Le Idi di marzo

di Shenhazai
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Buffo ***
Capitolo 2: *** 2. Le rose inglesi ***
Capitolo 3: *** 3. Padrona in casa d'altri - 1° parte ***
Capitolo 4: *** 4. Padrona in casa d'altri - 2° parte ***
Capitolo 5: *** 5. Ospite in casa propria ***
Capitolo 6: *** 6. Faccia a faccia ***
Capitolo 7: *** 7. Quando distribuivano la furbizia, ero a far la fila per il gelato. ***
Capitolo 8: *** 8. La cosa giusta ***



Capitolo 1
*** 1. Buffo ***


Cap.1 - Buffo

Buffo. Questo era quello che si poteva chiamare un fatto buffo.

Ancora non riusciva completamente a comprendere cosa fosse successo, perché se apriva gli occhi, invece di godere del paesaggio idilliaco che il Garda le offriva dal balcone di casa sua (di una delle sue tante case. Ne aveva decine, forse centinaia sparse per tutta l'Italia... il paese dei mille campanili, si diceva che fosse. E tra lei e la sorella si erano messe di buzzo buono per avere una casa sotto ogni campanile o almeno provarci, spaziando dagli appartamenti moderni nei centri storici alle ville maestose, ai ruderi dimenticati nelle pieghe delle montagne, che forse giusto le volpi e i gufi conoscevano oltre a loro), si trovava di fronte una parete di calce squallida, macchiata di muffa e umidità.
Da una minuscola finestrella posta in alto, vicino al passo soffitto a botte fatto di mattoni scrostati una luce morta, nebbiosa e opaca rischiarava appena l'ambiente, rivelando quello che probabilmente era uno scantinato di una vecchia casa ora adibito a sua personale carcere. Una branda su cui era stesa, una toiletta con un secchio ed un bacile, una ritirata nascosta da un rozzo paravento. Forse qualcos'altro nascosto nella penombra, ne avvertiva la presenza con la coda dell'occhio, ma non riusciva a coglierne la forma.
L'aria era umida, fredda e appiccicosa, quasi viscida. probabilmente si trovava a non molta distanza da un fosso, o un fiume lento. Ogni tanto avvertiva anche il fischio di qualche mezzo, forse un battello o un vaporetto. E il rumore sordo delle auto a scoppio, oltre al più tradizionale passaggio delle carrozze trainate dai cavalli. Urla in una lingua incomprensibile, venivano trascinate come un'eco lontana. i rumori le arrivavano attutiti, forse c'era un giardino davanti la finestra.. Non era poi così vicina alla strada da potersi permettere di sperare in un aiuto, se avesse urlato. Sempre che ci fosse stato qualcuno, in quel posto, desideroso o quantomeno in grado di aiutarla...

Decisamente aveva poco a che fare con casa sua, tutto questo. Persino la stamberga mezza crepata che aveva vicino ad Arzachena* era più adatta ad essere chiamata abitazione di quel posto. E le capre che vi pascolavano attorno puzzavano certo di meno.

Eppure era quasi certa che nessuna delle altre nazioni conoscesse quella casa sul Garda, persino Germania e Giappone ne erano all'oscuro. Persino, e considerando quanto fosse ficcanaso era un suo personale trofeo, il suo patrigno Austria non conosceva la locazione di neanche un terzo dei suoi rifugi. Figuriamoci se potesse conoscere questo, che le apparteneva da così tanto tempo che ancora la compravendita era siglata con le strette di mano. Quindi nemmeno il catasto poteva essere utile all'uopo, sempre che qualcuno si fosse messo di buona lena a leggere contratti ormai cancellati dal tempo in polverose soffitte di tutti i comuni d'Italia.
E lei nonostante quel che comunemente credessero le altre nazioni, ci teneva incredibilmente a quella segretezza, a quella ritrosia. Secoli e secoli di invasioni, ti fanno apprezzare il piacere della quieta solitudine come fosse aria fresca dopo una lunga apnea. Amava Germania e Giappone, amava davvero con tutto il cuore essere circondata dai suoi amici e compagni, ma a volte anche lei sentiva il desiderio di staccarsi da tutto e da tutti, e nulla come una decina di giorni isolata dal resto del mondo, con solo la presenza delle sue piante e del suo paesaggio attorno la ricaricava. Ora più che mai, tra l'altro, le serviva la solitudine. Per capire... dove avesse sbagliato. Quando, in quale preciso istante della Storia tutto le fosse sfuggito di mano,  fino ad arrivare al punto di non avere più il coraggio di guardarsi allo specchio la mattina. Si, la solitudine era quello che le serviva, e nulla come le sue montagne poteva donargliela.

Tutto bello, tutto giusto.

Ma allora, perché quella mattina mentre annaffiava il giardino, tra il limone e il glicine si era trovata davanti quel gran faccia da culo di Inghilterra? Bella domanda.
Peccato non avesse avuto il tempo di porla al giovane anglosassone che ghignava di fronte a lei, in quanto il suddetto faccia da culo le era saltato addosso immobilizzandola, e facendo al contempo ruzzolare un vaso di geranei imperiali sul selciato. Curioso come, prima di perdere i sensi per via di un colpo alla nuca dato con il calcio della pistola, avesse notato sul volto di Inghilterra più dispiacere per il danno arrecato alla pianta che per averle donato una commozione cerebrale. Curioso soprattutto come, tra tutte le cose a cui poteva pensare in quel momento, le fosse rimasta impressa proprio l'espressione accigliata e colpevole dell'uomo che fissava le foglie rovinate e i fiori di un rosa carico spampanati a terra, tra il terriccio e l'argilla rovesciata. Le parve quasi di sentirlo mormorare un " mi dispiace, te la ristemerò subito", mentre se la caricava in spalle. E nello stato di semicoscienza in cui ancora si trovava, si domandò se dovesse ringraziarlo per il disturbo e la cortese attenzione. Ma poi il buio risolse i suoi dubbi, mandandole il cervello in ferie...

... Per quanto tempo era stato in ferie, tra l'altro? A giudicare dal dolore al collo, troppo poco. Per quel che riguardava il suo stomaco, invece, decisamente troppo tempo. Cielo, le sembrava di non mangiare da giorni... E se fossero stati davvero giorni, ora che ci pensava? Difficile stabilire persino che ora fosse con quella luce smorta, figuriamoci il giorno. Con tutta la calma di questo mondo, cercando di muovere il capo il meno possibile si tirò a sedere sul letto, puntellandosi col destro per reggersi meglio, mentre la mancina si massaggiava l'attaccatura del collo alla ricerca timorosa di escoriazioni o tumefazioni. Ma a parte il dolore sordo, non sembravano esserci danni esteriori... avere una indomita ed ingombrante massa di ricci a qualcosa serviva, dunque. Per lo meno come cuscinetto ammortizzatore. Sospirò pesantemente, e guardandosi attorno cercò di comprendere meglio la sua situazione. Non sembrava aver subito altri danni oltre a quelli dovuti alla botta alla nuca, se non qualche lieve dolorino dovuto al non proprio comodo pagliericcio su cui era stata stesa per non si sà quanto, e a qualche lieve escoriazione che già si stava riassorbendo. Questo per quanto riguardava il suo fisico. Il vestiario invece era di ben altro avviso... Il lungo vestito color verde felce era oltremodo sporco e stracciato sull'orlo inferiore della gonna. Merda. Amava quel vestito, anche se era di una foggia ormai antica e passata di moda. Era il primo abito che lei e sua sorella si erano regalate dopo la loro riunificazione come Regno d'Italia... lei verde felce, Lavinia scarlatto. Seppure i decenni passavano e la stoffa cedeva, continuavano impeterrite a rifarselo fare identico, ogni volta lo stesso identico taglio e gli stessi identici colori, quelli della loro bandiera. Bé, lo avrebbe fatto ricucire di nuovo. Ciò non toglieva però che la cosa la facesse incacchiare e non poco...

"well woke up, my goddess of spring"

Di colpo, una voce sardonica la fece sobbalzare sul posto, senza trattenere un'esclamazione di stupore. Gesto di cui si pentì immediatamente, per via della fitta lancinante che le aveva trafitto il cervello e si stava spandendo lungo tutto la colonna vertebrale. Si morse il labbro inferiore per ricacciare indietro le lacrime, e fissò lo sguardo verso il punto in ombra da cui la voce era partita. Seduto accanto ad un tavolo scassato, su una sedia altrettanto scassata c'era l'inglese. O qualcuno con una voce molto simile e ugualmente irritante, che una volta assicuratasi la sua attenzione riprese a parlare
" immagino ti stia chiedendo dove ti trovi, e perché..."
"Veh... Siamo in guerra. Siamo avversari. Mi hai stordito e portato qui contro la mia volontà. Quindi, lasciami indovinare... " la donna sollevò appena lo sguardo, fingendo di ragionarci su "vuoi farmi da guida nel tour dei castelli inglesi? Spero ci sia anche il castello di Leeds** nel giro, me ne hanno sempre parlato un gran bene, sai?" ammiccò poi verso la figura ancora in ombra, per quanto il recente dolore le permettesse di fare.
La battuta fu colta dall'inglese, che scoppiò in una risata acida "perché no, my darling, perché no. Ma al momento temo dovrai accontentarti di questa reggia" e con un gesto teatrale del braccio, indicò la squallida stanza nella sua interezza "almeno fino a quanto non calcolo quanto ci possa guadagnare a tenerti prigioniera"

La donna assottigliò lo sguardo ancor più del solito, poi sollevò le spalle con un gesto di noncuranza "buona fortuna allora. Piuttosto, hai reinterrato i miei geranei? ci tenevo particolarmente a quel vaso, sono una specie piuttosto rara da trovare..."

"reinterrati, e anche riconcimati. Mi sono permesso pure di finire ad innaffiare il tuo giardino, richiudere casa e lasciare un messaggio al custode per il giorno seguente. Non sono stato bravo?" Rispose Inghilterra mentre si sporgeva in avanti, appoggiandosi con i palmi alle ginocchia. Non lo vedeva, ma riusciva tranquillamente a immaginarsi il suo ghigno strafottente.

Niente, più ci si arrovellava e più il termine "faccia da culo" le sembrava l'unico adeguato a descriverlo.
 
"un vero e proprio gentiluomo, non c'è nulla da aggiungere" mormorò infine Italia, annuendo impercettibilmente. Poi aggiunse "quanto tempo è passato? immagino due o tre giorni, a giudicare dalla fame che ho. è difficile portarsi dietro un corpo di nascosto, soprattutto di questi tempi. Via aerea? o attraverso la Francia?" si concentrò un attimo "siamo su una città fluviale. Questo non è odore di mare, anche se è odore d'acqua in movimento. Non mi sembra una città francese, però. Ma non siamo neanche a Londra. Per lo meno, non siamo in un quartiere di Londra bomb-"
Venne interrotta dall'alzarsi di scatto di Inghilterra, talmente improvviso che la sedia cadde all'indietro impattando sul pavimento con un secco colpo, la cui eco rimase nell'aria per parecchi istanti. "Stai facendo troppe domande per i miei gusti, donna. Dovresti imparare che la curiosità non si è mai accompagnata alle signore perbene."
Mentre parlava raccolse la sedia, risistemandola sotto al tavolo. Era come se all'improvviso gli fosse venuta premura, e non vedesse l'ora di uscire da quella stanza. Come non capirlo, d'altronde anche lei aveva ben poco desiderio di rimanere lì dentro, anche se temeva non sarebbe uscita facilmente come il biondo. E mentre lei rispondeva a mezza voce con un ironico "mai stata una signora perbene", l'inglese si avvicinò ad una porta al lato estremo della stanza, bussando un paio di volte. Pochi istanti dopo una feritoia si era aperta, e chiunque fosse stato dietro di questa, dopo essersi accertato di chi stava richiamando l'attenzione si operò per sbloccare parecchi chiavistelli.

"veh... un'ultima domanda" Lo bloccò lei prima che l'uomo uscisse. Questi sospirò, e voltandosi guardò nella sua direzione, le grosse sopracciglia ancora increspate dal precedente nervosismo;
"cosa c'è ancora?" Le chiese scocciato, la mano sulla porta pronto a sbattersela alle spalle.

"... ci sarà pasta per cena?"

Non ricevette risposta, ma dalla risata dell'inglese, ben più allegra e sincera di quelle che aveva sentito fino ad ora, comprese che se non altro l'altra nazione non era più così incazzata. Bé, su due nazioni, un 50% di nazioni non furibonde era una buona media, no?
Rimase a guardare la porta ormai chiusa fino a quando la penombra non le rese impossibile distinguerne le venature consunte e i cardini ossidati nella sua massa scura. Poi spalancò gli occhi ambrati, e li fissò al soffitto.

"... buffo."

Fu il suo unico commento, seguito da un lungo sospiro.




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* Comune di Arzachena, provincia di Olbia, nella zona Gallurese della Sardegna. Più precisamente qui.
Perché la Costa Smeralda non l'hanno scoperta i turisti, veh

** http://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Leeds E tanto per inciso, ci andrei pure io in tour qui...


***L'angolo del perché e del percome (che nessuno ha chiesto)***

Veh, che dire. Ho letto un sacco di libri, un sacco di racconti, e anche un sacco di fanfiction.  Ma è la prima volta che ne scrivo una, e soprattutto che decido di renderla pubblica. Perché si sà, quello che stanotte sembrava un'idea carina domani mattina sarà catalogata come la più immensa cagata che mente umana potesse partorire. Per cui, preparandomi mentalmente al pubblico lubridio mi metto occhialini, braccioli e mi tuffo nel mare della scrittura, ora che sono abbastanza rintronata per farlo.
Ma bando alle ciance, veniamo alla Fic. Parla di Inghilterra e Italia del nord, anche se la MIA Italia non è per nulla canon. A parte che l'è donna, e già qui abbiamo fatto il salto del fosso, ma è proprio diversa dal solito ideale di personaggio (insomma, non è un Feliciano con le tette, ma nemmeno la nyotalia): è la donna turrita, ispirata alla dea Cibele  - dea, vardampò, della natura e della fertilità - e che rappresenta l'Italia fin dall'impero romano, quale allegoria del Belpaese in tutte le provincie dell'impero romano. Sò che è strano, ma immaginatevi un misto tra la bellezza di Virna Lisi (da giovane. non che ora non sia più bella, ma le nazioni son comunque poco più che ventenni. E la Virna da giovane l'era incredibilmente gnocca) e il carisma di Anna Magnani (lei, quando la prendi la prendi, è spettacolare dentro, fuori e tutt'intorno).  Il tutto con occhi d'oro e lunghi capelli castani e ricci.
Anche nel comportamento e nella psicologia è diversa... Più saggia, più empatica. Decisamente meno idiota (ma ha anche lei i suoi momenti maGGici), l'unica cosa che l'accomuna con l'Italia canon è l'essere, per sua stessa ammissione, "inutile". Di fronte al dolore, alle tragedie annunciate e non evitate anche quando si poteva farlo, alle scelte sbagliate di qualcuno che distruggeranno la vita di tutti. Come ci sentiamo noi popolino bue quando i politici fanno l'ennesima minchiata, in fondo.
E soprattutto... è ben più vecchia e stanca di quanto lasci trapelare; quasi un rudere, oserei dire.  Ma riesce comunque ad avere lati freschi e infantili, e a vivere la sua vita con leggerezza.
Di sicuro è più sboccata, ma  vi sfido a trovare un italiano che non si lasci mai sfuggire un santone ogni tanto. Però vi assicuro che non è una tsundere, se maltratta qualcuno è perché in quel preciso momento le stà veramente sulle palle, non certo perché è timida o impacciata e nasconde i suoi sentimenti pucciosi così.

Probabilmente nemmeno Inghilterra è IC, ma pazienza. Metto l'avvertimento OoC e passa la paura. (povero Iggy, liquidato con mezza riga. Gli si sfoltiranno le sopracciglia per la delusione)
E dato che ancora non ho deciso se alla fine i due combineranno qualcosa o meno, rischia pure di andare in bianco. Sfigato nei secoli dei secoli imperituri, amen (segno della croce).
Si consolerà coi suoi scones, oppure ci si suiciderà. Dipende quanti ne mangia. E da come mi ispira l'angst in quel momento.
Torniamo alle cose serie. Se trovate orrori grammaticali, e vi assicuro che ne troverete a iosa, avvisatemi. Purtroppo le mie dita hanno un vero odio nei confronti delle maiuscole all'inizio delle frasi, quindi per quanto legga e rilegga il testo qualcuna me ne scordo. Non parliamo dei verbi, poi. Il signore ce ne scampi e liberi.
E poi, e poi... poi basta, vi lovvo tutte. Non solo chi recensirà, o metterà la storia tra le preferite/ricordate/nonmiricordol'altracategoria, ma anche chi leggerà e basta, o per sbaglio aprirà la pagina e la richiuderà subito pensando "ma che è stà robaccia!". Così mi porto avanti col lavoro.
Approfittatene, che ho il love mode a tempo. Quando sono finiti i minuti gratis entro in roaming e poi li sò cazzi.


Monia : )

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Capitolo 2
*** 2. Le rose inglesi ***


2. Le rose inglesi





Non seppe per quanto tempo dopo che l'oscurità fu scesa nella stanza rimase ferma e in silenzio a fissare il basso soffitto a botte. Probabilmente una mezz'ora, o forse di più... difficile dirlo. I rumori che provenivano all'esterno della finestrella si facevano via via più radi, segno che i bravi ed onesti cittadini di quel dannato posto se ne stavano tornando a casuccia loro, a consumare il pasto principale di ogni inglese che si rispetti. A proposito, lei quando avrebbe consumato il suo pasto principale? O quantomeno un pasto, che fosse principale o secondario era ininfluente. Voleva dunque prenderla per fame, il signor Facciadaculo? Bé... ci sarebbe riuscito benissimo. Una scampagnata in discesa, proprio.

D'altronde tutti sapevano che uno dei suoi molteplici punti deboli era l'appetito. solo il fatto di seguire la dieta mediterranea la salvava dall'essere ben più larga, ma di certo paragonata all'efebica Liechtenstein o anche solo ad Ungheria risultava decisamente più formosa... molto più formosa. Fortunatamente il suo metro e settantadue l'aiutava parecchio a distribuire le tante, troppe curve che si trovava addosso. Bella roba essere una nazione composta quasi esclusivamente di colline e montagne. Ma sticazzi, se si chiamava così un motivo doveva pur esserci, no? Era Felicia di nome e di fatto*.

Se non altro non si ingozzava di schifezze come facciadaculo/bis, volgarmente conosciuto come America. Non che l'inglese fosse tanto meglio, quanto a menù... ma per lo meno finiva di ingoiare un boccone, prima di ficcarsi in bocca qualcos'altro.



I suoi amorevoli (?) pensieri rivolti alle due nazioni alleate furono interrotte dallo sferragliare improvviso alla porta. La donna rimase in attesa, trattenendo il respiro quasi si aspettasse di veder comparire, oltre l'uscio, un boia incappucciato e con l'ascia appena affilata, ad accompagnare il prete per l'estrema unzione e il notaio che le leggeva i suoi ridicoli diritti. Che diritto poteva avere qualcuno che stà per essere decollato? Quello di poter sanguinare come un maiale senza sentirsi in imbarazzo per aver sporcato il pavimento?

Rimase stranamente delusa nel suo profondo animo gore (si appuntò mentalmente un promemoria: rivedere le proprie fantasie e soprattutto le proprie letture. Un evento spettacolare in un romanzo d'appendice non sempre è un evento piacevole nella realtà) quando invece del suddetto nefasto trittico, vide comparire una ragazzina, sottile come un giunco, vestita con una divisa da infermiera britannica. I lunghi capelli di un castano chiaro slavato, erano trattenuti da due codini che le davano un'aspetto più infantile di quanto dovesse essere realmente. Ben più importante, portava con sé un vassoio dall'aspetto pesante, coperto da un telo bianco e stracarico di piatti e stoviglie, ed una lanterna ad olio accesa, tenuta per il gancio tra i denti. Bah, in questo posto nemmeno l'elettricità ci stava...non che si aspettasse l'illuminazione della Scala, ma un cacchio di bulbo a incandescenza... insomma, siamo nei ruggenti anni 40! tutti hanno la luce in casa. Bé, quasi tutti. Lei ad esempio ce l'aveva in circa... il 25% delle sue case. Ma mica era colpa sua se la maggior parte delle sue abitazioni erano vecchie come il cucco. doveva già ringraziare di averci il camino, in alcune di quelle più bicocche...

...

Ok, stava di nuovo mandando il cervello in loop dietro alle sue solite minchiate. E come al solito doveva aver assunto un'espressione tra il sognante e il rincoglionito che ben conoscevano i suoi compagni dell'Asse, a giudicare da come la ragazzina, dopo un attimo di smarrimento, aveva distolto lo sguardo dal suo volto, arrossendo. Un attimo, perché era arrossita? Mah, stranezze anglosassoni.



La ragazza avanzò in silenzio senza degnarla più di uno sguardo, e con fare teso posò il suo carico sul tavolo predisponendo le vivande in modo esperto e sbrigativo. Solo quando diede l'impressione di voler uscire di corsa, l'italiana aprì la bocca, richiamandone l'attenzione "ah... wait. Aspetta, non andartene subito... "

Sospirò appena, mordendosi il labbro inferiore, e sebbene il profumo del cibo caldo le solleticasse l'appetito quasi fosse un pranzo di gran festa si trattenne dal saltarci sopra, cercando piuttosto di trattenere l'inglesina "... mi capisci? Non conosco un granché di inglese... what's your name? Where are we now?" le domandò poi, incespicando a fatica sulla lingua di Albione, non proprio del tutto certa sulla correttezza sintattica di quel che le aveva appena domandato.

La ragazza si strinse al petto il vassoio ormai vuoto, come un improbabile scudo di latta, e osservò di rimando la donna seduta sulla branda ma sporta completamente verso di lei da dietro gli occhiali dalla montatura dorata. La stava forse studiando come un animale selvaggio, o peggio come una pericolosa criminale... Temeva forse che le potesse saltare addosso, se si fosse avvicinata? Bé, di certo a riscontro della mera prestanza fisica, anche ad una superficiale occhiata l'italiana batteva l'inglese su tutti i fronti (e per quanto non sembrasse ad un semplice sguardo, era comunque una nazione. Poteva tranquillamente tenere testa a una decina di uomini grossi il doppio di lei, senza nemmeno una goccia di sudore) ma si sà che le ragazzine, più sono piccole e più sono indiavolate. Avrebbe potuto immobilizzarla senza problemi, certo, ma non voleva farle del male né voleva spaventarla più di quanto non sembrasse già essere.



Per cui, avvertendo il dubbio e immaginandosi le paranoie della ragazza dagli occhi verdi, molto lentamente alzò le braccia mostrandole i palmi delle mani aperti in segno di pacifica resa.

"Non voglio farti del male. Non voglio e non potrei farlo, comunque... ho sentito che dietro alla porta ci sono altre persone. E non ho mai e poi mai sfiorato una donna in vita mia, per farle del male. Per cui stà tranquilla, davvero"

Sospirò, mantenendo lo sguardo al solito semichiuso sul volto della giovane. Non sapeva se i suoi ipotetici sequestratori conoscessero realmente il suo potenziale distruttivo, ma di certo Inghilterra non ci aveva messo degli sprovveduti. O forse, contava sul fatto che mai e poi mai avrebbe alzato le mani su una donna? Quel che è certo è che avrebbe alzato molto volentieri le mani su di lui. Più e più volte. Magari armata con qualcosa di pesante e acuminato.

Felicia - si schioccò mentalmente le dita davanti al naso - torna in focus.

"i just want to chat with you"

Rimase poi in attesa, leggendo nello sguardo dell'altra il dilemma. Perché era realmente in dubbio, la ragazzina. Da una parte sembrava avesse timore di lei, dall'altra le labbra fremevano nel desiderio di parlare. Ogni tanto lanciava sguardi preoccupati alle sue spalle, verso la porta chiusa. Forse sarebbe stata sgridata o addirittura punita, se le avesse dato confidenza? Portarla a scegliere tra lei e gli ordini ricevuti non era il miglior modo per assicurarsi la conoscenza e magari la complicità con l'infermiera. Meglio prenderla alla larga.



"All right. Non ti preoccupare. Immagino dovrò stare qui abbastanza tempo, a meno che Inghilterra non rinsavisca. Ma conoscendolo, prima che entri del sale in zucca a quel babbeo si spegnerà l'Etna" oh... era un'accenno di risata, quella? Dannati popoli del nord, tutti con un'espressività tale da far concorrenza ad un ghiacciaio. Anzi, aveva visto dei ghiacciai ben più comunicativi, a ben pensarci. Almeno quelli se ti stavano per franare addosso cigolavano, prima.

"Non voglio metterti in difficoltà. Quindi non ti preoccupare, non c'è bisogno che tu mi risponda... Avremo tempo per conoscerci, direi. Molto, molto tempo... Se hai capito quello che stò dicendo, basta che tu annuisca col capo" Restò a osservare il volto della ragazza, ancora teso e meditabondo. Poi, lentamente, l'inglese annuì una, due volte. bé, se non altro capiva quel che diceva. Oppure aveva annuito così, tanto per darle ragione come si fa ai matti? Un dubbio che non si sarebbe sciolto tanto presto... la donna riabbassò le mani, posandosele in grembo. E quasi in risposta, l'infermierina si era spostata, indietreggando verso la porta. bussò piano sul legno tarlato, attendendo che le aprissero, lo sguardo ancora fisso sull'italiana seduta.



"...Rose. My name is Rose" Mormorò piano la ragazzina quando la porta alle sue spalle fu dischiusa. Strinse le labbra sottili e pallide, arrossendo appena sotto le efelidi.

Italia Sorrise in risposta, inclinando appena il capo verso la spalla destra

"Lady Rose... lovely name, indeed. My name is Felicia. Nice to meet you"

Non attese risposta. bé, non si aspettava alcuna risposta, in effetti. Semplicemente osservò la ragazza scomparire dietro la porta, e quando il rumore dei suoi passi scomparì del tutto nel corridoio si alzò per avvicinarsi al tavolo. Le girava la testa, e nel momento in cui si trovò in piedi provò un senso di vertigine. Fame, fame, tremenda fame... lanciò un'occhiata famelica ai piatti coperti lasciati da Rose. Scoperchiandoli, trovò una sospetta zuppa d'avena fumante, un... pasticcio di carne - cui onestamente non si sentiva l'animo di chiedersi la provenienza animale - e del pudding. Tutto sommato un pranzo mica male, considerando che era una prigioniera e che erano in un periodo di crisi. Trovare la carne di questi tempi era un'impresa. Si, aveva fatto bene nel costringersi a non pensare che tipo di carne ci fosse dentro quel pasticcio.

Assieme a tutto il resto, c'era anche un piccolo cestino coperto da un tovagliolo. Quando lo scoperchiò, vi trovò un personalissimo e assolutamente non voluto dono di Inghilterra. I suoi famigerati Scones. Almeno, sperò fossero degli scones, ma avrebbero potuto essere anche spugnette ricoperte di cenere, o gli scarti del plutonio impoverito.

Chissà.

