nel fienile di alcuni contadini, ai margini meridionali delle colline!”
–Spiegò il ragazzetto.
“Capisco! Non preoccuparti, piccolo!” –Gli sorrise Noesis,
con il bel volto biondo bagnato dal sole. –“Ci prenderemo noi cura di te!
Potrai rimanere al Grande Tempio e qua troverai sostentamento e un alloggio! Ma
non dovrai rubare più! I furti sono proibiti dalla legge e da Atena! Hai
capito?”
“Sì, signore!” –Sbatté le lunghe ciglia nere il bambino,
prima che Nonna Ada lo invitasse a sedere alla mensa accanto a lei.
“Qual è il tuo nome, bambino?” –Gli chiese Noesis infine.
Il grande salone
in cui Seth aveva ricevuto Gemini e Capricorn era scarsamente illuminato,
soltanto qualche candela baluginava fioca, mentre un acro odore di incenso
pervadeva l’intera stanza. Seth, il Dio della Siccità e del Cattivo Tempo
sedeva su un alto scranno, in legno intarsiato, circondato da decine di
serpenti che sibilavano ai suoi piedi e intorno alle sue braccia, ed egli
eccitatamente li accarezzava, osservandoli mentre si insinuavano sotto le sue
vesti in un pericoloso gioco dei sensi.
“Dio Seth!” –Esclamò
una profonda voce maschile. –“I Cavalieri di Atena marciano separati verso
Tebe! Non dovremmo fermarli?”
“Mi consideri
proprio uno stratega di bassa lega, eh Anubi?” –Ironizzò Seth, continuando ad
accarezzare i suoi serpenti. –“Ho già dato disposizioni per attaccare tutti i
sei Cavalieri che Atene ci ha inviato contro! Chi credi che abbia provocato la
tempesta di sabbia?”
“Dovresti
ringraziare me per questo!” –Esclamò una terza voce, irrompendo nella stanza.
Seth e Anubi si
voltarono verso l’ingresso, osservando il robusto uomo entrare a passo deciso.
Era alto e massiccio, dal viso maschile e vissuto, con segni di cicatrice
sull’occhio destro, che gli dava un aspetto vagamente deforme. I capelli radi e
brizzolati, e uno sfregio sopra l’orecchio rendeva la sua presenza ancora meno
piacevole. Indossava un’armatura grigiastra, che copriva solo parte del corpo,
ed era rifinita con una folta pelliccia grigia, dello stesso animale con cui
aveva realizzato il mantello che gli copriva la schiena. Alla cintura portava
affissa una mazza e un arco, strumenti di caccia e di lotta con cui abilmente
sapeva giostrare. Upuaut era il suo nome, il Dio Lupo della Morte e
della Guerra, nonché il Comandante dell’Esercito di Seth, l’Esercito del
Sole Nero.
“Spaccone come sempre,
vero Upuaut?” –Ironizzò Seth, senza dar troppo preso alle sue fanfaronate.
“Chiedo solo che
il mio merito venga riconosciuto!” –Precisò Upuaut con voce rude e decisa.
–“Non è per questo che ci paghi, Sommo Seth?” –Aggiunse, e al Dio della Siccità
non poté sfuggire il tono sarcastico, quasi provocatorio, con cui lo disse.
“Quali sono i
piani?” –Esclamò Anubi, premendo per una rapida distruzione
dell’esercito di Atena. –“Prima eliminiamo questi scomodi avversari poi potremo
dedicarci al nostro vero obiettivo: la conquista di Karnak!”
“Non bruciare i
tempi, mio fido alleato!” –Lo calmò Seth. –“Karnak può attendere! Dopo tutto
sono secoli che Ra si è rinchiuso in quel tempio… Non sarà certo per difendere
Atene dalle nostre mire espansionistiche che abbandonerà il suo volontario
isolamento!”
“Ma il nostro
scopo finale non era abbattere Ra e conquistare Karnak?” –Chiese Anubi.
“Lo era, e lo è
ancora! Ma come ogni obiettivo per essere raggiunto ha bisogno di mete mediane,
che facciano crescere il nostro potere e la nostra forza, incutendo paura
nell’animo degli avversari! E conquistare Atene, vendicandoci di quelle
deprecabili Divinità che si sono sempre considerate a noi superiori, sarà un
successo senza precedenti, un risultato che Ra mai ha raggiunto!”
“Ra non vi ha mai
pensato ad invadere Atene!” –Precisò Upuaut, con voce maliziosa.
“Tu chiudi la
bocca! Sei un soldato, non uno stratega, e sei pagato per eseguire i miei
ordini non per giudicarli!” –Lo chetò Seth, ma Upuaut non lo prese sul serio,
esplodendo in una risatina isterica.
“Seth! Credi
davvero che sia saggio attaccare Atene?!” –Domandò Anubi con preoccupazione.
–“Informatori di oltremare mi hanno riferito che il Grande Sacerdote ha
nominato otto nuovi Cavalieri d’Oro, completando le schiere del suo esercito!”
“Temi forse dei
ragazzini, Anubi? Non ho forse ucciso la scorsa notte i due Cavalieri d’Oro
inviati come ambasciatori? Se quella era la media dei difensori di Atene, mi
chiedo cosa mai potranno fare dei dodicenni?!”
“Per la verità non
sei stato tu ad ucciderli! Ma noi, i Guerrieri del Sole Nero!” –Precisò Upuaut.
Seth, adirato
oltre ogni limite, si voltò verso di lui, fissandolo con i suoi occhi rossi e
scagliandogli contro una violenta scarica di energia cosmica, che spinse
indietro di parecchi metri il Comandante dell’Esercito del Sole Nero, per
quanto egli tentasse di difendersi incrociando le braccia avanti a sé.
“Attaccheremo
Atene! Questo stesso giorno!” –Tuonò quindi. –“Mostreremo a quei bastardi greci
la nostra superiorità, il trionfo di un popolo dimenticato tra le sabbie del
tempo! Atene sarà nostra e il potere e le ricchezze che contiene finanzieranno
la conquista di Karnak, e l’abbattimento di Ra!”
“Mi auguro che
tutto proceda come hai previsto!” –Mormorò Anubi, non troppo convinto del
piano.
“Tira fuori la
grinta, cane di un Dio minore!” –Lo schernì Seth, criticando la sua demotivata
partecipazione. –“Ho capito perché vuoi attaccare prima Karnak! Perché temi la
collera di Ra, tu, figlio di Osiride che al Dio dell’Oltretomba ti ribellasti!”
Anubi non rispose,
chinando il capo in segno di sdegno, in parte colpevole per il tradimento
operato. Aveva contribuito infatti a far sì che Osiride e suo figlio Horus si
perdessero per sempre nell’Aldilà, sgombrando il campo da eventuali ostacoli
per la conquista di Karnak.
“Se i miei
progetti non ti soddisfano, Dio Anubi…” –Lo schernì Seth. –“Puoi andartene
adesso! Quella è la porta! Ma se non temi la collera di Ra, allora resta! Resta
ed ammira il mio trionfo! Il trionfo di un Dio dimenticato che brama di gloria
e di prendersi la sua meritata rivincita!” –Esclamò esaltato, abbandonandosi a
pazze risate di autocompiacimento. –“Upuaut! Fai entrare i miei Guerrieri!”
–Tuonò quindi, richiamando il suo Comandante, il quale si avvicinò al portone
d’ingresso, ordinando ai soldati di entrare, per ricevere dal loro Signore il
proprio compito.
Nove guerrieri
entrarono all’interno della Sala del Trono, che, sommandosi al Comandante
Upuaut e alle due Divinità fedeli a Seth, Anubi, il Dio guardiano degli Inferi,
e Sobek, il Dio Coccodrillo, portavano a dodici il numero dei combattenti di
cui il Dio della Siccità poteva disporre. Dodici guerrieri devoti alla tenebra,
da contrapporre, nella sua ottica, ai dodici Cavalieri d’Oro di Atena.
“Siamo pronti alla guerra mio Signore!”
–Esclamò una decisa voce di donna.
“Me ne compiaccio,
Sfinge!” –Sibilò Seth, osservando le fattezze di colei che aveva parlato.
Era una figura di
media altezza, ricoperta da una nera armatura simboleggiante la creatura di cui
portava il nome: la Sfinge. Biologicamente era una donna, ma di
femminile non aveva più niente, neppure il nome, che giaceva dimenticato negli
abissi della memoria. Ella, come i suoi compagni, era semplicemente una
predona, una disadattata che aveva trascorso gli ultimi anni a rubare alle
carovane che coraggiosamente percorrevano il deserto del Sahara, appostandosi
nelle poche oasi di acqua fresca ed assalendole senza esitazioni, depredandole
delle loro ricchezze. Era una donna, ma adesso sembrava una bestia, risultato
dei terrificanti esperimenti condotti da Seth nei sotterranei della Piramide
Nera. Esperimenti che avevano dato forza e potere ai predoni che avevano
accettato la sua offerta, trasmutando le forme dei loro corpi, in bestie o
altri esseri abominevoli.
“Quali sono i
nostri compiti, Dio Seth?” –Domandò nuovamente la nera Sfinge.
“Ho intenzione di
dividervi in due gruppi! Il primo attaccherà i sei disperati che Atena ci ha
inviato contro, mentre il secondo assalirà Atene, il cuore dell’impero! Abbattete
quelle mura vecchie di mille e mille anni, uccidete quei patetici Cavalieri e
tagliate la testa del vecchio Sacerdote!”
“Siii!!! Yeah!!!”
–Grida animalesche di violenta eccitazione si levarono dai Guerrieri del Sole
Nero, concordi ed esaltati dalla prospettiva bellica che Seth offriva loro.
“Ma portatemi la
testa dell’Oracolo di Atena! La appenderò qua, nella Piramide Nera, in bella
mostra! E la ostenterò a tutti coloro che oseranno dubitare ancora dei Signori
delle Sabbie! L’Egitto non è morto, e Ra, che ha scelto di uscire dal mondo,
abbandonando i suoi figli e il suo popolo ad un destino di fame e di stenti,
sarà costretto ad ammettere il suo fallimento e ad abiurare alla propria fede
isolazionista, cedendomi lo scettro del potere!”
“Voi credete che
lo farà?” –Accennò Anubi, preoccupato dall’eventuale castigo del Dio del Sole.
“Ha forse altre
scelte?!” –Ironizzò Seth. –“Cosa potrebbe mai fare quel vecchio Re, ingobbito
sul suo trono, nelle silenziose ombre di Karnak?” – E avvelenato dal suo Consigliere,
mio fido alleato!
“Ra pagherà
amaramente l’abbandono in cui ha lasciato il suo popolo, dimenticato tra le
sabbie africane, senza una guida né una fede! Sconterà le sue colpe insieme a
tutte le Divinità perdute nel Tempio di Karnak!” –Gridò Sfinge, invasa
dall’ira.
“Le pagherà, mia
abominevole Sfinge, le pagherà! Per questo vi ho scelto! Per il vostro rancore,
per l’odio che provate nei confronti degli Dei! Di quegli stessi Dei che vi
hanno dimenticato, abbandonandovi alla morte senza interesse alcuno! Upuaut! A
te l’alto incarico di distruggere il Santuario di Atena e sterminare i suoi
abitanti! Non avere pietà, non avere compassione! Che niente freni il tuo
animo, neppure l’innocente sguardo di un neonato! Perché anch’egli è figlio
della Grecia e di quel Tempio maledetto! Anch’egli vi ha deriso, schernito,
sottomesso, come i suoi avi prima di lui! E anch’egli pagherà con la vita il
prezzo di questo nuovo ordine che daremo al mondo!”
“Sarà un piacere
occupare il Grande Tempio!” –Sibilò Upuaut, a denti stretti.
“In nome di Seth!”
–Precisò il Dio, tirandogli un’occhiata sorniona. –“Sfinge! Ghibli! Kepri!
Aspide! Voi andrete in Grecia con Upuaut! Mi aspetto grandi risultati da voi!”
“E noi, Dio Seth?”
–Domandò una voce, fino a quel momento rimasta silenziosa, ad osservare
invidiosamente il tronfio sguardo del Comandante Upuaut.
“Voi, Onuris,
difenderete l’Egitto, sterminando i Cavalieri che Atena ci ha inviato contro,
mostrando loro il nostro immenso potenziale!”
“Mi faccia andare
in Grecia!” –Incalzò Onuris, ma lo sguardo secco di Seth lo zittì.
“No, tu guiderai i
Guerrieri del Sole Nero rimasti in Egitto! E adesso andate, l’effetto della
tempesta di sabbia creata da Ghibli sta scemando! Presto i Cavalieri di Atena
saranno in vista di Tebe!”
Upuaut e i
Guerrieri del Sole Nero uscirono dalla stanza, seguiti dal Dio Anubi, lasciando
il Dio Seth assiso sul suo trono, con centinaia di velenosi serpenti addosso.
“Non hai sentito i
miei ordini?” –Ironizzò il Dio, rivolgendosi all’ultimo guerriero rimasto.
Era un uomo
piuttosto alto, sui trentacinque anni, con folti capelli verdastri e un
copricapo con quattro piume. Indossava una corazza raffigurante un leone, e
stringeva in mano una lancia. Era Onuris, l’antica Divinità egizia della
Guerra.
“Li ho udito, Dio
Seth! Ma non li approvo!” –Ringhiò Onuris. –“Perché inviate Upuaut in Grecia,
relegando me, il Dio della Guerra e della Distruzione, a sporcarsi le mani
contro i bastardi ateniesi invasori? Lasciatemi guidare l’Esercito del Sole
Nero e vi prometto l’oro di Atene in dodici ore!”
“Upuaut me lo ha
promesso in dieci!” –Ironizzò il Dio, carezzando i suoi serpenti.
“Upuaut è un
incapace!” –Sibilò Onuris, invidioso dei successi del Comandante.
“Taci!” –Lo zittì
Seth, scagliandogli contro fulmini energetici. –“La tua ingiustificata invidia
per Upuaut nuoce alla mia causa! Ti ho richiamato dal limbo in cui giacevi su
suggerimento di Anubi! Non farmi pentire della mia scelta, Onuris! Non ho tempo
da dedicare alle tue questioni personali!”
“Aaargh…!” –Gridò
Onuris, ricadendo al suolo, mentre Seth placava le scariche energetiche. –“Sì!
Ma rimarrò sempre io il Dio della Guerra, l’unico capace di guidare le armate
egizie!” –Aggiunse, allontanandosi insoddisfatto.
Forse un tempo,
Onuris… Mormorò Seth. Quando
eri un fedelissimo di Ra e patrono degli eserciti. Ma quel tempo ormai è
leggenda, perso nelle sabbie del tempo. Adesso sei soltanto un mercenario al
mio servizio, e se tieni alla tua vita ti consiglio di adempiere al tuo lavoro
nel migliore dei modi!
***
Nello stesso
momento, all’interno di Karnak una figura ammantata procedeva silenziosamente
lungo i corridoi dell’antico santuario, cercando di rimanere nell’ombra. Era Febo,
figlio di Ra, le cui preoccupazioni erano andate aumentando nell’ultimo
giorno. Aveva buone capacità extrasensoriali e, per quanto le possenti mura di
Karnak, intrise dal cosmo di Amon Ra, limitassero i propri sensi, percepiva che
qualcosa non andava. Una rottura nell’equilibrio. Cosmi inquieti si aggiravano
tra le sabbie del Sahara, puntando su Tebe, e tutto intorno alla città violenti
scontri erano iniziati.
Cosa sta
succedendo fuori da qui? Cosa
c’è al di là di queste mura di così terribile da cui mio padre ha scelto di
isolarsi, proteggendo me e la nostra famiglia dai mali del mondo esterno? Ooh
Padre, ho così tante domande da porti! Tu che mi hai dato la vita, nonostante
provenissi da un mondo diverso dal tuo, a tratti lontano, a tratti ostile! Tu
che mi hai difeso, togliendomi dal mondo e rinchiudendomi qua, nel Tempio di
Ipetisur, il luogo eletto per eccellenza! Quando potrò abbracciarti nuovamente?
Si domandò, prima di superare la sorveglianza delle ultime guardie e scivolare
verso un ingresso laterale del Tempio di Karnak.
Si trovava in un
padiglione a sud del blocco centrale del Santuario di Amon, molto vicino alle
mura perimetrali che delimitavano il confine del luogo eletto. Era il Tempio del
Giubileo di Amenhotep II, il settimo sovrano della XVIII dinastia egizia,
vissuto alla fine del XV secolo a.c., e Febo aveva scoperto poco tempo prima,
per puro caso, una finestra all’altezza del suolo, ostruita con sbarre di
ferro, ma non completamente bloccata, al punto che poteva passarvi
tranquillamente l’aria.
In quel punto,
aveva dato appuntamento a un informatore, un uomo fidato che viveva a Luxor,
incaricato di scoprire cosa stesse accadendo sotto il sole di Egitto.
“Amico mio!”
–Mormorò Febo, inginocchiandosi fino a cercare con lo sguardo gli occhi
dell’uomo all’esterno. –“Quali notizie mi porti?”
“Ooh, mio Signore!
Non dovrei essere qua!” –Esclamò l’uomo, tremando impaurito. –“La collera di
Ra! La collera divina cadrà su di me per questo tradimento!”
“Questo non è
tradimento, Ashabad! Nessun castigo ti raggiungerà! Io, Febo, figlio di Amon
Ra, non lo permetterò!” –Esclamò con voce decisa il biondo figlio del Sole.
“Siete coraggioso,
giovane Dio, ma anche stolto! Se Ra si accorgesse di noi… se Ra sapesse…”
“Non pensare a Ra,
ma alle notizie che mi porti! Cosa hai scoperto? Cosa sta accadendo a Tebe?”
“Una tempesta, mio
Signore! Una tempesta carica di odio!” –Balbettò Ashabad, alle sbarre
ferrate. –“Seth, l’antico avversario di vostro padre, ha ripreso il potere e
siede sul trono di Tebe!”
“Seth?!” –Gridò
sconcertato Febo, tappandosi poi la bocca con le mani. –“Ma com’è possibile?
Dopo la congiura contro Osiride fu assassinato da Horus, suo figlio, e
rinchiuso negli Inferi!” –E in quel momento Febo parve ricordare parole
ascoltate in precedenza, parole che adesso sembravano prendere la giusta luce,
come tessere di un mosaico che lentamente andava formandosi.
Ricordò Iside,
Dea della Maternità, e le lacrime che le avevano rigato il volto nelle
ultime notti. Ricordò il suo dolore nel sapere il marito e il figlio lontani,
persi nelle desolate lande infernali.
“Sono in pena per
Osiride e per Horus, Febo! Così tanto che il pensiero di loro sovente mi
ritorna in mente, e non mi dà pace, non mi dà tregua! È come un requiem di
morte che suona dentro di me! Ed io non riesco a farlo tacere, non riesco a
trovare un modo per spegnere questa musica che mi angoscia l’anima, che mi fa
presagire oscuri segni di un futuro più incerto che mai!” –Aveva mormorato il
giorno prima Iside, chiedendosi dove fossero il suo amato e suo figlio,
incaricati da Ra, per bocca di Anhar, di scendere negli Inferi in missione.
Che vi sia una
connessione tra la ricomparsa di Seth e la scomparsa di Osiride e Horus? Rifletté Febo, con forte apprensione. Quel
serpente di un traditore deve aver trovato un modo per ritornare in vita e
probabilmente avrà voluto vendicarsi degli Dei che lo combatterono nei tempi
antichi!
“Cos’altro sai,
Ashabad?” –Incalzò, per avere altre notizie da portare poi a Iside, e allo
stesso Ra.
“Seth si è
proclamato Signore dell’Egitto, colui che ha riunificato le sabbiose terre
dimenticate, sopraffacendo tutti gli altri Dei minori!”
“Dei minori?! Osa
sfidare il grande Ra?!” –Sbottò Febo adirato.
“Nooo… Nooo mio
Signore! Seth è astuto! Davanti al popolo, alle genti egiziane, ammucchiate
nelle loro case e rintanate nelle oasi, si è presentato come un salvatore! Come
un inviato di Ra, di cui ha ripreso il simbolo, l’occhio, ponendolo in alto, in
cima alla grande Piramide che ha fatto costruire! L’Occhio di Ra, guida per
tutti i viandanti spersi!”
“Quel maledetto!
Usa simboli che non gli appartengono! Non ha dunque rispetto per nessuno?”
“E non è tutto!
Pare che abbia dichiarato guerra ad Atene! I suoi guerrieri sono sulle tracce
dei Cavalieri di Grecia, accusati di essere invasori e di aver portato la
guerra in questa terra di pace!”
“Non potrà esservi
pace fin quando Seth, il Dio cospiratore, sarà presente!” –Sentenziò Febo.
“Pur tuttavia… da
quando egli siede sul trono di Tebe le guerre civili sono cessate, le rivolte
sono lontane e le genti lavorano volenterose nei campi irrigati dalle piene del
Nilo! I predoni sono stati cacciati, poiché molti di essi sono stati inseriti
nell’esercito del Dio, l’Esercito del Sole Nero!”
“Vorresti
insinuare che la sua tirannia dovrebbe continuare? Che potrebbe portare dei
benefici?”
“No, mio Signore!
Io amo la libertà! Ma amo anche il mio Paese, la mia Terra, quella stessa Terra
che molti Dei troppo a lungo hanno dimenticato!” –Mormorò Ashabad, con un
pizzico di malinconia. –“Non siamo devoti al male, giovane Febo! Ma neppure
possiamo evitare di tendere la mano a chi ci offre un pezzo di pane e
protezione nel nostro lavoro da parte dei predoni e delle intemperie! La scorsa
primavera, quando una violenta tempesta si abbatté per cinque giorni su Luxor,
Seth diede ordine ai suoi guerrieri di condurre tutti gli abitanti della città
all’interno della Piramide, perché vi trovassero riparo! E fece riparare tutte
le abitazioni crollate!”
“Capisco… Un
esempio da ammirare!” –Ironizzò Febo.
“Forse… Un uomo
impara più dai propri errori che dai propri rimpianti!” –Mormorò Ashabad.
-“Molti lo seguirebbero in questa folle impresa, perché in debito si sentono
nei suoi confronti! E forse egli ci sperava, su questa riconoscenza, e
sull’antipatia da sempre provata nei confronti degli Europei, coloro che ci sottomisero
secoli addietro! In confidenza, figlio di Ra, vi prego! Fate attenzione! Seth è
infido e malvagio e non esiterebbe a sollevare la gente, e i suoi Guerrieri,
contro di voi e contro Ra, il Dio scomparso che ha abbandonato il suo popolo
alla fame e alla povertà!”
“Mio Padre non ha
abbandonato l’Egitto! Egli è rimasto semplicemente deluso dagli uomini,
disgustato dal loro egoismo, dal loro sfrenato materialismo!” –Esclamò Febo,
rendendosi conto, mentre parlava, di quanto fosse stata sbagliata la sua reazione.
Sbagliata perché lo ha portato a perdere il controllo dell’Egitto, del suo
popolo, con cui ha cessato ogni legame, e ogni potere.
“Non aver timore,
mio fido Ashabad! La tirannia di Seth è destinata a cadere! In Egitto può
esistere soltanto un occhio, quello di Amon Ra!” –Esclamò Febo, preparandosi
per allontanarsi.
“Mi auguro
soltanto che sappia vedere bene, nel cuore del suo popolo!” –Mormorò Ashabad,
prima di avvolgersi nel suo mantello polveroso, coprirsi il viso e allontanarsi
dal Tempio.
Febo rimase solo
con i suoi pensieri, mentre si allontanava a passo svelto dal Tempio del
Giubileo di Amenhotep II. Se fosse rimasto qualche secondo in più, avrebbe
visto un uomo dagli occhi rossi fissarlo dall’ombra in cui era nascosto, la
stessa che gli divorava il cuore. Anhar fece un segno e un paio di
Guerrieri del Sole uscirono dalle tenebre e varcarono i portici dei Propilei
del Sud, mettendosi sulle tracce di Ashabad. Bastò un colpo di spada per
mettere fine al suo cuore stanco.
E adesso
occupiamoci del Figlio!
Mormorò il Consigliere, avviandosi verso il cuore del Tempio: il Santuario di
Amon, nelle cui stanze il Dio si era rinchiuso secoli addietro. Là, di fronte
al porticato rifinito d’oro, dove l’Occhio di Ra era impresso, Anhar era sicuro
che avrebbe trovato la sua preda.
Febo camminò a
passo deciso fino alle grandi porte dopo le quali si entrava nelle stanze di
Ra, nelle stanze di suo Padre. Dove lui aveva avuto accesso solo una volta,
quando era ancora bambino. Non ricordava quanti anni erano passati, poiché il
tempo, da quando Ra era uscito dal mondo, a Karnak si era fermato. Non vi erano
più calendari di cui tenere conto, giorni da segnare e da ricordare, perché da
quel momento i giorni erano diventati tutti uguali, lenti e interminabili. E ogni
giorno non aveva nome, come non lo aveva il successivo, perdendo ogni
significato, ma permettendo a coloro che vivevano all’interno del Tempio di
mantenersi per l’eternità. Rimanendo fuori dal tempo.
“Lasciatemi
passare! Devo vedere mio Padre!” –Esclamò con voce decisa, rivolgendosi ai due
soldati di guardia al portone dorato.
Tanta era
l’autorità che videro in lui, il figlio del loro Dio, nonostante mai l’avesse
esercitata, che per un momento i due soldati furono quasi tentati di lasciarlo
passare. Ma poi ricordarono gli ordini del Consigliere di Amon, la Bocca di Ra,
ordini che mai avrebbero potuto mettere in dubbio.
“Non ci è
concesso, Febo, figlio di Ra!” –Rispose uno dei due soldati. –“Perdonaci!”
“Lasciatemi
entrare!” –Ripeté Febo. –“Ho bisogno di conferire con mio Padre adesso!”
“Questo non è
possibile! Gli ordini che abbiamo ricevuto da Anhar sono chiari e…” – Ma il
soldato non riuscì a terminare la propria frase che fu afferrato da Febo per il
colletto della divisa che portava e scaraventato contro l’altro, che si era
mosso per prestargli aiuto.
“Anhar è soltanto
un consigliere! Io sono suo figlio!” –Tuonò, e i suoi occhi verdi brillarono,
quasi per la commozione con cui aveva pronunciato quelle parole.
“Errore!” –Sibilò
una voce, comparendo alle spalle di Febo. –“Io sono il Consigliere! La
Bocca di Ra, espressione della Divina Volontà del Sole! Mentre tu, uomo, sei
soltanto un figlio bastardo, avvelenato seme greco trapiantato in terra
d’Africa che tuo Padre ha avuto la bontà di risparmiare!”
Il Consigliere era
di fronte a lui, ricoperto da vesti nere, fermate in vita da una fusciacca
scarlatta. Lo sguardo fiero e sarcastico, gli occhi scuri e iniettati di sangue,
il viso maschile e ruvido, come la sua personalità. Anhar, mormorò Febo. Rimpiango il giorno in cui mio Padre ti
scelse come Consigliere! E
per un momento lo sfiorò il dubbio di non ricordare quel giorno, nonostante non
dovesse essere molto tempo addietro. In tempi recenti rispetto alla decisione
di Amon di uscire dal tempo e rinchiudersi nelle sue stanze! E allora come
ha potuto Anhar essere nominato Consigliere?
Febo scosse la
testa per cacciare quei pensieri. Non capiva cosa stesse accadendo ma sentì
improvvisamente una gran confusione ronzargli dentro, una sensazione capace di
mettere in crisi il suo inconscio, frammentando l’ordine su cui la sua
esistenza si era basata sino a quel momento.
“Ra non può
ricevere nessuno! Dovresti averlo capito ormai!” –Sibilò Anhar.
“Taci maledetto!
Cosa hai fatto a mio padre, eh?” –Gridò Febo. –“Hai avvelenato la sua mente in
questi anni, privandola del desiderio di rivedere noi, la sua famiglia!”
“Tu non sei la sua
famiglia, figlio bastardo, ma l’illegittimo sbaglio di un adolescente attratto
dal prosperoso seno di una sgualdrina di Delfi!” –Esclamò Anhar, tagliente.
“Maledettoooo!!!”
–Gridò Febo, bruciando il proprio cosmo e lanciandosi all’assalto. Una sfera di
energia cosmica, lucente come il sole, apparve sulla sua mano destra, prima che
egli la scagliasse avanti alla velocità della luce, contro Anhar.
Il Consigliere,
preso alla sprovvista dal violento attacco, incrociò le braccia avanti a sé,
frenando il devastante impeto della bomba di energia cosmica. Quando sollevò lo
sguardo si accorse che Febo non era più davanti a lui, bensì sopra, balzato in
aria per scendere in picchiata su di lui.
“Accetta
l’inevitabile, Febo! Ra ti ha dimenticato! E non lo biasimo per questo!”
–Ironizzò Anhar, evitando gli affondi energetici del figlio di Amon. –“Cosa mai
avrebbe potuto avere da te, un bastardo greco, un Dio che può tutto?! Egli,
capo dell’Enneade, si è creato da solo, da Mehturt, un tumulo nato dalle acque
del Nilo! Di cosa mai poteva aver bisogno una così potente Divinità?”
E nel dir questo
fermò il pugno di Febo che puntava su di lui, schiacciò la sua mano con forza,
mentre il biondino cercava di liberarla, stringendo i denti, e lo scaraventò
con violenza contro una parete laterale, su cui Febo si schiantò malamente.
Immediatamente immense vampate di energia cosmica sorsero dal suolo,
abbattendosi sul ragazzo e stritolandolo con vigore, fino a soffocarlo nelle
loro oscure fiamme.
“Che il tuo
sacrificio sia di esempio a tutti coloro che osano sfidare l’autorità del
Creatore!” –Sentenziò Anhar, prima di liberare una violenta tempesta
energetica, che travolse Febo, schiacciandolo al suo interno, tra vorticanti
vampate di fuoco e di energia cosmica. A tutti coloro che osano sfidare la
mia autorità! Ah ah ah!
Numerosi muri
interni del Tempio di Ra crollarono per la violenta esplosione, spazzando via
stanze intere e i loro arredamenti, e quando la polvere si diradò, i soldati
chiamati da Anhar poterono trovare il corpo ferito e debilitato di Febo,
sommerso dai detriti. Il viso del ragazzo era pallido e pieno di tagli e
ferite, i capelli biondi erano sporchi, macchiati di sangue e di polvere, ma
ancora era vivo, per quanto ansimasse a fatica. Anhar si fece largo tra i
soldati, che liberarono la carcassa inerme di Febo dalle macerie, giungendo fin
sopra di lui. Concentrò il cosmo sulla mano destra, sotto forma di
fiammeggianti artigli di energia cosmica, e si mosse per calarla su di lui,
prima che una decisa voce di donna lo chiamasse, bloccandolo.
“Fermati!”
–Esclamò Iside, comparendo tra le macerie. –“Se davvero Febo si è macchiato di
tale colpa, se davvero è un traditore, come tu lo accusi, sarà Ra stesso a
condannarlo! O il mio sposo, il Signore dei Morti, a portarlo agli Inferi con
sé!”
Anhar rimase in
silenzio per un momento, indeciso sul da farsi. Avrebbe voluto uccidere Febo in
quel momento, senza rimandare tutto a un tempo indeterminato, ma l’autorità
della Dea della Maternità era grande, su di lui e su tutti i soldati e gli
abitanti del Tempio di Karnak, e rifiutarle una simile richiesta, per altro
legittima, agli occhi di tutti avrebbe causato danni alla sua immagine.
“E sia dunque!”
–Esclamò, placando il suo cosmo. –“Portatelo nei sotterranei e imprigionatelo!
Sarà Osiride a valutare il suo comportamento offensivo!” –E si allontanò,
ridacchiando soddisfatto del proprio operato, sicuro che mai nessuno avrebbe
più cercato il corpo di Febo. Osiride era morto in Amenti e suo figlio Horus
con lui, ed egli non avrebbe avuto alcun problema a sbarazzarsi anche del figlio
bastardo di Ra una sera successiva.
Ioria del
Leone si era lanciato senza
esitazioni nella tempesta di sabbia, continuando ad avanzare nonostante la
difficoltà. Al vento poteva opporre resistenza, con la ferma volontà di andare
avanti, sempre e comunque, come suo fratello gli aveva insegnato. Alla sabbia
poteva offrire la visiera retraibile del suo elmo,
che gli permetteva di mantenere una visibilità sufficiente per vedere pochi
metri avanti a lui. Ma al violento cosmo oscuro che aleggiava su tutto il
Sahara orientale non riusciva ad opporsi, e ne veniva schiacciato a terra,
quasi fosse una formica.
In quei momenti Ioria sentiva il peso della sua armatura ricadergli addosso
e schiacciarlo a terra, il peso dei suoi dodici anni rubati e passati troppo in
fretta. Troppo, per essere soltanto un ragazzo. Ma ormai, fin da quando aveva
accettato di seguire Micene in quell’avventura, fin da quando era entrato nella
Sala d’Oro sicuro che qualunque missione sarebbe stata affidata a suo fratello
lui l’avrebbe seguito, era evidente che quella non era la sua giovinezza. La
giovinezza di un dodicenne comune. Quella era la strada per l’età adulta, e
l’Egitto sarebbe stato il banco di prova. L’esame da superare per essere degno
della fiducia ricevuta, da Micene, dal Grande Sacerdote e da Atena stessa.
Un urlo lo rubò ai
suoi pensieri. Un urlo che sembrava provenire da terre remote, mentre era
gridato soltanto dall’uomo dietro di lui: Albione di Cefeo,
uno dei ventiquattro Cavalieri d’Argento.
Biondo, sui
vent’anni, rivestito da una corazza blu acceso e profondo ammiratore di Sagitter, Albione aveva accettato con onore di partecipare
a tale impresa, non esitando a gettarsi dietro a Ioria
quando questi si era mosso per abbandonare il gruppo, lasciando Micene libero
di agire.
“Ioria! Aspettami!” –Esclamò, avvicinandosi al ragazzo.
“Non ho bisogno di
una balia, Albione!” –Brontolò subito Ioria. –“Ma
nessuno sembra capirlo!”
“Cosa dovremmo
capire?”
“Che sono capace
di cavarmela da solo!” –Sentenziò Ioria, continuando
ad avanzare nella tempesta, che pareva scemare d’intensità. –“Ho dodici anni, è
vero, ma sono un Cavaliere d’Oro! Atena non mi avrebbe scelto se fossi un
incapace!”
“Non ho detto che
sei un incapace! Temo soltanto per la tua inesperienza! Micene è un valente
condottiero, e un caro amico! Gli si spezzerebbe il cuore se ti sapesse in
pericolo! Sono soltanto preoccupato, per lui e per te!”
“E non devi esserlo!
Sono capace di badare a me stesso!”
La conversazione
tra i due fu bruscamente interrotta da un sibilo nel vento, che precedette la
comparsa di una lancia con la punta affilata che si piantò proprio in mezzo a
loro, evitando di conficcarsi nel piede di Albione per mezza spanna.
Immediatamente la lancia emanò una gran luce, anticipando una devastante
esplosione che scaraventò entrambi lontano di una decina di metri.
“Maledizione!”
–Brontolò Ioria, rialzandosi all’istante. Appurato di
non aver graffi, cercò Albione con lo sguardo, prima di localizzare la scia
cosmica lasciata dal loro nemico: colui che aveva scagliato la lancia
energetica. Lo trovò, ma restò sorpreso e agghiacciato quando comprese che
stava calando su di loro a una velocità impressionante. –“Attentooo!”
–Urlò Ioria, mentre una figura balzava su Albione,
ancora stordito dall’assalto e intento a rimettersi in piedi.
Albione tentò di
difendersi, utilizzando le catene, ma la furia devastante del nemico fu
tremenda e si ritrovò sollevato da terra per il collo, a fissare due occhi
grigi carichi di odio e di rancore. L’imprevisto nemico richiamò la sua lancia,
che scivolò nell’aria fino a raggiungere la mano destra del suo padrone, che la
puntò verso il Cavaliere d’Argento, ma non riuscì a raggiungerlo perché dovette
voltarsi lateralmente, per parare rapidi raggi di luce che Ioria
gli stava dirigendo contro.
“Lascialo andare!”
–Gridò Ioria, lanciandosi contro il suo avversario,
che fu svelto a liberarsi di Albione, scaraventandolo proprio addosso al
Cavaliere d’Oro, facendoli ruzzolare a terra entrambi.
“Ahahah! Un bel duetto di incapaci!” –Li sbeffeggiò l’uomo,
con una rachitica voce maschile.
“Ti fai beffe di
noi, guerriero?” –Domandò Ioria, rimettendosi subito
in piedi.
“Non dovrei
forse?” –Ironizzò l’uomo, con un ghigno di sfida.
“No! Non
dovresti!” –Rispose Ioria, scattando avanti, con il
pugno destro carico di energia cosmica. Violenti raggi di luce volarono
nell’aria, diretti verso il nemico, che fu abile a roteare la lancia che
reggeva, usandola come scudo per parare i colpi del ragazzo. Prima di
aggiungere altro, l’uomo saltò in alto, scagliando con vigore la lancia contro
i due Cavalieri di Atena, tra grida selvagge. Ma quella volta non li raggiunse,
deviata in volo dalle guizzanti Catene di Cefeo,
che Albione aveva prontamente liberato contro di essa, ricadendo qualche metro
distante, scivolando sulla sabbia.
“Chi sei,
guerriero che ci hai attaccato senza preavviso?” –Domandò Ioria,
fissandolo deciso.
Era un uomo sui
trentacinque anni, alto e robusto, con viso rude e scuro, piccoli occhi grigi e
folti capelli verdi, poco curati. La corazza che lo ricopriva era di colore
arancione chiaro e riprendeva molto bene le sfumature della sabbia sahariana,
con la quale il guerriero pareva spesso fondersi. L’elmo, Ioria
non aveva dubbi, era una testa di leone, su cui spuntavano quattro piume
bianche.
“Onuris è il mio nome! Signore della Guerra e
Distruttore di nemici!” –Si presentò l’uomo, richiamando nuovamente, con il
solo potere mentale, la sua lancia da guerra.
“Onuris?!” –Mormorò Albione, richiamando alla mente le
notizie che ricordava su tale antica divinità egizia. –“Chiamato anche Inhert o Anhur o Anhuret, era in origine una Divinità della Caccia e il suo
nome significa Colui che riporta l’allontanatae,
in quanto secondo la leggenda egli raccolse l’Occhio di Ra che si era
allontanato! Era il patrono dell’Esercito egizio e proteggeva i nemici e gli
animali, al punto che le sue imprese eroiche gli valsero gli appellativi di
Distruttore di nemici e di Salvatore! Era caro a Ra, che lo nominò Comandante
del suo Esercito!”
“Un grande onore
allora!” –Ironizzò Ioria. –“Ra ha inviato il suo
pezzo migliore contro di noi, per darci un benvenuto entusiasmante!”
“Umpf! Piccoli, incapaci e pure ignoranti!” –Storse il naso Onuris. –“Invadete una terra straniera senza neanche
documentarvi al riguardo! La vostra strategia è infima come la considerazione
che ho di voi! Schiacciarvi non mi darà soddisfazione! Ma lo farò comunque,
perché questo è ciò che meglio so fare! Combattere!” –E scattò avanti, brandendo
la sua lancia e scagliandola contro i due Cavalieri, caricandola con il suo
cosmo. –“Lancia da guerra! Trafiggili!”
Subito la lancia
si moltiplicò in centinaia di copie, tutte dall’acuminata punta carica di
energia incandescente, tutte dirette verso i due Cavalieri di Atena, che non
rimasero inermi ad aspettare di essere trafitti. Albione srotolò le sue catene,
una con la punta a triangolo e una con una palla chiodata all’estremità, e
iniziò a rotearle vorticosamente davanti a sé, creando un mulinello difensivo
su cui le lance si infransero, andando in frantumi con fragorose esplosioni.
Ioria, dal canto suo, era scattato avanti,
lanciando rapidi fasci di luce contro le lance del guerriero egizio, muovendosi
continuamente per non essere colpito, per quanto non fosse sicuro che tali armi
avrebbero potuto penetrare la resistente corazza dorata che portava. Ma il
fatto che fossero intrise dell’energia cosmica di un Dio lo fece dubitare e lo
spinse ad essere prudente.
“Non potrò
evitarle all’infinito!” –Si disse il Cavaliere del Leone, tirando un rapido
sguardo ad Albione alla sua destra. Il Cavaliere di Cefeo
era in difficoltà, poiché, per quanto riparato dal vortice argentato prodotto
dalle sue catene, le fragorose esplosioni delle lance contro di esse lo
spingevano indietro continuamente, obbligandolo a rimanere in costante sforzo.
Fu così che Ioria ebbe l’idea di lasciare liberi i suoi raggi
energetici, senza dirigerli in una particolare direzione, contro una lancia in
particolare, ma creando un reticolato di luce, formato da migliaia e migliaia
di fasci di energia cosmica incrociati tra loro, senza logicità, così fitto da
rendere impossibile a chiunque, e a qualunque oggetto, di superarlo senza
essere disintegrato.
“Per il Sacro
Leo!” –Gridò, mentre il reticolato di brillante energia da lui prodotto
distruggeva tutte le lance tra lui e il suo nemico, lasciando Onuris stupefatto, e al tempo stesso arrabbiato.
“Maledetto greco!”
–Sibilò, scattando avanti istantaneamente. Afferrò l’unica lancia rimasta in
aria, la sua arma divina, e balzò come una furia dall’alto su Ioria, rivolgendo la punta contro il cuore del ragazzo,
davanti agli occhi spaventati di Albione, che gridò a Ioria
di spostarsi.
“No!” –Urlò il
Cavaliere di Leo, muovendosi di mezzo passo indietro, in modo da poter
afferrare la lancia con le mani, proprio sotto l’acuminata punta, poco prima
che giungesse al suo petto, fermando a fatica la sua sanguinaria discesa.
“La tenacia non ti
manca, ragazzino!” –Sputacchiò Onuris, continuando a
spingere la lancia.
“Né la volontà di
andare oltre!” –Commentò Ioria, mettendo tutto se
stesso nelle braccia e riuscendo, lentamente ma inesorabilmente, ad alzare la
lancia, davanti agli occhi sgranati di Onuris.
Istintivamente, il
guerriero egizio caricò la gamba destra di energia cosmica e la sollevò di
scatto, per colpire il ragazzo, concentrato sulla lancia, e scaraventarlo
lontano, ma anche Ioria fece la stessa cosa e le due
gambe si scontrarono tra loro, gettando entrambi indietro di qualche metro. Onuris perse la presa della lancia e Albione ne approfittò
per afferrarla con le sue catene argentate, sperando di privargliene
l’utilizzo. Ma sottovalutò le capacità difensive dell’arma stessa, che iniziò a
emettere violenti scariche energetiche, che spinsero via le Catene di Cefeo, prima di rientrare nelle abili mani del suo
padrone, che intanto si era rimesso in piedi.
“Non sottovalutare
la Lancia di Onuris, Cavaliere di Atena!” –Precisò Onuris. –“È ben più di una lancia, è la mia compagna!
Insieme a lei grandi gesta ho compiuto, nel difendere il mio Paese dai nemici,
nel combattere a fianco dei soldati e dei fedeli che mi elessero loro
Protettore! Fu Ra in persona a farmene dono secoli fa! Un premio al suo
Comandante e al Patrono dell’Esercito Egizio!”
“Se davvero
possiedi spirito di Difensore, allora sentirai chiaramente che nei nostri animi
non c’è volontà battagliera, Onuris!” –Esclamò
Albione, tentando la carta del negoziato. –“Siamo giunti in Egitto per scoprire
cosa è accaduto a due Cavalieri nostri compagni, inviati dal Grande Sacerdote
come ambasciatori ma mai rientrati ad Atene! L’averci attaccato immediatamente,
senza darci possibilità alcuna di presentarci né di spiegarci, conferma i
sospetti che già nutrivamo! Che l’Egitto, per qualche recondito motivo non di
nostra conoscenza, ha dichiarato guerra ad Atene!”
“Nessuna guerra
possiede un motivo tanto valido per cui meriti di essere combattuta!” –Esclamò Onuris, e nel tono della sua voce Albione parve cogliere
una sfumatura di malinconia. –“Ma questo è il dovere di noi soldati!”
“Ma tu non sei un
soldato comune, Onuris! Tu sei il Comandante
dell’Esercito, il Protettore dell’Egitto, primo nel cuore di Ra!” –Esclamò
Albione. –“L’hai detto tu stesso!”
“Lo ero! Un
tempo!” –Affermò Onuris, perdendosi nei ricordi.
–“Molti secoli fa, quando ero ancora giovane e passavo le giornate a cacciare i
predoni con la mia lancia, vivendo tra gli uomini a me fedeli e rimanendo da
loro ammirato e lodato! Ma quei tempi sono lontani ormai!”
“Se, come tu
stesso hai ammesso, non vi sono motivi validi per una guerra tra Atene e
l’Egitto, allora fermiamo questo gioco al massacro! Le popolazioni ti saranno
grate, sia le greche che i fedeli egiziani, di cui potrai riconquistare la
fiducia, persa per non so quale motivo!”
“Taci!” –Gridò Onuris, puntando la lancia contro Albione. E un raggio di
energia sfrecciò nell’aria, distruggendo la spalliera destra dell’Armatura di Cefeo, facendo accasciare il Cavaliere a terra. –“Non hai
il diritto di parlare di cose che non conosci, di rivangare i miei sentimenti,
che a me soltanto appartengono! Anch’io, come Ra, cercai di ottenere stima e
affetto dagli uomini, ma ottenni solo disprezzo!” –Aggiunse, ricordando eventi
accaduti secoli prima. –“Congiurai con Seth per assassinare Osiride, il Dio dei
Morti, credendo di fare cosa gradita agli uomini, di liberarli dal giogo della
morte! Ma Ra non gradì la mia interferenza, e mi punì severamente,
etichettandomi come traditore, strappando i miei gradi e privandomi del titolo
di Protettore e Patrono d’Egitto!”
“E adesso,
uccidendo noi, vuoi riscattarti, è così?” –Intervenne Ioria.
–“Portare le nostre teste innocenti al tuo Dio, Ra, e venderci come trofei per
riprendere i gradi che hai perduto!”
“Te lo ripeto,
ragazzino! Sei piccolo, incapace e pure ignorante!” –Lo derise nuovamente Onuris, provocando la reazione incollerita di Ioria. –“Ra non governa più sull’Egitto da secoli, da
quando scelse di uscire dal tempo, rinchiudendosi nel Tempio di Karnak, insieme
ai suoi familiari e alle Divinità a lui fedeli, lasciando l’Egitto nel caos!
Dopo secoli di guerre tra le tribù e tra i popoli fedeli a diverse Divinità
locali, Seth, il Dio cacciato tempo addietro dallo stesso Ra, dopo che ebbe
tentato l’assassinio di Osiride e di suo figlio Horus, è tornato ed ha
unificato l’Egitto! Sotto il suo stemma, il Sole Nero, adesso combatto! Per
dimostrare a lui che sono ancora il migliore, che il tempo non ha attaccato la
mia abilità! E che quel cialtrone di Upuaut non vale
quanto Onuris!”
“Che bella
storia!” –Lo schernì Ioria. –“Per soddisfare la tua
ambizione e la tua voglia di gloria hai venduto l’anima e l’onore verso Ra al
suo nemico, prestandoti a vili azioni di conquista e di guerra! Tu, che di
questa terra fosti il Protettore, adesso ne sei diventato l’Assassino, il
Conquistatore!”
“Zitto,
ragazzino!” –Esclamò irato Onuris, colpito dalle
parole crude di Ioria. Sollevò la lancia e fece per
scagliarla avanti, caricandola di tutto il suo cosmo. Ma si accorse che Ioria non era più sulla sua traiettoria, bensì già davanti
a lui, con il pugno destro carico di rovente energia lucente.
“Assaggia le
lucenti zanne del Leone!!!” –Gridò Ioria, portando
avanti il pugno incandescente. Scariche di energia cosmica stridettero sulla
corazza del Guerriero Egizio, frantumandola sul lato sinistro, facendo uscire
fiotti di sangue e obbligando Onuris a sollevare il
braccio destro, perdendo la presa della lancia e urlando di dolore.
Ioria si preparò per colpirlo di nuovo, da
distanza ravvicinata, ma Onuris, stringendo i denti
per il bruciore, lo anticipò, bloccando il pugno destro del ragazzo con la sua
mano sinistra, chiudendola su esso poco dopo. Rimasero così, Ioria con il pugno nella mano di Onuris,
e Onuris a tastarsi il petto sanguinante con l’altra,
per qualche secondo, mentre i loro cosmi si scontravano stridendo tra loro e
l’aria si caricava di una violenta tensione elettromagnetica.
Per sbloccare la
situazione, Ioria caricò il pugno sinistro,
preparandosi per portarlo avanti e colpire Onuris, ma
questi lo stupì, staccando una piuma dall’elmo della sua corazza e poggiandola
sul petto del Cavaliere d’Oro, che sgranò gli occhi stupefatto da tale azione.
Un attimo dopo una violenta esplosione di energia scaraventò Ioria indietro, facendolo ruzzolare al suolo per parecchi
metri.
“Ioriaaa!!!” –Gridò Albione, preoccupato. Ma, sicuro che il
ragazzo si sarebbe rialzato, non corse verso di lui bensì verso Onuris, lanciandogli contro le proprie Catene, che subito
si moltiplicarono, saettando verso il guerriero egizio, che fu abile ad
evitarle, rotolando sulla sabbia continuamente.
Un sogghigno sul
suo volto fece preoccupare Albione, che si aspettava un assalto improvviso, e
lo spinse a ritirare le sue catene. Ma Onuris non
attaccò, semplicemente svanì nel nulla, mescolandosi alla sabbia del deserto.
“Uh?! Che cosa?!
Dov’è andato?” –Mormorò Albione, guardandosi intorno. Ma non fece in tempo a
terminare la frase che sentì qualcosa sfiorargli il petto. Vide appena una
piuma poggiare contro la corazza prima di sentirsi esplodere, venendo
scaraventato indietro, con il pettorale danneggiato.
“Uahahahah!” –Sghignazzò Onuris,
la cui voce proveniva da un indefinito punto intorno a loro. –“Seth vedrà chi è
il migliore, chi è il più adatto per comandare l’Esercito del Sole Nero!”
“Vigliacco!
Mostrati!” –Strinse i pugni Ioria, fendendo la
torrida aria con il suo sguardo deciso. Tese i sensi, per percepire ogni
vibrazione attorno a sé, ma non riuscì a sentire niente. Era come se Onuris fosse scomparso, o fosse ovunque attorno a loro. La
sabbia copriva ogni sensazione, ogni rumore, ogni possibilità di rintracciarlo.
“Non riuscirete
mai a capire dove sono! Perché io sono ovunque!” –Rise Onuris.
–“La mia corazza possiede il singolare potere di mimetizzarsi nella sabbia che
la circonda, poiché della stessa sabbia, mescolata a polvere d’oro, le mie
vesti sono formate! Un tutt’uno che voi non riuscirete mai a distruggere!
Potete tendere i sensi quanto volete, ma non riuscirete a localizzarmi! E se
anche vi riusciste… Sarà troppo tardi!” –E subito una
piuma comparve sul petto di Ioria, che venne
nuovamente scaraventato indietro, rotolando nella sabbia e perdendo l’elmo
della sua Armatura.
Con tenacia, Ioria subito si raddrizzò, tastando la superficie della
corazza, nel punto dove Onuris lo aveva colpito con
le sue piume. Era rovente, e una fitta lo scosse all’addome, per fortuna non
raggiunto direttamente. La resistenza delle Armature d’Oro era appurata, questo
Ioria lo sapeva. E sapeva anche che dall’epoca del
mito non erano mai state distrutte. Nonostante tutto l’assalto lo aveva
sfiancato e non era certo di poterne sopportare un altro, così diretto, così
preciso, così potente. Come una bomba di energia concentrata in un lampo. Si
rialzò e meditò una strategia di attacco, ma Albione lo pregò di non scaldarsi.
Avrebbero trovato il guerriero grazie alle sue catene.
“Alle catene?!
Come possono le tue catene trovare Onuris?” –Domandò Ioria, perplesso.
“Lasciami fare!”
–Gli sorrise Albione, espandendo il proprio cosmo. –“Sfrutterò una
particolarità della mia corazza! Le Catene dell’Armatura di Cefeo
provengono dall’Isola di Andromeda, dove appunto è nascosta l’Armatura di
Andromeda! Le nostre catene, oltre che essere notevolmente resistenti, possono
essere usate sia in attacco che in difesa, sia come strumento per cercare
nemici nascosti! È un’ottima occasione questa per vederle all’opera!” –Esclamò
Albione, caricando del suo cosmo la catena con la punta triangolare. –“Vai, Catena
di Cefeo! Vinci la malinconica desolazione di
questo deserto e trova il nemico!” –E la lanciò avanti, lasciandola guizzare
nell’aria, come una lucente saetta, liberando scintille, finché non batté
rumorosamente contro qualcosa.
L’elmo leonino
della corazza di Onuris schizzò nell’aria, rotolando
sulla sabbia per qualche metro, ammaccato sul davanti, nel punto in cui la
catena lo aveva raggiunto, mentre la sagoma stupefatta del guerriero egizio
ricomparve di fronte agli occhi dei due Cavalieri.
“Incredibile!
Quella catena è portentosa!” –Esclamò, mentre Albione sollevava l’altra catena,
quella con la palla chiodata alla sua estremità, iniziando a rotearla.
Senz’altro aggiungere la scagliò ad altissima velocità contro il guerriero
egizio, arrotolandola al suo braccio destro, bloccandolo con un brusco
strattone che spezzò il polso di Onuris, facendolo
gridare dal dolore e infervorare sempre più. Ma Albione non gli diede tempo di
reagire, che lanciò di nuovo la Catena di Cefeo
all’attacco.
“Onda del Tuono,
via!” –Gridò, mentre la catena con la punta argentata schizzava nell’aria,
zigzagando confusamente, diretta verso il cuore di Onuris.
Già convinto della vittoria, Albione osservò attento la scena, rimanendo
deluso, e stupito, quando vide la Catena di Cefeo
fermarsi poco prima di raggiungere il bersaglio. –“Ma…
cosa?!” –Onuris aveva richiamato una piuma dal suo
elmo, l’ultima delle quattro che aveva in dotazione, e su di essa si era
bloccata l’arma.
L’esplosione che
ne seguì fece schizzar via la Catena di Cefeo,
disintegrando quella con la punta a triangolo e scheggiando l’altra, liberando Onuris dalla sua stretta. Per il contraccolpo, Albione
venne scaraventato indietro, cadendo sulla sabbia, ma nonostante Onuris si fosse lanciato subito su di lui, non riuscì a
raggiungerlo, ritrovandosi improvvisamente all’interno di un labirinto di luce.
Un reticolato di
raggi dal colore dell’oro vivo era sorto intorno a lui e si stava chiudendo sul
guerriero egizio a velocità impressionante. Onuris si
muoveva, a destra, a sinistra, anche avanti quando riusciva, ma la velocità di
creazione e di movimento del reticolato di luce era pari alla propria e tendeva
ad aumentare.
“Per il Sacro
Leo!” –Gridò una voce, e Onuris vide Ioria comparire di fronte a lui, con il pugno destro carico
di rovente energia. Un raggio di luce lo ferì alla mano sinistra, trinciandogli
un paio di dita e liberando violenti schizzi di sangue, disturbando la sua
concentrazione e permettendo quindi a Ioria di
travolgerlo con tutta la potenza del suo colpo sacro.
Onuris ricadde a terra parecchi metri indietro, con
l’armatura in buona parte distrutta, trinciata dai sottili ma potentissimi
raggi di luce che il Cavaliere di Leo gli aveva rivolto contro. Sgorgava sangue
dalle sue ferite, aveva perso tre dita della mano sinistra e aveva il polso
destro rotto. Ma ancora era determinato a combattere, per tener fede a ciò che
era un tempo, alla sua fama di impavido guerriero disposto a combattere per
l’Egitto.
“Poco importa per
chi! Se per un Dio che non ha perdonato il mio unico sbaglio, dimenticando i
miei precedenti meriti, o per un tiranno che usa le ricchezze depredate alle
città vicine per sovvenzionare un esercito di guerrieri assetati di sangue! Onuris combatterà comunque, senza indietreggiare di un
passo! Se vi è un uomo degno a guidare gli Eserciti d’Egitto quello sono io!”
–Detto questo strinse i denti e mosse il polso destro, impugnando la sua lancia
da battaglia, con il volto stravolto dal dolore e dalla fatica. –“Fatti avanti,
ragazzino, adesso vedremo quale leone è realmente il signore di questo deserto!”
–E si lanciò verso Ioria, sollevando la lancia e
caricandola di tutto il suo cosmo. –“Lancia da guerra!” –Immediatamente
l’arma si moltiplicò in centinaia e centinaia di copie, e tutte puntarono sul
Cavaliere di Leo, il quale, invece di ricreare il reticolato di luce con il
quale le aveva annientate in precedenza, preferì concentrare il suo cosmo in un
unico colpo, diretto verso il suo vero obiettivo: Onuris,
colui che guidava le lance con il suo cosmo.
“Per il Sacro
Leo! Zanna del Leone!!!” –Esclamò, scagliando il colpo che gli aveva
insegnato suo fratello. Una sfera di energia incandescente che sfrecciava
nell’aria come una cometa, schiantandosi sul suo avversario.
L’attacco centrò
il bersaglio, colpendo in pieno petto Onuris, il
quale, troppo intento a dirigere le lance con il pensiero, non riuscì a
scansare in tempo il globo dorato che gli spaccò il torace, gettandolo
moribondo a terra, tra i frammenti della sua corazza. Là, sulle sabbie in cui
amava nascondersi, su cui amava gareggiare, e che amava difendere quando ancora
lottava per un ideale di pace, agonizzò per qualche minuto, prima di spirare,
doppiamente vinto. In battaglia e nell’orgoglio.
Ma anche Ioria non uscì indenne dallo scontro, venendo raggiunto
dalla Lancia da Guerra sull’avambraccio sinistro, nel punto scoperto
dell’armatura, proprio sotto la spalla. Cadde a terra dolorante, estraendo
l’arma e spezzandola, schiantandola contro il ginocchio. Albione si avvicinò al
ragazzo poco dopo, per controllare la ferita, ma Ioria
cercò di minimizzare. Strappò un pezzo del suo mantello e ne fece una benda con
cui tamponarla, pregando Albione di non farne un dramma.
“Volevo soltanto
ringraziarti!” –Gli disse Albione. –“Per avermi protetto!”
“Dovere di
Cavaliere!” –Esclamò Ioria, prima di aggiungere sorridendo.
–“Non dirlo a mio fratello!”
Un po’ tirato, mormorò Albione osservando il ragazzo, ma
pur sempre un sorriso.
In un’altra zona
dell’Egitto, più a ridosso del fiume Nilo, il Cavaliere di Cancer stava
combattendo.
Dopo essersi
liberato della scomoda presenza di Micene e degli altri Cavalieri,
approfittando della tempesta di sabbia per far perdere le sue tracce, aveva
proseguito in linea retta, senza accorgersi di non essere diretto a Tebe ma a Dendera, cittadina nella quale era arrivato dopo pochi
minuti.
La località,
situata a nord di Tebe, in un’ansa del Nilo, era un tempo un luogo di culto
capace di attrarre una gran quantità di fedeli. Ivi era stato costruito, nel I
secolo a.C., un tempio in onore di Hathor, Dea della
Musica e delle Danze, Signora del Sicomoro del Sud, la principale Divinità
osannata a Dendera. Per tutta la tarda età Antica e
la prima età Moderna il Tempio era stato frequentato da milioni di fedeli, ma
lentamente era caduto in rovina e da quando Seth aveva iniziato il processo di
riunificazione dell’Egitto era stato chiuso e ne era stato vietato l’accesso.
Nel nuovo Egitto, secondo Seth, vi era posto soltanto per un’unica religione:
l’adorazione del Sole Nero.
Quando Cancer vi
arrivò, trovò la cittadina in decadenza. L’antico muro perimetrale era in
rovina, numerose colonne erano crollate e i cartigli sulle porte degli edifici
sacri andavano sbiadendo. Non vi era nessuno in quel luogo desolato, e forse
proprio per quello lo trovò piacevole e interessante.
“Vi è un’aria di
morte in questo posto!” –Si disse, lasciandosi inebriare da quell’effluvio.
–“Una grande battaglia vi è stata combattuta! E ne restano ancora le tracce!”
–Ed iniziò a camminare, guardandosi intorno, fino a rinvenire tracce di lotta
nel terreno circostante, e cadaveri ammucchiati nel retro del Tempio di Hathor, proprio vicino al lago sacro dove venivano
celebrati i misteri del culto di Osiride, ossia la passione, la morte e la
resurrezione del dio in un’azione scenica e liturgica.
Cancer sorrise, di
un ghigno perverso che mal si addiceva ad un Cavaliere di Atena, riflettendo
che dopo tutto quel posto non era malaccio. Che tutte quelle teste mozzate e
quei corpi stantii, gettati sotto il cocente sole d’Egitto ad essiccare,
potevano essere un arredamento interessante.
Improvvisamente,
mentre stava camminando nel cortile di fronte al Tempio, pronto per
allontanarsi e dirigersi verso Tebe, sentì un fruscio nell’aria, quasi un suono
indistinto ma sufficiente per farlo voltare di scatto e balzare in alto. Restò
stupito nel vedere lunghe bende bianche dirigersi verso di lui, arrotolarsi
intorno alle sue gambe e tirarlo a terra, facendolo sbattere contro il terreno
sabbioso.
“Ma che è ‘sta
roba?” –Brontolò, cercando di liberarsi da quella che stava diventando una
sempre più avvolgente stretta. Stufo di sembrare un pesce preso all’amo,
espanse il suo cosmo, stracciando le bende che lo avevano imprigionato e
rimettendosi in piedi, trovandosi di fronte il suo avversario.
Cancer sgranò gli
occhi, quasi sconvolto da quella terrificante apparizione, ma poi dovette
ammettere che la figura davanti a lui era realmente una Mummia, proprio come
l’aveva immaginata nei suoi incubi peggiori. Una figura di media altezza, il
cui corpo e il cui volto erano nascosti da strati e strati di bende e fasce
bianche. L’unica cosa che traspariva, sul viso della creatura, erano due
luminosi occhi viola, carichi di una profonda oscurità.
“E tu che diavolo
sei?” –Domandò Cancer, toccandosi il naso con aria di superiorità.
“Non hai mai visto
una Mummia?!” –Rispose una voce spettrale, proveniente dalla grottesca
figura.
“Non credevo che
esistessero realmente!” –Esclamò Cancer, ancora un po’ stordito.
“Sai così poco al
riguardo, Cavaliere di Atena…” –Mormorò la Mummia,
avvicinandosi a Cancer, con le braccia protese verso di lui. –“Lascia che ti
stringa in un caloroso abbraccio, per trasmetterti qualcosa di me!” –E in quel
momento le bende delle sue braccia si srotolarono, strisciando come serpenti
sul terreno, dirette verso Cancer, il quale, immaginando che volessero
intrappolarlo come poco prima, iniziò a muovere le braccia freneticamente,
cercando di cacciarle via.
“Ma guarda questi
pezzi di stoffa!” –Esclamò con tono beffardo. –“Ne farò brandelli!” –E caricò
il suo cosmo dorato, iniziando a falciare le bende bianche che la Mummia gli
stava inviando contro. Ma per ogni pezzo di stoffa che stracciava, le bende
crescevano ancora, aumentando a dismisura, finché non divenne impossibile fermarle.
Allora Cancer cambiò strategia, afferrando le cime con la mano sinistra e
stringendole con forza, quasi come a strozzarle.
La Mummia sembrò
fermarsi bruscamente, soffocata da quel brusco movimento, ma non disse niente,
restando ad osservare il Cavaliere d’Oro che concentrava il cosmo sull’indice
destro.
“Bene, mezzomorto, ringraziami! Metterò fine alla tua sofferenza,
facendoti tornare nel paese da cui provieni!” –Ironizzò Cancer, prima di
scagliare il suo colpo segreto. –“Strati di Spirito!!!”
La luminescenza
sul suo dito destro fluttuò nell’aria come una cometa, raggiungendo la Mummia e
penetrando dentro il suo corpo bendato. Ma non accadde altro. E questo irritò
notevolmente il Cavaliere di Cancer, e forse lo spaventò persino, per quanto
fosse abile a non lasciarlo trasparire.
“Com’è possibile?
Il mio colpo segreto non ha avuto effetto su di te?”
“Stolto!” –Sibilò
la Mummia, mentre i suoi occhi viola brillavano di un’intensa e sinistra luce.
–“Il tuo colpo segreto consiste nella separazione dell’anima dal corpo,
sfruttando l’immenso potere della Nebulosa di Presepe, nella Costellazione del
Cancro, da sempre guida verso il regno dei morti! Ma come puoi mandare me, che
non ho più un’anima né un corpo, nell’Oltretomba?!” –Sghignazzò, prima di far
esplodere il suo cosmo. Un cosmo finora rimasto sopito.
Cancer venne
spinto indietro dall’esplosione di energia mentre le bende delle braccia della
Mummia, liberate dalla presa del Cavaliere d’Oro, iniziarono a fluttuare
nell’aria, come fruste, schiaffeggiando vistosamente il corpo del ragazzo,
liberando scariche di energia incandescente.
“Maledetto non
morto!” –Esclamò Cancer, strusciandosi il viso con la mano destra e pulendosi
gocce di sangue che avevano iniziato ad uscire da alcuni graffi. –“Ti farò
pentire di essere tornato dall’Oltretomba! Ti ucciderò nuovamente, senza darti
possibilità di tornare ancora!”
“Ancora non
capisci, Cavaliere di Atena! Ancora continui a definirmi un non morto! Ma non è
questo che sono! Non soltanto!” –Lo zittì la Mummia, frustando Cancer sul viso
e scaraventandolo indietro, contro il muro perimetrale del Tempio di Hathor, che subito crollò su di lui.
Arrabbiato come
non mai, Cancer si rimise immediatamente in piedi, bruciando il proprio cosmo.
Scattò come un fulmine sul terreno, mentre la Mummia tentava di fermarlo con le
sue bende, striscianti come serpenti, guizzanti come fulmini, ma inutilmente.
Il Cavaliere fu più veloce di esse, giungendo con un balzo proprio davanti alla
creatura dalle braccia aperte, nel mezzo ai due arti.
“Mostrami il tuo
volto, zombie!” –Esclamò, allungando la mano sul viso della Mummia per
strapparle via quelle bende lacere e consumate. Ma non appena le sfiorò una
vistosa scarica di energia lo travolse, percuotendo l’intero suo corpo,
lasciandolo sospeso a mezz’aria di fronte ad essa. Immediatamente centinaia di
bende iniziarono ad avvolgersi attorno al corpo agonizzante del Cavaliere, che
stringeva i denti per cacciar via il dolore derivante dal sentire la propria
carne dilaniata da quelle folgori violacee, che entravano dentro di lui e che
sembravano consumarlo.
“Proverai anche
tu, adesso, il piacere della morte!” –Sibilò la Mummia, fissando il volto
dolorante di Cancer. –“Ti consumerò, entrando dentro di te e prendendo possesso
del tuo corpo!”
“Ma…Maiii!!!” –Gridò il giovane,
tentando di liberarsi, bruciando il proprio cosmo, mentre ormai l’intero suo
corpo era avvolto dalle bende della Mummia, il cui sguardo era sempre fisso su
di lui.
“Mi hai posto una
domanda e io ti risponderò! Sono un uomo! O meglio, dovrei dire, ero un uomo!
Poiché ho ceduto a Seth la mia vita, diventando la prima cavia dei suoi
esperimenti!”
“Cavia?!
Esperimenti?!” –Domandò Cancer, avvolto dalle bende della mummia, come un
bozzolo di farfalla. Solo la testa era rimasta all’esterno.
“Tu conosci il
processo di mummificazione, Cavaliere? È un processo, naturale o artificiale,
in cui un cadavere subisce una disidratazione massiccia e così veloce che i
tessuti rimangono come fissati! L’imbalsamazione è una costante della cultura
egizia, poiché si ritiene che il corpo sia la sede dell'anima, e la
conservazione dello stesso dopo la morte sia essenziale per la vita
nell’oltretomba! Quindi i defunti vengono avvolti in bende di tela, dopo che i
loro organi interni sono stati asportati e deposti dentro casse di legno,
spesso decorate con raffigurazioni del defunto! Uomini, donne e animali sacri,
come gatti, tori, coccodrilli e falchi vengono da millenni mummificati in
Egitto!”
“E cosa vuoi che
interessi a me tutto questo?!” –Gridò Cancer, mentre le bende si intrecciavano
intorno al suo collo, iniziando a soffocarlo lentamente.
“Stavo soltanto
illustrandoti il procedimento che userò per ucciderti!” –Sibilò la Mummia,
avvicinandosi al viso di Cancer. Di scatto, la testa della Mummia fuoriuscì
dalle garze, puntando verso Cancer, che tirò un grido inorridito da
quell’abominevole visione. Non vi era niente di umano in quel volto, soltanto
un consumato scheletro ricoperto di una sostanza che pareva bitume, scavato ed
asportato dei tessuti spugnosi della pelle e degli organi interni. –“Ti
piaccio? Presto sarai come me! Anzi, presto sarai me, dato che io prenderò i
tuoi organi!” –Esclamò la Mummia, avvolgendo nuovamente il volto nelle sue
bende, lasciando nuovamente fuori soltanto gli occhi, che in realtà erano
soltanto cavità vuote dove il suo cosmo proiettava due luci violacee.
Le bende avvolsero
completamente il corpo del Cavaliere di Cancer, coprendo anche il suo viso, e
lasciandolo inerme all’interno, come un baco nel bozzolo. Con un movimento
brusco, la Mummia tagliò le bende e diede un calcio all’aggrovigliata matassa,
prima di esplodere in una sottile risata.
“Mummificazione!”
–Sogghignò. –“Solitamente il processo impiega 70 giorni, ma nel tuo caso,
grazie al mio cosmo di cui le bende sono intrise, impiegherà soltanto sette
minuti! Tra sette minuti, e forse meno, di te non sarà rimasto niente, se non
un vuoto scheletro avvizzito! Dovresti ringraziarmi! Ti ho risparmiato un
viaggio in Amenti, fissandoti qua, dove rimarrai per
sempre! Immobile e preservato!”
La Mummia non
riuscì a terminare la frase che una violenta esplosione di luce accecò l’intero
cortile del Tempio di Hathor. Il bozzolo in cui
Cancer era imprigionato iniziò a muoversi, a sballottare convulsamente, mentre raggi
di luce filtravano dalle bianche bende, che iniziarono ad allentarsi, prima di
gonfiarsi, sotto la spinta interna di Cancer, e esplodere, venendo spazzate
via. Il Cavaliere ne uscì, rimettendosi in piedi e respirando a fatica per lo
sforzo e la mancanza di aria.
“Se volevi farmi
arrabbiare, ci sei riuscito!” –Esclamò Cancer, puntando la Mummia con il suo
sguardo deciso. E scattò avanti, nonostante avesse ancora il respiro affannato,
caricando le braccia del suo dorato cosmo e muovendole come fossero le chele di
un granchio. –“Chele del Cancro!”
Rapidi fendenti di
luce percorsero l’aria, trinciando le lunghe bende bianche che la Mummia gli
inviava contro, con forza e tenacia, permettendo al Cavaliere di avvicinarsi
maggiormente al suo nemico. Con un gesto rapido la Mummia fece scivolare
nell’aria una lunga benda intrisa di cosmo fino ad afferrare il collo di
Cancer, stringendolo con forza, e poi lo sbatté a terra bruscamente.
Dimostrando un’insospettata forza per una creatura così esile, la Mummia risollevò
Cancer e lo fece sbattere contro un’altra parete del muro del Tempio di Hathor, che crollò nuovamente su di lui.
Certa ormai della
vittoria, la Mummia fece per ritirare la sua lunga benda ma si accorse di non
poterla smuovere. Un’esplosione cosmica polverizzò i macigni caduti su Cancer,
mostrando il dodicenne Cavaliere d’Oro, ansimante e in parte ferito, ma con
l’espressione di chi non vuole arrendersi. Afferrò la benda che gli stringeva
il collo e la caricò del suo cosmo dorato, fino a farla incendiare. In un
attimo il fuoco stellare si propagò sull’intero corpo della Mummia, che avvampò
come un foglio di carta ingiallita. Cancer rise di gusto, osservando il suo
nemico arrostire in una fiammata, ma quando si mosse per allontanarsi dal
tempio di Hathor una voce lugubre lo richiamò.
Voltatosi
nuovamente, Cancer vide con orrore che la creatura era ancora viva e aveva
assunto un aspetto ancora più orribile. Bruciate le bende, arsa la protezione
che lo nascondeva, l’uomo al suo interno si era rivelato in tutto il suo
orrore. Un orrore che di umano non aveva niente più. Uno scheletro esile,
consumato dal tempo e dalle fiamme, avanzava a passi decisi verso di lui,
colando uno strano liquido simile a bitume. Non aveva viso, né occhi, soltanto
un cranio scavato su cui emergevano due luci violacee. Espressione di un cosmo
tremendamente ostile e portatore di morte.
“Come può
essere?!” –Gridò Cancer. –“Tu sei morto!!! Morto!!! E i morti non camminano,
non parlano, non vivono!” –E gli scagliò un violento fascio energetico addosso,
che non produsse alcun effetto se non un grido agghiacciante, persino per
Cancer, che lo fece accasciare dalla disperazione.
“Non hai ascoltato
le mie parole, Cavaliere d’Oro? Ti ho detto che io sono un esperimento di Seth!
Egli ha preso la mia vita, lasciando questo mero involucro, destinato a non
morire mai!” –Esclamò la Mummia, prima di narrare la sua storia. –“Ero un
predone e ho vissuto vent’anni a rubare insieme ad altri disperati! Assalivamo
le carovane che si inoltravano nelle zone aride del Sahara Orientale! Alcune
volte ci spingevamo fino ad Assuan, ma là la sorveglianza dell’Esercito
regolare egiziano era maggiore! Non avevamo scopi nella vita se non depredare
le nostre vittime! Non avevamo altri ideali che non la conservazione del nostro
stesso genere, anzi di noi stessi, prima di chiunque altro dello stesso gruppo!
Un giorno venimmo a sapere che il mitologico Dio Seth, la cui contesa con Horus
per vendicare Osiride era leggenda, era tornato e stava cercando un esercito
per soggiogare l’Egitto e Ra, così decidemmo di unirci a lui, nella speranza di
ottenere gloria e ricchezze!