Meglio metterli da parte, magari avrebbe potuto usarli come armi contundenti e/o chimico-batteriologiche alla prossima occasione...

Il resto del cibo, invece, risultò essere abbastanza saporito, e soprattutto sostanzioso. Sospettò che molto del piacere provato nel mangiare fosse dovuto alla fame accumulatasi nel tempo, ma non le importava. Ora come ora doveva solo pensare a recuperare le forze, farsi passare quel fottuto mal di testa... e pensare a come fuggire da quella situazione.



Dannato faccia da culo!



Ripulì con attenzione tutti i piatti (tranne ovviamente gli scones o quello che erano), bevve tutto il té. Si lavò viso e mani con l'acqua della brocca nella toeletta, poi tentò di dare un senso alla massa informe dei capelli, tra cui trovò anche delle foglie. Come ci erano arrivate delle foglie tra i capelli? Che diavolo aveva fatto Inghilterra dopo che l'aveva stordita?



...No, anche questa era una domanda di cui non voleva sapere la risposta.

Piuttosto. Quanto tempo ci avrebbe messo l'Asse ad accorgersi della sua mancanza? E sua sorella? Temeva, purtroppo, molto. Non era la prima volta che se ne andava in "eremitaggio", a volte anche per un mese intero e ormai sia Germania che Giappone sapevano che in questi periodi era praticamente introvabile. L'unica che poteva avere degli indizi era Lavinia, ma anche a cercarla in ogni loro casa, una per una, ci avrebbe messo minimo due settimane, a far tutto di corsa. Decisamente troppo tempo per la soglia di attenzione della latina. Si sarebbe stufata - o avrebbe trovato meglio da fare - dopo tre case, quattro al massimo.

Neanche i suoi superiori sapevano dove si nascondesse... e lei si guardava accuratamente di far trapelare la notizia. Soprattutto ai suoi superiori, dannati pazzi assassini...



No, no, no. Felicia, si disse, non cominciare di nuovo. Il capitano di certo ti farebbe una ramanzina lunga una settimana se sapesse come parli dei tuoi capi. Non che lui ne pensasse molto meglio, né amava gli ordini che gli venivano imposti dall'alto. Anzi, ad essere sinceri li detestava con tutto sé stesso, ma il suo carattere onesto e retto lo portava comunque a eseguirli in silenzio, da bravo soldato che era. Lei però soldato non lo era mai stata, un pò come signora. Santa, mercante, viaggiatrice... ma difettava in quelle due materie. Quindi pensava - e diceva - tutto quel che le passava per la zucca.



Un conto è però farsi rimbalzare l'informazione da un punto all'altro del cervello, ben altra cosa è farla trapelare all'esterno. In mezzo ai propri soldati immersi fino alla vita nel fango di una fetida trincea gelata, ad esempio. Non era proprio il massimo dell'incoraggiamento far venire alla conoscenza dei militari e delle loro famiglie a casa che la propria Madre Patria voleva quella guerra meno di loro. No, meglio tacere e sorridere, tacere... e sorridere.

Eppure, sapere che i suoi figli venivano mandati a morire per la smania di un branco di idioti, le faceva piangere il cuore. Un conto è combattere per difendersi, per proteggere la propria casa, i propri affetti. Ma lei, aveva davvero bisogno di estendere i propri domini? conosceva anche troppo bene la sensazione che si prova nell'essere in balìa degli altri, si vedersi la propria terra occupata forzatamente da qualcun altro che non l'amerà mai come l'amava lei. E non era del tutto sicura di volerlo fare a sua volta.

Libia, Somalia, Eritrea ed Etiopia erano bravi ragazze e ragazzi. Con una cultura decisamente diversa dalla sua, per alcuni tratti addirittura più antica. Selvaggia e ancestrale, ma interessante, piacevole. Certo, ai suoi occhi d'ambra quasi tutti i paesi - pochi se ne salvavano - sembravano un poco barbari e infantili**, ma loro lo erano in modo... innocente. Non fingevano di essere quello che non erano. Non avrebbe voluto far loro del male, quanto piuttosto aiutarli a svilupparsi, a superare i loro problemi. Certo, se fosse dipeso da lei... Ma non dipendeva mai da lei. Erano tutti pronti a farsi grandi e importanti con parole ipocrite come "per la Madre Italia!", "è quello che l'Italia e gli Italiani vogliono!" e cose simili, ma ci fosse mai stato un cacchio di governante in tutta la sua plurimillenaria storia che si fosse fermato un isolo secondo e gli avesse chiesto cosa voleva lei, davvero, per la sua terra e i suoi figli. Così, per pura cortesia, tanto per togliersi la curiosità... Non è che prentendesse che poi le dessero retta, figuriamoci. Ma domandare, almeno, sarebbe stato carino.



Nessuno. Il vuoto cosmico. Tante volte aveva come l'impressione che se al posto suo avesse mandato una statua sorridente di dimensioni reali agli eventi politici, non se ne sarebbero accorti.



Meglio piuttosto riempirsi la bocca di belle parole, e poi mandare al macello i suoi figli. Tanto erano i SUOI figli, mica i LORO. com'era il detto? "armiamoci e partite". Eppure, eppure ne avrebbe avute tante di cose da dire...

Aveva imparato già da bambina che la via delle armi, quella che di solito scelgono gli umani dalle brevissime vite, non è mai la via migliore. Sempre di corsa, sempre a inseguire qualcosa che difficilmente se non addirittura mai avrebbero raggiunto, sprecando la loro corta esistenza o addirittura accorciandosela in maniera arbitraria. Che peccato che l'umanità, o almeno la parte che prendeva le decisioni finali, non riuscisse proprio a comprendere lo sbaglio di fondo di tutto questo ragionamento. Un vero peccato.



Il fiume dei suoi pensieri venne interrotto dall'ultima scintilla di luce proveniente dalla lampada, che guizzò tremolante prima di spegnersi, lasciandola nel buio freddo e umido della notte primaverile.

Finì di sistemarsi, poi tornò a sedersi sul letto.



E appoggiandosi con la schiena alla parete dietro di lei, chiuse gli occhi in attesa...















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*Felicia in Latino significa fortunata, ma anche ricca, fertile e abbondante. E, per associazione di idee, anche felice, come è quasi ovvio :9



** Sebbene abbia assunto la sua forma adulta solo con la riunificazione d'italia nel 1861 assieme alla sorella, le due signore è un pò che girano. Diciamo dal tempo degli Etruschi e dei Latini... e parliamo di roba come 1.000 anni prima di Cristo, secolo più secolo meno. Bazzecole. Durante tutti questi secoli, dalla Repubblica Romana alla fine del Rinascimento sono state di un gradino sopra gli altri stati europei per quanto riguarda la cultura, l'architettura, l'arte. Per secoli i popoli del nord sono scesi nel Belpaese per apprenderne la storia, i modi e i costumi e raffinarsi (molti ci venivano pure per farsi l'amante, ma questa è un'altra storia). E, seppure ora sono deboli confronto a territori più grandi e potenti, hanno attraversato i secoli quasi indenni, hanno visto la nascita e il tramonto di parecchie nazioni e imperi, come dell'Impero Romano di cui sono madri e al tempo stesso figlie e vassalle. Il motivo per cui poi lo chiamino nonno e che questi le trattasse come nipotine lo sanno solo loro... forse, per nascondere agli altri il fatto di essere delle vecchie bacucche. Magari prima o poi ci inventerò sopra qualcosina, veh





***Angolo del perché e del percome (che nessuno voleva)***

Piccola curiosità: il nome Felicia (da Felix, cui viene anche il nome Feliciano) come ho detto nella nota sopra ha una radice latina.

Lavinia invece - e il suo corrispettivo maschile Lavino, che si può confondere facilmente con Lovino - è Etrusco, e stà a significare sia la parola "purezza", sia "oriunda di Lavinia (un'antica città Laziale)", cioé cittadina figlia di stranieri. Che è un pò come si sente il Lovino del fandom, straniero in casa sua. Inoltre la sua personalità viene spesso descritta come "La sua fiamma brilla ma la luce che irradia è tremolante e fioca. Un nulla può spegnere il suo fuocherello ma lei lo attizzerà di nuovo. La perseveranza, se non la forza, l'energia, il vigore, sono dalla sua. Timida, introversa, Lavinia manca di fiducia in sé al punto che non si esprimerebbe mai. Così dovrà fare un grosso sforzo per lasciar parlare la sua intelligenza, il suo cuore, il suo intuito... " che, col personaggio di sud Italia, ci stà parecchio. Sempre all'ombra del fratello, tanto che nemmeno viene mai chiamato Italia, come sarebbe giusto che fosse.

Il fatto che i due/le due abbiano il nome scambiato (sud Italia con un nome etrusco, nord Italia con un nome Latino) è parecchio curiosa...

Che il buon vecchio Hidekaz lo sapesse e abbia giocato con i nomi? ;9



E così compare anche la Nyotalia inglese... solo che qui non è una nazione. Essì, è solo una ragazzina inglese, pura e semplice. Coi suoi immancabili codini, che sono adorabili : 3

Nel prossimo capitolo la presenterò meglio, sia lei che l'altro ospite-carceriere nella casa...



Ringrazio Lady Monet che ha messo la storia tra le seguite e ha recensito, e Kesese_93 che l'ha invece messa tra el preferite.

E anche a chi ha solo letto, o anche solo aperto la pagina e poi l'ha richiusa schifata. Seeyaa!

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Capitolo 3
*** 3. Padrona in casa d'altri - 1° parte ***


3. Padrona in casa d'altri - 1° parte

3. Padrona in casa d'altri - 1° parte



Italia giocava con uno degli scones lasciatogli da Rose, assieme al resto dell'ennesima cena solitaria, facendolo rimbalzare sul muro in fondo al letto. Alla fine aveva trovato un buon uso per quei panini che nelle più rosee aspettative dovevano essere di accompagnamento al pasto, ma nella più nera delle realtà erano utili giusto a giocarci a rimbalzino. Sempre che non si fosse abbastanza schifignosi riguardo alla condizione delle mani alla fine. Ormai una lieve patina di polvere grigiastra le ricopriva le dita come un fastidioso guanto di lerciume.

Bé, non era una sensazione del tutto spiacevole. Le ricordava in qualche modo l'afa estiva, quando nel pieno della spigatura la polvere della pula e la terra fine e rossa si incollava alla pelle sudata sotto l'ombra dell'aia, oppure quando imparava nelle botteghe degli artisti rinascimentali come triturare i vari ingredienti per ottenere le tinture più fini e cremose fino a farsi sanguinare le dita dai calli per il troppo utilizzo del pestello, con conseguente dolore quando le sostanze si mescolavano al sangue e al siero delle vesciche. Si, non era affatto una brutta sensazione, quella. Fosse stata a casa avrebbe tirato volentieri fuori cavalletto e pennelli, e si sarebbe dedicata a qualche piacevole ora di studio delle nuvole sul lago cristallino.

Chissà come se la passavano le sue piante... Sarà stato vero che il faccia da culo aveva avvisato il custode? L'immagine del biondo che tentava di farsi capire dall'uomo, un burbero vecchietto che parlava solo in trentino stretto le donava abbastanza ilarità - non per l'onesto contadino che probabilmente avrebbe preso a forconate Inghilterra, se solo avesse intuito cosa le aveva fatto, ma per come doveva essere risultato idiota il suddetto rappresentante della nazione anglosassone; davvero un peccato esserselo persa.

Come al solito, la fiammella dentro la lampada ad olio tremolò appena, singhiozzando prima di spegnersi e lasciarla al buio. Se non dal pasto, poteva riconoscere il razionamento in tempo di guerra dalla risibile quantità di combustibile che le lasciavano ogni sera i suoi due carcerieri.

Alla fine, ci era riuscita. Seppur la ritrosia della giovane inglesina era stata un pò ostica da superare, era riuscita a far breccia nello scudo difensivo e a farsi dire in che situazione era. Oltre a lei, nella casa c'era solamente un'altra persona, un ragazzino di nome Jesse che faceva da spola tra la casa e il mondo esterno. Che il ragazzetto fosse il fratello dell'inglesina lo aveva compreso al primo momento che l'aveva visto, senza che lei glie lo dicesse. Capelli color sabbia e occhi celesti, avevano in comune la forma degli zigomi, il modo in cui aggrottavano le sopracciglia se in dubbio, la tonalità della pelle e delle lentiggini. Le loro braccia, con le dovute proporzioni riduardo all'altezza e al sesso, erano pressoché identiche dal gomito in giù, e anche la camminata li accomunava, in un qualche modo. Imberbe e dalla voce ancora indecisa tra il tono infantile e quello più profondo di un uomo adulto, era di circa tre anni più piccolo di sua sorella e come lei ne dimostrava veramente meno di quanti ne avesse, nonostante fosse più alto dell'inglesina, e per poco non raggiungesse anche lei. Distrattamente si chiese se anche i suoi ragazzini, i suoi quindicenni fossero costretti a indossare le divise militari... che domanda stupida. Certo che lo erano, praticamente vestivano da soldatini dal momento in cui abbandonavano le tunichette infantili per i primi calzoncini*.

Nelle poche parole strappate dalle labbra sottili di Rose dette in un inglese misto a italiano stentato, aveva saputo anche che la casa era di proprietà di Inghilterra e si trovava nella campagna inglese, a circa venti miglia da Londra, che nessuno oltre a loro e a pochissime altre persone al governo sapevano della sua permanenza lì, e che erano stati scelti lei e il fratello a questo compito in onore del padre, ufficiale durante la Grande Guerra divenuto disabile per le ferite riportate, e perché nei loro studi vi era anche un pò di conoscenza di italiano, essendo stato il loro nonno un ambasciatore che aveva passato alla sua discendenza l'amore per gli altri paesi. In questo argomento era ancor più chiusa che per il resto, e già per avere risposta bisognava tirarle fuori le parole con una pinza. Eppure, aveva d'altra parte la sensazione che i due ragazzini smaniassero per parlarle... Ogni volta che le portavano il pasto o l'acqua pulita, sia l'infermiera che entrava, sia il guardiano che restava oltre la porta a controllare dallo spioncino la fissavano con occhi ardenti, famelici. La studiavano, come dei ricercatori incerti sui risultati che riuscivano a raccogliere dalle loro modeste scoperte. A volte si sentiva un pò un animale in gabbia, e l'idea che i suoi sequestratori fossero solo due fanciullini le faceva ribollire il sangue nelle vene, come una lupa che si vede tenuta ferma all'angolo da un paio di agnelli. Era palesemente una presa in giro, non poteva essere così facile. DOVEVA esserci l'inghippo, da qualche parte...

Per l'ultima volta lo scone rimbalzò sulla parete, per poi essere riafferrato al volo con gesto automatico. La polvere di carbone le cadde leggermente addosso, rilasciando l'odore di bruciato che si mescolò a quello della muffa e dell'umidità. E già sentiva la sua mente ripartire in un nuovo turbine di pensieri e ricordi, nessuno dei quali meritevole di essere considerato più di un secondo in quella notte solitaria. Con fare assorto strisciò il dolce lungo il polso lasciato scoperto dalla manica arrotolata, e seppure nel buio le parve di vedere la striscia nera che si stagliava sulla pelle pallida e venata di azzurro dell'avambraccio.

Massì, in fondo perché non provarci? Le era sempre stato di grande aiuto per distendere i nervi, fino ad allora. Nulla di diverso da quel che aveva fatto nei secoli passati, quando era particolarmente stressata, stanca o solo triste. Il buio, la difficoltà e la mancanza di materiale adatto rendevano solo la sfida più divertente. Chissà cosa ne sarebbe uscito fuori al mattino dopo? Sorrise lievemente, mentre si tirava a sedere. Scivolando sul pagliericcio raccolse dal cestino un nuovo scone, tastandoli tutti con attenzione come a cercare quello più secco e bruciato. Soddisfatta della ricerca, ne posò un lato in bilico sulla parete di fianco a lei, come un gessetto. E chiuse gli occhi, lasciando che la mano cominciasse a muoversi lentamente, da sola...





"Jesse, came to see! run!"

Richiamò la ragazza, visibilmente eccitata come una bambina piccola. Appena entrata con la brocca dell'acqua pulita si era immobilizzata, perplessa. E quando finalmente aveva capito cosa era diverso quella mattina nella vecchia cantina muffita, aveva emesso una sorta di urlo al contrario, aspirando l'aria di colpo e facendo cadere il vaso che rovesciò sull'impiantitò di legno tutto il suo contenuto, fortunatamente senza rompersi. Per una volta completamente dimentica del suo aplomb, corse a sederlesi accanto, ancora accovacciata a terra mentre stava dando gli ultimi ritocchi ad un gruppo di fanciulle che, al centro di una radura, danzavano leggiadre. Si... era piuttosto soddisfatta del risultato, ora che finalmente riusciva a vederlo anche lei. Certo, avesse avuto gessetti, carboncini e una superficie che non le si sfaldava in polvere di calce sotto le dita magari sarebbe stato più preciso, ma nonostante tutto il disegno le era venuto armonico, ben strutturato. I suoi vari maestri ne sarebbero stati... magari non fieri, ma di certo non schifati, ecco.

L'eccitazione che aveva preso la maggiore arrivò diritta al fratellino, portandolo ad aprire la porta, e dopo alcuni istanti anche lui rimase imbambolato a fissare il paesaggio disegnato che ricopriva quasi tutta la parete di fondo, fin dove il braccio dell'italiana era riuscita ad arrivare. Senza nemmeno preoccuparsi di riaccostare l'uscio si avvicinò alla loro posizione, gli occhi che si spalancavano sempre di più mentre nella penombra della stanza cominciava ad avvertire i segni più fini e sfumati del carbone sulla parete, e non solo quelli principali e le campiture. Sembravano entrambi stregati, due bimbi persi dietro un mondo di favola...



Italia sospirò. Agli occhi del mondo esterno, agli occhi di Inghilterra sembrava davvero così debole da poter essere controllata solo da due piccoli cuccioli capaci di essere fregati con così poco? Davvero la sottovalutava tanto?

Per un breve, laido istante si immaginò la faccia dell'altra nazione quando, tornando a controllare la sua prigioniera, avesse trovato la casa vuota. Con solo la macabra decorazione di due ragazzini morti, appesi per le interiora al soffitto della cantina a dargli il bentornato. L'idea le diede un esasperante brivido lungo tutta la colonna vertebrale, facendola appena tremare. Ma non capì - o non volle capire - se era un brivido dato dal disgusto... o dall'eccitazione. Deglutì appena, e con la coda dell'occhio controllò i due accanto a lei. Sembrava non si fossero accorti di nessun cambiamento nel suo volto, troppo presi a seguire le linee morbide dello studio paesaggistico che si stendeva sulla parete nella prigione. Jesse soprattutto, sembrava incantato ad osservare l'anatomia di un cavallo al galoppo in primo piano...



...quanto le sarebbe stato facile allungare la mano fino a stringerla attorno al suo esile collo. Pochi secondi, e avrebbe avvertito le vertebre uscire dalla loro sede, il midollo spinale contorcersi dentro di esse fino a spappolarsi, la carotide perdere velocemente il proprio battito... Pochi secondi, e di un ragazzino vivace e dal sorriso allegro sarebbe rimasto un burattino spezzato, inerme tra le sue dita.





"lo avete disegnato stanotte, signora? al buio?"

La voce ancora troppo infantile di Jesse la riprese dal suo apparente vuoto, e si trovò a sorridergli gentilmente, il capo inclinato sulla spalla destra.

"yes... non è difficile quanto possa sembrare. Dopo secoli di pratica, non ho bisogno degli occhi per sapere cosa stò disegnando. Nella mente mi immagino la forma d'insieme, e le mie mani seguono le linee che voglio. Potrei farne a migliaia di questi schizzi preparatori.. se avessi abbastanza pareti. E abbastanza scones" Si trovò a ridacchiare, alzando uno degli ultimi panini bruciati con un lato mezzo consumato.

No, Felicia. Non è con questi due pulcini che puoi prendertela. Non saranno loro a subire la tua rabbia nei confronti di Inghilterra, dei suoi alleati, dei TUOI alleati, della guerra stessa... Sono solo due vittime innocenti. Non renderli ancora più vittime di quanto già non siano.

Ecco l'inghippo, il bastardo non l'aveva sottovalutata. Semplicemente la conosceva meglio di quanto dovesse. Se le avesse messo alle calcagna uno stuolo di soldati adulti, non si sarebbe fatta alcuna remora a ucciderli, o quantomeno a provarci. Ma contro due bambini, cosa mai avrebbe potuto fare?

Sospirò appena, nascondendo i suoi pensieri dietro un sorriso malinconico. Si perse così il lungo adocchiarsi che i due fratelli di stavano lanciando, in tensione. Alla fine, fù Rose a rompere il silenzio, schiarendosi la voce "nostro bisnonno... è stato in Italia, un sacco di tempo fà. Una volta il nonno ci disse di quando questi vi aveva vista ad una rappresentazione del Nabucco alla Scala..."

La ragazza guardò il fratello, poi di nuovo la donna, che ora l'osservava in attesa della continuazione. Non capiva, dove voleva andare a parare?

"Il bisnonno raccontava che non si sarebbe mai dimenticato quel giorno. Ricordava perfettamente tutti i particolari di quella giornata, il cielo tinto di rosso dietro il castello, le migliaia di candele che facevano brillare il foyer come se fosse pieno giorno. Ma soprattutto, nonno disse di quanto suo padre si fosse sprecato, lui che nemmeno si ricordava il giorno del proprio matrimonio, a descrivere la presenza di una giovane donna assieme ai reali austriaci, il suo volto, il suo vestito, il suo sorriso. Era... eravate voi, vero signora?"

Italia abbassò le palpebre, pensierosa. Il Nabucco, il Nabucco... A giudicare dal racconto, poteva essere stato circa un secolo fà. Altro che una rappresentazione, allora... Era stata LA rappresentazione. La prima assoluta del Nabucco. Si, ricordava bene quei giorni, era completamente infoiata nell'ideologia patriottica del giovane Mazzini, e non vedeva l'ora di ficcare una baionetta su per lo sfintere anale del suo autoproclamatosi patrigno Austria. Cielo quanto gli era piaciuto, sei anni dopo, farlo realmente all'ombra dello stesso teatro**. Una soddisfazione immensa, ancora oggi a pensarci sentiva il sorriso spuntarle istintivamente sulle labbra in maniera tronfia e gongolante.

Ehm. dove si era persa? La donna cercò di recuperare il filo del discorso di Rose, che nel frattempo incitata dal fratello sempre pronto con lievissimi mugugni ad aggiungere particolari, stava continuando il suo racconto.

"... una dea. Una dea vestita di bianco, coi fiori rossi tra i capelli acconciati, a cui confronto le altre donne sembravano svanire. Nonno diceva anche che sua madre non ne era gelosa, dato che si era innamorata di voi ancor più del marito... alla fine della serata, era stata ore ed ore a parlare di voi, a quanto le piaceva l'Italia e quanto volesse rimanerci a vivere per sempre. vero, Jesse?"

Oibò, effettivamente aveva sempre fatto colpo sulle donne. Non aveva ancora compreso bene il motivo nonostante i secoli, ma sembrava che le femmine mortali venissero stregate dalla sua presenza ancor più delle loro controparti maschili. Non che le dispiacesse, anzi. Casanova confronto a lei era un poppante timido e pieno di problemi a socializzare con l'altro sesso...

"si, ero sicuramente io quel giorno, alla prima del Nabuccodonosor. Ricordo della Scala, ma purtroppo non rammento dei vostri antenati, mi spiace... in tutti questi secoli ho visto così tanti volti che se me li ricordassi tutti impazzirei, temo. Ma come mai mi avete parlato di questo episodio?"

Di nuovo la ragazzina si morse le labbra, ma stavolta, prima che potesse riprendere a parlare, fu la voce rauca di Jesse a squarciare il silenzio.

"noi... abbiamo sempre voluto vedervi. Fin da piccoli, quando il nonno ci raccontava delle storie di suo padre, e anche dopo, studiando di voi sui libri di storia... l'Italia ci ha sempre affascinato. però..." lo vide abbassare lo sguardo, arrossendo "però con la guerra non avevamo più la possibilità di vedervi. E coi bombardamenti... possiamo morire, signora. Potevamo morire senza avervi mai visto. Ecco."

Il ragazzino non trattenne un singhiozzo. La sorella accanto a lui abbassò lo sguardo, e gli prese una mano stringendola tra le sue "I nostri genitori sono morti col bombardamento. Nostra nonna è vecchia, non può badare a noi. Per continuare a vivere abbiamo dovuto presentarci all'esercito, ma per via della sua età lo hanno preso solo come portaordini. Io sono un'ausiliaria, ma non sò nulla di medicina e di ferite di guerra" Rose sollevò lo sguardo, incontrando gli occhi dell'italiana. Era la prima volta che non rifuggiva il contatto visivo diretto. "Se non fossimo stati scelti come vostri guardiani, saremmo partiti per il fronte di Tripoli a gennaio." Di nuovo una pausa, nel completo silenzio della nazione. Un respiro pesante stringendo più forte la mano del fratello, prima di riprendere a parlare "Se non fosse per voi, ora probabilmente saremmo divisi. Forse morti. Siete il nemico, avete ucciso i nostri genitori, i nostri amici. Avete distrutto la nostra casa. Dovremmo odiarvi con tutta la nostra forza. Ma se non fosse per voi, saremmo molto probabilmente morti. Forse è stupido da dire, ma per noi voi siete la dea che ha visto il bisnonno alla Scala. Forse siete davvero la strega della morte come ci hanno insegnato a scuola e nell'esercito, l'ottusa e crudele compagna del mostro nazista, ma... " la ragazzina strizzò gli occhi, ormai colmi di lacrime, e li portò al disegno sul muro, senza riuscire a vederlo dietro la patina umida "... ma chi riesce a fare una cosa simile solo immaginandoselo, al buio completo, non riesco a crederlo veramente cattivo. Chi sogna scene tanto belle non può avere un cuore nero. Vi prego... non potete fermare questa guerra? Ha già fatto tante vittime, tante..."



Italia non riuscì più ad ascoltare. Tenne le labbra tirate per nascondere il fremito di sofferenza, e allungò le mani verso i volti dei due ragazzini per attirarli a sé, le dita ancora sporche di fuliggine a lasciare segni neri sui colli e sulle nuche. Con estrema delicatezza li portò al petto, abbracciandoli entrambi, e mentre questi cominciavano a singhiozzare rumorosamente, chinò il capo in segno di contrizione.

"mi spiace. Non immaginate quanto mi dispiaccia per voi, per i miei figli, e quelli di qualunque altra nazione. Se potessi interromperei questo massacro anche ora, a qualunque costo. Ma la guerra è qualcosa di grande, di immenso... troppo grande per chiunque, anche per una nazione come me. Immensa e spaventosa. L'ho vista così tante volte, così tante volte... eppure ogni volta è sempre peggio, sempre più orribile. E colpisce sempre più profondamente..."