Ma Seth, come Ra
prima di lui, non aveva alcun interesse per noi, e ci usò come cavie per i suoi
esperimenti! Grazie all’oscuro potere di una Pietra Nera che portava al collo,
dono di un’ombra che lo aveva risvegliato dal limbo in cui giaceva, Seth iniziò
a condurre esperimenti nei sotterranei della Piramide Nera! Intendeva creare il
guerriero perfetto: forte, resistente e capace di sopravvivere all’usura del
tempo! E quale guerriero migliore di una mummia? Un uomo che già era morto e
non doveva subire l’agonia del presente, la lenta frustrazione di compiere ogni
giorno un passo in più verso la morte! Questo è il risultato dei suoi
esperimenti! Questa è la ricchezza che ho ottenuto!”
“Mi fai schifo!
Non sei nient’altro che uno scheletro avvizzito! Avresti fatto meglio a
continuare a vivere come un predone, almeno avresti potuto godere delle tue
ricchezze, pur misere che fossero!”
“Aspre parole le
tue! Per essere un Cavaliere di Atena non conosci pietà né compassione!”
“No, non le
conosco! Poiché in guerra mi sono avverse, come l’affetto e il rispetto per i
nemici! Sono armi a doppio taglio, capaci di ferirmi nel momento meno
opportuno! Io sono un soldato e il mio compito è combattere! Ovviamente in
guerre da cui io esca vincitore!”
“Per cosa
combatti, Cavaliere di Cancer? Io combatto per ottenere nuovamente un corpo!
Seth me ne ha privato, ma se gli portassi il tuo, egli potrebbe invertire il
processo di mummificazione e concedermi di vivere ancora!”
“Sei un illuso!
Questo Seth non ha interesse alcuno per te! È evidente! Né io ho interesse a
cederti il mio corpo!” –Esclamò Cancer, bruciando il proprio cosmo. –“Devo
combattere ancora troppe battaglie perché io possa venire sconfitto!” –E si
lanciò avanti per attaccare la Mummia, ma questi lo anticipò, sollevando la
mano destra al cielo.
Dalle raggrinzita
dita della sua mano partirono cinque raggi violacei che si disposero intorno a
Cancer, uno sopra il capo, due ai lati della sua testa e due ai lati dei suoi
piedi, duplicandosi fino a formare un rudimentale poliedro, che assunse la
forma di un sarcofago.
“Sarcofago del
passato!” –Sibilò la lugubre voce, immobilizzando Cancer al suo interno,
nuovamente prigioniero. Stavolta di se stesso, e dei suoi ricordi. –“Mostrami
il passato di quest’uomo, ciò che lo ha reso così violento! E mostralo a lui,
uccidendolo con i suoi rimorsi!”
Immediatamente,
per quanto Cancer tentasse di liberarsi, iniziarono a scorrere davanti ai suoi
occhi, sulle pareti interne del sarcofago, le immagini di tutta la sua vita, i
ricordi di quando era bambino. Lacrime e sangue, violenza e perversione. Di
esse fu costellata la sua giovinezza, ed esse lo spinsero a diventare un
Cavaliere. Per essere forte e non permettere più a nessuno di fargli del male.
Cancer era nato in
Sicilia, in un paesino dell’isola italiana poco lontano dall’Etna.
Probabilmente il nome, Death Mask, era soltanto un
epiteto, che aveva scelto in seguito per terrorizzare gli avversari,
dimenticando il suo nome originario, simbolo di un passato che non voleva più
ritrovare. La sua famiglia infatti, una casata di piccoli commercianti, aveva
rigettato la protezione di un boss locale e questi, non avendo apprezzato il loro
rifiuto, aveva fatto massacrare tutti i suoi parenti, uno ad uno. L’ultima, sua
madre, fu sgozzata davanti ai suoi occhi, quando aveva solo tre anni.
“Vedi, ragazzino!”
–Gli aveva detto il boss, mentre egli urlava e piangeva dal dolore. –“Tua madre
è morta perché era una debole! Non ha saputo opporsi, non ha saputo difendersi,
né ha saputo proteggere te!” –E se ne era andato, lasciandolo da solo.
Cancer era quindi
cresciuto da solo, rubando a destra e a manca per sopravvivere, litigando
spesso con i suoi coetanei per il suo carattere rissoso e permaloso e finendo
coinvolto in risse e agitazioni turbolente. In questo clima di sangue e
violenza, un giorno sentì una vocazione, che lo spinse a diventare Cavaliere di
Atena. In quel modo, secondo Cancer, sarebbe potuto diventare forte. Sarebbe
potuto diventare un uomo. Non ci sarebbero state più faide né mafia, né
derisioni da parte dei suoi coetanei. Finalmente, tramite la forza, egli
sarebbe riuscito ad imporsi.
“Così hai scelto
di diventare Cavaliere di Atena per essere forte!” –Sibilò la Mummia. –“E io
che credevo che Atena scegliesse solo i puri di cuore! Anche la tua Dea allora
preferisce mettere prima le ragioni strategiche e militari che non quelle
sentimentali, se ha accettato un violento come te nelle sue fila! Ih ihih!” –Fece una pausa e poi
riprese, avvicinandosi al corpo di Cancer, prigioniero di quel sarcofago di
violacea energia cosmica. –“Sarà un onore per me prendere possesso del tuo
corpo! Un uomo così violento e crudele merita di morire per mano mia!”
Ma non appena si
avvicinò al sarcofago si accorse che Cancer si muoveva ancora. Che i ricordi
non l’avevano vinto, spingendolo a lasciarsi andare, ma erano diventati uno
stimolo per liberarsi e affermare la superiorità del proprio credo. Bruciando
al massimo il cosmo, il Cavaliere distrusse dall’interno il sarcofago di
energia che lo aveva intrappolato, scaraventando lo scheletro della Mummia
indietro, spaventato e al tempo stesso esausto per lo sforzo sostenuto
nell’imprigionarlo.
“Come puoi essere
ancora vivo? Non hai dunque una coscienza?” –Chiese, con voce stridula.
“È stata proprio
la mia coscienza a risvegliarmi dal torpore, dalla disperazione in cui il tuo
colpo segreto mi stava facendo precipitare!” –Esclamò Cancer, con voce decisa.
–“Rivedere le immagini di tutta la mia vita, del sangue versato dalla mia
famiglia, mi ha ricordato il motivo per cui combatto! Per vendicarli e per
ricordare a tutti voi, fieri della vostra potenza, di non essere nessuno
davanti a me! Di essere più deboli del possente Cancer!” –Detto questo scagliò
un violento raggio contro la Mummia, colpendolo in pieno e facendolo ardere in
una violenta fiammata di energia cosmica. –“Hai visto la fine che hanno fatto
gli assassini di mia madre? Li ho uccisi tutti dopo il secondo anno di
addestramento! E conservo ancora le loro teste nel mio vecchio paese in
Sicilia!” –E scoppiò in una sadica risata. –“Non potrò conservare la tua, ed è
un peccato, ma godrò nel vederti consumare ulteriormente, fino all’ultimo
grammo di osseina contenuta nelle tue rinsecchite ossa!”
“Non puoi
uccidermi! Pensavo tu l’avessi capito!” –Esclamò la Mummia. Ma in quel momento
non ne era più sicuro neppure lui. –“Mentre io posso uccidere te!” –E sollevò
le braccia predatrici, caricando le dita rinsecchite di violacea energia
cosmica.
“Ma fammi il
piacere!” –Esclamò Cancer, puntandole contro l’indice destro, caricato di tutto
il cosmo che aveva in corpo. Immediatamente onde di energia biancastra
apparvero intorno a lui, bloccando i movimenti del Guerriero Egizio, il quale
non riuscì più a muovere un solo arto e sentì una forte pressione su di sé,
come se quel che rimaneva delle sue ossa stesse per esplodere da un momento
all’altro. –“Addio Mummia! Ti dono il riposo eterno! Strati di Spiritooo!” –Lo sbeffeggiò Cancer, liberando un’energia
cosmica mai dimostrata prima.
Il raggio di luce
distrusse completamente il rinsecchito scheletro della Mummia, annientando
anche in un colpo solo quel che rimaneva del suo cosmo. Cancer, soddisfatto
della sua prestazione, si lasciò cadere sulle ginocchia, ansimando per lo
sforzo. Nonostante la vittoria ottenuta, aveva dovuto sudare parecchio e
consumare parecchia energia, soprattutto per infondere al suo ultimo colpo la
capacità di annientare corpo e cosmo di una creatura che ormai aveva perso ogni
traccia di anima. Sorrise, rimettendosi in piedi, e realizzando di dover in
fondo ringraziare quel guerriero.
“Mummia! Mi hai
ricordato per cosa mi batto! Per l’onore e per la forza! Ma anche per
dimostrare a mia madre, che da qualche parte mi sta osservando, che suo figlio
non è un debole!” –E voltò le spalle al Tempio di Hathor,
facendo per incamminarsi verso Tebe.
Ma non riuscì a
fare neppure dieci passi che si ritrovò circondato da un numero elevato di
Mummie, identiche in tutto e per tutto a quella che aveva appena sconfitto.
Esseri spettrali, avvolti nelle loro bianche bende, con occhi violacei
fulminanti, srotolarono le loro fasce, lanciandole contro il Cavaliere d’Oro,
che cercò di evitarne alcune, colpendo le altre e trinciandole con le chele
dorate della sua Armatura. Ma presto Cancer si rese conto di essere in
inferiorità numerica e che non avrebbe potuto occuparsi singolarmente di ogni
Mummia, come aveva fatto con quella che lo aveva assalito in precedenza.
“Non ho la forza
per scagliare altri Strati di Spirito potenti come quello che ho appena
lanciato!” –Mormorò, mentre le bende si arrotolavano intorno a lui.
–“Maledizione! Devo trovare un modo per colpirle tutte!” –E afferrò alcuni capi
delle bianche garze, trinciando con forza le altre, muovendosi continuamente,
impossibilitato a fermarsi anche per un solo momento, pena l’essere
completamente avvolto e mummificato. Scattò in mezzo a loro, tirandole via con
forza, aggrovigliando le loro bende, legandole tra di loro e scaraventando
altre contro le mura del Tempio di Hathor.
Quindi balzò sulle
mura abbandonate di quello che un tempo era il Sanatorium,
in cui i malati cercavano guarigione bagnandosi nelle acque sacre o dormendovi
nell'attesa di un divino sogno risanatore. Subito le Mummie lanciarono le loro
lunghe bende bianche verso di lui ma egli fece esplodere il suo cosmo dorato,
tenendole indietro, nonostante l’enorme sforzo in termini energetici che ciò
gli costava. Il dodicenne dai capelli blu, deciso a tentare il tutto per tutto,
socchiuse gli occhi, concentrando il suo cosmo su se stesso, prima di sollevare
le braccia sopra la testa ed unire i palmi delle mani, mentre un’immensa massa
di scura energia compariva sopra di lui.
“Cos’è?” –Si
chiesero spaventate le Mummie rimaste nel cortile, mentre una poderosa forza di
attrazione sembrava attirarle verso Cancer, con un impeto senza precedenti.
La massa di
energia tra le mani di Cancer aumentò ancora, diventando un piccolo buco nero,
esercitando un’attrazione sempre maggiore sull’ambiente circostante. Sabbia,
frammenti di roccia, bende lacerate, tutto fu risucchiato al suo interno, e ben
presto anche le Mummie dovettero cedere. Qualcuna di loro venne aspirata
istantaneamente, altre opposero resistenza, srotolando le loro bende bianche e
avvolgendosi intorno a resti di colonne o pezzi di muro, ma ciò servì soltanto
a ritardare la loro fine, che ineluttabile giunse per tutte.
“La Nebulosa di
Presepe, nella Costellazione del Cancro, uno degli ammassi stellari più
antichi dell’Universo!” –Mormorò il ragazzo, con un filo di voce. –“Non esiste
niente che possa resistervi! Niente…” –E in quel
momento, mentre l’ultima Mummia venne attratta dal buco nero, perdendosi in
qualche limbo sconosciuto, Cancer riaprì gli occhi, barcollando leggermente. Le
forze lo abbandonarono per l’enorme sforzo sostenuto, considerando la sua
giovane età, e si lasciò cadere a terra, schiantandosi sul terreno sabbioso
poco dopo.
Al Grande Tempio
di Atena era appena iniziata la gara di lancio del disco, una disciplina molto
amata dai greci, al punto che era stata inserita nel cosiddetto pentathlon,
competizione che, con la XVIII Olimpiade, era entrata a far parte di quei
giochi, e fu in seguito inserita in tutti gli altri.
L’ippodromo era
stato dotato di indici per le misurazioni, piantando picchetti nel suolo. Vi
erano una trentina di atleti intorno alla piazzola di tiro, emozionati e
intenti a parlare tra loro e farsi vanto dei loro migliori tiri durante l’allenamento.
L’araldo richiamò l’attenzione dei discoboli in gara e del pubblico,
annunciando l’ordine di lancio. Il primo spettava di diritto all’organizzatore
dell’evento, il maestro Koroibos, che aveva sempre
ottenuto ottime prestazione nel lancio del disco.
Koroibos si
presentò quindi sulla piazzola di tiro, con un disco in bronzo di venticinque
centimetri di diametro, con raffigurate scene di atleti in gara nell’Età
Classica. A lui spettava il tiro inaugurale, ovviamente fuori gara. Tra gli
applausi scroscianti della folla, che chiamava a gran voce il suo nome, Koroibos sollevò l’attrezzo all’indietro, tenendo il
braccio teso, si ripiegò su se stesso, come facevano gli antichi discoboli, e
infine si alzò, lanciando il disco avanti. I misuratori segnarono
quarantaquattro metri. Un buon risultato, si disse l’uomo, considerando
la tecnica che aveva utilizzato, basata più sull’eleganza del movimento che non
sul risultato.
Dopo di lui si
prepararono gli altri atleti, ma non appena il primo discobolo raggiunse la
piazzola vi un tremendo boato. Un’esplosione fragorosa proveniente dal Cancello
Principale. La folla iniziò a gridare, correndo via spaventata, senza capire
cosa stesse accadendo né dove dirigersi. I soldati di stanza nell’ippodromo
dovettero faticare parecchio per mantenere la calma e invitare tutti i presenti
a non farsi prendere dal panico, attuando gli ordini che avevano ricevuto.
Koroibos, che sapeva cosa stesse accadendo, abbandonò
il campo e si unì ai soldati, nel difficile compito di tranquillizzare la folla
e spingerla verso l’uscita. Con il Sacerdote era stato convenuto infatti di
dirigere il pubblico, in caso di emergenza, verso zone particolari del Grande
Tempio, per metterlo al sicuro. A chi gli chiedeva cosa stesse accadendo, cosa
fossero quelle grida e quei rumori di lotta che venivano dal Cancello
Principale, Koroibos non seppe cosa rispondere,
invitando tutti a rimanere calmi. Ma in fondo al cuore sapeva benissimo che il
Grande Tempio era stato attaccato.
Nonostante le
sentinelle sulle mura, nessuno si accorse di nulla, nessuno notò niente finché
il portone del Cancello Principale non esplose, scaraventando via tutti i
soldati attorno. Dalle rovine apparve un’intera squadra di Guerrieri Egizi:
cinque guerrieri rivestiti da armature che, seppure di diversa fattura,
richiamavano le corazze dei protettori di Atena, e un centinaio di soldati
dalle vesti verdi e dorate, identici a coloro che avevano assalito lo stesso
Cancello qualche giorno prima.
“Ottimo lavoro, Kepri!” –Esclamò un uomo dalla possente voce maschile. –“I
tuoi scarabei hanno nascosto la nostra presenza fin sotto le mura del Santuario
di Atena!”
Immediatamente,
anche sapendo di non aver speranza alcuna, i soldati del Grande Tempio si
lanciarono all’assalto, per fermare l’invasione dei guerrieri sconosciuti, ma
furono tutti scaraventati via da una violenta tempesta. Uno dei cinque
Guerrieri Egizi ricoperti da un’Armatura creò un forte vento caldo che diresse
contro di loro, spazzandoli via.
“Tempismo
perfetto, Ghibli!” –Esclamò il Comandante dell’Esercito del Sole Nero. – “Tu e
Sfinge divertitevi con questi soldati! Massacrateli finché non avranno capito a
quale Divinità dovranno rendere omaggio, da questo momento in poi! Ah ah ah! Kepri, Aspide, voi due venite
con me, insieme a sessanta guerrieri!” –E scattò avanti, travolgendo alcuni
soldati che tentarono di fermarlo.
I tre Guerrieri
del Sole Nero, seguiti dai sessanta soldati, sfrecciarono lungo la Via Maestra
del Grande Tempio, che dal Cancello Principale raggiungeva la piazza da cui
partivano le diramazioni per l’Arena, per il cimitero dei Cavalieri e per le
Case dello Zodiaco, meta ultima dei Guerrieri Egizi. Improvvisamente alcuni
pugni di energia cosmica fendettero l’aria,
obbligando il gruppetto a separarsi, anticipando l’arrivo di un Cavaliere
dall’Armatura violacea simboleggiante un cane.
“Chi sei,
Cavaliere?” –Domandò il Guerriero Egizio che guidava il gruppo.
“Colui che fermerà
la vostra corsa, barbari invasori del Grande Tempio di Atena! Orione del
Cane Maggiore, uno dei Cavalieri d’Argento!” –Esclamò l’uomo, concentrando
l’energia del suo cosmo sul pugno destro. –“Assalto frantumante!”
–Gridò, scattando contro il guerriero egizio di fronte a lui, il quale non ebbe
alcun problema ad evitare il suo attacco, semplicemente spostandosi di lato.
Ancora stupito per
la facilità con cui l’uomo aveva schivato il suo assalto, Orione dovette
fronteggiare l’attacco dei soldati egizi, i quali, armati delle loro Spade
del Sole, iniziarono a lanciare fendenti energetici contro di lui, che
dovette muoversi velocemente per non farsi colpire. Intento ad evitare i fasci
roventi, Orione non poté evitare un colpo di mazza, brandita dal Comandante
dell’Esercito Egizio, che lo scaraventò contro una parete rocciosa alle sue
spalle, prima di ricadere a terra, con l’Armatura danneggiata e percorsa da
violente scariche energetiche.
“Lasciamo qui
qualche soldato e andiamo avanti!” –Mormorò il Comandante, agganciando
nuovamente la sua mazza alla cintura. E si mosse per passare oltre, presto
seguito dagli altri due Guerrieri Egizi e da una quarantina di soldati
semplici.
“A... Aspettate!”
–Mormorò Orione, tentando di rialzarsi. Ma fu nuovamente raggiunto da un fascio
di energia rovente che gli trinciò la sporgenza del coprispalla
destro. –“Maledette canaglie!”
Bruciò il proprio
cosmo e sfrecciò tra i nemici alla velocità del suono, evitando i loro fendenti
distruttori e colpendoli con pugni di energia. Ne abbatté cinque, e i rimanenti
si concentrarono tra loro per tentare un assalto congiunto, ma non si avvidero
di una devastante tempesta di energia cosmica che li travolse, creando una
piccola tromba d’aria. Sbatterono tra loro, roteando in aria per qualche
minuto, prima di schiantarsi sul selciato, con le vesti lacere e le ossa
distrutte.
“Perdona il nostro
ritardo!” –Esclamò Argetti, spuntando insieme
a Dedalus. –“Abbiamo eliminato qualche Soldato del
Sole che aveva raggiunto l’ippodromo! Il pubblico è stato messo al sicuro!”
“Adesso possiamo
seguire i guerrieri egizi!” –Affermò Dedalus,
indicando la direzione in cui si erano incamminati gli invasori. Le guglie
della prima Casa dello Zodiaco spuntavano poco distanti.
“No!” –Li sorprese
Orione, proponendo loro di tornare al Cancello Principale. –“Non saremmo di
grande aiuto contro di loro! Se ne occuperanno i Cavalieri d’Oro!”
“Che cosa?! Vuoi
lasciare a dei dodicenni il compito di difendere il Sacerdote e il Grande
Tempio? Saranno sopraffatti dalla loro superiorità numerica!” –Protestò Argetti.
“Non ricordi le
parole di Koroibos? Eppure le hai sentite poche ore
fa! Non è solo la forza fisica a condurre alla vittoria in battaglia, ma lo
splendore di un cosmo ardente che lotta per la giustizia! E nessuno può
superare i Cavalieri d’Oro di Atena in quanto a splendore del cosmo!”
Senz’altro aggiungere
Orione si lanciò avanti, verso il Cancello Principale, dove sentiva che
un’aspra lotta era in corso. Argetti e Dedalus non fecero troppe domande, limitandosi a seguire
l’amico. Quando raggiunsero il piazzale antistante trovarono un macabro spettacolo
di fronte ai loro occhi: i soldati semplici di Atena, per quanto in prevalenza
numerica, stavano venendo massacrati dalle Spade del Sole dei soldati egizi,
mentre un Guerriero, ricoperto da un’Armatura colorata, rideva tra sé,
osservando la scena, in attesa di qualche avversario del loro calibro.
Senza esitare,
Orione, Dedalus e Argetti
si gettarono nella mischia, sollevando il morale dei soldati del Grande Tempio
e colpendo più volte i guerrieri egizi. Argetti ne
afferrò un paio con le sue robuste braccia, sollevandoli e sbattendo le loro
teste insieme. Dedalus sfrecciò tra loro, veloce come
un fulmine, percuotendoli violentemente, seguito da Orione. Ma il loro
intervento fu interrotto da un forte vento caldo che iniziò a soffiare su tutti
loro. Un’aria rovente, a tratti soffocante.
I tre Cavalieri di
Atena furono sollevati da terra e scaraventati lontano, insieme ai soldati
semplici, e quando si rialzarono videro con orrore l’effetto di quell’aria
bruciante. Le protezioni di rame e cuoio dei soldati semplici si stavano
liquefacendo e i loro corpi erano preda di spasimi notevoli, dovuti all’aumento
imprevisto ed esorbitante della loro temperatura corporea. Anche Orione, Dedalus e Argetti iniziarono a
soffrire il caldo afoso di quell’aria torrida, che li faceva sudare e ansimare,
per quanto le loro Armature d’Argento consentissero una maggiore protezione.
“Senza quelle
corazze, vi stareste crogiolando al sole come i vostri subalterni!” –Esclamò
una voce acuta. –“Il soffio del ghibli non risparmia nessuno! Soprattutto
uomini che non vi sono abituati!”
Orione, Dedalus e Argetti osservarono il
loro avversario, l’uomo da cui sembrava partire quell’aria rovente: un
Guerriero Egizio dall’armatura arancione e rosata. Un uomo di media altezza e
di tonica corporatura, con un viso abbronzato e folte sopracciglia viola, come
il colore dei suoi capelli, mossi e liberi di danzare al vento. L’armatura non
presentava fregi particolari, eccezion fatta per la forma piuttosto affusolata,
che richiamava alla mente le turbinanti tempeste di sabbia del deserto
africano.
“Ghibli è
il mio nome, come il forte vento che soffia da sud!” –Si presentò questi,
passando lo sguardo sui tre Cavalieri d’Argento, con soddisfazione. –“Non
sprecate tempo a rialzarvi, tanto non riuscirete mai a giungere fino a me!”
–Aggiunse, deridendoli, espandendo il proprio cosmo.
Immediatamente un
forte vento iniziò a soffiare sulla piazza del Grande Tempio, un vento caldo e
secco, carico di polvere e di sabbia, proprio come quello che soffia dalle coste
libiche, che obbligò i tre Cavalieri a coprirsi gli occhi, permettendo al
Guerriero Egizio di balzare in mezzo a loro e colpirli con pugni diretti sul
viso e sul corpo. Orione e Dedalus furono lanciati
lontano, ma con Argetti l’egiziano ebbe maggiori problemi
data la sua corporatura massiccia di centocinquanta chili.
“A terra
bestione!” –Esclamò Ghibli, sollevando il braccio destro e liberando una
violenta tempesta di calda energia cosmica. –“Turbine rovente del Sahara!!!”
Il mulinello di
polvere ed energia cosmica travolse Argetti, roteando
vorticosamente intorno a lui, sollevandolo da terra fino a farlo schiantare
contro le mura perimetrali del Grande Tempio, che subito crollarono su di lui.
Nel frattempo Orione e Dedalus si erano rimessi in
piedi, osservando, con orrore, il deterioramento delle loro corazze.
“Siete forse sordi
Cavalieri di Atena? Eppure dovreste intendere il mio idioma!” –Esclamò superbo
il Guerriero Egizio. –“Così grande è la potenza del possente Ghibli che, per
quanto le vostre Armature siano d’argento, e come tali più resistenti rispetto
alle semplici protezioni di rame e di cuoio dei vostri soldati, prima o poi
anch’esse cederanno, liquefacendosi a causa degli spossanti assalti del caldo
Ghibli! Così sfiancante che il Dio Seth diede a me l’incarico di disorientare i
vostri compagni che poche ore fa giunsero in Egitto, perdendoli tra le dune
sabbiose del deserto!”
“Superbo!” –Lo
disprezzò Orione. –“Credi che una folata di vento basti per far cedere le
nostre armature? Credi che averci atterrato un paio di volte basti per avere
ragione dei Cavalieri di Atena? Abbiamo ricevuto l’ordine preciso di difendere
il Tempio della nostra Dea, e sapremo eseguire tale disposizione nel migliore
dei modi!”
“Non importa
quante volte ci abbatterai! Troveremo la forza per rialzarci sempre e
comunque!” –Continuò Dedalus, aiutando Argetti a liberarsi dalle macerie crollate su di lui.
“Una tale
determinazione vi fa onore! Ma non crediate che basti la tenacia per vincere in
battaglia!” –Rispose Ghibli, espandendo nuovamente il suo cosmo, carico di
sfumature arancio e rosa. –“Se non si hanno i mezzi per lottare, poco importa
quanto grande sia il nostro ardore! Poiché comunque cadremo!” –E liberò una
nuova possente tempesta calda e secca, dirigendola contro i tre Cavalieri, i
quali seppero unire i loro cosmi, creando una barriera difensiva. –“Umpf! Ritardare l’inevitabile non servirà a niente,
soltanto a prolungare la vostra agonia!” –E aumentò l’intensità del vento.
In quel momento
Orione e Dedalus scattarono ai lati del Guerriero
Egizio, uno a destra, l’altro a sinistra, concentrando l’energia cosmica nelle
loro mani, mentre Argetti, rimasto in piedi di fronte
a Ghibli, a sostenere con sforzo la sua tempesta di sabbia e polvere, fece
esplodere il suo cosmo, liberando il potere della costellazione di Eracle.
“Assaggia il Cornexolos di Eracle!!! Onda d’urto!” –Gridò il
Cavaliere d’Argento, unendo le braccia e sollevandole poi rapidamente, così da
creare un vortice di energia da contrapporre al caldo soffio del Ghibli.
I due turbini
energetici si schiantarono l’uno sull’altro, vibrando fortemente, avvolgendosi,
stridendo con vigore, mentre dirompenti scintille di cosmo percorsero l’aria.
Ghibli, concentrato sul proprio resistente avversario, non riuscì ad evitare
però l’assalto incrociato degli altri Cavalieri, i quali, ciascuno dal proprio
lato, scagliarono contro di lui sfere di energia, obbligando il Guerriero
Egizio a saltare in alto, allentando la concentrazione sul Turbine del Sahara,
permettendo così ad Argetti di spingere maggiormente,
al punto da travolgerlo e scaraventarlo lontano.
Ghibli ruzzolò sul
selciato per parecchi metri, danneggiando una spalliera della sua corazza e
perdendo l’elmo, ma seppe subito rimettersi in piedi, amareggiato per essere
stato atterrato così malamente, da guerrieri che, a suo parere, non erano degni
neppure di lucidare la sua Armatura.
“Vi farò pagare
questa insolenza, cani ateniesi!” –Ringhiò, iniziando a perdere la calma.
“Modera i tuoi
termini, arrogante egiziano!” –Lo zittì Orione. –“Le offese razziali non si
addicono al rango di un Cavaliere, a qualunque Divinità sia fedele!”
“Inoltre, per
completezza....” –Aggiunse Dedalus. –“Nessuno di noi
è originario di Atene, poiché io sono messicano, Orione è tedesco, mentre Argetti è africano come te, ma proviene dall’Uganda!”
“Che m’importa da
dove venite, Cavalieri! Tanto finirete tutti all’inferno, poiché morire è il
destino degli uomini!” –Esclamò Ghibli, più con rabbia che violenza. –“A
nessuna Divinità sono devoto, io combatto soltanto per denaro! Solo per questo
ho accettato l’offerta del Dio Seth di unirmi a lui!”
“Offerta?!”
–Chiesero i Cavalieri d’Argento, non essendo al corrente dei recenti eventi
dell’Egitto.
“Noi tutti
Guerrieri Egizi abbiamo accettato l’offerta di Seth, di combattere per lui, semplicemente
perché ci permetteva di abbandonare la nostra condizione, di predoneria e sbandamento, in nome della possibilità di
avere un futuro! Qualcuno lo ha fatto per gloria, come Upuaut,
qualcuno lo ha fatto per vendetta e per dimostrare di essere ancora qualcuno,
come Onuris, qualcun altro, come me, lo ha fatto per
denaro! Per il denaro che non avevo e con il quale avrei potuto salvare mia
figlia!”
“Tua figlia?!”
–Sgranò gli occhi Orione, ma Ghibli pareva aver perso qualunque desiderio di
parlare. Bruciò il suo cosmo, accendendo l’aria dei bagliori arancione e rosati
dell’energia da lui prodotta, e liberò un nuovo turbinante assalto contro i tre
Cavalieri di Atena, i quali, per difendersi, tentarono di ripetere la tecnica
usata prima, unendo i loro cosmi per creare una barriera protettiva.
Ma Ghibli, che non
era affatto uno stolto, balzò in alto, scaricando su di loro l’intera potenza
del vento sahariano, frantumando l’esile barriera e schiacciando i tre
Cavalieri al suolo.
“Aaargh!” –Gridò Dedalus, sprofondando
nel selciato. –“Ci sta schiacciandooo!!!”
“Devo.... fare
qualcosa!!” –Balbettò Argetti, piegato a terra come i
suoi compagni. Riuscì a stento a sollevare il braccio sinistro, ricoperto da un
bracciale verdastro con affissi degli spuntoni, e lo caricò del suo cosmo. –“Yaaah!!!” –Urlò, scagliando una decina di spuntoni affilati
contro il Guerriero Egizio, fluttuante in aria sopra di loro.
La quasi totalità
di essi fu travolta dalla tempesta di sabbia e fu spazzata via, ma uno riuscì a
raggiungere il bersaglio, conficcandosi nell’Armatura di Ghibli all’altezza
della coscia destra. Non fu una ferita profonda, ma sufficiente per distrarlo e
sbilanciarlo, obbligandolo a ridiscendere a terra, placando la tempesta di
sabbia ed energia.
Orione e Dedalus si rimisero subito in piedi, lanciandosi contro il
Guerriero Egizio. Il Cavaliere del Cane Maggiore lo colpì in pieno petto con un
pugno di energia cosmica, scagliandolo indietro di parecchi metri, prima che Dedalus fosse su di lui, pronto per colpirlo a sua volta.
Ma Ghibli fu lesto ad evitare l’assalto del ragazzo, fermando il suo braccio
con la mano destra e ribaltandolo, fino a farlo schiantare nel terreno. Non
ebbe il tempo di fare altro che fu nuovamente assalito da Orione, lanciatosi
contro di lui come un proiettile umano, caricato di tutto il suo cosmo.
Orione travolse
Ghibli, scagliandolo indietro a una velocità superiore a quella del suono, ed
entrambi si schiantarono contro l’edificio delle guardie di stanza al Cancello
Principale, facendolo crollare su di loro. Bruciando il proprio cosmo, Ghibli
tentò di liberarsi dalle macerie, sollevandole con una tempesta di sabbia ed
energia, che gli permise di rimettersi in piedi, proprio per trovarsi Argetti e Dedalus di fronte,
agguerriti più che mai.
Con i suoi poteri,
sollevò detriti e pezzi di muro, lanciando tutto contro i due Cavalieri
d’Argento, ma Argetti si mise davanti a Dedalus per proteggerlo, iniziando a tempestare di pugni
tutte le macerie e i materiali che Ghibli scagliava contro di loro. Esauriti
quelli, Ghibli si preparò a utilizzare il suo colpo segreto, ma Dedalus scattò su di lui, veloce come se stesse gareggiando
nei tanto agognati Giochi Olimpici, colpendolo con un pugno di energia, non
molto potente ma sufficiente per spingerlo un po’ indietro, permettendo ad Argetti di liberare la sua Onda d’urto.
Travolto dal
mulinello energetico, Ghibli sentì una forte pressione crepargli la corazza in
più punti, e quando improvvisamente il vento cessò si ritrovò sospeso in aria,
in procinto di precipitare a terra. In un momento, cercando con lo sguardo il
terreno venti metri più sotto, parve vedere il volto di sua figlia sorridere,
per l’ultima volta, prima che la malattia la spegnesse, lasciandolo da solo,
con tutti i suoi rimorsi e i suoi tormenti di padre infelice e fallito. Come se
le forze gli venissero meno, Ghibli precipitò verso terra, venendo presto
colpito da un calcio in pieno petto, che lo scagliò molti metri distante,
facendolo schiantare al suolo con l’armatura danneggiata e numerose ferite sul
corpo.
Dedalus, che lo aveva colpito in volo con il Labirinto
Oscuro, atterrò accanto a lui, presto raggiunto da Argetti
e da Orione, liberatisi dalle macerie. E per un momento si augurarono di non
dover più combatterlo. Ma Ghibli si rimise ancora in piedi, ansimando e
perdendo sangue dalle labbra, ma determinato a continuare a lottare.
“Ormai lotto
soltanto per te, figlia mia! Come padre ho fallito, tenterò di salvare l’onore
e la dignità di un guerriero!” –Mormorò, ma le sue parole furono udite anche da
Orione, che nuovamente domandò spiegazioni. –“Mia figlia aveva una malattia
incurabile con gli scarsi mezzi a disposizione della mia popolazione, Cavaliere
di Atena! Se avessi avuto il denaro necessario, avrei potuto portarla via, in
qualche città d’Europa, dove poterla curare! E forse, oggi, sarebbe ancora con
me!”
“Mi dispiace,
Guerriero Egizio! È triste perdere qualcuno che si ama, qualcuno che, in fondo,
non abbiamo mai conosciuto completamente!” –Rispose Orione. –“Come tu hai perso
tua figlia, noi abbiamo perso i genitori, rimanendo orfani, soli con la nostra
fede in Atena! Ma ogni giorno ci ripetiamo che se i nostri genitori potessero
vederci, dal luogo in cui si trovano adesso, vorremmo che fossero fieri di noi!
Non credi che tua figlia vorrebbe lo stesso?”
“Sì, credo che tu
abbia ragione, Cavaliere!” –Sorrise Ghibli. –“Proprio per questo, vi combatterò
ugualmente, perché lei possa vedere che suo padre lotta con tenacia e non
scappa pavido!”
“Ghibli....”
–Mormorò Orione, ma ormai si rese conto che non vi era altro da aggiungere. Il
Cavaliere del Cane Maggiore bruciò nuovamente il suo cosmo, unendolo a quello
dei compagni, mentre Ghibli faceva altrettanto liberando la più violenta
tempesta di sabbia, polvere ed energia cosmica che aveva lanciato fino ad
allora.
“Insieme,
compagni!” –Gridò Dedalus, concentrando il cosmo sul
pugno destro.
“Assalto
frantumante!” –Gli andò dietro Orione.
“Onda d’urto!”
–Concluse Argetti, liberando il suo turbine di
energia.
Il potere unito
dei tre cosmi d’Argento contrastò il Turbine rovente del Sahara, creando
un immenso scontro di energie cosmiche, che sferzarono l’aria sollevando
polvere e sabbia, aprendo fenditure nel terreno e scagliando via tutto ciò che
si trovava attorno. I soldati del Grande Tempio furono spinti indietro dalla
forza d’urto dei due turbini energetici, mentre altri corsero a ripararsi
dietro le mura, ma anch’esse presto cedettero, schiantandosi per l’enorme
pressione.
Infine, tutto ebbe
termine. I due mulinelli di energia si avvolsero l’uno nell’altro,
aggrovigliandosi come serpenti incolleriti, ed esplodendo, scaraventando
indietro tutti i contendenti, facendoli schiantare a terra, con le armature
danneggiate e numerose contusioni sul corpo. Fu Orione il primo a rimettersi in
piedi, presto seguito da Argetti, che aiutò Dedalus, che zoppicava alla gamba destra.
I tre Cavalieri
raggiunsero il corpo ferito di Ghibli, schiantatosi contro i resti delle mura
esterne del Grande Tempio, ferito dal crollo di un mattone sul cranio, e lo
trovarono agonizzante, perso ormai nei ricordi. Orione si chinò su di lui,
prendendogli la mano e rimanendo al suo fianco mentre la sua anima abbandonava
quella terra, lasciando soltanto un corpo sanguinante. Immediatamente, calda
sabbia sahariana iniziò a ricoprire il cadavere, fondendosi con l’uomo stesso,
creando una nuova sagoma di polvere e sabbia. Un vento caldo spirò d’un tratto,
obbligando Orione, Dedalus e Argetti
a coprirsi gli occhi e spargendo le polveri del Guerriero Egizio. Quando i
Cavalieri riaprirono gli occhi si accorsero che di Ghibli non vi era più
traccia. Orione sorrise, augurandosi che il vento lo avesse trasportato via,
lontano dalla guerra, fino a ritrovare sua figlia.
Grida improvvise
provenienti da poco distante richiamarono i tre compagni alla realtà. Il Grande
Tempio era stato invaso e, considerando l’assenza di ben otto Cavalieri e
l’enorme folla presente quel giorno, era loro priorità fondamentale combattere
fino allo stremo delle forze per liberarlo.
Altri guerrieri
egizi, armati delle Spade del Sole, avevano infatti raggiunto l’infermeria del
Grande Tempio, affondando le infuocate lame nei petti di deboli e indifesi. A
nulla valsero le grida delle sacerdotesse, poiché anch’esse furono travolte,
come i soldati che tentarono di fermare la loro avanzata.
“Non temere!”
–Disse Nonna Ada, rincantucciata in un angolo dell’infermeria, con il
piccolo Retsu tra le braccia. –“Ti proteggerò,
qualunque cosa accada!”
“Verranno a
salvarci?” –Mormorò Retsu, udendo le grida
selvagge dei guerrieri invasori sopraffare le impavide voci dei soldati di
Atena.
Improvvisamente
tutto tacque e a Nonna Ada, che poteva seguire la scena dalle grandi vetrate
dell’infermeria, parve di vedere un’orribile sagoma animalesca giungere sul
campo di battaglia, e zittire con un suo verso le grida dei soldati.
“Lasciate a me
questa marmaglia! Voi affondate le spade nei corpi inermi di quest’ospedale!”
–Sibilò una selvaggia voce di donna. –“A niente serviranno dei feriti e dei
debosciati nel nuovo impero del Sole Nero che nascerà quest’oggi!”
E senz’altro
aggiungere la figura orribile si avventò sui soldati semplici del Grande
Tempio, che tentarono di difendersi con lance e spade, venendo presto
sopraffatti, davanti alle grida preoccupate degli abitanti e delle sacerdotesse
riunite nell’infermeria. I Guerrieri Egizi, approfittando dell’intervento della
loro superiore, scattarono verso i civili, ma caddero improvvisamente di fronte
ai loro occhi spaventati, uno dopo l’altro, accasciandosi a terra portandosi le
mani al collo.
“Uh?!” –Ringhiò la
donna, che stava affrontando i soldati del Grande Tempio.
I Guerrieri Egizi
erano stati trafitti al collo da rapide e affilate armi. Un fruscio, come il
suono di un oggetto roteante su se stesso, distrasse nuovamente la terribile
donna, facendola balzare indietro, allontanandosi dai soldati di Atena, mentre
uno strano arnese si conficcava nel terreno alla sua destra. Era un piccolo
triangolo dalle sfumature argentee.
L’animalesca donna
non ebbe tempo di riflettere che fu costretta ad affrontare un nuovo assalto.
Come fitta pioggia, una moltitudine di questi piccoli triangoli, dai bordi
affilati come lame, rotearono verso di lei e dovette adoperarsi al massimo per
evitarli, non riuscendo completamente nel suo intento. Fu colpita in vari punti
del corpo, dove la sua nera corazza non la ricopriva, e in altre zone protette
vide con orrore i triangoli argentati conficcarsi nella sua armatura e far
zampillare il sangue nero.
“Aaargh! Chi sei? Mostrati!!!” –Ringhiò la donna, furibonda
più che mai, mentre un uomo alto e snello appariva di fronte a lei, tra gli
sguardi rasserenati dei presenti, che, appoggiati al muro dell’infermeria,
parevano condannati in attesa dell’esecuzione.
Biondo, con mossi
capelli al vento, e ricoperto da una bluastra Armatura d’Argento, Noesis del Triangolo stringeva tra l’indice
ed il medio destro un triangolo argentato, identico a quelli che aveva lanciato
contro i Guerrieri Egizi. Dei rimanenti se ne sarebbero occupati i soldati del
Grande Tempio, mentre egli avrebbe affrontato la terribile donna dalle
sembianze della crudele Sfinge.
Per ripararsi dalla violenta tempesta di sabbia, Eurialo
e Niso avevano dovuto faticare parecchio. Il corpulento Cavaliere del
Dorado aveva preso l’amico sotto la sua protezione e assieme a lui aveva
cercato di avanzare in quel territorio sconosciuto. In lontananza, parve loro
di udire i cosmi di Ioria e Micene, di Cancer e di Albione, ma non seppero
comprendere dove si trovassero, non avendo le capacità sensoriali sufficienti,
soprattutto immersi in quel devastante turbinio cosmico.
Niso soprattutto era il più preoccupato, ancora ferito dal
taglio della Spada del Sole, e inquieto nel trovarsi in una situazione
completamente nuova e sconosciuta, privo di una guida che potesse indicargli la
via. La stretta morsa di Eurialo si chiuse sul suo braccio, per tenerlo vicino
a sé. Niso sorrise, sollevando lo sguardo verso l’amico, e riflettendo che dopo
tutto una guida l’aveva, la stessa che gli aveva insegnato a vivere negli anni
precedenti: il suo migliore amico, Eurialo del Dorado.
“Resta vicino a me, Niso! Abbiamo perso i nostri
compagni!” –Esclamò Eurialo. –“Non possiamo permetterci di perderci anche noi!”
“Non preoccuparti, Eurialo! Li ritroveremo!” –Rispose
Niso, non troppo sicuro della propria affermazione.
In fondo quella era la sua prima vera missione, poiché
finora aveva sempre combattuto durante incontri amichevoli con Eurialo o altri
Cavalieri di Bronzo e d’Argento nell’Arena del Grande Tempio nel corso di
spettacoli organizzati o nelle palestre. Era la prima volta che si trovava in
un territorio ostile, coinvolto in una guerra di cui sapevano poco o niente.
Eurialo avvistò delle rovine, resti di un’abbandonata
costruzione, circondata da alte palme smosse dal vento, e propose a Niso di
avvicinarsi ad essa, per trovarvi momentaneo riparo da quelle raffiche di
energia che stridevano intorno a loro. Restarono accucciati contro quel
decadente muro per una decina di minuti, vicini l’uno all’altro, finché non
parve loro che la tempesta diminuisse di intensità, fino a scemare, permettendo
loro di muoversi nuovamente.
Un riflesso dorato luccicò poco distante dai due
Cavalieri, i quali, riconosciuta la lucente figura, si sentirono immediatamente
ristorati, soltanto dalla sua presenza. Era il Cavaliere d’Oro a cui il
Sacerdote aveva affidato il comando della missione, e nelle cui mani le loro
vite si trovavano: Micene di Sagitter.
“Micene!” –Esclamò Eurialo, correndo verso il ragazzo,
seguito da Niso.
“La tempesta ci ha disorientato, perdonaci! Ma adesso che
la sua furia si è placata resteremo al tuo fianco!”
“Bene! Andiamo!” –Esclamò Micene bruscamente, iniziando a
correre nel deserto sabbioso.
Eurialo non aggiunse altro, un po’ stupito dai modi
burberi del Cavaliere d’Oro, ma non si fece troppe domande, lanciandosi dietro
a Micene, subito seguito da Niso. Forse avrebbero gradito qualche parola di
conforto, spaesati come si sentivano in quel mondo lontano. Ma credettero che
Micene fosse piuttosto spazientito, sia per la scomparsa di Ioria e di Cancer,
che per i continui ritardi della missione. Improvvisamente iniziarono a
sentirsi fuori luogo, a seguire a rotta di collo la veloce corsa di un
Cavaliere d’Oro, un Cavaliere che era infinitamente loro superiore. Tutto il
senso di onore e gratitudine che avevano inizialmente provato, per essere al
suo fianco, adesso era scomparso e stava lasciando spazio ad un pericoloso
sentimento di inquietudine e di inadeguatezza.
Niso si fermò improvvisamente, lasciandosi cadere al
suolo, troppo stanco per continuare a correre sotto il sole. La ferita sul
fianco, seppure cicatrizzata da Shaka della Vergine, sembrava improvvisamente
essersi riaperta ed una fitta di dolore lo fece accasciare a terra,
preoccupando l’amico Eurialo, che fece per scusarsi con Micene.
“Poco importa!” –Esclamò questi, avvicinandosi al
corpulento Cavaliere del Dorado. –“Siamo giunti proprio dove volevo arrivare!”
–Aggiunse, mentre il sorriso sul suo volto mutò improvvisamente, diventando un
temibile ghigno.
Prima che Eurialo potesse dire qualcosa, Micene sollevò il
braccio destro alla velocità della luce, piegando le dita verso il basso, come
fossero un fendente, e le conficcò con forza nella schiena del Cavaliere di Bronzo,
frantumando la sua protezione e facendo schizzare sangue dalle ferite. Un
secondo dopo, le possenti ginocchia di Eurialo si schiantavano sul deserto
sabbioso, mentre un calcio alla schiena da parte di Micene lo faceva rotolare
avanti.
Niso, che aveva seguito l’intera scena dal basso, rimase
con gli occhi attoniti e stupefatti ma gli morì persino il fiato in gola per
gridare. Tentò di rimettersi in piedi e correre in aiuto dell’amico, ma bastò
uno sguardo di Micene per fermarlo a mezz’aria, mentre tutto intorno a lui
stridevano folgori di dorata energia.
“Muori anche tu!” –Esclamò Micene, puntando l’indice
destro avanti.
Le folgori di energia cosmica percossero l’intero corpo di
Niso, distruggendo parte della sua protezione di Bronzo, fino a farlo accasciare
a terra in una pozza di sangue e sofferenza. Davanti agli occhi soddisfatti di
colui che avevano considerato amico e comandante fino a pochi attimi prima.
Micene sogghignò, tronfio del suo successo, prima di
voltare loro le spalle, abbandonando le due carcasse nella vastità del deserto.
Con le ultime forze, prima che i sensi lo abbandonassero, Niso sollevò gli
occhi al cielo e gli parve di vedere la sfuggente sagoma del Cavaliere di
Sagitter mutare forma, diventare più esile, evanescente come un’ombra, e poi
scomparire. Non vide altro e cadde nel nulla.
Non seppe quanto tempo rimase inerme al suolo, a rantolare
come una lucertola sotto il caldo sole egiziano, ma quando riuscì a riaprire
nuovamente gli occhi, Niso accusava un profondo mal di testa. Frastornato,
tentò di rimettersi in piedi, osservando i danni che la corazza di bronzo del
Tucano aveva subito. I pezzi multicolore che la componevano erano stati
notevolmente danneggiati e per un momento Niso sembrò aver dimenticato che era
stato proprio Micene, un Cavaliere di Atena, a compiere un simile atto. La
vista del grosso corpo di Eurialo disteso poco distante, ancora svenuto, lo
fece riprendere e alzare di scatto, iniziando a correre verso di lui. Lo
schiaffeggiò un po’ sulle guance per farlo rinvenire, osservando con
preoccupazione la ferita sulla schiena. Prima che potesse fare altro, sentì un
cosmo ostile raggiungerlo ed esplodere vicino a loro, mentre una piuma
volteggiava nell’aria posandosi proprio sul palmo della sua mano.
“Immaginavo che vi fossero dei superstiti!” –Commentò
un’acida voce. –“Quel ghoul fa le cose così per fare, soltanto per catturare le
lodi di Seth, senza curarsi di portare fino in fondo le missioni affidategli!”
Niso sollevò lo sguardo, posandolo su quello di un’orrenda
figura apparsa poco distante da lui. Una figura a metà tra l’animalesco e il
grottesco.
“Pazienza! Toccherà a me, Ammit, la Divoratrice, terminare
questo sporco lavoro!” –Aggiunse l’acida voce. –“Siete pronti a morire,
Cavalieri di Atena? Presto le vostre stanche carni saranno cibo per
l’insaziabile Ammut!”
“Chi sei?” –Gridò Niso spaventato, mettendosi in piedi.
Davanti a lui vi era una mostruosa creatura, che non
assomigliava ad alcun animale conosciuto, essendo un ibrido tra tre animali
diversi: il corpo era sicuramente quello di un leone, i cui arti anteriori
erano simili a pelose braccia dotate di affilati artigli, ma era innestato su
corte gambe di ippopotamo, che accorciavano la sua figura, donandogli tozzi
arti inferiori. La testa poi era come la testa di un coccodrillo, con lunghe
fila di denti artigliati ed una grossa lingua rossa. Era in piedi, ritta sulle
zampe posteriori, e questo le donava un aspetto similmente umano, per quanto il
corpo e le movenze la facessero apparire simile ad una bestia
“Ammit, o Ammut, la Divoratrice!” –Si presentò la
creatura, avanzando a passo lento verso Niso. –“Sono il Guerriero del Sole Nero
creato da Seth sul modello della divina servitrice di Maat! Ammut assiste alla
psicostasia insieme agli altri Dei, ovvero alla cerimonia a cui i defunti sono
sottoposti prima di poter accedere all’aldilà! È nota come “pesatura
dell’anima” o “pesatura del cuore” poiché esso fa muovere la bilancia del
destino del defunto! Su un piatto della bilancia viene messo il cuore del defunto,
mentre sull’altro piatto si trova la piuma della verità ovvero la piuma di
Maat, simbolo di giustizia e purezza, e si procederà al giudizio! Se infatti il
cuore, inteso come registratore di tutte le azioni, buone o malvagie, compiute
durante la vita, bilancia la piuma, allora il defunto viene dichiarato giusto o
giustificato, ed ammesso al regno dei morti, ma se invece la piuma di Maat pesa
meno del cuore del defunto allora questi viene dato in pasto ad Ammit, “colei
che ingoia il defunto”, morendo definitivamente!”
“Quindi...” –Mormorò Niso, osservando la piuma che
stringeva in mano. –“Questa è la piuma di Maat?!”
“Esattamente!” –Sogghignò la bestia, prima di gettarsi a
terra, poggiando gli arti anteriori al suolo, mettendosi a quattro zampe, come
una fiera pronta a caricare. –“Ed immagino che il tuo cuore pesi molto di più!”
Non aggiunse altro e balzò in avanti, scattando su Niso,
che fu lesto ad evitare l’assalto della creatura mitologica, scivolando di lato
sulla sabbia, mentre Ammit roteava su se stessa per lanciarsi nuovamente alla
carica. Niso sollevò i bracciali bronzei per difendersi dalle violente
artigliate della bestia immonda ma non riusciva a liberarsene, obbligato a
indietreggiare continuamente per non essere ferito o sbranato da quelle orride
fauci di denti aguzzi che sbraitavano volgarmente.
Con un secco colpo di mascella Ammit azzannò il braccio
sinistro di Niso, frantumando in quel punto l’Armatura di Bronzo del Tucano, ma
ferendo il ragazzo solo superficialmente, ed egli approfittò di quel momento
per colpire il suo avversario con un pugno diretto sul collo, proprio dove la
spaventosa testa di coccodrillo si fondeva con il corpo di leone. Ammit tirò un
grido e fu obbligata a spalancare le sue mostruose fauci, permettendo a Niso di
liberarsi e scivolare via, giù da una collinetta di sabbia, prendendo
momentaneamente le distanze da essa.
“Grrr... piccoletto infame!” –Sibilò Ammit irata,
barcollando leggermente, prima di rimettersi a quattro zampe e lanciarsi giù
dalla duna all’inseguimento di Niso.
Ma il Cavaliere di Bronzo, che si aspettava una reazione
simile, non si fece cogliere impreparato, bruciando il proprio cosmo, che
circondò il suo esile corpo con mille striature multicolori. L’elmo della sua
corazza, a forma di becco arancione, brillò per un momento, prima che Niso
liberasse il proprio colpo segreto.
“Becco del Tucano!” –Urlò, mentre una variopinta
sagoma di energia viaggiava contro Ammit, ad una velocità inferiore a quella
del suono.
La Divoratrice cercò di spostarsi di lato, ma la
pesantezza dei suoi arti inferiori rendeva lenti i suoi spostamenti laterali,
ed infatti venne raggiunta alla gamba destra dall’assalto cosmico di Niso, che
comprese il punto debole della sua avversaria: la scarsa velocità difensiva. Un
dato interessante, che avrebbe dovuto sfruttare, per riuscire a compensare la
sua carenza in attacchi definitivi.
Niso infatti sapeva di non essere un Cavaliere molto
potente e lo stesso Eurialo, durante l’addestramento, spesso gli aveva fatto
presente di non possedere un attacco vigoroso. Ma egli sapeva bilanciare con la
velocità e la destrezza in combattimento la mancanza di forza fisica, e quello,
si disse, era certamente il momento migliore per mettersi alla prova.
“Ti piace giocare, eh?” –Ruggì Ammit, rannicchiandosi su
se stessa, come una testuggine. –“Metterò presto la parola fine su questo
sciocco gioco!” –E iniziò a rotolare sulla duna sabbiosa, sfrecciando verso
Niso, che tentò di evitare di essere colpito balzando in alto, usando le
piccole ali striate dell’Armatura del Tucano.
Ma la creatura mostruosa non lo lasciò andare lontano,
allungando un braccio artigliato ed afferrando il ragazzo per un piede,
impedendogli di volare via. Con brutalità lo sbatté a terra, stringendo
ferocemente i suoi artigli sulla corazza, scuotendolo come uno straccio fino a
distruggere le ali dell’Armatura dl Tucano, fissate alla schiena, tra le grida
di Niso. Quindi Ammit sollevò l’altro braccio, allungando di parecchi
centimetri gli unghioni affilati della sua mano felina, calandoli di colpo sul
Cavaliere di Atena, che si dimenò all’impazzata, riuscendo ad evitare di essere
ferito direttamente. Gli artigli di Ammit gli graffiarono il viso e gli
aprirono ferite sul corpo, stridendo con vigore sulla sua corazza, mentre il variopinto
cosmo del Tucano circondava il Cavaliere di Atena.
“Becco del Tucano!” –Gridò Niso, caricando
nuovamente l’elmo del suo cosmo.
Ma il beffardo ghigno comparso sul muso della bestia gli
fece presagire che quella volta il suo colpo segreto non avrebbe avuto
successo. Con una brusca mossa, Ammit si avventò sul cranio di Niso, aprendo le
terrificanti fauci e richiudendole poco dopo su di esso, frantumando l’elmo di
bronzo e ferendo il ragazzo sul cranio, strappandogli ciuffi di capelli biondi,
tra le grida terrorizzate e i tentativi di dimenarsi di Niso stesso. Il
Cavaliere di Atena riuscì a colpire Ammit con una gomitata sul collo,
obbligandolo a lasciare la presa, prima di montare sopra il suo corpo peloso e
afferrargli la grossa gola con entrambe le mani.
“Aaaaah!!!” –Gridò Niso, cercando di soffocare la bestia
mostruosa, che si dimenava sotto di lui.
“Roaaarrr!” – Una tremenda artigliata scaraventò Niso
lontano, facendolo piombare con un tuffo sordo nella sabbia, con il volto
grondante sangue e la corazza quasi distrutta.
Dei numerosi colori di cui era stato ricoperto in
precedenza, adesso Niso era ornato soltanto di due tinte: il polveroso colore
della sabbia, di cui il suo corpo, a forza di rotolarsi su di essa, era
ricoperto, e il rosso del sangue che grondava dalle numerose ferite che le
braccia artigliate di Ammit avevano aperto sul suo corpo, mescolandosi ai
granelli di rena, dando al ragazzo un aria sporca e terribilmente stanca. Come
in effetti si sentiva.
Boccheggiò per un momento, ansimando terribilmente, mentre
l’immonda creatura si rimetteva in piedi, sui suoi arti inferiori, accendendo
per la prima volta l’oscuro cosmo che aveva tenuto nascosto. Un’aura violacea
ricoprì il suo corpo, mentre Ammit muoveva coordinatamente le braccia artigliate
e la sua testa da coccodrillo.
“Fauci divoratrici!” –Gridò. –“Sbranatelo!” – E
scagliò il proprio assalto energetico contro Niso, il quale non fu abbastanza
svelto ad evitarlo.
Vide arrivare verso di sé oscure sagome di mostri dalle
fauci aperte, con lunghe fila di denti aguzzi pronti per chiudersi su di lui,
circondate da violacee scintille di cosmo.Tentò di muoversi, di evitare di essere sbranato da quell’assalto
energetico, ma non ci riuscì e fu raggiunto sul fianco destro. Accecato dalle
scintille, quando riuscì a focalizzare il dolore, tra le grida indicibili della
sua voce, che non riusciva neppure ad udire, tanto debole si sentiva, vide la
terrificante sagoma di Ammit china su di lui. La Divoratrice aveva infatti
azzannato un fianco del ragazzo, affondando nella giovane carne scoperta,
mentre fiotti di sangue uscivano vigorosi macchiando la bocca del coccodrillo.
Con una mossa brusca, Ammit scaraventò Niso lontano,
facendolo schiantare nella sabbia, in una pozza di sangue. Soddisfatta, e sicura
che presto gli avvoltoi avrebbero banchettato con la sua carcassa, si incamminò
a passo lento verso la cima della collinetta di sabbia, dove il corpo inerme di
Eurialo la attendeva.
“Doppio banchetto quest’oggi!” –Sogghignò, iniziando ad
arrampicarsi sulla duna.
Niso rimase là sotto il sole, per qualche interminabile
minuto, durante i quali vide tutta la sua giovane vita scorrergli davanti, come
la pellicola di un film. Vide se stesso in una strada di periferia di una
grande città, abbandonato a ridosso dei cadaveri dei suoi genitori, uccisi in
una faida di sangue tra gruppi etnici rivali, tipica delle bidonvilles
dell’America Latina. Vide il cielo chiudersi sopra di lui, in quel giorno di
pioggia, le nuvole addensarsi e scaricare sul suo viso una rossa pioggia di
sangue. Ed oggi, come quel giorno, pensò che nient’altro gli sarebbe rimasto da
vivere.
Lentamente iniziò a sentire caldo, un tiepido raggio di
sole scaldargli il cuore, mentre il sorridente viso di un robusto ragazzo lo
guardava con affetto, e lo portava via, da quella grigia realtà. Vide Eurialo e
Nonna Ada che lo accolsero nella loro famiglia, che lo fecero rinascere ad una
nuova vita, che Niso scelse di consacrare ad Atena e alla giustizia, come la
famiglia di Eurialo e Aldebaran aveva scelto di fare da tempo. Uno dopo l’altro
i mesi passarono, e mentre Niso cresceva, diventando da bambino un giovane
adolescente, in lui cresceva anche l’amore per gli ideali di giustizia e la sua
voglia di apprendere, oltre che una profonda ammirazione per il suo maestro, il
suo amico del cuore, Eurialo.
Per lui aveva scelto di diventare Cavaliere, per
combattere al suo fianco, e proteggerlo nei momenti bui, riscattando l’antico
debito che aveva dato origine alla loro amicizia. Alla loro storica amicizia che
era durata per dodici lunghi anni, diventando un patto di sangue tra due
fratelli, ritrovatisi a condividere lo stesso destino.
“Ti ho fatto una promessa, quel giorno!” – Rifletté Niso,
ricordando il giorno della sua investitura a Cavaliere di Bronzo del Tucano.
–“Che avrei combattuto, con tutto me stesso, per dimostrarmi degno della
fiducia che mi desti in quel lontano giorno di pioggia! Sei sempre stato
iperprotettivo nei miei confronti... Credo sia giunto il momento di renderti il
favore!” –E riaprì gli occhi, iniziando a muoversi, nel disperato tentativo di
rimettersi in piedi.
Ammit era intanto giunta sulla sommità della duna di
sabbia, pregustando già la nuova leccornia che l’attendeva, quando sentì
innalzarsi un fonte cosmo dalla base della collinetta. Stupita, e stordita, si
voltò indietro, giusto per vedere Niso mettersi in piedi, pur barcollando
leggermente.
“Sei ancora vivo?!” –Ringhiò la bestia, volgendo
nuovamente i bassi verso il ragazzo, ed osservandolo barcollare come una foglia
al vento dall’alto della collinetta.
“Vivrò, finché avrò un amico da difendere!” –Rispose Niso,
prima di raccogliere le braccia al petto, socchiudendo gli occhi verdi, e
bruciare al massimo il suo cosmo.
Un’immensa energia sorse da lui, simile ad una cascata dalle
mille luci, luccicante come l’arcobaleno, sorreggendo il corpo stanco del
ragazzo, che ormai stava in piedi solo grazie alla forza del suo cosmo. Sangue
scorreva copioso dalle sue ferite, e la vista andava annebbiandosi sempre di
più. Per questo non doveva perdersi in tentennamenti, per questo doveva agire
adesso, prima che la vita lo abbandonasse.
“Muori, ragazzino! Ammut viene a prendere il suo tributo!”
–Ringhiò Ammit, sollevandosi sugli arti posteriori e muovendo le braccia
artigliate, caricandole del suo violaceo cosmo. –“Sono la Divoratrice dei cuori
grevi, e con essi banchetto! Lascia che possa sfamarmi con la tua carcassa! Fauci
Divoratrici!” –E nient’altro aggiunse, balzando in alto, per piombare
proprio su Niso.
Il Cavaliere di Atena, raccolte tutte le sue energie, fece
esplodere il suo cosmo, dirigendolo con le braccia verso l’alto, verso la
creatura animalesca che stava balzando su di lui. Una piccola galassia a forma
di batuffolo di luce apparve intorno a lui, riempiendo la vallata sabbiosa,
prima di scoppiare con violenza, liberando una devastante potenza energetica.
“Piccola Nube di Magellano!” –Tuonò Niso, dirigendo
la nebulosa di energia contro Ammit.
La bestia, sorpresa da un siffatto potere recondito, venne
investita in pieno e disintegrata dal potere della Nebulosa di Magellano.
I suoi resti maciullati si schiantarono sordamente nella sabbia attorno, mentre
Niso crollava sulle ginocchia, privo ormai di forza fisica. Ma ancora non
poteva arrendersi. Ancora, lo sentiva, la sua missione non poteva dirsi
conclusa. Usando solo le dita delle mani, strisciò sulla collina sabbiosa,
lasciandosi dietro una macabra scia di sangue, trascinando il volto stanco
nella rena, con le sue ultime forze. Solo per giungere in cima alla duna e
sincerarsi delle sorti dell’amico.
In quel momento, risvegliato dall’esplosione cosmica della
Nube di Magellano, Eurialo riprese i sensi, contorcendosi su se stesso
per il dolore alla schiena. Impiegò non poco per rimettere in ordine gli
scompigliati frammenti della sua memoria, ma quando riuscì a ricordare la prima
cosa che notò fu l’assenza di Niso al suo fianco. Un attimo dopo, un gemito
attrasse la sua attenzione, facendolo voltare bruscamente verso destra, per
osservare l’amico agonizzante strisciare verso di lui.
Urlando, Eurialo corse verso Niso, chinandosi su di lui,
voltandolo, con il capo verso il cielo, per osservargli il volto affaticato e
sporco, sfregiato da mille ferite che Ammit gli aveva inflitto. Cercò di
pulirlo, domandandogli confusamente cosa fosse accaduto e chi avesse osato
ferirlo, ma i continui balbettii di Niso non placarono il suo animo, disperato
e sgomento. Pianse, Eurialo pianse, per quanto proprio lui in passato si era
raccomandato più volte con l’amico di non piangere, di essere forte e deciso in
battaglia, anche a costo di mettere da parte i sentimenti, poiché nocivi
durante una guerra.
“Se dovessi morire, non voglio vederti piangere e
disperarti per me, Niso!” –Gli aveva detto un giorno Eurialo. –“Ma dovrai
combattere ancora, e forse di più, anche per me! Come io avrei fatto se fossi
al tuo fianco!”
Mai come in quel momento quelle parole gli pesarono sul
cuore, come una spada affilata. Mai come in quel momento gli parvero false.
“Io non ci sono stato!” –Mormorò Eurialo, posando il corpo
inerme di Niso a terra. –“Ti ho lasciato da solo in questo deserto di sangue!”
–Si colpevolizzò, mentre lacrime rigavano il suo volto.
Improvvisamente, numerosi cosmi ostili apparvero intorno
ai due Cavalieri di Atena, e quando Eurialo si voltò trovò una trentina di
Guerrieri del Sole Nero con le Spade sguainate, pronti per attaccarlo.
L’esplosione violenta del cosmo di Niso aveva spinto Seth ad inviare
prontamente una pattuglia in quella direzione, nel pieno del deserto, per
controllare e, eventualmente, uccidere eventuali superstiti.
“Sorprende che tu sia ancora vivo, grassone!” –Lo
etichettò un Guerriero del Sole Nero. –“Ben due Guerrieri sono stati inviati da
Seth contro di voi! Come hai potuto opporti a loro?!”
“Non l’ho fatto invece! Non ho affrontato, né incontrato,
i due Guerrieri di cui parli!” –Rispose Eurialo, con determinazione. –“È stato
il mio amico, che vedi riverso al suolo, ad affrontare e vincere uno di loro!
L’altro mi è ignoto chi sia, ma gradirei confrontarmi con lui, cosicché possa conoscere
l’ira di Eurialo del Dorado!”
“Temo che non potrai scaricare la tua frustrazione su di
lui, Cavaliere!” –Gli risposero i Guerrieri egizi a tono. –“Poiché Ghoul
ha ormai raggiunto il Grande Tempio di Atena, assieme ad Upuaut e agli altri! A
quest’ora starà massacrando altri tuoi compagni!”
“Ghoul, hai detto?! Adesso capisco!” –Rifletté Eurialo.
–“I Ghoul sono creature che vivono nel deserto, demoni mutaforma capaci di
assumere le sembianze di qualunque animale, specialmente delle iene! Che esista
un Guerriero con un potere simile?”
“Non preoccuparti di lui, ma pensa a te piuttosto!”
–Esclamarono i Soldati del Sole Nero, avventandosi su Eurialo. –“Sei solo
contro tutti noi! Iaaaah! Uccidiamoloo!”
“Umpf... Siete voi a dovervi preoccupare!” –Gridò Eurialo.
–“Ancora non conoscete l’ira del Dorado!” –E nel dir questo scattò in avanti,
molto velocemente, evitando gli affondi di energia infuocata dei Guerrieri
egiziani, balzando su di loro e colpendoli al collo e nell’alto petto,
trafiggendoli con la sua spada di bronzo.
Ne abbatté una decina, lasciando i loro corpi crollare a
terra, mentre fiotti di sangue zampillavano fuori da sottili fori creati da
Eurialo sui loro corpi, imbrattando le loro vesti color verde scuro. Gli altri
si riunirono, leggermente intimoriti dalla velocità del Cavaliere, che sapeva
raggiungere con colpi precisi i centri nevralgici dei suoi avversari.
“Cosa hai fatto loro?!” –Domandarono alcuni.
“Li ho trafitti!” –Rispose Eurialo. –“Con la mia spada!”
–E sollevò il braccio destro, ricoperto da un copribracciale di bronzo dal
color verde acqua, a cui era affissa una pinna del Dorado. Stretta e lunga,
come un sottile ma perforante stiletto, una lama partiva dal suo braccio per
sporgere all’infuori di una ventina di centimetri. Quella era la spada del
Dorado, ovvero del Pescespada.
Rapido, Eurialo scattò avanti, infilzando con forza alcuni
Guerrieri che gli si fecero incontro. Altri rimasero compatti, dirigendo i
raggi energetici delle loro Spade del Sole contro di lui, obbligandolo a
muoversi continuamente, per non essere ferito, ma fu comunque raggiunto alla
gamba sinistra e la sua armatura ci crepò in più punti, facendolo urlare per un
momento dal dolore. Ma poi il pensiero di Niso, corpo abbandonato sotto il
cocente sole di Egitto, in balia di barbari assetati di sangue, lo fece
riprendere e scattare nuovamente avanti come una furia.
La Spada del Dorado infilzò un paio di Guerrieri, e poi un
altro paio, e un paio ancora, e quando Eurialo non riusciva a muoverla in
tempo, riusciva comunque ad usare le sue robuste mani per afferrare i colli dei
soldati egiziani e sbattere le loro teste una contro l’altra, fino ad
abbatterli tutti. Ne rimasero soltanto quattro, raggruppati tra di loro, con le
Spade puntate verso Eurialo, in piedi a venti metri di distanza. I Guerrieri
fecero brillare le loro lame, dirigendo i caloriferi raggi contro Eurialo, il
quale fu abile ad evitarli, scagliando il suo assalto da distanza.
Quattro stiletti di luce saettarono nell’aria, trapassando
i corpi dei soldati egiziani, che caddero a terra, in una pozza di sangue,
mentre Eurialo si fermava per un momento a respirare, ansimando per la fatica
sostenuta nell’affrontare un così elevato numero di avversari
contemporaneamente. Nonostante alcune ferite sul corpo e crepe sull’armatura
del Dorado se l’era cavata piuttosto bene.
“Difenderò Niso da chiunque oserà levare la mano su di
lui! Sappiatelo!” –Gridò, prima di ritornare verso il corpo inerme dell’amico.
In quella, un cosmo immenso apparve dietro di lui, tra i cadaveri
abbandonati dei Guerrieri Egizi. Era un uomo, o così parve ad Eurialo, anche se
le sembianze erano animalesche, canine per l’esattezza. Alto e snello,
ricoperto da un’Armatura marrone rifinita di oro, il Dio Anubi aveva
grandi orecchia che spuntavano sotto i lunghi capelli violacei che scendevano a
caschetto fino alle spalle. In mano stringeva una frusta e i suoi occhi
puntavano Eurialo con decisione.
“Hai tu, forse, la forza per opporti alla Pesatura
dell’Anima?!” –Gli chiese, ed Eurialo capì che il suo momento era giunto.
CAPITOLO DICIOTTESIMO: LA SCALATA DELLE
DODICI CASE.
Dopo aver lasciato
Orione a terra, nella piazza principale del Grande Tempio, i Guerrieri Egizi,
guidati da Upuaut, il loro Comandante, corsero verso
la Collina della Divinità, lanciandosi in un barbaro assalto contro l’ultimo
bastione a difesa di Atena: le Dodici Case dello Zodiaco, che dalla prima,
quella dell’Ariete, si snodavano lungo il monte fino alla Tredicesima Casa, la
residenza del Grande Sacerdote. Quello era il loro obiettivo, ciò che Seth
disperatamente bramava: la testa del vecchio oracolo, il quale, Seth ne era
stato informato, era anziano e stanco, simbolo di un mondo che ormai sarebbe
sprofondato nella dimenticanza.
Giunti alla Prima
Casa, dall’aspetto orientaleggiante, non trovarono nessuno a riceverli, e
questo fece sospettare loro un assalto a sorpresa, non essendo al corrente
della missione in Asia di Mur. Convinti infine che
non vi fosse niente da temere, i Guerrieri Egizi superarono la Prima Casa e
iniziarono a correre lungo la scalinata di marmo, diretti verso la Seconda,
quella del Toro Dorato.
Upuaut, il Comandante scelto da Seth per guidare
l’Esercito del Sole Nero, correva in cima al folto gruppo di guerrieri, tenendo
fede al suo nome, “colui che apre la via” . Nel Mondo Antico era stato infatti
figlio di Iside, venerato specialmente ad Abydos, una
città nell’Alto Egitto, e tenuto in buon conto dallo stesso Amon
Ra; ma insoddisfatto del suo potere e della venerazione di cui era oggetto
iniziò a chiedere di più e commise l’errore di appoggiare Seth nella sua
congiura contro Horus e Osiride, venendo esiliato insieme al Dio traditore, e
da lui richiamato in vita per le sue ottime abilità guerriere e strategiche.
Sua madre, vergognatasi del suo comportamento viscido e traditore, lo aveva
ripudiato ed egli sperava, dopo la fine della guerra, di vendicarsi di lei,
facendola sua schiava.
Dietro di lui
correvano Kepri e Aspide, due Guerrieri Egizi dai
notevoli poteri, e una cinquantina di soldati armati delle Spade del Sole. Giunti in prossimità della Seconda Casa, Upuaut ordinò di rallentare, per concentrare i sensi
sull’interno e scovarvi eventuali Cavalieri d’Oro nascosti.
“Kepri!” –Ordinò il Comandante. –“Cosa sentono i tuoi
scarabei?”
“Niente!” –Rispose
il Guerriero Egizio. –“La Seconda Casa è vuota!”
“Che strano!”
–Rifletté Upuaut, toccandosi il pizzetto grigio.
–“Seth mi aveva informato che i Cavalieri del Capricorno e dei Gemelli erano
giunti in Egitto come ambasciatori, e che il Sagittario, il Leone e il Cancro
li avevano seguiti! Ma le nostre fonti non avevano detto niente riguardo alla
mancanza dei custodi delle prime due Case dello Zodiaco!”
“Forse staranno
combattendo in giro per il Grande Tempio!” –Azzardò l’idea Aspide.
“Idiozie!” –Lo
chetò Upuaut. –“I Cavalieri d’Oro non si muoverebbero
dalle loro Case per alcun motivo, poiché il loro massimo compito è la difesa di
questo percorso obbligato da chiunque tenti di raggiungere il Celebrante di
Atena e quindi la Dea stessa!” –E nel dir questo sfoderò la mazza che portava
alla vita, afferrandola con la mano destra, prima di dare ordine di caricare
compatti.
I Guerrieri Egizi,
insieme a Kepri e ad Aspide, si lanciarono
all’interno della Seconda Casa del Toro, senza percepire alcuna traccia di
cosmo, correndo nella semioscurità del corridoio centrale, finché due occhi non
risplendettero davanti a loro, rischiarando l’aria con un lampo di luce. In un
attimo tutti i Guerrieri Egizi furono spinti indietro, scaraventati contro le
colonne circostanti o scagliati contro le mura laterali, mentre dall’ombra
usciva un ragazzo, di appena dodici anni, dalla corporatura robusta, ricoperto
dalla dorata Armatura del Toro.