Sospirò, ormai la sua voce scomparsa completamente sotto al pianto a dirotto dei due ragazzi. Come un fiume in piena, sembrava che i due non attendessero altro che una piccola spinta per far straripare gli argini e sfogarsi, per tutto il dolore accumulatosi, per la sofferenza e la paura. Il fatto che la nazione avesse un aspetto mite e materno accentuava semplicemente la sensazione di dolorosa mancanza che i due, da poco orfani provavano tra le sue braccia. Rimasero così accucciati a terra per parecchio tempo, tanto che non si sentiva quasi più le gambe. Ma non aveva il coraggio di muoversi, nemmeno quando le lacrime ebbero lasciato il posto ai singhiozzi via via sempre più flebili, ancora tenendo stretta i due fratelli a sé. Non che questi sembrassero aver intenzione di lasciarla, piuttosto si erano accomodati meglio per abbracciarla a diverse altezze.

Per un attimo arrivò addirittura a pensare che si fossero addormentati entrambi in quella posizione, quando i loro respiri si fecero più regolari e tranquilli... ma dovette ricredersi, allo scatto improvviso che Rose fece raddrizzando la schiena ed allontanandosi da lei.

oh my God... sono desolata, desolata! Non volevo... non volevamo... Jesse, tirati su subito!” Esclamò, strattonando il fratello per fargli lasciare il suo posto nel grembo della nazione. Nazione che si trovò a sorridere per quello scatto di pudore adolescenziale, e soprattutto perché la ragazza aveva il naso, occhi e guance rossi fiammanti, che spiccavano sul suo volto pallido come un pomodoro su una tovaglia bianca.

non preoccuparti, non c'è nulla di male nello sfogarsi un pò. Piangere fà bene, a volte. Io piango spesso e volentieri, sai? Per questo motivo ho una pelle fresca e rilassata come una nazione di appena un secolo” celiò, ammiccando come a darsi delle arie. Gesto che servì all'uopo, dato che seppur Rose tentasse disperatamente di mantenere un'aria contrita e vergognosa, sentiva piegarsi le labbra in un ghigno sgembo.

davvero, và tutto bene. Non c'è motivo di vergognarsi...” Riprese la donna, e con la manica dell'abito asciugò una grossa lacrima sotto l'occhio dell'inglese. Un gesto che parve calmarla, ma la fece anche starnutire; aveva polvere di carbone e muffa praticamente ovunque, e sebbene le maniche fossero state arrotolate fino a pochi istanti prima ne erano così impregnate da lasciarle una striscia di sporco sul volto. Cosa avrebbe dato per un bagno decente, erano cinque giorni o forse più che non si cambiava. Doveva essere ridotta in uno stato pietoso.

Poco dopo lasciò che anche il ragazzino si raddrizzasse strofinandosi gli occhi gonfi, decisamente di malavoglia. A guardarlo sembrava un cuccioletto svegliato di colpo nel pieno della sua pennichella... non fosse, per l'appunto, con gli occhi gonfi di pianto. Si, decisamente Inghilterra era stato un gran bastardo a metterle addosso due bambini come carcerieri.

Anche se... Solo in quel momento le venne in mente che, nonostante tutto, poteva pur sempre uscire da lì... se non dalla casa, almeno dalla cantina. L'idea le si delineò nella mente, retta e limpida come una lancia di ghiaccio. E non ci avrebbero rimesso nemmeno i due ragazzini, non molto, almeno sperava.

Jesse... c'è la porta aperta” Mormorò semplicemente, ancora in ginocchio a terra, le mani piegate in grembo e un sorriso sornione sulle labbra, mentre lanciava occhiate eloquenti verso l'uscio rimasto spalancato.

Il ragazzo ci impiegò alcuni istanti a comprendere la frase rivoltagli, ma quando ci riuscì sbiancò completamente, e così anche sua sorella. La quale si affrettò subito a rialzarsi e a correre verso l'ingresso, scivolando sull'acqua rovesciata e rischiando di rompersi l'osso del collo nel tragitto.

Tranquilli, se avessi voluto uscire lo avrei fatto tranquillamente già da parecchio tempo. Non ho alcuna intenzione di approfittare di un vostro momento di debolezza... Non sono meschina come Inghilterra, io” Aggiunse a bassa voce, in dialetto. Questo era meglio che i due anglosassoni non lo capissero.

Ciò non toglie il fatto che vorrei uscire di qui. Questo posto è decisamente squallido, voglio cambiarmi e voglio fare un bagno, voglio muovermi un pochetto... e soprattutto per carità di Dio basta pappa d'avena. Per cui..." lo stato sorrise ambigua, e guardando entrambi sollevò l'indice



...che ne dite di una piccola scommessa?”













* Piccoli balilla crescono... purtroppo.

** La prima rappresentazione del Nabucco avvenne nel 1942, e con facilità gli italiani oppressi dall'impero austriaco si immedesimarono nelle traversìe del popolo ebraico facendole proprie. Sei anni dopo, nel marzo del 1848, vi furono come summa di parecchie repressioni austriache le cinque giornate di Milano. Dove gli austriaci vennero finalmente scacciati dalla città... salvo poi tornare nemmeno cinque mesi dopo. Sigh.



***Angolo del perché e del percome (che nessuno voleva)***



Ed ecco che compare anche il secondo carceriere, Jesse. Piccolo e morbidoso, in quell'arco di età conosciuta come adolescenza, quando non si sà se si è carne o pesce. E qualunque cosa si faccia, la si fà mettendoci esageratamente troppa passione (si vede che io l'adolescenza l'ho passata da un bel pezzo, se qualcuno al tempo mi avesse descritto così mi sarei oltraggiata oltre ogni dire). Personaggio completamente inventato e ovviamente umano come la sorella, anche se, mentre lo muovevo me lo sono immaginato un pò come Lutuania. Affettuoso, amichevole, dall'aria pacioccosa. Uno che si lascia influenzare troppo facilmente dalle persone col carattere forte attorno a lui, ma quando è il momento giusto sà trovare il coraggio, anche se non sà nemmeno lui da dove. Tra lui e Rose, non sò quali dei due sfiora più il punto estremo della fuffolosità nel mio bacato cervello.

Veniamo al capitolo: forse il titolo risulta incomprensibile, ma è dovuto al fatto che all'inizio era un unicum con il seguente... solo che poi mi sarebbe venuto qualcosa come 18 fogli di word, che sono anche tantini. Ergo, è finito splittato, ma ha mantenuto il titolo originario. Il motivo, lo scoprirete alla prossima puntata...

Sempre sul capitolo, è venuto piuttosto serio e malinconico. Inoltre Italia ha pensieri che non sono poi così tanto dolci e pacioccosi come ci si aspetterebbe... Ma in fondo è la rappresentazione vivente di una nazione... e questo significa che nella sua esistenza, per sopravvivere, ha fatto delle bastardate allucinanti col sorriso sulle labbra. Ubi maior minor cessat, si dice. Per il bene maggiore, il piccolo viene prevalicato e perde qualsiasi importanza.

Angolo curiosità. Ci tenevo particolarmente a descrivere una Italia artista... anche perché tutta la fiction è nata su quest'immagine. Tanto per cazzeggiare avevo fatto uno scarabocchio, e mentre il disegno si formava sulla carta, mi è venuto da pensare perché stesse disegnando su un muro... e voilà! La storia è servita, signori. Il fatto che vada a parare da tutt'altra parte è una semplice conseguenza della mia poca coerenza, però. Ed ecco l'immagine colpevole di questo obrobrio!





Al solito, ringrazio LadyMonet che ha recensito, chi ha messo la storia tra le preferite e le seguite, e anche chi ha solo letto : )

Seeyaa!



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Capitolo 4
*** 4. Padrona in casa d'altri - 2° parte ***


4. Padrona in casa d'altri – 2° parte



Entrambi i ragazzi, sia Rose che stava ancora arrancando per alzarsi dallo scivolone, sia Jesse che l'aveva superata e si apprestava a correre verso la porta della cantina, si bloccarono sul posto, e alla proposta di Italia la fissarono stralunati. Incapaci di spiccicare parola, boccheggiavano entrambi come dei pesci dentro la palla, gli occhi ancora rossi e gonfi del pianto precedente.


“Come on, una piccola scommessa. Nulla di pericoloso o preoccupante per voi, dico sul serio. Non avrete nulla da perderci, scommettendo...”


Non sembravano ancora del tutto convinti. Gli occhi chiari dell'inglesina saettavano dal suo volto sorridente a quello preoccupato del fratello, per poi fare la strada inversa in un battito di ciglia e ricominciare il giro. Le sarebbe venuto un gran mal di testa, se avesse continuato ancora.

“Che tipo di scommessa?” domandò infine, tirando su col naso il resto del moccio ancora presente.


“Oh, come ho detto nulla di preoccupante. Come avete visto, sebbene ci fosse la porta aperta non sono scappata. Quindi, potete fidarvi di me, almeno per questo” Italia lanciò una lunga occhiata ai due inglesi, prima di alzarsi in piedi e spolverarsi l'abito ormai ridotto in maniera orribile “Quello che voglio scommettere è la libertà... limitata a questa casa, ma pur sempre libertà. Insomma... se riesco ad uscire da sola da questa stanza, voglio il diritto di girare per casa e nel giardino liberamente. Leggere, camminare, farmi un bagno. Prometto che non farò un singolo passo al di fuori del giardino di questa casa. Non fino a quando ci saremo solamente noi tre qui. Così, anche se tentassi di scappare quando c'è Inghilterra o chi per lui, la colpa sarebbe sua e non vostra, essendo lui decisamente in grado di fermarmi più di quanto non possiate mai esserlo voi”

Lasciò che le sua proposta facesse il debito effetto, mentre andava a sedersi sul pagliericcio, accavallando le gambe con fare tranquillo. E incrociando le mani attorno al ginocchio sollevato, restò in attesa che i due, ora avvicinatisi tra loro, confabulassero abbastanza da prendere una decisione.

“Perché dovremmo accettare? Se voi scappaste noi saremmo nei guai, grossi guai. A noi conviene che voi rimaniate qui dentro. Chiusa nella prigione.”


“Io posso scappare tranquillamente da qui dentro, a prescindere dalla scommessa o meno. Ma se lo facessi, non avrei alcun obbligo nei vostri confronti e voi non avreste alcun indizio su dove io sia andata. Quindi sareste davvero in grossi guai. Se invece accettate questo gioco, io ottengo meno di quanto potrei, ma voi sareste in qualche modo tutelati. L'importante è che non sfugga alla vostra supervisione, vero? Non ha alcuna importanza se questa sia qui dentro o in qualunque altra stanza della casa...”


Si sentiva un filo bastarda a giocare con la buona coscienza di due ragazzini, ma non stava mentendo, se non altro. Non aveva intenzione di scappare da quella casa... non ancora. Chissà, forse poteva addirittura guadagnarci da quella brutta storia...


“Potete davvero scappare da qui dentro?” Domandò con voce rauca Jesse, cercando nonostante l'altezza maggiore di nascondersi dietro la più esile sorella. Al suo annuire, pare farsi ancora più piccolo e preoccupato. Strinse la manica del vestito di Rose, e le sussurrò all'orecchio qualcosa di intelleggibile. La maggiore stette un poco a pensare, poi guardò l'uscio ancora aperto alle loro spalle. Altri secondi di silenzio, prima di annuire, e tornare a guardare la nazione seduta sul letto.


“All right. Accettiamo la scommessa... ma le condizioni le dettiamo noi. Non dovrete usare nessuno strumento per abbattere la porta, né per danneggiare il muro. Noi due” e col pollice indicò prima sé stessa, poi il fratello dietro di lei “siamo intoccabili. Nessuna minaccia, nessuna moina, niente di niente. E la porta avrà tutte le serrature e i catenacci chiusi come al solito, niente di diverso dagli altri giorni. Got it?”


Italia finse di pensarci un po', poi annuì col capo. Non le aveva detto nulla che non si aspettasse, e del resto, avendo lei stessa proposto la scommessa era pronta ad affrontarla tranquillamente. Qualsiasi limitazione potessero mettere i due ragazzini.


“Accetto ogni imposizione. Chiedo solo di poter ovviamente toccare la porta, e di poter usare le mie mani” e nel dirlo le alzò entrambe, ancora sporche di polvere e carbone “mi sembra ragionevole, no? Se ci riesco entro dieci minuti avrò la mia parziale libertà. Altrimenti, avrete vinto voi. Potete chiedermi tutto quel che volete, nel limite delle mie possibilità. Non posso promettervi la fine immediata della guerra... ma avreste un credito verso una nazione. E posso assicurarvi che significa parecchio, a livello di mero potere. Due, tre ville nella mia terra? Posso farlo. Soldi facili? Anche quello, una passeggiata. Me stessa?” aggiunse, con un lieve sorriso mellifluo. Erano due ragazzini, si. Ma non così tanto da non comprendere cosa potesse implicare una simile offerta, e la carne è debole. Li vide entrambi tremare appena e deglutire “Perché no... Devo aggiungere altro sul piatto, o vi sembra sufficiente?”


Avrebbe potuto aggiungere il mondo intero. Tanto, da brava e vecchia bastarda sapeva già che non avrebbe dovuto pagare alcuno scotto. Qualche millennio di esperienza alle spalle facevano comodo, in certi casi. E doveva ringraziare per questo solamente quell'imbecille di Inghilterra, che le aveva reso possibile il tutto.


“Come facciamo a sapere che non mentirai o ritratterai tutto dopo?”


“Temo, miei piccoli cuccioli, che dovrete fidarvi della mia parola. Non è tanto, lo immagino. Ma è tutta l'assicurazione che posso darvi” Sospirò teatralmente Italia, inclinando il capo verso la spalla. Le mani tornarono a incrociarsi attorno al ginocchio, che lasciava dondolare il piede con calma

“ah, e se vi state chiedendo perché non sono scappata nei giorni precedenti se davvero avrei potuto farlo... è perché non volevo. A volte, bisogna studiare bene la situazione, prima di agire...”


Si, era esattamente quello a cui stava pensando Rose. Nonostante la normale compostezza anglosassone, stava cominciando a comprendere le espressioni dei due come un libro aperto... anzi, erano quasi più facili da capire di un italiano. Così poco abituati a dimostrare i propri stati d'animo, quando li si prendeva in contropiede non sapevano assolutamente mitigare i loro pensieri, che fluivano fuori come un fiume. Adorabili, entrambi...


Questa l'avrebbe fatta pagare parecchio al faccia da culo. Come aveva osato metterle accanto due creaturine tanto coccolose?


“Mi sa di scommessa molto pilotata. Ma ho come l'impressione che possiamo farci poco... Essia” Rose si raddrizzò in tutta la sua – ininfluente – statura, e annuì col capo. Fece un gesto al fratello che silenzioso come un cagnolino la seguì fuori dalla stanza, mentre ancora lanciava occhiate preoccupate verso la donna che rimaneva dentro. Una volta chiusasi la porta alle loro spalle, li sentì confabulare concitatamente un'ennesima volta, poi dopo parecchi minuti avvertì il suono di qualcosa che veniva trascinato sul pavimento, qualcosa di pesante e voluminoso. Oh, probabilmente un mobile... una cassapanca? Un tavolo davanti alla porta? Nice try, cuccioli... ma fatica inutile.

Italia si alzò finalmente dal letto, e stiracchiandosi ogni singolo muscolo della schiena si avvicinò a sua volta all'ingresso della cantina-prigione. Ora che la luce fioca dalla finestrella aumentava, riusciva a cogliere ogni singolo buco di tarlo sulle tavole di legno... Troppo resistenti, nonostante tutto, per uno sfondamento diretto. Ma non era questo ciò a cui mirava. Lo sguardo scorse alla sua sinistra, dove serafici ed ammiccanti, facevano bella mostra di sé i cardini.


Già... il Genio Incontrastato del Male (si meritava le maiuscole) l'aveva chiusa in una stanza con i cardini ALL'INTERNO della stessa. Cardini vecchi, di tipo semplice che in fondo quella era solo una cantina... nessun fermo, nessuna protezione. Solo due grossi perni a far funzionare la cerniera su cui ruotava la porta.

La donna restò alcuni istanti in silenzio, avvertendo al di là dell'uscio la tensione dei due ragazzini. Il sorriso le comparve sulle labbra, mentre canticchiando un motivetto allegro tastava la resistenza data dalla ruggine sul metallo. La bloccava un po', ma nulla di preoccupante. Senza nemmeno perdere tempo a proteggersi le nocche con della stoffa, tirò un diretto sinistro a pochi centimetri di distanza dalla cerniera, poi un altro, e un altro ancora mentre vedeva la polvere rugginosa staccarsi a pezzi dal meccanismo, ad ogni colpo inferto sul legno tarlato e annerito.

E voilà! Con quelle botte, il perno si era alzato da solo dalla sua sede, e lei ci mise veramente poco a sfilare, pinzandolo tra indice e pollice della mano destra, il pezzo di metallo. Stessa operazione fece con quello inferiore... ci mise solo qualche istante e un paio di ganci di più, per via della maggior quantità di ruggine e sporco accumulatosi. E la parte difficile era fatta... figuriamoci il resto. Infilando le dita nella cerniera tirò a sé la porta sollevandola leggermente da terra, mentre i blocchi che la tenevano ancora chiusa e in piedi cigolavano sinistramente nelle loro sedi, non creati per piegarsi a quel modo. Quando spalancò l'ingresso della cantina, sorridente oltre il tavolo messo di traverso, si trovò davanti i due ragazzini che si stringevano l'uno all'altra, con espressione tra lo stupefatto e lo sconvolto.

“Bene... penso di averci impiegato ancor meno di dieci minuti. E usando solo le mie mani...” aggiunse, sollevando la sinistra che sanguinava copiosamente all'altezza delle nocche pesantemente scorticate, quasi fino all'osso “Ergo, posso tranquillamente definirmi vincitrice della scommessa, no?”


Lo sguardo dei due ragazzini, già spaventato di loro, divenne terrorizzato a osservare il sangue colarle in abbondanza lungo l'avanbraccio a inzupparle la manica. Italia accorgendosene guardò a sua volta la ferita, e facendo spallucce vi passò la lingua, leccandosi le tracce rosso cupo miste a polvere e schegge di legno “ah, non è nulla di che. Tra poco si sarà chiusa senza lasciare tracce... anche se fa decisamente schifo. Riesco a sentire il saporaccio degli scones persino dalla loro cenere residua. Bleah” Sbuffò sventolando la mano per aria come a voler scacciare una mosca, e sollevando il pesante tavolo come se fosse un semplice sgabello lo mise da parte, per poter passare agevolmente. Gesto che finì a sconvolgere del tutto i nervi già troppo sollecitati dei due inglesini, stendendoli entrambi. Italia rimase quasi stupefatta nel vederli afflosciarsi sul posto, con un gemito da palloncino sgonfio. Fece un salto in avanti per afferrarli entrambi ed evitare che cadendo sbattessero da qualche parte.

“... Dunque, suppongo che Inghilterra non vi abbia avvisato della forza fisica reale di noi nazioni... Imperdonabile mancanza da parte sua, decisamente” Si schiarì la voce, con fare fintamente imbarazzato. Poi lanciò un'occhiata alla stanza ormai vuota alle sue spalle, e al corridoio che si dirigeva verso il piano superiore e alla sua possibile e completamente afferrabile libertà. Restò alcuni secondi a pensarci, poi sbuffando sollevò lo sguardo al cielo, e portando i due ragazzini come sacchi sulle spalle, cominciò a muoversi.





Ormai il pomeriggio, a giudicare dalla luce che arrivava di sbieco dalle alte finestre, era molto avanzato. Il che, considerando la latitudine e il mese equivaleva alle cinque di pomeriggio... quarto d'ora più, quarto d'ora meno. Rose sbattè le palpebre un paio di volte, sentendosi la testa stranamente pesante e umidiccia. Probabilmente aveva battuto la testa negli scantinati, e stava perdendo sangue. Eppure, non era affatto scomoda... Anzi, a parte la sensazione di bagnato non sentiva alcun dolore, da nessuna parte. Non ci sarebbe dovuta essere nemmeno tutta quella luce, ad essere sinceri. E il soffitto invece che essere di mattoni scuriti dalla muffa, era chiaro e decorato da un basso lampadario di cristalli. Molto strano.

Lentamente riuscì a mettere a fuoco tutta la stanza, e finalmente si rese conto di essere stesa sul sofà del salotto di rappresentanza della casa, un cuscino sotto la testa e le gambe rialzate sul bracciolo in legno imbottito, senza le scarpe. Né sua nonna né il signor Inghilterra avrebbero approvato, suppose. Stendersi sul divano in quel modo sconveniente... Voltò appena il capo alla sua sinistra, dove un movimento aveva colto il suo interesse con la coda dell'occhio. Suo fratello, ancora con gli occhi chiusi, si trovava nella sua stessa posizione sul divanetto gemello, e aveva una pesante pezza bagnata sulla fronte che gocciolava lungo la tempia. Alzando la mano scoprì che anche lei aveva la stessa pezza, e così si spiegò facilmente la sensazione di bagnato. Ma chi diavolo lo aveva fatto?


Muovendosi accorta provò a mettersi a sedere, gemendo piano tra i denti stretti. Sul tavolino basso tra i due divani vi erano un paio di bicchieri colmi e una brocca , di quella che si rivelò essere una limonata estremamente dolce. Bevve dei lunghi sorsi, riempendosi nuovamente il bicchiere: aveva la gola riarsa, e il liquido scendeva lungo la gola che era un piacere. Quando finalmente smise di avere le vertigini si alzò in piedi, e infilandosi le scarpe si inginocchiò accanto al fratello, controllando la sua situazione. Anche lui non aveva nessun bernoccolo sotto la pezza rinfrescante, solo un graffio su una mano che era già stato pulito e medicato. Era ancora nel pieno della sua perplessità quando il rumore ovattato di un qualcosa di metallico posato pesantemente sul pavimento la fece sussultare.

Lanciando un'ultima occhiata preoccupata a Jesse lasciò il suo fianco, e preso dal caminetto l'attizzatoio per difesa si mosse lentamente fuori dalla stanza, in direzione del rumore. Arrivò fino alla cucina, e si sporse appena per controllare, stringendo ossessivamente il manico dell'attrezzo come a farsi coraggio in quel modo...


La scena che l'aspettava la prese completamente alla sprovvista, e ci mese parecchi secondi per ricordarsi del fatto che Italia, la nazione che dovevano tenere segregata... aveva vinto la scommessa, ed era virtualmente libera. Quindi, si trovò a sospirare la ragazzina, era stata lei a portarli al piano superiore, sistemarli sui divani e a preparar loro la bevanda zuccherata? Perché, se avrebbe potuto semplicemente approfittare del loro svenimento per scappare da lì?


“Te l'ho detto che non sarei scappata. Ho pur sempre una reputazione da proteggere, da donna d'onore. E poi non vi avrei lasciato per terra in quel letamaio, non lo farei nemmeno col mio peggio... no, ritratto. Ad uno dei miei tanti nemici penso che lo avrei seppellito nella carbonaia...”


Sentire la voce della donna, al momento di spalle e impegnata a gettar carbone nella grossa caldaia di ghisa la spaventò così tanto da farle cadere l'attizzatoio dalle mani, provocando un secco rumore metallico quando questi impattò al suolo. Subito si chinò per raccoglierlo, lo sguardo ancora verso la figura china della donna nella cucina.


“Come... come avete fatto a capire cosa stavo pensando? Sapete anche leggere la mia mente?”


Italia sbuffò passandosi una mano sporca sulla fronte sudata, e voltando il capo nella sua direzione sorrise allegra “No, my dear. Ma era talmente ovvio a cosa stessi pensando che mi è venuto spontaneo rispondere alle tue domande non ancora esposte, non appena mi sono accorta della tua presenza. Comunque” finì di gettare il contenuto del secchio nella fornace della caldaia, poi chiuse lo sportello “Come ti senti ora? Sei ancora decisamente pallida, ti conviene sederti prima di rivenir giù come una pigna. E Jesse, non si è ancora ripreso? Vi ho preparato qualcosa da mangiare, ormai si sarà raffreddata abbastanza per poter essere gustata.” Tirò su appena col naso, poi dalla vasca superiore alla caldaia controllò lo stato del suo contenuto, ummeggiando “spero vi piaccia la panna cotta... è una sorta di budino fatto con la panna e il latte. Di suo non ha un gran sapore deciso, ma accompagnato con lo sciroppo o la confettura è ottima. O anche la cioccolata, ma non sono riuscita a trovare nella dispensa il cacao per poterla preparare...”


Rose seguì il consiglio datole, e trascinando i piedi si avvicinò alle sedie del tavolo, scostandone una per sederci con fare stanco e inelegante. Si, sua nonna non avrebbe affatto approvato, ma al momento si sentiva troppo scombussolata per occuparsi dell'etichetta propria di una signorina dabbene. Appoggiò l'attizzatoio alla gamba del tavolo, e con la mano a reggere il mento, si mise ad osservare i movimenti della donna, completamente a suo agio in quella cucina sconosciuta.

“Cosa state facendo?” Domandò all'improvviso, interrompendo il fiume di parole che provenivano dalla più grande. Che le lanciò uno sguardo allegro, prima di andare a recuperare dei secchi.


“Sto scaldando l'acqua per farmi un bagno. Se non altro l'acqua corrente in casa sembra esserci, ma chiedere anche quella calda direttamente nella stanza da bagno è decisamente troppo... ah, i bei tempi delle terme imperiali. Rubinetti d'oro e acqua calda a cascate... E amena compagnia. Come mi mancano... bé, che c'è?” Italia inclinò appena il capo, osservando incuriosita l'espressione di profondo imbarazzo che si era dipinta sul volto della ragazzina. Una pelle così chiara arrossiva con una facilità disarmante.


“Un... bagno? Volete fare il...”


Italia non capiva: cosa c'era di così imbarazzante nel volersi lavare? Si, sapeva che gli inglesi da quel punto di vista erano decisamente carenti – e il loro pudore era assurdo, tanto che durante l'epoca vittoriana pure i tavoli vestivano, pur di non far vedere le loro gambe – ma lei aveva sempre trovato l'abitudine della pulizia personale se non giornaliera, almeno molto frequente, ottima e salutare. Ricordandosi di quando ancora tutta Europa era sotto il dominio romano, il disuso delle terme e degli acquedotti era una delle (tante) cose che rimpiangeva vivamente nella sua lontana gioventù.


“Si, Rose. Sono sporca e in disordine, i miei abiti sono ridotti anche peggio di me, e la cosa mi disgusta immensamente. Per cui” fissò la ragazza, sempre sorridente, ma facendole capire con lo sguardo che a prescindere dalla sua contrarietà sarebbe andata avanti senza patemi d'animo “mi riempirò la vasca con tutta l'acqua calda che ci entra senza strabordare, ci sbatterò dentro tutti gli oli profumati e le essenze che riuscirò a trovare nella stanza, e mi farò un lungo, corroborante bagno. Ed ho scaldato abbastanza acqua anche per voi due, se voleste approfittarne dopo che avrò finito. Ora, se non ti spiace” Italia sbuffò, e posizionato un secchio sotto il rozzo rubinetto della caldaia lo aprì, cominciando a raccogliere l'acqua fumante “vado a mettere in pratica i miei propositi. La panna cotta è nella ghiacciaia, coperta da un telo. Lo sciroppo è nel pentolino... sentiti libera di servirti, e magari sveglia anche tuo fratello, che un ragazzetto giovane ed in salute come lui non può star svenuto così tanto per una sciocchezzuola del genere...”