Aldebaran
del Toro osservò i cinquanta
guerrieri ai suoi piedi, con uno sguardo misto tra dispiacere per dover combattere
e preoccupazione, poiché era la prima volta che si trovava in guerra. Sorrise,
compiacendosi del risultato: era riuscito a celare il suo cosmo e a colpirli
tutti contemporaneamente.
Tutti e
cinquantatre! Mormorò il
Cavaliere, che aveva contato i cosmi invasori correre lungo la bianca scalinata
di marmo. Improvvisamente un brivido corse lungo la sua schiena, obbligandolo a
guardarsi intorno bruscamente. Sul pavimento vi erano infatti soltanto
cinquantadue corpi.
Prima che potesse
riflettere ulteriormente, Toro fu colpito in pieno petto da un brusco colpo di
mazza che lo scaraventò indietro, fino a farlo schiantare contro un muro
laterale, che crollò su di lui. Rapidamente si liberò dalle macerie, senza
riportare grossi danni, a parte un lieve stordimento, per trovarsi di fronte al
suo avversario: il possente Upuaut,
Comandante dell’Esercito del Sole Nero.
Era alto e
massiccio, quasi due metri, con viso maschile e vissuto e una cicatrice
sull’occhio destro che gli dava un aspetto vagamente deforme. I capelli erano
radi e brizzolati e uno sfregio sopra l’orecchio rendeva la sua presenza ancora
meno piacevole. Indossava un’armatura dal color grigio sporco, che copriva solo
parte del suo corpo ed era rifinita con una folta pelliccia grigia, dello stesso
animale con cui aveva realizzato il mantello che gli copriva la schiena. Alla
cintura portava un arco, mentre in mano stringeva una mazza marrone, carica
delle emanazioni del suo cosmo violento.
“Chi sei?”
–Domandò Toro, tastandosi il petto e respirando a fatica, per la botta
ricevuta.
“Upuaut, il Dio Lupo della Morte e della Guerra!” –Rispose
con fierezza l’altro, digrignando gli aguzzi canini. –“Mai come adesso questa
presentazione sarà realtà! Poiché solo guerra, e con essa morte, troverai se
sceglierai di combattere con me!”
“Certo che
combatterò con te, invasore del Tempio di Atena!” –Rispose Toro con fermezza,
per quanto l’aspetto truce di Upuaut e la sua
tranquillità battagliera lo stessero facendo innervosire e preoccupare. –“Non
crederai di poter passare la Seconda Casa del Toro senza pagare il fio!”
“Pagare il fio?! Uahahah!” –Rise di gusto il Dio Lupo della Guerra e della
Morte, prima di caricare la mazza del suo violento cosmo.
Con un brusco
movimento, la mosse come se volesse colpire il Toro, per quanto lontani di
parecchi metri fossero, e il Cavaliere venne sospinto indietro, piegandosi in
due, quasi un macigno lo avesse colpito allo stomaco. Il violento colpo lo fece
sputare sangue e mettersi una mano sull’Armatura, che sembrava essere stata
superata e trapassata, per raggiungere lo sterno al suo interno.
“Questo è stato
solo un assaggio, Cavaliere del Toro! L’onda d’urto della mia mazza ti ha fatto
sputare sangue! Vomiterai l’anima se ti ostinerai a lottare con me, con un Dio,
infinitamente superiore alla tua patetica condizione umana!” –Esclamò Upuaut, espandendo il suo cosmo.
“Che tu sia un Dio
o un uomo, per me non fa alcuna differenza! Poiché dalla porta sul retro di
questa Casa tu non uscirai!” –Ribatté il Cavaliere d’Oro con fermezza. –“Prendi
queste parole come verità, Upuaut, Dio della Morte e
della Guerra, perché questa presentazione sarà realtà!”
Tale risposta fece
adirare Upuaut, che scattò avanti, brandendo la mazza
carica di energia cosmica, sfrecciando nell’aria alla velocità della luce e
muovendo l’arma per colpire nuovamente il ragazzo. Ma quella volta Toro fu
abile a voltarsi di lato, schivando il virulento assalto di Upuaut,
e muovendo il braccio destro con forza contro il viso del Guerriero Egizio.
Upuaut venne colpito in pieno e spinto di lato,
protetto dalla sua maschera grigia a forma di lupo, che schizzò in aria,
ricadendo a terra poco distante, crepata per l’impatto, ma riuscì a mantenersi
in piedi, e a rinnovare la carica contro il Cavaliere del Toro, che questa volta
non riuscì ad evitare la furia del Lupo d’Egitto, venendo scagliato indietro,
contro una colonna del Tempio.
Upuaut non gli diede il tempo di rimettersi in
piedi, balzando come una furia su di lui, sollevando la mazza con entrambe le
mani, pronto per calarla sul ragazzo schiantato a terra tra i detriti, ma Toro
fu svelto a rotolare via, evitando l’affondo del Dio che schiantò il pavimento
in mille frammenti.
Toro, senza
esitazione, si lanciò contro di lui, iniziando un violento corpo a corpo fatto di
pugni e di calci continui. Una mazzata sul braccio destro fece perdere ad Upuaut la presa della clava, che sbatacchiò in terra con
fragore, obbligando il Comandante Egizio a ricorrere ad altri mezzi. Una
ginocchiata in pieno petto fece accasciare Toro, distraendolo dal corpo a
corpo, mentre Upuaut lo afferrava per il collo con le
sue robuste braccia, stringendo con vigore sulla pelle del ragazzo.
“Non muoverti!”
–Sibilò il Dio Lupo. –“Aumenti solo l’agonia della tua morte!” –Aggiunse,
stringendo le sue robuste dita intorno al collo del Cavaliere.
Nel silenzio della
Seconda Casa, rotto dall’affannoso respiro del Custode Dorato, Upuaut riusciva a udire soltanto lo scricchiolare sinistro,
e per lui soddisfacente, delle ossa del suo nemico, il cui viso stava
impallidendo sempre di più. Di nient’altro si curava, neppure della salute dei
suoi soldati, la cui presenza era importante soltanto per facilitargli il
compito. Ma la strada verso il Sacerdote di Atena, e verso la vittoria,
l’avrebbe aperta lui: Wepwawet o Ophois,
“colui che apre le strade”.
“Io sono il tuo
personale Dio della morte, che aprirà la strada alla tua anima verso l’aldilà!”
–Ghignò, ridendo come un pazzo, infervorato da quel gioco al massacro che tanto
lo eccitava.
Tutto preso da se
stesso e dalla sua superbia, non si avvide di un movimento repentino poco
lontano da lui. Un enorme blocco di pietra, di cui il pavimento era composto,
si sollevò, sfrecciando verso il Dio Egizio, che se ne accorse soltanto
all’ultimo, venendo travolto in pieno e scaraventato contro un muro laterale,
schiacciato dal blocco di pietra che precipitò a terra sopra di lui.
Toro, crollato in
ginocchio, ansimava per riprendere fiato, pur consapevole di avere poco tempo a
disposizione. Upuaut infatti si rimise subito in
piedi, afferrando il grosso blocco di pietra, sollevandolo con facilità e
scagliandolo contro il Cavaliere, che lo evitò semplicemente muovendosi di lato
alla velocità della luce.
Arrabbiato,
soprattutto nell’orgoglio, per essere stato interrotto, Upuaut
sollevò il braccio destro, richiamando a sé la propria Clava, pronto per
scagliarsi nuovamente contro il Toro, quando questi lo stupì mettendosi a
sedere in terra, con la gambe incrociate e gli occhi socchiusi, quasi fosse in
meditazione. Credendo che la paura della morte lo avesse reso pazzo, e che
cercasse nella preghiera un modo per fuggire al dolore che l’attendeva, Upuaut scoppiò a ridere, caricando la clava del suo cosmo
grigiastro, e scattò avanti, pronto per colpirlo.
Ma improvvisamente
tutti i blocchi di pietra che costituivano il pavimento della Seconda Casa si
sollevarono, bloccandogli il passaggio, facendolo incespicare, e molti
sfrecciarono verso di lui.
“Telepatia eh?!”
–Ghignò Upuaut, capendo che era il cosmo di Toro ad
agire sull’ambiente attorno.
“No, telecinesi!”
–Precisò il ragazzo, seduto in posizione apparentemente imperturbabile. –“La
telepatia è la capacità di comunicare con il pensiero, mentre la telecinesi, o
psicocinesi, è la capacità di un soggetto di agire sull’ambiente che lo
circonda, riuscendo quindi a spostare anche oggetti!”
“Bah!” –Sputò Upuaut, distruggendo con la clava tutti i blocchi di
granito che Toro gli mandava contro. –“Qualunque nome abbia questa tecnica è
per me misera cosa! Un patetico tentativo di evitare lo scontro aperto, un vile
surrogato da deboli!” –Gridò, lanciandosi velocemente avanti.
Rapido, sfrecciava
tra i blocchi che Toro gli mandava contro, li evitava, si spostava per farli
scontrare tra loro e distruggersi, e quelli che non poteva schivare li
frantumava con un colpo secco di clava. In pochi secondi, troppo pochi per
permettere al Cavaliere d’Oro di elaborare un nuovo piano, Upuaut
fu davanti a lui, con la clava sollevata sopra la testa, carica di energia
cosmica.
“E chi rifiuta la
battaglia aperta, preferendo misere tecniche indirette, è soltanto un debole! E
non c’è vittoria... per costoro!!!” –E abbassò la clava con forza.
Toro riaprì gli
occhi di colpo, fermando l’arma del Dio con le sue robuste braccia. Afferrò la
clava, bloccandola dal basso, spingendo con tutte le sue forze per resistere,
nonostante la pressione insostenibile, nonostante le violenti scariche di
energia che l’arma emanava. Pensò ad Atena, la Dea a cui aveva giurato fedeltà,
e all’armatura di cui gli aveva fatto dono, per difendere la Terra e la
giustizia. Pensò a sua nonna, che lo aveva istruito per tutta la sua
fanciullezza. E infine pensò a Eurialo, e a quanto
aveva pianto di felicità nel vedere il fratello insignito del supremo titolo di
Cavaliere d’Oro. Per un momento socchiuse gli occhi, lasciando i sensi liberi
di scivolare via, e gli parve di sentire le grida di Eurialo,
e dell’amico Niso, impegnati in battaglia tra le
sabbie d’Egitto.
Tutti stanno
combattendo!!! Mormorò tra
sé, accendendo il suo cosmo di dorati bagliori e spingendo sulla clava con
tutto se stesso, per sollevarla e gettarla via. Ed io non sarò da meno!!!
Gridò, spingendo indietro l’arma e Upuaut stesso,
attonito e stupefatto.
“Guerriero
Egizio!” –Esclamò, con determinazione. –“Non passerai!” –E socchiuse gli occhi,
facendo esplodere il suo potente cosmo. –“Adesso conoscerai il Grande Corno del
Toro Dorato!!! Per il Sacro Toro!” –E portò entrambe le braccia avanti,
liberando una devastante energia simile all’infuriata corsa di un toro dalle
corna d’oro.
Upuaut, sorpreso da tale inaspettato potere, mosse
la clava per tentare di parare l’assalto del suo nemico, ma vi riuscì soltanto
in parte, venendo scaraventato indietro, fino a schiantarsi contro le colonne
laterali dell’ingresso, abbattendole e rovinando a terra.
In quella, i
soldati egizi rinvennero, iniziando a rialzarsi progressivamente e ad osservare
la scena. Stupiti, videro il loro Comandante atterrato, sommerso da detriti e
pezzi di colonne franate, mentre un Cavaliere d’Oro giaceva in ginocchio, poco
distante da loro, respirando affannosamente.
Un gruppetto di
soldati egizi fu subito su Toro, afferrandolo per il collo e mettendogli le
loro spade alla gola, ma un ordine perentorio li fece allontanare
immediatamente.
“Non intromettetevi!”
–Gridò Upuaut, sollevandosi dalla polvere e dai
detriti. –“Questo ragazzino ha deciso di sfidarmi e io prenderò la sua testa
come trofeo!”
“Ma Comandante...”
–Mormorò Kepri, osservando sfregi e scheggiature
sull’armatura del Dio.
“Correte avanti! E
uccidete tutti coloro che oseranno sbarrarvi il passo!” –Ordinò infine Upuaut, facendo esplodere il proprio cosmo: grigio come la
cenere, percorso da violente scariche di cinerea energia. –“Zanne della
Morte e della Guerra!”
Guizzanti folgori
di energia sfrecciarono nell’aria dirette verso Toro, che riuscì ad evitarne
soltanto un paio, venendo raggiunto e scaraventato indietro, sbattendo la testa
sul pavimento, mentre rivoli di sangue colavano sul suo viso. Anche alcuni
soldati semplici, intorno al Cavaliere del Toro, furono travolti e spinti a
terra, ma Upuaut non se ne curò, ordinando a tutti
loro di lasciare immediatamente la Seconda Casa. E così fecero poco dopo,
voltando le spalle al loro Comandante e lasciandolo da solo, irato e
imbestialito come mai prima di allora, ad affrontare il suo avversario.
“Mi hai umiliato
di fronte alle mie truppe!” –Ringhiò Upuaut, ferito
nell’orgoglio per essere stato sorpreso a terra, sotto il peso di quelle
maledette colonne di marmo che pesavano più sul suo animo che non sul suo
corpo.
“Siamo parecchio
permalosi, a quanto pare!” –Ironizzò Toro, rialzandosi e sputando sangue. E
realizzando che vi erano ben pochi motivi per ironizzare. Eppure lui era fatto
così, sempre pronto a sdrammatizzare con una battuta il momento più terribile. Eurialo spesso lo aveva criticato, per la sua noncuranza,
ma Toro non aveva mai dato troppo peso a quelle critiche, perché sapeva che in
fondo anche il fratello trovava rasserenamento dalle sue battute.
Un onda di energia
lo travolse, scaraventandolo contro una parete retrostante e facendolo
schiantare a terra. Upuaut aveva recuperato la
propria clava e, per quanto parecchi metri li separassero, il campo d’azione di
quell’arma era tale da ferirlo ugualmente. Il Dio Egizio iniziò a incamminarsi
verso Toro, muovendo la clava per colpirlo da sinistra verso destra, ma il
Cavaliere fu abile a saltare, scavalcando l’onda di energia prodotta e
sorprendendo persino Upuaut per la sua abilità.
“Hai dimenticato
che noi Cavalieri d’Oro sappiamo muoverci alla velocità della luce?” –Bofonchiò
Toro, scattando avanti improvvisamente, quasi fosse un toro selvaggio in fase
di carica.
Una spallata
violenta colpì Upuaut in pieno petto, facendogli
perdere la presa della clava, che rotolò parecchi metri distanti, mentre il Dio
indietreggiava di qualche passo, tastandosi l’armatura incrinata. Ma il
Cavaliere caricò nuovamente e ancora di nuovo, fino ad obbligare il Comandante
Egizio a portare entrambe le braccia avanti.
“Cadi, invasore! Carica del Toro Dorato!” –Gridò Toro. E
a Upuaut parve di vedere migliaia di tori furibondi
caricare con le corna tese verso di lui, una mandria di energia polverizzante.
Bruciò il cosmo,
caricando entrambi i polsi, aperti verso l’avversario, con cui sperava di
fermare l’avanzata del Toro Dorato. Ma vi riuscì solo in parte, venendo spinto
indietro, scavando con i piedi due profondi solchi nel pavimento della Seconda
Casa. Ansimante e stupefatto da un simile prodigio, compiuto da un ragazzino di
dodici anni, sollevò la testa avanti, per incontrare il deciso sguardo di Toro,
che lo fissava a mezzo metro da lui, completamente avvolto in un’aura dorata.
“Prendi il Grande
Corno!!! Per il Sacro Toro!”
–Esclamò il Cavaliere di Atena, liberando tutta la potenza del suo attacco, che
lanciato da distanza ravvicinata ebbe un effetto devastante sulla corazza e sul
corpo di Upuaut.
Il Comandante
Egizio venne scaraventato indietro di decine di metri, fino a schiantarsi nel
piazzale antistante alla Seconda Casa, fuori dal Tempio da cui Toro aveva
voluto cacciarlo, con la corazza a pezzi, pieno di ferite e contusioni su tutto
il corpo. E con il suo spirito battagliero ridotto in briciole. Toro si
posizionò sull’entrata, muro invalicabile capace di opporre strenua resistenza.
Quando Upuaut trovò la forza per rialzarsi, boccheggiando a
fatica, si ritrovò sotto i caldi raggi di un pomeriggio di Atene, fuori
dall’obiettivo che si era preposto di raggiungere, lontano anni-luce
dall’obiettivo finale. Concentrò i sensi e sentì che gli altri guerrieri
stavano combattendo alla Casa del Cancro e questo aumentò la sua
preoccupazione, timoroso che la missione sarebbe potuta fallire.
No! Si disse, bruciando il suo cosmo, rosso di rabbia e ferito
nell’orgoglio. Questa missione non
fallirà! L’ho ideata io! E io la porterò a completamento! E mosse
velocemente le braccia, a creare guizzanti folgori di cinerea energia.
“Zanne della Morte e della Guerra!”
–Gridò, dirigendo il suo assalto verso Toro, ma il ragazzo non venne raggiunto
dai suoi fendenti di energia, protetto da un impenetrabile muro dorato che il
suo cosmo aveva eretto a sua difesa. Su questa invalicabile protezione le
sfolgoranti zanne persero i loro canini e la loro brillantezza.
Eretto in piedi,
all’ingresso del suo tempio, con le braccia incrociate al petto e gli occhi
socchiusi, Toro riusciva a tenere a bada le folgori di energia di Upuaut e quando ritenne di essere in grado di
contrattaccare aprì gli occhi, fissandolo con decisione. Una violenta spinta
schiacciò Upuaut a terra, imprimendo la sua forma sul
lastricato bianco, mentre l’Armatura del Dio Lupo andava sempre più in
frantumi, pressata da un’invisibile potere dalle calde emanazioni dorate.
“Maledetto! Ti fai
gioco di me?!” –Ringhiò furioso Upuaut, accecato dal
suo stesso orgoglio e incapace di usare gli ultimi barlumi del suo raziocinio.
–“Ma saprò piegarti!” –Detto questo si rialzò, bruciando tutto il cosmo che
portava dentro, in una fiamma di energia cinerea, che turbinò nel piazzale
prima di concentrarsi sulle sue braccia. –“Cadi! Zanne della Morte e della Guerra!!!”
Fu l’assalto più
devastante che Toro avesse mai dovuto fronteggiare fino a quel momento, capace
di abbattere persino il suo protettivo muro dorato e di obbligarlo ad aprire le
braccia, per spingere via il suo nemico con tutto se stesso. Lo sentì su di sé,
premere di fronte a lui, con uno sguardo carico di odio e di biasimo, mentre
tutto il suo corpo era stretto in un’inscindibile morsa di folgori cineree.
“Atena! Nonna! Eurialo! Datemi la forza per resistereeee!!!”
–Mormorò, socchiudendo gli occhi e concentrando tutto il cosmo di cui era
capace, tutta l’energia che gli era rimasta dentro, quella più pura, che veniva
direttamente dal cuore. –“Per il Sacro
Toro!” –Gridò infine, liberando un’immane potenza, che scaraventò via Upuaut, disintegrando ciò che rimaneva della corazza e del
suo corpo.
Quindi il
Cavaliere si accasciò a terra, lasciando schiantare le possenti ginocchia sul
pavimento crepato, ansimando per lo sforzo. Dopo che si fu ripreso, Toro scese
gli scalini e raggiunse i pallidi resti del Comandante Egizio, carcasse senza
più memoria, e li fissò, provando pena per lui.
Upuaut! La tua forza fisica mi era
superiore! Ma le motivazioni che ci spingevano a lottare erano diverse e hanno
permesso a me di vincerti! Tu combattevi con rabbia, per dimostrare qualcosa a
qualcuno, per dimostrare di essere in grado di compiere atti che non avevi mai
pienamente compreso! Incapace di ammettere, anche solo di ipotizzare il tuo
fallimento, ti sei lasciato accecare dall’odio e dal fanatismo, che ti hanno
perduto! Mormorò, prima di
ritornare nella Seconda Casa.
Concentrò i sensi
e sentì rumori di una lotta in corso alla Casa del Cancro, rimanendo sorpreso. Cancer è in Egitto! Chi difende la Quarta
Casa? E poi sentì una forte energia cosmica provenire da poco sopra, e
allora comprese.
I Guerrieri Egizi
infatti, dopo aver superato la Seconda Casa, aveva continuato a correre lungo
la bianca scalinata, arrivando alla Terza, trovandola vuota come ne erano stati
informati, e continuando poi per la Quarta, dove avevano avuto un’amara
sorpresa.
“Che strano!”
–Mormorò Kepri, sentendo un vasto cosmo provenire
dall’interno. –“Il Cavaliere di Cancer dovrebbe essere in Egitto con il Leone e
il Sagittario! Chi sta difendendo questa Casa?”
“Lo scopriremo
soltanto entrando!” –Aggiunse Aspide, facendo cenno ai soldati semplici di
seguirli all’interno. E così si erano ritrovati letteralmente all’inferno.
“Ma… cosa?!” –Balbettarono, osservando il panorama grottesco
che si presentava attorno a loro.
Erano all’incirca
all’inizio di una vallata, che scendeva ripida verso il fondo, percorsa da
numerose file di persone, interamente avvolte da luminescenze azzurre, tutte
convoglianti verso un unico punto: la bocca di un vulcano, dentro la quale tutte
si buttavano, sospinti da forti venti.
“Ma questa è la
Bocca di Ade! L’inferno Greco!” –Esclamò Kepri.
“Che cosa?”
–Ribatté Aspide, mentre il terreno franava sotto di loro. –“Aaargh!”
I due Guerrieri e
i cinquanta soldati semplici che li accompagnavano si ritrovarono direttamente
nella grande vallata, mentre forti correnti, dai lugubri suoni, parevano
spingerli verso la Bocca di Ade, inesorabilmente, come i morti che camminavano
attorno a loro.
“Tutto questo non
ha senso!” –Mormorò Kepri, mentre il malumore
iniziava a diffondersi tra i soldati. –“E voi smettetela di piagnucolare, e
trovate un modo per uscire di qua!” –Solo allora si accorsero che persino
l’entrata della Quarta Casa era scomparsa: adesso erano da soli, prigionieri
dell’anticamera dell’Inferno.
Mentre Kepri ragionava sul da farsi, la terra tremò nuovamente e
dalle fenditure nel terreno iniziarono ad uscire figure nude e deformi di
uomini e donne, che si avvinghiarono ai corpi dei Guerrieri Egizi, sussurrando
parole indistinte e cercando di portarli con loro, verso la Bocca di Ade.
“A cuccia,
bastardi!” –Ringhiarono alcuni Guerrieri Egizi, tentando di ferirli con le loro
Spade. Ma si accorsero, con stupore e anche con terrore, che le loro armi non
avevano effetto alcuno su quelle figure, che continuavano a stringersi a loro
con forza. Qualche guerriero perse i sensi, altri si lasciarono trascinare,
incapaci di opporre resistenza, convinti veramente di essere finiti
all’Inferno.
“Che il Palazzo
del Cancro sia veramente l’ingresso del Mondo della Morte?” –Rifletté Aspide.
Ma Kepri non fu convinto, espandendo il proprio cosmo
e chiamando a sé i suoi fidi alleati: gli scarabei di cui era il signore.
Centinaia di
scarabei luminosi come stelle apparvero nell’oscurità della vallata, svolazzando
via, percorrendola in lungo e in largo, aiutando il loro padrone a trovare
conferma ai suoi sospetti.
“Oh Scarabei di
Luce, illuminate la via e mostratemi il tessuto inganno che mano ostile ha
composto ad arte, per deviarci dalla nostra via!” –Mormorò Kepri,
infiammando tutti i suoi scarabei, che parvero esplodere come stelle,
rischiarando l’oscura vallata.
Quando la luce
calò di intensità, Kepri, Aspide e una quarantina di
Guerrieri Egizi si ritrovarono all’interno della Quarta Casa, da cui non si erano
effettivamente mai mossi. Aspide e gli altri Guerrieri si guardarono intorno
disorientati, mentre Kepri istigava loro a
proseguire.
“Se restiamo qua,
continueremo a cadere nelle sue illusioni!” –Esclamò Kepri,
avendo percepito la fonte di provenienza del potere che tentava di tenerli
bloccati.
Improvvisamente
dal pavimento comparvero mani dalle dita nodose, che afferrano le gambe dei
Guerrieri Egizi, che urlavano e si dimenavano schifati, mentre spiriti vaganti,
simili a fantasmi, ululavano intorno a loro, avvolgendosi ai loro corpi.
“Hai trovato il
tuo avversario, Cavaliere della Vergine!” –Mormorò Kepri,
con un ghigno sul volto.
CAPITOLO DICIANNOVESIMO: IL CAVALIERE DELLE STELLE
CAPITOLO DICIANNOVESIMO: IL CAVALIERE DELLE STELLE.
Micene aveva perso tutti. E di questo era
terribilmente affranto e preoccupato. Aveva ricevuto l’ordine di guidare i
Cavalieri di Atena in Egitto direttamente dal Grande Sacerdote, lo stesso uomo
che lo aveva scelto come suo successore, avendo fiducia in lui e nelle sue
capacità.
“Micene del Sagittario!” –Gli aveva detto il Sacerdote.
–“Tu che hai sempre dimostrato saggezza e lealtà nei confronti della Dea,
prenderai il mio posto come Grande Sacerdote di Grecia! Il tuo coraggio e la
tua abnegazione alla causa saranno sentimenti capaci di attirarti il consenso
di tutti i Cavalieri del Grande Tempio, che in te vedranno, come già vedono
tutt’oggi, un eroe, un esempio da imitare!”
Bell’esempio che sono stato! Mormorò Micene,
colpevolizzandosi. Incapace di mantenere unito uno sparuto gruppo di sei
Cavalieri! Incapace di oppormi ad una tempesta di sabbia, elaborando insieme
agli altri una strategia comune! Ho fallito! Si disse, accasciandosi su una
duna sabbiosa sotto il caldo sole d’Egitto, e iniziando a battere i pugni a
terra. Ho fallito, Dea Atena! Chiedo perdono! A te e al Grande Sacerdote, le
cui speranze ho disilluso! Non merito di succedergli sul trono di Grecia! Non
merito di diventare il nuovo Oracolo, io che non sono stato in grado di
condurre avanti il gruppo che mi è stato affidato! Non merito niente!
“Ti arrendi già?” –Lo richiamò una voce, stupendo il
Cavaliere del Sagittario. –“Non è da te, Micene!”
Il ragazzo si voltò verso la propria destra e trovò il
volto sorridente di Galan fissarlo con sincera preoccupazione, ma anche
con una punta di rimprovero per la facile arrendevolezza in cui il senso di
colpa lo aveva fatto precipitare.
“Non è da te, Micene, arrendersi alla prima difficoltà!”
–Sorrise Galan. –“Hai già dimenticato gli insegnamenti del nostro maestro? Sono
passati sei anni, non una vita intera!”
Micene lasciò vagare la mente indietro, ricordando il duro
addestramento a cui era stato sottoposto dal suo Maestro. Ore e ore di continui
sforzi fisici alternati a lezioni di storia, anatomia, lingue e a profonde
meditazioni, capaci di stimolare il vero io pulsante dentro ognuno di noi.
“Non voglio che tu diventi un Cavaliere tutto muscoli ma
privo di fede e di cervello, Micene!” –Amava ripetere il suo Maestro.
E Micene annuiva con il capo, arruffandosi i vispi capelli
castani ogni volta in cui perdeva la concentrazione. Amava addestrarsi per
diventare Cavaliere, e servire la giustizia, come suo padre aveva servito Atena
prima di lui. Ma detestava, come tutti i ragazzi, le lezioni e le ore di
meditazione, preferendo correre tra le aspri vallate del retroterra ateniese,
spaccare la roccia a mani nude ed eseguire perfettamente gli esercizi fisici a
cui il Maestro lo sottoponeva. Meditare lo faceva sbadigliare, e spesso
addormentare, ritenendola un’attività superflua.
“Non fermerò un nemico con una preghiera!” –Brontolò un
giorno Micene.
“No, ma lo fermerai con il tuo cosmo!” –Replicò il
Maestro.
E nel dir questo sollevò il braccio destro, aprendo il
palmo della mano verso il ragazzo. Fu un attimo, ma Micene si ritrovò a gambe
all’aria, sbattuto contro la parete rocciosa retrostante, incastrato nella
roccia sagomata dal suo corpo a causa dello schianto.
“Dimmi… adesso…” –Ironizzò il Maestro. –“Sono bastati i
tuoi muscoli per fermare il mio attacco?”
Micene si rialzò dolorante, tastandosi la schiena
indolenzita. Doveva avere un paio di vertebre rotte. E il suo senso di
sicurezza lo aveva abbandonato, schiantandosi con fragore contro la roccia della
realtà.
“Ma voi avete più esperienza di me! Io non ho ancora il
vostro potere, Maestro!”
“E non lo avrai se non ti applichi coscienziosamente,
Micene!” –Sorrise il Maestro. –“La forza, l’energia sfolgorante del Cosmo, che
è la base del potere di un Cavaliere non si ottiene soltanto con l’esperienza!
Quella serve per affinare le nostre tecniche, per imparare dai nostri errori,
per scoprire nuovi insegnamenti! Ma il cuore della nostra energia risiede
dentro di noi! Dentro di te!”
“Dentro di me?!” –Domandò Micene, con occhi sgranati.
“Precisamente! Se non saprai guardare dentro di te,
indeciso sul tuo futuro e titubante sulle tue capacità, non svilupperai mai il
Cosmo sopito che ti porti dentro! Ma se invece capirai cosa vuoi da te stesso,
cosa c’è nel tuo futuro, negli ideali per cui vuoi combattere, allora saprai
trovare la forza per lottare ed impegnarti per essi! Poco importa quanto sarà
difficile, poco importa se sarai da solo a lottare per tutto quello che ritieni
sacro! Ciò che importa è la dedizione che mostrerai, la capacità di rialzarti
ogni volta in cui inciamperai per strada!” –Gli spiegò il Maestro, e quelle
parole risuonavano ancora nella mente di Micene.
“Ciò che rende gli uomini grandi, e unici, è la loro
capacità di sopportare la vita, pur crudele e violenta che sia! Essa tenterà di
abbatterti, di stingerti tra le sue fauci pericolose, ma tu dovrai opporti ad
essa, ai pericoli e alle sfide che ti troverai di fronte, sollevandoti sempre e
comunque, impavido eroe con lo sguardo proiettato verso il futuro! Ma solo se
saprai stringere i denti e guardare dentro di te, resistendo alle intemperie
del mondo, allora riuscirai ad andare avanti!” –Concluse il Maestro.
–“Ricordalo Micene! La vita ci deluderà continuamente, ma i veri uomini
sapranno resistere alle difficoltà e si rialzeranno ogni volta più determinati
prima, diretti verso la loro meta finale!”
Micene si rialzò, mostrando al sole i luminosi riflessi
della sua Armatura dorata, e tirò uno sguardo avanti a sé, in quell’immensa
distesa di sabbia, ancora percorsa da un vento energetico. Per un momento gli
sembrò di vedere un occhio fissarlo da lontano, un occhio in cima ad una
Piramide Nera.
Ringraziò Galan, venuto in suo soccorso. Come sempre
nei momenti di difficoltà! E ringraziò il Maestro, chiedendosi come stesse.
Erano anni che non lo vedeva, rintanato nei suoi studi nella sua isola felice.
Non sapeva come si chiamasse, avendolo sempre chiamato semplicemente il
Maestro, e non conosceva neppure la sua reale età, ma ipotizzava avesse sui venticinque
anni. In quel momento, sotto il caldo sole dell’Africa, ciò per un momento gli
apparve inusuale. Ma per tutti gli anni dell’addestramento, e quelli successivi
in cui si erano rivisti, Micene non si era mai chiesto niente di più, né aveva
osato chiedergli niente di più. Perché, e di questo il Cavaliere di Sagitter,
era cosciente, il suo Maestro lo intimoriva ancora. Con il suo sguardo
enigmatico ma profondamente indagatore, con il suo viso maschile ma al tempo
stesso etereo, con il suo fascino misterioso di uomo senza età, colui che aveva
addestrato il ragazzo destinato a divenire il più valente Cavaliere di Atena
era un’icona ancora da svelare. Un arcano che il tempo non aveva sfiorato.
Ricordare il suo Maestro, la sua determinazione e il
tentativo di trasmetterla a lui, lo fece sentire subito molto meglio. Micene
strinse i pugni, ricordandosi la sua missione. Ancora non del tutto fallita. Non
permetterò che essa fallisca! Troverò i miei compagni e sveleremo
l’enigma di questa terra sabbiosa! Si disse, accendendo i dorati bagliori
del suo cosmo e lanciandosi avanti.
Volò sulla distesa sabbiosa per parecchi chilometri,
sollevando immense distese di rena al suo passaggio, continuando a pensare a
suo fratello, Ioria, il cui cosmo sentiva impegnato in combattimento, più a
ovest di dove si trovava lui. Ripensò a Galan, alle ore trascorse insieme ad
allenarsi, e al suo fallimento finale: Galan non era riuscito a risvegliare il
cosmo dentro di sé. Ma egli ce l’aveva fatta, e aveva ottenuto l’Armatura del
Sagittario, e adesso doveva dimostrare di essere degno e combattere anche per
Galan.
Un raggio energetico spezzò l’aria, schiantandosi a lato
del Cavaliere del Sagittario ed interrompendo la sua corsa. Pochi istanti dopo
decine e decine di Guerrieri del Sole Nero, dalle vesti verdi e dorate,
identiche a quelle dei soldati che avevano attaccato il Grande Tempio,
apparvero tra le dune, brandendo le loro Spade delSole. Micene
li squadrò e ne contò ventiquattro a colpo d’occhio, percependo il loro cosmo
oscuro. Debole rispetto al proprio, neanche alla pari di un Cavaliere
d’Argento. Ma non era quello che lo preoccupava, bensì le armi che brandivano,
che già aveva visto all’opera ad Atene. Armi capaci di creare potenti raggi
calorifici di altissime temperature, deleterie per il corpo umano.
Ma io possiedo la Dorata corazza del Sagittario, ed
essa mi proteggerà! Rifletté Micene, lanciandosi nella mischia, senza far
attendere troppo i propri avventori, che sembravano non avere la benché minima
intenzione di dialogare. Solo di ucciderlo.
Rapidi raggi di energia infuocata si abbatterono sul
Cavaliere d’Oro, il quale dovette muoversi continuamente per evitarli. Zigzagò
tra i Guerrieri egiziani, colpendoli con fasci di luce e con pugni e calci,
aiutandosi con le ali della sua Armatura, che gli permettevano di compiere
acrobazie aeree ed evitare di essere colpito.
Dopo che ne ebbe sgominati una dozzina, i rimanenti si
unirono tra di loro, concentrando i raggi di energia in un unico assalto. Ma
Micene fu più rapido di loro, schivando l’ardente massa cosmica e caricando il
pugno destro del suo attacco fulminante, lo stesso che aveva insegnato a Ioria,
e che il Cavaliere del Leone aveva recepito, a modo suo.
“Per il Sacro Sagitter!” –Gridò Micene, portando il
pugno destro avanti.
Violenti fasci di luce, simili a piccole comete,
sferzarono l’aria, dirigendosi verso i Guerrieri del Sole Nero, lacerando le
vesti egiziane e abbattendoli uno ad uno. Ne rimasero soltanto due e si
lanciarono contro di lui, ma egli seppe evitarli entrambi, balzando in alto ed
afferrando le loro teste, facendole sbattere insieme e ricadere al suolo
svenuti.
Micene tirò un sospiro di sollievo, guardandosi attorno,
nella sabbiosa piana colma di cadaveri, prima che nuovi schiamazzi lo
distraessero. Dalla sabbia attorno a sé stavano sorgendo decine e decine di
Guerrieri del Sole Nero, forse anche centinaia, e tutti avanzavano
minacciosamente verso di lui.
“Non può essere!” –Mormorò Micene, sgranando gli occhi
incredulo. Concentrò il proprio cosmo sul pugno destro e scattò nuovamente
avanti, sferzando l’aria con le sue comete di incandescente energia.
Dieci guerrieri caddero a terra uccisi, ma altri ne
seguirono, scavalcando senza compassione alcuna i cadaveri arsi dei loro
compagni. Alcuni si lanciarono avanti, brandendo le Spade del Sole,
mentre altri rimasero indietro, puntando le armi avanti e scagliando violenti
raggi di energia ustionante contro il Cavaliere d’Oro, il quale, per quanto
veloce ed abile fosse, fu sopraffatto dalla elevata superiorità numerica e
raggiunto da qualche raggio energetico.
“Maledizione!” –Brontolò Micene, venendo colpito ad un
fianco da un fascio di energia prodotta dalle Spade del Sole. Tastò la
propria corazza e la trovò calda, molto calda, ma fortunatamente l’invalicabile
protezione offerta dell’Armatura d’Oro non era stata superata.
Sono troppi per essere affrontati apertamente!
Realizzò Micene, continuando ad evitare gli assalti dei Guerrieri. Devo
colpirli con il mio attacco personale! Ed espanse il suo cosmo dorato fino
a creare centinaia di dardi luminosi che fluttuavano attorno a lui.
“Infinity Break!” –Gridò, scagliando le frecce
d’oro verso i Guerrieri del Sole Nero e trafiggendoli inesorabilmente.
“Non indietreggiate!” –Urlavano i Guerrieri, continuando
ad avanzare, incuranti delle frecce di luce che li trapassavano.
Alcuni caddero al suolo con un colpo solo, altri tentarono
di proseguire comunque, ma il loro corpo traforato grondava sangue oscuro ed
impedì loro di fare più di cinque passi, facendoli crollare esanimi. Un
gruppetto di Guerrieri del Sole Nero si riunì, concentrando le forze delle loro
Spade del Sole e scagliando un violento assalto energetico che spazzò
via le frecce dorate dell’Infinity Break, lasciando nuovamente Micene di
fronte ai suoi nemici, poco più che una ventina.
Mentre Micene stava per lanciarsi all’assalto, per
anticipare i Guerrieri sul tempo, un fischio echeggiò nell’aria. Un suono che
sorprese persino le armate egizie, che iniziarono a guardarsi intorno spaesate.
In un attimo la metà esterna di loro fu trinciata in due da un violento raggio
di energia cosmica, provocando scompiglio negli altri Guerrieri, che presero a
disperdersi nelle dune attorno, sorpresi e terrorizzati da un tale violento e
repentino attacco che non si aspettavano.
“Chi altri?” –Domandarono alcuni Guerrieri. .
“Onuris ci aveva avvertito che soltanto sei Cavalieri di
Atena erano giunti in Egitto! E dovrebbero essere impegnati in battaglia dagli
altri Guerrieri del Sole Nero!” –Brontolò un altro, prima di voltarsi verso il
centro dello spiazzo, a pochi metri da Micene, dove una giovane figura,
ricoperta da un’aura lucente, apparve poco dopo.
Era un ragazzo, di tredici anni, non di più, magro e di
media altezza, con spettinati capelli biondi, chiari come il sole. Aveva un
viso sorridente e paffuto, con lievi lentiggini sotto gli occhi, marroni come
due nocciole. Indossava un’Armatura brillante, di un materiale apparentemente
sconosciuto, una probabile lega, pensarono Micene e i Guerrieri del Sole Nero,
tra oro e argento, che copriva buona parte del suo corpo. La forma
dell’Armatura era aerodinamica e sembrava non rappresentare alcuna creatura
leggendaria o mitologica. In mano stringeva un lungo bastone dorato, in cima al
quale una gemma luminosa permetteva di identificarlo come uno scettro.
“Ma… è un bambino!!!” –Gridò un soldato egizio.
“E non avrà neanche quindici anni!” –Gli fece eco un
altro. –“Deve essere uno dei nuovi Cavalieri d’Oro giunto a portare aiuto ai
suoi compagni!”
“Giunto alla fine della sua breve prima battaglia! Uah ah
ah!” –Sghignazzarono gli altri, avventandosi sul ragazzo da ogni lato,
circondandolo, senza dargli neppure il tempo di parlare.
Micene fece per muoversi, preoccupato per il misterioso
Cavaliere appena apparso, ma questi gli strizzò un occhio sorridendo,
intimandogli di non preoccuparsi. Con un movimento brusco e deciso sbatté lo
Scettro dorato contro alcuni Guerrieri, scagliandoli lontano, quindi roteò su
se stesso per fronteggiarne altri, trapassandoli con il proprio Scettro, mentre
dalla cima dell’arma sgorgavano lucenti raggi di energia cosmica, potenti e
veloci come le frecce dorate del Sagittario.
“Dietro di te!” –Gli urlò Micene, balzando avanti e
caricando il pugno destro del suo potere. In un attimo spazzò via tre Guerrieri
che puntavano alle spalle del ragazzo.
“Scettro d’Oro!” –Esclamò il giovane dai capelli
biondo cenere, sollevando in alto il brillante scettro. –“Illumina la via!” –Ed
un’immensa esplosione di luce abbagliò i presenti, anticipando l’arrivo di
un’onda di energia cosmica che spazzò via tutti i Guerrieri egizi,
disintegrando le loro vesti e i loro corpi, lasciando soltanto carcasse
sbriciolate mescolate alla sabbia.
“Incredibile!” –Mormorò Micene. –“Per un momento ho
creduto che sarei stato spazzato via!”
“Non dovevi preoccuparti!” –Gli sorrise il ragazzo. –“Lo Scettro
d’Oro non ti avrebbe mai ferito senza il consenso del suo Portatore!”
“Lo Scettro d’Oro?!” –Rifletté Micene, prima di
chiedere al ragazzo chi fosse.
“Sono Jonathan di Dinasty, Cavaliere delle Stelle,
e custodisco lo Scettro d’Oro, Sacro Talismano del Mondo Antico!” –Si
presentò il ragazzo, circondato da un’aura di splendida lucentezza.
“Il talismano.. ma certo!” –Esclamò Micene. –“Il mio
Maestro me ne parlò anni addietro! I Talismani del Mondo Antico! Armi in grado
di produrre una devastante energia cosmica, ottenuta dalle forze naturali
primordiali della creazione, quali la luce, il sole, il vento!”
“Vorrei rimanere a fare conversazione con te, Micene di
Sagitter, ma non ho tempo! Né tu lo hai da dedicare a me!” –Esclamò il ragazzo,
con voce sinceramente preoccupata.
“Come conosci il mio nome?” –Domandò Micene.
“Non sono certamente qua per caso!” –Precisò questi. –“Ma
sono stato inviato da qualcuno che ha bisogno del tuo aiuto!”
“Del mio aiuto?!” –Balbettò Micene, straniato.
“Questa guerra è sbagliata, Micene! È tutto sbagliato!”
–Esclamò Jonathan, iniziando a raccontare a Micene di Seth e della Piramide
Nera. –“Voi state facendo il suo gioco! Vi ha attirato in Egitto per sconfiggervi
e per lasciare il Grande Tempio di Atena sguarnito! Una potente guarnigione di
Guerrieri del Sole Nero sta già combattendo ad Atene, per occupare il Tempio
della Dea Guerriera!”
“Ma è terribile!” –Esclamò il ragazzo. –“Il Sacerdote avrà
bisogno di aiuto!”
“E tu glielo darai! Ma non ritornando al Grande Tempio!
Altre imprese ti attendono, qua in Egitto!” –Lo frenò Jonathan, prima di
riprendere il racconto. –“Seth ha approfittato dell’assenza di Amon Ra, il Dio
supremo del Sole, per instaurare la propria dittatura! Ma se Ra fosse
svegliato, dal sonno in cui si è rifugiato anni prima, egli potrebbe aiutarci
ed affrontare Seth, e liberare la Terra dall’ombra nascente!”
“E cosa dovrei fare, io?” –Domandò Micene.
“Andare a Karnak, superare il Viale delle Sfingi, e
risvegliare Ra!” –Spiegò Jonathan. –“Sei l’unico che può farlo, Cavaliere di
Sagitter! L’unico con un cuore abbastanza ardente e puro da poter sconfiggere
l’ombra che è calata su Karnak e riportare l’antico tempio alla luce del sole!”
“Io.. non lo so…non so se sono in grado… non capisco cosa devo fare…” –Balbettò Micene,
ancora più confuso. –“È tutto così incerto! Tutto così vacuo! Devo crederti?
Non so neppure chi sei! Chi ti ha mandato da me?”
“Se non vuoi credere alle mie parole, credi almeno in
questo!” –Esclamò Jonathan, mostrando un anello che portava al dito.
Era un semplice anello dorato, su cui erano impresse
antichi caratteri grafici in una lingua vagamente simile al celtico. Al centro,
una runa rappresentante una A.
“Il simbolo del Maestro!” –Esclamò Micene, sgranando gli
occhi, affascinato, incredulo e spaventato al tempo stesso.
“Non c’è più tempo per esitare, Micene! Seguimi, ti
condurrò a Karnak e ti sosterrò in battaglia, fin quando mi sarà concesso, ma
all’interno potrai entrare soltanto tu!” –Detto questo Jonathan iniziò a
correre nel deserto sabbioso, puntando verso sudest, scivolando sul terreno
quasi fosse più leggero dell’aria. –“Merito delle nostre corazze! Resistenti e
leggere al tempo stesso!” –Spiegò a Micene, che correva al suo fianco.
In un lampo raggiunsero il Viale delle Sfingi, l’accesso
al Tempio di Karnak. Era un lungo viale fiancheggiato da sfingi criocefale, al
termine del quale si ergeva l’alto portale di ventiquattro metri fatto erigere
da Ramses II. Dietro di esso si estendeva il grande complesso templare di
Karnak, sulla riva orientale del Nilo, poco distante da Luxor. Nella lingua
egizia era noto come ipet resyt, o “harem meridionale”, ed era la
residenza del Dio del Sole Amon Ra, e degli Dei che avevano accettato di
andarsene dal mondo quando egli vi si era rinchiuso dentro: Osiride, la sua
sposa Iside, il figlio Horus ed altre Divinità minori.
Tutto intorno al complesso un alto muro perimetrale,
assolutamente invalicabile, prima di tutto per la protezione fisica di
tantissimi Guerrieri di Ra, le cui uniformi erano identiche a quelle dei
Guerrieri del Sole Nero, dai colori verdi e dorate, ma si differenziavano per
la presenza dell’Occhio, simbolo di Ra, sul copricapo, che ne faceva la guardia
scelta a difesa del Tempio più spiritualmente potente di tutto l’Egitto. In
secondo luogo per la resistenza di campi di energia difensivi, come quelli che
difendevano il Grande Tempio di Atena, sorretti dalla Divina Volontà di Amon
Ra, atti a proteggere il complesso templare e a nascondere ciò che avveniva al
suo interno.
Nei sotterranei del Tempio di Karnak, Anhar, il
Consigliere di Ra, aveva fatto rinchiudere Febo, accusandolo, davanti a Iside e
agli alti officiali del Tempio di aver tentato di opporsi alla Divina Volontà
di Amon, violando il Sacro Santuario e le leggi emanate dallo stesso Dio, di
cui Anhar era la Bocca. Febo, ferito e indebolito dall’assalto energetico
ricevuto da Anhar, era stato incatenato nei sotterranei di Karnak, fermando le
sue braccia e le sue gambe con incandescenti catene formate da fulmini
energetici, che stridevano con vigore sul suo corpo sfregiato, facendolo
agonizzare continuamente.
Il ragazzo era come in trance, sconvolto per il rapido
succedersi degli eventi e fortemente addolorato per non essere riuscito a
raggiungere il Padre, oltre che per le ferite ricevute. Si lasciò andare, in
balia di quel doloroso tormento, che metteva a dura prova la sua resistenza
fisica, mentre la sua mente volava indietro, sulla scia di quelle aspre parole
che Anhar gli aveva rivolto contro. Parole dure, che lo avevano fatto soffrire,
più del colpo ricevuto. Parole che, in fondo al cuore, temeva fossero
veritiere.
“Tu non sei la sua famiglia, figlio bastardo, ma
l’illegittimo sbaglio di un adolescente attratto dal prosperoso seno di una
sgualdrina di Delfi!” – Gli aveva detto Anhar, tagliente.
Era davvero così? Non poté che chiedersi il
ragazzo, ansimando a fatica, intrappolato in quella prigione energetica, che
stava logorando il suo cosmo. Aveva sempre saputo di non essere figlio perfetto
degli Dei d’Egitto, ma l’ibrido prodotto dell’unione di due popoli che non si
erano mai amati. Due popoli che non si erano mai compresi.
Secoli addietro, quando Ra ancora vagava nel mondo degli
uomini, non essendo da essi ancora deluso, il Dio dell’Egitto raggiunse Delfi,
la tranquilla località sul Monte Parnaso scelta da Zeus come “centro del
mondo”. Lì il Dio greco Apollo, Signore della Musica e delle Arti, delle
Muse e del Sole, aveva fatto costruire un Santuario in suo onore, la
divinità maggiore della città, a cui una moltitudine di credenti si recava
continuamente in visita. Ra, spinto dalla curiosità di vedere chi fosse costui
che si fregiava di tale titolo, di Signore del Sole, che egli riteneva appartenesse
soltanto a lui, l’unico Creatore, si mescolò alla folla di adoratori,
vestendosi come un pellegrino, di stracci e abiti logori. E fu impressionato
nel vedere la ricchezza e la quantità di doni che gli abitanti di Delfi
offrivano al Dio, per richiedere la sua protezione, il suo sostegno, la sua
forza luminosa che potesse coprire la loro città, e le loro stesse vite, del
calore del sole.
Una donna in particolare lo colpì, per le sue vesti di
seta lucente, di uno sgargiante color porpora, con delicate rifiniture d’oro. Hannah,
la Sacerdotessa del Culto di Apollo, incaricata di coordinare i doni e le
offerte per il Dio e le richieste degli abitanti di rivolgersi ad Egli, per
ottenerne protezione e benevolenza. Fedelissima di Apollo e devota al culto del
Sole, Hannah aveva dedicato tutta la sua vita a questo, senza perdersi in altri
affari, sentimentali o lavorativi. Febo Apollo era l’unico grande amore della
sua vita. Questo finché non incontrò Amon Ra.
Bastò uno sguardo, ad entrambi, per accendere il desiderio
dentro di loro. Una carezza sul volto di lei, e quel muro difensivo che Hannah
aveva creato negli anni, quella maschera che le aveva permesso di cacciare le
vanità della vita, l’attrazione verso gli uomini in primis, per dedicarsi solo
al suo Dio, era caduta. Si amarono quella notte, sotto il cielo stellato di
Delfi, e Hannah affidò la sua vita al Sole. In quel momento, distesa sul marmo
del Tempio Sacro, mentre il Dio del Sole entrava dentro di lei, ella non sapeva
più chi fosse, né a quale Dio fosse devota. Ad Apollo o a Ra. Ma non è
importante, si disse, ricordando antichi insegnamenti, poiché tutti gli
Dei sono un unico Dio, ed ella era devota soltanto ad uno: il Sole.
Dall’unione di Ra con questa donna mortale nacque un
figlio, che Hannah chiamò Febo, in onore al Dio a cui aveva dedicato tutta la
sua vita fino ad allora. Ma Apollo, irato per il tradimento della sua
Celebrante, la colpì con la sua maledizione, facendola morire per il parto, e
lasciando Febo da solo, a scontare ingiustamente le colpe della sua tragica
discendenza. Iside, sposa di Osiride, il Dio egizio degli Inferi, pregò
il marito di intercedere con il Sommo Ra, e di rimandare la discesa del
piccolo, che colpe non aveva, all’Oltretomba. Ed Amon acconsentì, ospitando
Febo nel suo Tempio di Karnak, lasciando che fosse Iside ad allattarlo e a
prendersi cura di lui, proprio come una madre. Proprio come, Ra ne era certo,
Hannah avrebbe fatto.
La presenza di Febo a Karnak fu da molti mal vista,
considerandolo con disprezzo un sottoprodotto della bastarda cultura greca, che
tanto male aveva causato all’Egitto. Ma Iside, e Ra in misura maggiore,
chetarono le maligne voci, chiedendo che Febo fosse giudicato per il suo
operato, per il suo ruolo nel mondo, non per la sua provenienza, ai cui occhi
non appariva affatto ingiusta. Semplicemente diversa.
Abbiamo passato secoli ad odiarci, a guardarci con
sospetto, a non comprenderci! Si era detto il Sommo Ra, osservando le
lontane coste di Grecia dal suo Tempio di Karnak, poco prima di rinchiudervisi
per l’eternità. Forse abbiamo sbagliato tutto? Aah, la vita, quale rimpianto!
E nient’altro aggiunse, scomparendo all’interno del suo Santuario privato,
affidando Febo alle cure di Iside e pregando entrambi di non uscire mai
dall’isolamento che aveva loro imposto. Un isolamento, lo motivò così,
resosi necessario dalla desolazione e dalle guerre che affliggono il presente.
“Non voglio vederti morire in guerra o per una qualche
malattia che non riuscirò a curare!” –Aveva detto l’ultima volta a Febo, prima
di baciarlo in fronte e rinchiudersi tra le quattro mura del suo Santuario.
Ma adesso, dopo così tanto tempo, Febo, imprigionato nelle
segrete del complesso templare, lontano da quel Padre che sembrava non aver mai
conosciuto, iniziò a dubitare di tutto quell’amore, di tutto quell’affetto, che
gli pareva soltanto uno sbiadito ricordo perso nel tempo. In quello stesso
tempo da cui erano usciti, rimanendo giovani ed immortali per sempre.
Quel tempo… è finito! Strinse i denti Febo,
iniziando a bruciare il suo cosmo, scintillante come il sole. Devo… devo
vivere dentro il tempo, o Karnak scomparirà! Ma le dilanianti folgori
infuocate lo teneva stretto, avvincendosi ai suoi arti sempre di più, facendolo
urlare dal dolore, mentre il fuoco oscuro penetrava dentro di sé. In un attimo
l’immagine di sua madre gli apparve davanti agli occhi, di quella donna
disposta a tutto, anche a subire la collera di un Dio, pur di non rinunciare
all’amore di un uomo, e a quello di un figlio.
“Madreeee!!!” –Gridò, espandendo il proprio cosmo,
iniziando a sovrastare le folgori demoniache che lo imprigionavano. La bomba di
luce esplose in tutto il suo fragore, facendo crollare mura e parte delle
segrete e liberando finalmente Febo. Quando emerse dalle macerie, tossiva e
ansimava a fatica, ma cercò di rimettersi in piedi. Tese i sensi
improvvisamente e gli parve di sentire qualcuno che lo stava osservando.
Il Grande Tempio
era sotto attacco, percorso in lungo e in largo da schiere di Guerrieri Egizi
armati di spade capaci di sprigionare raggi calorifici. I soldati di Atena si
lanciarono contro gli avversari, ben sapendo di essere in inferiorità
qualitativa, non disponendo di armi con cui fronteggiare quei mortali raggi di
energia rovente. Ma era loro dovere proteggere il Santuario della Dea Guerriera
e le migliaia di persone che in quei giorni vi si erano radunate per assistere
ai Giochi Panatenaici.
Koroibos stava facendo il possibile per evacuare
l’ippodromo e per proteggere la folla, che presa dal panico stava fuggendo in
molteplici direzioni, rendendo ancora più ardua quella disperata difesa. I
Cavalieri d’Argento erano corsi al Cancello Principale e Koroibos era rimasto
da solo, insieme a un centinaio di soldati semplici che era riuscito a riunire,
e adesso stava dando loro indicazioni.
“Nient’altro posso
dirvi! Che sarà un onore combattere e morire insieme a uomini valorosi come
voi, uomini disposti a guardare la morte in faccia, pur di non venir meno ai
loro ideali!”
In quel momento un
gruppetto di Guerrieri Egizi balzò nell’ippodromo, lanciando violenti fendenti
di energia rovente, mentre la folla urlante si disperdeva, venendo massacrata
dai loro mortali raggi. Koroibos infiammò gli animi dei soldati greci,
lanciandosi per primo contro gli invasori, brandendo un’affilata lama, presto
seguito dagli altri difensori del Grande Tempio.
Il campione greco,
che Shin aveva scelto per curare l’organizzazione dei Giochi Panatenaici, non
era un Cavaliere, né disponeva di poteri cosmici, ma aveva un fisico perfetto,
che aveva creato lui stesso, modellandolo per tutti gli anni della sua
gioventù. Era veloce e scattante, capace di scivolare sotto le gambe dei propri
avversari, e ferirli con un colpo secco di lama. Aveva sensi affilati, riflessi
svelti come quelli di un felino, che gli consentirono di evitare i raggi di
energia che i Guerrieri Egizi gli rivolgevano contro. Ma non aveva difese,
soltanto una misera cotta di bronzo e cuoio, che i Cavalieri usavano durante il
loro addestramento. Ma egli ormai ne aveva fatto la sua seconda pelle.
“Non è poi così
difficile!” – Mormorò, evitando l’affondo di un guerriero e saltando sopra di
lui. –“Basta solo evitare di farsi colpire!” –Ironizzò, falciando il suo nemico
alle gambe.
Un raggio
energetico colpì il terreno vicino a lui, spingendolo indietro e facendogli
perdere la presa della sua spada. Un secondo raggio lo ferì ad una spalla,
liquefacendo la sua cotta protettiva e lasciandolo alla mercè di una coppia di
Guerrieri Egizi, con le lame incandescenti puntate verso di lui. I due africani
caricarono le loro armi ma i raggi di energia non raggiunsero Koroibos, spinto
via da un ragazzo e fatto rotolare sul terreno per qualche metro, fuori dal
raggio di azione degli Egizi.
“Prendi questo!”
–Gli disse una decisa voce maschile, porgendogli un pugnale. –“Che tu possa
aver maggior fortuna del suo precedente possessore!”
“Ascanio!”
–Mormorò Koroibos, riconoscendo il giovane dal fisico piazzato e dai capelli
rasati che aveva combattuto poche ore prima nella sfida di pancrazio.
“Siamo in
minoranza!” –Esclamò Ascanio, mentre Tebaldo si gettava sui due
egizi, armato di una lancia. –“Ma non ci fermeremo per una sciocchezza simile!”
–E si lanciò ad aiutare il compagno.
Con una grinta
tremenda Ascanio piantò una lancia nel petto di un guerriero egizio,
trapassandolo e sollevandolo, prima di scaraventarlo addosso al suo compare. Ma
altri avversari furono presto su di loro, dirigendo i violenti raggi delle
Spade del Sole sui due giovani senza alcuna protezione.
Koroibos gridò
loro di spostarsi, ma anch’egli fu costretto a fronteggiare l’assalto di un
gruppo di Guerrieri Egizi. Con notevole sforzo, saltando da un punto all’altro
del terreno, riuscì a evitare di essere colpito, ma quando tirò un’occhiata
attorno a sé non poté trattenere un moto di sgomento nell’osservare la triste
scena: decine e decine di cadaveri di soldati del Grande Tempio e di semplici
visitatori. I loro corpi erano arsi, quasi carbonizzati, dai mortiferi raggi
delle Spade del Sole.
Distratto da tali
pensieri, Koroibos non si avvide di un guerriero che si portò dietro di lui e
lo colpì con un bastone sulla nuca, facendolo accasciare a terra, mentre altri
avevano circondato Ascanio e Tebaldo, ormai allo stremo delle loro forze. I
Guerrieri Egizi puntarono i raggi contro i due ragazzi, ma improvvisamente si
ritrovarono tutti avvolti da fili bianchi altamente resistenti.
“Ma cosa succede?!
Cosa sono questi fili?” –Gridarono gli egizi, stritolati da quella presa
mortale.
“Stringer Fine!” –Esclamò una voce
soave, mentre un turbinio di fiori delicati roteava nell’aria, avvolgendosi ai
fili che stritolarono i corpi impotenti dei Guerrieri Egizi. Su tutto dominava
una lenta melodia, una canzone suonata da esperte dita che pizzicavano le corde
di un’arpa d’argento.
Pochi attimi dopo
i Guerrieri Egizi, dilaniati nel profondo, crollarono a terra, mentre un
Cavaliere dalla bianca armatura si avvicinava ai due ragazzi e a Koroibos per
sincerarsi delle loro condizioni.
“Perdonatemi se ho
tardato, maestro!” –Esordì Orfeo, aiutando l’uomo a rimettersi in piedi.
–“Ma ho perso tempo a condurre Euridice e molte persone al sicuro, nelle grotte
ai piedi della Collina!”
“Il tempo
trascorso ad aiutare gli altri, soprattutto a salvare innocenti, non è mai
perso, Orfeo!” –Sorrise Koroibos, ringraziando il giovane per l’aiuto.
Gli era
affezionato a quel ragazzo, avendo curato il suo addestramento fisico per sei
anni, avendogli insegnato a sviluppare i muscoli e i rudimenti basilari della
ginnastica, per consentirgli di competere alla pari con altri avversari. Ma per
tutto quel tempo, Koroibos non aveva mai smesso di ripetersi che quel ragazzo,
dallo sguardo perso negli occhi dell’amata, non era adatto per fare il
Cavaliere. Troppo coinvolto, troppo innamorato, di Euridice e della musica, per
diventare un guerriero.
“Essere un
Cavaliere di Atena richiede pazienza e virtù, Orfeo, e la capacità di mantenere
il sangue freddo!” –Amava ripetergli Koroibos. –“Sei tu in grado di
garantirlo?”
Ma Orfeo riusciva
sempre a schivare il discorso, lanciandosi in improvvisate melodie d’arpa che
amava suonare per ringraziare l’uomo della sua disponibilità. Sorridendo,
Koroibos non poteva fare a meno di chiedersi se il potere ipnotico della sua
musica non avesse effetto anche su di lui, che non riusciva mai ad arrabbiarsi,
né ad essere troppo incisivo.
“Quanti altri?”
–Domandò Koroibos. –“Quanti Guerrieri Egizi sono entrati nel Grande Tempio?”
“Orione, Dedalus e
Argetti stanno combattendo al Cancello Principale!” –Rispose Orfeo, tendendo i
sensi. –“E anche Noesis è impegnato in battaglia! L’infermeria è sotto
assedio!”
“Allora è là che
correremo a prestare aiuto!” –Esclamò deciso Ascanio, rivolgendosi a Tebaldo.
Afferrarono due
lance gettate a terra e corsero via, diretti verso l’ospedale, mentre Koroibos
gridava loro di fare attenzione. La
tenacia non ti manca, giovane Ascanio! Sorrise, prima di voltarsi verso
Orfeo, distratto da un’imprevista apparizione: Euridice era infatti comparsa
nell’ippodromo e stava correndo verso di lui, spaventata e al tempo stesso
felice di rivederlo.
Ascanio e Tebaldo
sfrecciarono per le vie del Grande Tempio, prima di incappare in un gruppetto
di Guerrieri Egizi, impegnati in un corpo a corpo contro dei soldati di Atene.
Non appena li videro, un africano puntò la sua Spada del Sole verso l’edificio
alle loro spalle, facendolo franare e rovinare a terra, sopra i due ragazzi,
che furono sommersi da detriti e macerie.
Quando Ascanio
riuscì a liberarsi da tutte quelle pietre che gli erano piovute sopra, ferendolo
in più punti, si ritrovò bloccato da un grosso macigno che gli aveva
schiacciato le gambe. Tra le nuvole di polvere, chiamò Tebaldo più volte, ma
nessuno sembrò rispondergli. Anche il rumore dello scontro tra i Guerrieri
Egizi e i soldati di Atene era cessato, come se fosse giunto a conclusione.
Ascanio non poté che chiedersi quanto tempo fosse rimasto svenuto sotto quelle
macerie.
“Posso aiutarti?”
–Esclamò improvvisamente una voce, facendo voltare il ragazzo di scatto.
Non aveva sentito
nessuno avvicinarsi, nessun passo, nessun rumore. Soltanto il limpido suono di
una voce cristallina ed eterea, quasi senza tempo. Ascanio sollevò lo sguardo e
trattenne un grido di stupore: di fronte a lui c’era un uomo, apparentemente
sui trent’anni, alto e snello, con capelli argentati e vividi occhi lucenti,
rivestito da un’Armatura Celeste, che risplendeva luminosa sotto i pallidi
raggi dello sbiadito sole di quel giorno.
“Chi… sei?!”
–Domandò, certo che l’uomo non fosse affatto un combattente di Atena.
Questi non
rispose, limitandosi ad afferrare il ragazzo per un braccio e a liberarlo dalle
macerie, senza mai togliere lo sguardo dai suoi occhi, quasi come per
riconoscerlo.
“Ermes è il
mio nome, e sono il Messaggero degli Dei!” –Si presentò, mentre le ali celesti
fissate sul retro della sua armatura si dispiegarono, risplendendo luminose.
–“E sono venuto a prenderti, giovane Ascanio, per permetterti di seguire il tuo
destino!”
“Il mio destino?!”
–Balbettò Ascanio, incredulo e titubante.
“C’è qualcuno che
desidera conferire con te, per affidarti un prestigioso incarico! E, parola
mia, non è il tipo di persona a cui poter rifiutare un incontro!” –Parlò Ermes,
con voce decisa ma cordiale.
“Ma io… non posso
venire... e Tebaldo? E l’assalto al Grande Tempio?” –Balbettò il ragazzo.
“Questa guerra non
ti appartiene, giovane Ascanio! È nel tuo destino non prendervi parte, per
seguire una diversa strada, che ti permetterà di innalzarti e trovare quella
soddisfazione che in vita ti è stata negata fino ad oggi!”
Ascanio esitò
ancora. C’era qualcosa, nelle parole di Ermes, che lo colpiva nel profondo,
qualcosa capace di risvegliare un lato rimasto nascosto dentro al suo cuore per
anni, un istinto di eternità che lo riteneva capace di imprese maggiori che non
diventare un semplice Cavaliere di Atena. Ciò nonostante era restio ad
abbandonare il suo compagno e i Cavalieri impegnati in battaglia. E in quel
momento parve udire dentro di sé parole che non aveva udito in precedenza, che
parevano confermare quanto aveva inconsciamente sempre creduto.
“La tua strada è
altrove, ragazzo mio!” –Aveva mormorato il Vecchio Maestro, lasciandolo libero
di partire, e di scegliere il suo cammino.
Che sia questo l’altrove? Si chiese, allungando una mano verso Ermes.
E non appena il Messaggero degli Dei afferrò il suo braccio, un lampo di luce
rischiarò la strada del Grande Tempio, nascondendo la loro scomparsa. Non passò
neppure un secondo che i due erano già sull’Olimpo.
***
Nel frattempo Orfeo
era rimasto estasiato dall’apparizione dell’amata Euridice, e al tempo stesso
preoccupato poiché era convinto che fosse al sicuro, riparata insieme alle
altre persone nelle grotte del Grande Tempio. Le corse incontro, mentre Koroibos
si guardava attorno sgomento, osservando il triste sfacelo di quel giorno,
l’aria di morte che spirava dall’Egitto e che aveva lasciato sul campo un
centinaio di caduti, tra Guerrieri Egizi, soldati di Atene e semplici
visitatori del Santuario.
“Euridice!” –Gridò
Orfeo, raggiungendo l’amata e cingendola tra le sue braccia. –“Perché sei qua?
È pericoloso! Dovevi rimanere nella grotta al sicuro!”
“Non potevo
rimanere lontana da te!” –Gli sussurrò lei, con voce candida e suadente. E lo
tirò a sé, baciandolo improvvisamente sulla bocca.
Koroibos, poco
distante, storse un po’ il naso, ritenendo fuori luogo una tale manifestazione
di passione. Fece per voltarsi ma qualcosa attirò il suo sguardo. Euridice
stringeva infatti in mano un affilato gladio e cercò di conficcarlo, con tutta
la forza che aveva in corpo, nell’addome di Orfeo.
“Orfeo!!!
Attento!!!” –Gridò Koroibos, avvisando il giovane, che riuscì a spostarsi di
lato, facendo sì che il pugnale scheggiasse soltanto la sua corazza d’argento,
senza riportare grosse ferite.
“Euridice! Ma che
stai facendo?!” –Le gridò Orfeo, sconvolto.
Ma la ragazza non
rispose, tentando nuovamente di ferire il Cavaliere. Con un brusco movimento,
si liberò della presa del giovane e falciò il suo braccio sinistro, proprio
sotto il coprispalla, facendo schizzar fuori del sangue. Orfeo, stringendo i
denti per il dolore, cercò di bloccare i suoi movimenti, afferrandole il polso
e lasciando cadere il pugnale a terra. Sconvolto e incapace di comprendere.
“Euridice?!”
–Ripeté Orfeo, quasi con le lacrime agli occhi.
“Ho fatto un
patto, Orfeo! Un patto che permetterà a me e alla gente comune di essere
libera! Dare agli Dei Egizi la tua vita, il tuo sangue, affinché essi possano
nutrirsi! E avere in cambio la libertà!”
“Euridice… tu…”
–Gridò Orfeo, mentre rivoli di lacrime amare gli rigavano il viso, amare figlie
del disincanto. –“Mi hai… venduto?”
“Cos’è in fondo un
uomo, cos’è un amore, in confronto alla libertà?” –Mormorò Euridice, abbassando
gli occhi. –“Il veleno di cui era intrisa questa lama sta facendo effetto! Tra
pochi minuti cadrai a terra, debole e incapace di rialzarti, e io avrò la mia
libertà!”
“Io… non ci
credoo!” –Gridò Orfeo, barcollando. La vista iniziò ad annebbiarsi, e i muscoli
gli dolevano sempre più, rendendo ogni passo un’agonia. –“Non puoi avermi
abbandonato! Non tu!”
“Credici invece, e
accetta il fato! Hai sempre creduto che non esistesse niente che valesse più
del nostro amore? Bene, ora hai avuto la prova che sbagliavi!” –Quelle dure
parole furono le ultime che Orfeo udì, pronunciate dall’unica persona al mondo
da cui mai avrebbe creduto di sentirle.
Si accasciò a
terra, tastandosi il braccio dolorante, mentre la sua arpa cadeva vicino a lui,
e tutto iniziò a scomparire. I prati fioriti, le corse tra i campi, le canzoni,
le poesie dedicate al suo amore, tutto sembrò soltanto un ricordo lontano. Uno
sbiadito ricordo di cui adesso non rimaneva niente.
Forse il dolore
alla spalla sarebbe stato superabile, per un Cavaliere della sua portata, ma la
lama che lo aveva raggiunto non aveva ferito le sue carni, ma il suo spirito,
facendolo a pezzi. In pochi istanti Orfeo vide la sua intera esistenza andare
in frantumi, come un cristallo dissolto in mille frammenti, vide tutto ciò in
cui aveva sempre creduto, tutto ciò per cui aveva sempre combattuto e vissuto
venire meno. E non trovò la forza di rialzarsi e di lottare perché sentiva che
ormai, persa Euridice, perso il suo amore, persa la sua vita, non vi era altro
per cui valesse la pena lottare.
Euridice non si
curò troppo del Cavaliere d’Argento, lasciandolo a languire sul terreno,
dilaniato dall’amara realtà che aveva azzannato il suo spirito. Ma Koroibos,
che aveva seguito l’intera vicenda, non poté che correre verso Orfeo, per
incitarlo a reagire, a non lasciarsi abbattere.
“Abbiamo bisogno
di te, Orfeo! Alzati, ragazzo mio! Alzati, amico mio!” –Cercò di scuoterlo, con
gli occhi lucidi di dolore, nel vedere il volto sorridente del ragazzo sbiadire
in una lenta agonia.
“Lascialo al suo
destino!” –Lo spinse bruscamente via Euridice, lasciando cadere Orfeo a terra
come un peso morto. –“O vuoi fare la sua stessa fine?”
“Euridice!” –Gridò
Koroibos, rialzandosi adirato. –“Cos’è successo? A cosa è dovuto questo
cambiamento? Come hai potuto ferire Orfeo, proprio tu, che a lui sei legata
nelle stelle?”
“Umpf…” –Ironizzò la ragazza, con un ghigno perverso. –“È ben per questo che
l’ho scelto!”
Koroibos storse il
viso, rimuginando straniato sulle parole della ragazza, che ormai, davanti ai
suoi occhi angosciati, non gli sembrava neppure più lei. No, si disse Koroibos, questa
non può essere Euridice, la dolce fanciulla che ha consacrato la vita
all’amore! A Orfeo!
Prima di avere il
tempo per altre supposizioni, Koroibos fu costretto a scansarsi, per evitare un
affondo di Euridice, che con il pugnale nella mano destra si era lanciata verso
di lui, mirando al suo cuore. L’allenatore riuscì a schivarla, ma ella si volse
subito verso di lui, per colpirlo nuovamente e un’altra volta ancora,
determinata, cattiva, guidata da un istinto che la faceva ringhiare di
malvagità.
Con un’abile
mossa, Koroibos si portò dietro alla ragazza, bloccandole le braccia con le
proprie e stringendola, nel tentativo di calmarla. Era ancora sconvolto, era
ancora confuso, per capire cosa fare e come comportarsi. Per capire cosa
avrebbe dovuto fare di lei. Euridice lo sorprese ancora, scagliando un violento
calcio tra le gambe dell’uomo, che lo fece accasciare a terra, permettendole di
liberarsi dalla presa e gettarsi su di lui, conficcandogli il pugnale
all’altezza della spalla destra.
“Aaargh!” –Gridò
Koroibos, mentre l’avvelenata lama entrava dentro di lui, con una violenza tale
da spaccargli un paio di ossa.
“Muori anche tu!”
–Ghignò Euridice, balzando indietro, a contemplare il delizioso spettacolo che
si presentava davanti ai suoi occhi. Sollevò il gladio avvelenato, ancora
intinto del sangue di Orfeo e di Koroibos, quindi lo portò davanti al suo viso
leccandolo avidamente, pulendolo fino a farlo splendere nuovamente, saziandosi
di quel sapore che tanto la inebriava.
“Chi… sei?”
–Mormorò Koroibos, accasciato a terra, mentre sangue usciva copioso dalla sua
ferita.
“Euridice!”
–Sibilò la figura, prima di esplodere in una risata isterica, quasi satanica,
che fece rabbrividire Koroibos, i cui sensi si andavano lentamente spegnendo.
–“Euridice!!!” –Gridò nuovamente la figura, saltando in alto, pazzamente
felice, freneticamente isterica.
Koroibos rimase a
guardarla per qualche secondo, tamponandosi la spalla sanguinante con una mano,
prima di tentare di rimettersi in piedi. E allora, con gli ultimi frammenti di
vista, egli la vide trasmutarsi. Le linee delicate e gentili di Euridice
cambiarono, lasciando il posto a un’orrida figura, per metà umana e per metà
animalesca. Una sghignazzante risata accompagnò la sua trasformazione, la
rivelazione del suo vero aspetto.
“Ghoul!
Così mi ha chiamato il Dio Seth, tentando di ricreare in laboratorio i poteri
del demone del deserto!” –Si presentò l’orrida figura.
“Ghoul?!” –Mormorò
Koroibos. –“È una figura del folklore arabo, un demone mutaforma che vive nel
deserto, capace di assumere la forma e le sembianze di altri animali e persone.
Dissacra le tombe e si nutre della carne dei morti o dei bambini piccoli!”
“Precisamente! Ma
l’esperimento è risultato imperfetto e i miei poteri di trasformazione sono
limitati nel tempo! Per questo devo cibarmi di sangue, del caldo sangue delle
mie vittime, per aumentare i miei poteri e permettermi di trasmutarmi
ulteriormente!”
“Ssssh!” –Sibilò
il demone, dall’aspetto simile a quello di una iena umanizzata. –“Sentirai
sulla tua pelle quanto tutto ciò è orribile!” –Esclamò, gettandosi su di lui.
Il Ghoul afferrò
Koroibos sbattendolo a terra e si avvinghiò al suo corpo, mentre l’uomo si
dibatteva selvaggiamente, cercando di mandarlo via, ma la ferita alla spalla
gli pesava, rendendolo debole e raggiungibile. Bastò un colpo secco, dei suoi
affilati canini, e Ghoul affondò nel corpo dell’allenatore, iniziando ad
assaporare il suo sangue, la linfa vitale che tanta energia gli forniva.
“La...
lasciamiii!” –Gridò Koroibos, cercando di cacciarlo via, ma era bloccato al
suolo, paralizzato dal veleno e dal peso del demone, che sembrava intenzionato
a prosciugarlo. Le forze lo stavano abbandonando e il malvagio potere del Ghoul
mirava ad assorbire la sua essenza vitale.
Improvvisamente
sottili fili, bianchi come la nevi, ma enormemente più resistenti, si
intrufolarono sinuosi tra i corpi dei due contendenti, avvolgendo Ghoul e
strappandolo via dal corpo di Koroibos, con un movimento brusco e deciso. Il
demone sibilò qualcosa, ma non riuscì ad impedire al groviglio di fili di
arrotolarsi intorno a lui, fino a bloccare ogni suo movimento. Non ebbe bisogno
di voltarsi per vedere l’artefice di quella sua momentanea prigionia.
“Orfeo!!!” –Gridò
Koroibos, accasciandosi sulle ginocchia. –“Ti sei salvato allora?”
”Sì, maestro!” –Esclamò il Cavaliere d’Argento, avvicinandosi all’uomo. –“Non è
stato facile! Ma ho trovato la forza per reagire! E lo devo a voi, ai vostri
insegnamenti!”
In quei momenti in
cui era rimasto a terra, sentendo tutto il peso della sua vita passata
opprimerlo e schiacciarlo, quasi a sbattergli in faccia l’aver sbagliato tutto,
l’aver creduto in un sogno che alla fine si era rivelato tale, privo di ogni
realtà, aveva sentito una voce da lontano. Flebile, certamente, ma sincera. Una
voce che veniva dagli anni del suo addestramento, dagli anni in cui Koroibos
aveva cercato di fare di lui un combattente di Atena, lavorando sul suo fisico
e mirando ad inculcargli poche lezioni di vita. Tra tutte, lottare per un sogno
era la più importante. Dimostrare tenacia e stringere i denti in vista di un
obiettivo.
Orfeo aveva sempre
creduto che la sua vita fosse consacrata a Euridice, per questo, quando lei lo
aveva colpito, ferendolo e aggiungendo crude parole di disprezzo, era stato
sconfitto. Perché le speranze di una vita intera gli erano sembrate soltanto
illusioni. E Ghoul, che poteva carpire i sentimenti delle sue vittime, aveva
scelto le parole migliori, per ferire Orfeo nel profondo.
Ma c’era qualcosa
che Ghoul non aveva previsto, qualcosa che andava al di là di ogni razionalità
e di ogni sentimento. Orfeo amava troppo Euridice per credere che quelle parole
potessero provenire da lei. La amava troppo o semplicemente non avrebbe mai voluto
udirle. Facendo appello alla sua forza interiore, al cosmo sopito dentro sé,
che raramente mostrava, Orfeo si era rialzato e la mostruosità del suo
avversario si era palesata di fronte a lui.
“Pagherai per
quello che hai fatto, mostro!” –Esclamò Orfeo, la cui voce era per la prima
volta irata. –“Infangare in questo modo i sentimenti della mia Euridice, del
nostro amore! Pagherai, demone!” –E iniziò a suonare una melodia per il demone
intrappolato, stringendo le corde della cetra ed emanando violente scariche di
energia.
“Tu credi?”
–Sibilò Ghoul, prima che le sue forme iniziassero a mutare. In un attimo la
dolce ed esile sagoma di Euridice apparve all’interno di quella ragnatela
straziante, di quel labirinto di fili che la stava dilaniando nel profondo. –“Orfeo!
Amore! Aiutami! Portami via dalla guerra! Portami a casa! Alla nostra casa!”
–Esclamò, con quella delicata voce che Orfeo amava sentire.
Il Cavaliere
d’Argento ebbe momentaneamente un balzo, troppo innamorato di lei, troppo
coinvolto, per ammettere che si trattava nuovamente di un inganno. Allentò la
presa per pochi secondi, allontanando le dita dall’arpa, mentre le grida di
Koroibos lo chiamavano a gran voce.
“No! Orfeo! Non
cadere nel suo inganno!” –Gli gridò il maestro. Ma era troppo tardi.
Con un movimento
brusco e determinato, Ghoul tagliò i fili che lo imprigionavano con il gladio
che ancora stringeva in mano, sgusciando fuori dalla sua prigione e
avventandosi sul debole corpo dell’allenatore. Gli fu sopra e lo sbatté a
terra, piantando il gladio in mezzo al suo petto, prima di affondare i suoi
orribili canini da iena dentro di lui, per saziarsi di quella preziosa linfa.
Orfeo solo allora
si riscosse, maledicendosi mille volte per la sua cecità, per la sua debolezza.
Per le sue imperdonabili esitazioni. Bastò un tocco di dita, alla sua cetra
argentea, per sollevare Ghoul da terra e scaraventarlo in alto, avvolto in un
turbine di fiori e di energia. La Melodia
Notturna lo fece schiantare a terra poco distante, senza vita.
“Maestro! Maestro!”
–Gridò in lacrime Orfeo, correndo dall’allenatore. –“Perdonatemi! Perdonatemi!”
–E si chinò su di lui, per sorreggerlo. –“Vi ho condannato… vi ho ucciso!
Perdonatemiii…” –Singhiozzi mostruosi gli dilaniarono il cuore alla vista dello
sguardo spento dell’uomo sprofondare in un limbo eterno e senza ritorno.
“Non… non devi
rimproverarti, ragazzo mio! Non sono in collera con te!” –Mormorò Koroibos, e
Orfeo parve quasi di udire tali parole dentro di sé. –“Hai seguito il tuo
cuore… Avrei voluto farlo anch’io anni fa! Ma ho scelto il dovere! Stai… stai
attento… o l’amore... un giorno… ti perderà!” –E nient’altro aggiunse,
spegnendosi tra le braccia di uno dei tanti allievi che aveva addestrato nel
corso degli anni, l’unico che veramente gli era rimasto nel cuore.
Lungo il Viale
delle Sfingi di Karnak la lotta era in pieno svolgimento: Micene di Sagitter
e Jonathan di Dinasty si erano lanciati correndo lungo il sacro
viale, cercando di evitare gli affondi energetici delle Spade del Sole
brandite dai guerrieri difensori del tempio. Per quanto entrambi fossero abili
e veloci, l’impresa non si rivelò affatto semplice a causa dell’alto numero di
soldati presenti, che sfiorava il centinaio, e della dedizione enorme che
mettevano nella loro causa: difendere il Tempio del loro Dio, barbaramente
attaccato da Cavalieri sconosciuti ed infedeli.
Micene aveva
tentato di parlare con loro, di spiegare che desideravano solamente incontrare
Amon Ra, ma il secco no ricevuto in risposta dai guerrieri egizi fu
accompagnato da un poderoso assalto.
“Non abbiamo molto
tempo!” –Esclamò Jonathan, sollevando lo Scettro d’Oro e caricandolo del
suo lucente cosmo. –“Penserò io a questi, tu cerca di raggiungere il portone
d’ingresso! Sei l’unico che può parlare con Ra!”
“L’unico eh?!”
–Ironizzò Micene. –“Vorrei proprio sapere cosa ho di così unico per cui mi è
stata affidata da non so chi questa missione!”
“Il Maestro
ritiene che tu abbia il cuore più puro dell’universo e che la tua anima sia
sinceramente devota alla giustizia e alla libertà! E questo tuo senso di
giustizia ti aprirà le porte di Karnak!” –Gridò Jonathan, prima di scattare
avanti, puntando lo Scettro d’Oro verso i guerrieri egizi.
Immediatamente
rapidi fasci di luce si abbatterono sui soldati africani, trapassandoli da
parte a parte e facendoli accasciare a terra. Coloro che riuscivano a schivare
i raggi lucenti, tentavano di contrattaccare con le Spade del Sole, ma
Jonathan era abile abbastanza da evitare di mettersi nella traiettoria delle
armi infuocate, ingaggiando violenti corpo a corpo.
Micene,
approfittando dell’aiuto del ragazzo, scattò avanti alla velocità della luce,
superando la prima linea di guerrieri, balzando in alto, sopra di loro, e
colpendoli con le sue frecce lucenti. Sbaragliati gli avversari, corse avanti,
trafiggendone altri, fino a portarsi di fronte al portale meridionale
d’ingresso del Tempio di Karnak, che conduceva proprio al Tempio del Giubileo
di Amehotep II, dove Febo aveva incontrato il suo informatore Ashabad. Su
entrambe le ante del grande portone era scavato, in media grandezza, l’Occhio
di Ra.
Per un momento
Micene provò soggezione di fronte a quel simbolo che tanto aveva significato
per le popolazioni egizie tempi addietro. Provò soggezione ma si sforzò di non
averne, sentendo le grida di Jonathan, che lo incitava a proseguire, udendo il
rumore dello scontro in corso alle sue spalle. Sorrise, chiedendosi cosa stesse
facendo Ioria in quel momento. E immaginò che stesse bene, attivo e combattente
come sempre. Come Jonathan, che il fratello molto gli ricordava. Sganciò l’arco
dalla cintura dell’Armatura del Sagittario e lo aprì, incoccando una freccia e
caricandola del suo potente cosmo. Ra, si disse, stringendo i denti, vengo
da te! Fu un attimo e il portone saltò in aria, rivelando, tra la sabbia e
la polvere sollevatisi, l’ingresso del grande complesso templare, al cui
interno, Micene lo sentiva chiaramente, chiedendosi per quale motivo, già uno
scontro era in corso.
La Dea Iside
infatti, dopo aver assistito impotente alla cattura e alla condanna di Febo, il
figlio di Ra, di cui si sentiva Madre oltre che responsabile, aveva riflettuto
parecchio su cosa fare, e convenuto che la cosa migliore fosse parlare
direttamente con il Sommo. Così si era inginocchiata nella Sala Ipostila di
fronte al portone d’ingresso del suo Santuario privato, proprio nel cuore del
complesso templare di Karnak. Si era inginocchiata e aveva iniziato a pregare.
“Oh possente Amon
Ra, che del Sole sei l’emblema e il Signore, ascolta la mia voce, quella di una
Divinità a te devota e amica!” –Mormorò, espandendo il cosmo, fino a lambire il
portone, le mura, il freddo granito che la separava dal Dio. –“Da secoli non
incontro il tuo sguardo, da quando, deluso dal mondo, ti rifugiasti nel tuo
privato tabernacolo! Non sono qua per criticare la tua decisione, a cui a te
soltanto spetta il giudizio! No, sono qua per Febo, tuo figlio! Perché ha
bisogno di te!”
Iside parlava con
voce soffusa ma decisa, come il suo carattere, come i suoi attributi, di Grande
Madre della Terra, figura consolatoria per eccellenza del pantheon divino
egizio. Ma parlava anche con forte apprensione, per il futuro di Febo e per il
destino della stessa Karnak. Forze oscure erano in moto, adesso lo percepiva
chiaramente, fin da quando aveva sentito esplodere il cosmo di Anhar, ed era
certa che tali forze fossero connesse con la scomparsa di Osiride e del figlio
Horus.
“Non chiedo niente
per me! Non chiedo che tu mi renda il mio sposo, riempiendo il vuoto delle mie
notti insonni, riempiendo il mio cuore, adesso colmo di affanni! Né chiedo tu
mi mostri dove si trova mio figlio, il mio amato Horus, il cui volo alto nel
cielo ancora vorrei ammirare!” –Singhiozzò Iside. –“Ma chiedo aiuto per Febo,
per il ragazzo che salvasti secoli prima! Che strappasti dalla maledetta Delfi
che gli diede i natali, ma che lo condannò pure a morte, per mano di un Dio
invidioso! Che portasti qua, a Karnak, donandogli una vita e una felicità di
cui, se le tue scelte fossero state diverse, non avrebbe potuto gioire! Che
sottraesti allo scorrere inesorabile del tempo, quando ancora era un
quindicenne dai biondi capelli al vento, donandogli lo splendore di una vita
immortale, seppure statica e nostalgicamente monotona! Adesso ha bisogno di te!
Ha bisogno di un consiglio, di una guida! Ha bisogno di un padre!”
Non appena ebbe
terminato la sua preghiera, la Dea fu investita in pieno da una violenta
tempesta di infuocata energia cosmica. Guizzanti fulmini assassini si
abbatterono su di lei, trafiggendola e sollevandola da terra, fino a farla
schiantare contro il muro di fronte e farla accasciare al suolo. Tentò di
alzarsi, di rimettersi in piedi, ma crollò nuovamente al suolo esanime.
“Resta a terra,
vacca!” –La derise una voce maschile. –“Anche tu hai deciso di abbandonare Ra?”
Iside sollevò a
fatica la testa, mentre rivoli di sangue le segnavano il viso, incrociando il
demoniaco sguardo di Anhar, il Consigliere di Ra, eccitato come mai lo
aveva visto prima. I suoi occhi neri brillavano di riflessi di morte, mentre
vivide fiamme danzavano al loro interno, le stesse che la stavano stritolando.
Indossava le abituali veste scure, fermate in vita da una fusciacca rossastra,
ma quella volta, Iside lo notò subito, restandone spaventata, avevano una forma
innaturale. Come se fossero usate per coprire qualcosa che stava sotto. Un
riflesso scarlatto che fece sussultare la Dea.
“Se tanto brami
rivedere tuo figlio, allora ti accontenterò! Lo raggiungerai nell’Oltretomba!”
–Sibilò il Consigliere, sollevando il braccio destro sopra la donna.
Le dita della mano
si caricarono del suo scarlatto cosmo, diventando affilati artigli infuocati
pronti a ghermire, mentre la sua diabolica risata risuonava nell’intera Sala
Ipostila. Ma prima che potesse calare la mannaia su Iside, fu bloccato dal
deciso suono di una voce proveniente da dietro di lui.
“Non osare
toccarla!” –Tuonò Febo, apparendo nel corridoio e facendo voltare Anhar.
“Ooh, Febo!”
–Esclamò Anhar, osservando il suo volto stanco e ferito. –“Il soggiorno nelle prigioni
ha migliorato il tuo aspetto, a quanto vedo!” –Ironizzò, prima di scagliargli
contro artigli di energia.
Febo seppe evitarli con destrezza, schizzando tra
un fascio energetico e l’altro, prima di portarsi a pochi passi di distanza dal
Consigliere e dalla madre che voleva salvare.
“Bastardo,
prendi!” –Esclamò, concentrando il cosmo sul palmo della mano e poggiandola sul
petto di Anhar, che fu scaraventato indietro, senza comunque perdere
l’equilibrio e il controllo di sé. –“Madre!” –Mormorò Febo, chinandosi su Iside
e verificando le sue condizioni. –“State bene?”
“Fe... Febooo!”
–Balbettò la Dea.
“Non abbiate
timore! Vi porterò fuori da qui, sana e salva! Ve lo prometto!”
“Vattene!” –Ordinò
la Dea, con le ultime forze. –“Vattene via! Non voglio perdere un altro
figlio!”
“Questo non
accadrà! E sono certo che non ne avete perso neanche uno!” –Rispose Febo,
mentre Iside si accasciava a terra, perdendo i sensi.
“Ma bene! Non
soltanto hai violato la legge del Sommo Ra, colui al quale tutto devi e a cui
tutto è dovuto! Ma persisti nel tuo errore!” –Gli gridò contro Anhar. –“Non è
stata sufficiente la benevolenza e l’intercessione della Dea Iside, che per te
si è piegata a mendicare la pietà di Ra! No, ancora persisti nel tuo errore e
volgi i pugni contro di me, a cui dovresti rispetto in quanto Bocca di Ra!
Poiché io sono per te, e per tutti gli abitanti di questo Tempio, la volontà di
Ra! Io sono Ra!” –Gridò Anhar, delirando come un folle, prima di
abbandonarsi a una sadica risata.
“Tu sei soltanto un
impostore! Un folle venuto dal nulla! E nel nulla ritornerai!” –Rispose Febo,
bruciando il proprio cosmo.
“Lo vedremo!”
–Strinse i denti Anhar, prima di lanciare un violento fischio.
Pochi secondi dopo
decine di Guerrieri del Sole, armati delle loro spade infuocate, apparvero nei
corridoi e si lanciarono contro Febo, ascoltando gli ordini del Consigliere,
che era anche responsabile della sicurezza di Karnak e quindi Comandante degli
Eserciti dei Guerrieri del Sole.
“Uccidetelo! È un
traditore! Un figlio bastardo di Atene che ha osato levare la mano contro Ra e
contro Iside!” –Tuonò, infiammando gli animi dei soldati. –“Non vedete là, la
Dea inerme, contro cui quest’ingrato ha rivolto i pugni?! Vendicatela!
Vendicate il vostro Dio, il possente Amon Ra!”
Nel sentire quelle
parole, pronunciate con tale enfasi e determinazione, i cuori dei Guerrieri del
Sole si infiammarono, convincendosi della veridicità delle sue parole, per
quanto riottosi molti fossero nell’agire contro il figlio di Ra. Contro un
ragazzo che, seppur di origini straniere, non aveva mai lesinato amore verso
suo padre, né verso tutti gli abitanti di Karnak, soldati semplici compresi.
“Perdonatemi!”
–Balbettò Febo, con le lacrime agli occhi, mentre i guerrieri si lanciavano
contro di lui. Concentrò il cosmo, sotto forma di un’incandescente sfera di
energia, sulla mano destra e poi lo scagliò contro di loro. –“Bomba del Sole!”
La devastante
esplosione travolse tutti i soldati, scaraventandoli lontano, gettandoli a
terra, feriti e moribondi, e obbligò lo stesso Anhar a sollevare le braccia per
proteggersi dall’abbagliante potenza. Quando la luce si diradò, poté notare di
essere rimasto solo con il suo avversario, separato da un pavimento di cadaveri
e di corpi ammucchiati. Incrociò per un momento il triste sguardo di Febo,
prima di lanciarsi verso il ragazzo che fece altrettanto, scontrandosi a
mezz’aria e venendo respinto.
“Cadi!” –Gridò
Anhar, piombando dall’alto, come una furia imbestialita, sul giovane. Lunghi
artigli fiammeggianti schiacciarono Febo a terra, penetrando le sue carni non
protette da corazza alcuna, facendolo urlare di dolore. –“Hai fatto il passo
più lungo della gamba, ragazzo! Sfidare Ra è follia, ma sfidare me, che ne sono
la Bocca, e la nemesi, è morte assicurata!” –E sollevò di peso Febo,
scagliandolo contro un muro, su cui il giovane si schiantò, ricadendo a terra,
battendo una spalla. –“Giunge infine la morte, Febo! Preparati a rivedere il
tuo amato fratello, Horus, e suo padre! All’Inferno!! Uah ah ah!!!”
“Bastardo! Cosa
hai fatto a Horus? Cos’è accaduto?” –Incalzò Febo, rialzandosi e sputando
sangue.
“Potrai vedere tu
stesso, da morto, il modo in cui sono stati… trattenuti! Uah ah ah!”
–Sghignazzò Anhar, espandendo il proprio cosmo, rossastro come le fiamme che
sorsero a lui intorno, invadendo l’intero spazio, quasi a ricreare l’inferno
nel quale Anhar voleva inviare Febo. –“Muori, adesso!” –Esclamò il Consigliere,
sollevando immense vampe di energia e scagliandole contro il ragazzo.
Ma
inaspettatamente le fiamme furono spente da scroscianti onde di acqua
cristallina, percorse da una violenta tensione elettromagnetica. Di fronte agli
occhi sbigottiti di Anhar, una figura apparve cavalcando un’onda azzurra,
puntando proprio su di lui e travolgendolo in pieno.
“Ma... che...
succede?” –Balbettò Febo, barcollando, mentre un ragazzo, apparentemente della
sua stessa età, gli si avvicinava sorridendo.
“Stai bene?”
–Domandò il giovane dai profondi occhi blu.
Febo annuì con il
capo, osservando lo splendore della sua corazza, dominata da tre colori: l’oro,
l’arancio e l’azzurro mare. Era un’Armatura luminosa, dalle forme
aerodinamiche, che copriva gran parte del corpo, contribuendo a dare
un’immagine snella del ragazzo che la indossava, e forse anche a renderlo più
alto. I colori predominanti erano l’arancio e l’oro e apparentemente somigliava
alle corazze di scaglie d’oro dei Generali di Nettuno, il Dio greco del Mare,
che Febo aveva visto in numerose illustrazioni. Ma l’Armatura dello sconosciuto
giunto in suo soccorso andava oltre, costellata di parti azzurre, che
sembravano emanare direttamente il sapore del mare.
“Chi sei?”
“È Marins il
mio nome celeste, Cavaliere dei Mari Azzurri!” –Sorrise il ragazzo.
Non era molto alto
e sembrava non avere più di quattordici anni. Aveva un viso maschile, con duri
zigomi, corti capelli marroni tirati all’indietro, fermati dall’elmo a diadema
dell’armatura, al centro del quale spiccava, come simbolo, un tridente dorato.
Ma erano gli occhi che maggiormente attrassero Febo, azzurri e profondi come il
mare, che in quegli occhi sembrava essersi nascosto.
“Perdonami se ho
tardato, ma…” –Esclamò Marins, voltandosi verso Anhar, che si era ripreso e
rimesso in piedi, superando lo stupore iniziale. –“Insieme possiamo sconfiggerlo!
Sei con me?”
“Sì... sì!”
–Mormorò Febo, ancora stordito. E fece per aprire la bocca per chiedere
qualcos’altro, ma Marins lo prevenne, prima di bruciare il proprio cosmo.
“Le spiegazioni a
dopo!”
“Un altro
invasore?!” –Gridò Anhar, irritato per essere stato disturbato. Aveva gettato
via le sue vesti, rivelando una scarlatta armatura dagli oscuri riflessi di
morte, la quale, Febo lo notò subito, non aveva niente di egizio. –“E tu chi
sei? La tua corazza non sembra una dei Cavalieri di Atena!”
“Non ad Atena sono
infatti consacrato, ma alla giustizia, qualunque sia la Divinità che la
difenda!” –Rispose Marins, con tono deciso.
“Giustizia?! Una
causa persa in partenza!” –Lo sbeffeggiò Anhar, sputando a terra.
“Non esistono
cause perse, impostore, ma semplicemente sogni che con le nostre forze, e il
nostro impegno, possiamo trasformare in realtà!” –Esclamò Marins, espandendo il
proprio cosmo azzurro.
“Oppure possono
portare alla morte!” –Sibilò Anhar, scatenando la violenza devastante del suo
assalto energetico, pari a un’immensa tempesta di infuocata energia. –“Apocalisse
Divina!”
“Insieme, Febo!”
–Esclamò Marins, liberando il suo colpo segreto. –“Maremoto dei Mari Azzurri!”
–E un violento moto ondoso, carico di energia cosmica, sfrecciò verso il Consigliere.
“Bomba del Sole!”
–Tuonò Febo, affiancando il compagno con una sfera di incandescente plasma.
Lo scontro tra i
tre cosmi fu spaventoso e scaraventò tutti indietro, distruggendo il soffitto
della Sala Ipostila e tutte le mura circostanti. Anche Seth, assiso sul suo
trono a Tebe, la udì, e si preoccupò non poco delle difficoltà in cui il suo
piano stava incorrendo. I Guerrieri del Sole Nero stavano riportando difficoltà
maggiori del previsto: Onuris era morto, e anche la Mummia sembrava scomparsa, mentre
anche al Grande Tempio di Atena le cose non andavano meglio, con Upuaut che
ancora non era rientrato per comunicare la propria vittoria e l’occupazione di
quel luogo.
Quando la polvere
si diradò, e Febo e Marins riuscirono a rimettersi in piedi, tossendo e
sputando sangue per le ferite riportate, osservarono lo sfacelo dell’antico
tempio, una parte del quale era crollata durante l’esplosione, rivelando il
cielo aperto sopra di esso. Un cielo che Febo non osservava da molto tempo. Per
un attimo la luce del sole lo raggiunse, spuntando malizioso da dietro le
nuvole, e Febo si coprì il viso con un braccio, quasi accecato. Ma poi, mentre
un sorriso compariva sul suo volto, tolse il braccio e si lasciò cullare da
quello splendido e naturale potere, immortale come il Dio che lo aveva
procreato. Lo scosse Marins, poggiandogli una mano su una spalla, e insieme
iniziarono a guardarsi intorno, cercando il nemico contro cui stavano
combattendo. Ma di Anhar non vi erano più tracce. Vi era soltanto un ragazzo,
sui diciotto anni, rivestito da una dorata corazza alata, che li fissava
incuriosito e al tempo stesso incerto sulla situazione.
“Sono Micene di
Sagitter, Cavaliere d’Oro di Atena!” –Esclamò, facendosi largo tra le
macerie del palazzo crollato. –“E sono qua per conferire con il Sommo Ra!”
“Un Cavaliere di
Atena?!” –Esclamò Febo, alla cui vista sembrò rasserenarsi. –“Sei il benvenuto
a Karnak, Micene di Sagitter!” –E gli andò incontro, seguito da Marins.
–“Perdona l’accoglienza che hai ricevuto, ma una grave crisi ha colpito
l’Egitto! Una crisi il cui epicentro sembra l’ombra nascosta nella Piramide
Nera!”
“La Piramide di là
dal fiume? A Tebe? Dove erano diretti Gemini e Capricorn! Chissà cosa è
accaduto loro!” –Mormorò tra sé.
“Dimmi, Cavaliere
del Sagittario! Cosa succede nelle sabbie dell’Africa? Seth ha inviato i suoi
Guerrieri del Sole Nero contro voi Cavalieri di Atena?”
“I miei compagni
stanno combattendo intorno alla Piramide Nera! Siamo arrivati qua senza un
programma, senza sapere chi avremmo incontrato, trascinati contro la nostra
volontà in una guerra che non avremmo voluto combattere!” –Spiegò Micene, per
difendere il suo operato e quello dei suoi compagni. E iniziò a raccontare gli
eventi degli ultimi giorni: dall’improvviso attacco dei Guerrieri del Sole al
Cancello Principale del Grande Tempio, all’ambasciata di Gemini e Capricorn, di
cui perse avevano le tracce, alla nuova offensiva lanciata da Seth ad Atene.
Terminato il breve
racconto, Micene assistette a un gesto che lo stupì considerevolmente, e stupì
anche lo stesso Marins. Febo si inginocchiò di fronte al Cavaliere d’Oro.
“Perdona le offese
che hai ricevuto, Micene del Sagittario! Perdona il sangue greco che è stato
versato! L’Egitto non avrebbe voluto muovervi guerra!” –Mormorò, con gli occhi
lucidi ma con una grande determinazione nella voce. –“Mio padre non avrebbe mai
voluto muovervi guerra! Ci sono state rivalità in passato, c’è stata
inimicizia, e forse disinteresse nel superarla! Ma Amon non ha mai voluto
estendere il suo regno aldilà delle mura in mattoni rossi di questo Tempio! Fu
ingannato, come lo siamo stati tutti noi, da un maligno Consigliere, che Seth
aveva probabilmente corrotto, attratto a sé con la promessa di sicuri doni e
facili vittorie, e il buon nome di questa terra fu infangato! Spero che un
giorno potrai perdonarci, che Atena possa perdonarci! Presta ascolto alle mie
parole, Cavaliere d’Oro di Atene, perché vengono dal figlio di Amon Ra e della
Sacerdotessa di Apollo! Febo è il mio nome, e sono pronto a combattere al tuo
fianco pur di pagare i debiti di cui l’Egitto si è fatto carico, pur di lavare
la vergognosa onta cui siamo stati costretti!”
Micene osservò il
ragazzo e rimase stupito dalla nobiltà delle sue parole. Doveva avere pochi
anni più di Ioria, una corporatura esile e snella, ma un portamento fiero.
Anche in quel momento, con le vesti lacere, sporco di sangue e di polvere, con
lividi sul volto e graffi sul viso, Febo aveva tutta l’autorità e la possanza
di un principe, di un figlio di una dinastia regale.
“Non le parole
laveranno il sangue versato in questi giorni tristi, in cui siamo rimasti
vittime di un inganno, ma le nostre azioni! E tu, figlio di Ra, sarai
l’esempio! Per me e per le generazioni che verranno!” –Sorrise Micene,
allungando la mano verso Febo, che la strinse con vigore.
Terminate le
spiegazioni, Febo tornò a prendersi cura della Dea Iside, riparata in un angolo
dal crollo delle macerie. Micene e Marins lo seguirono all’istante, aiutandolo
a sollevarla e a curarla. Le sue condizioni fisiche non sembravano preoccupanti
ma il suo cuore singhiozzava lacrime di dolore.
“Horus! Horus!”
–Ripeteva Iside, quasi delirante.
“Chi è Horus?”
–Chiese Micene.
“Suo figlio! Il
Dio del Falco, il castigatore di Seth!” –Spiegò Febo, iniziando a raccontare la
storia del primo tradimento di Seth. –“Horus, o Horo, significa Colui che è
in alto, ed è la Divinità rappresentante il falco! Figlio di Iside e di Osiride,
Dio dell’Oltretomba, che a sua volta era fratello di Seth, l’ingannatore
che adesso siede sul trono di Tebe! Osiride era molto amato dalle genti per la
sua magnanimità e per la sua prodigalità nei confronti degli altri. Portò
infatti la civiltà agli uomini, insegnando loro come coltivare la terra e
produrre il vino! Ma Seth, invidioso del suo successo, cospirò per ucciderlo!
Costruì in segreto una bara preziosa fatta appositamente per il fratello e poi
tenne un banchetto, nel quale annunciò che ne avrebbe fatto dono a colui al
quale si fosse adattata. Dopo che alcuni ebbero provato senza successo, Seth
incoraggiò il fratello a provarla. Appena Osiride vi si adagiò, il coperchio
venne chiuso e sigillato. Seth e i suoi complici gettarono la bara nel Nilo,
facendo annegare Osiride. Questo atto simboleggerebbe l’annuale inondazione del
Nilo.
Ma Iside, sua
sorella e amante, riportò Osiride alla vita, grazie ai suoi poteri magici.
Prima che si potesse vendicare, il Dio fu nuovamente ucciso da Seth, che fece a
pezzi il suo corpo, spargendo i quattordici pezzi in vari luoghi. Ma Iside e la
sorella Nefti li ritrovarono tutti, tranne i genitali, e riuscirono a
riportarlo in vita. Il figlio che Osiride aveva concepito con Iside, Horus,
quando fu abbastanza grande affrontò Seth in combattimento. Fu una lotta lunga
e aspra, dagli esiti incerti, e in essa Horus perse un occhio e Seth un
testicolo, finché l’intervento del Supremo Ra, mio Padre, non vi pose fine,
decretando Horus vincitore e bandendo per sempre Seth dall’Egitto!”.
“Ma adesso è
tornato!” –Esclamò Micene. –“E ha radunato un esercito al suo servizio!”
“Un esercito di
carogne! Predoni pagati con le ricchezze rubate alle altre Divinità e che
intende ricompensare con i tesori di Atene e di Karnak!” –Tuonò Febo, irato.
–“Non so come sia riuscito a tornare dall’ombra in cui era stato confinato, ma
sono certo che ha plagiato Anhar, il Consigliere di Ra, spingendolo ad inviare
Osiride e Horus nell’Oltretomba e prendendoli prigionieri!”
“Un piano ben
congeniato!” –Mormorò Marins.
“Devo scendere in
Amenti! Osiride e Horus devono essere liberati! Sono gli unici che possono
affrontare Seth! Da soli, contro un Dio, non avremmo speranze! Nessuno di noi
le avrebbe!”
“E come pensi di
recarti nell’Oltretomba, Febo?” –Chiese Micene. –“Possiedi il potere di
Osiride?!”
“No!” –Rifletté
Febo sconsolato, realizzando di non avere idea di come raggiungere gli Inferi,
se non morendo a sua volta.
“Non è necessario
morire per scendere negli Inferi!” –Mormorò una leggera voce di donna.
“Iside!”
–Esclamarono i tre, voltandosi verso la Dea, che a fatica stava tentando di
parlare. –“Non sforzarti, madre!” –Le sussurrò Febo, ma Iside lo pregò di non
preoccuparsi.
“Ci sono due modi
per raggiungere l’Oltretomba da vivi: possederne la chiave, come il mio sposo,
il Dio che presiede ai morti, e mio figlio, oppure risvegliare la vostra coscienza
più profonda, il senso ultimo di un Cavaliere, capace di portarvi vivi
nell’aldilà, bruciando al massimo il vostro cosmo!”
“Il senso
ultimo?!” –Balbettò Micene, che aveva intuito a cosa si riferisse Iside.
“Proprio così,
Cavaliere di Atena! Bruciate il vostro cosmo, superando il settimo senso, e
andate al di là, raggiungendo l’ottavo senso! Ciò che vi permetterà di arrivare
vivi nell’Oltretomba!” –Spiegò Iside, osservando i volti sconcertati dei tre
ragazzi. –“Ne sarete capaci?”
“Noi… ci proveremo,
Dea Iside!” –Esclamò Micene, serrando i pugni.
“Troveremo Osiride
e Horus e li riporteremo a Karnak sani e salvi!” –Aggiunse Febo, baciando la
madre sulla fronte, prima di iniziare a bruciare il proprio cosmo, ardente come
il sole.
Micene e Marins fecero
altrettanto, espandendo la loro energia cosmica fino ai limiti estremi
dell’universo, fino all’ottavo senso, e Iside venne in loro aiuto, avvolgendo i
tre ragazzi nel suo caldo cosmo, in modo da dare loro ulteriore forza e
protezione in quel viaggio verso l’ignoto. Vi fu una violenta esplosione di
luce che spinse la Dea indietro, obbligandola a coprirsi gli occhi.
Quando li riaprì
si accorse di essere rimasta sola. Micene, Febo e Marins erano già all’Inferno.
Nel frattempo, al
Grande Tempio di Atene, i Guerrieri Egizi, adesso guidati da Kepri e da Aspide, correvano lungo la bianca scalinata di
marmo, diretti verso la Quinta Casa di Leo. Grazie agli scarabei di Kepri, erano riusciti a superare le illusioni della Quarta
Casa, generate da un cosmo molto potente, che aveva tentato di rallentare la
loro corsa, senza muoversi dal Sesto Tempio.
" Virgo!" –Mormorò Kepri.
–"Sto venendo da te! Pagherai per aver avuto la pretesa di fermarmi!"
All’interno della
Quinta Casa, Galan, servitore di Ioria e migliore amico di Micene, era molto agitato. Sedeva
con la testa tra le gambe in cucina, con una spada ai suoi piedi. Era la spada
che aveva usato durante l’addestramento e che aveva nuovamente tirato fuori per
difendere la Quinta Casa in assenza del suo Custode. Ma adesso che i guerrieri
erano così vicini, Galan sentiva di non essere
all’altezza, di non essere in grado di portare a termine il suo progetto.
Non è codardia
che frena la mia mano! Mormorò,
sentendo i passi dei Guerrieri Egizi risuonare nel piazzale antistante la
Quinta Casa. Ma la prospettiva del futuro! Micene mi ha affidato Ioria, per aiutarlo a crescere e per proteggerlo! Se
cadessi oggi, come potrei prendermi cura di lui?
"Avrai la tua
occasione per dimostrare affetto al tuo padrone, nobile Galarian!"
–Esclamò improvvisamente una voce, parlandogli tramite il cosmo. –"Ma non
oggi!"
"Uh?"
–Esclamò Galan, balzando improvvisamente in piedi.
–"Chi parla al mio spirito?"
"Sei un
servitore, non un guerriero! Non chiedere troppo a te stesso!" –Continuò
la voce, incitando il ragazzo a nascondersi nei sotterranei della Quinta Casa,
certo che i Guerrieri Egizi, sicuri dell’assenza del Cavaliere di Leo, non
avrebbero perso tempo a controllare la presenza di eventuali servitori.
–"Lascia a me i Guerrieri Egizi, li fermerò alla mia Casa!" –E la
voce scomparve.
Galan si affrettò a seguire il consiglio del Cavaliere
della Vergine, rifugiandosi nei sotterranei della Quinta Casa, proprio mentre
la nera masnada infilava il corridoio principale del Tempio.
"Nessuno
difende questa Casa!" –Mormorò Aspide, correndo in cima al gruppo.
"No! Il Leone
d’Oro è impegnato in Egitto!" –Rispose Kepri.
–"È alla Sesta Casa che ci sarà battaglia!" –E incitò i soldati ad
aumentare l’andatura.
Quando i Guerrieri
Egizi giunsero all’ingresso della Sesta Casa di Virgo,
sentirono con nitidezza un forte cosmo provenire dall’interno. Un cosmo
potente, apertamente osteggiato contro di loro.
"Umpf! Volgare ostentazione di materialistica
sicumera!" –Mormorò Kepri, entrando per primo
all’interno del tempio, dimostrando ai soldati di non avere niente di cui
temere e lanciando al tempo stesso una sfida verso il Custode della Casa della
Vergine.
Man mano che i
guerrieri egizi camminavano nella Sesta Casa, fiori colorati, dalle profumate
essenze, apparvero ai lati del corridoio, quasi a voler segnare il confine del
loro percorso. Qualche guerriero, magicamente attratto dagli effluvi di tali
piante, si avvicinò per odorarle, nonostante gli avvertimenti di Kepri, ma non riuscì più a staccarsi da esse, cadendo a
terra in un sonno profondo.
"Una strana
pace regna in questo Tempio!" –Mormorò Aspide, con un certo timore.
"Non è pace!
È la grande calma prima della tempesta!" –Rispose Kepri,
continuando ad avanzare.
Giunsero infine al
centro della Sesta Casa, in un’ampia sala dalle alte finestre decorate da
immagini sacre, come rosoni di antiche cattedrali. Là, seduto in posizione
meditativa, su un trono a forma di fiore di loto, dai petali aperti, stava il
Cavaliere della Vergine, con gli occhi chiusi e il cosmo che riluceva
dorato attorno a lui.
"Eccolo
dunque, il creatore delle illusioni alla Casa di Cancer!" –Esclamò Aspide,
fissando il suo nemico. –"Me lo immaginavo più grosso! Forse anche più
maschio!"
"Non è
l’aspetto fisico a determinare la potenza di un cosmo, Aspide!" –Rispose Kepri, indispettito dall’indifferenza che il Cavaliere di Virgo stava dimostrando nei loro confronti. Maledetto
arrogante! Sei così pieno di boria da credere di poterci persino ignorare?
"Cos’è, forse
il Custode del Sesto Tempio ha altre occupazioni a cui dedicarsi che non
prendersi cura dei propri ospiti?" –Lo chiamò Kepri
a gran voce.
"Già! Che fa
questo biondino? Ha così paura di noi da essersi rinchiuso in una
preghiera?"
"Pregare non
lo salverà certo dalla morte!" –Gli andò dietro un altro guerriero,
sfoderando la sua Spada del Sole Nero.
–“Diamo una bella lezione a questo presuntuoso che crede di poterci
ignorare!" –E si lanciarono contro il Cavaliere di Virgo,
puntando le Spade verso il suo volto.
"Fermi!!!"
–Li chiamò Kepri, ma ormai era troppo tardi. Una
devastante onda di luce li travolse, annientandoli all’istante. Di dieci
guerrieri che si lanciarono contro Virgo rimasero
solo le ceneri.
"Terrificante!"
–Balbettò Aspide, facendo un passo indietro.
"Umpf! Vuole solo impressionarci!" –Rispose Kepri, avanzando. –"Allora ci vedi, Vergine
d’Oro!"
"Non ho
bisogno di occhi per vedere!" –Fu la risposta di Virgo,
che per la prima volta parlò, con una calma così imperturbabile da gelare il
sangue ai Guerrieri Egizi. –"Né di braccia muscolose per fermare
l’avanzata di barbari invasori del Tempio di Atena! Sarà sufficiente il mio
cosmo, sorretto da una giusta fede in Atena!"
"Sei troppo
sicuro di te, Cavaliere di Virgo! E io saprò
sfruttare questa tua superbia, per vincerti!"
"Sciocco!"
–Mormorò Virgo, giungendo le mani in segno di
preghiera. Immediatamente il cosmo prese a sorgere, quasi un piccolo universo,
tra le sue mani, aumentando a dismisura di potenza. –"Ohm!"
–Gridò, mentre il cosmo si apriva a ventaglio di fronte a lui, avvolgendo i
Guerrieri Egizi.
Un’altra decina di
guerrieri cadde a terra, privi di vita, ma gli altri sopravvissero, riparati da
una barriera formata da stelle luminose. E questo stupì, e indispettì, persino
lo stesso Virgo, che aggrottò un sopracciglio, in
segno di dissenso.
"Non
stupirti! Poiché grandi sono i miei poteri!" –Esclamò Kepri,
ritto di fronte a lui, completamente avvolto dal suo cosmo, dal colore simile
ad oro bianco. –"Aspide! Egli è il mio avversario, voi sareste come gocce
di pioggia contro di lui!"
"Come
preferisci!" –Storse il naso Aspide. Fece un cenno ai soldati e li radunò,
preparandosi per uscire. Ma Virgo non aveva
intenzione alcuna di permettere loro di superare la Sesta Casa.
"Il mio
volto, Guerrieri del Sole Nero, sarà il vostro biglietto per l’Inferno!"
–Esclamò, concentrando nuovamente il cosmo tra le mani. Quindi si mosse per
rilasciarlo, e travolgere con esso i restanti Guerrieri Egizi, ma si accorse,
con stupore e con sommo orrore, di non poterlo fare. Di essere prigioniero,
bloccato, fermato da qualcosa che impediva al suo cosmo di liberarsi.
"Hai il vizio
di non ascoltare i tuoi avversari, Cavaliere della Vergine! Forse perché
superbamente ritieni che non abbiano niente di interessante da dirti? Che non
abbiano niente da cui tu possa trarre insegnamento?" –Esclamò Kepri, ergendosi di fronte a lui. –"Grandi sono i miei
poteri, e questa è solo una dimostrazione!" – E fece cenno ad Aspide di
proseguire.
Il guerriero
egizio sfrecciò verso l’uscita sul retro, seguito dai venticinque soldati
rimasti,dopo i caduti all’interno della
Sesta Casa, lasciando Kepri a combattere di fronte a Virgo.
Il Cavaliere d’Oro
era stupefatto e molto adirato, poiché per la prima volta qualcuno era riuscito
a bloccare, se pur limitatamente, i suoi poteri. E ciò era per lui
intollerabile. Era intollerabile che esistesse qualcuno che potesse, anche solo
per qualche minuto, frenare i suoi poteri, poiché egli, ritenendo di essere nel
giusto, era sempre convinto di agire nel bene, e come tale essere
necessariamente vittorioso e superiore agli altri.
"Chi
sei?" –Domandò, ancora seduto nella posizione del loto.
Davanti a lui
c’era un uomo sui trent’anni, alto, con mossi capelli verdi, ricoperto da
un’armatura celeste, simboleggiante un coleottero. La struttura totemica era
facilmente riconoscibile dalle piccole zampe poste sui fianchi, dalle ali
chiuse, affisse alla schiena, e soprattutto dall’elmo, con le due zampe rivolte
verso l’alto. Sul pettorale risplendeva un disco dorato, le cui incisioni
attirarono l’attenzione di Virgo, molto più
dell’aspetto fisico dell’uomo, che non aveva niente di significativo.
"Kepri dello Scarabeo Sacro è il mio nome
celeste!" –Rispose l’uomo, con voce piena di dignità e orgoglio.
–"Sono una delle più potenti divinità solari egizie!"
"Kepri?!" –Mormorò Virgo,
ricordando ciò che conosceva. –"Lo Scarabeo Sacro egiziano, simbolo di
rinascita! L'animaletto originale è lo scarabeo stercorario Scarabaeussacer. Nel suo paziente lavoro di far rotolare
nel deserto la palla di letame contenente le sue uova, l'umile insetto
ricordava agli Egiziani l'eterno corso del sole in cielo, per questo veniva
spesso associato a Ra!"
"Io sono
l’aspetto mattiniero del Sole, io sono il Sole che sorge!" –Esclamò Kepri. –"E questi sono i miei servitori, gli Scarabei
Sacri!" –E rivelò migliaia di scarabei dorati, risplendenti come stelle,
che svolazzavano attorno a lui. –"Proprio gli stessi Scarabei che unendosi
a barriera hanno protetto me e i miei guerrieri, e hanno impedito al tuo cosmo
di liberarsi! Sei alla mia mercè, adesso!"
"Interessante
punto di vista! Ne dovremmo parlare!" –Esclamò Virgo,
sollevandosi e mettendosi in piedi sul calice del fiore di loto. Con un gesto
brusco, spostò il bianco mantello, scacciando via come fossero polvere i
coleotteri che gli ronzavano intorno, di fronte agli occhi stupefatti di Kepri.
"Che cosa?!
Ma come puoi farlo? Eri bloccato?"
"Bloccato?
Non mi risulta di essere mai stato in tale situazione!" –Mormorò Virgo. –"Tu piuttosto, fai attenzione! Il sole sta
sorgendo, è tempo che il tuo turno di lavoro inizi!"
"Il mio… ma cosa?!" –Balbettò Kepri,
prima che una luce violenta lo abbagliasse.
Quando riuscì a
riaprire gli occhi, si ritrovò sotto il torrido sole africano, intento a
spingere grandi palle di sterco, dalla rotonda forma simile a quella del sole.
Tutto intorno l’aria era irrespirabile, permeata da un nauseabondo odore, e
migliaia di coleotteri svolazzavano su di lui. Kepri
spingeva le palle di sterco, sudando e ansimando, cadendo spesso a terra, nel
letame che custodiva, e venendo prontamente attaccato da sciami di scarabei che
si posavano su di lui, quasi fossero avvoltoi.
"Bastaaaa!!" –Gridò Kepri.
–"Scarabei Sacri, io vi ho generato, da me siete nati! Noi siamo la stessa
persona! Aiutatemi!" – Ma gli scarabei parvero non udire il suo richiamo,
ronzandogli intorno pesantemente. –"Maledetto!!! Maledetto Virgo!!!" –Urlò, prima di sollevare con rabbia la
grande palla di sterco e gettarla via, verso il sole.
L’illusione cessò
e Kepri si ritrovò all’interno della Sesta Casa, di
fronte al severo sguardo del Cavaliere di Virgo, per
quanto questi continuasse a tenere gli occhi chiusi. Aveva il respiro pesante,
e sentiva un enorme macigno schiacciargli il cuore, ma era ancora vivo e con la
sua armatura indosso, rasserenato per non dover vedere ulteriormente quella
terribile visione.
"Ovvio! Ti ho
fatto tornare io!" –Esclamò Virgo, sorprendendo
ancora Kepri. –"Ti è piaciuto il mondo che hai
visto? Ma è soltanto uno di quelli possibili!"
"Uno dei
mondi possibili?" –Balbettò Kepri, facendo per
la prima volta un passo indietro, mentre il cosmo di Virgo
si ampliava, fino a coprire l’intera stanza.
"Ti mostrerò
sei mondi, Kepri dello Scarabeo, e in uno ti
perderai!" –Spiegò il Cavaliere, giungendo le mani. –"Scegli bene,
perché in quel mondo dovrai trascorrere l’eternità! Volta di Minosse!"
L’attacco colpì in
pieno Kepri, scagliandolo a terra pochi metri
indietro, con il volto disteso sul freddo marmo. Virgo
lo osservò per un momento, prima di dargli le spalle, spostandosi i capelli
dietro le spalle con un gesto di vanitoso snobismo.
"Ecco! È
perso ormai! Ben poco è rimasto, soltanto il corpo, del guardiano dello sterco
egizio!" –Esclamò con disprezzo, avvicinandosi al suo trono a forma di
fiore. –"Misera fine la sua, non lo invidio! Perdersi nei sei mondi di Ade
è disperazione mortale per chi non possiede ali per volare via! Chissà in quale
mondo è caduto? Forse nel terzo, quello degli ipocriti?!"
"Perché non
lo chiedi a me direttamente?" –Esclamò una voce, facendo voltare Virgo di scatto. –"O non hai il coraggio di
confrontarti con me?"
"Vivo?! Come
puoi esserlo? Nessuno è mai sopravvissuto alla Volta di Minosse! Nessuno
può tornare dai sei mondi di Ade dove non batte mai il sole!" –Gridò Virgo, quasi delirante.
"Non mi sono
dispiaciuti i tuoi mondi, Cavaliere di Virgo, ottimi
per una vacanza, ma perdonami se non mi sono trattenuto a lungo, perché grande
era il mio desiderio di affrontarti!" –Ironizzò Kepri,
mentre migliaia di scarabei dorati luccicavano intorno a lui. –"Gli
Scarabei Sacri, che tanto hai disprezzato, chiamandoli guardiani di sterco, mi
hanno ricondotto in salvo! Essi conoscono la via, poiché essi sono la
creazione, il sorgere, il divenire. La rinascita!"
"Avevo
sottovalutato il potere dei tuoi Scarabei!" –Mormorò Virgo.
–"Ma ciò è irrilevante, poiché presto non sarete più!" –E giunse le
mani, radunando il suo cosmo. –"Abbandono dell’Oriente!"
–Gridò, liberando un ventaglio di energia che avvolse Kepri
e i suoi scarabei.
Molti caddero
stecchiti al suolo, ma altri si dissolsero, evitando l’onda di luce. Quando il
bagliore si esaurì, Virgo notò con stupore che Kepri non era più davanti a lui. Per un momento fu vittima
della sua innata sicumera e provò l’irresistibile certezza di averlo sconfitto,
di averlo annientato completamente, ma poi, ragionando con obiettività, ritenne
che fosse improbabile.
"E allora
dove?!" –Si disse, fendendo l’aria con i suoi sensi, prima che centinaia
di Scarabei dorati apparissero attorno a lui. Kepri
comparve al suo fianco poco dopo, nascosto dai suoi coleotteri, che lo avevano
mimetizzato con l’ambiente, rendendolo invisibile persino al Cavaliere di Virgo.
"Scarabei
di Potenza!" –Gridò, e tutti gli Scarabei esplosero, liberando una
violenta quantità di energia, che scaraventò il Cavaliere indietro,
schiantandolo contro il trono e facendolo ricadere a terra. –“Non alzarti,
resta! È a terra il luogo in cui devi stare, tra lo sterco della tua
vita!" –Esclamò Kepri, usando i propri poteri
mentali. –"Scarabei di Visione!"
Virgo tentò di rimettersi in piedi, ma si accorse di essere
invischiato in una maleodorante sostanza molliccia. Un enorme palla di sterco
in cui il corpo del Cavaliere d’Oro stava affondando e ogni movimento che
compieva, seppur lieve, contribuiva a farlo sprofondare ulteriormente. Cercò
allora di usare i suoi poteri mentali, i suoi affinati sensi, per focalizzare
il luogo in cui si trovava e cercare una via per tornare alla Sesta Casa. Ma
non ci riuscì, poiché era come se si trovasse in alcun posto.
Quel maledetto! Mormorò Virgo, agitandosi
per la prima volta. È tutta un’illusione, una stupida illusione, ne sono
certo, come è indiscusso che siamo ancora alla Casa della Vergine! Ma allora
perché? Perché i miei poteri non consentono a me, che sono signore negli
spostamenti dimensionali, di rientrare nel mio Tempio? Che cosa blocca i miei
sensi, invischiando anch’essi in questa fetida melma? Rifletté, realizzando
che forse erano gli Scarabei a bloccare i suoi poteri. Proprio come avevano
fatto per impedirgli di colpire i Guerrieri Egizi poco prima.
Ed infatti il
Cavaliere di Virgo, concentrando i propri sensi,
riuscì a percepire migliaia di presenze attorno a lui, piccoli fari
nell’oscurità che lo circondava, gli Scarabei Sacri con cui Kepri
lo stava tenendo imprigionato.
Cosa fare,
adesso? Attaccare direttamente gli
Scarabei? È una tecnica che si è già rivelata inutile! Come pure inviarli in
un’altra dimensione, poiché sono maestri nello spostarsi tra i mondi, anzi sono
persino la guida di Kepri! Rifletté, iniziando ad
elaborare un piano. La guida di Kepri?! Uhm… E cosa accadesse se egli perdesse la loro guida? Cosa
resterebbe di lui, senza gli Scarabei Sacri? Solamente un lurido sterco!
Esclamò, iniziando a ridere freneticamente.
Immediatamente gli
Scarabei Sacri si avventarono su di lui, per cibarsi della sua energia, ma
inaspettatamente non trovarono resistenza alcuna, poiché Virgo
li lasciò fare. Li lasciò posare sul suo corpo, li osservò risplendere, piccole
stelle guizzanti, sulla sua dorata armatura, e lentamente se ne impossessò,
divorando i loro segreti, ponendoli sotto il controllo del suo cosmo.
"Sarete degli
ottimi servitori del Guardiano della Porta Eterna!" –Mormorò, facendo
esplodere finalmente tutto il suo cosmo. La vischiosa massa di sterco venne
spazzata via e l’Armatura della Vergine risplendette in tutto il suo bagliore,
mentre Virgo, con l’aiuto degli Scarabei Sacri,
attraversava le dimensioni per ritornare alla Sesta Casa.
Kepri, nel frattempo, aveva avvertito una vibrazione nello
spaziotempo e, preoccupato che Virgo potesse
ritornare dal mondo in cui lo aveva inviato, sollevò le braccia, mettendosi
sulla difensiva, pronto per un nuovo confronto con lui, sicuro che non avrebbe
tardato. Ed infatti il Cavaliere della Vergine si risollevò da terra poco dopo,
ma intorno a lui parvero guizzare migliaia di Scarabei.
"Che
significa ciò?" –Gridò Kepri, straniato e
imbestialito. –"Cosa hai fatto ai miei Scarabei?"
"Hanno scelto
il loro servitore, trovandolo in me, Shaka di Virgo, il Guardiano della Porta Eterna di Ade!"
–Esclamò Virgo, con calma imperturbabile.
"Menti!!!
Perché dovrebbero tradirmi? Perché dovrebbero abbandonare il Sole che nasce, a
cui sono legati, con cui formano un tutt’uno?" –E espanse il proprio
cosmo, dalle striature celesti, mentre la possente immagine di un grande
Scarabeo d’Oro apparve alle sue spalle.
Il Cavaliere della
Vergine fece altrettanto, bruciando il suo cosmo dorato e accorgendosi, senza
troppo stupore, che gli Scarabei iniziarono ad allontanarsi dal suo corpo. Adesso
infatti, rientrati nella giusta dimensione spaziotemporale, gli Scarabei Sacri
percepirono il cosmo del loro padrone espandersi al massimo e si ricordarono di
essere a lui intimamente legati. Il potere di Virgo
non riusciva più a tenerli sotto controllo ed essi, liberi di muoversi
autonomamente, tornarono a congiungersi con il Dio che li aveva allevati.
"Scarabei
di Potenza!" –Gridò Kepri, mentre violenti
getti di luce piombarono come fitta pioggia su Virgo,
che per difendersi fu costretto a creare una barriera di energia cosmica,
un’impenetrabile cupola che si chiuse su se stessa. –"Distruggete quella
barriera, miei Scarabei!" –Incitò Kepri, mentre
migliaia di scarabei si posavano sulla cupola, lasciandosi esplodere come bombe
di energia.
Il Kaan sembrò vibrare per qualche istante, come
cristallo sul punto di rompersi, ma alla fine il Cavaliere d’Oro trovò la forza
per reagire, espandendo il cosmo e liberandolo sotto forma di una violenta onda
di luce. Gli Scarabei Sacri furono spazzati via, molti vennero annientati,
alcuni caddero al suolo stecchiti, ma nessuno si salvò dall’onda distruttrice
della Vergine. Anche Kepri, alcuni metri distante,
venne sbalzato indietro dal contraccolpo, sbattendo contro alcune colonne.
Ansimando, il
Guerriero Egizio si rimise in piedi, triste per la perdita dei suoi scarabei e
adirato come mai era stato prima. Detestava il Cavaliere di Virgo,
in ogni modo possibile. Lo detestava perché credeva di essere il migliore, di
essere superiore agli altri, e si atteggiava con tronfia sicumera, trattando il
resto del mondo come esseri inferiori. Lo odiava perché aveva osato
appropriarsi dei suoi animali sacri e adesso che non erano più utili ai suoi
piani li aveva uccisi, sterminandoli tutti. E infine lo odiava perché,
nonostante la violenza e la veemenza dello scontro in corso tra loro, i suoi
capelli parevano non risentirne, continuando a fluttuare lisci e biondi,
simbolo di una pacata tranquillità d’animo che Kepri
voleva distruggere.
"Io… ti uccidoooo!!!" –Gridò,
espandendo il proprio cosmo al massimo.
Violente onde di
energia celeste solcarono l’aria all’interno della Sesta Casa, facendo tremare
muri e colonne, e facendone crollare alcune, mentre Kepri
avanzava verso il Cavaliere della Vergine, il quale, dopo il grande sforzo fatto
per distruggere gli Scarabei Sacri, si era accasciato sulle ginocchia,
ansimando. Con rapidità, Virgo si risollevò in piedi,
preoccupato per l’enorme energia che Kepri stava
riversando fuori, forse superiore a quanto aveva creduto ne possedesse.
"Non avrai
creduto che i miei poteri dipendessero totalmente dagli scarabei, vero?"
–Ghignò Kepri. –"Sarebbe stato sciocco e
pretestuoso!" –E nel dir questo chiuse le braccia al petto, mentre il
disco fissato alla sua corazza si illuminava di luce profonda. –"Disco
d’Oro!" –Gridò, aprendo le braccia.
Una violenta
tempesta di energia si abbatté sulla Sesta Casa, distruggendo il suo interno e
radendo al suolo mura e colonne. Una tempesta che aveva in Kepri
dello Scarabeo il suo epicentro, ed in particolare nel disco dorato che portava
affisso al petto, cuore nevralgico di tutta la sua potenza.
Virgo tentò di difendersi, ricreando la barriera cosmica
con cui aveva fatto fronte agli Scarabei, ma si accorse fin dall’inizio che non
avrebbe resistito a un così grande potere. C’è tutto un universo rinchiuso
in quel disco! Un mondo di rabbia e collera che Kepri
sta riversando fuori, e sta dirigendo contro di me! Rifletté Virgo, mentre il Kaan
andava in frantumi ed egli veniva scaraventato indietro. Si schiantò contro un
muro dove un tempo risplendeva un magnifico mosaico di pietre lavorate,
ricadendo a terra, sbattendo la testa, ed il muro crollò su di lui, mentre la
devastante tempesta di energia non accennava a diminuire di intensità.
"Allora, come
ti senti, bestia? Come ci si sente ad avere la faccia finalmente a terra?"
–Esclamò Kepri, avvicinandosi e sghignazzando come un
folle. –"Ed io che credevo che le Sante Vergini si prostrassero soltanto
di fronte al loro Signore! Uah ah ah!"
"Non…parlare… di cose che non
conosci!" –Disse Virgo, rimettendosi a fatica in
piedi, liberandosi dai detriti. –"Solo gli eretici deridono le dottrine
altrui, e questo non si addice ad un guerriero, la cui missione in battaglia
non dovrebbe mai portarlo ad offendere culti diversi dal proprio!"
"Proprio tu
vuoi darmi una lezione di tolleranza, maledetto ipocrita?!" –Gridò Kepri, avvicinandosi e aumentando l’intensità della
tempesta di energia. Sollevò il braccio destro avanti a sé, stringendo le dita
della mano, osservando Virgo venire sollevato dai
suoi poteri mentali e sbattuto contro il muro, mentre una forza invisibile
stringeva sul suo collo, facendolo soffocare. –"Hai rispettato tu il mio
culto, definendomi un guardiano di sterco?" –E strinse ancora la presa,
mentre tutta l’Armatura della Vergine tremava, abbandonandosi a sinistri
cigolii. –"Muori, miserabile superbo!" –E lo scaraventò con forza
contro un muro, facendolo schiantare nella parete, che crollò presto su di lui.
"Aaah! Quale soddisfazione!" –Gridò Kepri,
osservando Virgo liberarsi dalle macerie franate.
–"Guardami Upuaut! Guarda il guerriero che hai
guidato ad Atene! Da solo sarei capace di piegarla tutta, come ho fatto con
costui, che ha abbassato la cresta, incapace di tenerla alta di fronte a
me!"
"Devo… fermarti!" –Mormorò Virgo,
rimettendosi in piedi. –"Adesso!" –E si incamminò verso Kepri, aumentando il suo cosmo, spingendolo oltre i limiti
dell’universo.
"E credi di
esserne capace?" –Ironizzò Kepri, sollevando
nuovamente la sua devastante tempesta di energia. –"Non hai la forza per
opporti al Disco del Sole! Chinati di fronte ad esso, o sarai spazzato
via!!" –Ed aumentò l’intensità della tempesta, dirigendola interamente
contro il Cavaliere di Virgo.
Ma Virgo quella volta non cedette. Non aveva alcuna intenzione
di farlo. Non poteva farlo. Ricreò il Kaan e
mise tutto se stesso, tutto il cosmo che era capace di trovare dentro di sé,
per opporsi al nemico. La barriera di energia vibrò come un cristallo,
scricchiolò più volte, ma non cedette, rimanendo al suo posto, proprio come Virgo, salda quercia in mezzo alla tempesta. Kepri, adirato per un simile atteggiamento di sfida, lanciò
al massimo il suo attacco, certo che solo con la distruzione di uno dei
contenenti quello scontro avrebbe potuto avere fine.
"Disco d’Orooo!" –Gridò, portando entrambe le mani avanti e
riversando nella tempesta di energia tutta la potenza del suo cosmo.
Virgo, stufo ormai di resistere, espanse il proprio cosmo
fino al massimo, resistendo a quella tempesta devastante e riuscendo infine a
rispedirla indietro. Nel bel mezzo di quel titanico sforzo, il Cavaliere d’Oro
aprì gli occhi, e con l’azzurro della sua iride fissò Kepri
per la prima volta.
"Ultima
luce dell’Oriente!" –Gridò, liberando l’immenso potere che teneva
dentro, e che finora non aveva utilizzato.
La Luce
dell’Oriente e il Disco del Sole si scontrarono per qualche minuto,
mentre l’interno della Sesta Casa veniva devastato da quel terrificante scontro
di energie cosmiche, finché la prima non riuscì a prevalere sul secondo,
seppure a stento. Il Disco d’Oro parve impallidirsi, indebolito anche
dall’assenza degli Scarabei Sacri, e la Luce dell’Oriente lo inglobò,
avvolgendolo al suo interno. Vi fu una abbagliante esplosione di luce e poi
tutto finì.
Virgo si rialzò a fatica. Il contraccolpo lo aveva scaraventato
indietro, fino a farlo schiantare contro il muro che segnava il confine con i
giardini di Sala. Il massiccio portone d’ingresso si ergeva poco distante, ma Virgo, con un sorriso, ritenne che non era ancora giunto il
momento di varcare quella soglia. Ma non avrò timori, quando tale giorno
arriverà! Si disse con fierezza, rimettendosi in piedi. Camminò a passo
lento e stanco fino a tornare alla sala centrale della Sesta Casa, ridotta
ormai ad un cumulo di pietre e rocce franate, simbolo di un’immensa
devastazione. Il corpo inerme di Kepri giaceva poco
distante dal trono a forma di fiore di loto, svuotato ormai di ogni energia.
L’Armatura era distrutta, e le ali degli Scarabei erano spezzate. Non avrebbero
più volato. Non in questa vita, almeno! Ironizzò, coprendo il corpo del
suo avversario con il mantello bianco.
Nonostante la
vittoria, il Cavaliere della Vergine non riusciva a gioire, poiché molti erano
stati per lui i motivi di apprensione. Aveva vinto, questo è vero, ma a prezzo
di un enorme sforzo, che mai si sarebbe aspettato di sostenere. E anche la
battaglia lo aveva lasciato con l’amaro in bocca, per le ostili parole che gli
erano state rivolte. Era stato debole, troppo debole, al punto di permettere a Kepri di prendere il controllo della situazione per ben due
volte, sia con l’aiuto dei suoi Scarabei che senza, ed una situazione simile
non avrebbe più dovuto presentarsi. Nessun nemico avrebbe più dovuto ferirlo o
colpirlo, o semplicemente osare contrastarlo.
"Questa
battaglia mi ha spossato!" –Commentò. –"Tornerò in India, al mio
tempio in UttarPradesh,
per meditare! Con l’aiuto del Buddha troverò la forza per accrescere i miei
poteri e vincere i miei avversari, senza incorrere in tali distruzioni! Porterò
con me anche dei giovani, per farne i miei allievi, coloro che un giorno
diffonderanno la mia parola e i miei insegnamenti: i discepoli di Virgo!"
Dopo aver
affrontato Onuris, Ioria
e Albione avevano ripreso a camminare nel deserto africano, puntando su
Tebe, stringendo i denti nonostante le ferite che avevano subito. Ioria era stato ferito all’avambraccio sinistro
dall’acuminata punta della Lancia da Guerra del Guerriero Distruttore di
Nemici, mentre Albione aveva l’Armatura, meno resistente di quella del Leone,
danneggiata in più punti, soprattutto sul petto, e una delle sue catene era
andata in frantumi.
"Per quanto
si autorigenerino, le Catene di Cefeo hanno bisogno di tempo!" –Mormorò Albione.
–"Non credo che riuscirò ad utilizzarle nuovamente in questa guerra!"
"Non
preoccuparti!" –Lo rassicurò Ioria, continuando
ad avanzare. –"Saprò proteggere anche te!"
"Non crederai
che i miei poteri si limitano alle catene?" –Ironizzò Albione, prima che Ioria gli facesse cenno di tacere.
Fermatosi bruscamente,
Ioria tese i sensi, sentendo una forte vibrazione
cosmica provenire da molto distante, in linea d’aria. In quel momento infatti
Micene stava affrontando i Soldati del Sole nel Viale delle Sfingi di fronte al
Tempio di Karnak. Istintivamente Ioria aumentò la
propria andatura, preoccupato per il fratello, incitando Albione a fare
altrettanto.
Non riuscirono a
percorrere neppure mezzo chilometro che dovettero arrestarsi bruscamente,
perché il terreno circostante sembrava opporsi nuovamente a loro. Immense
colonne di sabbia sorsero intorno ai due Cavalieri, turbinando vorticosamente
su loro stesse, quasi fossero piccoli mulinelli, prima di piegare la loro testa
e dirigersi come serpenti su Ioria e Albione.
Il Cavaliere
d’Argento cercò di disporre la catena rimastagli a difesa ma Ioria capì che sarebbe stata inutile, così lo afferrò per
un braccio, gettandosi di lato, sperando di evitare il crollo di quell’immensa
valanga di sabbia. Vi riuscì soltanto in parte e i due vennero comunque
sommersi dalla rena, dovendo faticare un po’ per riemergere dal terreno.
"Puah..." –Brontolò Ioria,
affacciandosi con la testa all’aria aperta.
"C’è qualcosa
di strano!" –Esclamò Albione, ansimando accanto a lui. –"Questa
sabbia... ci sta trattenendo! È come se fosse viva!"
"Cosa?!"
–Mormorò Ioria, prima di rendersi conto che il
Cavaliere d’Argento aveva ragione.
Nonostante
l’apparente semplicità, il ragazzo non riusciva a muoversi liberamente, venendo
quasi stretto, soffocato, da quel caldo ammasso di granelli di rena. E Albione,
al suo fianco, anch’egli immerso fino al collo, faticava altrettanto, forse
anche più di lui, che comunque era protetto dall’Armatura d’Oro. Stanco di
giocare, Ioria espanse il cosmo, liberando una
violenta esplosione di luce che fece piazza pulita della sabbia che avevano
intorno, permettendo ai due Cavalieri di liberarsi e rimettersi in piedi. Ma la
sabbia spazzata via da Ioria non si disperse nel
vento, ricomponendosi davanti ai loro occhi e assumendo la terrificante sagoma
di un guerriero.
"Ma... che
diavolo è?!" –Brontolò Ioria, osservando il
singolare evento.
"Sabbia
animata?!" –Rifletté Albione, tirando un’occhiata alla Catena. Non
emetteva alcuna vibrazione, quindi, dal canto suo, quel nemico non esisteva,
non era percepito dalla catena.
"Non guardare
i tuoi catenacci, Cavaliere! Non sono arma adatta per affrontare le sabbie del
Sahara!" –Esclamò una voce, profondamente gutturale.
Ioria e Albione sgranarono gli occhi stupefatti. Non
soltanto la sabbia si era modellata assumendo la forma di un guerriero, ma tale
guerriero parlava e si muoveva, proprio come se fosse un essere umano. La sua
altezza era superiore ai tre metri ed aveva grosse gambe e braccia robuste,
ricoperte da una corazza scura, senza fregi particolari. Il viso era rude, con
due grossi e tondi occhi neri, che li fissavano con determinazione.
"Chi
sei?!" –Gridò Ioria, incredulo dell’esistenza di
un essere simile.
"Il
custode delle sabbie del Sahara! Colui che fermerà la vostra corsa verso
Tebe!" –E nel dir questo l’uomo fatto di sabbia allungò le braccia verso i
Cavalieri di Atena, rimasti attoniti di fronte a quell’inusuale personaggio,
incapaci di comprendere cosa stesse accadendo. Le braccia del guerriero
cambiarono forma, diventando più tozze, assumendo la forma di un rozzo martello,
che li colpì in pieno, scaraventandoli entrambi indietro. Nell’urto Ioria perse l’elmo della sua corazza.
"Ma non è
possibile! Costui è realmente fatto di sabbia! E può modellare il proprio corpo
a suo piacimento!"
"Cosa c’è,
ragazzino? Non ti piaccio?" –Ironizzò il guerriero. –"Posso mutare
forma, se preferisci!"
Non ebbe terminato
neppure la sua frase che già il suo corpo aveva iniziato a sfaldarsi, come un
castello di sabbia che crolla, ricomponendosi all’istante sotto forma di una
gigantesca fiera. Una bestia dalle affilate zanne, che molto ricordava una
tigre. Senza aspettare un attimo, la fiera si gettò avanti, caricando Ioria, che era di fronte a lui.
Il Cavaliere d’Oro
seppe evitare il primo assalto, spostandosi di lato, ma non si accorse della
coda della bestia, che si insinuava tra le sue gambe, afferrandolo per il
braccio destro e sbattendolo a terra. Quindi gli fu sopra, bloccandolo al
suolo.
"Ehi, uomo di
sabbia!" –Lo chiamò Albione, lanciando la Catena di Cefeo
contro di lui. L’arma si arrotolò intorno al collo della fiera, formando un
cappio, ma quando Albione tirò per strangolarla si accorse di aver afferrato
soltanto sabbia sfusa. –"Incredibile!" –Mormorò, mentre la fiera
continuava a pressare Ioria.
"Uaaaah!" –Gridò il Cavaliere di Leo, schiacciato
dall’enorme mole della fiera di sabbia. Concentrò il cosmo sul pugno destro e
lo portò verso l’alto, facendolo stridere sul petto della bestia, che al
contatto si allontanò, balzando in alto e modificando nuovamente le proprie
forme, ricreando il Guerriero di Sabbia. –"Sei una creatura grottesca! Ma
ti combatterò comunque, se hai intenzione di fermarci! Per il Sacro Leo!"
–Esclamò Ioria, creando il suo reticolato di luce,
che mosse ad altissima velocità contro il Guerriero Egizio.
Questi stupì
ancora una volta i Cavalieri di Atena, modificando nuovamente la sua forma fino
a trasmutarsi in centinaia di frecce di sabbia, che sfrecciarono nel labirinto
di luce creato da Ioria, senza venir toccate dai
raggi distruttivi, o venendo raggiunte soltanto di striscio. Puntarono sul
Cavaliere d’Oro e lo sbatterono al suolo, tentando di penetrare l’Armatura
d’Oro, la cui resistenza era comunque infinitamente superiore alle loro
possibilità.
"Attento, Ioria!" –Gridò Albione, osservando la sabbia modellarsi
nuovamente e ricreare il guerriero egizio, che afferrò Ioria,
stritolandolo. Gli lanciò nuovamente contro la sua catena ma essa continuò a
rivelarsi inutile. –"Niente da fare! Gli attacchi fisici con lui non
funzionano! Ha il potere di cambiare forma all’istante!" –Rifletté
Albione, mentre Ioria espandeva il proprio cosmo
lucente, fino ad abbagliare l’intero spiazzo circostante con una violenta
esplosione di luce, che spazzò via il gigante di sabbia, disperdendolo in
milioni di granelli.
Liberatosi dalla
stretta, Ioria fu affiancato da Albione, che aveva
elaborato una teoria a proposito, ma non ebbero tempo per conversare che
dovettero fronteggiare il nuovo assalto del Custode delle Sabbie del Sahara,
sotto forma di un mulinello di sabbia che risucchiò i due Cavalieri al suo
interno.
"Questo
avversario è assurdo!" –Borbottò Ioria, mentre
cumuli di sabbia cadevano sul suo viso, disturbandogli la visuale.
"Aggrappati
alle mie spalle, ti tiro fuori da qui!" –Esclamò Albione con decisione.
Lanciò la catena in alto, fuori dal mulinello di sabbia, ma si accorse di non
riuscire a trovare un appiglio, poiché tutto il deserto, tutta la sabbia,
pareva sfuggirgli, crollando all’interno del vortice. –"Maledizione!"
"Uahahah!" –Ghignò la voce del guerriero, mentre
centinaia di occhi apparvero nel vortice di sabbia in cui stavano sprofondando
i due Cavalieri. –"È una delizia vedervi impotenti!" –E iniziò a
chiudere il vortice, stringendo la presa sui due, per farli soffocare.