Finito di riempire il secchio ne riempì un secondo, sempre nel silenzio sbalordito di Rose che la fissava come fosse un troll uscito da sotto il ponte per andare ad un ricevimento mondano. Riempito anche questo li sollevò entrambi con estrema facilità, e canticchiando passò accanto alla ragazzina le ricordò di svegliare il fratello. Ci mise un pochetto, questa, a far ciò che le era stato detto. Il fatto di sentirla cantare a squarciagola nella stanza superiore l'aiutò a riprendersi, e sospirando l'inglese si alzò dal tavolo, per tirar giù dal divano il fratello e mangiarsi quella roba chiamata panna cotta...



“...Io porto il tuo bacio a Firenze
nè mai, giammai potrò scordarmi te.
Sei figlia d'emigrante,
per questo sei distante,
ma stà sicura un giorno a'ccasa tornerai...”*

Ancora cantando, avvolta da un telo bianco appiccicato al corpo e coi capelli gocciolanti e malamente raccolti sulla nuca, Italia fece la sua ricomparsa nella cucina, con un sorriso soddisfatto sul volto finalmente scevro da polvere e sporco. Salutò i due ragazzini attorno al tavolo – Rose per lo stupore aveva rovesciato mezzo cucchiaio di dolce sul tavolo, mentre Jesse si era fatto una strisciata di sciroppo sulla faccia mancando clamorosamente la sua stessa bocca – e si avvicinò alla dispensa, per aprirla e ficcarci dentro il naso. Ne comparì di nuovo con una bottiglia di vetro scura, dal tappo a corona.

“ah... cielo, il mondo è più bello e ti sorride dopo un bel bagno. Sapete se questa è una birra o qualche intruglio mefitico di Facciada... Inghilterra, per caso?” domandò ai due ragazzi, agitando appena il contenitore mentre l'indicava con l'altra mano.

Si, è una delle birre del signor Inghilterra... ma non ci è permesso toccare troppo in giro, signora” rispose timidamente Jesse, dopo essersi pulito la guancia sporca di caramello “soprattutto i suoi alcolici, dice che siamo troppo piccoli per bere... anche se ho già bevuto la birra, io. Non sono così giovane, ecco”


“Ah, è dunque del signor Inghilterra. Bé, tanto meglio. Adesso è mia. Così impara a voler fregare l'isola Ferdinandea*** a mia sorella, la prossima volta” Borbottò allegramente la donna, e posando il bordo della ghiera di latta sullo spigolo del tavolo, diede un colpo secco di polso sulla bottiglia stessa, facendo saltare via il tappo “Ne volete un sorso?” domandò ai due, che ancora la fissavano. Soprattutto Rose sembrava sul punto di andare in ebollizione, e svenire nuovamente. Dato che non ricevette risposta, si attaccò direttamente al collo della bottiglia per mandare giù a garganella tre lunghi sorsi di liquido maltato e scuro. Allappando poi con la lingua si avvicinò al tavolo e si sedette al suo capo, posando i gomiti sul piano

“Allora... che facevate di solito dopo avermi portato la cena? Anche perché ormai è l'ora... Rose, tesoro. Prendi fiato. Stai diventando cianotica”

La donna nel dire così si sporse verso la ragazzina, sfiorandole la guancia con la punta delle dita. Il contatto parve dare all'altra la scarica elettrica, che saltò sulla sedia balbettando al culmine dell'imbarazzo “Ah! ah... io... devo andare a ritirare la biancheria, ecco! Scusatemi!”


Sia Italia che Jesse seguirono con lo sguardo la veloce ritirata dell'inglese, entrambi perplessi. Poi la donna di rivolse al più giovane, inclinando il capo “Ehm... ho fatto o detto qualcosa di sbagliato? Perché è tanto agitata?” Aggrottò la fronte, poi pensierosa si portò la mano ancora sollevata verso il posto ormai vacante occupato da Rose alle labbra “uhm... è forse preoccupata per quel che potrà dirle Inghilterra? Mi dispiace, ma non dovrebbe. Sono perfettamente in grado di gestire quel caprone.


...


...Spero.”


Jesse, che ancora guardava verso la porta abbassò lo sguardo, tornando a mangiare il rimanente del dolce nel suo piatto “non so, signora. Non l'ho mai vista comportarsi così. Comunque” Cambiò velocemente discorso, tornando a sorridere verso la nazione “è buono questo dolce. Come avete detto che si chiama? Assomiglia al biancomangiare**, ma così dolce e con lo sciroppo è proprio tutt'altra cosa...”


“Pannacotta, si chiama pannacotta. È un dolce tipico della Lombardia, anche se ormai lo fanno in tutta Italia, più o meno... se ti piacciono i dolci italiani, posso fartene altri” Gli sorrise di rimando Italia, il viso poggiato tra i palmi di entrambe le mani. Lo guardò ancora un poco mentre si serviva una seconda porzione del budino, poi sospirando si alzò dalla sedia, sgranchendosi il collo.

“Bene, vado a vedere se riesco a trovare qualcosa di decente da mettermi addosso. Puoi risistemare la cucina quando hai finito di mangiare, Jesse?”


Attese il suo assenso prima di uscire dalla stanza, e con passo leggero salire al piano superiore della casetta, dove ancora aveva dato solo una veloce quanto superficiale occhiata, essendosi quel giorno dedicata solo a rimettere in sesto i due umani, cucinare e studiarsi il piano inferiore. Avrebbe avuto il tempo di ficcanasare con calma... Aprì una porta, che conduceva ad un salotto nascosto dai teli bianchi. Le tende tirate e le imposte chiuse rendevano l'ambiente particolarmente freddo e spettrale, dato che l'unica luce era quella del corridoio che filtrava alle sue spalle. Fece un passo all'interno, alzando una nuvoletta leggera di polvere “E così, non è la sua casa principale... peccato, speravo di trovare qualche notizia calda riguardo i contatti con l'America... beh” sbuffò, richiudendosi la porta alle spalle con fare scocciato “puntavo troppo in alto, mi sa... sarebbe stato un colpo di fortuna mica da ridere, altrimenti.”


Continuò per altre due stanze, che i rivelarono essere camere per ospiti nella stessa condizione del salotto. Da sotto la porta della stanza che aveva usato come bagno, fuoriusciva una lama di luce. E la cosa stupì la nazione, convinta di aver spento la lampada alla sua uscita. Senza pensarci troppo spalancò l'uscio, affacciandosi per controllare.

Preciso come un quadrello le arrivò sul naso un barattolo di latta, che aprendosi con l'urto rilasciò una nebbia di fine talco alla lavanda accompagnato da uno strillo acutissimo che le trapanò i timpani. Non che fosse importante il profumo, alla fin fine, anche perché al momento aveva problemi anche solo a respirare col setto nasale così acciaccato. Gemendo più che per il dolore per lo spavento preso, Italia si portò entrambe le mani al viso e mugolando si accasciò vicino allo stipite, mentre alcune gocce di sangue cominciavano a colare attraverso le fessure tra le dita. Cacchio, altro che ausiliaria. Quella ragazzina aveva un talento naturale come cecchina... meglio non farlo sapere troppo in giro, o se la sarebbe di certo trovata in qualche torretta anticarro contro i suoi soldati.


OH MY GOD! Scusatemi signora, non... non volevo, davvero!” La novella Guglielma Tell, alias Rose si tirò in piedi nella vasca di colpo e coprendosi la bocca spalancata in un'espressione di imbarazzo guardò la donna, gli occhi pieni di lacrime di rimorso “Avevate detto che c'era l'acqua calda anche per noi, e quindi... poi avete aperto la porta e mi sono spaventata... ho preso la prima cosa che mi è capitata sotto mano... non pensavo foste voi... non volevo, non volevo... mi spiace così tanto...”


Italia ci mise un po' a riacquistare la capacità di respirare, anche perché oltre al naso ora cominciavano a farle male anche i polmoni in apnea. Sentiva la faccia pulsarle come fosse infuocata, e aveva anche la vista appannata dalle lacrime. Comunque, sempre tenendo il volto nascosto sollevò una mano, agitandola appena “uhnf... 'do bene, dod è dulla. golba bia ghe zono endrada all'imbrovvizo...” (trad. sto bene, non è nulla. colpa mia che sono entrata all'improvviso. Provate a parlar voi decentemente dopo che un barattolo vi ha colpito il naso)

La risposta non sortì l'effetto sperato, e anzi mise in agitazione ancor più la ragazzina che, bandito ogni pudore saltò fuori dalla vasca per correre verso la nazione. Così, fradicia com'era, sul pavimento di ceramica liscio e coperto di talco.

Ovviamente al secondo passo slittò come avesse sotto i piedi dei pattini da ghiaccio, arrivando in scivolata a gamba tesa verso Italia e buttandola giù dalla sua precaria posizione sui talloni come un birillo, facendola poi rotolare supina fuori della stanza. Così che ora la nazione, oltre a un gran dolore alla faccia anteriore, s'era fatta male pure a quella posteriore, e senza nemmeno capire come s'era trovata a guardare il mondo da distesa. Ruotò appena il capo, e mentre Rose sempre più impanicata continuava a sciorinare scuse e gemiti cercando di issarsi su di lei e tamponarle il sangue dal naso con il telo da bagno – il suo telo da bagno, dato che l'altra era come mamma l'aveva fatta e pure in preda ad una crisi mistica – ormai spalancato vide salire dalle scale la dinoccolata figura di Jesse, che saltava i gradini tre a tre spaventato dalle urla e dai rumori di lotta sentiti dalla cucina, con ancora addosso il grembiule e le maniche della camicia arrotolate sopra i gomiti.


Povero bambino, si trovò a pensare la nazione in un momento di lucidità, sbattuto a calci in culo nella pubertà in questo modo. Di certo l'aver trovato sua sorella nuda che strepitava in mezzo al corridoio a cavalcioni di un'altra donna nuda l'avrebbe segnato per il resto della sua futura vita sessuale.


AAAAAAAHHHHHHHHHHHHHHHH!!!” Urlò il ragazzo, di un grazioso tono di pelle tendente al magenta dal collo in su;


AAAAAAAAAAAHHHHHHHHHHHHHHHHHHH!!!!!” Urlò di rimando la ragazza, accorgendosi della presenza del fratello e anche della propria tenuta adamitica. Nonché della compromettente posizione in cui si trovava.


Zando Dio, era guazi beglio la gandina...” (Trad. Santo Dio, era quasi meglio la cantina...) Mormorò la donna sofferente, mentre cercava di afferrare per tener ferme le mani di Rose nel suo impacciato tentativo di soccorrerla – o di ucciderla del tutto, non lo aveva ancora compreso bene – e al tempo stesso recuperava un briciolo di lucidità. Facendo forza sulle reni si tirò su a sedere, con ancora l'inglesina a cavalcioni su di lei, e usando il telo cercò di coprire entrambe alla vista del quindicenne. Inspirò un paio di volte con una smorfia di dolore, e lasciando che i due finissero di sfogarsi e consumassero tutto il fiato che ancora avevano nei loro polmoni prese tempo per scendere a patti col dolore e coi danni.


Va bene, ora calmi tutti. Non è successo nulla, solo un banale incidente che quando sarete entrambi nonni ricorderete con le lacrime agli occhi per il troppo ridere. Ora” Sbuffò, mentre si leccava una striscia di sangue che dal naso le stava colando sulle labbra “Jesse, ricomincia a respirare e poi torna di sotto e ficca la testa sotto il getto dell'acqua nel lavandino. Poi fatti un'altra porzione di dolce, e abbonda con lo sciroppo. Fidati che funziona. Scattare, ragazzo, scattare!” Per fargli anche più fretta gli lanciò un'occhiataccia, che poi rivolse alle scale dietro di lui. L'inglese, incapace di ragionare di suo accettò l'ordine immediatamente, e voltandosi di corsa si lanciò giù per la scalinata, tanto veloce che la donna temette si fosse tuffato direttamente di pancia verso il piano inferiore. Non sentendo rumori di rotolamenti né di ossa rotte, ma solo i pesanti passi che si allontanavano come avesse avuto il diavolo alle calcagna, sospirò di sollievo. E ritornò a guardare la ragazzina, ora in lacrime di imbarazzo e vergogna, che si copriva il viso con entrambe le braccia.


Rose? Rose, darling... ti sei fatta male cadendo? Hai sbattuto da qualche parte?” Tentò di sviare il discorso su un argomento all'apparenza meno imbarazzante ma evidentemente così non fu anche per l'altra, che uggiolò più forte scuotendo il viso sempre nascosto dietro le braccia. Sebbene non ottenne alcuna risposta se non un mugolio indistinto, anche ad una semplice occhiata Italia vide subito che le ginocchia e i palmi delle mani dell'altra erano rossi ed escoriati. Sospirò, e facendo attenzione cercò di alzarsi da terra senza scivolare di nuovo, tenendo la ragazza tra le braccia come una bambina. Evitando accuratamente di calpestare la mistura micidiale d'acqua e talco che si era formata, rientrò nella stanza da bagno e fece sedere Rose su uno sgabello, per poi posarle un telo sulle spalle e coprirla. Sorrise gentilmente al suo volto nascosto, e si girò per prendere acqua pulita e delle pezze, così da rinfrescarle le ferite. Non riuscì a fare un paio di passi che sentì il telo che aveva risistemato alla bell'e meglio aprirsi di nuovo e scivolarle di dosso, trattenuto da qualcosa dietro di lei. Ruotando il capo per guardarsi oltre le spalle, trovò la mano della ragazza tesa in avanti ad arpionare il telo di lino come a volerla bloccare, mentre questa tratteneva il respiro e stava col volto basso, rossa come un peperone.

“Io... mi dispiace, davvero. Dovrei essere io ad occuparmi di voi, e invece combino guai uno dietro l'altro e alla fine siete sempre voi che vi occupate di me. Mi vergogno così tanto...”


Cielo. Gli esseri umani quando ci si mettevano erano incredibilmente, assurdamente, terribilmente... teneri. La nazione si trovò a fissare dall'alto in basso la ragazza seduta sullo sgabello, con persino il cuoio capelluto sotto i capelli color sabbia arrossito. Emetteva vapore, da quanto era in escandescenza... Lentamente le si inginocchiò davanti posando le mani sulle sue cosce, e avanzando col volto la costrinse a contraccambiare il suo sguardo. Aveva ancora il naso rosso per la botta e una scia secca di sangue che le arrivava fino al mento, ma sorrideva e non mostrava più segni di dolore fisico.

Rose... non ti preoccupare, davvero. Questo corpo che hai davanti, non è niente altro che un oggetto. Mi faccio male, ma non è mai nulla di grave... ecco, guarda” ruotò appena la mano sinistra, così da mostrarle il dorso e le nocche. La mattina stessa lo aveva ferito a suon di pugni sul legno tanto da strapparsi la pelle e mostrar quasi le ossa sotto, ma ora non c'erano rimasti altro che lievi graffi ed un blando arrossamento “Sono resistente, molto più di un qualsiasi essere umano. A meno che la mia nazione non sparisca, e anche in quel caso potrei comunque sopravvivere in virtù della memoria dei popoli, sono praticamente immortale a prescindere da quel che possa accadermi. Non sono io quella che deve essere curata ora, ma tu” e così dicendo abbassò lo sguardo alle ginocchia sbucciate della ragazza, strette assieme in una morsa pudica.


Anche a ripensarci, la donna non seppe dire quale istinto la portò a chinare il viso fino a sfiorare la pelle tremante di Rose. Semplicemente lo fece, lo sguardo perso nel vuoto, e le labbra che delicate si posarono sulla carne graffiata, ad assaporarne il sapore del sangue. Un tocco inizialmente timido, per poi prolungarsi in un contatto più approfondito fino a passare anche la punta della lingua sulle escoriazioni con delicati colpetti o più evidenti passate. Sentì chiaramente la ragazza fremere, e quando alzò gli occhi la vide fissarla con espressione tesa e spasmodica, rossa di imbarazzo, quasi in lacrime. Spaventata? Forse, ma non c'era solo quello come motivo dietro al suo mordersi il labbro inferiore... Lentamente le prese le mani, fino a quel momento strette ancora sul telo da bagno a stringerselo addosso, e forzandola delicatamente la costrinse a porgerle i palmi bollenti e arrossati. Tremava come una fogliolina, Rose... ed era bella. Incredibilmente bella e appetitosa. Le sorrise maliziosamente, occhieggiandola da sotto le lunghe ciglia scure, prima di avvicinare le mani aperte al suo viso e di nuovo baciare dapprima con delicatezza, poi sempre con più trasporto ogni singolo centimetro di pelle.

Non si limitò ai palmi. Ogni dito, sia singolarmente che assieme alle altre venne baciato dalla radice alla punta, leccato, succhiato e accarezzato, lambito dalla lingua e dalle labbra della donna come fosse una succulenta stecca di zucchero.

La sentì gemere. Non fu un verso strozzato o nascosto, era proprio un gemito lungo e di gola, sentito. La ragazza ora aveva gli occhi chiusi, le labbra semiaperte e il fiato corto e rapido, mentre il corpo intero tremava e si contraeva sullo sgabello come presa da minuscole scosse elettriche. Per oggi... poteva bastare.


Senza lasciarle le mani si alzò in piedi, rimanendo chinata sopra di lei. Rose quando si accorse del movimento spalancò gli occhi, trovandosela a nemmeno un centimetro dal suo viso, e se possibile arrossì ancora di più, raggiungendo temperature da altoforno.


Nella mia terra, si dice che un bacio guarisca tutte le ferite” Sussurrò Italia, melliflua. Poi alzò appena il volto per lasciarle un bacio a stampo sulla fronte, prima di staccarsi da lei e recuperare il telo caduto riavvolgendoselo addosso.

“l'acqua nella vasca si sta raffreddando... ti conviene finire velocemente il bagno e poi andare a riposare, Rose. È stata una giornata intensa per tutti, oggi... Lieta notte, e sogni d'oro”


Un'ultima occhiata di traverso, con gli occhi d'ambra che risplendevano alla luce tremolante delle candele, prima di voltarsi ed uscire dalla stanza richiudendosi la porta dietro di lei. Da dietro il legno sentì di nuovo Rose gemere, stavolta incipit di un pianto liberatorio, e sorrise tra sé e sé: si, rimanere a scrocco di Inghilterra era stata una mossa decisamente interessante...



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* Italia sta cantando un famosissimo (al tempo) brano di Odoardo Spadaro del 1937, "Porta un bacione a Firenze". Molto adeguata, visto che parla di una emigrata che sogna di tornare alla sua città natale, per l'appunto Firenze.

Anche se ora non è più molto conosciuto, al tempo il cantautore era una vera e propria celebrità internazionale, avendo lavorato a lungo a Parigi come cantante e fantasista nel Moulin Rouge e avendo fatto anche una fortunata tournée in America sia settentrionale che meridionale, e in Africa settentrionale. Immaginatevi i cantanti di oggi come quelli che escono da Amici o X-Factor che vigliacco me ne ricordassi mai uno... ecco, lui relativamente alla possibilità di distribuzione delle sue opere al tempo, come importanza a livello di fama dava loro non due, ma tre o quattro giri. 


** L'isola Ferdinandea è praticamente la cima di un vulcano sommerso, nella zona che si trova tra Sciacca e Pantelleria, nel canale di Sicilia. Solitamente è sommersa e la sua punta più alta rimane sotto il pelo dell'acqua per circa sette/otto metri, ma nel 1831 per via di una eruzione fece la sua comparsa trasformandosi in un'isola calpestabile. In barba al fatto che si trovasse nelle acque territoriali del regno delle due Sicilie e quindi fosse di proprietà dei Borboni, l'Inghilterra per estendere il suo dominio nel mediterraneo se ne appropriò rivendicandola come Graham isle secondo la legge marittima della "insula in mari nata", cioé isola nata dal mare. In parole povere, il primo che ci arriva se la piglia. Ci provò anche la Francia, dandole il nome di isle Iulia, perché non s'è mai visto che in qualcosa fatto da Inghilterra, Francia non ci metti il becco. Comunque la disputa tra le tre nazioni durò poco: nei primi mesi del 1832 l'isola, già corrosa dalla marosi, si inabissò del tutto tornando alla sua altezza solita sotto la superficie del mare.

ps. da quando conosco il fumetto Hetalia, mi immagino Inghilterra che pur di mantenere il diritto di proprietà su quel pezzo di roccia resta in apnea a sette metri di profondità, e la cosa mi diverte alquanto u.u


*** Il biancomangiare, o blancmanger, è un impasto dalla consistenza morbida di origine medievale (si suppone francese per via del nome con cui era conosciuto in tutta Europa) la cui peculiarità è data dall'avere all'interno solo ingredienti bianchi, per indicarne la purezza e il valore ascetico (era uno dei pochi cibi che i nobili si potevano concedere pubblicamente durante la quaresima. I poveracci, stavano a digiuno e zitti). Si preparava con carne bianca o pesce sminuzzati e cotti nel lardo e nel latte di capra, di mucca o di mandorle. Nà schifezza, insomma. Decisamente meglio quello odierno fatto con latte e mandorle, tipico della Sicilia, o la pannacotta.



Angolo del perché e del percome (Che nessuno aveva richiesto)


Ed ecco che finalmente avviene l'inciucio! O meglio, una sorta di inciucio. Un preludio, diciamo così... con un'inglese, per cui tecnicamente ho la coscienza in pace. Il mio lavoro di shipper l'ho fatto. Si, lo so che non era l'inglese che ci si aspettava, ma questo passava il convento U.u

Ok, scherzi a parte. La carne è debole, e la prigionia forzata istiga certi appetiti. Jesse è un ragazzino da pedobear (virtualmente anche Rose lo è, essendoci tra le due qualcosa come... una venticinquina e passa secoli di differenza d'età), quindi su qualcun altro toccherà pur sfogare i bollenti spiriti, no? E poi, anche alla fanciullina non sembra che la cosa dispiaccia...

Ho aggiunto nei disclaimer il tipo di coppia shojo-ai, ma metti che mi gira un giorno la porcaggine finiamo nello yuri. Si sa mai...

Ammetto di aver riso come una cretina mentre mi immaginavo la scena del bagno. Ed è brutto che rida per una cosa che ho scritto io. Ah, la demenza senile che incombe...

Come al solito ringrazio chi ha recensito (kesese_93), chi ha messo tra preferiti-seguiti-ricordati, e chi ha solo letto. Ora torno a drogarmi di nonsimangia, che mi è appena arrivata la spedizione della Lush e quel dannato sapone è trooooooppo buono.

Al prossimo capitolo, torna il padrone di casa : )


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Capitolo 5
*** 5. Ospite in casa propria ***


5. Ospite in casa propria



Inghilterra era perplesso.

Erano passate già più di due settimane e mezzo da quando aveva preso "in prestito" Italia alle potenze dell'Asse, eppure questi non si erano fatti sentire. Non una parola, non un cenno. Rien du tout, come diceva la rana*. Certo, considerando il livello di confusione abitualmente creato dalla procace mediterranea poteva ben capire che le altre due nazioni si stessero godendo una minuscola pausa rilassante per i loro nervi, ma che l'avessero abbandonata al suo destino proprio non gli quadrava. Già il cane muso giallo** gli era sempre sembrato il tipo che avrebbe preso un attacco a un compagno come un'offesa personale, quindi il suo silenzio stampa a tal riguardo risultava sospetto. Ma Germania... insomma, quel tipo era in grado di farsi centinaia, migliaia di chilometri solo per allacciarle le scarpe arrivando persino in Africa; Inoltre da come ogni tanto l'aveva beccato a fissarla di nascosto, si capiva lontano un miglio che il mangiapatate palestrato avrebbe fatto il giro del mondo in ginocchio per lei - ma non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, neanche a se stesso. Alla faccia del cameratismo.

Non che non lo capisse. Tutti loro, almeno una volta nella vita, avevano pensato a come sarebbe stato farsi un giro in Italia. In senso metaforico e letterale.

... magari anche più di una volta, ad essere onesti.

Davvero gli riusciva impossibile pensarlo rilassato ad arrostire salsiccie mentre sapeva che la sua bella era in pericolo tra le sue grinfie.





... Perché lo sapeva, vero?





Suvvia, la lettera di riscatto che aveva scritto era, seppur arguta e sibillina, chiaramente comprensibile in ogni sua parte. Era partito con un paio di battute, qualche presa per i fondelli ai tre che si erano lasciati fregare dalla sua spettacolare intelligence, una descrizione sommaria - mica poteva svelare i suoi trucchi del mestiere - di come aveva scoperto la tana della donna e di come l'aveva messa in saccoccia. E poi l'indizio per una spettacolare caccia al tesoro. Che alla fine li avrebbe portati in trappola, altro che nel suo covo. Mica era scemo, lui (e comunque non glie l'avrebbe restituita a prescindere, dopo la fatica che aveva fatto per prendersela).

Davvero, quando ci si metteva era un dannato poeta, anche nella compilazione delle lettere minatorie anonime. Si vedeva che il dono della scrittura era una dote innata del popolo anglosassone.

Si, perché lui tutto quel popò di roba l'aveva scritto in un inglese dotto, fluido ed elegante, usando uno stile persino un pò barocco, come ai cari e bei vecchi tempi in cui le cose importanti si compilavano con l'inchiostro in boccetta e la penna d'oca, mica stà roba moderna come le penne a sfera che si rompevano e gli macchiavano sempre il taschino della giacca.

Non per vantarsi, ma come scriveva lui le bolle di corsa non le scriveva nessun'altro.



Un lettera scritta.

In inglese.



E l'aveva lasciata al custode, un vecchio contadinotto analfabeta che molto probabilmente aveva difficoltà a compitare la parola capra (ma che da come lo aveva fissato a lungo e con astio stringendo il manico della vanga, era con tutta probabilità bravissimo a maneggiare un randello).



Shit.



Questo era meglio non farlo sapere al signor Winston***. In fondo, non è che uno può essere intelligence 24 ore al giorno, sette giorni alla settimana, no? Ogni tanto scappa di essere anche un pò idiocy.


Se non altro Italia questo non lo sospettava. Avrebbe comunque potuto maltrattarla un poco facendole credere che i suoi tanto adorati amichetti stavano meglio senza di lei, e nonostante il tempo passato non avevano ancora mosso un dito per cercarla. Il che era sostanzialmente vero, ma c'è una differenza abissale tra la motivazione "lo sanno ma non ti cercano" e "non lo sanno perché sono un coglione".

No, meglio tacere sui particolari scabrosi della vicenda, e soffermarsi su quelli piacevoli... si sarebbe messa a piangere? Adorava quando gli altri stati, tiranneggiati, scoppiavano a piangere. gli dava un gran senso di potenza e lo riportava indietro ai fasti del suo periodo imperiale... Si, magari non stava proprio bene comportarsi a quel modo con una donna, ma del resto non era una vera e propria donna, no? Era una nazione, che solo incidentalmente si trovava dentro il corpo di una donna. Di un gran bel pezzo di donna, lo ammetteva. Ma non era quello il punto.