"Umpf! Mi prendi proprio per un ragazzino, eh?!"
–Brontolò Ioria, stufo di tutta quella sabbia.
Afferrò Albione per un braccio e iniziò a correre verso l’alto, senza toccare
il suolo, poiché ogni volta che poggiava un piede, questo veniva inghiottito
dal mulinello di sabbia. Con notevole sforzo, riuscì ad uscire dal vortice e a
portare Albione con sé. –"Sono pur sempre un Cavaliere d’Oro, Custode
delle Sabbie! Anche se forse non ho ancora accettato il mio ruolo!"
–Aggiunse, riflettendo, mentre il Guerriero Egizio ritornava al suo aspetto di
combattente, ritto in piedi di fronte a loro.
Ioria lo osservò per un momento e, sebbene gli sembrasse
strano, trovò che era più basso rispetto a quando si era presentato loro la
prima volta. E Albione confermò i suoi pensieri.
"È ciò che
stavo notando anch’io! Per quanto in minima proporzione, la sua mole si sta
riducendo! Anche se non so a cosa sia dovuto questo fenomeno!"
Il Guerriero
Egizio, che aveva udito i loro discorsi, piegò il capo, quasi dispiaciuto, e
diede conferma alle loro supposizioni. –“La mia struttura molecolare non è
definitiva! Posso scompormi a mio piacimento, assumere la forma di tutto ciò
che desidero, ma non ho il potere di ricreare autonomamente la sabbia di cui
sono composto!"
"Chi ti ha
creato?" –Domandò Albione. –"Non ho mai sentito di creature
leggendarie tuoi simili che popolino questi luoghi dell’Africa!"
"Non vengo
dalla leggenda, ma dal mondo attuale! Ero un soldato egiziano che aveva
combattuto nella Guerra dei Sei Giorni, nel 1967! Deluso dalla guerra e dal
mondo di oggi, dove si combatte senza sapere perché, ho abbandonato la mia
città, vagando nel deserto per anni, vivendo con i beduini e dedicandomi alla predoneria, quando necessario per vivere! Quando Seth
rastrellò le oasi, alla ricerca di soldati per il suo nuovo esercito,
l’esercito che avrebbe dovuto risollevare le sorti di un Egitto decadente e
abbandonato, accettai e diventai l’esperimento 27!"
"E… esperimento?!" –Balbettarono Ioria
e Albione.
"Non
disponendo di un esercito di guerrieri dotati di cosmo, con cui affrontare
Atene, Seth ha cercato di crearlo in laboratorio, nei sotterranei della
Piramide Nera, donando a noi forze e poteri sovrannaturali! Io fui scelto per
l’Esperimento 27, che prevedeva la fusione con la sabbia, la creazione di un
corpo in grado di scindersi in migliaia di particelle e ricomporsi a suo
piacimento!"
"Ma... è
orribile!" –Esclamò Albione, schifato.
"Orribile?!
No! È stato intrigante! È stato un piacere mettere la mia vita al servizio del
Dio Seth, collaborare ai suoi esperimenti per sviluppare il potenziale
umano!"
"Il cosmo non
si crea in laboratorio, Gigante di sabbia!" –Esclamò Ioria.
–"Ma è il risultato di anni di addestramento, dedizione, sacrificio,
passione, fede in un ideale! Un cuore ardente che risplende nell’animo di tutti
noi Cavalieri di Atena! Che ci fa lottare fino allo stremo delle forze per i
nostri ideali e per le persone che ci sono care!" –Aggiunse, lasciando
volare la mente al suo adorato fratello. –"Pensare di ricreare tutti
questi sentimenti in laboratorio è pretestuoso e superficiale! E, sai una cosa,
credo sia anche fallimentare!"
"Come osi,
stupido ragazzino?" –Gridò il colosso di sabbia, allungando le mani avanti
a sé, fino a creare due martelli di sabbia che abbatté su Ioria,
il quale però fu abile a schivarli entrambi e a portarsi sotto di essi,
scagliando un devastante Sacro Leo in pieno petto del Gigante.
La sabbia che fu
colpita dall’attacco di Ioria andò letteralmente in
fumo, disintegrata dall’esplosione di luce che l’aveva investita, mentre la
rimanente modificò la propria forma, diventando un sinuoso serpente che
stritolò il corpo di Ioria, cingendo con forza
intorno al suo collo.
"Sputi ancora
sentenze, ragazzino?" –Ghignò il guerriero, stritolando Ioria con le sue sinuose forme.
"Maledizione!"
–Esclamò Albione preoccupato e si mosse per correre in aiuto dell’amico, ma un
turbinio di sabbia si avvinghiò attorno alle sue gambe, sbattendolo a terra,
prima di stringerlo a sua volta dentro pressanti spire. –"So...
soffoco." –Balbettò, mentre la pressione diventava insostenibile.
Improvvisamente un
raggio di luce, sottile come uno spago, comparve sulla sabbia che stava
stritolando Ioria, inclinato verso destra, attirando
l’immediata attenzione dei tre contendenti. Fu un attimo e il raggio esplose,
liberando una violenta energia cosmica che permise a Ioria
di divincolarsi dalla morsa del Gigante di Sabbia, obbligato a rimodellarsi e
ad assumere nuovamente la sua forma fisica, lasciando libero anche Albione. Ma
il Guerriero Egizio non fece in tempo ad analizzare la situazione che nuovi
fasci di luce caddero su di lui, come incandescente pioggia di stelle, come
dorati fendenti che trinciavano con forza la sua sabbia, nei punti in cui essi
vi venivano a contatto.
"Aaargh!" –Gridò il guerriero, sollevando una violenta
tempesta di sabbia, per disorientare i propri avversari e per recuperare il
controllo sulla sua struttura molecolare.
Quando la tempesta
si placò, poté vedere con sorpresa, e con una certa inquietudine, la presenza
di un terzo Cavaliere, ricoperto da luminose vestigia, che si ergeva proprio in
mezzo a Ioria e Albione. Un Cavaliere donna! Mormorò
il guerriero, osservando le fattezze affascinanti della nuova arrivata. Doveva
avere tredici anni, non di più, e non era affatto alta, ma le sue forme erano
perfette e aderivano sinuosamente all’armatura che la ricopriva: dorata, dalle
lucenti sfumature bianche e dalle forme aerodinamiche. Aveva un viso delicato
ma fiero, un caschetto di capelli castani e due occhi azzurri come il mare. In
mano stringeva una spada, lunga e ben rifinita, ancora carica dell’energia
cosmica che aveva emanato.
"Chi
sei?" –Tuonò il gigante, e probabilmente la stessa domanda se la posero
anche Albione e Ioria.
"Sono Reis di Lighthouse,
Cavaliere di Luce!" –Rispose la ragazza, con aria decisa. Quindi
spostò lo sguardo su Ioria, per chiedergli come
stesse.
"Be… Bene!" –Balbettò il ragazzo, quasi affascinato
dall’apparizione angelica della giovane combattente. Quindi si riprese,
cercando di non farsi vedere timido o titubante, di fronte ad una ragazza.
–"Lo avrei finito comunque! Ma grazie per il tuo aiuto!"
"Oh!"
–Sorrise Reis, all’aria imbronciata del Leone Dorato.
–"Non ho alcun dubbio al riguardo!"
"Credo che
ogni forma di aiuto sia ben accetta!" –Intervenne Albione. E Reis annuì con un sorriso.
"La luce
intensa, la rovente energia cosmica, lo ferisce come il taglio di un’affilata
spada! Questo è ciò che maggiormente lo danneggia! Dobbiamo annientare le sue
sabbie! In questo modo non potrà più ricomporsi!" –Esclamò il Cavaliere di
Luce, prima di scattare avanti, brandendo la sua arma. –"Spada di Luce!"
–E migliaia di fendenti schizzarono avanti, cadendo come fitta pioggia di lame
contro il Gigante di Sabbia, che in parte venne raggiunto, prima di riuscire a
mutare la sua composizione e a immergersi nel terreno, mescolandosi alla sabbia
antica del deserto. –“Vieni fuori e combatti, vigliacco!"
"Come
comanda, signorina!" –Ironizzò il gigante, la cui voce sembrava provenire
dal deserto.
Affilati spuntoni,
simili a punte di un istrice, emersero dal sottosuolo, dirigendosi verso i tre
Cavalieri, che dovettero dividersi e scattare in ogni direzione per non essere
feriti.
"Catena di
Cefeo!" –Gridò Albione, lanciando la sua
arma. La arrotolò in cima ad uno spuntone, mozzandone il capo, e la usò come
appoggio, quasi fosse una liana, per lanciarsi contro gli altri spuntoni,
colpendoli a metà, evitando così le affilate punte.
Anche Ioria saltava continuamente da un punto all’altro, evitando
di farsi colpire e lanciando fulmini lucenti contro le acuminate cime degli
spuntoni di sabbia. Ma Reis era colei che
maggiormente sembrava a suo agio, muovendo a destra e a manca la sua Spada
di Luce, fendendo l’aria e la sabbia con la sua rovente lama, come un
boscaiolo spacca la sua legna. Non si avvide però di uno spuntone che emerse
dietro di lei, mirando a colpirla alla schiena, ma Ioria,
che se ne accorse, si buttò su di lei, facendola rotolare a terra, deviando il
colpo con la sua Armatura d’Oro.
I due scivolarono
nelle conche di sabbia che si aprivano ogni volta che da terra sorgevano nuovi
spuntoni, cercando di non fermarsi mai, poiché se lo avessero fatto una nuova
punta li avrebbe raggiunti dal basso. Un turbine di sabbia li travolse,
scaraventandoli a terra, stretti l’uno nell’altra.
"Spero non ti
dispiaccia!" –Ironizzò Ioria, con sguardo
languido. Ma Reis non rispose, rialzandosi e
concentrando il cosmo nella Spada di Luce. Con tutta la forza che aveva
la piantò in terra, mentre uno spuntone di sabbia nasceva sotto di lei,
imprimendovi tutto il suo cosmo, caricando l’intera spianata di guizzanti
folgori lucenti che percorsero la sabbia del Guerriero Egizio, sfiancandolo.
Quando ebbe
terminato, si accasciò sulle ginocchia, anch’ella esausta, e Ioria le fu accanto per aiutarla a rimettersi in piedi.
Albione li raggiunse poco dopo, mentre il Guerriero di Sabbia assumeva
nuovamente le sue forme umane, la cui mole si era enormemente ridotta. Ormai
sembrava un uomo come Albione o come Micene, e anche il suo aspetto non
incuteva più paura. Ciò nonostante i suoi poteri erano sempre temibili ed
ostici da affrontare, per questo Reis si rimise
subito in piedi e propose di attaccarlo tutti insieme all’istante.
"La luce del
nostro cosmo lo incenerirà!" –Gridò, impugnando la Spada, dritta avanti a
sé.
"Sono con
te!" –Esclamò Ioria, concentrando il cosmo sul
pugno destro.
"Spada di
Luce!" –Gridò Reis, scagliando migliaia di
fendenti a una velocità quasi pari a quella della luce. –“Ascolta il ruggito del
re! Per il Sacro Leo!" –Urlò Ioria, completando l’opera.
Il corpo del Guerriero
di Sabbia, dilaniato dai fendenti di Reis, venne
raggiunto in pieno petto dalla luminosa sfera energetica di Ioria,
che esplose, annientando completamente la sabbia del Gigante Egizio. I due
ragazzi si guardarono soddisfatti, felici per la loro azione congiunta.
"Un ottimo
lavoro di squadra!" –Ironizzò Reis, il cui viso
parve addolcirsi, rispetto alla serietà che aveva dimostrato finora.
"Questo è vero… ma sono certo che lo avre..."
–Esclamò Ioria, ma Reis lo
interruppe di nuovo.
"Hai qualche
difficoltà ad accettare aiuto dagli altri, Cavaliere d’Oro di Leo?"
"Veramente
intendevo dire... che lo avresti vinto da sola!" –Esclamò Ioria, sorprendendo la ragazza. Quindi le sorrise,
voltandole le spalle e facendo cenno ad Albione di rimettersi in cammino.
"Aspetta un
momento, Ioria!" –Esclamò Albione. –"Io
vorrei sapere qualcosa di più sulla nostra graziosa salvatrice! Non essere
orso!"
"Non è un
orso, Albione di Cefeo! È un uomo, il che è
praticamente la stessa cosa!" –Ironizzò Reis.
"Tu conosci
il mio nome?"
"Non soltanto
il vostro!" –Disse Reis, cercando lo sguardo di Ioria. Che continuava a guardare avanti a sé. –"Il
nostro incontro non è casuale ma non abbiamo tempo di fare conversazione! I
vostri compagni hanno bisogno di voi!"
"Giusto!
Dobbiamo correre a Tebe!" –Esclamò Albione, facendo un cenno a Ioria.
"Fate
attenzione, Cavalieri di Atena! Una fitta ombra è scesa su Tebe, così fitta che
il sole non riesce a scendere al suo interno! Chissà quali oscuri segreti
nasconde il Dio Seth nei terrificanti sotterranei della Nera Piramide, quali
altri abominevoli esperimenti ha osato ordire per inquinare la vita?!"
–Mormorò Reis, quasi tra sé. –"Ma voi dovete
scendere comunque al suo interno, trovare la sala di Anubi
e liberare due vostri compagni, che il Dio ha rapito un’ora fa!"
"Due nostri
compagni?" –Esclamò Ioria, subito preoccupato.
–"Eurialo! Niso!"
"Prigionieri
della Pesatura dell’Anima sono stati fatti e soltanto una forza esterna potrà
liberarli!" –Precisò Reis, incitandoli a
correre. –"Molti destini dipendono da questa guerra! Pur nella sua
complessità, essa è soltanto una pietra della valanga di tenebra che sta per
crollare sul mondo!"
"Riusciremo
ad arginarla in tempo!" –Esclamò Ioria,
fissandola con sguardo fermo e deciso.
"Grazie,
principessa!" –Sorrise Albione, prima di scattare avanti, prontamente
seguito da Ioria.
Quando furono
lontani qualche centinaia di metri, Ioria si voltò
indietro, sperando quasi di vederla là, in cima alla duna di sabbia dove si
erano incontrati, dove i loro sguardi si erano incrociati ed in segreto si
erano comunicati sentimenti ed emozioni che nessun’altro avrebbe potuto rubare
loro. Ti rivedrò? Mormorò Ioria, sperando che Reis ricevesse il suo messaggio. Ma le sue speranze si
persero nel vento, lasciandogli una sconfinata malinconia dentro al cuore.
Ioria e Albione corsero a perdifiato per le dune sabbiose,
avvicinandosi in fretta alla città di Tebe, la stessa in cui Gemini e Capricorn erano arrivati giorni prima. Il paesaggio iniziò
a mutare e apparvero costruzioni sporadiche e una qualche forma di vegetazione,
prima di giungere alla vera città, il cuore pulsante dell’Egitto: Uasit, o Pi Amon, la casa di Amon, ovvero la maestosa Tebe.
"C’è
battaglia all’interno!" –Esclamò Albione, sentendo grida furiose e
violente vampate di energia cosmica accendersi periodicamente.
Raggiunsero
l’ingresso della città, trovando una gran massa di soldati egizi massacrati, i
cui corpi giacevano disordinatamente lungo la strada e ai margini, segni
evidenti di una colluttazione recente. Senza esitare, infilarono lungo la via
principale, diretti verso la Piramide Nera, il cui oscuro riflesso veniva
proiettato tutto intorno, e là, ai piedi della grande costruzione, trovarono un
violento scontro in atto, tra il Cavaliere di Cancer e i Soldati del Sole Nero.
"Cancer!"
–Esclamò Ioria, osservando il Cavaliere lanciarsi
senza remore contro i guerrieri egizi. Evitò abilmente i loro affondi,
colpendoli con pugni e calci, prima di tagliare loro la testa con le chele
affilate della sua armatura.
"E con questi
siamo a trentasette!" –Commentò il Cavaliere di Cancer, prima di
rivolgersi ai due compagni. –"Ve la siete presa comoda, eh? E tuo fratello
è sparito! Cos’è, ha avuto un attacco di panico ed è tornato in Grecia?!"
Ioria nel sentire quelle parole si infervorò immediatamente
e fece per rispondergli, ma Albione gli afferrò un braccio, pregandolo di
rimanere calmo e di non perdersi in stupidi litigi.
"Hai una
missione più importante di cui occuparti, Cavaliere di Leo! Devi salvare Eurialo e Niso, prigionieri del
Dio Anubi!" –Gli ricordò Albione, mettendogli
una mano su una spalla e incitandolo a proseguire. –"Io terrò a bada i
Soldati egizi… anche se questo significherà subire la
compagnia di Cancer!" –Ironizzò, prima di bruciare il proprio cosmo e
lanciarsi avanti. Liberò la Catena di Cefeo
che rapida sfrecciò nell’aria, avvolgendosi al braccio di un Guerriero Egizio,
che perse la presa della sua spada, e liberando violente scariche di energia
cosmica.
Ioria approfittò di quell’occasione per sfrecciare in mezzo
alla moltitudine di soldati posti a difesa della Piramide Nera, come un fulmine
dorato, stridendo sulle loro carni e infiammandole. Con un balzo fu davanti al
portone, di un materiale scuro, protetto da una decina di Soldati del Sole
Nero, ma non si perse d’animo, concentrando il cosmo sul pugno destro e
scagliando un devastante attacco da distanza ravvicinata. La sfera di luce
dilaniò le carni dei soldati egizi, abbattendo il portone blindato della
Piramide Nera, dal cui interno emerse una fioca luce, per niente rassicurante.
Ioria si voltò un’ultima volta verso il piazzale
antistante, dove Albione con la sua Catena e Cancer con i suoi pugni violenti
stavano contrastando il centinaio di Soldati del Sole Nero che si erano
avventati loro contro, quindi si lanciò all’interno della Piramide Nera,
vagando nei corridoi infiniti del suo basamento. Non aveva idea su dove andare,
né riusciva a capire come raggiungere i sotterranei, non trovando scale o mappe
dell’interno che potessero essergli di aiuto. Abbatté una pattuglia di Soldati
del Sole Nero, incontrata per caso all’interno della Piramide, prima di
lasciarsi cadere a terra, stanco e sconfortato. Lui non era Micene, non si
sentiva affatto suo fratello! Era solo un bambino e non sapeva come comportarsi,
non aveva ancora le capacità e le conoscenze per una simile impresa! Come
posso trovare Eurialo e Niso?
Si disse, battendo i pugni sul pavimento.
Improvvisamente
una voce gli rispose, parlando alla sua anima e sussurrandogli di usare il
cosmo.
"Il cosmo è
la via per tutto, Ioria! Credevo di avertelo
insegnato! È la luce capace di illuminare ogni ora buia della nostra vita!
Affidati al cosmo e troverai la strada!"
"Micene!"
–Mormorò il ragazzo, rimettendosi in piedi, con il sorriso sul volto. Chiuse
gli occhi, lasciando espandere lentamente il suo cosmo, lasciandolo scivolare
lungo i corridoi della Piramide Nera, fino ad esplorare i suoi reconditi
sotterranei. –"Li ho trovati!" – Si disse, percependo le debolissime
emanazioni cosmiche dei due amici. Provenivano proprio da sotto di lui.
Come un fulmine,
scivolò nei corridoi della Piramide Nera, trovando le scale per discendere al
livello sotterraneo, attirato dal cosmo dei due Cavalieri. Ma quando vi giunse,
un triste spettacolo si palesò ai suoi occhi: Eurialo
e Niso giacevano seminudi, e con il corpo segnato da
mille ferite, su un piatto di un’immensa bilancia nera, sul cui muro
retrostante antichi geroglifici erano stati disegnati. Sull’altro piatto, in
posizione più elevata, vi era un’unica misera piuma: la piuma di Maat.
Di fronte alla
bilancia, in piedi in mezzo allo stanzone sotterraneo, si ergeva un uomo, molto
alto e dalle forme animalesche. Indossava una tunica grigia e blu, rifinita di
decorazioni dorate, e reggeva in mano un lungo bastone d’oro. Il viso aveva
forma canina, quasi di sciacallo, con pelle grigia e consumata, ed un caschetto
di capelli violacei.
"Sono il
Dio Anubi, giudice dei defunti! Chi sei tu, uomo
impuro, che osi interrompere la Pesatura dell’Anima?"
CAPITOLO
VENTIQUATTRESIMO: LA SFINGE E IL TRIANGOLO.
Al Grande Tempio i
soldati di Atena stavano cercando di ricacciare gli ultimi guerrieri egizi,
riuniti di fronte all’ospedale. Erano guidati da una donna dalla nera armatura,
le cui animalesche sembianze le avevano tolto ogni barlume di femminilità,
lasciando soltanto una fiera da guerra. Per difendere i feriti e gli
inservienti, un Cavaliere era intervenuto, ferendo i soldati del Sole Nero con
triangoli argentati. Biondo, con una lucente armatura blu, Noesis
del Triangolo fu salutato come un salvatore dalla ressa di indigenti e
servitori di Atena che accalcavano l’ingresso dell’ospedale.
"State
indietro! Trovate un riparo, dove nascondervi!" –Si rivolse il Cavaliere
d’Argento alla folla.
"Nessun
riparo vi proteggerà dalla mia furia!" –Sibilò la donna che guidava la
pattuglia di Guerrieri Egizi, fissando con occhi irati il Cavaliere di Atena.
Questi la osservò,
non nascondendo un certo stupore, misto ad orrore, per le sue grottesche forme.
Era una donna di media altezza, con un caschetto di arruffati capelli neri e un
viso scialbo e poco curato, dai tratti maschili. Il suo corpo era ricoperto da
una scura corazza, dai riflessi violacei, che rappresentava senza ombra di
dubbio uno dei simboli più tipici della mitologia egizia: la Sfinge. Una
creatura antropomorfa con corpo da leone e viso da donna.
"Hai finito
di guardarmi?" –Ringhiò la donna. –"O non hai mai visto una donna in
vita tua?!"
"Per la
verità ne ho viste molte, ed erano tutte belle e aggraziate!" –Ironizzò Noesis. –"Attributi che non posso certo abbinare al
tuo pittoresco abbigliamento!"
La donna,
senz’altro ribattere, spiccò immediatamente un balzo, lanciandosi contro il
Cavaliere, digrignando i denti e muovendo le braccia come fossero artigli di
una fiera. Noesis evitò l’affondo spostandosi
lateralmente, senza troppo scomporsi, desiderando vederla in azione per capire
quali fossero i suoi reali poteri. Schivò un artiglio affilato, che mirava al
suo collo, e poi contrattaccò, colpendola con un calcio in pieno petto, che fermò
la donna per un momento. Un secondo calcio la spinse indietro di parecchi
metri, ma ebbe il solo effetto di farla arrabbiare ulteriormente.
"Ti piace
giocare, eh?" –Ringhiò la donna, rimettendosi in piedi. –"Piace molto
anche a me!" –Ghignò, lanciandosi nuovamente contro il Cavaliere
d’Argento.
Questo rinnovato
assalto fu molto più preciso e arrivò a sfiorare le guance di Noesis, che dovette muoversi molto velocemente per evitare
gli unghioni affilati con cui la donna tentava di sventrarlo. Un colpo dopo l’altro,
muovendo le braccia in sincronia, a una velocità nettamente superiore a quella
del suono, il Guerriero Egizio obbligò Noesis alla
difensiva, mettendolo in condizione di non poter prendere l’iniziativa,
costretto a difendersi dai suoi continui assalti feroci. Infine, stanco di
giocare, Noesis fermò con una mano un braccio della
donna, stringendola in una stretta morsa, ma non si avvide di uno strano
movimento ai suoi piedi. La coda dell’Armatura della Sfinge aveva infatti
iniziato ad allungarsi, srotolandosi sul terreno e insinuandosi tra le gambe di
Noesis, fino a risalire il suo corpo e a giungere al
suo collo, intorno al quale si avvolse, stringendo con forza.
"Ma… cosa?!" –Balbettò Noesis,
sentendosi mozzare il fiato e lasciando la presa del braccio della donna, che
fu svelta a dimenarsi e ad afferrare con entrambe le mani il collo del
Cavaliere, piantandovi gli affilati artigli mentre le sue tozze mani
stringevano con forza, facendolo soffocare.
"Non conosci
il significato del mio nome? In greco significa "strangolatrice" ed è
la mia passione diletta! La passione della Sfinge!" –Sibilò la donna,
continuando a stringere il collo di Noesis, il cui
volto era pallido e consunto. –"È questo il problema di voi Cavalieri di
Atena, siete degli sciocchi idealisti! Pensate sempre a salvare gli altri, a
proteggere il mondo, ma non pensate mai a voi stessi!"
Nel vedere Noesis strangolato, il piccolo Retsu,
nascosto tra le braccia protettive di Nonna Ada, ebbe uno scatto d’orgoglio e
di sincera preoccupazione, poiché egli lo aveva salvato. E decise di
restituirgli il favore. Si liberò lesto della protezione di Nonna Ada, tra le
grida spaventate della vecchia, e corse fuori nel piazzale ad afferrare una
lancia abbandonata di un soldato. Quindi si volse verso la Sfinge, intenta a
soffocare il Cavaliere d’Argento, e corse verso di lei puntando la lancia sulla
sua schiena, dove la conficcò poco dopo, facendola gridare dal dolore e dallo
spavento.
"Stupido
moccioso!" –Gridò la Sfinge, voltandosi di scatto e lasciando andare Noesis, che crollò a terra ansimante. Afferrò bruscamente
la lancia, troncandola sulle sue ginocchia, e poi si avventò su Retsu, che in tutta risposta scappò via velocemente. Ma la
Sfinge lo raggiunse comunque, sollevandolo per la maglietta e sfoderando tutti
i suoi lunghi ed affilati artigli. –"Adesso imparerai a non impicciarti
degli affari altrui, stupido marmocchio!"
"Lascialo,
brutta strega!" –Urlò Nonna Ada, precipitandosi nel piazzale,
lanciando alcuni sassi contro la Sfinge, presto seguita da una decina di
infermieri e servitori.
"Così tanti
in cerca di morte?" –Sibilò la donna, gettando Retsu
contro Nonna Ada e gli infermieri, facendoli cadere a terra. Quindi,
sghignazzando, si lanciò contro di loro con gli unghioni sfoderati. Ma non fece
in tempo a fare cinque passi che si accorse di non potersi più muovere.
"Non così in
fretta!" –Esclamò una voce dietro di lei. –"Il nostro incontro è
appena iniziato e già mi volti le spalle? È scortese, non trovi?!"
"No... Noesis?!" –Balbettò la Sfinge, riconoscendo la voce
del Cavaliere d’Argento.
Questi non
rispose, limitandosi a bruciare il proprio cosmo, dal colore blu come il cielo,
decorato da mille striature argentate, e a concentrarlo sull’indice destro,
disegnando un triangolo nell’aria.
"TritosSphraghisma!"
–Gridò Noesis, mentre una serie di sigilli
triangolari fluttuava nell’aria, avvolgendosi al corpo della Sfinge, fermando i
suoi movimenti e riducendo i suoi poteri.
"Che? Che mi
succede?" –Mormorò la Sfinge, sentendosi più debole.
"È l’effetto
del mio colpo segreto! Il TritosSphraghisma assorbe l’energia del suo avversario,
riducendo le sue capacità di azione! Presto sarai debole come un normale essere
umano!”
"Nooo! Questo non accadrà!" –Gridò la Sfinge,
lanciandosi contro di lui, con gli unghioni sfoderati. Ma Noesis
la fermò mentre ancora era in aria, lanciandole contro centinaia di triangoli
d’argento, che si conficcarono nell’armatura e nelle parti scoperte del suo
corpo, ferendola ed atterrandola.
"Placa la tua
collera, ogni tuo gesto è vano, sei condannata alla sconfitta!" –Le disse Noesis.
"Non ho
accettato di far da cavia al Dio Seth per essere poi umiliata in così malo
modo!" –Ringhiò la donna, rimettendosi in piedi. –"Egli mi ha salvata
dal mio destino, portandomi fuori dalle oasi di predoneria
del Sahara, donandomi nuovi poteri! Gli ho giurato che gli avrei portato la
testa dell’Oracolo di Atena e dei suoi Cavalieri, ed è ciò che ho intenzione di
fare!"
"Egli ti ha
donato dei poteri? E quali? Non sei forse tu un Guerriero Egizio?"
"Tutti i
nostri poteri sono frutti degli esperimenti del nuovo signore d’Egitto!"
–Spiegò la Sfinge. – "I veri guerrieri, quelli come voi Cavalieri di
Atena, che possedevano il cosmo dentro, non esistono più da secoli ormai, da
quando Amon Ra perse ogni interesse a rimanere nel
mondo, rinchiudendosi all’interno del Tempio di Karnak con i suoi fedeli! Da
allora non vi sono stati più gloria né allori e le leggende degli antichi
Faraoni e dei loro servitori, i Guerrieri Egizi, scomparvero! Finché Seth non
decise di armare un nuovo esercito, dai grandissimi poteri, che lui stesso ci
donò dopo averli studiati a lungo, modellandoli sui sacri simboli dell’Egitto!
Ecco allora che nacquero la Sfinge e Sobek, il Dio
Coccodrillo, e il Guardiano delle Sabbie del Sahara e la Mummia, e Ghibli e il Ghoul! Esperimenti ottimamente riusciti, condotti nei
laboratori della Piramide di Tebe!"
"Ciò che dici
è orribile e inquietante, donna!" –Commentò Noesis.
–"Non riesco a immaginare la vostra vita precedente, quanto dovesse essere
precaria e sbandata per costringervi ad accettare l’offerta di Seth! Rinunciare
a voi stessi, al vostro corpo, al vostro vero io, per trasformarvi in bestie
prive di razionalità, i cui poteri esistono soltanto perché ricreati in
laboratorio, senza che voi possiate esercitarvi controllo e discernimento, mi
crea una grande tristezza nel cuore!"
"Non riesci a
immaginare? Bene, perché nessuno può farlo! Nessuno può neanche immaginare cosa
significhi essere dimenticati! Cosa significhi vivere per decenni tra le sabbie
del Sahara, persi nel niente, in una vita che non ha più sapore, in una vita
che ti ha strappato i ricordi e le tue memorie!"
"E diventare
cavie da laboratorio, prestare il vostro corpo e il vostro spirito a siffatti
esperimenti ha riempito il tuo cuore, donna? Ti ha fatto sentire diversa, forse
migliore? Ti ha fatto ritrovare gli odori e i sapori della tua femminilità, di
cui lamentavi di aver perso il ricordo?" –Ironizzò Noesis,
senza ottenere risposta, solo uno sguardo pieno d’odio. –"Io non credo, e
sono certo neppure tu!"
"Hai parlato
fin troppo, biondino! Adesso è tempo che tu muoia!" –Ringhiò la donna,
rimettendosi in piedi e lanciandosi di scatto contro Noesis.
–"Assaggia gli Artigli furiosi della Sfinge!"
Le dita delle sue
mani si ingrossarono e affilati unghioni si allungarono, caricandosi di oscura
energia cosmica, che la donna liberò, lanciandosi contro Noesis.
Il Cavaliere d’Argento mosse le braccia come scudi, per difendersi da
quell’insistente pioggia di energia, che strideva con forza sulla sua corazza,
scheggiandola in più punti, riuscendo comunque a coprirsi il volto.
La potenza di
questa donna è incredibile! Ha subito gli effetti del TritosSphraghisma, ma pare non averne risentito! Pare
che la sua scorta energetica sia ancora integra! Rifletté Noesis, pensando
ad un modo per uscire da quella scomoda situazione. Che siano questi i
poteri misteriosi di cui Seth le ha fatto dono? Una sorta di serbatoio di
energia continua?
Un affondo della
Sfinge interruppe i pensieri di Noesis, obbligandolo
a concentrarsi sulla difesa. Gli unghioni della donna avevano infatti trovato
uno spazio libero, conficcandosi nella parte superiore della gamba del ragazzo,
tra i gambali e la cintura della sua armatura, ferendolo e obbligandolo ad
accasciarsi. Approfittando di quel momento, la Sfinge sferrò un violento calcio
in faccia al Cavaliere d’Argento, scaraventandolo indietro di parecchi metri e
facendolo rotolare sul terreno, mentre l’elmo del Triangolo schizzava via.
Non sazia, la
Sfinge si gettò subito su di lui, correndo come una fiera su quattro zampe e
balzando con agilità sulla sua preda, con gli unghioni affilati in bella
mostra. Noesis fu svelto a rotolare sul terreno,
mentre gli artigli della Sfinge si piantavano nel terreno, scagliandole contro
decine e decine di piccoli triangoli d’argento. Ma sembrava che la donna non
accusasse più il dolore, non fermandosi neppure quando i triangoli le entravano
nella pelle, le distruggevano l’armatura, esplodendo al contatto con essa. Con
un ultimo sforzo, Noesis scagliò un nuovo assalto di
triangoli argentati, proprio mentre la Sfinge balzava su di lui, e riuscì a
raggiungerla al collo, ferendola alla trachea. In enormi difficoltà
respiratorie, la donna si accasciò a terra, portandosi le mani al collo,
contorcendosi su se stessa come fosse una vera bestia.
Noesis la osservò e per un momento ne ebbe pena, ma questo
non gli impedì di portare a termine la sua missione. Espanse il suo cosmo,
concentrandolo sull’indice destro, e liberò tre fasci di luce che si disposero
sul terreno attorno alla Sfinge in posizione tale da formare un triangolo
equilatero. La base si illuminò, attirando l’attenzione della donna, che
comprese di essere stata intrappolata.
"Triangolo
d’Argento!" –Gridò Noesis, liberando il suo
cosmo, che si presentò sotto forma di getti di energia che sorsero dalla base
del triangolo, sollevando la Sfinge e trafiggendo il suo corpo.
Furibonda, la
donna tentò di muoversi, di scappare, ma il suo spazio d’azione era limitato,
intrappolata all’interno di un triangolo di energia cosmica che la stava
distruggendo. Ricadde al suolo pochi minuti dopo, sbattendo una spalla, ferita
e con l’armatura seriamente danneggiata. Aveva graffi sul viso, da cui sangue
colava copioso, macchiandole i capelli scuri, dandole un aspetto ancora più
selvaggio e bestiale, un aspetto che ormai non aveva più niente di umano.
"Sei contenta
adesso?" –Le domandò Noesis, avvicinandosi.
–"Sei contenta di aver abbandonato la tua femminilità per vivere una vita
come la tua?"
La Sfinge non
disse niente, troppo debole persino per rispondere, ma si limitò ad osservare
il Cavaliere con due occhi rossi, pieni di odio e di risentimento. Odio che per
lo più era diretto verso se stessa. Poiché quella forma, in fondo al cuore, non
le piaceva affatto, la faceva sentire una bestia, famelica e affamata,
desiderosa di sangue e carne umana. Quella forma ormai non aveva niente più di
lei, della donna che era stata un tempo. Povera, violentata, abbandonata alla
polvere del deserto quando era incinta, sola e ladra. Ma comunque era stata se
stessa, ed era stata donna.
"Vuoi
prendere il mio posto, Noesis del Triangolo?"
–Domandò la donna, rialzandosi infine e pulendosi il sangue che le colava dalle
labbra.
"Vorrei
soltanto che tu ritrovassi il tuo!"
"Già… lo vorrei anch’io!" –Mormorò tra sé la Sfinge,
prima di assumere nuovamente la sua posa da battaglia, con gli unghioni
allungati e il cosmo incandescente, pronto per ardere nuovamente.
–"Nell’attesa vedrò di ingannare il tempo dando libero sfogo ai miei istinti
primordiali! Artigli Furiosi della Sfinge!" –E scattò avanti,
lanciandosi contro il Cavaliere d’Argento.
Ma Noesis aveva previsto quella possibilità, così aveva
concentrato il cosmo sull’indice destro, evocando un nuovo Triangolo
d’Argento, che apparve ai piedi della Sfinge, sollevandola e spingendola in
alto, per trafiggerla nuovamente. Ma la donna, con abilità e destrezza, riuscì
nell’ardua impresa di uscire dal campo di azione del triangolo di energia,
balzando dall’alto su Noesis, incredulo e attonito.
Con rapidità, Noesis riuscì a richiamare il Triangolo d’Argento a
sé e a farne uno scudo di energia con cui proteggersi dagli artigli della
Sfinge. Dietro ad esso era convinto di essere al sicuro. Ma nuovamente la donna
mostrò poteri insospettati, caricando le proprie braccia di energia cosmica ed
affondandole nello scudo di energia di Noesis, che
miracolosamente le lasciò passare.
"Strangolamento
della Sfinge!" –Sibilò la donna, mentre le sue braccia di energia si
allungavano, superando il triangolo difensivo di Noesis
e portandosi intorno al suo collo. Strinsero, con forza, con impeto, sbattendo
a terra il Cavaliere d’Argento e permettendo alla Sfinge di montargli sopra,
bloccando con il suo corpo e con la sua coda intrecciata i movimenti del
ragazzo.
"Non crucciarti,
bel biondino, c’è un tempo per tutto! E questo è il tuo tempo di morire!"
–Esclamò la donna, stringendo la presa intorno al collo del Cavaliere.
Restarono così per
qualche interminabile secondo. Lei, con il cosmo acceso di riflessi violacei,
che stringeva la morsa intorno al collo di Noesis, e
lui, con il volto pallido e il cosmo che pareva spegnersi come il lume di una
candela. Finché non ebbe una visione, immaginandosi adulto, ad insegnare
segreti e tecniche di Cavalieri ad un giovane allievo. Il sogno che aveva
sempre inseguito, e che adesso sembrava così a portata di mano.
Con tutta la forza
che aveva in corpo, Noesis bruciò il suo cosmo, che
arse impetuoso, come onde di energia dal colore blu, con mille striature
argentate, e sollevò la Sfinge, allontanandola dal suo corpo. Rapido, Noesis liberò le proprie braccia e con esse scansò gli
unghioni della donna, prima che un violento calcio la scaraventasse via,
facendola schiantare contro le mura dell’ospedale.
"Hai detto
bene, donna! C’è un tempo per tutto! E il tuo è scaduto!" –Esclamò Noesis, espandendo ancora il suo cosmo e concentrandolo
sull’indice destro.
La donna, ormai
debole e sconfitta, non aveva comunque intenzione di arrendersi, così si lanciò
nuovamente contro il suo avversario, scagliando gli Artigli Furiosi della
Sfinge, prima che una spirale di lucente energia la avvolgesse,
stritolandola al suo interno.
"TritosSphraghisma"
–Esclamò Noesis, mentre lunghe file di sigilli
argentati, a forma di triangolo, circondavano la Sfinge, prosciugando la sua
energia e facendola infine esplodere.
Il suo corpo,
pieno di ferite e macchie di sangue, ricadde a terra poco distante, e lì
rimase, senza più forza per rialzarsi, senza più possibilità di cambiare la
propria vita. Noesis rimase ad osservarla per qualche
istante, con una sconfinata malinconia nel cuore, prima che le grida festose di
Retsu e di Nonna Ada lo distraessero. Il bambino, che
aveva assistito all’intero incontro con trepidazione, saltò addosso al
Cavaliere di Argento, congratulandosi con lui, mentre Nonna Ada e altri
servitori ringraziarono Noesis per averli protetti. I
soldati del Grande Tempio avevano sgominato gli ultimi Guerrieri Egizi e adesso
l’intera area era ritornata sotto il controllo dei Cavalieri di Atena.
Noesis sorrise, arruffando i capelli del piccolo, e si
complimentò con lui per l’improvvisata di prima. "Sei stato incauto, e
anche incosciente! Ma il tuo buon cuore farà di te un ottimo Cavaliere, ne sono
certo!"
"Un… Cavaliere?!" –Balbettò Retsu.
"Non vorresti
diventarlo? Io credo che la tua presenza al Grande Tempio di Atena non sia
affatto casuale, ragazzo! Hai del potenziale, che merita di essere sfruttato al
meglio! E se vorrai farlo, sarei lieto di essere il tuo maestro!"
Retsu sgranò gli occhi, sorpreso da una simile richiesta,
che lo riempiva di onore e di imbarazzo al tempo stesso, e con un gran sorriso
accettò la proposta del Cavaliere del Triangolo. Nonna Ada, in piedi accanto a
loro, si congedò dai due, mentre un leggero malessere si impadroniva di lei,
uno strano senso di nausea che preoccupò Noesis.
"Nonna Ada!
Qualcosa non va?" –Domandò cortesemente.
"Io… sento qualcosa…"
–Balbettò l’anziana donna, tenendosi la testa. –"Mio nipote è in pericolo!
Devo andare da lui!"
"Vi
accompagno! Non è prudente girare da soli per il Grande Tempio! Potrebbero
esservi ancora Guerrieri Egizi in circolazione!" –Esclamò Noesis, scortandola fino alle Dodici Case dello Zodiaco.
Nel tragitto, Noesis incontrò Orione, Dedalus
e Argetti, intenti a dirigere le operazioni di
recupero dei feriti al Cancello Principale. E mentre i quattro erano intenti a
parlare tra di loro, raccontandosi i rispettivi episodi di lotta, videro
arrivare un loro compagno, ricoperto da una bianca armatura.
I capelli azzurri
mossi dal vento, lo sguardo spento, in parte colpevole, una tremenda angoscia
nel cuore, Orfeo della Lira portava in braccio il corpo dell’uomo che lo
aveva addestrato: Koroibos, il gran maestro di
Atene. Immediatamente, Orione e gli altri gli corsero incontro, chinando il
capo alla vista del corpo senza vita dell’allenatore, mentre silenziose lacrime
scendevano sui loro volti.
Nonna Ada si
abbandonò ad una preghiera ad Atena, sperando che proteggesse tutti loro e
consentisse al buon Koroibos, e a tutti i combattenti
caduti in quell’inutile guerra, un posto nel Paradiso dei Cavalieri. Non
aggiunse altro e si incamminò a piedi, da sola, lungo la bianca scalinata di
marmo, diretta verso la Seconda Casa dello Zodiaco.
Orfeo condusse il
corpo senza vita di Koroibos all’infermeria, affinché
venisse sistemato per i funerali, mentre Orione, Dedalus,
Argetti e Noesis iniziarono
a perlustrare il Grande Tempio, alla ricerca di feriti e di caduti, e di
eventuali altri Guerrieri Egizi nascosti. Retsu,
energico come sempre, si unì a Noesis nella ricerca e
fu lui a scovare il corpo di un ragazzo sepolto sotto cumuli di macerie. Noesis lo tirò fuori poco dopo, quasi disgustato dallo
sfregio che aveva subito quel povero corpo. Il viso era comunque in parte
ancora riconoscibile, ma il Cavaliere d’Argento non seppe riconoscere chi
fosse. Lunghi capelli castani, sparsi sul volto, viso bianco, segnato da due
occhi grigi, ormai spenti, e qualche lentiggine sulle guance. Noesis non poteva conoscerlo ma aveva appena estratto dalle
macerie il cadavere di uno degli allievi di Libra: Tebaldo.
***
Alla Tredicesima
Casa, il Grande Sacerdote sedeva sul trono, preoccupato dall’andamento
della battaglia. Vi erano stati dei caduti all’interno dell’Esercito di Atena,
forse anche dei civili erano rimasti coinvolti, e la guerra era ancora in
corso, sia ad Atene che in Egitto, dove ormai non riusciva più ad arrivare. Le
sue meditazioni furono interrotte da un delicato bussare al massiccio portone
di ingresso, che anticiparono l’entrata di un Cavaliere ricoperto da una dorata
Armatura.
Circondato da un
vortice di rose rosse, profumate e al tempo stesso cariche di malizia fatale, il
Cavaliere d’Oro dei Pesci camminò fino al Trono del Sacerdote, per
inginocchiarsi ai suoi piedi, con una rosa rossa tra le labbra luccicanti.
"Cavaliere di
Fish!" –Esclamò il Sacerdote, pregando il
ragazzo di rialzarsi.
"Grande
Sacerdote! La guerra incombe! Sono in ansia per voi!" –Esordì il Custode
dell’Ultimo Tempio. –"I nemici avanzano, sono a pochi passi dall’Ottava
Casa di Scorpio! Se dovessero superarla ci sarà
soltanto Acquarius a difendervi, prima che giungano
fin qua!"
"Non temere,
Cavaliere di Fish! Sono certo che i tuoi compagni,
Scorpione e Acquario, saranno all’altezza del compito affidato loro! Nessun
Guerriero Egizio varcherà le soglie del Tempio di Atena!" –Esclamò il
Sacerdote, con voce pacata.
"Questo mai
accadrà!" –Disse Fish, alzandosi in piedi.
–"Non permetterò che accada!"
"La tua
presenza qua, alla Tredicesima Casa, mi rassicura e mi dà serenità,
Afrodite!" –Esclamò il Sacerdote, chiamando il ragazzo per la prima volta
per nome.
"Sarò degno
della vostra fiducia, Grande Sacerdote!" –Esclamò il Cavaliere d’Oro,
inginocchiandosi e incamminandosi quindi verso l’uscita.
Spargerò
migliaia di rose rosse lungo la scalinata che dalla Dodicesima Casa conduce
alle Stanze del Grande Sacerdote! Il loro influsso provocherà una lenta morte,
un sonno eterno, a tutti coloro che respireranno l’aria intrisa del loro
profumo! Rifletté, lasciando le Sacre
Stanze. Ed io aspetterò qua, all’ingresso del Tredicesimo Tempio, dove sarò
l’ultima protezione, l’ultimo baluardo a difesa del Grande Sacerdote di Atena!
E discese la scalinata fino alla sua Casa, la Dodicesima, per poi iniziare a
risalirla lentamente, spargendo il pavimento di rose rosse di sublime bellezza.
Il Sacerdote, nel
frattempo, sudava freddo seduto sul trono in velluto rosso. E disperatamente
pregava che la guerra finisse al più presto. Che le tenebre si diradassero,
lasciando il posto alla luce, e che Shin potesse
regnare ancora per molti anni, con l’aiuto dei Cavalieri e di Atena stessa.
Egli infatti non
era Shin, bensì Arles,
Cavaliere d’Argento dell’Altare e Primo Ministro, sostituitosi al
Sacerdote, per proteggerlo da eventuali attacchi dei Guerrieri Egizi. Se
anche dovessero arrivare fin qua, rifletté Arles,
liberando gli oscuri timori che covava dentro, troverebbero me, e non Shin, non l’Oracolo di Atena, attualmente nel posto più
sicuro dell’intera Grecia!
E allora perché
sono così inquieto? Cos’è che crea in me angoscia? Rifletté, alzandosi dal trono e girovagando per la
grande stanza. La prospettiva della morte? Assolutamente no! Sono pronto a
tutto pur di proteggere il Grande Sacerdote, come è nei miei compiti e nei miei
doveri di Cavaliere e di Primo Ministro! No, c’è qualcos’altro, un fantasma che
aleggia sul mio cuore e non mi dà tregua! La spiacevole sensazione che tutto
possa finire male, che tutto possa cadere nell’ombra!
Arles aveva trascorso anni al servizio del Grande
Sacerdote, accompagnandolo spesso nelle sue passeggiate e seguendolo nelle sue
letture e nei suoi studi, e aveva sviluppato anch’egli, seppur in maniera
inferiore rispetto a Shin, qualche capacità
extrasensoriale, qualche potere più mistico, legato alle forze della natura. A
volte, svegliandosi al mattino, poteva ascoltare il vento, e percepire
sensazioni che agli uomini invece sfuggivano.
Ma oggi tace
persino il vento! Mormorò, con una
certa apprensione. Sembra che il mondo stia per fermarsi, e precipitare in
una spaventosa rovina!
Improvvisamente un
rumore attirò la sua attenzione, interrompendo i suoi pensieri. Un rumore che
proveniva dall’esterno, dalla grande terrazza del livello superiore che si
estendeva ai piedi della Statua di Atena. Arles corse
in fretta per le ampie stanze della Tredicesima Casa, sollevando la bianca
tunica per non inciampare in essa, fino a raggiungere la porta sull’esterno, e
là si fermo, paralizzato, quasi impietrito dalla visione di fronte ai suoi
occhi.
Davanti a lui,
ritto in piedi a pochi metri distanza, con il viso sporco e pieno di ferite, i
capelli sfilacciati e strappati, di un colore scuro come la notte, e gli occhi
rossi, carichi di ira e di disperazione, si ergeva un uomo che Arles non avrebbe mai creduto di trovarsi di fronte. Un
uomo che era stato inviato in Egitto come ambasciatore di pace, e che ne era
tornato stravolto, consumato dal fuoco della guerra e dall’ombra che era
entrata dentro di lui: il Cavaliere di Gemini.
Eurialo e Niso erano stati fatti prigionieri dal Dio Anubi, il Giudice degli Inferi, che li aveva trovati
sulle dune, poco distanti da Tebe. Niso era stato
massacrato da Ammit, la Divoratrice,
fiera che Anubi aveva inviato contro di loro,
riuscendo comunque a ucciderla, mentre Eurialo aveva
iniziato un violento scontro con i Soldati del Sole Nero, abbattendone una
ventina, quando Anubi in persona era comparso sul
campo di battaglia.
Eurialo lo aveva osservato bene, percependo in lui un cosmo
superiore a quello di qualsiasi altro Cavaliere, e intuendo che doveva probabilmente
trattarsi di un Dio. Il bastone dorato che questi reggeva in mano gli tolse
ogni dubbio, riconoscendo lo scettro della Divinità.
"Tu sei Anubi, o Anpu o Inepu, "colui che ha testa di un cane selvaggio",
un tempo Dio degli Inferi egizio, adesso Guardiano dei Defunti! Cosa fai
qua?"
"Ti sei
espresso correttamente, Cavaliere! Un tempo ero il Sovrano dell’Oltretomba, ma
venni soppiantato da Osiride, che Ra e gli altri Dei del pantheon egizio
consideravano a me superiore! Così fui relegato al modesto ruolo di Guardiano
degli Inferi, con il compito di custodire la bilancia con cui le anime dei
morti erano pesate!" –Aveva spiegato il Dio con voce calma e malinconica.
"Sembra che
tale compito ti dispiaccia, Dio Anubi!"
"Mi dispiace
e mi opprime!" –Aveva gridato Anubi. –"Mi
dispiace e lo detesto! Detesto essere Guardiano di un Inferno di cui un tempo
ero il re! È un insulto alla mia forza, alla mia personalità!”
Eurialo lo aveva lasciato parlare, preoccupato per i suoi
scatti di ira repressa. Era evidente che non aveva accettato di diventare un
subordinato di Osiride e, probabilmente per vendicarsi, aveva aderito alla
congiura di Seth, sperando di riconquistare il suo posto di Signore degli
Inferi.
"Avete
sconfitto Ammit, la mia fiera Divoratrice, e pagherete
anche per questo!" –Aveva ripreso a parlare Anubi,
adesso con tono apertamente ostile.
"E voi non
pagherete, Dei egizi, per i morti greci caduti per i vostri folli piani di
dominio?" –Aveva gridato Eurialo, accendendo il
suo cosmo, dal colore verde acqua. Con un balzo si era lanciato verso il cuore
del Custode degli Inferi, allungando lo stiletto che portava sul braccio
destro.
Ma Anubi era rimasto impassibile, ad osservare la folle corsa
del Cavaliere di Atena con disprezzo, limitandosi a muovere il suo bastone
d’oro soltanto all’ultimo istante. Con un colpo secco era piombato sulla mano
destra di Eurialo, distruggendo la sua corazza
protettiva e facendo a pezzi la lama del Dorado.
Quindi aveva trapassato il corpo del Cavaliere di Atena in pieno sterno, il
quale, impotente, era crollato sulle ginocchia, tastandosi il petto
sanguinante, prima che un nuovo colpo di bastone lo colpisse sulla mandibola,
sbattendolo a terra. Anubi aveva trascinato quindi le
carcasse di Eurialo e Niso
fino a Tebe, rinchiudendoli nei sotterranei della Piramide Nera, per la
sentenza definitiva. Posti sulla Bilancia del Giudizio, in opposizione alla
piuma di Maat, i due amici erano pronti per la
Pesatura dell’Anima, quando Ioria del Leone
arrivò a disturbare la cerimonia.
"Eurialo! Niso! Svegliatevi,
amici!" –Gridò Ioria, piombando nel salone
sotterraneo.
"Come osi,
uomo meschino, disturbare la Pesatura dell’Anima?" –Esclamò Anubi, fulminandolo con uno sguardo. Sollevò il bastone,
caricandolo del suo cosmo e dirigendolo verso il Cavaliere.
Ma Ioria fu lesto ad evitare l’affondo del Dio e a rispondere
con una variante del Sacro Leo. Il reticolato fu creato per
immobilizzare il nemico al suo interno, impedendogli ogni fuga, prigioniero di
una gabbia di fasci di luce, che si abbattevano su di lui ogni volta in cui
tentava un movimento. Questo permise a Ioria di
guadagnare tempo e raggiungere la Bilancia del Giudizio.
Saltò sul piatto dellabilancia, facendolo oscillare ancora e schiantarsi a
terra, tra le grida furiose del Dio Anubi, che fece
esplodere il proprio cosmo, spazzando via la prigione di raggi energetici che
lo aveva momentaneamente bloccato. Ioria schiaffeggiò
i due ragazzi, ordinando loro di svegliarsi.
"Vi porterò
fuori di qua, amici!" –Esclamò, rendendosi conto che le loro condizioni
erano preoccupanti. E si chiese quali nemici avessero affrontato per essere
così mal ridotti. Sorrise, riflettendo che persino lui, che era un Cavaliere
d’Oro, e Albione, che era tra i migliori Cavalieri d’Argento, avevano avuto
problemi con Onuris e con il Custode delle Sabbie, e
immaginò che Eurialo e Niso
si fossero battuti fino allo stremo delle forze con avversari loro superiori.
Un raggio di
energia sfrecciò nell’aria del sotterraneo, diretto verso Ioria,
che fu svelto ad afferrare i corpi dei due Cavalieri di Bronzo e trascinarli di
sotto, giù da quell’infernale marchingegno, mentre il fascio di energia colpiva
proprio la Bilancia del Giudizio, distruggendone un pezzo.
"Nooo! Aaargh! Maledetti!"
–Gridò Anubi, furibondo per il danno alla sua
magnifica costruzione.
"Mi dispiace,
cagnaccio! Dovrai chiamare una ditta di restauri!" –Ironizzò Ioria, appoggiando ad una parete i corpi semisvenuti di Eurialo e Niso, e preparandosi a
combattere con il Dio Egizio.
"Sarai tu ad
aver bisogno di restauro, blasfemo profanatore di Sacri Templi!" –Tuonò Anubi, puntando il bastone dorato contro Ioria e caricandolo di una potente energia cosmica.
"Stai al tuo
posto!" –Gridò Ioria, scagliandogli contro un
fittissimo reticolato di luce, composto da migliaia e migliaia di fasci di
energia luminosa che piombarono sul Dio alla velocità della luce. Con abilità e
maestria Anubi riuscì a pararli tutti, con l’aiuto
del Bastone dorato, venendo raggiunto di striscio solo da alcuni, che
bruciarono in parte la sua tunica.
"A te morire
adesso!" –Esclamò Anubi, puntando il Bastone
verso il cuore di Ioria.
Improvvisamente
una penetrante energia cosmica invase l’intero sotterraneo, sorprendendo i due
contendenti, attratti da quella primordiale fonte di energia che pareva essersi
risvegliata da un sonno profondo. Onde di luce dai colori dell’arcobaleno
scivolarono nell’aria, lambendo il corpo stanco di Ioria
e quello preoccupato di Anubi, che realizzò
finalmente la fonte di provenienza di tale potere.
Eurialo e Niso si erano rimessi in
piedi, tenendosi l’uno all’altro, tra i frammenti delle armature distrutte, e
avevano iniziato ad espandere i loro cosmi al massimo, bruciandoli oltre
l’inverosimile.
"Eurialo! Niso!" –Li chiamò Ioria, felice di vederli in piedi.
"Vattene,
Cavaliere di Leo!" –Disse Eurialo, avanzando
insieme a Niso verso il centro del salone.
"Uh?! Che
dici mai? Verrete con me!" –Rispose Ioria.
"No!"
–La risposta di Eurialo, pronunciata con tono così
deciso, fece gelare il sangue di Ioria, che tentennò
esitante. –"In questi laboratori sotterranei il Dio Seth ha compiuto
macabri esperimenti, e altri ancora sono in corso, con lo scopo di acquisire un
sempre maggiore potere!"
"Ma a quale
prezzo?" –Si domandò Niso. –"Vite
stravolte, uomini che diventano mostri, che perdono ogni razionalità divenendo
pari a delle bestie! Questo non è potere, è follia!"
"Il compito
dei Cavalieri di Atena è difendere la vita, ovunque sia minacciata, e in questi
sotterranei troppi esperimenti sono stati effettuati con lo scopo di offenderla!
È tempo di porvi fine!"
"Io... ve lo
impedirò!" –Gridò Anubi, che aveva compreso il
progetto dei due Cavalieri. E puntò il Bastone dorato su di loro.
"Sei duro a
comprendere!" –Gli balzò contro Ioria,
scagliando il suo colpo sacro da distanza ravvicinata, che investì il Dio in
pieno, scaraventandolo indietro, disteso sul pavimento.
"Cavaliere di
Leo!" –Lo chiamarono i due amici, il cui cosmo aveva raggiunto ampiezza
tale da non poter più essere trattenuto. –"Vattene adesso! E continua a
combattere per Atena! Anche per noi!"
"Io…" –Balbettò Ioria,
tentennante sul da farsi. Ma la violenta esplosione dei cosmi dei due Cavalieri
lo sciolse da ogni dubbio.
Le mura interne
dei sotterranei della Piramide Nera iniziarono a tremare, percorse alle
fondamenta da profondi tumulti. Striature di cosmo, dai colori dell’arcobaleno,
invasero ogni angolo delle catacombe, dei laboratori sotterranei del Dio Seth,
portando un ultimo raggio di luce, forse l’unico, in luoghi così tenebrosi dove
il sole non era mai arrivato. Per un momento creature orribili, mutazioni mal
riuscite di esperimenti falliti, emisero grida disperate, prima che una
violenta esplosione di luce le abbagliasse, facendole tacere per l’eternità.
"Nube.... di… Magellano!!!" –Gridarono Eurialo
e Niso, liberando l’immenso potere cosmico che
portavano dentro, nella sua forma più pura e distruttiva.
Le mura dei
sotterranei vennero disintegrate dalla devastante esplosione e tutto ciò che si
trovava nelle sale nascoste, protette dall’ombra, fu annientato. Bilance del
giudizio, armi in fabbricazione, creature nascoste, esperimenti incompiuti.
Tutto venne inghiottito dalla Nube di Magellano.
Anche i piani
superiori della Piramide Nera tremarono, e Seth, assiso sul trono, nella Sala
dei Serpenti, dove aveva incontrato Gemini e Capricorn,
sobbalzò, sentendo le fondamenta tremare. L’onda d’urto causò immensi danni,
soprattutto ai piani inferiori, facendo crollare interi livelli, distruggendo
mura e pavimenti e squassando ampie parti interne della Piramide Nera. Lo
stesso Seth fu costretto a mettersi al riparo, poiché le grandi pietre delle
pareti e del soffitto della Sala dei Serpenti furono scosse in profondità e
molte caddero o andarono in frantumi.
Ioria cercò di ripararsi dal crollo delle fondamenta,
mentre pietre e rocce piovevano su di lui da ogni dove. Fece appena in tempo a
ritrovare le scale, mentre stavano crollando, e a balzare al piano di sopra,
scattando verso il portone. Un macigno gli crollò addosso, ferendolo a una
gamba e obbligandolo ad accasciarsi, stringendosi contro una parete, mentre
tutto il resto sembrò scomparire.
Nel buio che si
chiuse su di lui Ioria sentì l’immenso calore della Nube
di Magellano riversarsi nella Piramide Nera e cingere anche lui, ma non per
lederlo bensì per proteggerlo, quasi fosse un guscio protettivo. Micene gli
aveva raccontato anni addietro la storia della Nube di Magellano: una
galassia nana in orbita attorno alla nostra Via Lattea. Suddivisa in Grande
Nube, nella costellazione del Dorado, e Piccola Nube,
nella costellazione del Tucano, contiene un’energia cosmica immensa, custodita
dai Cavalieri delle rispettive costellazioni, del Dorado
e del Tucano.
Eurialo e Niso erano consci di
possedere un simile potere, altamente distruttivo, e avevano giurato a loro
stessi che lo avrebbero liberato soltanto per fare del bene. In un momento di
estremo bisogno. Poiché era un potere talmente grande, talmente possente, da
svuotare completamente chi lo liberava.
E in quel momento,
mentre la devastante tempesta di energia cosmica spazzava via tutto, facendo
strage dei progetti sperimentali del Dio Seth, Eurialo
e Niso non poterono che sentirsi felici. Finalmente
felici. Lasciarono vagare la loro mente altrove, via da quelle sporche mura,
ritrovandosi bambini, a correre nei campi della grande proprietà della famiglia
di Eurialo, sotto l’attento sguardo di Nonna Ada. Niso ritrovò il sapore di quei giorni, trascorsi a lavorare
nei campi di canna da zucchero, ad aiutare la famiglia di Eurialo,
che lo aveva ospitato e preso con sé.
Sorrisero, i due
Cavalieri di Bronzo, ricordando i giorni lontani dell’addestramento, le storie
intorno al fuoco che Nonna Ada raccontava, miti e leggende di Guerre Sacre,
combattute in passati lontani, gesta di eroi il cui nome era entrato nella
storia. Forse il loro nome sarebbe stato dimenticato, forse non sarebbero stati
ricordati negli annali di coloro che la storia ha reso grandi, ma ciò non li
fece arretrare di un solo passo, decisi fino in fondo a compiere la loro opera
di purificazione.
"Saremo amici
per sempre, Eurialo!" –Mormorò Niso.
Si guardarono
un’ultima volta, ed Eurialo sentì un groppo al cuore,
forse colpevolizzandosi per aver condotto Niso in un
posto simile. Per averlo condotto alla morte. Ma poi sorrise, con le lacrime
agli occhi, fiero del coraggio dimostrato dal suo giovane amico. Da suo
fratello minore. Portò ai limiti estremi il suo cosmo, proprio come Niso, e lo fece esplodere, liberando l’immenso potere della
Nube di Magellano. Tutto scomparve, annientato dall’onda di luce, e di Eurialo e Niso non rimase niente.
Solamente un’ultima immagine sorridente di entrambi.
In quel momento,
molte miglia a nord, Aldebaran del Toro
era seduto in posizione meditativa al centro della semidistrutta Seconda Casa,
per riposarsi dallo scontro sostenuto contro Upuaut,
il Dio Lupo della Morte e della Guerra. Non ebbe bisogno di sforzarsi molto,
per sentire esplodere, e poi scomparire, il cosmo di suo fratello. E comprese
che aveva fatto ricorso al suo potere supremo.
"Eurialo!" –Mormorò, mentre una lacrime scivolava sul
suo viso. –"Avevi giurato che saresti tornato! E avresti riportato Niso con te! Cosa le dirò adesso? Le si spezzerà il
cuore!"
Un fruscio di
passi attirò l’attenzione del Cavaliere. Si voltò verso una porta laterale e
vide Nonna Ada, ansimante, correre verso di lui, con i capelli smossi e
l’aria visibilmente scioccata. Si fermò soltanto a pochi passi dal ragazzo,
fissandolo con due occhi sgranati, che tremavano tra le lacrime.
"Lui... loro…" –Balbettò. Ma non ebbe coraggio di chiedere
conferma.
"Per Atena!
Tutto avviene per Atena!" –Mormorò Toro, prima di abbassare lo sguardo.
Nonna Ada rimase
in piedi, tremante, a fianco del nipote, incapace di accettare ciò che aveva
sentito. Avrebbe voluto essersi sbagliata, avrebbe voluto che la tarda età
avesse indebolito le sue capacità extrasensoriali, avrebbe voluto vedere Eurialo e Niso entrare dalla
porta, ridendo e scherzando tra loro come erano soliti fare. Li avrebbe voluti
seduti alla tavola da lei imbandita, intenti a gareggiare per il posto accanto
alla nonna, mentre raccontavano qualche impresa compiuta. Sorrise, asciugandosi
le lacrime e realizzando che avrebbe voluto qualcosa di impossibile.
Terminata la
violenta onda energetica provocata dall’esplosione della Nube di Magellano,
la polvere iniziò a diradarsi, rivelando gli ingenti danni che aveva subito la
Piramide Nera. Dall’esterno, Albione e Cancer non avevano ben chiaro cosa
stesse accadendo, ma non poterono non trattenere un grido quando udirono la
violenta esplosione, che polverizzò letteralmente alcuni blocchi di pietra
delle mura laterali dell’edificio, facendo crollare la costruzione in parte su
se stessa. Il Cavaliere di Cefeo si domandò se Ioria e i Cavalieri di Bronzo fossero riusciti a salvarsi,
prima che un rinnovato assalto dei Guerrieri del Sole Nero lo impegnasse
nuovamente in battaglia.
Ioria era rimasto bloccato sotto alcune macerie, pezzi di
roccia franati su di lui, ma fortunatamente era illeso, eccezion fatta per
alcuni graffi e scheggiature all’armatura d’oro. La Nube di Magellano lo
aveva protetto, avvolgendolo al suo interno, come un bozzolo dentro il quale il
Cavaliere di Leo aveva trovato riparo dalle devastazioni e dai crolli esterni.
Liberatosi, Ioria si fece largo tra le macerie di
quello che un tempo era il corridoio d’ingresso, ormai un cumulo di pietre
accatastate senz’ordine, con una luce in lontananza, una specie di uscita verso
cui Ioria si diresse.
Ma prima che
potesse fare qualche passo, sentì un rumore di pietre smosse provenire da
dietro di sé. Una figura si stava liberando dai detriti crollati, rivelando
nuovamente la sua figura. Pur nella scarsa luminosità dell’ambiente, Ioria riconobbe la faccia canina del Dio Anubi, ancora armato del suo Bastone dorato, e intuì che
probabilmente doveva averlo seguito, su per le scale a rotta di collo, prima
dell’esplosione della Nube di Magellano.
Ripensare
all’esplosione gli fece tornare alla mente Eurialo e Niso, e il loro sacrificio. E ciò fece accendere
impetuosamente il proprio cosmo, manifestandosi sotto forma di guizzanti
fulmini che stridevano tutt’intorno alla sua dorata corazza.
"Fatti sotto,
cagnaccio!" –Gridò Ioria, scagliando una
violenta sfera energetica contro Anubi.
La bomba di luce
travolse il Dio, esplodendo al contatto con il suo corpo stanco, e lo annientò
sul colpo, disintegrando persino il Bastone dorato, simbolo del suo potere. Ioria si scosse le mani dalla polvere, soddisfatto del suo
operato, quindi si voltò verso l’uscita, per tornare ad aiutare Albione contro
i Soldati del Sole Nero. Prima di uscire dalla Piramide Nera, accennò un
sorriso, mandando l’ultimo saluto ai Cavalieri del Dorado
e del Tucano. Quella vittoria, dopotutto, apparteneva a loro.
Non a me! Si disse Ioria,
concentrando nuovamente il cosmo sul pugno destro e liberando l’uscita da cumuli
di pietre e rocce franate.
Fu di nuovo fuori,
giusto in tempo per aiutare Albione e Cancer, che sembravano ormai allo stremo
delle forze, contro i Soldati del Sole Nero. Il Dio Seth aveva svuotato infatti
la Piramide, ordinando che tutti i guerrieri uscissero per affrontare e
uccidere i Cavalieri di Atena, sicuri che i nemici affrontati fino ad allora li
avessero stancati a sufficienza per renderli vulnerabili e facilmente
raggiungibili dalle Spade del Sole Nero dei suoi soldati.
"Ancora non
siete stanchi? Ancora alzate le spade contro i Cavalieri di Atena?" –Gridò
Ioria, irrompendo sul campo di battaglia.
–"Uomini coraggiosi hanno dato la vita affinché il vostro malefico signore
ponesse fine agli esperimenti di cui si è macchiato, e ancora osate servirlo?
Ancora desiderate servire la tenebra, quando potreste deporre le armi e
accettare la luce nei vostri cuori?”
"Ioria…" –Mormorò Albione, osservando una diversa luce
negli occhi del ragazzo.
"Se la
violenta guerra voi desiderate, guerra avrete! Perché qua, a Tebe, c’è ancora
un Cavaliere che combatte!" –Gridò Ioria,
lanciandosi come una saetta in mezzo alla massa di soldati. –"Assaggiate
le zanne del Leone, sgherri di Seth!" – E folgori guizzanti sferzarono
l’aria, distruggendo le Spade del Sole Nero, dilaniando le carni degli
egizi, bruciando le loro vesti, disperdendoli confusamente.
"Sono con
te!" –Lo affiancò Albione, caricando la catena di tutto il suo cosmo.
–"Che ne dici di questa gabbia d’argento?" –Ironizzò, lanciando la Catena
di Cefeo, che si dispose a gabbia, imprigionando
alcuni soldati al suo interno e bloccando i loro movimenti.
"Dico che è
il modo migliore per offrirmi le loro teste!" –Ironizzò Cancer,
lanciandosi avanti. Concentrò il cosmo sulle mani, muovendole come affilate
chele di un granchio, e balzò di fronte ai soldati del Sole Nero, affondando le
chele dorate nel loro collo. Staccò una decina di teste barbaramente, di fronte
agli occhi disgustati di Ioria e di Albione, prima
che un gruppo di soldati lo prendesse di mira, caricando le Spade del Sole
Nero.
Cancer rotolò sul
terreno sabbioso, evitando i raggi di energia rovente, prima di rialzarsi e
correre loro intorno, veloce, sempre più veloce, alla velocità della luce.
Correndo, li colpiva continuamente, con raggi di energia, lasciandoli
interdetti e incapaci di comprendere da dove provenissero gli attacchi. Quando
ritenne che fossero esausti abbastanza si fermò, concentrò il cosmo sull’indice
destro, mentre onde di bianca energia fluttuavano nell’aria intorno a lui.
"Strati di
Spirito!" –Gridò, e spazzò via le anime dei Soldati del Sole Nero.
Altri soldati
intervennero, impegnando i Cavalieri di Atena, i quali si posizionarono vicini
tra loro, in modo da concentrare meglio i loro attacchi. Lentamente però
sentirono le forze venire meno, in una maniera imprevista, quasi
sovrannaturale, non commisurata all’effettivo sforzo sostenuto.
"Ma cosa ci
sta succedendo?" –Domandò Ioria. –"Non
riesco nemmeno ad alzare il braccio!"
"C’è qualcosa
che ci spinge a terra…" –Brontolò Cancer, cadendo
sulle ginocchia. –"Qualcosa che ci opprime!"
"Una forza
misteriosa e sovrannaturale!" –Intervenne Albione. –"Le mie forze
sono allo stremo, solo la catena guizza ancora, sembra che non risenta di
questo arcano potere oscuro!"
Detto questo
Albione creò una gabbia difensiva, con cui circondò i corpi stanchi dei tre
Cavalieri. I Soldati del Sole Nero, che numericamente non erano rimasti in
molti, dopo le stragi effettuate da Cancer e le sconfitte inflitte loro da
Albione e Ioria, approfittarono della debolezza degli
avversari per assestare loro il colpo di grazia. Si riunirono tra loro,
concentrando il fuoco delle Spade e dirigendolo verso i Cavalieri di Atena. Le Catene
di Cefeo andarono definitivamente in frantumi,
disintegrate dai raggi roventi del Sole Nero, lasciando i tre alla mercè dei loro avversari.
Maledizione! Mormorò Ioria, tentando di
rimettersi in piedi. Che sia davvero finita? No! Non può finire così! Non
può! E fece forza sul ginocchio destro per riuscire ad alzarsi. Ci riuscì
ma gli doleva la testa e sentiva le gambe tremargli e attrarlo verso il basso.
Cercò di muovere un braccio, per scagliare un attacco energetico, ma si accorse
di essere troppo debole persino per sollevarlo.
In quel momento i
Soldati del Sole Nero caricarono nuovamente le loro spade, dirigendo i raggi
roventi verso i Cavalieri di Atena. Ma prima che potessero liberarli, si
ritrovarono tutti trapassati da un sottile piano di energia. Un fendente di
luce calò sulle braccia dei guerrieri egizi, mozzando a tutti la mano destra contemporaneamente,
e facendo crollare a terra le loro armi.
"Aaargh! Doloreee!!!"
–Gridarono i guerrieri egizi, rimasti monchi ad una mano. E si guardarono
intorno per capire cosa aveva causato loro quel grande danno. Ma non ebbero
tempo per altro che furono travolti da un gigantesco fendente di energia e
scaraventati di lato, con il corpo pieno di ferite e di tagli, mentre una
possente voce risuonava nell’aria.
"Excalibur!!!"
Un uomo, rivestito
da una dorata armatura, fece quindi la sua comparsa, interessandosi alle sorti
dei propri compagni. Il suo nome era Shura,
Cavaliere d’Oro di Capricorn.
"State
bene?" –Domandò, rivolgendosi a Ioria e agli
altri.
"Capricorn!" –Esclamò Ioria,
per una volta contento di rivederlo.
"Grazie per il
tuo aiuto, nobile Cavaliere!" –Rispose Albione educatamente, mentre Cancer
subito non perse occasione per dire la sua.
"Si può
sapere dov’eri finito? Siamo venuti qua per rimediare agli errori che tu e
l’altro idiota di Gemini avete commesso! Se avete adempiuto al meglio alla
missione che vi era stata affidata…"
"Perdonatemi!"
–Lo zittì Capricorn. –"Sono stato
trattenuto!"
"Dov’è
Gemini?" –Domandò Albione.
"Non lo so!
Siamo stati separati la prima notte, durante un agguato notturno! Ho cercato il
suo cosmo in questi giorni, ma non riesco più a percepirlo! Un’ombra terribile
è scesa sul Cavaliere di Gemini, un’ombra che temo lo abbia inghiottito!"
"Vuoi forse
dire che Gemini è…?" –Gridò Ioria,
ma Albione lo trattenne.
"Ne parleremo
in seguito! Adesso dobbiamo eliminare i Guerrieri del Sole Nero!"
"Se
riuscissimo almeno a muoverci! C’è qualcosa che sta risucchiando le nostre
forze!"
"È
l’occhio!" –Spiegò Capricorn. –"È l’occhio
di Ra, che Seth ha inquinato, usandolo per i propri scopi meschini!" –E
indicò la cima di quel che rimaneva della Piramide Nera.
L’enorme
costruzione era in parte crollata, affossata su se stessa a causa
dell’esplosione subita nei sotterranei, ma la parte superiore, sebbene
sprofondata verso l’interno, era rimasta integra, e sulla cima spiccava ancora
un grande occhio, dalla pupilla aperta. L’occhio di Ra, simbolo del Dio del
Sole, che Seth aveva usurpato, dipingendolo di Nero, il colore del suo nuovo
Impero.