Il punto della situazione al momento era "perché quella che dovrebbe essere imprigionata nella cantina, magari disperata e in lacrime, se ne stà bella tranquilla in cucina a chiaccherare con quelli che dovrebbero essere i suoi carcerieri mentre tira la sfoglia?"

Oibò, questo non se lo aspettava proprio. Quando entrando senza far troppo rumore, impegnato a pensare come rigirare il piccolissimo contrattempo (era sulla buona strada... già stava minimizzando il problema. Un altro paio di ore e non ci sarebbe rimasta più traccia nella storia di questo fatto. Ah, che bello avere il controllo dell'informazione...) in qualcosa di conveniente per lui, si era trovato di fronte questa scena. Che di suo era quasi banale nella sua normalità: una donna che cucinava e due ragazzi che l'aiutavano.

Peccato la donna in questione fosse Italia, che al momento avrebbe dovuto trovarsi rinchiusa a doppia mandata un piano sotto a questo, mentre i due ragazzini si supponeva fossero i suoi aguzzini. Bé, aguzzini era una parolona decisamente forzata, almeno a guardarli. Un soldatucolo alle prime armi e sua sorella ausiliaria... Come si chiamava? Rosa, gli pareva di ricordare. Jesse e Rosa, si...

Grande spirito di sacrificio e di dedizione alla causa, per carità. Alla loro età avrebbero ancora dovuto giocare a nascondino e a mosca cieca, non certo imbracciare un fucile o assistere ad amputazioni ed estreme unzioni. Ma la situazione era quella che era, e di tempo per i balocchi non ce n'era più per nessuno. Loro almeno erano relativamente al sicuro, in quel paese a far da balia alla nazione ostaggio.

Anche se al momento, sembrava fosse la nazione mediterranea a far da balia a loro due. Voltatasi solo per un istante a guardarlo, con totale disinteresse era poi tornata al suo lavoro di stesura della sfoglia, che al momento le premeva molto più che il suo arrivo nella stanza. Non si era nemmeno degnata di fare una faccia spaventata, colpevole o anche solo scocciata. No, l'aveva guardato come se fosse entrato nella cucina il gatto di casa, magari miagolante per la fame. Doveva aspettarsi una ciotola di latte, forse?

"Jesse, the sauce..."

La sentì apostrofare al ragazzo, che invece - come la ragazzina e lui stesso, del resto - era rimasto imbambolato e incapace di spiccicar parola. Richiamato all'attenzione come se avesse preso la scossa, il giovane inglese si era ripreso ed evitando accuratamente di incrociare nuovamente il suo sguardo era tornato a rimestare nel tegame di coccio sulla stufa, con anche troppa enfasi per uno che non se la stava facendo addosso. E faceva bene a farsela addosso. Che diavolo stava succedendo in quella dannata casa?

"... si può saper-"

Inghilterra non fece in tempo a finire l'esclamazione, dopo aver recuperato l'uso della favella, che la donna lo aveva bloccato parlandogli sopra, a voce tranquilla seppur chiaramente udibile. Parlava in italiano, così che per la maggior parte del discorso sarebbe stata incomprensibile ai due umani nella stanza. O almeno così pensava lui.

"Prima che tu ti metta a sbraitare come una gallina costipata" sbuffò "sappi che se sono qui fuori è solo ed esclusivamente colpa tua. Non mi hanno liberato loro, per cui evita di prendertela con questi due ragazzini. E passami quella ciotola con la farina, visto che sei qui renditi utile"

Forse era il tono con cui aveva dato quell'ordine, ma lo prese così in contropiede che si trovò a posare la ciotola accanto alla spianatoia, dove le aveva indicato, senza nemmeno rendersene conto. Si schiarì la voce con imbarazzo, prima di fare due passi indietro, e cercando di riottenere un briciolo di dignità sedersi su una panca a muro, a braccia incrociate e caviglia destra posata sul ginocchio sinistro.

"allora, cos'è questa storia dell'andare a spasso fuori dalla tua cella? "strinse le sopracciglia, che per un effetto ottico divennero ancor più cespugliose del solito "cosa diavolo hai detto a questi ragazzini, per convincerli a liberarti?"



"Sò essere molto convincente, quando voglio. Comunque sia loro non c'entrano nulla, non dare ad altri la colpa della tua idiozia" rispose l'altra nazione, continuando a spingere con buona lena sul mattarello. Dove diavolo aveva trovato un mattarello nella sua cucina, piuttosto? Era sempre stato lì? Aveva sempre avuto un mattarello e non lo sapeva? ... Era sempre stato così interessante e ipnotico il movimento dei fianchi di chi stende la sfoglia?


Forse cominciava a comprendere l'amore degli italiani per la pasta. Giusto un pò, eh...


"Non mi sembra tu sia nella posizione adatta per poterti concedere un simile tono con me, donna. E ancora non mi hai risposto. Come sei uscita? Perché non ne hai approfittato per scappare?" Ecco, era meglio pensare ad altro. Come mai stava ancora qui? Fosse stato in lei sarebbe fuggita non appena ne avesse avuto l'occasione, in barba a tutto e a tutti. Invece, a giudicare da come i tre si comportavano non era nemmeno il primo giorno che la donna girava liberamente per casa. Casa SUA, come la sua dispotica e oltraggiata mente ci teneva particolarmente a sottolineare. Aveva ficcato il naso in fatti che non le competevano? Era per questo che era rimasta, per fare controspionaggio? ... Seh, molto furbo fare controspionaggio così. Facendosi beccare con le mani in pasta, nel senso letterale del termine.


"Secondo te, anche fossi scappata dove sarei potuta andare? siamo su una fottuta isola in mezzo a un fottuto oceano, e anche diventassi una nuotatrice tanto brava da farmi la Manica a braccia mi troverei comunque da quel porco di mio cugino*. E poi grazie a qualcuno non ho abiti di ricambio degni di essere chiamati tali né soldi, mi sarei solo che cacciata in un problema ben peggiore, veh. Meglio star qui e studiare ancora un pò la situazione, a questo punto..."

Bé, non faceva una grinza come ragionamento. Effettivamente non è che lui si fosse preoccupato di farle la valigia, per il tour dei castelli inglesi.

Aspetta. Non aveva altri vestiti? ma allora che diavolo stava indossando sotto il pesante grembiule lungo fino ai piedi? Era qualcosa di bianco, e lui si ricordava benissimo che indossava un abito verde. Di foggia antiquata, accollato, lungo fino ai piedi... Verde. Ed ora... una camicia, ecco cos'era. Una camicia e un paio di calzoni scuri. Eppure, sotto il vestito non aveva certo i calzoni, né una camicia. Se non ricordava male aveva una sottoveste rosa antico, ricamata...

Ed ora non state a chiedere come facesse a sapere cosa la donna quel giorno indossasse sotto i vestiti. Notizie di natura strategico-militare, su cui è stato apposto il vaglio della censura.

"Quanto all'essere uscita da sola dalla mia prigione" riprese la donna, alzando lo sguardo dalla sfoglia, ormai tanto larga da non entrare più sulla spianatoia, e sporgere per un buon terzo oltre il bordo del tavolo. Posò il mattarello a lato, e mentre ripiegava la pasta su sé stessa disse "la prossima volta che vuoi rinchiudere qualcuno in una stanza, oltre che preoccuparti di montare catenacci e blocchi sulla maniglia, pensa anche che la cosa funziona meglio se i cardini della porta non danno verso l'interno della stessa stanza... E scusa se mi concedo nuovamente questo diritto, ma te lo meriti: imbecille" cinguettò amabile come un clistere al peperoncino, sbattendo le lunghe ciglia. Probabilmente anche i due ragazzini avevano capito che lo stava bellamente prendendo per i fondelli, visto che guardavano ognuno in una direzione diversa, rossi in viso, e trattenevano disperatamente una risatina isterica. Maledetti marmocchi, dov'era finito il rispetto per le persone anziane?

Li guardò entrambi male. Peccato non stessero ricambiando lo sguardo, così la splendida occhiataccia di riprovazione andò completamente sprecata. Bè, si sarebbe appuntato di ripeterla più tardi, in modo di prenderli alla sprovvista.

... No, ferma tutto. Cos'era questa storia dei cardini? Lo stava prendendo in giro. Lo stava sicuramente prendendo in giro... L'uomo si alzò di scatto, per poi uscire di corsa dalla cucina. Fece praticamente le scale per il seminterrato quattro gradini alla volta, e giunto di fronte alla cantina strinse gli occhi, per osservarla nella tremula luce proveniente dalle scale.

Shit. Shit. Storm of shit. Due minchiate nella stessa giornata erano un record da segnare sul calendario.

All right, stavolta la presa per il culo se l'era davvero meritata. Non aveva affatto considerato il fattore cardini quando aveva deciso di sbatterla nella cantina... aveva solo pensato a bloccarne la serratura. E di certo non la credeva tanto acuta da notare una cosa simile.

Và bene, al momento aveva perso una battaglia, ma la guerra era ancora lungi dall'essere conclusa. E un fiero inglese sputa l'anima prima di arrendersi, che lo imparasse bene l'italiana...

Sbuffò pesantemente, e tornò con passo da funerale al piano di sopra. Lanciò un'occhiata di tralice alla donna italiana – che non lo degnò di mezzo sguardo – e masticando fiele si rimise a sedere sulla cassapanca occupata prima, spalle al muro e braccia incrociate, mentre il ritmico rumore del coltello batteva sulla spianatoia in legno. Ora che avevano smesso di parlare sembrava che i tre occupanti della cucina si fossero di nuovo dimenticati di lui, e avevano ripreso a muoversi attorno al grande tavolo. La piccoletta con i codini, ne stava apparecchiando un angolo. Ma nonostante avesse preso quattro stoviglie, sembrava perplessa sull'eventualità di sistemarle tutte quante, e saltava ora con lo sguardo ceruleo da una nazione all'altra, in attesa di ordini. Il fatto che però guardasse più la donna che lui lo infastidì un poco.

La tolse dall'imbarazzo la donna, che ormai pareva aver preso possesso di quella cucina. Della SUA cucina. Come era mai possibile che appena un italiano toccava qualcosa riusciva a farci la tana e diventarne familiare più del vero proprietario? Aveva quasi la sensazione fastidiosa di essere LUI l'ospite arrivato senza alcun preavviso a scombussolare il normale fluire della vita domestica.

"Dato che ci sei, ti unisci per la cena? Tagliatelle con ragù di lepre e funghi e sformato di verdure... a proposito. Jesse, come và con il sugo?" Domandò al ragazzo ancora davanti alla stufa, che col volto concentrato continuava a rimestare nella pentola.

"All right, i suppose. The scent is yummy" le rispose il ragazzotto in questione, senza alzare lo sguardo dal suo lavoro, come se ne valesse una medaglia al valore.



"... ti sei ambientata bene, vedo. Anche troppo, per i miei gusti. Dov'è finita l'Italia piagnona che non sà allacciarsi le scarpe da sola? Ne sento quasi la mancanza... " Brontolò appena l'uomo, alzandosi dalla sua postazione per andare ad verificare se davvero quella brodaglia era appetitosa come il marmocchio decantava.




...Fottuta miseria, se lo era. Faceva tranquillamente concorrenza alla roba del barbetta*. Eppure, non ci aveva messo dentro nulla che lui non utilizzasse solitamente per cucinare, a giudicare da quel che vedeva lì dentro o nei resti dentro al lavello. E allora perché quello che faceva lui aveva di solito la consistenza dell'argilla ed un sapore molto simile?

I suoi dubbi amletici vennero interrotti dall'avvicinarsi dell'altra nazione, che tenendole tra le mani come un nido di paglia riversò nell'acqua bollente le tagliatelle appena allunghate.

"Chissà, forse si è stufata di mangiare tutti i santissimi giorni pappa d'avena e pudding tiepido dal sapore sospetto. Che per carità, confronto a quel che cucini te personalmente è pur sempre alta cucina, ma... è troppo pesante" L'uomo sbuffò scocciato, lanciandogli un'occhiata di traverso che lei evitò con noncuranza mentre rigirava la pasta con un forchettone "Secondo me voi anglosassoni avete un caratteraccio simile perché mangiate male. Troppo grasso, troppa carne e troppo zucchero. Troppo poco pane, pasta e verdure fresche. Se poi ci aggiungiamo i litri di birra... Vi và in pappa il cervello. Poi ci credo che siete incazzati col mondo intero, con la sbobba che vi sorbite****. Rose, my dear. Puoi prendere un piato di portata, please?" Dear God, come si vedeva ora che era parente stretta della rana*; qualsiasi cosa potessero dire o fare per confutare la sua ipotesi, veniva stracciata immediatamente. Quel piglio supponente mentre prendevano in giro la sua cucina era inconfondibile, a prescindere dalla faccia di provenienza. Simpatici come una forchettata sui gioielli della corona, entrambi.



"Si... si vedono i risultati della tua salutare e leggera alimentazione, invece" girandosi per avvicinarsi al tavolo, non mancò di darle una pacca sul sedere che la fece sobbalzare appena, e si trovò a sorridere sotto i baffi quando la sentì imprecare a denti stretti in qualche ignoto dialetto appenninico. Ben le stava, in fondo era solo un'ospite nemmeno ben voluta. Anche se si trovava lì per una sua macchinazione. Anzi, senza alcun dubbio la donna avrebbe voluto essere in qualsiasi altro posto tranne che accanto a lui, ci avrebbe scommesso una scorta di té per un anno.

C'è da dire che lui non avrebbe fatto nulla per farla sentire più a suo agio. E la sua ricordata somiglianza con Francia gli aveva fatto venire voglia di darle il tormento, tanto per. Italia doveva solo che ringraziare la presenza dei due marmocchi, o avrebbe fatto di peggio. Molto peggio...



Si sedette con studiata lentezza a capotavola, mentre i tre erano affacendati chi a condire la pasta (e a brontolare, ancora. Cielo, quando iniziava sembrava una teiera in ebollizione. E ogni bolla era un'imprecazione nemmeno troppo velata diretta alla sua augusta persona, poteva scommetterci), chi a tirar fuori lo sformato dal forno, e chi a recuperare una bottiglia di birra e la brocca dell'acqua. Sospirò appena, socchiudendo gli occhi, e accavallando le gambe al di sotto del tavolo lasciò che il bacino scorresse sulla seduta fino ad essere coperto completamente dalla tovaglia. Una posa artisticamente svogliata e snob, ci aveva messo decenni a perfezionarla in modo che sembrasse abbastanza raffinata e al contempo nascondesse quello che stava realmente pensando. Perché non sarebbe mai apparso abbastanza svogliato e snob con la patta dei calzoni gonfia.







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* Francia, parliamo sempre di lui. Com'è come non è, stà sempre in mezzo. E suppongo nemmeno gli dispiacerebbe poi troppo stare in mezzo a questi due. Comunque in Italia c'è un detto, “se i francesi sono nostri cugini, allora babbo ha litigato con suo fratello”. Ci stà come il cacio sui maccheroni.

** Ora so che lascerò perplesse molte lettrici che leggono Hetalia e magari si basano su questo per i vari collegamenti tra le nazioni: ma nonostante nel fumetto (e in quasi tutte le fanfiction & doujinshi in giro) America, Inghilterra e Giappone si vogliono un gran bene e sono degli amiconi sempre pronti a far baldoria, nella realtà della seconda guerra mondiale gli anglosassoni e ancor di più gli americani che vedevano i tedeschi come avversari alla pari e nonostante tutto trovavano gli altri paesi europei in conflitto degni di rispetto civico - seppur non si fecero alcuno scrupolo nel distruggere e bombardare a tappeto anche città considerate di nessuna importanza militare, al fine di raggiungere la distruzione militare, economica e politica degli avversari - avevano invece una grande avversione che spesso sfociava in palese razzismo per i giapponesi (non che i nazisti li vedessero meglio, anzi. Ma gli facevano molto comodo come alleati e soprattutto se ne stavano dall'altra parte del mondo. Se avessero vinto la guerra, ci avrebbero pensato poi a un pò di "sana" pulizia etnica anche da quelle parti...). La propaganda bellica insegnava sia ai soldati sia a chi rimaneva a casa di non considerarli neppure alla stregua di esseri umani, tale era il senso di superiorità dei “bianchi” verso gli asiatici e l'odio verso i traditori (fino a quel momento, le tre nazioni avevano avuto buoni rapporti di tipo politico e commerciale). Da qui il famoso detto “cane muso giallo”. Già, non se lo sono inventati gli sceneggiatori di Hollywood per fare scena.

*** Winston Churchill, il primo ministro inglese durante la seconda guerra mondiale. Detto anche il signor "lacrime, sudore e sangue" dagli amichetti.

**** In realtà, sembra che l'alimentazione di sopravvivenza inglese durante la seconda guerra mondiale fosse una delle migliori in Europa. Forti dell'esperienza maturata durante la Grande Guerra l'Inghilterra non si fece trovare impreparata, e riuscì a mantenere una certa capacità di approvvigionamento – soprattutto dalle colonie asiatiche e dai paesi sudamericani – in grado di offrire un adeguato supporto di cibo alla popolazione. Inoltre, grazie alla filosofia pragmatica "in ogni aiuola, un orto" sembra che durante la guerra fosse paradossalmente il periodo in cui l'alimentazione Inglese fu la più bilanciata e salutare di tutto il ventesimo secolo (e anche di tutti gli altri secoli; la cucina anglosassone non è mai stata una dieta considerata troppo salutare. Troppo grasso, troppe proteine e troppi zuccheri semplici a fronte di troppe poche verdure fresche e carboidrati. Per cui, pur avendo dei buoni ingredienti dubito riuscissero a cavarne qualcosa di decente, considerando la loro abitudine di coprire tutto con salse improponibili e accostamenti a dir poco azzardati. A chiunque mi verrà a dire che a Londra non si mangia affatto male vorrei ricordare che la suddetta città è un melting pot di razze e popoli, e della vera cucina inglese c'è rimasto poco o nulla. Assaggiate invece un pasticcio di rognoni e cervella con la salsa ai mirtilli, poi ne riparliamo. Però i dolci sono buoni).

Piccola chicca: tra i tanti motivi per cui l'America entrò nel conflitto contro la Germania e con l'Italia fu anche perché i sottomarini tedeschi assieme alle navi mercantili inglesi ne affondarono parecchie americane, disturbandone l'economia estera (fino a quel momento, la presenza degli USA nel conflitto europeo era stato unicamente di supporto per le forze anglosassoni). Oltre che, ovviamente, perché non appena i Giapponesi attaccarono Pearl Harbour gli americani dichiararono guerra al Giappone, e Hitler dichiarò guerra a loro. Si fosse fatto una esuberante padellata di fregnacce sue la storia sarebbe andata in modo mooolto diverso. Invece così servì a Roosvelt su un piatto d'argento la scusa che aspettava per aprire il fronte anche in Europa, dato che prima non avrebbe mai potuto avendo contro l'opinione pubblica americana. Ebbe così il diritto di impicciarsi nelle questioni europee e di arginare la potenza comunista dell'Unione Sovietica, mostrando al mondo chi sarebbe stata la vera potenza militare da temere lì in avanti.

Eroe un par di palle, Alfred. Tsé.





***Angolo del perché e del percome (che nessuno voleva)***

Ed eccoci al quinto capitolo! Stavolta, visto dagli occhi di Inghilterra. Cominciava a mugugnare troppo nell'angolino, dato che tecnicamente è il coprotagonista ma è comparso fino ad ora... poco, molto poco. Praticamente mai.

Sei felice ora, Iggy? hai un intero capitolo per mostrare al mondo quanto sei imbecille!

E arrapato. Come ho detto in precedenza, ancora non ho deciso se tra i due succederà mai qualcosa (molto probabilmente si, gli inglesi assieme ai loro amichetti americani ci sono andati giù pesanti con le bombe, prima che l'Italia si alleasse con loro rinnegando il fascismo. Cosa che, vista in chiave di lettura hetaliana risulta essere molto meno orribile e crudele ma molto più porcellosa. Siccome io però dello stile Hetaliano me ne frego, penso mi terrò le bombe e lascerò perdere gli assalti alle regioni vitali, spostando il rapporto più ad un livello "umano" che di relazione tra stati (Anche perché l'Inghilterra non amava affatto l'Italia, anzi. E pure alla fine del conflitto l'ha sempre vista come una nazione perdente, e mai come una nazione liberata come invece la considerarono gli americani. Figo, ho aperto una parentesi dentro un'altra parentesi). E poi c'è pur sempre Rose di mezzo). Ma questo poveraccio ha ancora il diritto di farsi i suoi viaggi mentali, in fondo. Lasciamoglieli fare e vediamo come va.

Angolo della curiosità. Quando Arthur parla degli italiani che dove arrivano fanno la tana... bé, sad but true story. Conosco italiani - come mio padre e i suoi amici, senza dover andare troppo lontano - che dopo una settimana di vacanza in Borgogna riuscivano a descriverla ai francesi, aggiungendo con piglio da agronomo professionista consigli su come un certo tipo di potatura avrebbe portato vantaggi a quel filare di vite piuttosto che ad un altro. Il tutto in un mezzo italiano/francese/qualcos'altro inventato sul momento. E questi gli davano pure ragione (io nel frattempo facevo finta di essere la figlia di una coppia scozzese che soggiornava nello stesso agriturismo, per la vergogna. Peccato mi sgamavano subito, dato che lo scozzese non lo capirei manco con un traduttore accanto a spiegarmelo mooolto lentamente, figuriamoci a parlarlo). Quando si dice che in ogni italiano vive un piccolo allenatore, si è riduttivi. Non ci limitiamo al solo calcio, noi. Spaziamo in tutto lo scibile umano e non.

Nel mentre mia madre aveva scambiato il numero di telefono e la ricetta del brodetto all'anconetana (che è una zuppa di pesce marchigiana in cui si butta dentro mezzo Adriatico, sub incauti compresi, ed è la fine del mondo. Come poi questa ricetta possa interessare alla popolazione di una provincia che il mare lo vede solo con Google Earth, non è dato saperlo) con metà del paesino in cui ci trovavamo. Metà solo perché non aveva avuto il tempo materiale di estendere i suoi tentacoli più in largo. Quel che c'è di buono in questa storia è che ne ha ricavato la ricetta di una torta di crema alle pesche da orgasmo. Grazie sconosciuta signora, le sarò riconoscente per il resto della mia vita.

Noi italiani facciamo paura. In tutti i sensi...

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Capitolo 6
*** 6. Faccia a faccia ***


6. Faccia a Faccia


La cena si svolse in tranquillità, rotta solamente dalle semplici richieste per passarsi le vivande e brevi scambi di formalità. Le due nazioni evitarono palesemente di scambiare parola, preferendo piuttosto usare i due ragazzi come intermediari, Inghilterra con fare decisamente brusco e non ancora del tutto in vena al perdono, mentre Italia con tono molto più colloquiale e gentile con entrambi. Anche se alla nazione anglosassone apparve che tra i due, fosse la ragazzina ad essere più attaccata alla donna. Praticamente sembrava pendere dalle sue labbra... E anche il modo in cui la donna la guardava era diverso da come osservava Jesse, oppure lui stesso. Vabbé, le poche volte che i loro sguardi si erano incrociati poco ci mancava che non lo maledisse, quindi non era un grande metro di paragone il suo. Chissà perché poi... Ah, giusto. Nemici, rapimento, guerra... le solite piccole cose. Certo che però era decisamente rancorosa, la signora.

Finalmente arrivarono alla frutta, e l'uomo ormai sazio si alzò dal tavolo con un lento movimento.

“Bene... buona creanza vuole che io debba ringraziare per il pasto. Immagino tu voglia parlarmi, Italia... per cui ti attenderò nello studio. Quanto a voi due” Aggiunse, spostando lo sguardo ai due ragazzi umani che ancora stavano finendo di dividersi una mela “Non appena avrete finito di sistemare la cucina ritiratevi pure, o uscite a farvi una passeggiata se lo preferite. Ma al momento non voglio avervi tra i piedi, per un po'”

Detto questo posò il tovagliolo sul tavolo, e cominciò a muoversi in direzione della porta, raggiungendola velocemente. Non attese risposta né si degnò di studiare la faccia colpevole e mortificata dei due fratelli, o quella indispettita della donna.

Arrivato nello studio si appoggiò allo stipite della porta ormai chiusa alle sue spalle, sospirando con stanchezza. D'improvviso tutta la fatica accumulatasi nella campagna africana gli stava tornando addosso pesandogli addosso, per non parlare del tentativo di ricostruzione e dei primi soccorsi, e della politica interna. In quei momenti si sentiva un rudere ambulante... Con apprensione si passò la mano sul petto, dove le pesanti bende coprivano le ferite ancora non cicatrizzate del bombardamento. Certo, a volte era una pacchia essere collegati direttamente al proprio territorio. Ogni ferita che si facevano, per quanto tremenda e potenzialmente mortale fosse, si rimarginava con una velocità spaventosa senza nemmeno lasciare tracce o quasi. Il rovescio della medaglia però faceva si che qualsiasi grande danno che subisse la nazione stessa, si riversasse addosso a loro in maniera fisica e dolorosa. E il bombardamento continuo su Londra negli anni precedenti, era stato decisamente un grande danno. Nemmeno i grandi incendi dei secoli passati erano riusciti a debilitarlo tanto...*

Ogni volta che si cambiava le fasciature e vedeva quelle piaghe sanguinolente sulla pelle, ogni volta che avvertiva il dolore piegandosi in maniera improvvisa sentiva la rabbia e il desiderio di vendetta crescere dentro di lui, contro Germania. Gli era sempre stato antipatico a pelle, quel tipo. Appena nato ed era già una grande nazione, una potenza militare, politica ed economica tale da spaventare tutti gli altri stati europei. Non contento di ciò, tentava in tutti i modi di allargare ancor di più il suo già vasto territorio, ed aveva pure le spalle parate da Prussia, quell'imbecille del fratello guerrafondaio che stravedeva per lui.

I suoi fratelli li aveva invece dovuti condurre sulla retta via a suon di stangate sui denti... Non che gli dispiacesse, in fondo neanche loro quando erano più giovani si erano comportati come i fratelli maggiori dell'anno. Anzi. Aveva solo restituito la pariglia, quando si dice i casi della vita. E la sua terra, che a differenza di quella del tedesco tutto si poteva dire tranne che fosse ricca di risorse primarie, l'unica cosa che poteva esportare in grandi quantità era gioventù bellicosa e piena di cattive intenzioni (che comunque erano serviti parecchio durante i secoli dell'imperialismo britannico). E i cioccolatini alla menta. Non sapeva se essere più orgoglioso dei primi o dei secondi.