"L’occhio
attrae tutte le nostre energie, ci sfianca, ci lascia deboli e indifesi di
fronte al nemico! L’ho capito durante lo scontro notturno fuori dalla Piramide!
Sentivo che c’era qualcosa che mi toglieva energia, qualcosa che mi prosciugava
lentamente dall’interno, condannandomi ad una lenta agonia! Dobbiamo
distruggerlo!" –Esclamò Capricorn. –"Poiché
è con esso che Seth controlla anche le menti dei suoi Soldati! Dobbiamo
distruggerlo e liberare l’Egitto, restituendo il simbolo del Sole a colui al
quale realmente appartiene!"
"Ma come
possiamo fare? Non abbiamo le forze!" –Mormorò Ioria,
che a stento si reggeva in piedi.
"Me ne
occuperò io! Voi cercate di non farvi ammazzare!" –Esclamò Capricorn, scattando avanti tra i Soldati del Sole Nero. Ne
falciò alcuni, con un fendente di Excalibur, prima di correre verso la
cima della Piramide Nera.
Capricorn scagliò
un fendente di energia cosmica con il braccio destro, travolgendo un gruppo di
Soldati del Sole Nero e superandoli, sfrecciando verso la Piramide Nera, sulla
cui cima, danneggiata dall’esplosione della Nube di Magellano, spiccava
un simbolo oscuro, l’Occhio di Ra, che il Dio Seth aveva inquinato,
strumentalizzandolo per i propri fini imperiali.
Capricorn giunse
ai piedi della grande Piramide, proprio dove due notti prima era stato
massacrato dalla Sfinge e dagli altri Guerrieri Egizi coalizzati contro di lui.
Sospirò, ricordando quel brutto momento della sua carriera di Cavaliere, in cui
si era sentito troppo debole, quasi perso, e incapace di resistere alla furia
dei suoi aggressori. Forse l’occhio di Ra aveva già iniziato ad esercitare il
suo influsso su di lui, assorbendo parte della sua energia, o forse, molto più
semplicemente, aveva perso il controllo della situazione, incapace di
concretizzare la propria missione.
Ma adesso le
cose sono cambiate! Si disse,
tastando il braccio. Atena mi ha fatto un dono! Un dono che non dimenticherò
mai e che userò per portare ovunque la giustizia! E nel dir questo ripensò
agli eventi degli ultimi due giorni, che avevano cambiato la sua vita e il suo
status di Cavaliere.
Dopo essere stato
travolto dalla piena del Nilo e essere riuscito a sfuggire a Sobek e ai
coccodrilli, Capricorn si era abbandonato alla corrente, come un corpo inerme,
incapace di reagire, e si era lasciato trascinare. Non seppe neanche lui quanto
tempo rimase in acqua, quanto tempo rimase a farsi trasportare via, lontano
dalla guerra e dalla sconfitta subita. Si arenò lungo la riva del fiume e a
stento riuscì a portarsi al di là dell’argine, trascinandosi sulla sabbia e
abbandonandosi su di essa, debole e senza forze. Rimase così, in un apparente
stato di coma, per tutta la notte, perdendo conoscenza e coscienza di sé,
finché all’alba del mattino seguente non fu trovato da un contadino.
Achoris era un lavoratore della terra che viveva ai margini
del deserto, pochi chilometri sopra Asyut, la Lycopoli di età ellenistica,
città dedita al culto di Upuaut. Lo trovò disteso sulla sabbia, con grumi di
rena attaccati alla corazza e ferite sul viso e sulle braccia. Sorrise, prima
di caricarlo sul carretto e portarlo a casa, dove lo mostrò alla moglie e ai
figli, tre bambini di giovane età.
"Dove lo hai
trovato?" –Domandò Nubia, con apprensione.
"Vicino al
fiume! Deve essere riuscito ad uscirne con grande sforzo! Ricordi i tuoni della
notte scorsa? E il forte vento che spirava da Tebe? Io credo che vi fosse
battaglia nella città sacra!"
"Non mi sento
a mio agio, Achoris! Non con un estraneo in casa! Un estraneo… con strani
poteri!"
"Fossi in te
non mi preoccuperei! Non credo che sia uno dei servitori della Piramide Nera!
No, non lo penso affatto!" –Cercò di tranquillizzarla l’uomo. –"Hai
notato le splendide rifiniture di quest’armatura? Oro intarsiato, di ottima
fattura! A me hanno fatto tornare in mente leggende perdute, storie di eroi di
un tempo in cui esistevano ancora valori per cui combattere!" –Sospirò
Achoris, pregando la donna di lucidare la corazza dell’uomo, che avevano
spogliato e messo a letto.
Capricorn passò
varie ore sotto le coperte, in preda ad una forte febbre e a violenti spasimi,
sotto le cure attente di Achoris e delle medicine naturali di sua moglie.
Soltanto nel tardo pomeriggio riuscì ad aprire gli occhi, ma impiegò un po’ di
tempo a focalizzare e a comprendere dove si trovasse.
"Non
sforzarti troppo!" –Gli disse Achoris, seduto accanto al letto. –"Sei
ancora debole!"
"Dove
sono?!" –Domandò Capricorn, tenendosi la testa che gli scoppiava.
"Al sicuro!
Puoi fidarti!" –Sorrise Achoris, prima di essere raggiunto dalla moglie
con un piatto di minestra calda. –"Adesso mangia qualcosa, ne avrai
bisogno per rimetterti in forze! Devi aver avuto una brutta serata,
ragazzo!" –Ironizzò, prima di spiegare del suo ritrovamento e aggiungere
qualcosa sulla sua famiglia, una semplice famiglia di contadini che lavora
tranquilla il proprio orto.
"Io…"
–Balbettò Capricorn, ma non riuscì a formulare un discorso sensato. Era come se
fosse stato svuotato, privato dei suoi ricordi e della sua esistenza, incapace
di ricordare chi fosse e quale fosse il suo ruolo nel mondo. –"Non
ricordo!"
"Non
preoccuparti! Le piene del Nilo non risparmiano nessuno! Il fatto che tu sia
sopravvissuto è già un miracolo, hai la pelle dura e resistente!" –Esclamò
l’uomo con un sorriso. Quindi si alzò e si affacciò alla finestra, mentre una
leggera brezza scombinava le tende. –"Volevano ucciderti, eh? Quelle
carogne infami! Hanno usurpato i simboli del nostro antico Dio, il possente
Amon Ra, utilizzandoli per i loro scopi! Non so da quale Inferno sia tornato
Seth, non conosco il diavolo che lo ha inviato nuovamente su questa Terra, ma a
quanto vedo non ha modificato i suoi propositi bellici! I suoi soldati
scarrozzano liberi per mezzo Egitto, depredando case e villaggi, imponendo
tasse e gabelle, e uccidendo tutti coloro che rifiutano di sottostare alle sue
leggi!"
"Achoris!"
–Esclamò la moglie, prendendogli una mano.
"Vorrei
aiutarvi, ma non so di cosa state parlando…" –Balbettò Capricorn,
scusandosi per non poter essere di utilità.
"Aaah, lascia
stare! Sono solo i discorsi di un vecchio che si è sentito minacciare due
volte! Se non paghiamo i tributi a Tebe, i nostri campi verranno sequestrati,
le nostre donne portate via, a lavorare per Seth, e i nostri figli diverranno
carne da cannone, obbligati a indossare le uniformi dei Soldati del Sole Nero!
Così vive l’Egitto oggi!" –Sospirò l’uomo, uscendo nel vento caldo della
sera.
Capricorn rimase
seduto sul letto, avvolto nella tunica con cui lo avevano vestito, con la
scodella in mano e un forte mal di testa. Ringraziò Nubia per la gentilezza e
si distese ancora un pò, sperando di trovare pace nei sogni. Ma non vi riuscì.
Strane visioni turbarono il suo animo, grida di soldati che invocavano il suo
nome, strane figure, ricoperte da dorate armature, che sollecitavano il suo
intervento, e un uomo con un volto mascherato che interrogava le stelle sul suo
destino. Quale destino? Si chiese, prima che i suoi sogni fossero
interrotti da brutali grida.
"Lasciali
andare, carogna!" –Esclamò Achoris, fuori nel cortile della casa,
brandendo un forcone, di fronte a un gruppo di Soldati Egizi, a cavallo dei
loro dromedari.
"Povero
vecchio! Così facendo aggravi la tua pena!" –Risero i soldati. –"Sei
in ritardo con i pagamenti, zotico! E Seth non ama aspettare! Gli porteremo i
tuoi figli, come tributo!"
"Non osare
sfiorarli! Non lascerò che quel bastardo ne faccia marionette nelle sue mani!
Impera come un tiranno sull’Egitto e pretende il nostro sangue, quel viscido
serpente!" –Esclamò Achoris, puntando il forcone contro i soldati, che
erano discesi dai dromedari e avevano afferrato i suoi figli.
"Credo che la
pazienza di Seth sia giunta al limite!" –Esclamò un soldato, tirando fuori
la propria Spada del Sole Nero. Appena la vide, Achoris corse avanti,
cercando di colpirlo con la forca, ma il soldato fu più svelto e sbatté con
forza la spada contro la rozza arma dell’uomo, gettandolo a terra. Quindi puntò
la spada avanti a sé, sprigionando un distruttivo raggio di energia, che
incendiò il tetto della casa, iniziando a bruciare l’intero edificio.
"Nooo!!!"
–Gridò Nubia in lacrime, mentre il soldato puntava la spada verso il contadino,
disarmato, a terra di fronte a lui.
"Lasciate
liberi i bambini e i contadini! O non vi garantisco la vita!" –Esclamò
improvvisamente una voce, proveniente dalla casa in fiamme.
"Che cosa?
Chi osa parlarmi in questo modo?!" –Gridò il soldato indignato.
Un fendente di
energia lo travolse in pieno, mozzandogli un braccio, di fronte allo sguardo
attonito degli altri soldati. L’uomo esplose in un grido di dolore, crollando a
terra in una pozza di sangue.
"Io
oso!" –Esclamò un ragazzo, uscendo dalle fiamme. Indossava la tunica che
Achoris gli aveva prestato ore prima e aveva lo sguardo fiero, consapevole del
suo destino. –"Facile fare i duri quando si ha la lama dalla parte del
manico! Ma disarmati quanto valete? Più o meno di un respiro?"
I soldati egizi
sfoderarono le Spade del Sole Nero, puntandole verso il loro avversario,
ma questi fu più svelto, evitando gli affondi energetici e sfrecciando tra i
dromedari, colpendo i soldati al collo con un secco colpo della lama energetica
presente nel suo braccio. Alla vista di tre teste tagliate di netto, i
rimanenti soldati cercarono di fuggire, ma vennero travolti da un’incandescente
fendente di energia cosmica, mentre una solenne voce risuonava nell’aria.
"Excalibur!!!"
–Tuonò l’uomo.
"Chi sei tu,
nostro salvatore?" –Domandò Nubia, in lacrime. In tutta risposta, una luce
circondò il corpo dell’uomo, avvolgendolo nel suo caldo abbraccio, mentre una
dorata corazza, a forma di Capricorno, la stessa che Nubia aveva ben lucidato
ore prima, apparve nel cielo, scomponendosi in vari pezzi e andando a ricoprire
il corpo dell’uomo.
"Sono Shura
di Capricorn! Cavaliere d’Oro di Atena!"
"Il mio cuore
non mi ingannava allora!" –Sorrise il contadino, aiutato da Capricorn a
rimettersi in piedi. –"Siete giunto fin qua, per liberare l’Egitto dal
giogo del malvagio Seth?"
"Per la
verità, il mio compagno ed io siamo stati inviati dal Sacerdote di Atene come
ambasciatori, ignari dell’attuale situazione dell’Egitto, ma la pace che
avremmo dovuto portare ci è stata sbattuta sul viso, sotto forma di violenti
artigli da guerra! Ma grazie alle informazioni che ho raccolto da voi, credo
adesso di avere un quadro ben più chiaro della situazione!"
Achoris raccontò
della venuta di Seth, dell’imposizione della tirannia, dei tributi che chiedeva
per mettere villaggi sotto la sua protezione. Coloro che non accettavano
venivano marchiati e uccisi.
"Un tempo
eravamo protetti contro queste prese di potere! Il Sommo Ra, Signore del Sole,
regnava sull’Egitto, dandoci luce e calore! Da quando è scomparso, uscendo dal
mondo e rintanandosi a Karnak, è stato come se il sole brillasse con meno
intensità, come se i raccolti perdessero la loro abbondanza e l’acqua fosse
meno pura e nutriente! Ho fiducia in voi, Cavalieri di Atena, che siete cantati
nel mito come portatori di giustizia! Che possiate esserlo realmente, perché
mai come oggi l’Egitto ha bisogno di giustizia!" –Aggiunse l’uomo,
inginocchiandosi di fronte a Capricorn.
"Alzatevi vi
prego! Sono io che devo inginocchiarmi e ringraziarvi per quello che avete
fatto per me!" –Sorrise Capricorn. –"Devo andare adesso! Ho una
missione da compiere! Ma tornerò, mio buon amico, per portarvi un po’ di sole,
e per aiutarvi a ricostruire la vostra casa!"
"Che la luce
di Amon illumini la tua strada, Cavaliere di Capricorn!" –Esclamò il
vecchio, e anche la moglie sorrise, osservando il giovane Cavaliere
allontanarsi tra le sabbie del Sahara.
Dopo pochi
chilometri fu costretto a fermarsi, perché molti dubbi albergavano nel suo
animo. Misteri a cui ancora non aveva trovato soluzione. Un ultimo gli
rimbombava in mente da un paio d’ore. Da quando, per proteggere Achoris e la
sua famiglia, aveva travolto i Soldati del Sole Nero, pronunciando un nome che
mai era uscito dalla sua bocca. Il nome della Sacra Spada Excalibur.
Si fermò ad
un’oasi, per dissetarsi con fresca acqua, prima di osservare il cielo, scuro,
ma con uno spicchio di luna che emanava un pallido bagliore. Capricorn sorrise
e per un momento gli parve che un fascio di luce scendesse dal cielo e si
fermasse proprio ai suoi piedi. Un’evanescente figura apparve ammantata di
un’aura cosmica, la più possente e profonda che mai avesse percepito, superiore
a quella di qualsiasi Cavaliere d’Oro. Un’aura che non incuteva paura, affatto,
ma un enorme ed infinito senso di amore.
"A...
Atena!!!" –Mormorò Capricorn, stupefatto, crollando sulle ginocchia.
La figura non
rispose, avvicinandosi al giovane dai folti capelli scuri. Gli sorrise,
carezzandogli il volto e liberandolo dagli affanni che tanta ansia gli avevano
portato. Il Cavaliere socchiuse gli occhi, sentendo l’essenza primordiale delle
stelle entrare dentro di lui e riscaldargli corpo e animo.
"Cavaliere
d’Oro di Capricorn!" –Parlò infine la figura, con voce calma ma piena di
grazia e nobiltà. –"Il tuo cuore è puro ed è devoto alla giustizia!"
"Il mio cuore
appartiene ad Atena!" –Esclamò il ragazzo, sollevando lo sguardo verso la
Dea.
"Lo sento! Ed
è per questo che ti ho fatto un dono, che, ne sono certa, utilizzerai per
difendere la giustizia! La Sacra Spada alberga adesso nel tuo braccio, come
premio per la tua fedeltà alla causa!"
"La spada
Excalibur?!" –Mormorò Capricorn, con una grande commozione nel cuore.
–"La spada della leggenda! Adesso, qua, nel mio braccio! Una lama capace
di trapassare ogni materiale!"
"Excalibur è
la lama in grado di recidere ogni male! Ed è in questo modo che dovrai usarla!
Non per offendere, non per portare morte, ma per difendere la giustizia, per
rigenerare questo tempo e portare calore in un mondo che si rabbuia sempre di
più!" –Spiegò Atena, raccontando le origini della Sacra Spada.
–"Excalibur nacque in Britannia, forgiata dai druidi dell’Isola Sacra di
Avalon e da loro ceduta a me, Dea della Giustizia, come ricompensa per l’aiuto
prestato loro durante una sanguinosa guerra combattuta in Britannia! Molti
secoli addietro infatti, quando l’Impero Romano, dopo aver raggiunto il massimo
della sua espansione, iniziò a cedere, e le legioni vennero richiamate dalla
Britannia per difendere Roma, sull’isola scoppiò una grande guerra, in cui emersero
oscuri poteri che minacciarono di alterare gli equilibri del Mondo!
Così, preoccupato
dall’avvento di tale tenebroso potere, Zeus, mio Padre e Signore dell’Olimpo,
decise di intervenire personalmente, aiutando Avalon nella battaglia, ed io
scesi in campo al suo fianco, assieme ai Cavalieri a me fedeli! La guerra fu
lunga e sanguinosa, e molti furono i caduti, sia tra i Cavalieri di Grecia sia
tra le milizie di Avalon, ma alla fine, grazie al nobile e disinteressato gesto
di un Cavaliere, il sole sorse di nuovo e le forze oscure vennero sconfitte!
Come premio e gesto di riconoscenza, Avalon cedette il dono più prezioso che
aveva, la Spada Excalibur, che i celtici chiamavano Caledvwlch, "il grande
fendente"! Da allora, ogni generazione, ne faccio dono al Cavaliere più
fedele ad Atena, il Cavaliere del Capricorno, discendente dell’uomo che, con un
gesto ardito ma generoso, rischiò la propria vita per porre termine alla guerra
di Avalon!"
"Vi sono
grato, Dea Atena, di tale prezioso dono! Prometto solennemente sul mio onore di
Cavaliere di utilizzare quest’arma per la giustizia, per contribuire, sotto la
sua guida, alla rigenerazione di questo mondo!" –Esclamò Capricorn, in
ginocchio di fronte alla Dea.
"Ho fiducia
in te, Cavaliere d’Oro, come l’ho avuta in tutti coloro che ti hanno preceduto,
in tutti i Cavalieri dal nobile cuore che hanno impugnato la Sacra Spada e
lottato con essa per difendere la giustizia e la libertà! Tu sei riuscito, con
il tuo cosmo, e la tua devozione pura alla causa, a risvegliarla, e io adesso
te la lascio in dono per l’eternità!" –Sorrise Atena, prima di scomparire.
Evanescente, come
polvere di stelle, la figura divina sfumò, lasciando il Cavaliere d’Oro da
solo, nel deserto africano, sotto un cielo che, in quel momento, gli parve meno
scuro che in passato. Un cielo da cui, Capricorn ne era certo, il sole sarebbe
sorto ancora.
La mattina
successiva Capricorn giunse in vista della Piramide Nera, mantenendosi a
precauzionale distanza di sicurezza, lungo il corso del fiume Nilo. Per un
momento si chiese cosa ne fosse stato di Gemini, da cui era stato
involontariamente separato due notti prima. Sospirò, augurandosi che fosse
ancora vivo, ma una strana fitta lo aggredì proprio mentre stava pensando a
lui. Non ebbe tempo di riflettere ancora che fu costretto a combattere contro
una pattuglia di Guerrieri del Sole Nero, armati delle loro spade energetiche,
che lo aveva avvistato e stava correndo contro di lui.
Capricorn evitò
gli affondi dei soldati egizi, quindi si gettò su di loro, liberando violenti
fendenti di energia cosmica con il braccio destro. In una decina di minuti lo
scontro si concluse, con la vittoria incontrastata del Cavaliere d’Oro e
l’abbattimento dei Guerrieri Egizi.
"Hai del
fegato, ragazzo, nel tornare nel luogo dove sei stato massacrato!"
–Esclamò improvvisamente una voce, emergendo alle spalle di Capricorn.
"Tu non mi
conosci, Sobek, ma io detesto lasciare gli affari in sospeso!" –Rispose
Capricorn, con aria di sfida, voltandosi ed incrociando lo sguardo del Signore delle
Acque del Nilo, colui che lo aveva bistrattato due sere prima, grazie all’aiuto
dei suoi coccodrilli e delle putride acque del fiume.
Sobek, Dio
Coccodrillo, era infatti di fronte a
lui. Non molto alto e dalla corporatura tozza, ricoperto da un’Armatura dal
colore verde oliva, simile alla squamata pelle di un coccodrillo, con il muso
posto al centro del petto, con le fauci aperte e i denti digrignati verso di
lui. Il viso era bianco e scavato, reso vivo soltanto dagli occhi, piccoli ma
neri, e da lunghi capelli verdastri che scendevano sfilacciati fino alle sue
spalle, sporchi e poco curati. In testa portava una corona a forma di disco
solare, con due corna e numerose piume di falco inserite in essa.
Il suo culto in
Egitto era connesso con la fertilità, poiché si riteneva che le paludi abitate
dai coccodrilli fossero garanzia di piena del Nilo e quindi di raccolti
abbondanti, e fu venerato particolarmente durante la XII e XIII Dinastia, al
punto che alcuni sovrani aggiunsero il suo nome al proprio, come i cinque re
Sobekhotep. Il centro più importante del suo culto fu l'oasi del Fayum,
pullulante di coccodrilli, dove era necessario esorcizzare la voracità e
l'astuzia di tali animali, e dove, a Medinet el-Fayum, la Crocodilopoli di
epoca greca, gli fu dedicato un tempio nel Medio Regno. Ogni tempio di Sobek
era provvisto di piscine o stagni dove numerosi coccodrilli sacri venivano
allevati con ogni cura da appositi sacerdoti e mummificati dopo la morte. Ma il
Dio, per quanto amasse essere venerato, preferì sempre vivere nel Nilo, nel
grande fiume, dove trovava forza e vigore ed anche pace e riposo, al punto da
diventare la sua dimora primaria.
"Sei in cerca
di rogne, ragazzo?" –Esclamò Sobek, fissandolo con sguardo severo.
"Sono diretto
alla Piramide Nera, Sobek! Hai intenzione di lasciarmi andare?"
"Perché si
venga a sapere che il Dio Coccodrillo non è stato in grado di far fuori un
bamboccio di quindici anni?!" –Ironizzò Sobek. –"Né ora né
mai!!" –Ed espanse il proprio cosmo, dal color verde oliva, evocando le
correnti di cui era Signore . –"Acque del Nilo! Spazzatelo
via!!!" –Gridò, mentre immense onde di acqua scura si sollevarono alle sue
spalle, abbattendosi sul Cavaliere di Atena.
Capricorn cercò di
evitare di essere travolto, balzando in alto e scivolando sulle acque del Nilo.
Si sentiva leggero, come mai si era sentito prima, grazie al benigno influsso
delle stelle e al dono che Atena gli aveva concesso, dimostrandogli fiducia.
Scivolò tra le onde, evitando lo scontro frontale, e solo quando non riuscì ad
evitarlo sollevò il braccio destro, caricandolo del suo dorato cosmo.
"Excalibur!!"
–Gridò, liberando un violento fendente di energia cosmica, che tagliò in due
un’onda gigantesca, lasciando che si abbattesse ai suoi lati. Di fronte agli
occhi sgranati del Dio Coccodrillo.
"Come può
essere? L’altra notte faticavi a resistermi, eri in balia delle acque del Nilo!
Come puoi evitarle adesso con così semplice facilità?!"
"Prima di me
ci sono stati uomini valorosi che hanno affrontato ombre e tenebre maggiori,
pericoli così grandi che a confronto le tue acque sembrano solo gocce di
pioggia!" –Affermò Capricorn, ergendosi con coraggio in mezzo al turbinio
delle onde. –"Se io cedessi oggi, abbandonandomi alla corrente, senza
reagire, sarei il disonore di un’intera generazione! Di un’intera stirpe di
Cavalieri nei quali Atena ha riposto fiducia! Ed io non voglio che accada! No,
non accadrà!" –Aggiunse deciso, scagliando un fendente di energia che
travolse le acque, facendole evaporare al contatto con tale plasma rovente, e
raggiunse Sobek, scaraventandolo indietro, lungo la riva del Nilo.
"La tua forza
è grande, lo ammetto!" –Disse Sobek, rimettendosi in piedi. –"Già
l’avevo avvertita durante il nostro primo scontro! Nessuno ha mai fermato le
divine acque del Nilo, riuscendo a rigettarmele contro! Ma questo non ti rende
invincibile, né rende me inferiore!" –Sogghignò.
Immense onde lo
sovrastarono, scendendo su di lui e caricandolo, quasi fossero il loro
destriero, mentre dal palmo aperto di Sobek lampi di energia cosmica saettarono
nell’aria, dirigendosi verso il Cavaliere di Capricorn. Il Dio Coccodrillo
turbinava nell’aria, cavalcando le onde del Nilo, che periodicamente si
abbattevano su Capricorn, scagliando contro di lui anche violenti raggi di
energia.
"Devo trovare
un modo per abbatterlo!" –Rifletté il Cavaliere, evitando di essere
travolto da immense onde di energia. –"E sarà forse la Sacra Spada a
guidare la mia mano!" –Aggiunse, sollevando il braccio destro al cielo,
mentre il suo corpo veniva circondato da dorati bagliori. Balzò in alto, ad
un’altezza considerevole, e poi scagliò un potentissimo fendente di energia
cosmica verso il basso, trinciando a metà l’onda su cui Sobek cavalcava e
proseguendo la sua corsa, fino ad abbattersi nel terreno, scavando un piccolo
canale di congiunzione con il Nilo.
Fu un attimo, e le
acque vennero risucchiate nel canale dall’onda d’urto della Sacra Spada,
rientrando nel fiume Nilo e disarcionando Sobek, che si ritrovò a sbattere in
terra, perdendo l’elmo piumato della sua corazza. Rimessosi in piedi, con
l’armatura sporca di melma e di fango, Sobek fissò Capricorn con rabbia e lo
trovò maledettamente lucente e puro, senza un’ombra sul viso, senza un segno di
stanchezza, soltanto con una splendente aura dorata che lo circondava.
"Non voglio
battermi con te, Dio Coccodrillo!" –Esclamò Capricorn infine. –"Non
sei tu l’oggetto della mia missione, anche se vuoi diventarlo! Lasciami
raggiungere Tebe e torna dai tuoi coccodrilli, torna nelle tue Sacre Acque e
nessuno ti recherà disturbo!"
"Umpf! Credi
forse che accetti lezioni da un ragazzino?" –Storse il naso Sobek.
–"Se sopravvivrai a questa guerra, e avrai modo di crescere, allora ti
renderai conto di come vanno le cose nella vita! Non sempre si può scegliere da
che parte stare, non sempre si può avere una seconda possibilità!"
"Possiamo
sempre scegliere, Dio Coccodrillo! Siamo uomini, è nelle nostre facoltà!"
"Basta!!!"
–Gridò Sobek, espandendo il proprio cosmo. –"Assalto Predatorio!!!"
–E scagliò contro Capricorn migliaia di pugni di energia, ognuno dei quali
aveva la rozza forma di testa squamata di coccodrillo, con robusti denti pronti
ad azzannare.
Capricorn cercò di
difendersi dall’attacco del Dio, muovendo con velocità le braccia e trinciando
tutte le affamate teste che sfrecciavano verso di lui. Alcune però non riuscì
ad evitarle e venne colpito, e azzannato dalle lunghe file di denti dei
coccodrilli del Nilo. Trattenne il dolore, continuando a muovere le braccia, in
sincronia, in un vortice di lame dorate che non lasciava più spazio ad alcun
assalto, che non permetteva più ad alcuna testa di fare breccia e raggiungerlo.
Non si avvide però di un abile scatto del Dio Coccodrillo, che lesto si portò
di fronte a lui, puntando con entrambe le braccia al cuore del Cavaliere d’Oro.
Capricorn fu
svelto a parare entrambi gli assalti, piombando a braccio teso sui pugni del
Dio, spaccando le protezioni della sua corazza e facendolo sanguinare. Ma Sobek
continuò a spingere, bruciando il proprio cosmo, e Capricorn fece lo stesso,
espandendo la sua aura cosmica fino ai limiti dell’universo. Socchiuse gli
occhi per concentrarsi e poi li riaprì di colpo, spingendo con tutta la forza
che aveva dentro. I fendenti di energia prodotti dalle sue braccia
scaraventarono Sobek indietro, distruggendo parte della sua corazza squamata, e
gli portarono via anche qualche dita, rendendolo ancora più furioso.
Bruciò al massimo
il proprio cosmo, mentre la gigantesca sagoma di un Coccodrillo del Nilo
appariva dietro di lui, e si lanciò nuovamente avanti, scagliando migliaia e
migliaia di pugni dalla forma di testa di coccodrillo.
"Assalto
predatorio!!!" –Gridò, prima che la sua voce venisse sovrastata da
quella del Cavaliere d’Oro. Una voce decisa e tagliente, come la lama che
portava dentro di sé.
"Per la
giustizia! Risplendi Excalibur!!!" –Esclamò Capricorn, calando la
Sacra Spada su Sobek.
Tutte le teste di
coccodrillo vennero mozzate, travolte dall’inarrestabile procedere della lama
divina. Il Dio venne raggiunto in pieno e scaraventato indietro, tra i
frammenti della sua corazza insanguinata. Tanto potente fu l’attacco di
Capricorn che Sobek venne scagliato direttamente nel Nilo, precipitandovi
dentro con fragore e riemergendo poco dopo, galleggiando come un relitto,
mentre una chiazza di sangue scuro si mescolava alle putride acque in cui era
vissuto per anni. Capricorn sospirò, ansimando per la fatica, prima di
dirigersi verso la Piramide Nera.
Adesso, dopo aver
brevemente ripensato agli ultimi due giorni, era in piedi di fronte all’enorme
costruzione crollata, con l’Occhio di Ra che lo fissava sbilenco. Iniziò a
salire dall’esterno, balzando sulle pietre franate, cercando di portarsi in
posizione vicina e centrale, per colpire il simbolo con un secco fendente di Excalibur.
Improvvisamente un fascio di luce, scagliato contro di lui, lo fece
sbilanciare, ma Capricorn fu comunque in grado di evitarlo e rimanere in piedi,
a venti metri da terra, mentre il Dio Seth, lo stesso che gentilmente lo
aveva accolto con un gran banchetto due giorni prima, emergeva di fronte a lui.
Il suo sguardo fiammeggiante e ostile, la mano destra ancora carica di energia
cosmica, gli fecero ben capire che della gentilezza ostentata non era rimasto
niente. Soltanto la volontà di guerra e di dominino.
Dopo essere usciti
in fretta dalla Sesta Casa di Virgo, i soldati africani, guidati adesso da Aspide,
l’ultimo dei cinque Guerrieri Egizi che avevano accompagnato il Comandante
Upuaut ad Atene, si affrettarono lungo la bianca scalinata di marmo, diretti
verso le Case superiori. La Settima, come previsto, la trovarono vuota, ma
all’Ottava furono costretti a fermarsi.
Appena entrati
nella Casa dello Scorpione, i guerrieri furono immediatamente bloccati.
Sentirono come una strana forza che faceva vibrare i loro corpi ed impediva
loro di andare avanti. Spaventati, videro onde di energia di colore arancione
roteare intorno a loro e aumentare di intensità, prima di esserne travolti ed
esplodere in grida di dolore, ritrovandosi impossibilitati a muoversi.
"Cosa avete
da starnazzare?" –Esclamò un’acuta voce. –"Non conoscete le tecniche
di caccia degli scorpioni?"
I Guerrieri Egizi
guardarono avanti, nonostante fossero ancora paralizzati e vittime delle onde
di energia, incrociando lo sguardo di un ragazzetto, di dodici anni, non di
più, ricoperto da un’armatura, splendidamente rifinita. Milo di Scorpio,
il Cavaliere d’Oro Custode dell’Ottava Casa.
"Prima di
uccidere le loro prede, gli scorpioni sono soliti paralizzarle, bloccare i loro
movimenti, fermare le loro attività!" –Esclamò, fermandosi al centro del
salone. I suoi occhi brillarono di un’accesa luce arancione, mentre centinaia
di onde energetiche, a forma di cerchi concentrici, partivano dal suo viso.
–"Onde di Scorpio!!!" –Gridò, aumentando l’intensità del suo
attacco.
Molti Guerrieri
Egizi, travolti dall’impeto delle Onde di Scorpio, cedettero, venendo
scaraventati indietro o crollando esanimi a terra, ma altri cercarono di
resistere, incitati dalla voce del guerriero che fino all’Ottava Casa li aveva
guidati, prendendo il posto di Upuaut come Comandante.
"Non
permetterete ad un ragazzino di sconfiggervi, voglio sperare!" –Esclamò
una sibilante voce maschile, avanzando in mezzo ai guerrieri immobilizzati.
"Uh?!"
–Mormorò il Cavaliere di Atena, osservando l’uomo procedere verso di lui,
incurante delle Onde di Scorpio che gli inviava contro.
Era un uomo molto
alto, di almeno due metri, ricoperto da un’armatura marrone, con ampie chiazze
gialle, simile alla squamosa pelle di un serpente. Il copricapo raffigurava una
testa di rettile, ampia come quella dei cobra egiziani, con i dentini in bella
mostra, pronti per mordere la preda. Il viso era maschile, segnato da una
cicatrice sull’occhio destro, che lo sfigurava un po’, rendendolo ancora più
inquietante. I capelli radi, di color grigio spento, erano in parte coperti
dall’elmo.
"Come puoi
resistere? Come puoi non sentire le paralizzanti onde dello scorpione?"
–Chiese il Custode Dorato, con gli occhi sgranati dalla sorpresa.
"Il mio
corpo, ed il mio sangue, sono ben immuni dal tuo veleno, Cavaliere di Scorpio! È
ben singolare coincidenza che tocchi a me, l’Aspide Sacro, affrontarti! A me
che di veleno sono intriso, al punto da non sentire più il dolore, neppure con
un ago conficcato nel cuore!"
"Non un ago
qualunque ti trafiggerà il cuore, Guerriero Egizio! Ma l’ago dorato dello
Scorpione!" –Esclamò il Cavaliere, cercando di mantenere la calma, per
quanto l’imperturbabile sicurezza di quell’uomo, che aveva saputo resistere alle
Onde di Scorpio, senza riportare danni, lo infastidisse e lo mettesse a
disagio. –"La Cuspide Scarlatta!" –Gridò infine, sollevando
l’indice destro.
L’unghia del suo
dito si allungò, diventando rossa fiammante, e su essa brillò una violenta
luce, che Scorpio diresse verso il torace del Guerriero Egizio, trapassandolo
poco dopo. Aspide lo lasciò fare, quasi divertito, e osservò un sottile fascio
di energia bucarlo, senza provocare in lui danno alcuno. Sorrise, con un ghigno
perverso, sollevando nuovamente lo sguardo verso il Cavaliere di Scorpio.
"Non… non è
possibile!!!" –Strillò il ragazzo, incredulo. –"Dovresti cadere a
terra, contorcerti dal dolore, a causa del veleno penetrato nel tuo
corpo!!!"
"Veleno,
dici? A me è sembrata la puntura di un insetto fastidioso, da schiacciare
all’istante!" –Ironizzò Aspide, con un ghigno malefico. Concentrò il cosmo
sulla mano destra e poi la rivolse contro Scorpio, scaraventandolo indietro,
avvolto in un globo di incandescente energia che esplose poco dopo, facendo schiantare
il ragazzo contro una colonna. Quindi si voltò verso i soldati egizi, che
lentamente si stavano rimettendo in piedi, ancora frastornati per la batosta
ricevuta.
"Avete
intenzione di accamparvi qua per la notte? Alzatevi! Le Stanze del Sacerdote sono
vicine!"
"Voi non
andrete da nessuna parte!" –Esclamò Scorpio, rimettendosi in piedi.
–"Dovessi morire nel fermarvi, ma voi non uscirete dall’Ottava Casa!"
"Stai attento
a ciò che chiedi, ragazzino! Perché potrebbe diventare realtà!" –Ironizzò
Aspide.
Scorpio non si
curò delle sue parole, bruciando il proprio cosmo e scattando verso i Guerrieri
Egizi che si erano rimessi in piedi e avevano sfoderato le Spade del Sole
Nero. La velocità del Cavaliere li travolse e non riuscirono ad evitare di
essere punti dall’avvelenato ago dello Scorpione.
"Aaaah!"
–Gridarono, cadendo a terra, con un piccolo foro sul petto o sulle gambe.
Sentirono il sangue ribollire, in preda a un forte delirio che pareva
attraversare il loro corpo.
"Stupidi!"
–Mormorò Aspide, prima di fronteggiare l’assalto del Cavaliere d’Oro, che lo
aveva sorpassato, caricando i suoi guerrieri, e adesso si era nuovamente
lanciato su di lui.
"Cuspide
Scarlatta!!! Colpisci!!!" –Gridò Scorpio, scagliando contro Aspide ben
tre sottili raggi di energia, che raggiunsero l’uomo in tre punti, sulle gambe
e alle ginocchia, senza produrre anche quella volta alcun risultato significativo.
–"Non può essere!"
"Ancora non
accetti l’evidenza, Cavaliere d’Oro?" –Lo schernì Aspide. –"Sei
piuttosto duro ad intendere! Ma lascerò correre perché sei soltanto un
bambino!"
" Come ti
permetti?! Anche se ho soltanto dodici anni sono perfettamente in grado di
adempiere al mio dovere, per questo sono stato nominato Cavaliere d’Oro!"
"Continua a
infastidirmi e passerai alla storia come il Cavaliere d’Oro che meno si è
fregiato di tale titolo!" –Sbuffò Aspide, ma Scorpio parve non ascoltarlo
e caricare nuovamente l’indice della mano destra. –"Mi hai stancato,
ragazzino!" –Gridò l’uomo, scattando contro Scorpio e afferrandolo per il
polso della mano, sollevandolo con forza da terra e colpendolo con un micidiale
gancio al petto, facendolo sputare sangue. Un calcio tra le gambe lo scaraventò
lontano, facendolo schiantare contro alcune colonne laterali che crollarono su
di lui.
"In piedi!!!
Adesso!!!" –Gridò Aspide, insultando i suoi guerrieri. Ma soltanto una
quindicina fu in grado di rialzarsi, gli altri furono vinti dagli attacchi di
Scorpio. –"E muovetevi!" –Li incitò l’uomo, spingendoli avanti, a
correre fuori dall’Ottava Casa.
Aveva sentito
esplodere poco prima il cosmo di Kepri, alla Sesta Casa, e anche quelli della
Sfinge e di Ghibli erano scomparsi, sconfitti probabilmente dai Cavalieri di
Atena. Per questo doveva accelerare i tempi, per impedire agli stanchi
difensori del Grande Tempio di riorganizzarsi e magari di raggiungerlo. Con
Kepri e Upuaut caduti, sono l’unico che adesso può raggiungere le Stanze del
Sacerdote e ucciderlo! Si disse, osservando i suoi guerrieri correre verso
l’uscita dell’Ottava Casa.
Improvvisamente
una raffica di gelido vento invase l’interno del tempio, portando con sé un
violento carico di ghiaccio che fece rabbrividire i Guerrieri Egizi. Anche
Aspide si scosse per un momento, alla vista di quella tempesta di gelo che
pareva provenire dall’uscita dell’Ottava Casa.
"Polvere
di Diamanti!" –Esclamò una voce, mentre la bufera di gelo aumentò di
intensità, travolgendo i soldati e scaraventandoli lontano, con i corpi
ricoperti da uno strato di ghiaccio.
"Chi
altri?!" –Domandò Aspide, rimasto al suo posto, in piedi, in mezzo alla
tormenta. Scrutò l’uscita dell’Ottava Casa e vide materializzarsi una figura,
con indosso un’Armatura d’Oro, ricoperta da un bianco mantello. Lunghi capelli
blu, occhi azzurri come il ghiaccio, Camus dell’Acquario aveva appena fermato
la corsa dei Guerrieri Egizi.
"Sono Camus
di Acquarius, Cavaliere d’Oro di Atena!" –Si presentò il ragazzo, con
sguardo magnetico e apparentemente privo di emozioni.
"A…
Acquarius!" –Mormorò Scorpio, liberatosi dei detriti che gli erano franati
addosso.
"Cavaliere di
Scorpio! Stai bene?"
"Sto bene,
non preoccuparti! Ma cosa fai qua? Non dovresti essere all’Undicesima
Casa?"
"Ho sentito i
cosmi dei guerrieri invasori raggiungere l’Ottava Casa e ho pensato di scendere
per portarti aiuto, e per fermare definitivamente la corsa di costoro! Non
potevo più rimanere all’Undicesima Casa ad aspettare sapendo che c’era una
battaglia in corso poco più in basso!" –Spiegò Acquarius. –"Spero tu
non me ne voglia, se ho avuto l’ardire di presentarmi senza invito!"
"Tutt’altro!
Ma lascia a me costui! È affar mio!" –Precisò Scorpio, riferendosi ad
Aspide.
"Come
preferisci!" –Rispose Acquarius, sibillino come sempre.
Aspide scoppiò
quasi a ridere, quando vide Scorpio posare lo sguardo nuovamente su di lui, con
il cosmo acceso e carico di bagliori dorati. "Non hai ancora capito,
ragazzetto? Il tuo veleno è inutile contro di me! Se ti avvicini nuovamente,
spezzerò l’ago dello Scorpione, e lo farò con violenza sanguinaria! Non dimenticare
chi hai di fronte, l’Aspide Sacro, il Cobra Egiziano!"
"Il Cobra
Egiziano?" –Balbettò Scorpio tra sé.
"Precisamente!
"Naja haje" sono anche chiamato, o Aspide di Cleopatra, con
riferimento alla celebre regina che per sfuggire alla conquista romana scelse
di farsi mordere da un serpente, inseguendo l’amato Antonio, suicidatosi giorni
prima!"
"Conosco la
storia di Antonio e Cleopatra, non ho bisogno di lezioni di storia!"
"Ma a quanto
pare non conosci il potere dell’Aspide Sacro! Immagini forse che sia un serpentello,
una biscia come quelle che infestano le vostre terre, ignorando la vera
grandezza, la vera potenza, la vera velenosità di noi aspidi!" –Sibilò
l’egiziano, fissando Scorpio con i suoi penetranti occhi.
Per un momento,
Scorpio ebbe timore, quasi fosse vittima di un incantesimo. Gli sembrò di
trovarsi paralizzato, inerme di fronte a un serpente velenoso, stretto nelle
sue spire e incapace di fuggire. Si sentì un piccolo, fragile scorpione,
stritolato da un velenoso cobra di tre metri di lunghezza.
Aspide continuò a
fissarlo in silenzio, incrociando le braccia al petto, penetrandolo con occhi
che a Scorpio parve aumentassero di dimensioni, divenendo due immensi occhi di
rettile. Un brivido corse lungo la sua schiena, mentre il copricapo di Aspide
prendeva vita, animandosi, come una famelica testa di cobra, con una lingua
biforcuta che sibilava di fronte alla preda.
Scorpio scosse la
testa, toccandosi la fronte, e gli parve di essere quasi febbricitante. Erano
solo immagini, erano solo illusioni, in fondo al cuore lo sapeva, eppure
sembravano così reali, così vere. Gli sembrò di sentire il fetido respiro del
cobra vicino al suo viso, mentre il suo corpo squamato si attorcigliava attorno
al suo corpo, insinuandosi tra gli arti dorati, prima di stringere con forza.
"Ssssh!"
–Sibilò il Cobra Egiziano, prima di affondare i suoi dentini affilati nel collo
di Scorpio, penetrandolo con il suo veleno pungente, lo stesso che aveva ucciso
Cleopatra duemila anni prima. –"Una morte regale!!" –Sghignazzò Aspide.
"Ba...
basta!!!" –Gridò Scorpio, agitandosi, prigioniero delle spire velenose del
serpente. –"Esci dalla mia testa! Esci dalla mia mente!!"
Acquarius, che con
la coda dell’occhio aveva seguito l’intera scena, avrebbe voluto intervenire,
ma i Soldati del Sole Nero non gli lasciavano margini di manovra. Con le spade
sfoderate si avventarono contro il Cavaliere d’Oro, dirigendo i loro violenti
raggi caloriferi verso di lui. Acquarius fu abile ad evitare i loro affondi,
creando spesse muraglie di ghiaccio che, se anche non riuscivano a resistere al
rovente magma egiziano, erano sufficienti per impedirgli di raggiungerlo.
Alla vista di
Scorpio in pericolo, Acquarius decise di accelerare i tempi, concentrando il
proprio cosmo ed iniziando a gelare l’intera stanza, congelando il pavimento di
marmo dell’Ottava Casa.
"Che succede?
Le nostre gambe… sono prigioniere del ghiaccio! Non riusciamo a muoverci!"
"E non vi
muoverete più infatti!" –Disse Acquarius, con gli occhi socchiusi, per
concentrare il proprio potere. –"Come statue di gelo dormirete per sempre
vittime dei cristalli di ghiaccio da me evocati, dei cristalli che provengono
dalla terra in cui mi sono addestrato e dove ho ottenuto la mia Armatura! Polvere
di Diamanti!" –Gridò infine, liberando una violenta bufera di gelo,
che travolse i Soldati Egizi, congelandoli istantaneamente e trasformandoli in
tante statue di ghiaccio.
Scorpio!
Resisti! Vengo da te! Si disse
infine, tirando un occhio al proprio compagno. Ma non si avvide di un soldato
del Sole Nero rimasto in vita, riparato dai corpi dei suoi compagni,
congelatisi di fronte a lui. Un fendente di infuocata energia sfrecciò sul
pavimento dell’Ottava Casa, distruggendo il ghiaccio e tagliando la strada al
Cavaliere d’Oro, che per poco non venne travolto.
"Hai ancora
un nemico da affrontare!" –Esclamò il Guerriero Egizio, puntando la Spada
del Sole Nero contro il Cavaliere di Atena. E Acquarius fu costretto ad
affrontare anche lui, lasciando Scorpio ancora da solo, vittima
dell’incantesimo del Cobra Egiziano.
"Ssssh!!! Il
veleno dell’Aspide ha compiuto il suo effetto! Febbre, delirio e poi morte!
Questo è ciò che avrai!" –Sibilò una voce di serpente, all’orecchio del
Cavaliere, accasciato su se stesso.
"No! Io…
saprò resistere!!" –Esclamò Scorpio, rialzandosi a fatica, di fronte agli
occhi per la prima volta sorpresi del Guerriero Egizio. –"Le tue illusioni
non funzionano con me! Sono un Cavaliere d’Oro e, per quanto sia ancora giovane
e inesperto, sono immune a questi giochi mentali! Saprò essere immune!"
–Si disse, rialzandosi e fissando con determinazione il Cobra d’Egitto.
L’uomo era ancora
al suo posto, con le braccia incrociate al petto e lo sguardo fisso su di lui,
come Scorpio lo aveva visto poco prima. Non vi era stata alcuna trasformazione,
ma tutto era avvenuto nella sua mente, rimasta vittima degli occhi incantatori
del Cobra d’Egitto.
"La malia di
Cleopatra non ha dunque avuto effetto su di te?!" –Mormorò, un po’
dispiaciuto. –"Sarebbe stata una morte migliore, credimi, una morte
leggera! Invece, a quanto pare, preferisci un trapasso violento!" –Esclamò
Aspide, liberando le braccia e caricandole di energia cosmica.
"Non c’è
incantesimo che possa far breccia nel cuore di un Cavaliere d’Oro!"
–Esclamò Scorpio con decisione. –"E ti accorgerai a tue spese che la morte
che vorresti riservare a me altro non è che ciò che tu incontrerai continuando
a sfidare l’Ago dello Scorpione!" –E nel dir questo bruciò il suo cosmo,
caricando l’indice destro di una brillante luce rossastra. –"Cuspide
Scarlatta, compi il tuo dovere!" –E si lanciò avanti, scagliando tre
nuovi sottili raggi di energia contro Aspide, che lo raggiunsero al petto.
Questi non si
mosse anche quella volta, se non per colpire Scorpio con un pugno violento, ma
il Cavaliere d’Oro seppe evitare l’affondo nemico, guizzando con velocità tra
le sue gambe e portandosi dietro di lui. Con l’indice ancora carico e caldo di
energia. Tre nuove cuspidi raggiunsero Aspide alle gambe, penetrando la
protezione della sua corazza.
"Maledetto
moscerino! Cominci a darmi sui nervi, sai?!" –Esclamò il colosso,
voltandosi indietro. Ma per la prima volta avvertì lentezza nei suoi movimenti.
–"Uh? Che diavolo mi succede?"
"Umpf!
Credevi davvero di esserne immune?" –Brontolò Scorpio, storcendo il naso.
–"Credevi davvero che il veleno dello Scorpione non provocasse alcun danno
al tuo sistema nervoso?"
"Non dire
sciocchezze! Il mio sangue di serpente è ben protetto da simili minacce! Ci
vorrebbero cento di queste punture affinché possa iniziare a sentir
dolore!!"
"Cento
dici?!" –Ironizzò Scorpio, con il sorriso sulle labbra. –"Ne bastano
meno per impazzire!"
"E a me
basterà un solo colpo per ucciderti!" –Sentenziò Aspide, irato,
concentrando il cosmo sul palmo della mano destra. Quindi fece per avanzare
verso Scorpio, ma scoprì improvvisamente di non riuscire a muoversi, come se il
suo corpo non rispondesse più ai suoi ordini. –"Per Cleopatra! Cosa
succede?" –Mormorò, ma non ebbe il tempo di aggiungere altro che fitte
tremende iniziarono a dilaniare il suo corpo e, con sua somma sorpresa, dai
fori dove Scorpio lo aveva colpito iniziò a zampillare fuori il sangue, con
crudeli ed incontrollabili getti. –"Aaaargh!!!" –Gridò Aspide,
crollando a terra. –"Il mio sistema nervoso… è impazzito!!"
"È l’effetto
della Cuspide Scarlatta! Essa colpisce lentamente ma inesorabilmente e
conduce a morte sicura le sue vittime! Tu che tanto l’hai disprezzata,
ritenendo di esserne immune, rimani a terra adesso, e soffri, disperati,
contorciti, come un serpente in agonia! E se avrò pietà ti colpirò ancora, con
altri sei colpi, per darti la morte definitiva, anziché lasciarti rantolare
come un pazzo!"
"Pietà?!"
–Ringhiò Aspide, furibondo, arrancando sul pavimento e tentando di rimettersi
in piedi. –"Sarai tu ad implorare la mia pietà, tu a prostrarti in ginocchio
e a pregarmi di non ucciderti, di non stritolarti con le mie soffocanti
spire!" –E fece avvampare il suo cosmo, dal colore giallastro, mutando la
propria forma, allungandosi sul pavimento fino a diventare un vero e proprio
cobra, lungo più di quattro metri, dalla squamosa pelle marrone, con chiazze
gialle.
Immediatamente la
coda del Cobra d’Egitto afferrò Scorpio per le gambe, sbattendolo a terra come
un fuscello, iniziando ad arrotolarsi attorno al suo corpo, stringendo,
stritolando, strizzandolo con tutta la potenza che possedeva. La testa
dell’Aspide si erse maestosa e terribile sopra di lui, fissando la preda con i
suoi occhi gialli, mentre la biforcuta lingua sibilava eccitata.
"Ti avevo
avvertito, Cavaliere di Scorpio! Ti avevo mostrato una visione di ciò che
sarebbe accaduto se tu avessi continuato ad osteggiarti! Ma non hai voluto dare
conto alle mie parole! Sei un uomo d’azione, questo l’ho capito, ma sei anche
uno sciocco ragazzino! Imparerai a tue spese, oggi, che gli errori, in
battaglia, soltanto i perdenti possono permetterseli!" –E aumentò la
stretta mortale, facendo urlare Scorpio dal dolore.
"Grida! Sì,
lamentati! Esplodi in disperate richieste di aiuto! Supplicami di lasciarti
libero, di allentare la fatale stretta che tra poco ti ucciderà! Potrei anche
farlo! Ma sì, perché no? Perché non lasciar libero il tuo corpo, dopo che lo
avrò stritolato in questo mortale abbraccio? Dopo che avrò frantumato le tue
ossa di bambino, fatto a pezzi la corazza che indossi, e che non sei degno di
portare, e dopo che ti avrò riempito di veleno, fino all’ultima goccia di
sangue, forse sì, forse allora ti lascerò libero, per vederti rantolare alla
ricerca dell’ultimo raggio di sole, prima di spirare! Ih ih!"
Scorpio cercò di
non ascoltarlo, di non prestare orecchio alle folli farneticazioni del nemico,
e di concentrarsi su se stesso. Sentiva le ossa scricchiolare, per quanto
protette dall’Armatura d’Oro, e la fronte che gli scoppiava, vittima di una
febbre provocata da qualche oscuro veleno del Cobra Egizio. Ma doveva reagire.
Doveva farlo per proteggere l’Ottava Casa, di cui era divenuto custode da pochi
giorni, troppo pochi per permettersi già di morire. Che ne sarebbe stato del
suo ricordo, se avesse perso così malamente, contro il primo nemico che aveva invaso
il suo tempio? Che ne sarebbe stato di Atena e del Grande Sacerdote? E di
Acquarius, che era sceso per portargli aiuto?
No, si disse, non posso permettermi di morire in così
malo modo! Sono un Cavaliere d’Oro! E sono degno dell’Armatura che indosso!
E nel dir questo bruciò il suo cosmo, facendolo avvampare, come le calde
temperature in cui vivono gli scorpioni, nei torridi deserti. Lo fece diventare
rovente, infuocato come una cometa, e lo scaricò sul velenoso serpente che lo
stava stritolando, sforzando i muscoli del suo corpo sempre di più, per
liberarsi da quella stretta mortale.
"Ma…
cosa?!" –Balbettò Aspide, mentre il suo sinuoso corpo sembrava andare a
fuoco, incendiato dal rovente cosmo dorato del Cavaliere. –"Maledizione,
arde come fiamma astrale il cosmo di questo ragazzo! Mi sta… mi sta...
incendiando!!"
Il cosmo di
Scorpio esplose pochi istanti dopo, facendo a pezzi il corpo squamoso del Cobra
d’Egitto, dilaniando le sue budella velenose e lasciando il ragazzo libero,
seppur ansimante. Acquarius fu subito su di lui, per aiutarlo a rimettersi in
piedi. Notò vari tagli sul collo e sulle braccia, nelle parti scoperte
dell’armatura, e vi posò la mano, carica del suo gelido cosmo.
"Sentirai
freddo adesso, amico!" –Mormorò Acquarius, tenendo Scorpio a sé. –"Ma
così facendo congelerò il veleno che quest’orrida creatura ha riversato nel tuo
corpo! Fidati di me!"
"Grazie!"
–Balbettò Scorpio, cercando di stare in piedi con le sue sole forze.
La testa del Cobra
d’Egitto, nel frattempo, era rotolata a terra, priva del lungo corpo squamoso
che Scorpio aveva distrutto. Ma questo non le impedì di assumere nuovamente
forma umana, di ritornare il Guerriero Egizio dall’armatura marrone e gialla
che un’ora prima era entrato nell’Ottava Casa, conducendovi una ventina di
guerrieri. Adesso era rimasto solo, con la corazza distrutta in più punti, con
nove punture nel corpo da cui sangue usciva copioso, con la vista che sembrava
diminuire ogni minuto che passava, e con la sua incrollabile fiducia
notevolmente scossa.
Scorpio però non
gli diede tempo per riflettere ed elaborare nuove strategie, caricando
nuovamente, con tutta la forza che aveva in corpo. Tre nuove punture lo
colpirono alla cintura e sul petto, distruggendo ulteriormente la propria
Armatura squamosa e facendo zampillare fuori nuovo sangue.
"Ti porgo i
miei complimenti, Guerriero Egizio, per aver sopportato dodici punture dello
Scorpione! Quando ho iniziato ad allenarmi, ad affinare i miei poteri, vedendo
l’effetto che produceva la mia arma sul sistema nervoso delle mie vittime, ho
sempre creduto che mai nessuno ne avrebbe sopportate così tante, che nessuno
mai mi avrebbe obbligato ad usare l’Antares, il quindicesimo colpo! Il cuore
dello Scorpione! Ma tu mi stai portando a ricredermi!" –Esclamò Scorpio.
"Devo farti
anch’io i miei complimenti! Mi hai sorpreso! Non avrei mai creduto di trovare
in un bamboccio di dodici anni un avversario insuperabile!" –Confessò
Aspide, con voce serena.
"Se avete
finito con questi convenevoli…" –Intervenne Acquarius con voce fredda e
distaccata. –"Dobbiamo concludere questa battaglia! Sei l’ultimo invasore
ancora in vita, l’ultimo che ancora si aggira per le Dodici Case di
Atena!"
"La
concluderemo adesso, stupidi infanti!" –Gridò Aspide, bruciando il suo
cosmo. La sagoma di un immenso Cobra Egizio apparve dietro di sé, con le fauci
aperte e pronte a ghermire. –"Aspide Sacro di Cleopatra,
uccidili!" –Esclamò, dirigendo il serpente di energia contro i due
Cavalieri.
"Cuspide
Scarlatta, dilania la tua vittimaaaa!!!" –Gridò Scorpio, lanciandosi
contro Aspide alla velocità della luce.
Due nuove punture
raggiunsero il guerriero vicino al cuore, facendo esplodere il sangue da tutte
le altre, paralizzando i suoi movimenti, mentre il serpente di energia si
disperdeva, privo ormai di controllo. Acquarius pregò dunque Scorpio di
scansarsi, mentre sollevava le braccia unite sopra di sé. La maestosa figura di
un’ancella apparve dietro di lui, mentre la scintillante energia lucente
racchiusa nell’anfora che sorreggeva sembrò traboccare fuori, come un fiume di
stelle.
"Scorrete,
Divine Acque!!!" –Gridò Acquarius, liberando il proprio colpo sacro,
che travolse Aspide, scaraventandolo lontano, tra i frammenti insanguinati
della sua armatura.
L’uomo rantolò sul
pavimento, cercando di rimettersi in piedi, ma capì di non avere più forze. Con
un ultimo disperato sforzo volse il capo verso l’uscita, inseguendo l’ultimo
raggio di sole, prima di spirare. Con orrore, Scorpio e Acquarius osservarono
il suo corpo prendere fuoco, incenerirsi, putrefacendosi come vecchie ossa, e
ciò che rimase fu soltanto l’avvizzito scheletro di un serpente.
"Grazie per
essere intervenuto, Cavaliere di Acquarius!" –Disse Scorpio, sorridendo al
compagno.
"Puoi
chiamarmi Camus, Cavaliere di Scorpio!" –Rispose questi, prima di
incamminarsi verso l’uscita dell’Ottavo Tempio.
Che sia
l’inizio di un’amicizia? Sorrise
Scorpio, accasciandosi a terra, sfinito per il combattimento.
Quando Micene, Febo e Marins riaprirono gli occhi
si accorsero di essere distesi su un brullo terreno roccioso, completamente
immersi nell’oscurità. Erano storditi, con forti dolori alla testa, e
impiegarono qualche minuto per riuscire a vedere, per focalizzare i loro sensi
sull’ambiente circostante, un ambiente sconosciuto e poco attraente.
"Do.. dove siamo?" –Balbettò Micene, mettendosi in piedi.
Il cielo era scuro, privo di luci e di punti di riferimento, un’immensa
massa di oscurità che incuteva tristezza e pareva opprimere gli animi insicuri
dei tre giovani. Il terreno attorno a loro era roccioso, brullo, abbandonato a
se stesso, e Micene ebbe l’impressione di trovarsi in una conca, una piccola
vallata in mezzo alle montagne, come nei monti rocciosi dietro Atene in cui era
solito recarsi per addestrare Ioria.
"Siamo in Amenti!" –Esclamò Febo. –"Questo è l’Inferno
Egizio!" –E fece cenno ai due ragazzi di seguirlo.
Si arrampicarono lungo un’ostica parete rocciosa, facendo attenzione al
terreno che franava spesso sotto di loro, fino a giungere ad una piccola
sporgenza, da cui sentirono provenire una leggera brezza. Era aria calda, come
quella del deserto, che non rendeva certamente facile la respirazione, ma era
comunque un punto di svolta rispetto all’opprimente cappa della conca interna,
dove sembrava davvero che mancasse l’aria.
Febo li condusse sulla sporgenza, una piccola terrazza panoramica, e
mostrò loro Amenti che sorgeva di fronte a loro, estendendosi verso Ovest,
secondo l’immagine tradizionale dell’Inferno Egizio che vedeva nell’Occidente,
nelle vaste terre desertiche del Sahara, il simbolo del regno della morte.
"È un’immensa piana senza fine!" –Mormorò Micene, alla vista
di quello sconfinato paesaggio che si allungava di fronte a loro. Qualche luce
baluginava fioca in lontananza e questo per un momento gli rasserenò il cuore,
piuttosto restio a tutta quella oscurità.
"Dobbiamo fare molta attenzione!" –Spiegò Febo, ricordando le
descrizioni e i racconti che Osiride gli aveva fatto talvolta. –"L’Inferno
non è soltanto il luogo di soggiorno delle anime vuote, di quelle che, dopo la
Pesatura dell’Anima, non riescono ad accedere al paradiso! Ma è anche un luogo
dove si addensano creature mostruose e primordiali, recluse negli oscuri
anfratti di questi abissi per impedire loro di portare morte e distruzione nel
mondo!"
"Dove troveremo Osiride e suo figlio?" –Si disse Marins, un
po’ scoraggiato.
"Non sento la loro presenza qua vicino!" –Mormorò Febo.
–"Qualunque cosa sia accaduta, credo che lo scopriremo soltanto al Palazzo
di Osiride!"
"E dove si trova il suo Tempio?" –Domandò Micene.
"Alla fine di Amenti!" –Rispose Febo, indicando un punto
imprecisato nell’oscuro cielo avanti a sé. –‘"L’anima, una volta separata
dal corpo, giunge in Amenti e deve affrontare un lungo viaggio, quasi una
purificazione preparatoria in vista del giudizio, verso Ovest! Evitare o
combattere contro gli sciacalli che si annidano nelle grotte, salire le cime
perigliose di aspre montagne, come questa, di cui Amenti è disseminato,
valicare corsi d’acqua ed evitare le scimmie che pescano con le reti! Se riesce
a superare questi ostacoli, l’anima giunge alla Sala del Giudizio di Osiride ed
il suo cuore viene pesato sulla Bilancia Sacra nella Sala delle Verità, per
vedere se sia pesante o leggero, mentre il morto recita di fronte alle Divinità
presenti, capeggiate da Osiride, un versetto del Libro dei Morti! Se il cuore è
più leggero della Piuma di Maat l’anima può essere ammessa al Paradiso e
ricongiungersi ai suoi cari!"
"In caso contrario…" –Ironizzò Marins. –"C’è sempre una
bestia affamata!"
"Non faccio io le leggi di questo mondo!" –Lo chetò Febo,
irritato dalla battuta del ragazzo. Ma consapevole della dura veridicità di
quelle parole.
"D’accordo!" –Intervenne Micene, con grinta. –"Al
Palazzo di Osiride allora! Là troveremo la soluzione di tutto questo
mistero!"
Febo e Marins annuirono e si lanciarono dietro a Micene giù, di sotto,
lungo la scarpata della montagna, scivolando tra rocce frananti e polvere, fino
a giungere ad un sentiero, che puntava dritto verso il deserto, tra cime aspre
e grotte di sciacalli. Lo presero, sfrecciando veloci come fulmini, quasi alla
velocità della luce. Evitarono alcuni cani della morte, stordendoli, e
allontanarono le scimmie con le loro reti, continuando a correre avanti, verso
Ovest, inseguendo le deboli luci che baluginavano in lontananza. Era tardi,
questo lo sapevano tutti e tre, e dovevano affrettarsi, senza perdersi in quei
rituali che non li riguardavano.
"Mi sorprende che nessuno tenti di fermarci!" –Esclamò
Micene, correndo come un fulmine
"Non sono necessarie guardie! Solitamente qua vengono soltanto le
anime dei defunti!" –Spiegò Febo. –"E Horus e Osiride sono finora
stati in grado di mantenere l’ordine! Anche se, ne sono certo, in alcuni oscuri
anfratti neppure loro hanno ardito recarsi! Vi sono creature, qua sotto, più
tenebrose e malvagie della notte stessa, figlie del Caos primordiale!"
"Spero proprio di non imbatterci in una di esse!" –Ironizzò
Marins, continuando a correre insieme ai due compagni.
Dopo aver attraversato parecchie miglia di terreno arido e pietroso i
tre compagni si ritrovarono all’ingresso di un complesso Templare, costituito
da un alto muro rettangolare, utilizzato come recinzione, sui quattro angoli
del quale spiccavano fuochi ardenti, collocati in enormi vasi, le luci
baluginanti che Micene aveva visto da lontano. All’interno del recinto, dopo un
ampio piazzale deserto, sorgeva il Palazzo del Giudizio di Osiride, che Febo
trovò magnifico, come il Dio lo aveva sempre descritto.
"Siamo infine giunti!" –Mormorò Micene.
"Così sembra!" –Rispose Febo, con una certa apprensione nel
cuore.
Tutto era silenzio intorno a loro, tutto era vuoto e vacuo, persino il
loro respiro si perdeva nella cappa di pesante aria che pareva soffocarli ed
opprimerli. Nessuna guardia, nessuna anima errante, neppure un morto in fila,
in attesa di ricevere il giudizio. Pareva che Amenti fosse un luogo disabitato
da secoli, dimenticato sotto strati di polvere.
"Consiglio di fare attenzione!" –Esclamò Micene, avanzando
nel piazzale, affiancato da Febo e Marins. I tre si guardarono intorno con
ansietà, giungendo di fronte al Palazzo del Giudizio ed iniziando a salire
lentamente i gradini del Tempio, affondando i loro piedi in strati di sabbia e
polvere che parevano esservisi depositati durante lunghi anni.
Entrarono nel Palazzo, attraversando il colonnato esterno, e si
ritrovarono in un’immensa sala dall’altissimo soffitto, alla fine della quale
sorgeva, rialzato da terra da una ventina di gradini, un grande altare, con un
trono al centro di esso: il trono di Osiride. Ai piedi della scalinata vi erano
alcuni vasi riempiti di fuoco, che crepitava silenzioso nella notte, allungando
le ombre dei tre Cavalieri sul pavimento sabbioso. Soltanto alla fine, quando
quasi giunsero ai piedi dell’altare, notarono che vicino al trono, con le
spalle rivolte alla sala, vi era un uomo ammantato da un grigio mantello.
"Osiride?!" –Balbettò Febo tra sé, e per un momento la
contentezza nel rivedere il Dio gli fece dimenticare ogni prudenza, spingendolo
a correre verso di lui.
"Febooo!" –Lo chiamarono Micene e Marins, mentre l’uomo
ammantato si voltava con un brusco scatto.
"No!" –Esclamò, e la sua voce tuonò come un giudizio di
morte, risuonando nel sepolcrale silenzio di quel Tempio abbandonato. Puntò un
dito contro Febo, che subito si ritrovò avvolto in incandescenti fiamme, che
sembravano intenzionate a stritolarlo. –"Non è Osiride il Signore di
Amenti! Ih ih ih ih!" –Sghignazzò l’uomo, gettando via il mantello lacero
con cui era rivestito e rivelando il suo vero volto.
"An.. Anhar?!" –Balbettò Febo incredulo, prima di liberarsi
dal vorticare di fiamme ed attaccare verbalmente la Bocca di Ra.
–"Bastardo! Che cosa hai fatto ad Horus e ad Osiride? Dove sono?"
"Non avere fretta, giovane figlio di Grecia! Presto li
raggiungerai!" –Sibilò Anhar, ricoperto dalla sua Armatura
scarlatta, mentre i suoi occhi infuocati brillavano come piccoli fari nella
semioscurità di quella Sala. –"Credevate forse che non vi avessi sentito
arrivare? Stavo per andarmene, ma ho pensato di aspettarvi! E di darvi il
benvenuto all’Inferno! Uah ah ah ah!" –Ed esplose in una nuova folle
risata isterica.
"Io.. ti detesto Anhar! Ti odio con tutto me stesso!" –Gridò
Febo, concentrando una sfera di energia cosmica sul palmo della mano destra e
lanciandosi avanti, contro il Consigliere di Amon. –"Bomba del Sole!"
Ma Anhar non dovette sforzarsi troppo per evitare l’incandescente globo
di energia, portando avanti il braccio destro, sul cui palmo aperto il globo
scivolò, rotolando su se stesso per un istante, prima che Anhar lo rinviasse
indietro, con un brusco movimento del braccio. Febo venne investito in pieno
dal suo stesso attacco e si schiantò molti metri addietro, con le vesti
bruciate e numerose ustioni sul corpo.
"La tua boria non si addice al figlio di un Dio, giovane
Febo!" –Esclamò Anhar, con un malizioso sorriso sul volto. –"Ma,
d’altronde, hai sempre preferito essere un bastardo greco, piuttosto che un
ricco e potente principe egiziano!"
"Non mi interessa la ricchezza, né la potenza, Anhar! Dovresti
averlo capito ormai!" –Esclamò Febo, rimettendosi in piedi, aiutato da
Marins. –"Mi preme soltanto ritrovare Osiride e Horus!"
"Se è soltanto questo che vuoi!" –Sibilò Anhar, mentre una
sinistra luce scintillava nei suoi occhi.
Improvvisamente il terreno parve tremare sotto i piedi dei Cavalieri,
in preda ad un forte smottamento, mentre grida bestiali, di creature sconosciute,
esplosero in lamenti selvaggi. Febo e gli altri non riuscirono a percepire da
dove provenissero quei rumori, quegli spaventosi versi, ma parve loro che
invadessero tutta la stanza, saturando la greve aria in cui erano imbevuti.
Un secondo colpo fece tremare tutta la Sala del Giudizio di Osiride,
mentre le mura e le colonne laterali crollavano e i grandi blocchi di granito,
di cui era composto il pavimento, parvero sollevarsi caoticamente, come se
qualcosa nascosto, celato nelle profondità del Tempio, improvvisamente si fosse
destato e stesse cercando di uscire.
"Quale creatura infernale è mai questa?" –Brontolò Micene,
ripensando a quanto Febo aveva narrato loro. –"Cosa emerge dagli anfratti
dell’Inferno?" –Aggiunse, osservando l’immensa sagoma di una creatura
primordiale affiorare tra la pietra e la polvere.
Vi fu un nuovo spaventoso grido, che parve ai Cavalieri quasi un sibilo
disperato, che anticipò l’apparizione di un’immensa creatura, orrida e tetra
come la notte, che emerse dal sottosuolo, distruggendo l’intero pavimento del
Tempio, l’altare, il trono, facendo crollare tutta la reggia dove Osiride un
tempo aveva dimorato. Tra la polvere e le pietre gramolate, Micene e gli altri
osservarono la squamosa sagoma di un essere ignoto, dalle parvenze simili a
quelle di uno smisurato serpente, con un tozzo corpo curvilineo rivestito da
una dura pelle squamata, simile ad una corazza protettiva.
"Dei dell’Olimpo!" –Esclamò Micene, alla vista di tale
grandissima bestia.
"Ma… non può essere!!!!" –Gridò Febo, indietreggiando tra le
rovine, con un brivido nel cuore. Così freddo che gli parve di sentire la lama
di un pugnale strusciare sul suo collo e giocare con la sua pelle.
–"Apopi!!!!"
Nel sentire il suo nome, la bestia si scosse ulteriormente, liberandosi
dai frammenti di roccia e dalla sabbia, e si erse, alta, immensa, torreggiante
sopra di loro, decine e decine di metri di pelle squamosa, di una potenza
oscura generata nella notte dei tempi dal Caos primordiale.
"Oh, possente Ra!" –Mormorò Febo, con gli occhi gonfi di
lacrime e di terrore. –"Quale tremendo male è stato liberato! La nemesi di
Amon, il suo più mortale nemico!"
"Chi è questo serpentone?" –Domandò Marins.
"È Apopi, o Apep, la principale Divinità del Buio! Un
gigantesco serpente, acerrimo nemico di Amon Ra, con cui il Dio lottò per
millenni, in un ciclo continuo di scontro tra le forze della luce e del sole e
quelle della tenebra!" –Rispose Febo.
"Parli bene di me, ragazzetto?" –Sibilò improvvisamente la
creatura, torreggiando su di loro. Mosse il corpo sinuoso, scendendo con la
testa verso i Cavalieri, aprendo le sue immense fauci da rettile, mostrando
enormi ed affilati denti circondati da fiamme mortali.
"Muori!!!!" –Gridò Micene, incoccando velocissimo una freccia
e mirando alle fauci di Apopi. Ma al Dio Serpente bastò voltarsi, per deviare
il dardo dorato con la sua corazzata pelle squamata.
In tutta risposta, liberò immense vampate di energia fiammeggiante, che
si abbatterono come pioggia di lapilli sui tre Cavalieri, obbligati a correre
in direzioni diverse, per evitare di essere travolti. Ma ovunque si
dirigessero, Apopi giganteggiava sempre su di loro, investendoli di mortifere
fiamme di oscura energia.
Marins tentò di reagire, bruciando il proprio cosmo ed evocando fresche
onde di acqua azzurra, dirigendole verso la gola del serpente.
"Maremoto dei Mari Azzurri!" –Gridò, creando un
turbinante vortice di energia acquatica, che il Dio Serpente spense con una
violenta fiammata.
"Per il Sacro Sagitter!" –Gli andò dietro Micene,
scagliando migliaia di sfere energetiche verso il viso del Dio, che si sbarazzò
di lui con un violento colpo di coda, una gigantesca frustrata che scaraventò
Micene contro le mura anteriori del Tempio, facendole crollare su di lui.
"Non riusciremo a batterlo! È un nemico al di sopra delle nostre
possibilità! Neppure i Dodici Cavalieri d’Oro di Atene riuscirebbero a
sconfiggerlo!" –Esclamò Febo, arrancando tra i detriti e le fiamme.
"Che… cosa?!" –Esclamò Micene, liberandosi dalle macerie.
"Apopi è una creatura nata dal Caos, opposta e simmetrica ad Amon,
è la sua nemesi, il lato oscuro del Sole!" –Spiegò Febo. –"Una tale
potenza ancestrale può essere vinta soltanto da una Divinità suo pari, non da
semplici Cavalieri!"
La conversazione tra i tre compagni fu interrotta da una violenta bomba
di energia cosmica, che esplose vicino a loro, scaraventandoli lontano, feriti
e un po’ bruciacchiati, mentre un’atletica figura balzava in mezzo alle fiamme,
sogghignando per il suo trionfo.
"Che ve ne pare, allora? Non è una creatura stupenda?!"
–Esclamò Anhar, mentre Apopi si agitava, dimenandosi, distruggendo quel che
restava del Tempio di Osiride e uscendo finalmente fuori, all’aperto, sotto
l’oscuro cielo di Amenti che tanto amava, che tanto adorava, al punto da
volerlo estendere all’intera Terra, facendone il suo Regno, il Regno delle
Tenebre.
"Sei un folle, Anhar!" –Gridò Febo, rimettendosi in piedi.
–"Hai risvegliato un potere troppo grande, che non riuscirai a
controllare! Apopi mira soltanto alla distruzione della Terra!"
"E chi vuole controllarlo? Non ho certo una tale pretesa!"
–Esclamò Anhar, osservando il gigantesco serpente distruggere tutto,
strisciando e dimenandosi intorno a loro. –"Ho avuto quello che cercavo da
questa guerra! Seminare il seme del Caos! A voi adesso risolvere il vostro
problema!"
"Il problema è anche tuo!" –Esclamò Micene, incoccando con un
balzo una freccia e scagliandola contro Anhar, che non riuscì ad evitarla
completamente, venendo colpito alla spalla destra.
"Aaargh! Maledetto Cavaliere di Atena!" –Sibilò Anhar,
tastandosi la spalla sanguinante. Ed in tutta risposta espanse il suo cosmo
fiammeggiante al massimo, creando una potente tempesta di energia cosmica che
diresse contro Micene. –"Apocalisse Divina! Spazzalo via!"
–Esclamò, sollevando il braccio destro al cielo e liberando tutto il suo
devastante potere.
Micene venne investito in pieno, ma tentò comunque di resistere
all’implacabile tempesta di infuocata energia oscura. Febo si mosse per
intervenire, ma il ragazzo lo pregò di andarsene, di correre a cercare Osiride
e Horus, se ancora fossero vivi, e di ricondurli da Iside, come le avevano
promesso.
"Non posso lasciarti da solo!" –Esclamò Febo, tentennando.
"Non puoi, devi!" –Rispose Micene, bruciando il suo cosmo
dorato. L’impetuosità dell’energia lucente sprigionata parve frenare per un
momento la devastante tempesta di infuocata energia, mentre il Cavaliere d’Oro
concentrava il suo cosmo sotto forma di dorati dardi di luce. –"Infinity
Break!" –Gridò, scagliando migliaia e migliaia di frecce di luce
contro Anhar.
Alcune vennero travolte dall’infuocata tempesta di oscura energia, ma
altre continuarono il loro percorso, conficcandosi nell’Armatura scarlatta di
Anhar e trapassando il suo corpo.
"Sono con te!" –Esclamò Marins, affiancando Micene, ma il
dolore per essere stato ferito fece aumentare l’ira di Anhar, che aumentò al
massimo il potere dell’Apocalisse Divina, spazzando via i due Cavalieri
e tutte le pietre e le rocce attorno a loro.
Febo nel frattempo aveva raggiunto le prigioni sotterranee del Tempio
di Osiride, facendo molta attenzione a non essere visto da Apopi, il quale per
il momento sembrava talmente in estasi per essere stato liberato e per potersi
nuovamente affacciare al cielo di tenebra da disinteressarsi dei Cavalieri. La
Sala del Giudizio era completamente franata, distrutta dal Serpente Cosmico, e
alcune gallerie che conducevano ai sotterranei non erano più agibili, ma Febo
tentò comunque di scendere ai piani inferiori, mentre rivoli di sabbia
scivolavano sottoterra, rendendo ancora più difficoltoso il passaggio. Febo si
infilò in un pertugio rimasto libero, scivolando tra una colonna franata e
altri massi smossi, ritrovandosi in un corridoio che scendeva in profondità,
nella più completa oscurità.
I movimenti bruschi del Serpente Cosmico facevano tremare l’intero
terreno, forse l’intero Inferno, e smuovevano continuamente pietre e sabbia che
crollavano sottoterra, aumentando il panico nel figlio di Amon. Ma la sua
determinazione di ritrovare Horus e Osiride era grande da vincere anche la
paura della tenebra e della morte e lo spinse a procedere, a spingersi ancora
più in basso, fino al livello delle segrete, nelle sale dove venivano
incarcerati i nemici. Là, nella più completa oscurità, Febo parve udire una
flebile voce che lo chiamava, qualcuno che parlava al suo cosmo. Il ragazzo si
lasciò guidare, mentre tutto il suo corpo era circondato da lucenti bagliori,
creati dal suo cosmo, capaci di rischiarare l’ambiente circostante.
Finalmente Febo trovò Horus e Osiride, per quanto i loro volti fossero
così stanchi e deformati da renderli difficilmente riconoscibili. Ma egli aveva
ascoltato il cosmo ed esso l’aveva condotto fino là. Horus e Osiride erano
stati incatenati, avvolti in una robusta catena grigia, e appesi a un muro per le
braccia e per le gambe, probabilmente dopo essere stati sconfitti in battaglia,
forse da Anhar o da Apopi stesso. Febo posò le proprie mani sui cuori dei due
uomini, cercando di risvegliarli, di infondere in loro luce e calore, felice
per averli ritrovati, ma preoccupato per le loro sorti.
Horus, dopo qualche minuto, finalmente parve muovere il capo, dando un
cenno di vita. Ma non riuscì a fare altro, soltanto a comunicare con Febo
tramite il cosmo.
"Fe… Febo!!! Sei tu?!" –Balbettò il Dio Falco.
"Sono proprio io, Horus! Sono venuto a liberarvi!"
"Vattene.. vattene via! O Apep ucciderà anche te!" –Mormorò Horus,
dando conferma ai sospetti di Febo. –"Il Dio Serpente è tornato…
risvegliato da un oscuro potere, affamato come mai è stato prima! Ha
prosciugato le nostre energie, nutrendosi del nostro cosmo e del nostro
spirito, riducendoci a vuote larve prive di forze!"
"Questo è terribile!" –Esclamò Febo. –"Dobbiamo
fermarlo! Due amici lo stanno affrontando al piano di sopra, ma da soli non ce
la faremo! Abbiamo bisogno di voi!"
"Possiamo fare ben poco per voi, figliolo!" –Intervenne Osiride
per la prima volta nella conversazione, essendosi ripreso da pochi istanti,
grazie al caldo cosmo di Febo.
"Dio Osiride!" –Esclamò Febo, felice di rivederlo e sentirlo
parlare.
"I nostri poteri sono finiti ormai! Siamo stati svuotati,
prosciugati fino all’ultima goccia!" –Balbettò Osiride con tristezza.
–"Siamo vuoti corpi inutili! Lasciaci qua e vattene via, ragazzo! Vattene
finché sei in tempo!"
"Non me ne andrò senza portarvi con me! Iside vi aspetta a Karnak,
Dio Osiride!" –Esclamò Febo, con determinazione, prima che una devastante
sfera di energia infuocata lo colpisse alla schiena, scaraventandolo contro il
muro.
"Dovresti ascoltare i consigli di chi ti ha caro!" –Sibilò
Anhar, entrando nella sala sotterranea, circondato da un oscuro turbinio di
fiamme.
"Anhar! Maledetto! Cosa hai fatto a Micene e a Marins?"
–Esclamò Febo, rabbioso.
"Ooh, i due bambini… stanno giocando… con gli animali!"
–Sghignazzò Anhar, mentre una violenta scossa fece tremare le fondamenta del
complesso templare.
"Maledetto! Apopi li ucciderà!" –Gridò Febo, bruciando il
proprio cosmo, sempre di più, fino a limiti a cui mai era arrivato prima. Le
motivazioni che lo sorreggevano in quel momento, salvare Micene e Marins e
liberare Horus e Osiride riportandoli a Karnak, divennero fiamma lucente, che
diede nuova forza e vigore al suo stanco corpo. In un lampo, Febo si ritrovò
avvolto da una luminosa aura, calda come il Sole, splendente come il
firmamento. Un’aura di luce che stupì persino lo stesso Anhar.
Improvvisamente un’Armatura scintillante, disposta in modo da formare
un Sole raggiante, apparve nello stanzone sotterraneo, proprio sopra Febo,
rischiarando con la sua luce l’intero ambiente.
"Ma…cos’è?" –Balbettò Febo, mentre una misteriosa forza
pareva spingerlo verso la corazza.
Anhar, che aveva intuito, e temeva la potenza di quell’Armatura, fece
per intervenire, attaccando il ragazzo con una sfera di fuoco, ma venne
travolto da una gigantesca ondata di energia acquatica, che lo scaraventò
contro un muro laterale, anticipando l’arrivo di Marins, con il corpo carico di
energia cosmica, azzurra come il mare.
"È la tua Armatura, Febo! O forse dovrei chiamarti Cavaliere del
Sole!" –Esclamò Marins, incitando l’amico ad indossarla.
Febo, stupito, si avvicinò all’Armatura del Sole, la quale si scompose
e andò ad aderire perfettamente al suo corpo, dando nuove energie al giovane
Cavaliere. Come fosse un gesto abituale, che aveva eseguito altre volte, Febo
aprì la mano destra avanti a sé, concentrando il cosmo tutto intorno a sé.
"Talismani!" –Gridò, mentre Marins sorrideva soddisfatto. Uno
specchio da impugnare apparve di fronte a lui, con un trasparente vetro
incastonato in una splendida cornice intarsiata dal color rosso fuoco, con
decorazioni dai riflessi dorati.. –"Specchio del Sole!"
–Esclamò Febo, impugnandolo con forza.
Quindi si voltò verso Horus e Osiride, rimasti abbagliati dalla
trasformazione del ragazzo, e rinfrancati da quell’energia lucente che li aveva
invasi, e distrusse le catene che li tenevano prigionieri con un fascio di
energia proveniente dallo Specchio del Sole. In quel momento il terreno
tremò di nuovo, e per lo smottamento zolle di terra e pietre iniziarono a
franare all’interno, obbligando Marins, Febo, Horus e Osiride a fuggire via
alla svelta da quell’abisso. Prima di lasciare lo stanzone, Marins si voltò
indietro, per cercare tracce di Anhar, ma non ne trovò, e capì che aveva già
lasciato le segrete di nascosto, e forse persino Amenti.
Usciti all’esterno i quattro trovarono l’immonda sagoma di Apopi
innalzarsi sull’intero mondo, mentre il corpo inerme di Micene giaceva poco
distante, scaraventato da un colpo di coda del Dio Serpente contro un muro.
Marins corse subito verso di lui, in colpa per averlo lasciato da solo a
fronteggiare quell’orrida creatura.
"Micene!" –Esclamò, dando qualche schiaffo al ragazzo per
farlo riprendere. Micene balbettò qualcosa e poi riaprì gli occhi, un po’
stordito e con il viso pieno di ferite. Marins sorrise, abbracciandolo.
"Stai bene per fortuna! Il Maestro non vorrebbe che ti accadesse
qualcosa di male! Anche se egli è certo che ciò non avverrà quest’oggi!"
–Esclamò Marins.
"Il Maestro? Ma di cosa stai parlando Marins?" –Domandò
Micene, che cominciava ad essere stufo di troppi misteri irrisolti.
"Colui che mi ha addestrato ed ha scoperto l’energia cosmica
latente che giaceva dentro di me, elevandomi al rango di Cavaliere delle
Stelle!!!" –Spiegò Marins.
"Cavaliere delle Stelle?! Come Jonathan di Dinasty?" –Esclamò
Micene.
"Come Jonathan, e come Reis! Per adesso siamo soltanto in tre, ma
il Maestro è certo che aumenteremo di numero!"
"Quale.. Maestro?" –Azzardò la domanda Micene, per quanto
dentro di sé avesse già la risposta.
"Il Signore dell’Isola Sacra!" –Rispose Marins, con un tono
di profondo rispetto.
Micene si scosse e per un momento rabbrividì, mentre le mani di Marins
lo afferravano per rimetterlo in piedi. Il suo Maestro era lo stesso che aveva
addestrato quei ragazzi, probabilmente negli anni successivi all’investitura di
Micene. Ma perché non mi ha mai detto niente? Si chiese, ma Marins lo
sorprese con una nuova frase.
"Egli ha grandi progetti per te! Ti tiene in alta considerazione!
È convinto che nel tuo destino vi siano grandi impresi, maggiori di quelle che
hai compiuto finora! Sconfiggere Tifone, abbattere i Guerrieri Egizi saranno
niente in confronto a ciò per cui sarai ricordato! Il Cavaliere della Leggenda!
Il salvatore di Atena!" –Esclamò Marins, prima di chiudere il discorso. –"Ma
non chiedermi altro! Sai quanto il Maestro tenga ai suoi segreti!"
La conversazione tra i due fu interrotta da un violento assalto di
Apopi, che aveva iniziato a scagliare vampate energetiche contro Febo e gli
altri, obbligando tutti i Cavalieri e le Divinità a riunirsi tra loro alla
ricerca di un modo per contrastarlo.
"Possente Osiride, cosa possiamo fare? Le nostre forze sono nulla
contro di lui!" –Esclamò Febo, con preoccupazione.
"Dici il vero, ragazzo mio!" –Rispose il Dio. –"Apopi è
il grande serpente cosmico, che per millenni ha combattuto con Ra, ogni notte!
In questa lotta, tutte le notti, Apopi attaccava il Sole, mentre questo
viaggiava sulla sua barca, e ogni notte Amon Ra aveva la meglio, ma questa
vittoria non era affatto scontata! Fu soltanto con uno stratagemma che
riuscimmo a confinare Apopi in Amenti, incatenandolo con una potente catena
formata dai cosmi di tutti gli Dei e intrisa di essenza solare, che per lui è
il massimo della disperazione! La stessa catena, seppur privata di molti poteri
con il trascorrere dei secoli, con cui Apopi ed Anhar ci avevano
incatenato!"
"Dunque…" –Intervenne Febo, sospirando. –"Se ho ben
capito c’è solo un modo per sconfiggerlo!"
"Precisamente! C’è solo una persona che può vincerlo!"
–Aggiunse Osiride.
Una nuova vampata di Apopi si abbatté su di loro, dividendoli e
scaraventandoli lontano, tra i detriti e la sabbia, mentre il Dio Serpente
scendeva su di loro. Micene, Febo e Marins gli scagliarono contro i loro colpi
segreti, ma parvero fare soltanto il solletico a quell’oscura creatura. Questo
diede però il tempo ad Osiride di concentrare i propri sensi e pronunciare
alcune formule sacre. Il terreno si smosse improvvisamente e parve crescere
sotto di loro, sospingendo tutti quanti, compreso il gigantesco Serpente, compresa
una parte di Amenti, verso l’alto. Osiride aveva infatti aperto le porte
dell’Inferno e stava conducendo tutti quanti nel mondo della luce.
Mentre nel Grande
Tempio ancora vi era battaglia tra i Cavalieri di Atena e i Guerrieri Egizi,
alla Tredicesima Casa, sulla grande terrazza panoramica ai piedi della statua
della Dea Guerriera, un’altra guerra era in corso. Una guerra interiore che
stava massacrando l’animo del Cavaliere d’Oro di Gemini. Luce e ombra si
stavano scontrando dentro di lui da un paio di giorni, da quando aveva commesso
il primo atto malvagio della sua esistenza, per quanto dovuto dalle circostanze
esso fosse: aver rinchiuso suo fratello gemello in una prigione solitaria,
sulla costa rocciosa di Atene, dove ogni giorno la marea saliva ed ogni giorno
rischiava di soffocarlo.
L’incontro con il
suo maestro poi, nei sotterranei della Piramide Nera, lo aveva completamente
spiazzato, quasi sconvolto, al punto da non riuscir più a credere a niente. Se
persino l’uomo che l’aveva addestrato, l’uomo che anni addietro lo aveva reso
Cavaliere, insegnandogli i rudimenti del cosmo e la manipolazione della psiche,
era corrotto e dominato dal male, come era pensabile che egli, che era soltanto
un ragazzo, giovane e inesperto, potesse opporsi? Come posso oppormi a così
tanto male? Si ripeteva, incapace di trovare una via per uscire dal
labirinto di oscurità in cui era precipitato. Incapace di risalire la scarpata
di dolore che lo separava da ciò che era stato un tempo.
E la Pietra Nera
che gli era stata messa al collo, bagnata dall’oscuro sangue del suo maestro,
non faceva altro che torturarlo ulteriormente, corrodendo il suo animo,
divorando gli ultimi barlumi di luce che la sua forte personalità stava
cercando di mantenere, per far posto all’ombra. A un’unica grande ombra che
avrebbe dovuto dominarlo e farne un deicida, un uccisore di Dei.
Le parole del suo
maestro risuonavano come campane infernali nel suo animo sporco, senza tregua.
"Voglio la
tua mano, Cavaliere! Essa stringerà il gladio con il quale ucciderai la Dea,
liberando il mondo dalla sua dannosa presenza e aprendo la strada alla
rinascita dell’oscurità!"
È davvero così
che deve andare? Si disse Gemini,
lasciandosi cadere a terra, con le ginocchia sul pavimento e il cuore che
piangeva lacrime di disperazione. Non ho io la forza per oppormi a tutto
questo? Ma non appena i suoi pensieri di pace e giustizia si affacciavano
al suo animo, ecco che subito venivano travolti, ecco che subito venivano
assorbiti da un’altra entità, più forte e potente, più facilmente corruttibile:
la vera essenza del Male, un germe che Gemini portava dentro e che Kanon prima e il suo Maestro poi avevano risvegliato,
portandolo ad imperare sul suo spirito.
"Gemini!"
–Esclamò una voce, rubandolo ai suoi pensieri. Quasi fosse un automa, sollevò
lo sguardo e con i suoi occhi rossi e iniettati di sangue vide un uomo,
ricoperto da una bianca tunica, con il volto coperto da una maschera montata su
un elmo dorato, allungare una mano verso di lui, con un timido sorriso
spaventato. –“Gemini! Cosa ti succede?" –Ripeté Arles,
con ansia crescente.
"Io…io…" –Il Cavaliere tentò
di mormorare qualcosa, di urlare al Sacerdote di allontanarsi, di andarsene
via, lontano, dove i demoni annidati nel suo corpo non potessero raggiungerlo.
Ma fu tutto inutile, perché ormai l’ombra stava prendendo il sopravvento.
–"Muoriii!!!" –Gridò improvvisamente,
sollevandosi di scatto e colpendo in pieno petto l’uomo mascherato.
Il pugno di
Gemini, lanciato con enorme violenza, sfondò la cassa toracica dell’uomo,
penetrando al suo interno, mentre il Sacerdote si accasciava sputando sangue e
vomito. Gemini ritirò la mano, sporca di sangue e violenza, mentre colui che
credeva il Sacerdote si prostrava ai suoi piedi.
"Pe… perché Gemini?" –Balbettò Arles,
con un filo di voce.
"Sono venuto
per te, Grande Sacerdote! Per prendere la tua vita! E per farla mia! Ah ah ah!" –E si chinò su di lui per vedere sadicamente il
suo vecchio viso implorare pietà. Ma quando gli ebbe tolto l’elmo dorato, ebbe
un sussulto, nell’osservare il volto dell’uomo che aveva ucciso. Il volto di un
uomo sui cinquant’anni, con qualche ruga e fossetta, ma non il volto di un
Sacerdote bicentenario.
"Tu non sei
il Sacerdote! Mi hai ingannato!" –Esclamò, irato, afferrando Arles e scuotendolo come un cencio. –"Dov’è il
Sacerdote? Parla, Arles!"
"Gemini…Caccia l’ombra! So che puoi farlo! Sei un Cavaliere
d’Oro! I tuoi poteri sono grandi, tu puoi…" –Ma
Gemini non lo fece finire, spaccandogli il cranio con un colpo della mano
destra.
"I miei
poteri sono immensi!" –Precisò, gettando a terra il corpo, come un oggetto
di poco conto. –"Non puoi nemmeno rendertene conto, stupido vecchio!"
–Ed esplose in una delirante risata.
"Che cosa ho
fatto?" –Esclamò improvvisamente, cambiando tono di voce e gettandosi a
terra, sul corpo spezzato di Arles, un caro amico, un
confidente che lo aveva sempre accolto con simpatia e sincerità. –"Non
volevo farlo! Non io ho alzato la mano! Perdonami Arles!
Perdonami!" –Pianse Gemini lacrime amare e sincere, prima che un nuovo
scatto d’ira lo facesse avvampare.
"E invece sì!
Volevo ucciderti, brutto vecchio bastardo!" –E si sollevò, colpendo il
cadavere con un calcio. E poi con un altro e un altro ancora, sfogando la sua
rabbia, la sua ira repressa, sudando disperatamente e continuando a
sghignazzare, osservando il frutto del suo macabro delitto impossibilitato a
reagire. Avrebbe voluto sentirlo gemere, avrebbe voluto sentirlo urlare,
pregarlo di smettere, sentirlo supplicare umilmente pietà. E poi lo avrebbe
colpito lo stesso, al cuore.
Infine, stanco di
giocare, Gemini sollevò il corpo lacerato del Primo Ministro e lo avvolse nella
sua tunica imbrattata di sangue, portandolo alla fine della grande terrazza, al
di là della Statua di Atena. Balzò sulla ringhiera di marmo, che si affacciava
a precipizio su un burrone scosceso, e gettò il corpo del servitore di sotto,
osservandolo precipitare e finire nella dimenticanza. Non appena lo ebbe fatto,
un nuovo nodo lo strinse al cuore, bloccando il suo respiro, facendolo
barcollare, sulla vetusta ringhiera di marmo, e cadere all’interno, sul pavimento
dietro la Statua di Atena.
"Sono
colpevole!" –Si disse, terrorizzato. E si voltò istintivamente,
perlustrando l’intera terrazza con un solo colpo d’occhio, preoccupato che
qualcuno lo avesse visto, imbarazzato per il delitto di cui si era appena
macchiato.
Ma poi si riprese,
rimettendosi in piedi e ripetendo a se stesso di non aver fatto niente di
sbagliato. La sua scalata al potere era iniziata ed era ovvio che vi fossero
ostacoli da rimuovere durante il tragitto, senza remore, poiché soltanto così
avrebbe potuto regnare incontrastato sul Grande Tempio di Atene, e sul mondo
intero. La morte non era più un crimine, se finalizzata a realizzare il suo
grandioso progetto, ma uno strumento resosi necessario dalle circostanze e dal
bisogno.
Sicuro di sé, si allontanò
dalla terrazza, avviandosi verso le Stanze del Grande Sacerdote, mentre il suo
cuore per l’ultima volta urlava di dolore e disperazione. Ma Gemini passò
oltre, tirando a dritto, senza ascoltare i tormenti del suo animo, gli ultimi
residui di bontà che presto sarebbero stati estirpati. Se lo avesse fatto,
avrebbe visto la Statua di Atena piangere lacrime di sangue.
Recuperò l’elmo di
Arles, infilando a passo svelto nelle Stanze del
Sacerdote, alla ricerca di vestiti da indossare. Sfilò l’armatura e indossò i
paramenti tipici dell’Oracolo di Atena, completando il suo travestimento con
ornamenti preziosi e con la maschera del Sacerdote, incastonata nell’elmo
d’oro. Prima di uscire, e di prendere il suo posto sul trono di Grecia, si
osservò in un grande specchio a parete e si trovò splendido, in grado di
emanare una solenne dignità. Ma poi l’immagine iniziò a cambiare e al posto
dell’elmo e della tunica, dei gioielli e delle collane, comparve la sagoma di
un demone, un’ombra immensa che oscurò lo splendore regale in cui Gemini si era
ritrovato poc’anzi.
"Maledettoooo!!!" –Gridò, colpendo lo specchio con un
pugno e mandandolo in frantumi. Quindi si allontanò, entrando nella Sala del
Sacerdote, dove altre volte si era recato per chiedere udienza.
E in quel momento,
seduto sul trono in velluto rosso, non poté che pensare a lui, al Grande
Sacerdote, l’uomo che doveva uccidere per prendere definitivamente il suo
posto. Dove sei, Grande Sacerdote? Mormorò, espandendo il proprio cosmo,
alla ricerca di quello del suo avversario. Scivolò lungo la Collina della
Divinità, lambendo le Dodici Case dello Zodiaco, ma non lo trovò. Continuò a
scendere, arrivando all’Arena, all’infermeria, alle residenze dei soldati,
all’ippodromo, al muro di confine del Grande Tempio, ma anche qua non trovò
tracce di Shin.
Improvvisamente la
sua ricerca fu interrotta da un delicato bussare al portone. Gemini si scosse,
per un momento impaurito che qualcuno potesse riconoscerlo, prima di recuperare
il controllo di sé ed osservare l’aggraziata sagoma del Cavaliere dei Pesci
entrare nel grande salone.
"Cavaliere
d’Oro di Fish!" –Lo chiamò, con voce solenne.
–"Cosa ti porta alla Tredicesima Casa?"
"Ho cosparso
la scalinata tra la Dodicesima Casa e la vostra Residenza di rose rosse, mio Signore,
come vi avevo informato in precedenza!" –Spiegò questi. –"Nessun
nemico adesso potrà giungere fino a voi! Il profumo delle rose di sublime
bellezza è così intenso da far perdere i sensi e condurre ad una lenta e dolce
morte tutti coloro che inalano anche per pochi minuti il loro odore!"
"Ottima
mossa! Sono fiero di te, Fish! Puoi tornare al tuo
Tempio, adesso!"
"Come?!
Tornare alla Dodicesima Casa?! Ma mio Signore, e la vostra sicurezza?! Io sono
qua per proteggervi, l’ultima difesa in caso di avanzata dei Guerrieri
Egizi!"
"E sono certo
che saprai difendermi al meglio, Cavaliere di Fish!
Ma non voglio, anzi esigo, che alcun nemico metta piede alla Tredicesima Casa!
Sarebbe inammissibile, una vera offesa ad Atena, che gli invasori del suo Tempio
giungano fino alla Residenza dell’Oracolo da lei scelto! No, Cavaliere, i
Guerrieri Egizi devono essere fermati prima! Questa Casa non diverrà scenario
di guerra! Sarebbe una mancanza di rispetto troppo grande nei confronti della
Dea!"
"Capisco! Avete
ragione, Oracolo! Il Tempio di Atena non deve essere sporcato da sangue impuro!
Tuttavia temo per voi! Non riesco a interpretare i segnali confusi che ruotano
nella mia mente, ma se i sensi non mi ingannano, sento un grave pericolo
incombere su di voi!"
"Apprezzo il
tuo interessamento, Cavaliere di Fish, ma ti incito a
non preoccuparti! Soltanto la vecchiaia è il maggior pericolo che potrebbe
incombere su di me!" –Esclamò Gemini, pregando il Cavaliere di prendere
posizione alla Dodicesima Casa. –"Mi affido a te, ultimo custode!"
"Ai vostri
servizi!" –Si inchinò questi, prima di allontanarsi.
Uscito dalla
stanza, Gemini tirò un sospiro di sollievo. Finalmente si era liberato anche
dell’ultimo scocciatore e, con i Guerrieri Egizi che combattevano all’Ottava
Casa, era certo che Fish avrebbe avuto qualcosa con
cui tenersi occupato nelle prossime ore. E si sentì soddisfatto per essere
riuscito ad ingannarlo. Si alzò dal trono, ritirandosi nelle sue stanze,
sentendo il corpo stanco e maleodorante. La sabbia del deserto gli era rimasta addosso,
così come l’odore del sangue, echeggiando nella sua mente e risvegliando in lui
ricordi che voleva tenere sopiti. Per sempre.
Si spogliò,
poggiando i vestiti sul letto, e entrò nella Sala della Purificazione, cullando
i propri affanni per una mezz’ora. Cercò di rilassarsi, di non pensare a
niente, soltanto al potere immenso che presto sarebbe stato nelle sue mani. Ma
per realizzare tale progetto doveva uccidere il Sacerdote, l’unico che in quel
momento potesse ostacolarlo. Si distese sul bordo della vasca, lasciandosi
lambire da caldi spruzzi di acqua, accarezzando i suoi lunghi capelli grigi. E
pensando al luogo in cui il Sacerdote potrebbe essere nascosto. Deve essere
un luogo isolato, sicuro, dove i Guerrieri Egizi non lo troverebbero mai!
Rifletté, e per un momento lo colse anche il dubbio che forse avesse lasciato
la Grecia, trovando rifugio presso il governo di qualche stato. Ma
improvvisamente un’idea guizzò nella sua mente, veloce come un fulmine. E
allora Gemini comprese. Che il potere, che tanto aveva cercato, era proprio a
portata di mano.
Uscì dalla vasca,
correndo nelle sue stanze e indossando nuovamente l’Armatura dei Gemelli. Corse
fuori, sulla terrazza panoramica, tirando uno sguardo verso occidente. Il sole
stava lentamente scendendo in mare e il paesaggio sottostante risplendeva di un
acceso color amaranto. Gemini sogghignò, prima di sfrecciare via, in un
tramonto che presto si sarebbe tinto di sangue.
Impiegò pochi
minuti per raggiungere la Collina delle Stelle, luogo in cui da tempi immemori
i Sacerdoti di Atena si recavano per osservare le stelle e leggere i loro
spostamenti. Gemini sapeva che l’accesso era riservato soltanto all’Oracolo di
Atena, ma egli, che si sentiva il Messia della sua epoca, non ebbe alcun
problema a raggiungere la sommità dell’irta collina. Là, in piedi sulla
terrazza, vicino a un telescopio, trovò Shin,
il Grande Sacerdote, avvolto nella sua tunica bianca, che svolazzava al
vento fresco della sera, per niente stupito di trovarselo di fronte.
"Ho temuto
questo giorno! E dentro di me ho sperato che non arrivasse mai!"
"Hai paura di
morire, Grande Sacerdote?" –Ironizzò Gemini, con aria di sfida.
"Non per me
temo, Gemini! Ma per te!" –Rispose Shin, con
voce triste.
"Per me?! Uah ah ah! Un condannato in punto di morte che si preoccupa
per il suo carnefice!"
"Getta via
quella maschera!" –Ordinò Shin, muovendo il
braccio destro al punto da creare un’onda di energia che scaraventò Gemini a
terra, sul pietroso suolo della collina, facendogli perdere l’elmo.
–"Getta via la maschera d’ombra che è scesa sul tuo cuore! E ritrova te
stesso! So che puoi farlo!"
Gemini rimase per
un momento paralizzato, ipnotizzato dalle decise parole dell’uomo di fronte a
lui, un vecchio di duecento anni che ancora, con il suono della voce, poteva
comandare al suo spirito. Quella era la vera nobiltà, la vera aura divina che
egli aveva creduto di vedere nello specchio. La parte buona del suo animo per
un momento riemerse dall’oscuro baratro della sua coscienza, obbligandolo a
chiedersi cosa stesse facendo, contro chi stesse per levare la mano. Ma
l’ombra, implacabile, calò nuovamente la nera falce sul suo spirito, senza
dargli tregua.
"Sono già me
stesso, Grande Sacerdote!" –Tuonò Gemini. –"Non mi vedi? E presto
sarò anche te!"
"Se ti
arrendi adesso, se lasci che l’ombra domini il tuo animo, non riuscirai più a
cacciarla, non riuscirai più a tornare il Cavaliere di Atena che eri un tempo,
il magnanimo, nobile, splendente Cavaliere di Gemini!" –Affermò Shin, ma le sue parole si persero nel vento.
"Guarda,
Grande Sacerdote, la mia nobiltà!" –Esclamò Gemini, espandendo il cosmo,
forte e possente, prima di liberare il suo colpo segreto. –"Esplosione
Galattica!"
Il Sacerdote venne
sollevato in aria di parecchi metri, mentre pianeti e asteroidi esplodevano
intorno a lui. L’energia cosmica sprigionata dal colpo segreto di Gemini lo
travolse e per un momento sentì il suo corpo cedere, andare in frantumi, come
le stelle distrutte intorno a lui. Ricadde a terra qualche metro indietro,
perdendo l’elmo e la maschera e rivelando il suo vero viso.
"Potente è
l’ombra dentro di te, Cavaliere di Gemini! Potente al punto da oscurare la
lucentezza del tuo cosmo e delle stelle, che esplodono buie e solitarie!"
–Esclamò Shin, rimettendosi a fatica in piedi, di
fronte agli occhi sconvolti di Gemini, che credeva di averlo ucciso. –"Pur
tuttavia io credo ancora in te, credo ancora nella purezza del tuo cuore! E so
che anche tu lo senti!"
"Sentire
cosa?"
"Il richiamo
di Atena! Una voce lenta ma profonda, un canto di pace che suona dentro di te,
che ti ricorda continuamente chi sei e cosa sei stato, gli ideali in cui hai
creduto e per cui sei diventato Cavaliere!" –Rispose Shin,
con le lacrime agli occhi. –"Sei un Cavaliere d’Oro, Gemini! Il Cavaliere
d’Oro che presiede alla Terza Casa! È nel tuo potere fermare l’ombra, fermare
la falce distruttrice della morte che sta facendo a pezzi il tuo spirito! E
devi farlo, qui, ora! Con il mio aiuto e quello di Atena!" –Affermò Shin, con voce piena di dignità e potenza.
"Io…io…" –Balbettò Gemini,
tenendosi la testa e scuotendola. –"Non posso farlooo!!!
Non posso! Non ci riesco! È dentro di me, lo sento, mi sta…
mi sta uccidendo!!!" –Gridò, strappandosi i capelli, che per un momento
parvero cambiare colore e ritornare del suo bel blu acceso.
Shin si avvicinò, osservando il Cavaliere contorcersi sul
terreno, mentre una violenta psicomachia, una
battaglia per l’anima, era in corso dentro di lui, tra la luce e l’ombra, il
bene e il male. Espanse il cosmo, caricandolo di tutta l’energia che poteva
recepire dalle stelle, e gliene fece dono, per aiutarlo nella lotta, sperando
che con la sua guida potesse ritrovare la strada smarrita.
Ma il contatto con
il cosmo di Shin, così carico d’amore e di affetti,
così pieno di ricordi e di luce, fece impazzire quel che rimaneva dello spirito
di Gemini. La Pietra Nera liberò tutta la sua possente energia negativa,
avvolgendo il Cavaliere in una nube d’ombra, annientando la luce e il chiarore
delle stelle e relegando la vera anima di Gemini, quella che realmente voleva
la giustizia, a una prigionia perpetua.
"Io sono il
Messia di quest’epoca, l’uomo adatto per dominare il mondo!" –Esclamò di
scatto, sollevandosi in piedi, con occhi infuocati e spettrali. –"E tu,
misero uomo, sei soltanto d’intralcio ai miei grandiosi progetti!"
–Aggiunse, puntando un dito contro Shin, che venne
scaraventato indietro da una possente energia cosmica. –"Ucciderò Atena,
quella puerile bambina, e lo farò stanotte, prima che il suo cosmo cresca,
prima che possa rivelarsi alla cerimonia di iniziazione!"
"Fermati,
Gemini, basta! Non sai cosa stai dicendo! Non sai cosa…"
–Esclamò Shin, tra le lacrime disperate, prima che l’altro
fosse su di lui, afferrandolo per il collo e sollevandolo da terra.
"Aah,
guardatemi Dei delle Stelle! Guardate l’uomo più forte di Atene, l’uomo più
forte di questo mondo! In questo pugno, in questo misero pugno, stringo il
volto dell’ultimo ostacolo ai miei progetti!" –Esclamò Gemini
febbricitante, prima di fissare Shin con i suoi occhi
rossastri e dargli l’ultimo addio. –"Hai adempiuto bene al tuo compito,
Grande Sacerdote! Hai preparato bene il mio esercito per la guerra! Adesso puoi
anche morire!" –E lo scagliò in alto, travolto da una violenta energia
cosmica che fece esplodere il suo stanco corpo, privandolo della vita.
Shin ricadde a terra, sul piccolo piazzale antistante, ma
non riuscì più a rialzarsi, privo ormai di forze. Le poche rimaste le aveva
usate per salvare Gemini, ma aveva fallito. E di questo si crucciò.
Gemini si avvicinò
all’uomo, chinandosi su di lui, per assicurarsi che fosse morto, ma quando
voltò il suo corpo, ebbe timore del viso. Shin stava
piangendo, per non essere stato in grado di aiutarlo a cacciare via l’ombra, a
cacciare via il demone dall’animo del Cavaliere d’Oro. Debolmente, gli afferrò
una mano e lo fissò per l’ultima volta negli occhi. –“Lasciati guidare da
Atena! Lei ti perdonerà! E lo stesso... ho fatto io!" –Spirò così,
l’ultimo Grande Sacerdote di Atene.
In quello stesso
momento, molte migliaia di chilometri a est, nella Cina Meridionale, il
Vecchio Maestro di Libra ebbe un mancamento e crollò disteso lungo il
terreno di fronte alla cascata dei Cinque Picchi. Quando riuscì a riprendersi,
e a sollevare nuovamente lo sguardo, trovò un enorme cielo oscuro che lo
sovrastava. Perse lo sguardo nell’infinito sopra di lui, cercando le flebili
stelle che ancora brillavano in lontananza. Ma si accorse, con timore, che una
si era ormai spenta. E capì.
Addio Shin! Mormorò Dohko, tornando a sedere di fronte alla cascata dei Cinque
Picchi. Addio amico mio! Aggiunse, mentre lacrime scendevano sul suo
viso rugoso.
Anche Mur dell’Ariete percepì lo spegnersi del
cosmo del maestro. Non riuscì a comprendere come fosse accaduto, troppo giovane
e inesperto per aver ancora controllo su tale materia, ma sentì chiaramente che
il buon maestro che, seppure in tarda età, lo aveva addestrato, aveva lasciato
il suo mondo. Si alzò dal letto in cui riposava e uscì fuori sulla terrazza, ad
ammirare il cielo e si augurò che il vento potesse portare a Shin il suo ultimo saluto. Il suo ultimo abbraccio.
"Qualcosa ti
turba, Mur?" –Esclamò una voce di donna. Mur si voltò e trovò il volto sorridente, ma preoccupato,
di sua madre fissarlo con curiosità. Le sorrise, pregandola di non stare in
pena per lui.
"Avevo solo
bisogno di prendere aria!" –Rispose, rientrando in casa. –"E di
inviare un saluto al mio maestro, ringraziandolo per avermi addestrato e avermi
fatto diventare uomo!" –Aggiunse tra sé.
Sua madre era
seduta in cucina, vicino a un pentolino di acqua calda che aveva messo a
bollire. Mur le si avvicinò, prendendole le mani tra
le proprie. Le era molto affezionato ed aveva sofferto quando sei anni prima
avevano dovuto separarsi, quando aveva raggiunto la Grecia, dove Shin lo aveva allenato. Pochi giorni prima, quando il
Grande Sacerdote gli aveva chiesto di portare una lettera a Libra, in Cina, Mur aveva chiesto un permesso speciale, anche soltanto di
un giorno, per recarsi a fare visita a sua madre, che non vedeva da troppo
tempo e di cui sentiva la necessità.
La donna viveva
nello Jamir, in un’alta regione montuosa tra l’India
e la Cina, dove l’aria era così rarefatta da rendere difficoltosa la
respirazione per coloro che non vi erano abituati. In quell’ostile e riparata
regione, ben protetta da valli e montagne e da sentieri inaccessibili, una
colonia di discendenti dell’antica civiltà di Mu, il
continente perduto del Pacifico, si era stabilita millenni prima, dando vita a
piccoli centri culturali, come monasteri o villaggi di alta quota. Ma, con il
trascorrere del tempo, isolati nella loro beatitudine, i discendenti di Mu erano diminuiti e Mur era
l’ultimo, il più giovane della sua famiglia.
"Ti senti
solo?" –Domandò sua madre, vedendo la solitudine negli occhi del figlio.
"Mi sento
vuoto!" –Rispose Mur, raccontando ciò che aveva
sentito. La madre si dispiacque, poiché anch’ella aveva sentito parlare di Shin, discendente anch’egli dell’antico popolo di Mu.
"Hai grandi
responsabilità adesso!" –Esclamò la madre. –"Per adesso sei l’ultimo
discendente di Mu, a meno che non ti nasca un
fratellino nel prossimo futuro! L’ultimo superstite della nostra civiltà! A te
affidiamo il compito di diffondere la nostra cultura, unica nel suo
genere!"
"Non so se
sarò in grado di farlo! Ho trascorso molto tempo lontano da casa, perso nei
miei addestramenti in Grecia, e ho dimenticato molti usi e costumi del nostro
popolo!"
"Se Shin ti ha addestrato bene, io credo che molte tradizioni
tu già le conosca! Prima tra tutte l’arte di riparare le armature, un’arte
sublime e delicata, che fa di te un maestro nella lavorazione dei
metalli!" –Esclamò sua madre, preparando una calda tisana di erbe.
–"Inoltre qua, nella nostra biblioteca, ci sono migliaia di volumi, di
erboristeria, scienza medica, anatomia, ingegneria pratica, a disposizione di
una mente aperta ed elastica come la tua! Adesso che sei diventato Cavaliere, e
che hai terminato l’addestramento, potrai dedicare più tempo a te stesso, ai
tuoi studi! E forse anche alla tua famiglia!" –Aggiunse sua madre, ma Mur preferì lasciar cadere il discorso, essendo troppo
confuso riguardo al suo futuro e triste e amareggiato per la morte di Shin.
Uscì nuovamente
fuori, sulla terrazza dello strano edificio in cui viveva con sua madre, sulla
cima di una sporgenza rocciosa, e cercò di mettere insieme le idee. Il suo
Maestro era morto ed era suo dovere tornare al Grande Tempio, per presenziare
ai funerali e per assistere alla scelta del successore. Chissà chi diverrà
Grande Sacerdote? Si chiese. Chissà se Shin
aveva già qualcosa in mente? Probabilmente sì, non era uomo da lasciare tutto
al caso, soprattutto un fardello simile!
"Non tornare
al Grande Tempio, Cavaliere di Ariete!" –Parlò improvvisamente una voce al
suo cosmo. –"Non è più luogo sicuro, adesso che l’ombra vi ha steso un
opprimente velo di tenebra!"
"Ve...
Venerabile Maestro di Libra!" –Balbettò Mur,
riconoscendo il cosmo dell’anziano maestro. –"Cosa volete dire? Non dovrei
tornare?"
"No, se ti è
cara la vita e la salvezza di Atena! Raggiungimi ai Cinque Picchi! Abbiamo
molte cose di cui parlare!" –E scomparve, lasciando Mur
da solo, al vento freddo di quella notte oscura.
Il Cavaliere di
Ariete sospirò, voltandosi nuovamente verso l’interno, e sorrise a sua madre
che si era addormentata sul bancone della cucina. Ripensò a ciò che gli aveva
detto il Vecchio Maestro, a ciò che apprendeva dalle sue sensazioni, e rientrò
in casa, piuttosto incerto sul suo futuro. L’unica certezza che aveva è che
sarebbero trascorsi molti anni prima di un suo ritorno in Grecia.
A Tebe, Capricorn stava fronteggiando il Dio Seth,
sulla cima della crollata Piramide Nera, proprio vicino all’Occhio di Ra, il
simbolo inquinato del nuovo Egitto capace di attirare a sé l’energia cosmica
dei Cavalieri, indebolendoli ed esponendoli agli assalti del Sole Nero.
"Mi sorprende
che tu sia ancora vivo, Cavaliere del Capricorno!" –Esclamò il Dio,
avvolto nelle sue vesti regali. Indossava una lunga tunica verde, rifinita da
decorazioni color oro, e un copricapo a forma di aspide, con due serpi
intrecciate sopra gli orecchi, dalla forma allungata e eretta. Era circondato
da una potente aura cosmica, osteggiata in maniera più accentuata di quanto non
avesse fatto il giorno in cui lo aveva ricevuto nella Sala dei Serpenti.
"Un Cavaliere
di Atena non lascia mai le cose a metà!" –Esclamò Capricorn,
per niente intimorito dalla presenza del Dio. –"E torna sempre sui suoi passi,
quando vi sono validi motivi!"
"E i validi
motivi comprendono anche la morte, Cavaliere di Capricorn?!"
–Ironizzò Seth, caricando la mano destra del suo cosmo sfolgorante.
Immediatamente, violente scariche di energia, come folgori dal color verde acqua,
saettarono nell’aria, travolgendo Capricorn e
sbattendolo a terra, con il corpo completamente avvolto dalle saette
incandescenti del Dio. –"Perché soltanto questa ti aspetta, qua a Tebe! Ah
ah ah!" –E strinse la presa, osservando il
Cavaliere d’Oro prostrarsi a terra, dilaniato dai fulmini di energia che
stridevano lungo tutto il suo corpo.
"Ungh!!!" –Capricorn cercò di
resistere, di rimettersi in piedi, ma sentì le forze venire meno. Era così
vicino all’Occhio di Ra che anch’egli, per quanto in condizioni migliori dei
suoi compagni, dovette cedere e piegare il capo a tale oscuro potere. Cercò di
sollevare il braccio destro, caricandolo del suo dorato cosmo, e lasciò partire
un fendente di energia, che frantumò rocce e pietre franate, correndo verso Seth,
senza però raggiungerlo, troppo lento per l’agilità di un Dio.
"Muori!!!"
–Tuonò Seth, liberando guizzanti folgori di energia, che travolsero Seth,
facendolo rotolare lungo la Piramide Nera, mentre il suo corpo era lacerato da
mille tormenti.
"Capricorn!" –Gridò Ioria,
da lontano, osservando il compagno crollare a terra, avvolto in un turbine di
folgori energetiche. Ma il Leone dovette difendersi da un nuovo assalto dei
Guerrieri del Sole Nero, intenzionati a non dare loro tregua alcuna.
Capricorn rotolò lungo la Piramide Nera, crollando con il volto
insanguinato nella sabbia e le ossa che gli dolevano. Si sentiva come se avesse
subito una scarica elettrica ad altissima intensità.
"Puoi morire,
adesso?!" –Ironizzò Seth, balzando vicino a lui. Concentrò nuovamente il
cosmo sul palmo destro, mentre folgori di energia danzavano intorno a lui,
evocate dal suo cosmo oscuro, quindi lo rivolse contro Capricorn,
ma quella volta il Cavaliere d’Oro cercò di resistere, aprendo la mano destra e
respingendo le saette di Seth con il suo cosmo dorato. Lo scontro tra i due
poteri era impressionante e progressivamente generò un’enorme bolla di energia
al centro dello spiazzo, che sembrava crescere ulteriormente, cibandosi delle
energie cosmiche dei due contendenti.
"Maledizione!"
–Rifletté Seth. –"Se questo globo di energia esplode potrebbe
danneggiarmi! E sarebbe un inconcepibile spreco di potere!" –Mormorò,
socchiudendo gli occhi. Vittima dei suoi ordini mentali, l’Occhio di Ra si
sollevò dalla cima della Piramide Nera, fluttuando leggero nell’aria fino a
portarsi sopra la grande bolla di energia, iniziando ad assorbirla al suo
interno.
"Che stai
facendo?!" –Gridò Capricorn, osservando la sfera
energetica assottigliarsi sempre più.
"Mi approprio
della tua energia, Cavaliere d’Oro di Capricorn! Che
adesso userò contro di te!"
"Fermati,
Seth! L’energia immagazzinata dall’Occhio è troppo potente, troppo devastante!
Se la liberi in un sol colpo, esploderà come una bomba atomica, annienterà ogni
cosa!"
"Meglio! Se
anche il Tempio di Karnak, che sorge sull’altra sponda del Nilo, crollasse, mi
risparmierebbe la fatica di uccidere Amon Ra con le
mie mani!" –Sogghignò il Dio, afferrando saldamente l’Occhio e puntandolo
verso Capricorn. –"Ti comando, Occhio del Sole
Nero, libera la tua energia e fai strage di coloro che hanno osato ribellarsi
al tuo Signore!"
Capricorn, nel vedere l’Occhio illuminarsi, si allontanò a
tutta velocità, gridando a Ioria, Albione e Cancer di
trovarsi un riparo, di nascondersi da qualche parte. Ma la sua voce si perse,
sovrastata dall’improvviso boato di una violenta esplosione. L’energia
immagazzinata dall’Occhio di Ra, di provenienza diversa e confusamente
ammassata, era troppo instabile per poter essere controllata, troppo potente
per non essere distruttiva, ed esplose, generando una gigantesca bolla di
energia che annientò tutto ciò che trovò sulla sua strada nel raggio di un paio
di chilometri.
La piramide venne
distrutta, i Soldati del Sole Nero spazzati via. Anche l’argine e il ponte sul
Nilo crollarono, facendo agitare le acque del fiume sacro. Della ricostruita
Tebe non rimase niente, soltanto cumuli di detriti che sembrarono riportarla
all’abbandono dei secoli precedenti. Persino Seth venne sbalzato via,
schiacciato da una devastante onda di energia che lacerò le proprie vesti,
distrusse il suo copricapo e lo sbatacchiò nella sabbia come uno straccio.
Quando riuscì a
rimettersi in piedi, stordito e confuso, e osservò il panorama attorno a lui,
gli parve di essere in un incubo, perché non era rimasto niente: soltanto
un’immensa distesa di sabbia e rovine. Persino la pietra era andata in frantumi
dall’annientante potenza dell’Occhio. Aveva perso, non gli era rimasto niente,
soltanto la rabbia che covava dentro e l’odio per i Cavalieri di Atena che avevano
osato intralciare il suo progetto di conquista. Un’unica cosa lo rese felice e
lo fece esplodere in grida di giubilo: il fatto che anche i Cavalieri fossero
stati disintegrati dall’esplosione.
"Bel
panorama, Ioria, non trovi?" –Esclamò
improvvisamente una voce.
"Non lo so, Capricorn! Lo trovo un po’ monotono! Tutta questa sabbia… e nient’altro! Neanche una costruzione!"
–Ironizzò Ioria, a fianco dell’amico.
Seth si voltò, con
gli occhi stupefatti, e osservò i Cavalieri di Capricorn,
Leo, Cancer e Cefeo di fronte a sé, ancora vivi e
vegeti, come se non avessero risentito dell’onda distruttiva dell’Occhio.
"Voi?! Qui?!
Ma com’è possibile?!" –Gridò, sconvolto.
"È un gran
vantaggio poter viaggiare tra le dimensioni! Vero, Cancer?!" –Esclamò Capricorn.
"Già! Anche
se avrei preferito visitare un posto migliore, che non la bocca di Ade!"
–Ironizzò Ioria.
"Se usare gli
Strati di Spirito su noi stessi non era di tuo gradimento, potevi
rimanere qua a farti cancellare dal mondo!!" –Esclamò Cancer.
"Maledetti!
Vi toglierò personalmente quell’aria di superbia!" –Gridò Seth, espandendo
il cosmo.
"Abbiamo
eliminato tutti i guerrieri che ci hai mandato contro e adesso pretendi di
sconfiggerci da solo?" –Ironizzò Ioria.
–"Non chiedere troppo a te stesso!"
Di tutta risposta,
il Dio Seth scagliò contro di loro violente scariche di energia cosmica, come
guizzanti folgori verdi che stridettero nell’aria, sollevando polvere e sabbia.
Ma i Cavalieri di Atena con l’esplosione dell’Occhio di Ra avevano recuperato i
loro poteri, sentendosi più leggeri e meno stanchi, e seppero evitare le
guizzanti folgori, scattando in direzioni diversi.
Ioria rotolò sul terreno sabbioso, scagliando un vigoroso Sacro
Leo all’altezza del suolo. Il Dio evitò la sfera di energia, scansandosi di
lato, ma subito dovette fronteggiare Capricorn, con
il braccio teso verso di lui. La Sacra Spada scavò un profondo solco nel
terreno, prima di abbattersi sul braccio sinistro del Dio e strappar via la sua
veste.
"È
agile!" –Commentò Cancer, alla vista del Dio che scansava gli affondi dei
Cavalieri d’Oro. –"Ma non riuscirà ad evitare gli Strati di Spirito!"
–Gridò, scagliando il suo raggio contro Seth.
Il Dio tentò di
schivarlo ma venne comunque raggiunto al cranio, accusando un violento mal di
testa. Ma poi esplose in un grossa risata, schernendo il Cavaliere per il
fallimento del suo attacco.
"Ah ah ah!
Come hai potuto credere che un colpo simile potesse avere effetto su di me?
Sono Seth, figlio di Geb, la terra, e di Nut, il cielo, una delle primordiali divinità egizie!
Presiedevo il culto dei morti nell’Alto Egitto e tutt’oggi posso spostarmi in Amenti con la sola forza del cosmo! Il tuo colpo è stato
solo una lieve scossa!" –E concentrò il cosmo sul palmo della mano destra,
scaricando violente folgori di energia contro il Cavaliere d’Oro, che venne
travolto e sbattuto a terra, mentre il suo corpo era percorso dalle guizzanti
scariche stritolatrici del Dio.
"Cancer!"
–Esclamò Capricorn, correndo in aiuto del compagno.
Liberò un fendente di energia, che sfrecciò contro il Dio alla velocità della
luce. Ma Seth, sorprendendo tutti i Cavalieri, non si mosse, limitandosi a
parare il colpo con la mano destra e a rinviare il fendente energetico
indietro, travolgendo Capricorn, che venne
scaraventato lontano, perdendo l’elmo cornuto dell’armatura.
"Mi sono
stancato di giocare!" –Sibilò, mentre i suoi occhi splendevano come brace.
–"Adesso, morite!!!" –E scaricò contro tutti loro un avvolgente
turbinio di guizzanti folgori di energia cosmica, che stritolarono i Cavalieri
d’Atena, sbattendoli a terra, intrappolandoli in maglie di fulmini che
dilaniarono i loro corpi. –"Anche troppo sono stato clemente! Anche troppo
vi ho permesso di respirare l’aria del mio impero! Adesso è tempo di chiudere
questo stupido gioco!"
"Aargh!" –Gridarono Capricorn,
Ioria, Cancer e Albione, prigionieri delle folgori di
energia.
Improvvisamente
nel cielo si udì un tuono profondo, simile a un boato proveniente dalle
profondità dell’Inferno. Seth si distrasse per un momento, sollevando lo
sguardo verso la volta celeste. Era un tardo pomeriggio estivo, con qualche
nuvola che adombrava il sole, ma niente che facesse presagire un temporale.
Dopo pochi istanti vi fu un secondo boato, accompagnato quella volta da una
violenta scossa sismica che fece tremare l’intera area di Tebe.
"Che diavolo
succede?" –Bofonchiò Seth, abbassando le braccia e liberando i Cavalieri
dalla morsa.
Il terzo boato fu
ancora più potente e fu accompagnato da un violento sballottamento del terreno,
che iniziò a spaccarsi, creando fenditure dove la sabbia e i detriti caddero
poco dopo. D’improvviso, una mostruosa figura, dalle sembianze simili a un
enorme serpente, si sollevò dal terreno, ergendosi verso il cielo plumbeo,
mentre cinque uomini balzarono fuori, tra lo stupore dei presenti.
Ioria fu il primo a riconoscere la sagoma di suo fratello,
rivestito dall’armatura d’oro. E a corrergli incontro.
"Miceneee!!!" –Gridò, presto seguito da Capricorn e da Albione.
"Ioria! Stai bene?!" –Si preoccupò subito Micene.
"Ma cosa
succede?!" –Chiese Ioria, alla vista dell’enorme
serpente che stava emergendo dalla terra. Non aveva mai visto, neanche
immaginato, una bestia così orrida, così spaventosa, così demoniaca.
Micene raccontò al
fratello e agli altri Cavalieri in breve la sua avventura in Amenti e la liberazione operata dal Consigliere di Ra di Apopi, il grande serpente cosmico.
"Ma non
potevate lasciarlo intrappolato nell’Inferno?" –Domandò Ioria, a cui l’idea di battersi con quel bestione non lo
stimolava affatto.
"In quel modo
non sarebbe mai stato sconfitto, ma avrebbe continuato a crescere, nutrendosi
delle anime dei morti che cadono all’Inferno, come ha fatto per tutto questo
tempo da quando Anhar lo ha risvegliato!"
–Spiegò Micene, mentre Ioria storceva il naso
all’idea di un mostro mangia-morti. –"Soltanto
qua troveremo la forza per batterlo e il potere necessario per cancellarlo dal
mondo!"
"Hai detto
bene, giovane Cavaliere di Atena!" –Esclamò una voce adulta, intervenendo
nella conversazione. –"Mio figlio ed io faremo il possibile per tenerlo a
bada! Nella speranza che Febo riesca a convincere suo
padre!" –Aggiunse, tirando un’occhiata al biondo Cavaliere del Sole.
"Farò il
possibile, Divino Osiride!" –Esclamò Febo,
correndo via, subito seguito da Marins, che
era rimasto intenzionalmente in ombra per tutto quel tempo.
"Mi auguro
che Ra ascolti le nostre preghiere, figlio mio!" –Mormorò Osiride ad
Horus. –"O temo che la sorte di tutti noi sia già decisa!"
In quel momento Apopi torreggiò su di loro, fissandoli con occhi carichi di
oscurità, prima di scagliargli contro vampate di energia infuocata, che
obbligarono i Cavalieri a separarsi e a correre in diverse direzioni. Horus
afferrò il padre e lo gettò nella sabbia, per proteggerlo da un’onda di fuoco,
e questo suscitò l’attenzione di Seth, rimasto piuttosto sorpreso di trovare Apopi sulla Terra.
Anhar, il Consigliere di Ra, con cui aveva stipulato
un’alleanza segreta dopo che questi lo aveva contattato, gli aveva assicurato
che Apopi non sarebbe stato un problema, che sarebbe
rimasto relegato in Amenti, a cibarsi delle anime dei
caduti e ad assorbire le energie di Osiride e di Horus. Ma adesso era là, sotto
il cielo dell’Egitto, ed era una creatura troppo potente, troppo distruttiva,
persino per Seth, che vide improvvisamente crollare tutti i suoi progetti di
dominio.
Se Amon Ra verrà risvegliato, e uscirà dal tempio di Karnak
per sconfiggere il serpente Apopi, e se durante tale
scontro dovesse vincere, in seguito scaricherà il suo potere contro di me,
aiutato dai Cavalieri di Atena, per vendicarsi e farmi scontare le mie colpe! Rifletté Seth, osservando i Cavalieri correre per il
deserto, evitando le violente fiammate di energia cosmica di Apopi. Ma se dovesse perdere, o se rifiutasse di uscire
dal suo isolamento, Apopi impererebbe sovrano,
distruggendo ogni cosa, poiché non vi è niente di più a cui il Serpente Cosmico
aspira che all’annientamento totale della Terra, all’assorbimento di ogni forma
di energia!
In qualunque
modo vada io ho perso! Sospirò
infine. La Piramide Nera è crollata, l’Occhio distrutto, il mio esercito
annientato! Non mi resta niente, neppure l’illusione di un regno su cui
governare in futuro! Adesso che Apopi è stato
liberato, non vi è più alcuna prospettiva di dominio! Non vi è più alcuna
prospettiva di futuro! E per un momento si chiese se non fosse nei progetti
di Anhar liberare il Serpente Cosmico, violando gli
accordi stabiliti con lui. Perché diavolo non ha impedito a Osiride di
portarlo qua, sulla Terra? Si chiese, maledicendo il viscido Consigliere.
Ma alla fine abbassò il capo, adattandosi alla situazione. Se non avrò un
impero su cui governare, un Egitto su cui estendere il mio potere, allora
nessuno lo avrà! Non vi sarà più alcun Tempio, alcuna Atene, alcuna Karnak,
soltanto la distruzione di tutte le cose! Ed espanse il proprio cosmo
divino, sollevandosi in cielo e affiancando Apopi, il
quale lo riconobbe immediatamente.
"Pare che
debba a te la mia scarcerazione!" –Commentò il Serpente, senza troppi
ringraziamenti. E liberò una violenta fiammata di energia distruttiva, rivolta
contro i Cavalieri.
"È la nostra
vendetta, questa, Apopi!" –Esclamò Seth.
–"Gustiamocela fino in fondo!" –E scatenò le sue guizzanti folgori di
energia, avendo visto due ambite prede con cui desiderava scontrarsi.
Su una duna si ergevano
infatti un uomo e suo figlio, barbaramente incarcerati per ordine di Seth nelle
prigioni di Amenti. L’uomo era piuttosto alto,
ricoperto di vesti lacere e bruciacchiate; aveva un viso allungato, con una
folta barba appuntita sul mento, occhi nocciola e corti capelli scuri. Era Osiride,
il Dio egizio dell’Oltretomba. Il figlio, che avrebbe potuto essere
scambiato per un giovane trentenne, era alto come il padre ma con un fisico più
tonico ed atletico; aveva lunghi capelli castani, che ricadevano mossi sulla
schiena, come la criniera di un falco, e occhi grandi e acuti, capaci di
cogliere anche i piccoli movimenti. Egli era Horus, il Dio falco, figlio
di Iside e di Osiride.
"Sei pronto,
figlio mio?" –Domandò Osiride.
"Sono sempre
stato pronto, padre! Fin dalla prima volta in cui combattei con Seth e lo
sconfissi fui certo che un giorno sarebbe tornato, per vendicarsi di me, di te,
di tutti quanti noi!"
"E chi siamo
noi per farlo aspettare?" –Ironizzò Osiride, espandendo il cosmo. Horus
fece lo stesso, lasciandosi avvolgere dalla sua calda aura, ritrovando
l’energia persa durante la cattività in Amenti.
Riscaldate dal
cosmo di Osiride, le vesti del Dio dell’Oltretomba cambiarono, facendosi regali
e più protettive. Nella sua mano comparve un incurvato bastone d’oro,
tempestato di gioielli preziosi, e sulla sua testa apparve un magnifico
copricapo, stretto e allungato, simbolo del suo potere di Signore dell’Inferno.
Horus richiamò invece la propria Armatura, che apparve nel cielo, splendendo
come una stella, disposta in modo da rappresentare un falco. Attratta dal suo
cosmo, la divina corazza si separò in tanti pezzi che andarono a ricoprire il
corpo del suo padrone, donandogli nuova forza ed energia. Horus indossò l’elmo
della propria armatura, a forma di testa di falco, e balzò in alto, mentre le
ali affisse alla schiena fluttuarono in aria, aiutandolo a mantenersi in volo.
"Siete
tornati dunque?" –Ghignò Seth, piombando su di loro, avvolto in ardenti
scariche di energia. –"Non era di vostro gradimento il luogo di
villeggiatura che avevo accuratamente scelto per voi?"
"In quel
luogo finirai tu, Seth, ma per sempre!" –Esclamò Horus, lanciandosi contro
il Dio, che subito deviò il suo assalto, travolgendolo con accese folgori
energetiche.
"Horus!"
–Gridò Osiride, alla vista del figlio ferito e scaraventato via. Sollevò il
bastone e diresse un secco raggio di energia cosmica contro Seth, colpendolo in
pieno petto e scagliandolo indietro, fino a farlo precipitare a terra e
rotolare sulla sabbia. Non ebbe tempo di gioire però che dovette fronteggiare
il rinnovato assalto del Dio, subito rimessosi in piedi e desideroso della sua
rivincita.
Mi auguro che Febo sia riuscito ad entrare a Karnak! Pensò Osiride, prima di lanciarsi in battaglia. Poiché
se Seth e Apopi non saranno sconfitti, nessun posto
sarà più sicuro! Neppure Karnak stessa!
Nel frattempo, Febo aveva raggiunto Karnak, superando il Viale
delle Sfingi, privo ormai di ogni difesa, ed entrando dal portone
precedentemente abbattuto da Micene, seguito da Marins.
Corse attraverso i corridoi del grande complesso templare fino a raggiungere i
resti della Sala Ipostila, dove ore prima aveva affrontato Anhar.
Sospirò per un momento, sopraffatto dal corso degli eventi, e gli sembrò che
fossero trascorsi mesi, mentre invece tutto si era svolto nell’arco di un
giorno.
"Sei tornato,
figlio mio!" –Esclamò una candida voce di donna, affacciandosi da dietro
una colonna.
"Iside!"
–Sorrise Febo. –"Sono tornato, come ti avevo
promesso! E Horus e Osiride sono con me!"
"Che Ra ti benedica,
giovane Febo! Tu fai di me una donna nuova!"
–Pianse Iside, abbracciandolo.
"E in effetti… ho proprio bisogno della benedizione di Ra!"
–Commentò Febo, separandosi dalla donna e camminando
fino a porsi di fronte al grande portone d’ingresso del Santuario di Amon Ra.
"Febo!!!" –Lo chiamò Iside. –"Non vorrai…?!! Non puoi!"
"Ho bisogno
di vederlo, Iside!" –Commentò Febo senza
voltarsi, continuando a fissare il massiccio portone. –"E anche l’Egitto
ne ha bisogno! Apopi è stato liberato e sta devastando
la Terra, insieme al malvagio Seth! Ra è l’unico che può fermarlo!"
"Apopi?!" –Tremò la donna terrorizzata, prima di
lasciarsi cadere a terra, piangendo.
Febo rimase ancora per qualche secondo a fissare il
portone, poi si avvicinò ad esso, sfiorandolo con la mano. Era freddo, come se
appartenesse a un mondo distante. Per un istante si chiese come fare ad
aprirlo. Forse scagliandovi contro una Bomba del Sole? Ma poi
sorrise, riflettendo che il miglior modo per entrare fosse quello di aprire
semplicemente la porta. Premette con forza contro le due immense ante del
portone d’ingresso, invocando a gran voce il nome di suo padre, del possente Amon Ra, mentre il suo cosmo, caldo e lucente come il sole,
scuoteva i cardini del portone, filtrando all’interno e portando luce in un
mondo che da troppo tempo non la vedeva.
Iside e Marins rimasero indietro, attoniti, ad osservare il grande
sforzo del giovane Febo, la sua intensa
determinazione di ritrovare suo padre. Soltanto dopo qualche minuto, quando il
cosmo di Febo era cresciuto ulteriormente, le ante
del portone si aprirono, spalancandosi all’interno. Febo
rimase in piedi sulla porta ad osservare un immenso sconfinato stanzone dove
non vi era alcuna luce, nessun fuoco, soltanto un incommensurabile vuoto.
Avanzò di qualche passo all’interno, un po’ incerto su cosa avrebbe trovato,
mentre i suoi occhi, aiutati dalla luce che filtrava dalla Sala Ipostila,
lentamente si abituavano alla semioscurità. Mosse qualche altro passo avanti
finché non lo vide. Il trono del Dio, e Amon
Ra era proprio seduto su di esso.
Non vi era altro
in quell’immensa stanza, soltanto il trono del Sole, sormontato dal suo
simbolo, un cerchio con un punto nel centro. E il Dio era assiso sul trono, da
solo, come era stato per tutte quelle migliaia di anni. Febo
si avvicinò ancora, trepidante, e lo fissò, sforzandosi di essere forte.
"Padre!"
–Mormorò infine, fermandosi a qualche metro di distanza, mentre fuori dal
salone Iside e Marins non accennavano ad entrare,
imbarazzati e insicuri.
Amon Ra, che finora era apparso come un uomo in trance,
sollevò infine la testa, incrociando, dopo migliaia di anni, lo sguardo del
figlio che ebbe dalla Sacerdotessa di Apollo. Di fronte a quello sguardo,
nobile ed antico, Febo fece un passo indietro, poiché
in esso non si ritrovò, e sembrò non ritrovare neppure suo padre. Era lo
sguardo di un vecchio, di un uomo aggrinzito che si era arreso alla vita, lo
sguardo languido di colui che siede sul ciglio della strada e osserva tutto il
resto del mondo camminare di fronte a lui, senza fare niente per raggiungerlo.
"Fe…Febo!" –Mormorò infine
il Dio Ra.
A quel punto, nel
sentire il padre pronunciare il nome che temeva avesse dimenticato, Febo si inginocchiò di fronte a lui, pregandolo di
concedergli il suo perdono per aver osato disturbarlo, ma lo aveva fatto per
una ragione importante, che necessitava la sua presenza.
"Padre!
Quanto ho aspettato questo momento! L’ho sognato per anni, nelle mie notti
insonni, e ho pensato a mille cose da dirti, a mille frasi con cui iniziare una
conversazione! Vorrei cantarti uno degli Inni di Amon,
per renderti gloria e venerarti, e lo farei davvero, perché questo è ciò che
sento, ma adesso non abbiamo il tempo!"
"Non abbiamo
il tempo?!" –Ripeté Amon Ra.
"No, Padre,
non lo abbiamo! Il Serpente Cosmico è stato risvegliato e sta portando
distruzione e morte, aiutato dal malvagio Seth, che si è proclamato Signore
dell’Egitto, usurpando i tuoi simboli, l’Occhio e il Sole, emblemi che soltanto
a un Dio appartengono!" –Spiegò Febo.
–"Horus e Osiride, tuoi fedeli servitori, stanno combattendo qua fuori,
insieme ai Cavalieri di Atena, nobili ragazzi dal cuore d’oro che stanno
rischiando la vita per porre fine ad una guerra che non è neppure loro!"
"E a chi
appartiene questa guerra, Febo?" –Domandò Amon Ra, con voce stanca. –"Certamente non a me, che
dal mondo sono uscito secoli fa e dove non ho intenzione di tornare adesso, per
assistere alla sua distruzione!"
"Ma tu devi
tornare, Padre! Perché sei l’unico che può fermare Apopi,
l’unico che può sconfiggerlo, come quando lottavi con lui nelle interminabili
notti del Mondo Antico!" –Cercò di incitarlo Febo.
"Quei tempi
sono lontani Febo! Appartengono ad un passato che ho
scelto di dimenticare!"
"Forse tu hai
cercato di dimenticarli, e non vi sei riuscito, ma vi sono altri che non vi
hanno neppure tentato! Perché avrebbero dovuto? Perché avrebbero dovuto
cancellare il ricordo che avevano di te, Dio del Sole, sovrano vittorioso
contro l’orrido serpente, colui che ha portato luce agli uomini e da loro è stato
eletto come Divinità Universale dell’intero mondo egizio?!"
"E cosa ho
avuto in cambio, Febo? Cosa mi hanno dato gli uomini
per riconoscenza? Soltanto problemi, soltanto insulti, soltanto guerre! Gli
uomini sembrano incapaci di altro e non credo che in duemila anni siano
cambiati, non credo che il mondo di oggi sia diverso da quello antico!"
"Purtroppo è
così!" –Sospirò Febo. –"Gli uomini
sbagliano ancora! Ogni giorno della loro vita! Ma è nel loro destino, Padre! È
nella loro natura, e non possiamo cambiarla, non puoi farlo neppure tu che sei
Dio! Puoi soltanto aiutarli, combattere per loro e dimostrare che anche oggi
esistono ideali per cui lottare, per cui vale la pena difendere la Terra dalla
minaccia del Serpente del Caos!"
"Dovrei
combattere per gli uomini?" –Domandò Ra, per niente stimolato dall’idea.
"Non è
soltanto per questo che ti ho risvegliato, Padre!" –Commentò Febo, alzandosi in piedi. –"Ma perché anch’io, tuo
figlio, ho bisogno di te! E voglio lottare al tuo fianco!"
Mentre nella piana
dove un tempo sorgeva la città di Tebe, i Cavalieri di Atena, Horus e Osiride
stavano affrontando il Dio Seth e il mostruoso Serpente Cosmico, all’interno
del Tempio di Karnak, sull’altra riva del Nilo, Febo, figlio di Amon Ra,
era in ginocchio di fronte al Padre e stava cercando di convincerlo ad
abbandonare il suo volontario esilio e a scendere nuovamente in campo.
"Questo mondo
ha bisogno di te, Padre! Almeno quanto ne ho bisogno io!" –Esclamò Febo,
mentre, fattisi coraggio, anche Iside e Marins varcarono la soglia e entrarono
all’interno del Santuario di Ra.
"Ti ringrazio
per la fiducia, figlio mio, ma non credo di poter essere ancora utile a questo
mondo!" –Commentò Amon. –"Né credo che questo mondo possa essere
utile a me, o a te!"
"Non dire
così, padre! Ci sono tante cose belle nel mondo, per cui vale la pena vivere e
rischiare!"
"Non vi è
niente che valga una vita intera, Febo! Adesso sei ancora un ragazzo inesperto
ma da grande valuterai le cose con occhio critico diverso, forse più
realista!"
"Come potrò
diventare grande se mi tieni confinato qua dentro, al di là del tempo e dello
spazio?" –Sbottò infine Febo, mettendosi in piedi. –"Ho apprezzato
ciò che hai fatto per me, salvandomi e dandomi la possibilità di vivere, ma non
credere che ti sia grato per avermi tolto dal mondo! Volevi evitarmi dolore e
sofferenza, e forse togliermi dallo scorrere inesorabile del tempo, e per
questo apprezzo le tue buone intenzioni! Ma così facendo mi hai tolto anche la
vita! Confinandomi in un Santuario dove non batte mai la luce del sole, dove
non posso mai sentire lo stormire del vento, il profumo del mare, il sapore di
una vera amicizia, tu mi hai tolto anche la voglia di vivere!"
"Sei un
ingrato!" –Tuonò Amon. –"Ti ho tolto dal mondo perché il mondo è
dolore e nulla più! E per evitartelo, per non vederti stare male, come io sono
stato per millenni, coinvolto in qualche stupida guerra per il potere, ti ho
fatto dono di questo Tempio, dove sei potuto crescere in armonia!"
"Non tutte le
guerre sono ingiuste, alcune devono essere combattute! Come tu ogni notte
combattevi con Apep, quando solcavi il cielo con il tuo carro solare! Non ti
sei mai tirato indietro, fino al duello finale e alla caduta del Serpente
Cosmico! Né Horus si è tirato indietro quando ha dovuto affrontare Seth, Dio
che aveva ucciso suo padre! Né Iside lo ha fatto, vagando per terre ignote alla
ricerca dei pezzi smembrati del corpo del suo amore! Perché dovrei farlo io?
Perché dovremmo farlo adesso?"
"Quei tempi
sono passati, Febo! È troppo tardi per farli rivivere!"
"Quei tempi
possono tornare, se lo vuoi!" –Precisò Febo.
"Basta con
questi discorsi!" –Brontolò Amon, agitandosi sul suo trono. –"Mi hai
risvegliato per una sciocchezza, meriteresti la mia punizione! Ti salvi
soltanto perché sei mio figlio!"
"O forse
perché anche voi, potente Amon Ra, desideravate rivedere Febo?" –Esclamò
improvvisamente una voce, facendo voltare i presenti verso l’ingresso. Là, in
piedi, tra le ante aperte del massiccio portone, stava un giovane di diciotto
anni, ricoperto da una dorata armatura, con ali affisse allo schienale e una
fascetta intorno alla testa. –“Perdonate l’intrusione, Dio del Sole, ma ho
udito le vostre parole! E a me sembrano cariche di risentimento nei vostri
confronti, non verso quelli del figlio che amate, e che un tempo salvaste da
morte sicura!” –Esclamò Micene, entrando nel Santuario, di fronte agli sguardi
sorpresi di Febo, Marins e Iside.
"Chi sei tu
per rivolgerti a me in cotal modo?" –Domandò subito Amon.
"È Micene
del Sagittario il mio nome celeste, Cavaliere d’Oro di Atena!"
"Un Cavaliere
di Atena? Qua, all’interno del Tempio di Amon?" –Tuonò Amon Ra.