Era comunque inutile recriminare ora; avrebbe dato una bella lezione – nuovamente – a quel moccioso, e come al solito avrebbe di nuovo esteso i suoi fili di potere in tutto il mondo. Com'era sempre stato e come sempre sarebbe stato.
Ancora accigliato entrò finalmente nello studio, una saletta non troppo grande dalle pareti tappezzate di librerie stracolme di ogni tipologia di volumi. Gli unici punti della parete libera dalla carta stampata erano ovviamente le finestre, il caminetto al momento spento e un mobile bar, vicino alla grande scrivania in rovere che si stagliava al centro della stanza. Di fronte a questa due poltroncine dall'alto schienale, coperte di un pesante velluto a righe. A terra, per proteggere l'impiantito di legno non trattato parecchi tappeti di origine persiana e indiana, dai colori vividi e caldi. Di tutta la casa, amava particolarmente quella stanza; era il suo nido, l'unico posto dove si sentiva in pace col mondo oltre al giardino.
Rabbrividendo appena per uno spiffero d'aria gelida – nonostante fosse marzo ormai finito, le notti erano fredde e questa a giudicare dalle nuvole prometteva anche un'abbondante dose di pioggia nell'immediato – Inghilterra si diresse al camino, già pulito dalla cenere e fornito di legna e carbonella. Vi armeggiò per alcuni minuti con carta e fiammiferi, rialzandosi dalla posizione accucciata solo quando la fiamma aveva già attecchito sui rametti più sottili e prometteva di rimaner vivace. Rimase a fissare le lingue di fuoco appoggiato alla mensola del caminetto a lungo, perdendo il senso del tempo.

Il rumore di passi lungo il corridoio lo richiamò dal suo rimuginare, e raddrizzandosi si diresse alla scrivania per sedersi, come se fosse sempre stato lì. Non fece in tempo a posar le terga sul cuscino imbottito della sedia, che il secco rumore di nocche sul legno avvertì della presenza di Italia dietro la porta.

Si sistemò comodamente mettendoci più tempo del necessario, giusto per farla aspettare in piedi nel corridoio. Prese delle carte a caso, facendo finta di leggerle, poi con voce disinteressata brontolò uno scocciato “avanti”.

Nessuna risposta.

… Ci aveva forse messo troppo tempo a rispondere? Se ne era andata? Santo cielo che permalosa... No, niente scherzi. Perché non entrava? Che stava facendo? Era svenuta davanti alla porta, putacaso?

“Ho detto avanti!”

Stava per alzarsi e controllare quando l'uscio si aprì con un lievissimo cigolio, e la donna fece la sua comparsa nella stanza, stiracchiandosi.

“Misericordia divina, nemmeno Lavi ci impiega tanto a rispondere. E si che lei è lenta parecchio e la mattina ci mette due ore a carburare. Mi ero addormentata in piedi”

Italia gli lanciò un'occhiata di sbieco, e incrociando le braccia al petto si diresse verso una delle due poltroncine posizionate davanti alla scrivania, mentre continuava a tenere lo sguardo rivolto a tutto tranne che all'uomo seduto dietro il mobile basso. Quest'ultimo sbuffò contrariato, essere paragonato alla creatura più indolente e pestifera al mondo e uscirne anche perdente era un affronto bell'e buono. Stava per rispondergli per le rime, che alzando gli occhi dai fogli gli si seccò la voce in gola.


La donna, che prima in cucina era coperta dal lungo e pesante grembiule e quindi non perfettamente studiabile, ora che poteva studiarla meglio indossava veramente degli abiti maschili... i suoi abiti. Che gli stavano pure male. Troppo larga sulle spalle la camicia le cadeva giù come senza forma, ma per contrasto era tesa allo spasmo sul petto, tanto che i bottoni nelle asole chiedevano pietà e la stoffa si allargava ad ogni spazio possibile. La casacca arrivava a sfiorarle abbondantemente i fianchi, che rimanevano in parte nascosti. Ma Inghilterra sospettò che la situazione da quelle parti fosse simile a quella superiore, per lo meno a giudicare dalle cosce fasciate dalla stoffa scura. Le stavano veramente molto, molto male addosso quegli abiti. Considerando che poi la donna era una che in qualsiasi situazione aveva sempre visto solo con abiti di alta sartoria - pure la divisa militare era disegnata su misura e di taglio ben più elegante e raffinato a quello normalmente usato dagli ufficiali, persino dai più alti gerarchi - immaginò quanto gli rodesse dover andare in giro così conciata.

“Staresti decisamente meglio nuda”

… Oh God. Non l'aveva detto sul serio, vero? Per la gloria santissima dell'impero, lo aveva solo pensato... vero?

A giudicare da come Italia si sedette svogliata al divanetto, accavallando le gambe senza aver modificato espressione durante tutto il tragitto si, lo aveva solo pensato. Ricominciò a respirare normalmente, rilasciando l'aria che il terrore gli aveva bloccato nei polmoni. E recuperando l'aplomb con cui si contraddistingueva sollevò il plico di carte che aveva in mano, sventolandolo in maniera plateale.

“Ero troppo impegnato a leggere dei documenti per pensare a te. Mi sei completamente sfuggita di mente.”

La donna finalmente spostò lo sguardo verso di lui, fissandone il viso per pochi istanti prima di passare alle carte, che ora Inghilterra teneva a bella posta a spenzoloni.

“Ah... e li leggi al contrario?”

Si fissarono per un lungo, interminabile istante.

“…”

“…”

“... Sono crittografati. Nulla che debba interessarti. Veniamo al motivo per cui ti ho chiamato qui.” L'uomo con fare disinvolto mise via le scartoffie e incrociò le dita davanti al viso, in una posa meditabonda.

“Hai perso la guerra in Africa. Inutile girarci attorno, ormai sappiamo entrambi che la completa disfatta tua e di Germania è alle porte, come la vostra ritirata. Che, ovviamente” sospirò, assottigliando lo sguardo oltre le falangi incastrate “io farò in modo di rendere il più complicata e dispendiosa possibile. Immagino che non serva nemmeno doverti dire cosa succederà poi...”

La donna, che era rimasta seria e impassibile alle parole dell'altra nazione annuì appena col capo, sospirando. Fece scorrere le mani sulle ginocchia sovrappensiero, mentre lo sguardo si spostò lento verso la finestra dalla tenda aperta, fuori dalla quale la pioggia stava cominciando a cadere silenziosa. Come se trovasse la posizione scomoda si sistemò meglio sulla poltrona, affondando nel grosso cuscino di velluto porpora dello schienale.

“si... non serve dirlo. A dire il vero lo sospettavo già da un pezzo, mi chiedevo solo quando sarebbe successo... Speravo un po' più in là. Non ho ancora preso le misure necessarie...” Mormorò più a sé stessa che all'uomo alla scrivania. Poi parve riprendersi dai suoi pensieri, e spostò nuovamente la sua attenzione verso Inghilterra.

“Da quanto lo avete deciso? Direi non da molto, prima dovevate vedere la situazione in Egitto. Suppongo che Russia vi stia continuamente col fiato sul collo per questo, eh... Non che comunque la cosa mi cambi”

“No, in effetti non cambia nulla. Sarebbe successo e basta, anche dopo la figura ridicola di America a Kasserine**. Bé, gli è servita come battesimo del fuoco” L'uomo si strinse appena nelle spalle, per poi aggiungere “Comunque è da l'anno scorso che volevo farti i miei complimenti. Non mi sarei mai e poi mai aspettato un comportamento tanto eroico e coraggioso dalle tue divisioni ad El Alamein, nonostante foste in così netto svantaggio***”

“Grazie. Sebbene avrei preferito riportare a casa più soldati e meno croci d'oro al valore. Ma sapere che almeno si son fatti valere è...” la donna sospirò di nuovo, stanca “Consolante. Peccato sia stato tutto inutile. Posso almeno sapere quando dovrò trovarmi ospiti in casa?” cambiò poi discorso, e cambiò anche posizione sul divano. Sembrava davvero non trovare pace. Ora che ci pensava, anche in cucina gli era sembrata di continuo sulle spine... chissà che aveva.

“Ma che domande... ovvio che no. Non sarebbe carino rovinare così la festa a sorpresa per le due festeggiate... Gli si rovinerebbe tutto il divertimento, non trovi?”

“Uno spasso, davvero. Non vedo l'ora. Comunque... Casablanca, vero? Ora che ci ripenso, tutto mi riporta lì.”

Già, Casablanca****. Una riunione decisamente spiacevole, considerando che l'idiozia di Francia e soprattutto la strafottente incapacità bellica di America stavano per mandare all'aria tutte le sue tattiche studiate fin nei minimi dettagli. Fortuna che si era risolto tutto...

La nazione guardò la donna seduta, e sorrise appena. Era stato il suo primo ministro a definire l'Italia il ventre molle dell'Asse, ma da quel che aveva visto lui non era un granché molle. Morbido sarebbe stato il termine più esatto, se proprio dovevano dare una definizione adeguata al corpo di Italia e di sua sorella.
Quel che era certo è che lui a prescindere dall'aggettivo, da quel giorno di gennaio non vedeva l'ora di affondarci dentro, in quel ventre.

“Davvero Italia, mi stupisci ogni minuto di più. Non è che per caso fingi solo di essere una completa cretina?”

“Anche se fingessi, pensi che verrei a dirlo a te? Un attore non si toglie mai gli abiti di scena, semplicemente ne indossa di diversi, ricordatelo...” Senza modificare la sua espressione la donna si fissò ad osservare un punto indefinito sulla scrivania, assorta.

“Allora, hai scoperto come rendere un guadagno il mio rapimento, o ancora ci stai pensando?”

Domandò poi di punto in bianco, rompendo il silenzio che si era formato. Inghilterra sorrise appena, poi annuì col capo.

“Che ne dici di uscire dall'Asse?”

La domanda le arrivò in sordina, all'improvviso. Tanto che la donna ci mise un poco a comprenderla appieno e somatizzarla.

“Cos'è che mi hai chiesto? Temo di non aver capito bene...”

“Hai capito benissimo, donna” Rispose l'inglese, fissandola in volto serio “ti ho proposto di uscire dall'Asse e diventare un avversaria di Germania. Certo, saresti considerata solo come paese liberato e senza alcun diritto di intromissione nelle scelte politiche, e alla fine saresti comunque tra gli sconfitti. Ma avresti la protezione e l'appoggio militare degli alleati per liberarti dal fascismo... e dai tedeschi.”

Avvertì distintamente la donna davanti a lui trattenere il respiro, per un tempo che gli parve umanamente inaccettabile. Le sue mani, sottili e nervose, erano tanto tese sui braccioli della poltrona che le nocche erano bianche. Bé, gli aveva gettato addosso una bella patata bollente, una di quelle che ti bruciano mani e palato e poi rimangono nello stomaco a lungo. Ne approfittò per studiarne il volto, impallidito e dai tratti tesi, circondato da un'aureola di capelli ondulati color miele scuro; Gli occhi grandi e dal taglio arrotondato erano spalancati verso un punto oltre la sua spalla, e le pupille erano tanto estese da sembrare due pozzi neri circondati da un anello d'oro. Ogni tanto avvertiva un fremito della mascella sotto le guance che si diramava lungo il collo, dove la carotide pulsava a vista d'occhio. Si costrinse forzatamente a non scendere oltre con lo sguardo, dove il lino della camicia gemeva ogni volte che il respiro pesante e lento, ricominciava a gonfiarle il petto.

...Si, vabbé. Chi diavolo stava prendendo in giro, il suo stesso cervello? Approfittando della distrazione inconsapevole dell'altra, si mise a fissarle impunemente le tette. Grande, grandissima invenzione della natura, le tette femminili... Soprattutto quelle che stavano su senza quei trabiccoli infernali chiamati reggis- Oh my fucked Holy Shit. Non portava il... sotto la camicia non aveva..

“Mi stai chiedendo di venir meno al patto d'acciaio? Di tradire Ludwig?”

Domandò con voce stranamente calma Italia, mentre i nervi stanchi di essere sotto tensione si rilassavano facendola nuovamente affondare nello schienale. L'inglese dissimulò dietro un colpo di tosse l'incipiente mancanza di ossigeno al cervello, cercando di riprendersi. Doveva sembrare diplomatico, o tutta quella storia non sarebbe servita a nulla.

“Ti sto chiedendo di fare la scelta saggia per il tuo popolo. Posso assicurarti che finché continuerai ad avere al governo Mussolini e i suoi gerarchi filotedeschi, l'unica fine della guerra accettata dall'alleanza sarà la resa incondizionata. So anche grazie alle mie spie che i movimenti antifascisti stanno prendendo piede anche nelle città che sembravano immuni, e praticamente tutto il Sud non vuole più avere i crucchi in casa. Se continua così, sai bene che non solo avrai da combattere contro di noi... ma anche contro il tuo stesso popolo. E i risultati puoi immaginarli da sola”

“Chi mi assicura che con una simile mossa riuscirei a contenere i danni? La presenza fascista e tedesca è così radicata nel mio territorio che dubito fortemente possano accettare un voltafaccia così repentino. Anzi.” Mormorò l'altra, dopo una lunga pausa di cogitabondo silenzio. Se non altro, pensò l'inglese, stava valutando la proposta. Evidentemente la situazione attuale pesava parecchio anche a lei.

“Purtroppo” Sospirò ora l'uomo, tamburellando la punta delle dita sul dorso della mano avversa, ancora intrecciate tra loro “Niente può dare a nessuno questa sicurezza. L'unica cosa che potremmo fare noi e dare supporto militare ed economico, se tu scegliessi di arrenderti volontariamente”

La donna chiuse gli occhi, coprendoli con il braccio destro. Improvvisamente sembrava sfinita, completamente esausta. Come se tutto il peso della guerra in Europa gravasse sulle sue spalle.

Ed in effetti, al momento era proprio così. Per quanto fosse tra le nazioni coinvolte la più debole militarmente, il solo fatto di esserci teneva la situazione in uno stallo pericoloso. Finché Italia fosse stata a fianco della Germania, per gli alleati attaccare sul fronte occidentale avrebbe significato unicamente dividere le proprie forze in troppi fronti e indebolirsi inutilmente: la Francia libera sarebbe stata un campo di battaglia enorme e tatticamente svantaggioso, fino a che il fronte Sud non fosse stato preso... E ancora il fronte orientale non era assicurato, nonostante i successi di Stalin.

Il che significava anche che, se l'alleanza fosse riuscita a portare la nazione peninsulare dalla sua parte, Germania non avrebbe avuto più le spalle parate né alcuno sbocco sul Mediterraneo, cosa che l'aveva portato alla sconfitta già nella Grande Guerra. Nessuno stato cuscinetto a proteggerlo dall'attacco combinato di Russia a Est e da loro a Ovest. Senza contare che dal territorio italiano potevano colpire direttamente la nazione tedesca, spostando di fatto il conflitto dalla difesa, come era stata fino a quel momento, ad una posizione di attacco. Era l'unico spiraglio possibile per aprire, finalmente, il secondo fronte.

Certo, invece di proporre alla donna un armistizio segreto avrebbe potuto seguire le linee guida ufficiali date a Casablanca e quindi optare per una conquista armi in pugno dell'Italia e la conseguente resa incondizionata della nazione, ma era una soluzione quasi peggiore dello stallo. Si sarebbero trovati addosso entrambi gli eserciti dell'Asse, e stavolta non avrebbero potuto contare sui mancati arrivi degli approvvigionamenti e sulla mancanza di strutture logistiche degli avversari come spesso era successo in Africa. Erano più forti e preparati allo scontro aereo e sulle prime secondo i loro calcoli avrebbero avuto il vantaggio, ma sul combattimento terrestre, dove realmente si fronteggiavano gli eserciti e si decidevano le battaglie, era tutta un'incognita. Soprattutto perché se c'era qualcosa di sicuro sul popolo italiano era che quanto più le gerarchie a salire, sia politiche che militari erano degli inetti palloni gonfiati, tanto più quelle alla base, i soldati, gli ufficiali di basso rango e addirittura la popolazione civile era testarda, determinata a difendere la propria terra con le unghie e con i denti e capace di azioni eroiche al limite del suicidio per rallentare anche solo di un metro di terreno l'avanzata del nemico. Evidentemente secoli di conquistatori avevano reso quel popolo tanto avverso alle invasioni di qualsiasi tipo da renderli quasi idrofobi all'idea di un nuovo “padrone”. Ma se invece fossero riusciti a passare dalla parte dei liberatori...

Senza spostare troppo il braccio, la donna lanciò un'occhiata di sbieco verso l'altra nazione dietro la scrivania; dalla sua espressione, l'uomo intuì che avevano nella mente gli stessi identici pensieri. Era solo questione di politica e freddo calcolo, ora. Confrontati i costi e i guadagni, aggiungendo rischi e possibili incognite di ogni tipo, bisognava vedere se alla fine della funzione il risultato sarebbe stato passivo o attivo. Pura e semplice matematica.

“Non è una decisione che posso prendere da sola, ora” Dopo la lunghissima pausa meditativa, sentire la voce della donna risvegliò Inghilterra dalla trance in cui era caduto. Sbatté le palpebre per recuperare il focus dei pensieri, e annuì leggermente con un gesto del capo. Come incoraggiata dal movimento, Italia proseguì

“Rovesciare il Duce ora come ora sarebbe equiparabile ad un colpo di Stato, e il caos che ne conseguirebbe porterebbe i fascisti a fare quadrato e diventare, se possibile, ancor più ingestibili e cruenti. Dovrei consultarmi con le forze dell'opposizione e coi vari gruppi partigiani, vedere come sia possibile organizzare un governo in grado di mantenere un minimo di stabilità, e trovare l'appoggio della corona. Il tutto” sospirò pesantemente, mentre il braccio fino a quel momento sul viso ricadeva a peso morto sul bracciolo, dopo aver lasciato scivolare la mano lungo tutto il volto con fare stanco “Cercando di non attirare troppo i sospetti del Terzo Reich e del Führer, almeno fino a quando non si abbia la certezza del fatto compiuto. Cosa difficile, visto come questi di primo acchito già non si fidi per nulla di me.”

“Quindi” La interruppe Inghilterra, mentre si alzava dalla sedia per girare attorno alla scrivania e posizionarlesi davanti, ora appoggiato con le chiappe sul piano di legno coperto dalla pelle verde scuro “accetti la richiesta di armistizio all'alleanza?”

“Non ho detto questo. Solo che devo valutare ogni possibile ipotesi, e capire quale possa essere più vantaggiosa e indolore, relativamente parlando. Se capissi che la situazione generale fosse eccessivamente negativa e costosa in termine di vite umane, a fronte di un piano di governo completamente stravolto, resterei nelle mie posizioni” Rispose la donna, alzando il capo per continuare a guardare l'altro in viso, ora che si era alzato “Ma per far questo devo tornare nel mio territorio. Imprigionata quassù, a migliaia di chilometri di distanza, non posso far nulla...”

“Lo so” Annuì l'altro, intrecciando le dita in grembo “Ma ancora non posso lasciarti andare. Comprendi anche te che non sei la sola su cui possiamo fare pressione per una risposta positiva, e per il momento ci conviene tenervi separate il più possibile. Sai... era uno dei motti di tuo nonno, mi pare. Divide et Impera. L'ho sempre trovato illuminante.”

La donna lo guardò per un momento spaesata, poi un lampo di comprensione le passò negli occhi dorati, che si indurirono di colpo “Lavinia” mormorò, stringendo i denti in un basso ringhio cupo

“Cosa avete intenzione di farle?”

“Io personalmente, nulla. Il mio compito è occuparmi di te” Sorrise maliziosamente, inclinando il capo verso la spalla mentre ne fissava l'espressione truce,

“A tua sorella ci penseranno America e Canada, direttamente a casa vostra. Sappiamo già che a differenza tua lei è sempre stata avversa alla Germania, ma nonostante tutto ha comunque seguito le tue direttive e non penso che cambierà partito solo chiedendoglielo gentilmente. Anzi, da quel che ricordo” L'inglese sospirò, sollevando lo sguardo per perderlo nel vuoto dei ricordi “Le parole Lavinia e gentile non le ho mai sentite pronunciate assieme nella stessa frase, in tutti i secoli che vi conosco. Credo che la tua dolce sorellina non ne comprenda nemmeno il più basilare significato. Se può far qualcosa per far dispetto ad un altro, anche a costo di rimetterci la farà. Ma purtroppo per lei America è esattamente della stessa pasta. A costo di rimetterci, pur di far prevalere la sua volontà è in grado di fare le peggio porcate...

Dimmi, secondo te quanti attacchi dovrà subire per prendere la giusta decisione?”

Sibilò l'ultima frase, una palese minaccia con fare mellifluo e amichevole, guardando la donna dall'alto in basso. Quest'ultima, ancora innervosita, cambiò espressione per due volte alla velocità della luce. Partendo dal ringhiante, si era trovata a trattenere uno sbuffo ironico quando Inghilterra aveva – perfettamente, doveva ammetterlo. Ma non lo avrebbe mai fatto a voce alta – descritto il “docile” caratterino della sorella. Salvo poi passare allo stupefatto, e poi seriamente preoccupato quando senza nemmeno tergiversare l'altro aveva annunciato il rischio che la parente rischiava per colpa della ben più prepotente e giovane nazione d'oltreoceano. Non si sforzò nemmeno di fingersi superiore alla minaccia.

È uno scherzo... Non può davvero... Non oserà...” Deglutì pesantemente, prima di alzarsi di scatto dalla poltroncina, e con un passo avvicinarsi all'uomo per afferrargli, con le mani tremanti, lo scollo della giacca “No. Non posso permettere che accada. Assolutamente no. Devo tornare a casa. Devo... Fammi tornare immediatamente da mia sorella!”

Inghilterra vide gli occhi dell'altra farsi decisamente lucidi, brillare alla luce del lampadario. Li tenne fissi su di lui per qualche istante, prima di farsi vacui e perdersi dietro a pensieri disastrosi. Le labbra e le mani le tremavano, poteva sentirlo da come le strattonava la giacca tendendola tra le dita arpionate. Con fare lento districò le dita dal loro precedente intreccio, e le alzò fino a stringere i polsi della donna. Erano sottili, freschi e frementi, e ne avvertiva il battito sul palmo bollente. Avanti, c'era quasi...


“Tranquillizzati. Non sarà domani né dopodomani. Ancora deve finire la campagna d'Africa, e dobbiamo riorganizzarci. Luglio, al minimo giugno. Per cui... no, Non ti posso permettere ancora di tornare in Italia”

C'erano dei momenti in cui si sentiva in colpa. Momenti come quello, ad esempio, che l'avevano spinto a rivelare alla donna ben più di quanto avrebbe dovuto. Ma non importava. Non avrebbe cambiato nulla nella sua tattica, a questo punto.


“Tu... puoi impedirlo?”

Eccola là. Caduta nella sua tela come una farfalla suicida. L'uomo sentiva le labbra piegarsi autonomamente in un ghigno di vittoria, e fece ricorso a tutto il suo self-control per trattenersi. Non era ancora il momento...

“...Forse.”

“Allora fallo! Io...” la donna abbassò lo sguardo, rilassando le dita fino a far scivolare le mani in basso. Un gesto decisamente di rassegnata rinuncia “Farò tutto quello che vuoi, ma tieni lontano quell'imbecille da mia sorella. Una guerra è una guerra, e affrontandola siamo partite già mettendo in conto di ricevere danni... ma non posso permettere che qualcuno si approfitti di lei, o peggio ancora di Serena o Gregorio*****. Non lo accetterò mai.”


L'inglese la fissò in silenzio, gli occhi verdi incapaci persino di battere ciglio. Dopo la prima frase, il suo cervello aveva semplicemente chiuso i battenti, rifiutandosi di registrare le altre parole della donna.

Insomma, si era studiato la parte e ogni possibile variante, decine di domande e risposte e altrettanti scenari, da quelli più idilliaci a quelli in cui doveva raccogliere i suoi denti da terra. In parecchi di questi la frase veniva detta e ripetuta – spesso con toni più maliziosi - ma... Holy shit. Sentirla realmente pronunciata dalla voce di Italia aveva un effetto completamente diverso dall'immaginarlo nella propria testa. Un effetto... spiazzante. E non solo.

Ehi.

Ehi Ehi Ehi.

No, non di nuovo. Ma che era, un adolescente in crisi ormonale? Due volte nella stessa serata, era davvero messo così male?

Merda. Merdamerdamerda. Si sentiva già il sangue defluire da una testa... per andarsene nell'altra. Merda.

Di scatto la scostò da sé, spingendola via con entrambe le mani. E prima che l'altra capisse come mai da in piedi era di nuovo seduta sulla poltrona, lui era già tornato dietro la sicura protezione della scrivania, sguardo basso e mani intrecciate nervosamente sul piano. Pesante, solido e soprattutto coprente piano di rovere. Una garanzia.

“Non posso assicurarti che ne uscirà intera. A prescindere da quel che deciderete o meno, subirete degli attacchi. Pesanti attacchi, e pesanti perdite. Mettilo in conto. Quanto al tenere America lontano da lei... Posso solo dire che tenterò di frenarlo. Ma una buona percentuale di peso l'avrà anche il comportamento di Sud Italia”

Parlò di corsa, come a buttar fuori tutto in un colpo solo. Lo sguardo fisso sulle mani e il respiro corto. Comunque, l'altra nazione non sembrò cogliere il momento di impasse, ancora sconvolta dalle rivelazioni poco prima ricevute. La sentì sospirare pesantemente, e sollevando appena lo sguardo la trovò con le ginocchia piegate e i piedi sulla poltrona in una posizione fetale. Teneva le braccia attorno alle gambe per stringerle al petto, e aveva il capo abbassato sulle ginocchia per nascondere il viso. Troppo presa dalla preoccupazione, era entrata in uno stato di silenzio, e così fece anche lui, seppur per motivi completamente diversi.




“Se possibile... vorrei farti un'altra domanda” Disse la donna, dopo parecchio tempo passato nella quiete totale rotta solo dalla pioggia che cadeva imperterrita e dal fuoco in fase di spegnimento. Inghilterra sollevò il capo di scatto, dopo essersi calmato si era quasi dimenticato della sua presenza nella stanza, tanto l'altra era rimasta in disparte accucciata sulla poltrona.

“Prego, fai pure...”

“... Sei gay?”


“... Cosa, scusa?”

“Ti ho chiesto se sei gay” Ripeté Italia, con tono serio mentre lo fissava assorta.

“Si può sapere come ti è venuta in mente una cosa simile proprio ora? E comunque... no, non lo sono. Ma che razza di domande...” Rispose infine l'altra nazione, in evidente stato di imbarazzo.

“Ne sei proprio sicuro? Perché sai, non dai quest'impressione. Sai com'è... Bazzicando sempre Francia, Spagna e Cina... insomma, chi va con lo zoppo impara a zoppicare, si dice” Tentò ancora la donna, tendendosi sulla poltrona verso di lui, nonostante la posizione accucciata. Che in risposta si tese a sua volta, Le mani larghe sul piano dello scrittoio e lo sguardo fisso e stralunato. E con tono fermo, ripeté fissandola negli occhi.

“Non. Sono. Gay.”


“... Merda. Ho perso”

“Mi scoccia dovermi ripetere, ma... cosa, scusa?”