"Ve ne è più
d’uno, Dio del Sole, di Cavalieri di Atena in Egitto! E tutti sono là fuori,
tra le folgori incandescenti del malvagio Seth e le vampate mortifere del
Serpente Cosmico, a combattere per voi, una guerra che non doveva essere
iniziata, ma che soltanto insieme possiamo condurre alla fine!"
"Sì… Mio
figlio mi ha spiegato la situazione! Ma se anche tu sei giunto per chiedere il
mio aiuto, hai sprecato il tuo tempo, Cavaliere del Sagittario! Non scenderò in
campo! Il tempo delle mie battaglie con Apopi è scaduto! Che se ne occupi
qualcun altro adesso, magari gli uomini che tanto amate difendere, gli stessi
che non leverebbero un dito per salvarvi!"
"Ed è per
questo che combattiamo, oh possente Ra! Non per gloria né per fama, né per
ambire a premi o riconoscimenti, noi Cavalieri di Atena combattiamo per
difendere la giustizia e le libere genti della Terra, per dare loro un ideale
in cui credere, un valore in cui riconoscersi! Forse saremo dimenticati e
nessuno scolpirà mai i nostri nomi nei monumenti della storia, forse saremo
malvisti, per i nostri poteri a cui molti guardano con invidia, ma se riusciremo
nel nostro intento, se anche riusciremo a salvare una vita umana, e a dare ad
essa un senso, ci sentiremo comunque soddisfatti!" –Parlò Micene.
–"Non combattiamo per il gusto della vittoria, ma per la possibilità di
costruire un futuro! Chiudendovi all’interno di Karnak, vi precludete tale
possibilità! E la precludete a coloro che vi stanno attorno, e che vi amano
ricambiati, ma che hanno tutto il diritto di vivere la loro vita!"
"Le tue
parole sono giuste e degne di ammirazione, Micene del Sagittario! Ma non ho
intenzione di vedere mio figlio rischiare la vita in una guerra incerta! No,
Febo resterà a Karnak, ed io con lui! Qua saremo al sicuro dalle devastazioni
del mondo odierno!"
"L’aver
trascorso duemila anni rinchiuso in questo spoglio salone deve aver accecato la
vostra vista, possente Amon! Pensate di poter rimanere fuori dal tempo per
sempre? Credete davvero di essere al sicuro, tra le mura rovinate di questo
Santuario? Nessun uomo è un’isola e questa regola vale anche per le Divinità!
Se non interveniamo adesso, eliminando alla radice il problema, Apopi
distruggerà la Terra e Karnak con essa, poiché i vostri poteri non basteranno a
difendervi per sempre!"
Amon Ra non disse
niente, ferito dalle parole di Micene. Per un momento provò la sensazione di
colpirlo, di scaraventarlo fuori dal suo Tempio per aver osato tanto, ma poi lo
lasciò parlare ancora.
"Quando sono
entrato a Karnak la prima volta mi aspettavo di trovare un Re, seduto sul suo
trono, pronto ad impugnare la spada per difendere il suo regno, la sua famiglia
e le persone a lui care, invece ho trovato soltanto un vecchio abbandonato a se
stesso, un corpo svuotato ormai di ogni anima, che ha perso qualsiasi interesse
a stare nel mondo, lasciandosi vincere e dominare dai rimpianti!" –Esclamò
Micene, volgendo le spalle al Dio e incamminandosi verso l’uscita.
"Dove vai,
Micene?" –Tuonò Amon Ra.
"A
combattere, mio Signore! E a morire con onore! Forse questa guerra non mi
appartiene, ma io credo, con tutto il rispetto, che essa appartenga a tutti!
Rimanere indifferenti mentre il proprio vicino muore non ci eviterà la morte
quando da noi giungerà! Perciò vi dico, possente Amon Ra, se ancora siete il
meraviglioso Signore del Sole, cantato negli Inni Sacri, abbandonate i
rimpianti e uscite fuori, a respirare nuovamente l’aria del mondo, a fissare
con i vostri stanchi occhi la luce del sole! Forse questo vi farà sentire più
giovane e vi ricorderà un tempo in cui valeva la pena vivere per
qualcosa!" –Nient’altro aggiunse Micene del Sagittario e si allontanò,
lasciando Ra ai suoi pensieri. Poco dopo anche Febo si incamminò verso
l’uscita, sorprendendo gli stessi Marins e Iside.
"Anche tu te
ne vai, figlio? Anche tu mi abbandoni?!"
"Horus già
combatte nel cielo d’Egitto! E Osiride è con lui, a rischiare la vita per
proteggere coloro che amano! Chi sono io, per essere così superbo da lasciare
che altri si battano per me, per difendere la mia terra?" –Rispose Febo,
uscendo dal Santuario. Marins e Iside non dissero niente, seguendo il ragazzo
fuori dall’immenso stanzone. –“Ho sbagliato a riaprire questa porta! Perché non
ho trovato ciò che andavo cercando! Ho avuto un dubbio, per tutti questi anni,
che adesso è divenuto certezza! Mio padre è morto, sconfitto da se stesso e dai
suoi rimpianti, molti secoli addietro, e tu sei soltanto un fantasma!" –E
richiuse il portone dietro di sé, prima di correre con Marins fuori da Karnak.
"Fermati!"
–Esclamò Marins, usciti all’aperto, afferrando Febo per un braccio.
–"La nostra presenza in questa vicenda è giunta al termine! È tempo di
lasciare l’Egitto!"
"Lasciare
l’Egitto? Ma che stai dicendo? Devo andare a combattere con i miei
compagni!"
"Questo non è
nel nostro destino, Febo! Adesso devi venire con me! I Cavalieri di Atena e gli
Dei di Egitto si occuperanno di Seth e Apopi! Io devo occuparmi di te e fare
ciò che il mio Maestro mi ha ordinato!"
"Quale
Maestro? E cosa devi fare?"
"Trovare il
Cavaliere del Sole e condurlo all’Isola Sacra, affinché egli possa istruirti e
addestrarti! Niente avviene per caso, Febo! Ed è tempo che tu metta da parte il
tuo generoso altruismo per dedicarti a te stesso, a ciò che sarai in
futuro!"
"Io non
voglio essere un rinunciatario!" –Esclamò Febo, adirato per la richiesta
di Marins. –"Né lascerò i miei compagni a combattere da soli per difendere
la mia terra e la terra di mio Padre!"
"Non ho
approvato la decisione di tuo padre né il suo isolazionismo! Ma su una cosa
aveva ragione! Non puoi permetterti di morire, perché dal tuo destino dipende
il destino di molti altri!" –Esclamò Marins, allungando una mano verso
Febo. –"Perciò seguimi, e non fare resistenza! Combattere questa battaglia
incerta, in cui potresti perdere la vita, complicherebbe ulteriormente le
cose!"
"Credevo tu
fossi un amico!" –Commentò Febo, guardando Marins con aria torva.
–"Ma non sei poi così diverso da Anhar! Anche tu mi hai usato!"
"Questo non è
vero! Il mio compito era aiutarti ad essere te stesso, a tirar fuori il vero
Febo, il Cavaliere del Sole splendente, e a condurti nell’unico luogo sulla
terra che sia veramente al sicuro, nell’unico posto dove potrai ricevere
insegnamenti!"
"Adesso non
posso venire, Marins!" –Rispose Febo, incamminandosi verso Tebe. –"Ho
una missione da compiere, una terra da difendere, una causa per cui combattere!
Se vuoi aiutarmi ne sarò ben lieto! Ma non lascerò il mio posto adesso per
inseguire un destino incerto!"
"Fai come
credi, Febo, figlio di Amon Ra!" –Commentò Marins, consapevole di non
poterlo obbligare. –"Ognuno per la sua strada!" –E scomparve in un
lampo di luce.
Febo sospirò per
un momento, dispiaciuto per uno stupido litigio di cui non aveva ben compreso
il movente. Le grida ed i rumori furibondi della battaglia in corso lo scossero
dai suoi pensieri e lo fecero correre a perdifiato lungo il Viale delle Sfingi.
A Tebe, nel
frattempo, Apopi stava devastando ogni cosa, muovendo il suo immenso
corpo e provocando continui smottamenti. Vampate infuocate di energia si
abbattevano periodicamente sui Cavalieri di Atena e sulle due Divinità Egizie
che tentavano di opporsi. Vanamente, poiché niente sembrava scalfire la sua
pelle, niente sembrava ridurre la sua ira.
"Apopi è il
male, la divinità del buio, caos primordiale che a nient’altro mira se non alla
distruzione di tutto!" –Aveva detto Osiride ai Cavalieri poco prima, e mai
come in quel momento, mentre immense fiammate di oscura energia piovevano su di
loro, Ioria e gli altri dovettero dargli ragione. Avevano scagliato decine di Excalibur,
di colpi sacri, di attacchi energetici di qualunque tipo, ma la coriacea pelle di
Apopi sembrava respingere ogni assalto, fino a spossare gli avversari che
adesso, deboli, ansimavano cercando un riparo, titubanti sull’esito finale di
quella battaglia. O forse, per la prima volta, certi della loro sconfitta.
Seth balzò su di loro, scaricando violente folgori di
energia, atterrando Albione e Cancer, mentre Ioria si dibatteva come un
forsennato all’interno di quella gabbia di scariche elettriche. Capricorn
falciò le folgori con la sua lama, lanciandosi contro il Dio, deciso a farla
finita una volta per tutte.
"Non correre,
ragazzo, se non vuoi incontrar la morte!" –Gli disse Seth, centrandolo in
pieno con le sue violente scariche energetiche.
"Alla morte
saprò oppormi, poiché possiedo una lama capace di vincere l’oscurità!"
–Gridò Capricorn, bruciando al massimo il proprio cosmo. –"Excalibur!!!"
–E lasciò partire un fendente di energia lucente, che travolse le folgori del
Dio, abbattendosi su di lui e scaraventandolo indietro.
Senza dargli
tregua, Capricorn balzò in alto per piombare poi su di lui con il braccio teso
e un nuovo fendente di energia, ma Seth fu lesto a rotolare sul terreno
sabbioso, evitando l’affondo di Excalibur, che si schiantò accanto a lui
creando un ampia spaccatura, e contrattaccando con le sue violente scariche.
Capricorn venne afferrato in volo, intrappolato in una maglia che dilaniava le
sue carni e sbattuto a terra, mentre Seth, ridendo sadicamente, lo osservava
contorcersi come una serpe.
"Muori,
adesso!" –Sibilò, aumentando l’intensità delle proprie folgori di energia.
"Perché non
muori tu, invece?!" –Esclamò una voce, distraendo il malvagio Dio.
–"E ci liberi per sempre dalla tua nefasta presenza!" –E violenti
fasci di luce piovvero dal cielo contro Seth, ad una velocità impressionante,
ferendolo in varie parti del corpo, non riuscendo infatti ad evitarli tutti.
Un Cavaliere d’Oro
apparve quindi di fronte a lui, con le ali spiegate della sua lucente corazza e
un’aura splendente che lo ricopriva interamente.
"Stai bene,
Capricorn?" –Chiese Micene, chinandosi sul compagno per aiutarlo a
rimettersi in piedi.
"Lo avevo
intuito!" –Ironizzò Micene, prima di balzare in alto, spalancando le ali
dell’armatura. –"Infinity Break!" –Gridò, scagliando migliaia
e migliaia di frecce dorate contro Seth, il quale nel frattempo si era rialzato
e aveva diretto le sue incandescenti scariche di energia verso il Cavaliere.
Ma le frecce d’oro
del Sagittario riuscirono ad insinuarsi all’interno delle folgori di Seth, per
quanto una parte di esse venisse comunque respinta, e raggiunsero il Dio,
piantandosi nel suo corpo, ferendolo con tutta la lucente energia che portavano
con sé. Anche Micene venne raggiunto dalle folgori dilanianti, perdendo quota e
ricadendo a terra, ma riuscì comunque a mantenersi in piedi, con il cosmo
carico ed acceso, e a dirigere un nuovo assalto di dardi dorati contro il Dio.
"Aaargh!"
–Gridò Seth, mentre il suo corpo veniva traforato da centinaia di frecce di
luce, sentendo il calore delle stelle penetrare dentro di lui. E ciò, più della
ferita fisica, gli causò un dolore atroce. –"La pagherete, Cavalieri di
Atena! Avete distrutto i miei sogni di dominio! Il vostro debito nei miei
confronti potrà estinguersi soltanto con la vostra morte!"
"Smettila di
gracidare, vecchio visionario, e combatti! Anche Atene ha un credito nei tuoi
confronti, che vale molto più dei tuoi bastardi sogni di dominio!"
–Esclamò Micene, caricando il cosmo sul pugno. –"Uomini valorosi sono
caduti in una stupida guerra, per soddisfare un tuo capriccio, uomini eroici
che hanno dato la vita affinché questa bella terra potesse ancora splendere
sotto il sole!"
"Se tanto
brami riunirti ai tuoi compagni, arciere dorato, farò in modi che tu possa
rincontrarli molto presto! All’Inferno!" –Gridò Seth, espandendo al
massimo il proprio cosmo. Le folgori che liberò dalle sue mani parvero danzare
intorno a lui, fino ad unirsi e divenire un vortice immenso in cui egli si
ergeva come baricentro. Un vortice di energia destinato a crescere di
intensità. –"Tifone devastatore! Sii la mia vendetta contro questi
insetti che hanno osato sputare verso Dio!" –E spinse avanti l’immenso
uragano di energia, la cui rapida rotazione travolse Ioria, Cancer, Capricorn e
Albione, scaraventandoli lateralmente, avvolti in stridenti folgori elettriche.
Soltanto Micene rimase al suo posto, impassibile, davanti a quella furia della
natura. Socchiuse per un momento gli occhi, ricordando gli insegnamenti del suo
maestro, uno in particolare, che era all’origine di ogni potere.
"La forza,
l’energia sfolgorante del cosmo, che è la base del potere di un Cavaliere,
risiede dentro di noi! Dentro di te! Se capirai cosa vuoi da te stesso, cosa
c’è nel tuo futuro, negli ideali per cui vuoi combattere, allora saprai trovare
la forza per lottare ed impegnarti per essi!"
"E io lotto
per i miei ideali!" –Gridò Micene, spalancando gli occhi, mentre
un’immensa aura cosmica, scintillante come il firmamento, lo avvolse.
–"Per Atena e la giustizia, e per le persone a me care!" –E si voltò
verso Ioria, atterrato da una nuova folgore di energia, ma ancora determinato a
lottare per ribellarsi ad essa. Per ribellarsi al destino.
Il Tifone
devastatore si abbatté su Micene in quel momento, di fronte agli occhi
sgomenti dei suoi compagni, e lo travolse con il suo vorticare incessante. Ma
Micene seppe resistere, ancorato al terreno dalla sua fede nel futuro, dalla
sua tenacia nel cambiare il destino e rovesciare il mondo. Spalancò le braccia,
cariche della sua potente energia cosmica, e frenò la corsa del tifone cercando
di afferrare gli atomi con le proprie mani, intingendo al cuore del ciclone.
Seth rimase
ammutolito, ad osservare quel giovane incosciente ergersi da solo, al centro
del ciclone energetico. Per un momento gli sembrò di sentire il tifone gridare,
in un selvaggio linguaggio, mentre Micene frenava la sua corsa, rallentando la
rapida rotazione dell’aria stessa. Lo stridere sul suo corpo delle folgori
intrise di elettricità pareva non distrarlo neppure, come il peso insopportabile
di cui le sue braccia si erano fatte carico. Micene bruciò al massimo il
proprio cosmo, mentre la scintillante sagoma di un Sagittario dorato apparve
dietro di lui, sostenuto da Atena, invertendo il senso di rotazione dell’aria
del ciclone. Con uno sforzo immane il Cavaliere d’Oro riuscì a cambiare la
direzione del Tifone devastatore, divenendo il nuovo baricentro, il
nuovo occhio del ciclone, proprio mentre Seth si avvicinava, con gli occhi
carichi di sorpresa e di odio.
"Oooooh!!!"
–Gridò Micene, liberando l’immensa energia del vortice, che riprese a roteare
sempre più turbinosamente, travolgendo il suo stesso creatore e dirigendosi poi
verso il Serpente Cosmico.
Lo scontro tra il Tifone
devastatore e Apopi fu pazzesco e il secondo venne sbilanciato, sbattuto a
terra con una forza tale da far tremare l’intero Basso Egitto, aprendo
fenditure nel terreno. Il ciclone di energia, dopo aver dilaniato in parte la
corazza protettiva dell’immondo Serpente, estinse la propria vitalità, svanendo
nell’aria stessa, mentre le folgori energetiche esplodevano nel cielo.
Micene crollò
sulle ginocchia, ansimando e respirando a fatica per l’immane sforzo sostenuto.
Gocciolava di sudore, nonostante la fascia intorno alla testa, e sentì per la
prima volta la stanchezza dall’inizio di quella battaglia. Ma ancora non poteva
arrendersi. Perché Seth fu di nuovo su di lui, con le vesti lacere e a
brandelli, e profonde lesioni sul viso e sul corpo, che gli davano un aspetto
ancora più deturpato. Ormai il suo sistema cerebrale era impazzito, alla vista
del suo millenario progetto svanito nel niente, ritornato polvere nel deserto,
dove anch’egli temeva di finire di nuovo.
"Non mi resta
niente! Ma almeno la soddisfazione di ucciderti, quella non me la toglierà
nessuno!" –Esclamò, balzando su Micene e afferrandolo per il collo,
sollevandolo da terra. Il Cavaliere d’Oro non reagì, ancora troppo debole per
muovere un dito, e lasciò che le ossute dita dell’uomo lo stringessero fino a
farlo tossire violentemente. Fino a farlo sentire per un momento perduto.
"Lascia stare
mio fratello!" –Gridò una voce che Micene conosceva bene. E subito una
gabbia di luce travolse Seth, mentre centomila fasci di energia splendente si
abbatterono su di lui, trinciando le sue vesti, falciando la sua pelle,
dilaniando persino le vene ricche di sangue oscuro, che sprizzò fuori a getti,
mentre il Dio fu obbligato a mollare la presa e a lasciar cadere Micene a
terra.
"Io...
Ioria!" –Balbettò Micene, cercando di rimettersi in piedi.
"Non
preoccuparti, fratello, saprò proteggerti!" –Esclamò il ragazzo,
avvicinatosi a Sagitter. –"Con il colpo segreto che ho ideato per
te!" –E iniziò a bruciare il proprio cosmo, per quanto indebolito fosse
dagli assalti subiti finora. Ma Micene si rialzò improvvisamente e gli mise una
mano su una spalla, pregandolo di rimanere indietro. Avrebbe terminato lui lo
scontro con il Dio Seth.
"Ma
fratello…" –Brontolò Ioria, prima che anche Capricorn si avvicinasse.
"Tuo fratello
conosce il fatto suo, Ioria!" –Esclamò il Custode della Decima Casa,
pregando Ioria di scansarsi. –"Abbi fiducia in lui! È un esempio per tutti
noi!"
Micene non
aggiunse altro, espandendo ancora il proprio cosmo dorato, proprio come fece il
Dio Seth, circondato da incandescenti saette di energia rovente. Sicuro che
volesse ricreare il Tifone devastatore, e certo di non avere la forza
per fermarlo nuovamente, Micene giocò d’anticipo, sfrecciando come un fulmine
verso il Dio, con il pugno destro carico di energia cosmica.
"Per il
Sacro Sagitter!" –Gridò il Cavaliere d’Oro, liberando migliaia e
migliaia di sfere di luce, che saettarono nell’aere investendo in pieno il Dio
Egizio, il quale tentò di difendersi, di deviare la loro direzione, di
stritolare Micene con le proprie folgori incandescenti, ma non vi riuscì, venendo
atterrato nuovamente, ritrovandosi con le labbra sanguinanti a masticare grumi
di sabbia.
Quando Seth riuscì
a rimettersi in piedi, sputando sangue e sabbia e barcollando su se stesso,
come una delle tante creature dei suoi esperimenti mal riusciti, trovò l’arco
del Sagittario puntato su di lui. Una freccia dorata, carica di tutta la
potente energia cosmica di Micene, sfrecciò nell’aria e Seth capì che il suo
momento era giunto. Non fu in grado neppure di deviarla, ma la lasciò piantarsi
nel suo cuore e trapassarlo, mentre tutto il suo corpo, dilaniato da quella
potente ondata di luce, esplose, scomparendo in una tossica nube di oscurità.
Prima che
potessero gioire della scomparsa del Dio, i Cavalieri furono raggiunti dalle
vampate del Serpente Cosmico, che aveva sconfitto Horus e Osiride,
schiacciandoli con la sua immensa coda squamata. Il bastone di Osiride andò in
frantumi, come le ali del Dio Falco, ed entrambi sarebbero morti, uccisi dalle
velenose fiamme di Apopi, se Febo non fosse intervenuto in loro difesa.
Adesso Apopi era
lì, torreggiante su tutti loro, e scuoteva la coda con frenesia, senza curarsi
di ciò contro cui sbatteva. Si abbassò su quei piccoli insetti, divorandoli con
immonde vampate di energia oscura, fiamme in grado di isterilire ogni cosa con
cui venivano a contatto.
Micene, senza
darsi per vinto, incoccò nuovamente l’Arco d’Oro del Sagittario, caricandolo di
ben tre frecce, e le scagliò tutte contro il viso del Serpente, mirando ai suoi
occhi, ma furono deviate da una possente vampata di energia e andarono a
piantarsi nella corazzata pelle squamosa della creatura infernale, senza
causargli danno alcuno.
"Non riesco a
credere che niente possa ferirlo!" –Esclamò Capricorn, osservando i
fendenti di energia di Excalibur cozzare contro il tozzo corpo del
Serpente senza lederlo minimamente, provocandogli soltanto fastidio, che
ricambiava con potenti fiammate energetiche.
Ioria, Albione,
Cancer e Capricorn tentarono di difendersi creando una barriera con i loro
cosmi, una cupola di energia su cui si infransero le vampate del Serpente
Cosmico, ma sapevano che non potevano resistere per molto, essendo già
piuttosto stanchi.
"Proviamo con
un assalto congiunto!" –Propose Micene, espandendo il proprio cosmo. Gli
altri Cavalieri fecero altrettanto, e anche Osiride e Horus si unirono a loro,
per quanto deboli fossero, unendo tutti i loro colpi in un unico grande
attacco.
"Adesso!"
–Gridò Albione. –"Puntiamo alle fauci! Lo spezzeremo dall’interno!"
"Zanne del Leone, colpite nel segno!"
–Urlò Ioria, liberando una potentissima sfera incandescente.
"Per il
Sacro Sagitter!" –Affermò Micene, affiancando il fratello.
"Excalibur!"
–Gli andò dietro Capricorn, subito seguito da Cancer, Osiride e Horus.
"Bomba del
Sole!" –Concluse Febo.
L’attacco degli
otto compagni, di potenza capace di distruggere un’intera città, raggiunse
Apopi proprio mentre questi apriva le sue immense fauci per sprigionare una
nuova vampata di energia. Lo scontro tra i due poteri fu tremendo e generò un
contraccolpo che scaraventò tutti i presenti indietro, facendoli rotolare per
decine di metri sulla sabbia, e riuscì persino a far barcollare Apopi per
qualche istante, fiaccato dalla possanza di quell’assalto. Pur tuttavia non
bastò a farlo crollare, né a diminuire i suoi poteri, ottenendo l’unico effetto
di farlo adirare ulteriormente. Calò il capo sugli otto Cavalieri, trovandoli
tutti a terra, logori dal dolore e dalla fatica. Solamente uno si ergeva
ancora, ricoperto dalla sua scintillante corazza divina: Febo, figlio di Amon
Ra, Cavaliere del Sole.
"Sarai dunque
tu la mia prima preda?" –Sibilò il Serpente Cosmico, eruttando una vampata
di fiamme oscure e gettandosi in picchiata sul ragazzo.
"Non osare
toccarlo!" –Esclamò una voce imperiosa, che fece tremare con la sua
possanza l’intero Sahara, risuonando in ogni oasi, in ogni città, in ogni
luogo. Una voce che l’Egitto e l’Africa intera non udivano da millenni.
–"Non osare toccare mio figlio!" –Esclamò Amon Ra, giungendo
infine sul campo di battaglia.
Magnifico e
splendente, avvolto da un’aura di luce che neppure i Dodici Cavalieri d’Oro
erano capaci di emanare, Amon Ra, il Dio del Sole apparve in cima ad una
duna di sabbia, frenando la discesa di Apopi verso suo figlio. Indossava la sua
Veste Divina, dagli accesi colori arancio e oro, formata da un gonnellino
pieghevole, in grado di adattarsi ai bruschi movimenti di una battaglia, che
copriva in parte i gambali, da un pettorale rifinito in oro, al centro del
quale splendeva il simbolo del Sole, un cerchio con un punto in mezzo, da due
coprispalla arcuati, dai bracciali intarsiati e dall’elmo, un vero e proprio
copricapo regale formato da due corna di ariete, al centro delle quali era
incastonato il Disco del Sole.
"Non osare
levare la mano su mio figlio, lurido Serpente Cosmico!" –Esclamò,
stringendo con forza il suo scettro divino, un lungo bastone dorato in cima al
quale era fissato il simbolo del Sole.
"Amon
Ra!" –Sibilò Apopi, sollevandosi e sbuffando fiamme di odio, alla
vista del suo mortale nemico, della sua nemesi, la luce del sole. –"Sei
venuto a offrirmi la tua vita? Non vale molto, ma è un antipasto interessante!
Prima di prendermi il resto!" –Ringhiò il Serpente, scuotendosi con forza.
"Non
banchetterai quest’oggi, immonda creatura! Troppo hai respirato l’aria di
questa Terra, tu che soltanto miri alla sua distruzione!" –Esclamò Amon,
puntando lo scettro verso il viso di Apopi. –"Mira lo Scettro di Ra! Mira
il Disco del Sole! E restane ottenebrato!" –Detto questo lo scettro
sprigionò un violento raggio di luce, diretto verso gli occhi di Apopi, i
quali, quasi vittima di un incantesimo suadente, non riuscirono a staccarsi da
esso, per quanto male facesse loro.
Il Serpente
Cosmico si scosse, muovendo con violenza l’intero suo corpo, mentre le nuvole
nel cielo svanirono all’istante, rivelando un sole al tramonto, ma ancora in
grado di illuminare. Alla vista di quel panorama, del Supremo Dio del Sole
stagliarsi sulla sabbia d’Egitto, con il corpo celeste alle sue spalle
irradiare le ultime luci del giorno, Osiride, Horus e Febo si inginocchiarono e
levarono un canto ad Amon, attingendo ad uno degli Inni Sacri composti per la
divinità tebana.
"Chinati
davanti a te stanno gli dei, lodando la forza del creatore. Re e capo di ogni
Dio, noi celebriamo la tua forza perché tu ci hai creati. Ti veneriamo perché
tu ci hai formati. Cantiamo inni di lode perché tu ci protegga!"
La forza di quel
canto e la purezza dei cuori che lo innalzarono invasero l’aere, diffondendosi
lungo le dune e tra le sabbie del Sahara, invadendo le case e i villaggi, le
oasi e le grandi città, udite da tutti coloro che avevano atteso il ritorno di
Amon Ra per tutti quei secoli. Anche Achoris e sua moglie sorrisero, stringendo
i figli a sé, mentre rivoli di lacrime solcarono il loro volto.
"Graurrr!!!"
–Ringhiò furioso Apopi, eruttando una fiammata di oscura energia, che diresse
contro la duna dove si ergeva Amon Ra.
"Padreee!"
–Gridò Febo, alla vista di quelle terribili vampate che si abbatterono sul Dio,
sollevando un immenso polverone di sabbia.
Quando la sabbia
si diradò e i suoi occhi poterono vedere di nuovo, Febo notò che suo Padre era
ancora là, ritto sulla duna, circondato dal suo lucente cosmo, protetto da una
cupola di energia che sembrava richiamare direttamente la corona solare. Tutto
intorno ad essa si avvolgevano le oscure fiamme di Apopi, che come serpi si
snodavano sulla sua superficie, cercando di fondere la barriera e raggiungere
il Dio all’interno. Una violenta esplosione del cosmo di Amon spazzò via le
venefiche fiamme, mentre il Dio caricava nuovamente il suo Scettro, puntandolo
contro Apopi.
"Odio lo
Scettro del Sole! Odio il Sole stesso, che produce luce!" –Sibilò Apopi,
scuotendo il suo smisurato corpo. –"Ti ucciderò Amon e spegnerò il Sole,
avvolgendo la Terra in una tenebra senza fine!" –E nel dir questo
schiacciò il Dio a terra con un secco colpo della sua immensa coda.
Febo, nel vedere il Padre in pericolo, si lanciò avanti,
caricando il palmo destro di rovente energia, che diresse contro il viso del
Serpente sotto forma di una gigantesca bomba di luce. Ma ad Apopi bastò un
soffio del suo alito fiammeggiante per travolgere la sfera incandescente di
Febo e farla propria, rinviandola al mittente insieme ad una fitta pioggia di
vampe di fuoco nero.
Febo tentò di
evitare le immonde vampate devastatrici, rotolando in fretta sul terreno, ma
presto si trovò circondato, avvolto in una spirale di fiamme oscure che si
stringeva sempre di più attorno a lui. Determinato a non arrendersi, il figlio
di Amon sollevò la mano destra al cielo, espandendo il suo cosmo lucente ed
evocando il Talismano di cui era custode: lo Specchio del Sole. Lo
afferrò, dirigendo il suo raggio proprio verso gli occhi di Apopi, sicuro che,
come il Padre gli aveva mostrato, avessero in ostilità l’abbagliante luce delle
stelle.
"Specchio
del Sole!!! Illumina la via!" –Gridò Febo, mentre una gigantesca onda
di luce, partita dallo scettro, travolse le fiamme attorno, dirigendosi verso
il volto dell’immondo serpente.
Apopi fu accecato
e si imbestialì furiosamente, emettendo orribili suoni e scuotendo l’intera
massa putrida del suo corpo. Lo smottamento del terreno scaraventò i Cavalieri
da una parte e dall’altra, ormai allo stremo delle forze, e anche Febo venne
colpito da un violento colpo di coda del serpente, cadendo a terra e perdendo
la presa dello Specchio del Sole. Diminuendo l’intensità della luce, per quanto
ancora abbagliato e stordito, Apopi si gettò in picchiata su Febo, per
annientarlo con le sue terrificanti vampate oscure, che circondarono il ragazzo,
stringendolo in una spirale mortale.
"Quale onore
osservare il figlio del mio primo nemico ardere ai miei piedi!" –Sibilò
Apopi, spalancando le immense fauci della sua testa e gettandosi su Febo.
Ma improvvisamente
ondate di energia acquatica spensero le oscure fiamme che imprigionavano il
Cavaliere del Sole, mentre una potente bomba di energia azzurra sfrecciò
nell’aria, centrando in pieno la gola del Serpente Cosmico ed esplodendo al suo
interno.
"Maremoto
dei Mari Azzurri!" –Esclamò Marins, apparendo sul campo di
battaglia in cima a uno spumeggiante cavallone di energia acquatica. Travolse
le fiamme e afferrò Febo per un braccio, portandolo fuori dal raggio di azione
delle vampe del Serpente Cosmico.
"Sei
tornato?!" –Sorrise Febo, felice di rivederlo.
"Ho fatto una
promessa al mio Maestro, garantendo che ti avrei condotto da lui, sano e salvo!
Non sono tipo da infrangere i giuramenti con così tanta facilità!" –E
depositò Febo a terra, prima che il cavallone di energia lo sollevasse
nuovamente, avvolto nel suo cosmo azzurro. –"Talismani!" –Gridò,
sollevando la mano destra al cielo, e un magnifico tridente, rifinito di
scaglie d’oro, apparve su di essa. –"Tridente dei Mari Azzurri!"
–Esclamò, lanciandosi con gran foga contro Apopi.
Il Tridente dei
Mari Azzurri lasciò partire una violenta scarica di energia, colpendo il
Serpente nel punto di attaccamento della testa al resto del tozzo corpo,
facendolo barcollare per un momento e gridare di dolore, prima che nuove
vampate di fetida energia fossero sprigionate dalle sue fauci. Marins venne
travolto e precipitò dal cavallone, ma prima di cadere riuscì a lanciare il
Tridente, caricandolo di tutta l’energia cosmica che teneva dentro, contro il
collo del Serpente, piantandolo proprio dove lo aveva colpito in precedenza,
tra gli strepiti dell’immonda creatura.
Marins ricadde a
terra sbattendo una spalla e incrinando un coprispalla della sua splendida
armatura, proprio mentre Apopi si agitava freneticamente, contorcendosi e
attorcigliandosi, per riuscire a togliere quel fastidioso forcone intriso della
lucente energia delle stelle. Muovendosi e sprizzando fiamme in continuazione,
Apopi sovrastò il Cavaliere dei Mari Azzurri, schiacciandolo e poi sbattendolo
via, davanti agli occhi preoccupati di Febo.
"Che
strepitio!" –Tuonò una voce improvvisamente, attirando l’attenzione del
Serpente Cosmico, che riconobbe la voce del suo primo nemico. –"Non hai
dunque dignità, serpe? Non riesci a soffrire in silenzio? Abbi carattere, te ne
prego, perché il dolore che hai provato adesso non è niente rispetto a quanto
io te ne infliggerò!" –Esclamò Amon Ra, ergendosi nuovamente sulla duna di
sabbia, con le vesti un po’ sporche e lo sguardo stanco, ma determinato a non
arrendersi.
"Non parlare
di dolore, Amon Ra! Poiché sono maestro, io, nell’infliggerlo!" –Sibilò
Apopi.
"Per quanto
tempo abbiamo combattuto, Apep?" –Chiese Amon Ra, espandendo il suo cosmo
lucente. –"Per tremila anni, ogni giorno, nel momento in cui il Sole
sorgeva sull’Egitto, i sacerdoti sacri pronunciavano formule magiche, bruciando
i simulacri di cera che ti rappresentavano, per propiziare la vittoria delle
forze della luce, ripetendo questo rito varie volte al giorno, così come Iside
utilizzava le arti magiche per limitare i tuoi movimenti! E ogni notte alla
settima ora, tu, Oscuro Demonio, tentavi di contrastare il cammino delle forze
della luce! Ancora non ti sei stancato? Ancora non si è placata la tua
avversione nei confronti del Sole?"
"Sono nato
nell’Ombra, Dio Amon Ra, e della tenebra più fitta sono figlio, creato da
Neith, Signora della Guerra, derivante dal Caos primordiale! Il mio scopo, la
mia intera esistenza su questa Terra è votata a renderla un luogo oscuro, dove
nessun fuoco e nessuna luce osino più brillare! Un’immensa oscurità!"
–Sibilò Apopi, gettandosi in picchiata su Amon, il quale lo fermò con il potere
del suo cosmo, iniziando a ripetere frasi di un antico rito, con cui già in
precedenza lo aveva sconfitto.
"Vattene, o
demone Apopi, sennò tu sarai sommerso nelle profondità del Lago del Cielo, là,
ove il tuo Padre celeste aveva ordinato il tuo massacro. Non appressarti al
luogo in cui Ra ebbe i natali! In verità tu ne hai timore! Guarda! Io sono Ra!
Io semino il Terrore! Indietreggia quindi, demone, davanti alle frecce della
mia Luce che ti fanno male!" –Esclamò Ra, ripetendo frasi del Libro dei
Morti, e liberando il suo cosmo, sotto forma di frecce di luce che diresse
verso il volto di Apopi.
Il Serpente
Cosmico strillò, emettendo versi osceni, mentre tutto il suo viso veniva
traforato dai dardi di luce, forgiati dall’energia divina del possente Amon Ra.
Approfittando di quel momento di follia, in cui Apopi non riusciva a
controllarsi, Micene ordinò agli altri Cavalieri di unire tutti i loro
poteri, concentrando i loro cosmi nella Freccia d’Oro del Sagittario.
"State
pronti?" –Esclamò Micene, affiancato da Ioria, Capricorn, Albione, Cancer,
sebbene restio a dover dipendere da lui, Horus e Osiride. –"Adesso!"
–Gridò, liberando la Freccia di Sagitter, che sfrecciò nel tramonto
egiziano, carica dell’energia riunita di sette cosmi, conficcandosi proprio
dove era già stato piantato il Tridente dei Mari Azzurri, dove già
esisteva una ferita aperta che doleva al Serpente per l’iniezione di luce a cui
era sottoposto.
Raggiunto dalla Freccia
d’Oro e trapassato da migliaia di dardi di luce, Apopi disperatamente
strillò, sentendo per la prima volta l’enorme pesantezza del suo corpo
mostruoso. Amon Ra, determinato a porre termine a quell’eterno scontro, si
sollevò in aria, espandendo tutto il suo cosmo e caricando il bastone che
reggeva in mano. Il simbolo del Sole si illuminò e un raggio di energia schizzò
nell’aria diretto verso un occhio di Apopi, trapassandolo e facendolo
esplodere. Un secondo raggio centrò il secondo occhio dopo pochi istanti, tra
la grida mostruose del Serpente Cosmico.
Improvvisamente
tutto il suo corpo fu cosparso di sigilli di luce, che appesantirono la sua
rozza massa, rendendo sempre più difficili i suoi movimenti. Amon sorrise,
riconoscendo la timida figura di Iside ergersi sulle mura di Karnak,
assistita da un gruppo di sacerdoti sacri, uniti insieme nella ripetizione di
un rito che da millenni non veniva praticato. Apopi venne fermato, bloccato da
sigilli di luce che stridevano con forza sulle sue squame, distruggendole al
contatto, prima che Amon si portasse proprio di fronte a lui, con il Disco
del Sole, incastonato nelle corna del suo elmo, carico di potentissima
energia cosmica. Il Dio lo prese e lo gettò nelle fauci di Apopi, osservandolo
raggiare tra colonne di fumo e fiamme oscure, prima di conficcarsi nella sua
gola.
"Allontanatevi!"
–Gridò Ra, discendendo a terra, proprio mentre Apopi barcollava su se stesso e
dalle sue fauci uscivano fiamme e fumo. Il Disco del Sole, simbolo
supremo del potere di Amon Ra, liberò la sua immensa energia poco dopo,
distruggendo dall’interno il Serpente Cosmico.
Una devastante
bomba di luce esplose nel cielo d’Egitto, annientando Apep, nemico dell’Ordine
Cosmico, rappresentazione dell’Oscurità. La sua tenebrosa massa venne divorata
dalle fiamme del sole, le scaglie andarono in frantumi e la sua carcassa
immonda crollò sul terreno pochi istanti dopo, continuando ad ardere, divorata
da un fuoco divino che nessuna pioggia avrebbe potuto spegnere.
"In verità,
Ra ha sconfitto Apep!" –Commentò Horus, citando Il Libro dei Morti.
Micene e gli
altri, che si sorreggevano a vicenda, stanchi per la lunga giornata di
combattimenti, tirarono un sospiro di sollievo e seguirono Horus e Osiride,
diretti verso Amon Ra, che contemplava la distruzione del suo mortale nemico,
della sua nemesi, dall’alto di una duna di sabbia.
Febo, rimasto in
disparte, corse invece a sincerarsi delle condizioni di Marins, schiacciato nel
terreno da un potente colpo della sinuosa coda di Apopi.
"Non…
preoccuparti, amico!" –Balbettò Marins, con lividi sul volto e crepe sulla
corazza. –"Come ti ho detto in precedenza, non è nel mio destino, né nel
tuo, morire qua quest’oggi! Siamo parte di un progetto più grandioso, che va al
di là dell’Egitto! Accettalo Febo, e afferra la mia mano!"
Febo esitò per un
momento, ancora legato alla sua terra, al Padre che aveva ritrovato e con cui
poteva trascorrere del tempo insieme, quel tempo che lui stesso gli aveva
negato in passato. Ma se davvero era previsto nel suo destino qualcosa di più
elevato, qualcosa in grado di proteggere gli equilibri del mondo dal Caos
futuro, allora era suo dovere prendervi parte, per evitare nuove guerre e
devastazioni. Titubante, allungò una mano verso il ragazzo dagli occhi azzurri,
prima di stringerla con forza nella propria. Marins sorride, prima che entrambi
venissero inghiottiti da un lampo di luce che esplose, portandoli via
dall’Egitto. Via da quella guerra che ormai non gli apparteneva più.
Amon Ra, in piedi
sulla duna, sentì il cosmo di Febo scomparire e per un momento si rattristò. Ma
poi sorrise, ripensando alla conversazione avuta con lui poche ore prima, al
coraggio che aveva dimostrato osando aprire i portoni del Santuario di Amon e
disturbare il suo sonno di secoli. Febo deve seguire la sua strada! Sono
certo che già è alla ricerca di nuove esperienze, affamato di vita e di
conoscenza! Ovunque la lunga strada della vita lo porti, adesso che è entrato
ufficialmente nel mondo, spero che trovi il tempo per ricordarsi di suo Padre e
tornare a trovarlo per trascorrere del tempo insieme. Quel tempo che io non gli
ho concesso quando eravamo ancora giovani!
"Cosa vi ha
fatto cambiare idea, possente Amon Ra?" –Domandò Micene, avvicinandosi al
Dio.
"La volontà
di dimostrarti che avevi torto, Cavaliere del Sagittario!" –Esclamò Amon,
prima di esplodere in una grossa risata assieme al ragazzo. –"O forse
qualcosa che hai detto, e che mi ha fatto capire che per quanto possa essere
incerto il futuro è più gratificante viverlo, con i suoi rischi e i suoi
pericoli, che non evitarlo e sfuggirlo! Non basterebbe una vita per contenere
un rimpianto, neppure quella di una Divinità!" –Sorrise Amon Ra, e a
Micene apparve molto più giovane rispetto al vecchio aggrinzito che aveva
conosciuto all’interno del Tempio di Karnak.
"Siamo lieti
di rivederti, Dio Ra!" –Esclamarono Horus e Osiride, inginocchiandosi di
fronte al Dio.
"Sono felice
anch’io di sapervi sani e salvi!" –Commentò Amon Ra, prima di invitare
tutti i presenti a rientrare a Karnak.
Quella sera
Micene, Ioria, Capricorn, Cancer e Albione furono ospiti di Amon Ra e della sua
corte, invitati ad un eccezionale banchetto tenutosi nella Sala delle Feste,
sul retro del Santuario di Amon, una delle poche sale rimaste integre dopo le
devastazioni operate a causa della guerra. I Cavalieri di Atena comunque non si
trattennero per molto tempo, essendo stanchi e desiderosi di rientrare al
Grande Tempio, per fare poi rapporto al Sacerdote degli eventi accaduti.
"Non vi
tratterrò oltre, Cavalieri di Atena!" –Esclamò Amon, affiancato da Iside,
Horus e Osiride. –"Ma prima che ve ne andiate voglio esprimervi la mia
riconoscenza, i miei personali ringraziamenti per quanto avete fatto! In
passato vi sono stati screzi tra Atene e l’Egitto, malumori e soprattutto molta
indifferenza, troppa indifferenza, che ci hanno portato a vivere in due mondi
diversi, in due universi lontani, credendo di poter vivere autonomamente senza
curarsi delle sorti del vicino! Ma io credo, e l’ho imparato a mie spese, che
se non ci diamo una mano, se non ci stringiamo insieme, per difenderci
dall’ombra crescente, non saremo in grado di arginare la marea nera
montante!"
"Sapremo
mantenerci uniti, possente Ra! È interesse di tutti noi proteggere la luce e la
giustizia dalle oscure forze del Caos! E voi, da oggi, potrete contare su validi
alleati!" –Rispose Micene.
"Su validi
amici, preferirei dire!" –Sorrise Amon, prima di congedare i Cavalieri di
Atena.
"Mio Padre vi
spedirà direttamente in Grecia, in modo da evitarvi stancanti
spostamenti!" –Commentò Horus, salutando i Cavalieri e rimanendo a
fianco di Ra, osservando Micene e gli altri lasciare la Sala delle Feste.
Voltandosi verso il Dio, notò la sua aria cupa e imbronciata. –"Qualcosa
vi turba mio Signore? È la scomparsa di Febo che vi preoccupa?"
"Nobile cuore
il tuo, Micene di Sagitter!" –Mormorò Amon. –"Generoso e eroico!
Quanti altri Cavalieri possono vantarsi di tale titolo? Ma temo per te,
ragazzo! Sì, temo per te! In duemila anni fuori dal mondo ho disimparato molte
tecniche, ma se riesco ancora a interpretare i segni del destino leggo che il
tuo è macchiato da un’ombra! E dal segno dell’infamia!" –E più Amon non
parlò, lasciando Horus ai suoi pensieri.
Osiride, fuori dal Tempio di Karnak, pronunciò formule
magiche di un rito che permetteva di scavalcare le dimensioni e inviò Micene e
gli altri Cavalieri in Grecia, conducendoli proprio al Cancello Principale del
Grande Tempio, oltre il quale i suoi poteri non potevano procedere.
"Dobbiamo
fare rapporto al Grande Sacerdote!" –Esclamò Micene, entrando nel Grande
Tempio.
"Verrò con
te! Come rappresentante della fallita ambasciata di pace!" –Gli andò
dietro Capricorn, incamminandosi verso le Dodici Case dello Zodiaco.
Albione rimase ancora un po’ nel piazzale antistante al
Cancello Principale, a conversare con alcuni soldati che gli raccontarono gli
avvenimenti della lunga giornata, dall’interruzione dei Giochi Panatenaici
all’invasione dei Guerrieri Egizi. Quando si voltò, per incamminarsi verso
l’infermeria, per far medicare alcune sue ferite, trovò Ioria dietro di lui,
che lo aspettava.
"Credevo tu
fossi già alla Quinta Casa a riposarti! Galan sarà in ansia per te!"
–Esclamò sorpreso.
"Non volevo
andarmene senza ringraziarti!" –Commentò Ioria, accennando un sorriso.
"Ringraziarmi?
E perché dovresti? Dovrei essere io a ringraziare te, per tutte le volte in cui
mi hai tirato fuori dai guai!"
"Per essermi
stato accanto! Per non avermi giudicato! Per essere rimasto in silenzio e aver
compreso qualcosa di me anche dai miei silenzi!" –Rispose Ioria, prima di
volgergli le spalle. –"Non sono un ingrato, Albione, anche se forse, per
tante cose, sono ancora un bambino! Ma ho dodici anni, cosa pretendono tutti da
me?!" –Brontolò, incamminandosi verso le Dodici Case.
Albione sorrise,
osservando la chioma fulva di Ioria scomparire nell’oscurità della sera. E
rifletté che il ragazzo era cambiato. Forse di poco, ma certamente questa
guerra, nella sua atrocità, è stata un’esperienza anche per lui! L’ho notato
dal suo sguardo, quando fuori dalla Piramide Nera si è lanciato contro i
Soldati del Sole Nero! C’era una determinazione diversa nei suoi occhi, che
invece prima era soppiantata da un senso del dovere ancora non troppo chiaro! A
sue spese Ioria sta scoprendo che vi è una profonda differenza tra il fare
qualcosa perché lo si deve fare e fare qualcosa perché lo si vuole realmente
fare! E sollevò lo sguardo verso la Tredicesima Casa, immaginando che
Micene e Capricorn fossero giunti al cospetto del Grande Sacerdote.
Quando i due
Cavalieri d’Oro entrarono nelle Stanze dell’Oracolo di Atena sembrò ad entrambi
di trovarle più fredde, ma non dissero niente, credendo che ciò fosse dovuto
all’escursione termica con il caldo Egitto. Trovarono il Sacerdote sul trono in
velluto rosso, ricoperto sua bianca tunica e con il volto coperto da una
maschera incastonata in un elmo dorato. Si inginocchiarono di fronte a lui,
iniziando il resoconto delle loro avventure in Egitto, ma non appena lo
sentirono parlare sia Micene che Capricorn compresero che non si trattava del
Grande Sacerdote.
"Arles!"
–Esclamò Micene, per quanto non fosse completamente convinto. –"Dov’è il
Sacerdote?"
"Sta
riposando nelle sue Stanze! È troppo debole e stanco per conferire con voi
adesso!" –Spiegò Arles, cercando di adottare un tono di voce
suadente. –"Questa guerra lo ha sconvolto parecchio, lo ha affaticato,
come se avesse dovuto sostenerla in prima persona! Ha avuto parecchi mancamenti
ed elevate linee di febbre! Per qualche terribile istante ho persino creduto
che l’avrei perduto!"
"E adesso
come sta?!" –Incalzò Micene, preoccupato per le sorti dell’uomo.
"Un po’
meglio!" –Rispose Arles, a bassa voce. –"Ma non credo che sopravvivrà
ancora per molto! Una grande ombra è scesa sulla Terra e non so per quanto
ancora riuscirà a sopportarne il peso!"
Micene e Capricorn
non dissero niente, chinando il capo in segno di rispettoso silenzio. Fu Arles
ad invitare entrambi a tornare alle proprie Case, ringraziandoli per le
informazioni e complimentandosi per l’esito finale della Guerra d’Egitto.
"A tal
proposito, mio Signore…" –Lo interruppe Capricorn. –"Io non credo di
meritarmi alcun complimento! Anzi, dovrei essere rimproverato per
l’inettitudine dimostrata! Non sono stato all’altezza della missione affidatami
dal Grande Sacerdote, né ho saputo difendere il Cavaliere di Gemini, di cui
abbiamo perso le tracce, né ho saputo scongiurare la Guerra!"
"Sei troppo
duro con te stesso, Capricorn!" –Esclamò Micene.
"Micene ha
ragione!" –Affermò Arles, sollevandosi e giganteggiando sui due.
–"Non accusarti, ma sforzati di migliorare! Gemini inoltre non è scomparso,
ma è rientrato quest’oggi ad Atene!”
"Che
cosa?!" –Sgranarono entrambi gli occhi. –"E dov’è adesso?!"
"Il Grande
Sacerdote gli ha affidato un’importante missione! Sorvegliare il Tempio
Sottomarino di Nettuno, in vista della sua rinascita! L’Oracolo teme che il
sigillo di Atena stia per perdere la sua efficacia e ha ritenuto opportuno
inviare una stretta sorveglianza per essere preparati nel caso questo
accada!" –Spiegò Arles. –"Poiché Gemini, proprio come Capricorn, si
torturava per aver fallito, ha chiesto a gran voce che gli venisse affidata una
nuova missione, per poter recuperare la stima che aveva perso di se
stesso!"
"Capisco!"
–Balbettò Micene, un po’ stordito da tutta quella situazione. Non aggiunse
altro e si incamminò verso l’uscita, dopo essersi congedato dal Primo Ministro.
Capricorn invece rimase ancora per qualche minuto, attratto da qualcosa che
neppure lui sapeva bene cosa fosse. Qualcosa che ancora lo legava all’uomo
sullo scranno di velluto rosso.
"Qualcosa ti
turba, giovane Capricorn?" –Chiese Arles, notando l’agitazione sul volto
del Cavaliere.
"Credo di non
essere all’altezza, Signore! Certamente non all’altezza di Micene!"
–Confessò Capricorn, e gli parve di cogliere un moto d’ira da parte di Arles
nel sentir tessere le lodi di Micene.
"Sei un
Cavaliere d’Oro, Capricorn! E hai operato bene! Hai operato secondo
giustizia!" –Esclamò Arles, scendendo i gradini del palco rialzato.
–"Hai operato come bene si confà ad un Cavaliere di Atena, il cui compito
è proprio quello di realizzare la giustizia suprema!"
"È per questo
che mi batto, Primo Ministro!"
"Vorrei che
tutti i Cavalieri avessero il tuo spiccato senso di giustizia!" –Affermò
Arles con aria preoccupata. –"Ma temo che a molti manchi e che alcuni
usino i loro poteri soltanto per scopi personali! Per emergere, per ottenere
gloria e onori o magari per alzarsi al di sopra degli altri e mirare al potere!
Adesso che il Sacerdote è vecchio e stanco in molti potrebbero aspirare alla
sua carica, tentati dall’ambizione e dalla volontà di dominio!"
"Voi
credete?" –Domandò Capricorn, non troppo convinto.
"Io ne temo,
Capricorn!" –Rispose Arles, sedendosi nuovamente sul trono. –"Temo
che qualcuno possa utilizzare i propri poteri per egoistici motivi personali, e
ciò è contrario al volere di Atena! Per tanto, come Primo Ministro, farò tutto
ciò che è in mio potere per frenare la loro ambizione, per oppormi alle loro
avide mire, poiché esse portano soltanto al tradimento!"
Capricorn uscì
poco dopo dalle Stanze del Sacerdote, riflettendo sulle parole pronunciate da
Arles. Era assai d’accordo, convenendo che lo scopo dei Cavalieri fosse quello
di realizzare la giustizia e non soddisfare ambizioni personali, ma ritenne che
il suo quadro fosse troppo pessimistico.
Gemini, seduto sul
trono, mascherato come Arles, sogghignava felice, per aver ingannato due
Cavalieri d’Oro, e per aver insinuato nell’animo di Capricorn il dubbio. In
quel modo, tessendo la tela del proprio inganno, alimentando dubbi e sospetti,
contava di riuscire a controllare tutti i Cavalieri del Grande Tempio di Atena.
Ma per farlo doveva uccidere la Dea.
Era una notte
senza stelle quella che accompagnava i passi del Grande Sacerdote.
Nel desolato
silenzio di quel tradito Santuario, colui che un tempo era stato Saga di
Gemini camminava per i corridoi della Tredicesima Casa, ricoperto dalla
tunica bianca dell’Oracolo di Atena. L’elmo rosso in testa, la maschera sul
volto, una tremenda angoscia nel cuore. Un sibilo di dolore gli tagliava la
schiena in due, come una lama affilata, come la gelida arma che stringeva in
mano. Un’ombra gliene aveva fatto dono ed egli l’aveva stretta, annientando gli
ultimi barlumi di volontà che la sua macerata anima tentava di far nuovamente
emergere, mettendo da parte tutto. Il suo vero io prima di ogni altra cosa.
Uscì dalle Stanze
del Sacerdote, raggiungendo un padiglione laterale, che Arles
aveva adibito a residenza privata della neonata Dea della Giustizia, futura
luce che avrebbe dovuto illuminare gli uomini, guidando i Cavalieri della
speranza. Cavalieri di cui Gemini stesso faceva parte.
Un tempo ne ho
fatto parte! Ripeté, trascinandosi
fino al padiglione dove riposava Atena. Ma quel tempo è passato! Quel tempo
è ormai sbiadito ricordo, foglia caduca in balia del vento, che questi miei
passi spazzeranno via! Ed aprì il pesante portone, entrando all’interno
della costruzione.
La Vergine Dea
giaceva in una morbida cuccetta, tenera bambina da poca giunta al mondo e
costretta a lottare fin da subito per la propria sopravvivenza. Dormiva, Atena
dormiva, e parve non accorgersi dell’uomo incappucciato, dagli occhi iniettati
di sangue, che sollevò il gladio d’oro sopra di lei, facendolo scintillare alla
luce delle torce affisse alle pareti.
Perdonatemi! Fu l’unica cosa che pronunciò, calando il fendente sulla
bambina. Possiate… perdonarmi!
"Noooo!!!" –Gridò una voce, risuonando come una
sentenza d’accusa nel sepolcrale silenzio di quel chiosco.
Una mano fermò la
disperata discesa del gladio d’oro, ferendo la coraggiosa pelle che la
ricopriva, e impedendo il compiersi dell’atroce delitto.
"A tal punto
giunge la vostra infamia? Siete pazzo, Arles!"
–Esclamò una decisa voce maschile, comparendo al fianco dell’uomo ammantato.
"Micene!
Finiscila, idiota!" –Gridò questi, liberando la presa del gladio dalla
stretta del ragazzo e spingendolo via con un brusco strattone.
Senza aggiungere
altro, cercando di anticipare i veloci movimenti del Cavaliere del Sagittario,
l’uomo che Shin aveva scelto come custode della Dea
Atena, Gemini si gettò sulla bambina, desideroso di affondare l’oscura lama
dentro di lei. E in quel momento, mentre quel che rimaneva del valoroso
Cavaliere d’Oro piangeva amare lacrime di sangue, testimoni sofferenti di quel
fratricida spettacolo, egli non seppe più chi era. Se era Gemini, se era Kanon, se era Arles, o se non era
nessuno di loro o tutti quanti. Egli era il caos, di quello ne era certo, e il
suo compito era distruggere gli equilibri del mondo, accelerando l’avvento di
una nuova tenebra.
Micene anticipò la
lama dorata, salvando Atena e andando incontro al suo destino. Quella notte,
sotto il cielo di Grecia, Gemini e Micene uscirono dalla storia. Ed entrarono
nel mito.
Capitolo 36 *** Schede tecniche Esercito del Sole Nero ***
DI DEI E DI RIMPIANTI
DI DEI E DI RIMPIANTI
PERSONAGGI
ESERCITO DEL SOLE NERO
1) SETH, Dio della Siccità e del Cattivo Tempo,
delle Pestilenze e del Deserto:
Approfittando del frastagliato panorama
politico-religioso dell’Egitto del secondo Novecento, Seth, risvegliato da Anhar,
recluta tra briganti e predoni del deserto i guerrieri del suo esercito del
Sole Nero, destinato, nei suoi progetti, a prendere il posto di Amon Ra,
rinchiusosi millenni addietro nel Tempio di Karnak. Gli viene fatto dono da
Anhar di una pietra nera, dotata di immensi poteri, con i quali realizza
esperimenti e incroci genetici nei sotterranei della Piramide Nera, a Tebe,
senza accorgersi di essere manovrato dallo stesso Anhar, per fini che non
riesce a comprendere. Assiste alla rinascita di Apopi, di fronte al quale è
costretto ad inchinarsi, rinunciando al suo sogno di dominio ma non al
desiderio di distruggere un mondo che ormai non può più avere.
Combatte contro i vari Cavalieri di Athena fuori dalla
Piramide Nera, in particolare contro Shura del Capricorno, Ioria del Leone e
Cancer. Affronta Micene di Sagitter e da lui viene sconfitto, trapassato dalla
freccia d’oro del Sagittario.
Colpi segreti:
Seth, essendo un Dio, è dotato di un cosmo molto
ampio, e oscuro, di enormi poteri psichici e di una voce in grado di incantare.
A questi si aggiunge il Tifone distruttore, ovvero un gigantesco vortice
di energia.
2) ANUBI, Custode dell’Oltretomba:
Anubi, in Di Dei e di Rimpianti, è una
Divinità minore, succube del potere di Seth, al cui piano per soppiantare Ra e
instaurare un nuovo impero del Sole Nero ha accettato di partecipare, pur con
qualche riserva, preoccupato infatti per una possibile reazione del Dio del
Sole.
Anubi atterra Eurialo del Tucano nel deserto, dopo che
questi aveva sconfitto Ammit, e conduce lui e Niso del Tucano nelle segrete
della Piramide Nera, per sottoporli alla Pesatura dell’Anima, e condannarli
quindi a morte. Il rito viene interrotto da Ioria del Leone, che atterra Anubi,
prima che Eurialo e Niso liberino il potere della Nube di Magellano.
Indebolito da quell’immenso potere, Anubi viene annientato dal Lightning
Bolt di Ioria.
Colpi segreti:
Anubi possiede un bastone d’oro da cui emette
violenti raggi energetici. Essendo un Dio, il suo cosmo è vasto, ma le
incertezze della battaglia e della sua stessa posizione lo indeboliscono.
3) SOBEK, Dio Coccodrillo:
Sobek è il Dio Coccodrillo, Custode delle Acque del
Nilo. Non è
molto alto e ha la corporatura tozza, ricoperto da un’Armatura dal colore verde
oliva, simile alla squamata pelle di un coccodrillo, con il muso posto al
centro del petto, con le fauci aperte e i denti digrignati verso di lui. Il
viso è bianco e scavato, reso vivo soltanto dagli occhi, piccoli ma neri, e da
lunghi capelli verdastri che scendono sfilacciati fino alle sue spalle, sporchi
e poco curati. In testa porta una corona a forma di disco solare, con due corna
e numerose piume di falco inserite in essa.
Massacra Shura del Capricorno la notte del suo
arrivo a Tebe, per poi affrontarlo nuovamente, nella pianura antistante la
Piramide Nera, venendo sconfitto dall’Excalibur di Shura.
Colpi segreti:
Sobek è in grado di esercitare un totale controllo sulle Acque
del Nilo, al punto da animarle e renderle vive, utilizzandole come armi.
Ugualmente controlla e domina i coccodrilli, aizzandoli spesso contro gli
avversari.
Assalto Predatorio: Sobek scaglia migliaia di pugni di
energia, ognuno dei quali aveva la rozza forma di testa squamata di
coccodrillo, con robusti denti pronti ad azzannare.
4) UPUAUT, Dio Lupo della Morte e della Guerra:
Upuaut è il Comandante dell’Esercito del Sole Nero, l’uomo
che guida i guerrieri di Seth alla conquista del Grande Tempio. Si sbarazza
facilmente di Orione e di alcuni soldati semplici, prima di iniziare una bella
battaglia contro il Toro, che riuscirà a vincerlo, ponendo fine alla sua corsa
attraverso le Dodici Case dello Zodiaco. Arrogante, spaccone, sicuro di sé,
Upuaut è un uomo rozzo e barbaro, che non accetta consigli da nessuno,
preferendo fare di testa sua, senza ricevere aiuti.
Colpi segreti:
Upuaut è fisicamente forte, potente, robusto, possiede
braccia possenti e una grande agilità, proporzionata alla stazza. Utilizza una Clava
in battaglia, con cui riesce anche a generare onde di energia, in grado di
atterrare gli avversari.
Zanne della Morte e della Guerra: guizzanti folgori
di energia che azzannano l’avversario, dilaniando le sue carni.
5) ONURIS, Divinità della Guerra:
Onuris era in
origine una Divinità della Caccia e il suo nome significa Colui che riporta
l’allontanatae, in quanto secondo la leggenda egli raccolse l’Occhio di Ra
che si era allontanato. Era il patrono dell’Esercito egizio e proteggeva i
nemici e gli animali, al punto che le sue imprese eroiche gli valsero gli
appellativi di Distruttore di nemici e di Salvatore. Era caro a Ra, che lo
nominò Comandante del suo Esercito, ma dallo stesso Dio del Sole venne
condannato, quando si alleò con Seth, prestando orecchio ai suoi discorsi,
congiurando contro Osiride, il Dio dei Morti, credendo di fare cosa gradita
agli uomini, di liberarli dal giogo della morte che li attende nell’Oltretomba.
Ra non gradì la sua interferenza e lo punì severamente, etichettandolo come
traditore e strappandogli i gradi.
Fisicamente è un
uomo sui trentacinque anni, alto e robusto, con un viso rude e scuro, piccoli
occhi grigi e folti capelli verdi, poco curati. La corazza che lo ricopre è di
colore arancione chiaro e riprende molto bene le sfumature della sabbia
sahariana, essendo composta da sabbia, mescolata con polvere d’oro. Adesso
combatte per Seth, per dimostrare, a se stesso e anche a Ra, di essere ancora
il miglior Comandante.
Affronta Ioria e
Albione, venendo sconfitto dal Cavaliere d’Oro di Leo.
Colpi segreti:
Onuris è molto
agile e scattante.
Lancia da Guerra: è la lancia da combattimento di
Onuris, capace di moltiplicarsi in infinite copie e caricarsi del cosmo
battagliero del Dio. Gli fu donata da Ra millenni addietro, come premio per la
fedeltà e le sue imprese in battaglia.
Piume di Maat: Nel suo elmo a forma di leone,
Onuris possiede quattro piume, capaci, se poggiate su un corpo estraneo, di
generare violente esplosioni.
6) SFINGE:
È una donna di
media altezza, con un caschetto di arruffati capelli neri ed un viso scialbo e
poco curato, dai tratti maschili. Indossa un’Armatura scura, dai riflessi
violacei, che richiama il suo simbolo, ovvero la Sfinge. In origine era
una donna, abbandonata quando era incinta, che viveva di predoneria nel
deserto, ed è stata dotata di poteri cosmici da Seth, nei laboratori sotterranei
della Piramide Nera. Ha accettato di fare da cavia, per uscire dallo squallore
e dalla desolazione del deserto.
Massacra Shura, assieme agli altri Guerrieri del Sole
Nero, nella notte tebana, di fronte alla Piramide Nera, desiderosa di servire
Seth. Quindi segue Upuaut ad Atene, dove guida alcuni guerrieri verso
l’infermeria, scontrandosi con Noesis del Triangolo, venendo da lui sconfitta.
Colpi segreti:
Artigli furiosi della Sfinge / Strangolamento
della Sfinge: Oltre che essere agile e capace di movimenti felini, la
Sfinge è capace di allungare le sue unghie fino a trasformarli in pericolosi
artigli, con cui affonda nei corpi dei nemici e con cui strangola le prede,
fedele al significato del suo nome, “strangolatrice” appunto.
7) GHOUL:
Ghoul originariamente era un pescatore solitario del
Mediterraneo, caduto in disgrazia durante le guerre arabo-israeliane, che ha
accettato, come Sfinge e altri, l’offerta di Seth, di fare da cavia per i suoi
esperimenti. Nella Piramide Nera, il Dio Seth gli conferì i poteri del Ghoul,
un demone mutaforma che viveva nelle sabbie del Sahara, capace di assumere
qualsiasi aspetto di uomo o animale. L’esperimento risultò imperfetto, poiché
le trasformazioni sono limitate nel tempo, e per allungarne la durata Ghoul deve
nutrirsi del sangue delle sue vittime, da usare come linfa per prolungare la
sua esistenza.
Ghoul inganna Eurialo e Niso, trasformandosi in Micene e
portandoli fuori strada, in una zona desertica dove li colpisce gravemente,
prima di seguire Upuaut ad Atene. Là, inganna Orfeo, presentandosi sotto le
sembianze di Euridice e affondando nel suo corpo una lama intrisa da un potente
veleno. Quindi affronta Koirobos, il maestro di Orfeo, piantando la lama nella
sua spalla destra e riuscendo ad ucciderlo, approfittando della riluttanza di
Orfeo a colpirlo quando aveva assunto le sembianze di Euridice. Viene ucciso
infine dallo Stringer Fine del Cavaliere della Lira.
8) CUSTODE delle Sabbie del Sahara:
Il Custode delle Sabbie del Sahara altro non è se non un uomo
composto interamente di sabbia, capace di scomporre e ricomporre se stesso in
tutte le forme che vuole. In origine
era Abdhal, un soldato egiziano che aveva combattuto nella Guerra dei Sei
Giorni, nel 1967. Deluso dalla guerra e dal mondo presente, dove si combatte
senza sapere perché, aveva abbandonato la sua città, vagando nel deserto per
anni, vivendo con i beduini e dedicandosi alla predoneria, quando necessario
per vivere. Quando Seth rastrellò le oasi dell’interno, alla ricerca di soldati
per il suo nuovo esercito, l’esercito che avrebbe dovuto risollevare le sorti
di un Egitto decadente e abbandonato a se stesso, accettò diventando
l’esperimento 27, che prevedeva la fusione con la sabbia, la creazione di un
corpo in grado di scindersi in migliaia di particelle minori e ricomporsi a suo
piacimento.
Il Custode delle
Sabbie del Sahara affronta Albione e Ioria, mettendoli inizialmente in
difficoltà, prima che l’intervento di Reis di Lighthouse, Custode della Spada
di Luce, permetta a Ioria di reagire e ai loro poteri congiunti di averne
ragione.
9) ASPIDE:
Il Guerriero dell’Aspide Sacro guida l’esercito del Sole
Nero dalla Sesta Casa della Vergine in poi, sostituendo Upuaut e Kepri, uccisi
rispettivamente da Toro e da Virgo. È
un uomo molto alto, di almeno due metri, ricoperto da un’armatura marrone, con
ampie chiazze gialle, simile alla squamosa pelle di un serpente. Il copricapo
raffigura una testa di serpente, ampia come quella dei cobra egiziani, con i
dentini in bella mostra, quasi fossero pronti per mordere la propria preda. Il
viso è maschile, segnato da una cicatrice sull’occhio destro, che lo sfigura un
po’, rendendolo ancora più inquietante. I capelli sono radi, di un color grigio
spento, e in parte coperti dal copricapo.
Affronta Scorpio all’Ottava Casa, venendo da lui
sconfitto, e subendo in pieno le Divine Acque di Acquarius.
Colpi segreti:
Grazie agli esperimenti genetici di Seth, il Guerriero
dell’Aspide Sacro possiede un corpo immune al veleno e a sua volta velenoso,
capace di trasformarsi in un Cobra del Deserto e stritolare i suoi avversari,
iniettando dentro di loro un veleno mortale.
Aspide Sacro di Cleopatra: è un attacco di energia
sotto forma di serpente.
10) KEPRI, dello Scarabeo Nero:
Kepri è il secondo ufficiale di Upuaut e colui che, dopo
la scomparsa del Comandante alla Seconda Casa, conduce l’esercito del Sole Nero
attraverso le case rimanenti, desideroso, quasi smanioso, di scontrarsi con
Shaka di Virgo. Alla Sesta Casa infatti Kepri inizia un violento combattimento contro
la Vergine d’Oro, che procede a fasi alterne, in cui entrambi utilizzano
tecniche di energia mentale molto potenti, e che si conclude con la faticosa
vittoria del Cavaliere d’Oro, costretto a usare il suo massimo potere: l’Ultima
luce dell’Oriente.
È sicuro di sé e delle sue doti e non sopporta la boriosa
arroganza di Shaka, considerato un detrattore delle fedi diverse dalla propria.
È accompagnato da un mucchio di luminosi scarabei dorati, che Kepri utilizza
sia in attacco che in difesa.
Colpi segreti:
Scarabei di Luce: possono creare una barriera di
luce, per proteggere Kepri.
Scarabei di Potenza: gli Scarabei circondano
l’avversario, generando una violenta esplosione.
Scarabei di Visione: generano illusioni
nell’avversario.
Disco d’Oro: attacco finale di Kepri, privo dei
suoi scarabei, in cui concentra l’energia nel disco d’oro della sua corazza,
prima di dirigerla contro il suo nemico.
11) GHIBLI:
Ghibli è un uomo
di media altezza e di corporatura tonica, con un viso abbronzato e folte
sopracciglia viola, come il colore dei suoi capelli, mossi e lasciati liberi di
danzare al vento. L’Armatura, dai colori arancio e rosa, non presenta fregi
particolari, eccezion fatta per la sua forma piuttosto affusolata, che richiama
alla mente le turbinanti tempeste di sabbia del deserto africano.
Accetta l’offerta
di Seth di combattere per lui esclusivamente per denaro, senza alcun interesse
per le questioni politiche o ideologiche dell’Egitto. Combatte per denaro, per
quel maledetto denaro che se lo avesse avuto avrebbe potuto salvare la figlia,
morta a causa degli scarsi mezzi della sua popolazione. Affronta Argetti,
Orione e Dedalus di fronte al Cancello Principale del Grande Tempio, venendo
sconfitto.
Colpi segreti:
Turbine rovente del Sahara: è un turbine di vento
caldo e pieno di polvere, carico di vampate di energia. Molto potente, è capace
di sollevare i tre Cavalieri d’Argento.
12) MUMMIA:
La Mummia era un predone, che ha vissuto vent’anni a rubare insieme ad
altri disperati, assalendo le carovane di viandanti che si inoltravano nelle
zone aride del Sahara Orientale. Alcune si spingevano fino ad Assuan, ma là la
sorveglianza dell’Esercito regolare egiziano era maggiore. Era un uomo privo di
scopi e di ideali, se non quelli relativi alla propria sopravvivenza. Un giorno
venne a sapere che il mitologico Dio Seth, la cui contesa con Horus per
vendicare Osiride era ormai leggenda dei tempi antichi, era tornato e stava
cercando un esercito per soggiogare l’Egitto e Ra, così decise, assieme ai suoi
compari, di unirsi a lui, nella speranza di ottenere gloria e ricchezze. Ma
Seth li usò come cavie per i suoi esperimenti, per creare il guerriero
perfetto, che fosse forte, resistente e capace di sopravvivere all’usura del
tempo. E quale guerriero migliore di una mummia? Un uomo che già era morto e
non doveva subire l’agonia del presente, la lenta frustrazione di compiere ogni
giorno un passo in più verso la morte, sarebbe stato perfetto.
La Mummia affronta Cancer, tra le rovine di Dendera, di
fronte al tempio di Hathor, dominando lo scontro grazie al vantaggio di non
poter subire gli Strati di Spirito. Ma Cancer, bruciando al massimo il
proprio cosmo, trova la forza per uccidere anche un già-morto. Successivamente,
nuove Mummie compaiono, identiche alla prima, e Cancer è obbligato a usare
l’intero potere della Nebulosa di Presepe.
Colpi segreti:
La Mummia può usare le proprie bende per avvolgere il
nemico e soffocarlo e resiste agli attacchi psichici, non avendo mente su cui
possano fare presa.
Mummificazione: la Mummia avvolge l’avversario in
bende, per mummificarlo in sette minuti.
Sarcofago del Passato: dalle cinque dita della sua
mano partono raggi energetici che si dispongono attorno all’avversario,
intrappolandolo e portandolo indietro nel suo passato, mostrandogli errori e
rimpianti della sua vita.
13) AMMIT:
Ammit è una
mostruosa creatura, che non assomiglia ad alcun animale conosciuto, essendo un
ibrido tra tre animali diversi: il corpo è quello di un leone, i cui arti
anteriori sono simili a pelose braccia dotate di affilati artigli, ma è
innestato su corte gambe di ippopotamo, che accorciano la sua figura,
donandogli tozzi arti inferiori. La testa è come quella di un coccodrillo, con
lunghe fila di denti artigliati ed una grossa lingua rossa. Sta ritta sulle
zampe posteriori, e questo le conferisce un aspetto similmente umano, per
quanto il corpo e le movenze la facciano apparire simile ad una bestia.
Ammit, servitrice di Anubi, viene incaricata dal Dio di
recuperare i corpi inermi, feriti da Ghoul, di Eurialo e Niso nel deserto per
condurli alla Piramide Nera, ove avrebbe avuto luogo la Pesatura dell’Anima. Ma
Niso oppone una grande resistenza, facendosi massacrare ma mai indietreggiando,
per difendere l’amico. Grazie al potere della Piccola Nube di Magellano,
nascosta in Niso, Ammit viene uccisa.
Colpi segreti:
Ammit è scattante, veloce e violenta, come una bestia
d’assalto. Possiede artigli resistenti e affilati e
Fauci divoratrici: oscure sagome di mostri dalle fauci aperte, con lunghe fila di denti
aguzzi, circondate da cosmo viola, che Ammit dirige contro gli avversari.
Nota:
Gli splendidi disegni che illustrano le scene e i personaggi di “Di Dei
e di Rimpianti” sono stati realizzati dal bravissimo Davide Aldè e da
Ittentiroku.