“Avevo scommesso con Gilbert sul fatto che tu fossi omosessuale. Sai, mentre chiacchieravamo su tutti voi alleati... ci ha preso quel brutto bastardo scolorito. Lui e quei suoi dannati diari del cazzo, sa sempre tutto di tutti” Sbuffò la donna, mordicchiandosi l'unghia del pollice visibilmente contrariata e ritraendosi di nuovo, dondolando appena nella sua posizione. Inghilterra non sapeva se offendersi, arrabbiarsi o mettersi a ridere. Optò per un misto tra le tre cose, ma solo nella sua testa: doveva comunque mantenere un briciolo di savoir-fare. Con fare tranquillo si alzò dalla sedia imbottita per avvicinarsi alla finestra, dando le spalle all'altra, e le nascose così una serie di smorfie e di imprecazioni a mezza voce a stretto contatto con la lastra gelida e bagnata – e a questo punto anche appannata – di vetro. Quando finì parecchi minuti dopo, tornò a sedersi di fianco alla donna sull'altra poltrona di fronte alla scrivania, le mani che fremevano appena sulle ginocchia dischiuse. E il viso solamente un poco arrossato.

“ Ma non eri in crisi mistica per quello che ti avevo detto, te?”

Italia si prese un po' di tempo per rispondere, poi si strinse nelle spalle “Non posso continuare a essere preoccupata. Mi sembra che il cervello mi vada in fusione... per questo ho cambiato argomento. Meglio pensare a qualcosa di divertente, o fino a giugno morirò di crepacuore, temo”

Inghilterra non poté far altro che annuire “Ehm... e questi discorsi che avete fatto te e Prussia, si possono conoscere o sono segreto militare?” domandò infine, mantenendo un tono di finta noncuranza. Se Italia se ne accorse o meno non lo seppe dire, ma dopo una penetrante occhiata l'altra sospirò e stringendosi nelle spalle disse “bé, io avevo scommesso sul fatto che tu fossi omosessuale passivo ma senza tendenze particolari, mentre Gilbert sosteneva che nonostante tu sia etero hai anche la faccia di un masochista che si eccita nell'essere messo sotto. Eravamo invece piuttosto d'accordo sul fatto che America sia un coglioncello vergine che non saprebbe trovarsi il culo da solo nemmeno a cercarlo con entrambe le mani, figuriamoci quello di qualcun altro” la donna ci pensò un attimo, poi aggiunse a voce bassissima “E Dio solo sa quanto spero che sia vero, ora come ora.” Sbuffò, per poi riprendere a parlare con voce più alta “Francia è spiccatamente masochista, ma lì praticamente era sparare sulla croce rossa. Senza contare che quel dannato di mio cugino è praticamente pansessuale, si farebbe pure una statua se trovasse il buco apposito. Canada pare un mollaccione, ma sotto sotto ha l'aria di essere uno che tromba come un riccio. Però sembra anche gentile e senza la capacità di imporsi su chicchessia. Mentre Russia ha una spiccata vena sadica. E soprattutto non gli importa di quel che gli capita sotto le mani. Un buco è un buco, a prescindere da quel che ci sta attorno. Ma per Gil è anche un po' masochista, e... che succede?”

Italia si interruppe nel suo monologo, quando si accorse che Inghilterra si era praticamente accartocciato su sé stesso, la testa così piegata in basso da stargli praticamente tra le gambe e le braccia sopra di questa riunite tra loro in una buffa forma di preghiera, tremante come una foglia. Lo avrebbe creduto ridente e incapace di nasconderlo, o incazzato e altrettanto propenso nel darlo a vedere? Oppure stava pensando che gli fosse semplicemente venuto un ictus, cosa che avrebbe reso alla donna la situazione più semplice. Nah, non glie l'avrebbe mai data vinta così facilmente. Meglio che non ci avesse sperato nemmeno, sarebbe stata una unicamente delusione, altrimenti.

Un po' titubante la donna si sporse a lato sul bracciolo della poltrona, e allungando la mano sfiorò appena la spalle dell'altra nazione, per richiamarne l'attenzione.

“Ehi... ci se- ”

Fece uno scatto sul posto, quando Inghilterra tirò su la testa per guardarla dal basso, gli occhi pieni di lacrime per le risate “ah... scusa. Mi sono perso alla descrizione di Americ... pffffhhhh” E di nuovo scoppiò a ridere, stavolta senza trattenersi, tanto che dopo un po' cominciò addirittura a singhiozzare in carenza di aria.

Italia restò a guardarlo spaesata, completamente presa in contropiede dallo scoppio di ilarità della nazione che aveva sempre, sempre mostrato al mondo solo un piglio imbronciato come unica espressione. Al massimo il ghigno. La risata era contagiosa, ma per via della sua situazione non ne venne del tutto presa e riuscì a nascondere l'accenno di riso dietro una smorfia sbilenca sulle labbra, mentre si passava la mano sul collo, in difficoltà. Attese così che l'altro si calmasse, e riprendesse abbastanza fiato da non sembrare più un gambero bollito. Sebbene ogni tanto avesse delle ricadute, e scoppiasse in una risatina isterica trattenuta a stento. Si, decisamente era più inquietante quando rideva di quando era infuriato, lo ammetteva da solo.

“My god, ma come diavolo vi vengono certe uscite? Farsi simili viaggi mentali è da pazzoidi, fidati...” brontolò infine l'uomo, asciugandosi un'ultima lacrima. Prese un grosso sospirone e tornò ad appoggiare la testa sullo schienale imbottito del divanetto, esausto.

“Bé” Accennò timidamente la donna, distogliendo lo sguardo per portarlo alla finestra, dove oltre il velo di pioggia che ancora cadeva avvertiva la forma dei rami ancora decisamente spogli stagliarsi neri sullo sfondo del cielo grigio antracite “... le notti sono lunghe da passare in trincea. Tocca pur inventarsi qualche passatempo. E quale migliore se non sparlare dei propri nemici? Non mi vorrai far credere che voi non avete mai malignato alle nostre spalle...”

Quando riportò lo sguardo su Inghilterra, lo trovò intento a fissarla, ora con sguardo pericolosamente serio e tagliente. Deglutì appena, ricambiando l'occhiata in vago senso di allarme. L'uomo non disse nulla per un po', poi sospirando socchiuse di nuovo gli occhi. “Touché. In effetti si, abbiamo sparlato parecchio di voi... e anche di te, si. Ad essere completamente onesti, soprattutto di te. Capirai che essere l'amante di Germania ti pon-”


“Io non sono l'amante di nessuno”

Lo interruppe la donna, raddrizzatasi di colpo sul divano. Aveva lo sguardo freddo e serio, e non sembrava affatto negare solo per imbarazzo, ma più con rassegnazione e stanchezza. Inghilterra però non seppe dire se fosse stato quello sguardo o quelle parole o ancora uno strascico di euforia precedente, ma di colpo si era sentito lo stomaco leggero. Incredibilmente leggero. “Solo perché siamo amici molto stretti, condividiamo gli stessi ideali – più o meno – e daremmo la vita l'uno per l'altro non significa che siamo amanti. Anzi, ti pregherei di non offendere il rapporto che ho con Ludwig con simili basse insinuazioni, né di relegarlo ad una mera e squallida attrazione sessuale” Di nuovo sbuffò, incrociando le braccia sotto al seno con fare indisponente (gesto che non sfuggì allo sguardo di Inghilterra. Non aveva cambiato parere da prima. Quella camicia era e continuava a stare decisamente male, addosso alla donna. Troppo stretta sul petto. Non che gli dispiacesse, affatto. Ma avrebbe preferito che avesse addosso qualcosa di più adeguato alla situazione. Lui stesso, ad esempio. Ehm...), mentre continuava a mantenere lo sguardo fisso sull'altra nazione, in tono di sfida “Ludwig potrebbe avere tutti gli amanti che vuole, non cambierebbe una virgola ciò che provo per lui. La stessa cosa vale per me e i suoi sentimenti. E questo discorso può valersi anche per Kiku, per Elizabetha e tutti gli altri...”

“Ma ci vai a letto insieme” Chiese di colpo l'uomo, stupendosi da solo della sua morbosa curiosità. Insomma, dov'era andata a finire la sua (in)naturale compostezza britannica? “Insomma, quello che volevo dire...”

“Si.”

Oh. Lo stomaco era tornato al suo posto, portandosi dietro qualche chilo di sassi raccolti per strada.

“A me non piace dormire da sola. Mi tornano alla mentre troppi ricordi del passato che sarebbe meglio restassero sopiti” In barba ai problemi gastrici dell'altra nazione, Italia continuò a parlare, lo sguardo ora meditabondo rivolto alle lampadine sospese sopra la loro testa, e le mani intrecciate attorno alle ginocchia piegate “Perciò ogni tanto mi infilo nel letto di Ludwig. Mi basta sentirne il respiro per stare tranquilla e riuscire a dormire” Oh di nuovo. Quindi dormono solo? Tutto qui? Niente risvolti piccanti?

… Come per magia, il groppo allo stomaco era sparito di nuovo in un triplice giravolta su se stesso con doppio scappellamento a destra. Libero e leggero come un aquilone nella brezza di primavera. Sicuramente la colpa di tutto quel rimestio di budellame era del doppio piatto di tagliatelle che si era sgrufolato a cena, seppur brontolando come una suocera, non aveva dubbi di sorta. Comunque quel Germania era un santo, dormire con una donna così accanto e... non fare nulla. Decisamente un santo. Stranamente la cosa glielo fece piacere un pochettino di più, ma comunque gli stava sempre sulle palle.

“Eppure, ammetti che potresti tradirlo, nonostante il grande legame che vi lega”

Da come la donna si bloccò, spalancando gli occhi sconvolta, Inghilterra capì di aver fatto l'ennesima grossa minchiata della giornata. Cacchio, era tanto così dal convincerla... altro che fine diplomatico, si sarebbe preso a calci in culo da solo.

“...Sono due cose distinte.” La voce di Italia interruppe la sua esecuzione capitale nella sua mente, dove era al tempo stesso condannato, giudice e boia. “Come nazione, devo pensare per prima cosa al benessere della mia terra e del mio popolo, a prescindere da quel che come persona possa sentire per Ludwig o per chiunque altro. Se la situazione fosse così disperata da non lasciarmi altre possibili vie di uscita, sarei disposta persino ad abbandonare Lavinia, sebbene sappia già che non riuscirei mai più a perdonarmelo. Forse sbaglio, ma ritengo che le questioni politiche e quelle personali debbano essere ben separate... anche per noi. Soprattutto per noi, che siamo alla completa mercé dei nostri stessi popoli e governanti.”

Oh. Politica internazionale e sentimenti completamente scissi... Aveva senso. Decisamente molto senso. Inghilterra sospettò che molto del ragionamento dietro a quel dogma fosse dovuto alla situazione storica della donna. Abbandonata da bambina dal nonno, continuamente in balia degli altri, spesso e volentieri in lotta persino con sé stessa nei propri confini, e a lungo tenuta lontana dalla sua adorata sorella. Separare la sua natura di nazione dai sentimenti che poteva provare per i suoi cari, probabilmente era il miglior modo per tirare avanti senza impazzire che avesse trovato. Forse addirittura l'unico.


“... Come mai chiami tutte le nazioni per nome?” cambiò improvvisamente e in modo arbitrario argomento l'uomo, che nel frattempo si era sporto in avanti appoggiando il mento al palmo della mano “Di solito ci si appella tra di noi con il nome del nostro paese, ma tu non lo fai, per lo meno coi tuoi compagni dell'asse. O mi sbaglio?”

“Non ti sbagli. Chiamo per nome chiunque ritengo degno della mia amicizia e fiducia” Gli sorrise tiepida la donna, inclinando il capo verso la spalla “Ed accetto di essere chiamata per nome solo dalle nazioni che rispetto e a cui sono legata”

“Quindi, se ti chiamassi col tuo nome...”

“... Mi darebbe particolarmente fastidio, si.”

Inghilterra sorrise con soddisfatta malizia.

“Il che renderebbe particolarmente felice me. Per cui, Felicia, penso proprio che d'ora in poi ti chiamerò per nome” Il sorriso sulle labbra sottili della nazione si ampliò, allo scorgere una smorfia indispettita sul volto dell'altra. Era uno spasso vederla diventare rossa in volto, con gli occhi che scintillavano di rabbia alla luce delle lampade a incandescenza. Sembravano quasi più lucenti del solito, non solo ambra ma puro oro liquefatto. E se c'era qualcosa che Inghilterra aveva sempre amato, bé, quello era l'oro.

“Io invece continuerò a chiamarti Inghilterra. O faccia da culo, a seconda della diplomazia che serve in quel particolare momento. Spero che non ti dispiaccia... ma anzi, se ti dispiace è meglio. Sai com'è...” Nel frattempo aveva tentato di alzarsi dalla sua posizione, ma venne subito rimessa a sedere dal movimento identico e più irruente dell'uomo, che si era alzato di scatto e usando come perno la gamba destra si era teso verso di lei, posando le mani sullo schienale del suo divanetto. Con la conseguenza di incastrarla tra lui e il mobile. Nel far questo però, era rimasto completamente in silenzio, apparentemente del tutto disinteressato alla sua frecciatina. Continuò semplicemente a fissarla, con espressione neutra ed assorta per parecchio tempo, forse addirittura qualche minuto. Alla fine Italia non sopportò più la tensione, e sbottò con nervosismo.

“... Cosa c'è, ora?”

L'uomo, dopo pochi altri istanti in cui rimase ancora in silenzio a fissarla sospirò di colpo, raddrizzandosi seppur rimase con le gambe appoggiate a quelle ancora piegate di Italia. Lentamente si portò una mano al viso, massaggiandolo con fare stanco, prima di passarla tra i capelli spettinandoli.


“Felicia...”

"Ti ho detto che mi dà fas-” la zittì subito, tappandogli la bocca con la mano libera.

“Sta zitta un po' e fammi concludere. Felicia... io non sono omosessuale” Mormorò, liberando il viso della donna, quando questa smise di borbottare al suo palmo.

“Si, me lo hai già detto. Ci credo, sta tranquillo...”

“Ma è da molto, troppo tempo ormai che non ho una compagna stabile, se non si considera una piccola avventura passeggera avuta con Belgio”

“Oh...”

“E tu sei una nazione... no, una donna molto bella. Estremamente bella e affascinante”

“Oh!?”

“E ti sarei grato se facessi due più due”

“...Oh.”





* La Londra dei secoli passati – come un po' tutte le grandi capitali europee e quelle contemporanee degli stati emergenti – avevano un numero di abitanti incredibile rispetto a quello che le infrastrutture potevano sopportare. Il che significava inadeguatezza nella rete idrica e nelle fognature, con conseguente rischio continuo di infezioni di ogni sorta, il sovraffollamento di alloggi costruiti praticamente in ogni metro quadrato di terreno, la mancanza di posti di lavoro per tutti e un sottobosco di criminalità e delinquenza spaventoso. La stragrande maggioranza delle case era costruita principalmente di legno e paglia, e il riscaldamento era dato ancora dal fuoco di legna, di carbone e di torba, che in Inghilterra si trova in grandi quantità. Va da sé che gli incendi erano all'ordine del giorno, e alcuni di essi – come il grande incendio nel 1660 – distrusse addirittura l'80% della città intera. C'è da dire che per ottenere un disastro di simili dimensioni molto ci misero del loro i politici e i pochi benestanti della città, più preoccupati a proteggersi e a danneggiare gli oppositori che a prendere decisioni tempestive per arginare al massimo i danni. Nella stima ufficiale si considerò il decesso di pochissime persone, ma in quella reale si crede che le morti in realtà fossero di centinaia, forse migliaia di unità. Quasi tutti poveracci che erano rimasti completamente carbonizzati in quell'inferno, rendendo impossibile persino l'identificazione come essere umano e non come macerie bruciate.

** Il Kasserine è una zona della Tunisia centro occidentale, dove nella seconda metà di febbraio del '43 si svolse una delle più importanti battaglie nel fronte africano tra le forze dell'Asse, guidate dal Feldmaresciallo Rommel, e le forze angloamericane (soprattutto americane, nelle prime fasi della battaglia). L'esercito italo-tedesco, in rotta dopo la sconfitta avvenuta ad El-Alamein, si diresse verso la Tunisia ed occuparla, in modo da avere una base solida per la resistenza e un facile accesso ai rifornimenti grazie allo stretto di Sicilia. Gli alleati, per cercare di contrastare questa situazione mossero a loro volta in direzione di Tunisi, ma lo fecero in modo lento e sconclusionato. L'incapacità di dialogo tra i vari eserciti – inglese, americano e francese, oltre a diversi battaglioni del sud Africa, Australia, Nuova Zelanda, India e Grecia, fece si che questi si muovessero in modo completamente asincrono con gli altri, rendendo di fatto le cose più facili a Rommel. Quando per primi gli americani arrivarono sul fronte sotto alla dorsale delle montagne d'Atlante, erano dunque soli. E sebbene avessero un equipaggiamento ben più moderno ed efficiente di quello italo-tedesco, la completa inesperienza sui campi di battaglia di soldati e comandanti confronto ai veterani dell'asse trasformarono quella che doveva essere il battesimo del fuoco della nazione d'oltreoceano in un eccidio (si parla di 10.000 perdite tra morti, feriti e prigionieri americani a fronte di nemmeno mille tra quelli italiani e tedeschi. Per quel che riguarda i mezzi le perdite salgono addirittura a 30 unità per ogni singolo carroarmato dell'Asse andato perduto). La cosa comunque fu comunque di insegnamento per gli americani, che negli scontri successivi – supportati anche dalle più esperte compagnie inglesi e francesi – riuscirono a migliorare le loro capacità operative e strategiche.

Insomma, come prima prova Mr. America se l'è preso nel didietro, e considerando la zona del combattimento, anche con un po' di sabbia tanto per gradire.

*** El Alamein è una città sulla costa dell'Egitto occidentale famosa durante la seconda guerra mondiale per essere stata teatro (non la città, il fronte era in effetti spostato di circa sessanta chilometri verso l'interno in una depressione naturale che rendeva di fatto impossibile ai tedeschi la possibilità di accerchiare l'esercito alleato) di uno dei maggiori scontri nella campagna d'Africa. Anzi, probabilmente è stato il punto di svolta di tutta la guerra, segnando con la vittoria dell'esercito anglosassone (fu anche l'ultimo scontro in cui questo ebbe ruolo preponderante, passando poi per il resto del conflitto a ruolo di appoggio per l'esercito americano) anche l'inizio della completa disfatta dell'Asse in Africa. E con questa, anche il destino della battaglia nei territori d'Europa.

Sarebbe troppo lungo descrivere tutta la battaglia qui, (anche perché già ho sforato il mio solito numero di cartelle e ancora non ho nemmeno scritto le mie scemenze di fine capitolo) quindi mi dedicherò solo alla estenuante e a tratti eroica protezione della ritirata tedesca ad opera dei battaglioni italiani, tanto che Rommel famoso per essere estremamente parco nel elargire complimenti, ne fu positivamente impressionato (ma effettivamente il feldmaresciallo era molto più soddisfatto dei coraggiosi e disciplinati soldati italiani che dei loro comandanti, da lui ritenuti codardi e incapaci), inoltre suscitarono il rispetto e l'ammirazione anche tra gli avversari inglesi.
Sebbene in effetti – come al solito – del tutto inadeguati sul campo degli armamenti e sul piano del semplice valore numerico (poco più di 100.000 uomini in gran parte italiani sotto il comando di Rommel con 550 carri armati e 200 aerei, contro le forze dell'Alleanza, dove la sola armata inglese poteva contare 200.000 uomini e più del doppio dei mezzi e degli aerei in possesso dell'Asse) l'esercito italo-tedesco resse comunque la posizione per più di dieci giorni, sebbene alla fine la schiacciante superiorità del nemico convinse Rommel a disubbidire agli ordini di Hitler e Mussolini (combattere fino all'ultima morte) e ripiegare in una salvifica ritirata. A difesa di questa, rimasero solamente i reparti italiani Littorio (133° divisione corazzata), Ariete (132° divisione corazzata) e Trieste (101° divisione motorizzata) perché impossibilitati in mancanza di mezzi ad arretrare come le altre divisioni. Ormai abbandonati a loro stessi, senza il supporto di carri armati o della contraerea, i soldati combatterono contro i mezzi pesanti inglesi con molotov e dinamite, fino alla completa disfatta rallentando gli alleati abbastanza da permettere ai commilitoni di raggiungere la Tunisia.
Dopo di queste, anche un'altra divisione italiana rimase indietro per mancanza di mezzi ed aiutò nel rallentare l'avanzata anglosassone, la Folgore (185° divisione paracadutisti). Dopo due giorni di marcia forzata nel deserto, alla fine quel che rimaneva della divisione dovette arrendersi alla fanteria britannica, senza che nessuno di loro mostrasse bandiera bianca o alzasse le mani al nemico. Il generale Hughes al suo comando diede loro l'onore delle armi, e si complimentò col suo generale per il comportamento e la disciplina dei soldati.
L'intera divisione, quasi del tutto annientata ad El Alamein e ridotta a semplice battaglione nel '43 dove venne completamente distrutto dai neozelandesi (ma sempre combattendo oltre il limite delle umane possibilità), venne ricostituita dopo la fine della guerra come la Trieste e la Ariete, e ad oggi è l'unica brigata di paracadutisti dell'esercito italiano. Solo la Littorio non ebbe questo destino scomparendo dal panorama delle divisioni terrestri dell'esercito, in quanto il suo nome rievocava in maniera plateale il periodo fascista.

Ugh. E fortuna che dovevano essere delle nota corte.


**** La conferenza di Casablanca – la settima di molte ma la prima tra quelle più importanti avvenute lungo tutto il periodo bellico – si svolse nella seconda metà del gennaio '43. Ad essere presenti erano Roosevelt per l'America, Churchill per l'Impero Britannico e De Gaulle per la Francia libera (Stalin per l'Unione Sovietica fu il grande assente, ufficialmente per l'impossibilità di lasciare la sua postazione, in realtà perché irritato dall'eccessiva lentezza degli stati alleati nell'aprire il fronte a occidente).

Durante la conferenza venne decisa la linea guida per il proseguimento della guerra sul campo di battaglia europeo, ora che il fronte africano era stato assicurato all'alleanza. Soprattutto fu considerata l'ipotesi di aprire finalmente il secondo fronte in Francia, per stringere in una morsa sia da occidente che da oriente, dove l'esercito sovietico dopo una prima illusoria ritirata stava triturando l'esercito nemico grazie anche all'incapacità di questo di fronteggiare il terribile inverno russo. Gli inglesi, forti della loro esperienza tattica proposero di cominciare l'offensiva europea dalle coste siciliane, le più facilmente accessibili dalle basi logistiche in Africa. I generali inglesi però si scontrarono con quelli americani, convinti che si potesse “saltare” questa fase per aprire il fronte direttamente nel nord Europa. Uno addirittura era fermamente convinto che si potesse evitare proprio il combattimento terrestre, forte dell'impiego dei nuovi bombardieri pesanti statunitensi.
Dopo dieci giorni di trattative – immagino che gli inglesi abbiano consumato quantità abnormi di té e medicine contro la gastrite – finalmente venne accettato come linea da seguire lo sbarco in Sicilia, denominato “Operazione Husky”.
Alla fine venne siglato anche il codice di comportamento da adottare contro le potenze dell'asse: solo la resa incondizionata poteva essere accettata. Questa scelta, che in realtà ebbe come unico risultato quello di rendere la resistenza tedesca e giapponese ancor più tenace, servì in realtà come tranquillante per Stalin assicurandolo della volontà angloamericana di combattere e anche perché temeva negli armistizi la possibilità di vedersi scaricare addosso tutto il peso di quella guerra. Come invece ci rivelò la Storia, vennero accettati gli armistizi sia dall'Italia (tra le nazioni del patto tripartito quella considerata più facilmente riconducibile alla resa) che dagli stati satellite dell'asse: Romania (12 settembre 1944), Finlandia (19 settembre 1944), Bulgaria (28 ottobre 1944), Ungheria (4 gennaio 1945).


***** Serena & Gregorio Vargas: Rispettivamente la Serenissima Repubblica di San Marino e la Città del Vaticano (i nomi li ho scelti io, non esistendo nel fumetto i loro personaggi, che io sappia). Sebbene siano due micro nazioni a sé stanti - San Marino è la più piccola repubblica al mondo incastrata tra le Marche e l'Emilia Romagna, mentre il Vaticano è una città-stato così minuscola da avere addirittura il proprio territorio completamente dentro la zona metropolitana di Roma – ed entrambi si siano dichiarati neutrali durante la seconda guerra mondiale, immagino siano comunque fratelli minori delle due più famose sorelle italiane, e quindi le due ci tengano a non vederli immischiati in una guerra che potrebbe polverizzarli senza che i nemici si accorgano nemmeno di essergli passati sopra. In effetti, mi chiedo perché Himeruya abbia tralasciato questi due per mettere invece Seborga. Che manco esiste, in realtà... è solo una trovata del paese ligure per farsi pubblicità come attrazione turistica >_>

Misteri di Hetalia.


Angolo del perché e del percome (che nessuno ha chiesto)


Ed eccoci finalmente al momento serio della storia! Era l'ora che le due nazioni finalmente avessero una chiacchierata faccia a faccia, anche perché altrimenti per quale cacchio di motivo Inghilterra dovrebbe tenere Italia dentro casa propria? Perché è un porcello? Anche, ma non è abbastanza.

Ed ovviamente è un discorso serio, molto serio. Perché in fondo parlano della guerra, e con la guerra non si scherza.
Ora, metto subito le mani avanti e ammetto di non essere assolutamente né una storica contemporanea, né una stratega militare. Quindi, è molto probabile che abbia scritto un cumulo di cazzate atroci mentre descrivevo i possibili rapporti di peso politico che ha avuto l'Italia nella scelta dell'obbiettivo dell'alleanza dopo la guerra d'Africa. O forse no, ho avuto l'illuminazione mistica e ci ho preso, ma comunque non vi conviene usare queste informazioni per un ipotetico compito in classe.

Le note invece sono certificate dal bollino C E (China Export, mica Comunità Europea, che vi credete), quindi sono genuinamente tarocche.

Dato che però nei disclaimer oltre a storico e introspettivo c'è pure commedia, non potevo mantenere tutto il capitolo sul pesante. Fortunatamente ci pensa Iggy ad alleggerire il tutto con le sue perle da ambasciatore dei maniaci, offrendoci il suo personalissimo punto di vista sulla scollatura dell'altra nazione. E non solo su questa. È difficile muovere un uomo e soprattutto immaginarne i pensieri, dato che in tren*cade la connessione* anni non mi ero mai posta il problema. Ma considerando che, in base agli studi scientifici un uomo pensa al sesso circa ogni sette secondi, penso di esserci andata anche piuttosto leggera U.u Comunque Italia per rientrare in Canon non è assolutamente in grado di leggere l'atmosfera, no no. Anche se ce la vedo un sacco a spettegolare con Prussia sui vizietti delle altre nazioni...

Concorsino ino - ino: facendo finta di nulla ho lanciato un indizio su un personaggio al momento solo nominato... chi lo indovina?

Quanto alla parte finale... posso spiegarla solo in un modo:


http://static.fjcdn.com/pictures/Like+a+Sir_606ab4_3365688.jpg


E per la storia con Belgio... viene tutto quanto da qui. Quando ho letto questo fumetto sono morta dal ridere. E poi sono risorta ma ancora stavo ridendo quindi ho rischiato di morire di nuovo. Son cose belle.


Notizia inutile della giornata: mi ero messa di buzzo buono a voler spiegare il motivo per cui questa cacchio di storia si intitola “le idi di marzo” ma quando mi sono accorta di come mi sono “leggermente” dilungata sulle note a fine capitolo ho deciso in comune accordo con me stessa che lo avrei fatto il prossimo capitolo. Così mi sono anche risolta il problema di cosa scrivere nel prossimo “momento Super Quark (che in realtà assomiglia di più al momento Ulisse)”. Che genio!


Al solito ringrazio chi ha recensito (Kesese_93 e Lady Monet), a tutte quelle/i che hanno messo la storia tra i preferiti/seguiti/ricordati/mi-son-stampata-la-tua-storia-e-la-tengo-nel-portafoglio-come-un-santino. E anche a chi ha solo letto U.u


Un bacione,

Monia


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Capitolo 7
*** 7. Quando distribuivano la furbizia, ero a far la fila per il gelato. ***


7. Quando distribuivano la furbizia, ero a far la fila per il gelato.



“E ti sarei grato se facessi due più due”

“...Oh.”


Italia rimase silenziosa a ricambiare lo sguardo serio dell'inglese per parecchi minuti, domandandosi se respirare più rumorosamente potesse essere preso come una possibile risposta. Alla fine però tra lo scontro di sguardi, che per una volta tanto non le provocò alcun cenno di ilarità ma solo un senso di nervoso disagio, dovette giocoforza sottrarsi con le pive nel sacco. Improvvisamente il resto del volto inglese sembrò più interessante dei suoi occhi, che pure avevano un punto di verde incredibilmente lucente e cristallino, difficile da poter descrivere.


Se non altro, oggettivamente parlando aveva un bel viso. Regolare e lievemente spigoloso, aveva i tratti fini di un ragazzo da poco entrato nell'età adulta, con un accenno di ricrescita della barba distinguibile solo a quella distanza sulla mascella non troppo marcata e spigolosa. Peccato le sopracciglia che appesantivano lo sguardo altrimenti giovanile e vivido (e i capelli senza una forma alcuna. Altro che il parrucchiere, avrebbe avuto bisogno di un miracolo divino). Sarebbe stato un buon elemento di studio per un ritratto... E no. Non era il momento per lasciarsi andare agli attacchi d'arte, sebbene per alcuni istanti avesse sentito sotto le dita il fremito impaziente che provava quando desiderava toccare qualcosa per studiarne la consistenza, la forma e la sostanza in modo più approfondito e interiorizzato di come potesse fare con la semplice vista.
Piuttosto, in una scazzottata (meglio prendere in considerazione ogni possibile scenario futuro) le avrebbe dato del filo da torcere? Non aveva certo i muscoli e la prestanza fisica di Germania o Prussia, e nemmeno l'imponenza e la stazza di America e Russia. Anzi, era piuttosto magrolino e minuto, più nervi che muscoli; ciononostante, non sembrava facile da atterrare. Se la giocavano alla pari, sebbene fisicamente fossero una l'antitesi dell'altro. Buffo, si trovò a pensare mentre ne osservava il pomo d'adamo muoversi lentamente su e giù, come una simile altezza e peso (sperando almeno di essere più leggera. Sarebbe stato uno smacco troppo grande scoprire di aver addosso più chili di lui) cambiassero tanto al colpo d'occhio in base alla persona e al sesso...

Il rumore di un ciocco carbonizzato che si spezzava nel focolare la fece sussultare. Quanto tempo avevano passato nel totale e imbarazzante silenzio? Da un lato anche troppo, ma dall'altro avrebbe preferito rimanere zitta per sempre, piuttosto che affrontare la situazione.
Ma dato che anche l'uomo non sembrava aver alcuna intenzione di spostarsi per molto, molto tempo, e lei cominciava a stare decisamente scomoda, si fece coraggio e si schiarì la voce.

“Ehm... s'è fatta una certa. Mi sono anche ricordata che devo rifare il letto per cui...” di nuovo si schiarì la voce con un falsissimo colpetto di tosse, e per potersi alzare posò la mano in avanti, sullo stomaco di Inghilterra, solo un accenno per spostarlo via. Ovviamente, non ebbe alcun successo. Tanto era innaturalmente forte lei, tanto lo era lui. Anzi, il gesto sembrò divertire parecchio l'uomo che accennò un ghigno. Sollevò la sua mano a coprire e bloccare quella dell'altra nazione, stringendola appena “Oh... don't worry. Puoi dormire con me...”

“... Va bene. Ho sbagliato esempio, colpa mia. Devo... andare a preparare la colazione per domani. Ho dimenticato di annaffiare le begonie. ...Devo lavare il gatto? Ritirare la vincita del bingo?” Continuò ad inanellare scuse, via via sempre più palesemente false e forzate, mentre tentava di affondare dentro la poltrona pur di allontanarsi dalla sempre più incombente figura sopra di lei e di liberare la mano ora trattenuta con insistenza e tenacia dall'altro.


Questa piega degli eventi non se l'aspettava proprio. Certo, le avevano detto quando finalmente era entrata a pieno diritto nel suo aspetto adulto di stato sovrano che questo avrebbe potuto portarle più problemi che vantaggi, ma in fondo lo aveva pronosticato Austria. E tutto quel che usciva dalla bocca dell'austriaco veniva automaticamente catalogata dal suo cervello come cazzata senza alcun interesse. Quindi se ne era sempre fregata e aveva continuato a vivere la sua esistenza tranquilla e felice, sicura del fatto che la sua natura di nazione l'avrebbe fatta scivolare indefessa accanto dall'eterna diatriba uomo-donna senza venirne mai sfiorata. Maschio o femmina che fosse, era una creatura al di sopra delle parti (e in effetti lei aveva sempre preferito la compagnia femminile, per il puro piacere fisico) e a nessuno poteva importare di meno di cosa facesse e di chi frequentasse al di fuori della sua vita pubblica... fino a quel momento.

E ora veniva fuori questo a dirle che era una bella donna. Non il simbolo di un territorio, ma proprio una donna.

Era... destabilizzante. Nessuna nazione, dacché lei ne sapesse, l'aveva mai considerata come una donna nel senso sessuale del termine. A parte forse Francis, ma quello lì non faceva testo. Era interessato sessualmente a qualsiasi creatura del mondo animale, vegetale o minerale, gli bastava avercela sotto le mani e in qualche modo trovava con cui sollazzarsi. Tanto che tra lei e la sorella avevano ridato un nuovo significato al termine “illibato”: colui o colei che corre più velocemente del francese (con una nota a margine di Lavinia: o anche solo più velocemente dell'ultimo tra gli inseguiti, solitamente Spagna).

Erano diventate delle scattiste nate, nel corso dei secoli. Dei fulmini.

… No, si era sicuramente sbagliata. Aveva capito male, poco ma sicuro. Tanto, capiva spesso fischi per fiaschi, perché non anche stavolta? Sorrise nervosamente, rialzando lo sguardo verso Inghilterra che ancora la bloccava sulla poltrona, la mano non impegnata a trattenere la sua sulla spalliera della poltroncina a bloccarne il capo. Cercò nei suoi occhi chiari la prova schiacciante del suo fraintendimento, una nota d'ironia, anche una velata presa in giro poteva andar bene.


Niente. Vedeva solo degli occhi fissi su di lei dalle pupille tanto dilatate che sembravano due buchi neri. Era davvero così serio nella sua proposta? … Non è che...

“Ehm... onestamente non credo che un'alleanza anglo-italiana possa funzionare, ora come ora. A parte che di solito bisognerebbe almeno essere due stati confinanti, per rendere la cosa di una qualsivoglia utilità... ma poi siamo palesemente in contrasto e i nostri popoli non hanno alcun punto in comune, a parte l'essere entrambi esseri umani - anche se noi siamo palesemente più belli e affascinanti. Non funzionerebbe”

Azzardò allora titubante, mordendosi il labbro inferiore. Poiché non poteva essere realmente interessato a lei come persona, dedusse, sicuramente era questo il motivo per cui aveva parlato di compagna. Anche se la cosa faceva lievemente a cazzotti col piccolo particolare della guerra. E del fatto che fossero sui fronti opposti. Anche sforzandosi un'unione tra le nazioni italiana e inglese non avrebbe mai funzionato. Forse, e solo per ipotesi, a livello economico con gli scambi commerciali...

Per un attimo Inghilterra ristette, come nemmeno l'avesse sentita. Quando però l'eco delle sue parole gli arrivò alla mente... spalancò gli occhi, fissandola stralunato. Boccheggiò per alcuni istanti, mentre guance e orecchie cambiavano colore vertendo su una delicata tonalità rossa. Oh, anche lui come Rose arrossiva senza motivo. Decisamente strani gli inglesi.

Poi... scoppiò a ridere. Una risata fredda, nervosa. Quasi isterica. Si scostò da lei con veemenza, dandole le spalle mentre si dirigeva alla finestra, per guardar fuori la notte ormai avanzata.

“Holy God... la tua faccia spaventata è la cosa più divertente che abbia mai visto da almeno cinque anni a questa parte. Capisco perché metà d'Europa abbia sempre cercato di schiavizzarti... è esaltante trattarti male e prenderti in giro” La donna si morse il labbro inferiore, nonostante tutto le parve più saggio non attirare di nuovo l'interesse e lo sguardo dell'altra nazione. Strinse i denti sotto le guance ingoiando una rispostaccia e non disse nulla.

Per un po' anche l'altro rimase in silenzio, rendendo l'atmosfera tanto tesa e pesante che avrebbe potuto tagliarsi con un coltello. Poi, sempre offrendole le spalle, intrecciò le mani dietro la schiena e riprese a parlare.

“Ti trovo insopportabile. Ti ho sempre trovato odiosa, da che ho memoria della tua esistenza. Prima della Grande Guerra quando nonostante tutto eravamo alleati, prima dei Great Touring... Prima ancora che Francia venisse a vantarsi con me della sua cucina, che in realtà veniva da te...*”

Inghilterra sospirò, e abbassando le spalle con fare stanco appoggiò la fronte al vetro freddo, sempre tenendo il volto nascosto all'altra nazione mormorò piano

“Da quando hai preferito mia sorella Irlanda a me, per essere precisi”


Ahhh... dunque è qui che voleva andare a parare. Ancora con quella storia dei vari anatemi che gli aveva lanciato contro nei secoli passati quando aveva dato vita allo scisma della chiesa anglicana.

Bé, la maggior parte di questi se li era meritati tutti, dal primo all'ultimo. Pensava davvero che dopo tutto quel putiferio (per colpa del quale aveva perso un sacco di potere sia in Europa che nel resto del mondo appena scoperto) lei avrebbe più provato il benché minimo interesse per la sorte degli inglesi? Ma che fossero crepati tutti all'inferno, lei avrebbe ballato sopra la tomba di tutti i suoi regnanti. Ovvio che per questo motivo si era avvicinata ancor di più alla ben più ragionevole Irlanda – che in realtà ragionevole non lo era per nulla, ma Italia era sempre stata bravissima a rigirarsi le persone come le pareva. Peccato che da quando aveva lasciato il potere cattolico in mano al suo fratellino Gregorio per unirsi a Lavinia in una nazione unitaria avesse perso un po' il tocco magico – e prima ancora a Scozia. Ma anche lo scorbutico rosso, alla fine, aveva ceduto alla nuova religione. Decisamente quest'isola maledetta non le aveva mai dato alcuna soddisfazione, dalla fine del dominio imperiale di Britannia ad oggi...

“Non sono io che ti ho rinnegato per permettere al tuo re di sposarsi come e quando gli piaceva, anzi. Ero arrivata a dare la licenza di matrimonio con la Bolena, nonostante il tipo si fosse già fatto la sorella. Colpa tua e sua che avete pestato i piedi agli spagnoli e al Sacro Romano Impero... La scomunica poi è stato un atto dovuto e meritato, considerando anche in che maniera oscena e brutale hai trattato i cattolici nelle tue terre” rispose dopo aver fatto schioccare rumorosamente la lingua sul palato, incrociando le braccia sotto al seno con fare nervoso. Ogni volta che ci ripensava si scaldava come un cerino, era uno dei – tanti – argomenti nel passato che la mandavano in bestia.

“Cielo, avrà cambiato più mogli che scarpe, quel dannato! Avrebbe potuto fare come tutti gli altri regnanti d'Europa e mettere al mondo un figlio bastardo da legittimare... ma no! Molto più salutare e logico divorziare a rotazione – magari facendo uccidere la precedente moglie tanto per – e far finta di mantenere una parvenza di puritanesimo, eh?” Italia sbuffò, scuotendo il capo con fare scocciato. Disincastrò le braccia solo per poter sventolare la mano sinistra, come a scacciar via una mosca.

“Voi protestanti anglicani avete una morale contorta e ipocrita. Per voi non è importante non peccare, quello che conta è che nessuno lo venga a sapere...” nel frattempo si era alzata in piedi, raddrizzando la schiena. Che per quanto la gestione dello Stato della Chiesa e della religione cattolica in Europa tra lei e suo cugino Francia fosse stata decisamente e paradossalmente una bolgia infernale – non potevano farci nulla, amavano gli intrighi e i giochi di potere in maniera patologica. E avevano trasmesso questo tratto alla maggior parte delle loro famiglie nobiliari, che nei secoli si erano succedute alla conquista del soglio pontificio in una girandola di tradimenti e sordide alleanze tale da non essere inferiore a qualsiasi altra dinastia reale – nemmeno gli altri loro “concorrenti” alle anime dei buon cristiani erano poi così candidi e lindi come volevano farsi passare.

“Lutero aveva delle idee oneste alla base, posso ammetterlo. Eretiche e assolutamente inaccettabili per la mia chiesa temporale e i miei traffici” lieve colpetto di tosse colpevole a confondere la parola “ma oneste. Tu che avevi? Pure e semplici motivazioni politiche, oltreché la fregola di un re debosciato. Almeno potevi far finta di nasconderle dietro una ideologia di qualsivoglia tipo...”

Inghilterra si staccò dalla finestra voltandosi di scatto, e in meno di tre passi era di nuovo di fronte ad Italia, ricambiandone lo sguardo astioso. Purtroppo, questo era un argomento che mandava in bestia anche lui, scoprì la donna.

“Hai una bella faccia a parlare, te che hai giocato con l'anima” alzò entrambe le mani, a fare il segno delle virgolette con indice e medio per sottolineare la parola anima “di mezzo mondo come se fossi una bimbetta isterica e viziata, solo per soddisfare le tue manie di protagonismo. Te e i tuoi dannati pontefici corrotti e assetati di potere a schioccare le dita e decine di re e imperatori a prostrarsi ai tuoi piedi, col perenne rischio di una scomunica tra capo e collo. Ringrazio il cielo di aver smesso di ascoltare le tue baggianate secoli fa”

La donna lo fissò per alcuni secondi, poi l'espressione accigliata si fece maliziosamente cattiva.

“Ah-ah! Ecco dove ti volevo...” La donna sorrise lieve, mentre orna con la punta dell'indice punzecchiava lo sterno dell'altro, con l'intento – riuscitissimo, tra l'altro – di infastidirlo ancor più che con le sole parole “Leggo una puntina di invidia, Inghilterra? Ti scoccia che io sia Italia l'incapace, Italia la mediocre che nonostante la sua palese debolezza regnava su di tutti in quanto detentrice del potere temporale e spirituale della Santa chiesa Cattolica, a cui tutti volenti o nolenti davano ascolto... e anche ora sono una delle terre più ambite e ammirate al mondo. Mentre tu sei il povero e piccolo Inghilterra che nessuno voleva, e per trovare dei compagni hai dovuto sottomettere decine di popoli e paesi il cui più grande desiderio è di vederti soffocare nel sonno... Bé, lasciati dire una cosa.


Non ti vuole. Ancora. Nessuno.” sibilò con una cattiveria che stupì lei stessa per prima, d'istinto.

Ed in effetti, ripensandoci a mentre fredda forse era meglio se fosse stata zitta.


Eppure aveva speso un sacco di secoli ad affinare le arti della diplomazia... Secoli buttati nel cesso, per dirla con un francesismo.

Dire che Inghilterra davanti a lei fosse furente era decisamente un eufemismo. Era come paragonare una tigre affamata ad un micino appena nato, ancora con gli occhietti chiusi. Improvvisamente nonostante fosse più alto di lei solo di pochi centimetri sembrò occuparle tutto lo spazio visivo, gli occhi verde erba che sprizzavano scintille di odio da ogni fibra dell'iride rilucendo nemmeno avessero avuto il tappeto lucido dei gatti. Per un attimo valutò la distanza tra lei e la porta, e se avrebbe fatto in tempo a raggiungerla prima dell'autocombustione dell'altro. Scaldava più lui del caminetto acceso, ora come ora...


I suoi calcoli vennero interrotti dalla presa ferrea di Inghilterra sulle sue braccia, tanto forte da farle formicolare le mani. Deglutì nervosamente, attendendosi come minimo di fare un volo verso l'altra parte della stanza, e strizzò gli occhi, trattenendo il fiato in attesa del colpo che sarebbe arrivato tra poco.


Nulla... Per qualche strano motivo, Inghilterra non stava facendo nulla. Se non stritolarle la carne con la sua stretta. Quando si azzardò a riaprire gli occhi, lo ritrovò nella stessa identica posizione, tanto che le venne da chiedersi se avesse almeno sbattuto le palpebre o respirato, nel frattempo.

Se non altro non sembrava volerla uccidere sul momento, nonostante tutto aveva trovato la sua morte poco utile. L'aura minacciosa non era diminuita nemmeno un po', in compenso.

Sempre tenendola in modo da non permetterle alcun tipo di allontanamento, lentamente l'uomo le si avvicinò tanto da sfiorare la fronte con la sua. Strano, chissà perché il suo cervello quando era nelle situazioni assolutamente più a rischio, si metteva a pensare alle cose più stupide e inutili. Ad esempio ora stava automaticamente registrando l'odore dell'altra nazione, che coprendo quello fisico che il corpo naturalmente emanava, lo identificava come “Inghilterra”. Pioggia, lieve sentore di tabacco e tea stagionati, rose appena raccolte. Piacevole, probabilmente rilassante, in un'altra situazione. Ora come ora era solo inquietante come tutto il resto della persona che lo emanava.

Chissà, si domandò, quale fosse il suo di odore... ne era così immersa che nemmeno riusciva ad avvertirlo, ma probabilmente assomigliava a quello di Lavinia... o forse no. Mah...

“Felicia.”

… decisamente doveva togliersi questo viziaccio di spaziare con la mente quando non doveva.

“...si?” rispose timidamente, la voce di un paio di ottave più alte del normale. Nemmeno si offese per come l'aveva di nuovo chiamata col nome personale, tanto l'aveva presa alla sprovvista.

“Spero con tutto il cuore che tu non prenda assolutamente in considerazione l'idea dell'armistizio. Così alla fine di questa guerra tu sarai la nazione perdente su cui mi rifarò con più dedizione e divertimento. Anzi, penso che addirittura ti chiederò come risarcimento di guerra personale, e stai pur sicura che se voglio una cosa io la ottengo”


Ossantapeppa. Voleva torturarla? Era un sadico? ...Si, con quella faccia non poteva essere niente altro che un sadico. E anche uno di quelli parecchio scorbutici e stronzi. Alla faccia tua Gilbert, visto che ti sei sbagliato? Tu e i tuoi diari non sapete poi tutto come volete far credere. Hai perso la scommessa anche te.

… bé, era una motivazione ben misera per gioire, anzi. Ma bisogna sempre vedere il lato positivo delle cose.

L'avrebbe costretta a lavorare per lui fino alla notte dei tempi per risarcirlo, o peggio ancora a mangiare la sua orrenda sbobba fangosa?

… se questa era una tecnica di psicologia inversa... bé, funzionava alla grande. Alla grandissima.

Praticamente aveva già la mano sulla penna che avrebbe vergato la richiesta di armistizio.


“ … E dopo che sarai diventata mia, rimpiangerai i bei vecchi tempi in cui le altre nazioni si litigavano le tue terre. Ti sembreranno piacevoli ricordi in cui il più grande impiccio era cambiare armadio ad ogni nuovo conquistatore, per adattare i tuoi vestiti alla loro corte. Anzi, ti dico fin da ora che dell'armadio potrai anche fare a meno. Francia ti sembrerà una monaca di clausura a confronto.”


No!! voleva togliergli uno delle sue più grandi e ardenti passioni, i vestiti alla moda! Come avrebbe fatto senza le sfilate e le visite a sarti e modiste, i pomeriggi passati tra i negozi più chic con la sorella a provare decine e decine di scarpe, gonne, corsetti... Decisamente era una minaccia mostruosa. Era quasi certa che da qualche parte nella convenzione di Ginevra ci fosse scritto qualcosa sul negare ad una donna lo shopping. L'avrebbe costretta a vestirsi sciattamente come gli inglesi? Cielo, che orrore... alla sola idea Italia ebbe un brivido lungo tutta la spina dorsale.


“Ma... la convenzione di Ginevra... i miei diritti... ” provò a pigolare la donna, i cui occhi si stavano pericolosamente riempendo di lacrime. Di nuovo. “Giusto, il diritto alla sovranità... non ho mai attaccato fisicamente l'Inghilterra, quindi anche se per risarcimento tu non puoi pretendere il suol-”


“Oh, no. Io non voglio l'Italia.” L'altra nazione la interruppe con una risatina che sapeva di isterico “Non chiedo le tue terre, e del pagamento che dovrà la tua nazione alla mia ci penserà la corte internazionale. Io voglio te. Anche a costo di trovare un modo per farti perdere il potere di nazione, puoi scommetterci l'anima che ti avrò.”


“Io... penso di sentirmi male. Molto male...” Mugolò la donna, dopo una piccola pausa di silenzio. Effettivamente, se non fosse stata sostenuta da Inghilterra probabilmente si sarebbe già trovata stesa sul pavimento. L'uomo, dopo averla controllata con fare clinico – e anche un filo ossessivo - la fece indietreggiare fino a farla sedere sulla poltrona, poi lasciò la presa e il contatto visivo. Se non altro, non sembrava intenzionato a rovinare prima del tempo quel che già catalogava come una sua proprietà malvestita e ridotta alla fame. Probabilmente anche sfruttata economicamente. Che culo.


“Sentiti pure male quanto desideri, è un tuo diritto. Tanto ciò non cambia quello che ho deciso, a prescindere da quel che tu possa provare. Prima accetti la situazione, e prima riuscirai a fartene una ragione... Ora” Sbuffò, e raddrizzando la schiena portò lo sguardo verso la porta ancora chiusa. Sovrappensiero si portò la mano al nodo della cravatta, allentandolo. Gesto che gelò il sangue alla donna facendola rabbrividire, anche se non ne comprese il motivo in modo logico. Mentre che lei era ancora intenta a comprendere come mai avesse provato quel senso di vago terrore, Inghilterra aggiunse, come a non dare molto peso alle parole poco prima pronunciate “Penso si sia fatto troppo tardi, ed io domani mattina ho un consiglio alla camera dei Lord. Buona notte.”

Detto questo, senza più scambiare un solo sguardo con Italia uscì spedito dalla stanza richiudendosi la porta alle spalle. La donna, ancora ciondolante dal vago senso di nausea e terrorizzata fin nelle ossa per l'orribile destino che le si prospettava d'innanzi attese di sentire sparire del tutto il rumore degli stivali sul pavimento di legno, prima di prendere fiato e coprirsi gli occhi, sospirando.


Passarono più di cinque minuti di silenzio rotto solo dalla pioggia incessante e dal basso crepitare del fuoco che andava spegnendosi, dopodiché alla donna passò il senso di fastidio alla bocca dello stomaco e riuscì a trovare il coraggio di muoversi da quella poltrona senza temere il ritorno dell'inglese. Più che altro, le facevano tremendamente male i fianchi e... si, le apparecchiature di bassa manovalanza.

Mannaggia a lei quando quella mattina aveva messo quelle brache. Erano la cosa più scomoda dell'universo. Non che il resto dei vestiti appartenenti all'inglese fossero più comodi, ma quelle erano... insopportabili. Strette e con le cuciture proprio dove non dovevano stare. Alla sola idea di dover indossare abiti simili per il resto della sua vita, se il facciadaculo avesse attuato le sue intenzioni, e non i suoi comodissimi ed eleganti abiti di alta sartoria...

Di nuovo le venne il magone. Unito alla rabbia, ma ora che l'altro era a debita distanza si poteva sfogare liberamente. Con un gesto stizzito si sfilò gli stivali lanciandoli sul pavimento con cattiveria, quasi lo avesse identificato con la faccia di Inghilterra (restò comunque in allarme per parecchi istanti dopo il gesto, temendo di sentire dei passi in avvicinamento). E poi passò alle brache, a cui fece fare un volo ancor più lungo fino alla finestra. Dato che c'era, slacciò anche i primi bottoni della camicia, srotolando del tutto le maniche che ora le coprivano le mani fino oltre l'attaccatura delle dita.


Oh... ora si che si ragionava. Libertà, ambita e magnifica libertà!


Zompettò un po' in giro per la stanza, a godersi la sensazione di ruvido calore del pavimento in legno trattato, inframezzato dalla morbidezza dei tappeti persiani su cui era un piacere incommensurabile strofinare i piedi nudi. Dato che quella requisita come camera propria nei giorni passati era con molta probabilità la stanza da letto di Inghilterra, si risolse nel passare la notte nello studio, a debita distanza.

Per un attimo pensò di andarsene da Rose e spupazzarsela un po', ma probabilmente a quell'ora la ragazza già dormiva e poi la sua stanza era troppo vicina a quella del fratello, sicuramente lo avrebbero svegliato. No, meglio lasciar riposare loro che potevano e rimanere nello studio fino alla mattina, quando lo stronzo faccia da culo se ne sarebbe andato alla sua dannata riunione.

Magari non avrebbe dormito comodissima – o meglio, su quelle poltroncine non avrebbe dormito per nulla – ma se non altro non avrebbe dovuto sorbirsi ancora la mefistofelica presenza del padrone di casa, o addirittura una filippica su come era riuscita a ridurre quella stanza nel breve lasso di tempo in cui vi aveva sostato.

Colpa di Facciadaculo che non sa ottimizzare gli spazi e nasconde le cose, si autodifese Italia mentre con gli occhi e la punta delle dita scorreva le coste dei libri su uno scaffale della fornita libreria inglese.

Molti di questi erano memorie, saggi o racconti di viaggio; ne prese uno riguardante i trascorsi nel suo paese di un giovane visconte due o tre secoli prima in balia di un sentimento nostalgico per i suoi paesaggi, ma lo rimise al suo posto dopo averne sfogliato alcune pagine a caso. Tipico degli inglesi: finiscono nei posti più belli al mondo, fossero le sue città d'arte o i paradisi terrestri ai quattro angoli del mondo, e passano pagine e pagine a descrivere l'ora del tea e le minuzie del galateo nel servirlo con eleganza. In quelle poche pagine lette aveva appreso perfettamente la mìse del visconte e della sua accompagnatrice lungo le strade di Firenze, ma nulla su Firenze stessa. Bah.

Ne prese un altro ma anche questo non riscontrò il suo favore, lasciandola frustrata. Sbuffò appena e continuò a cercare spostandosi lungo le librerie stracariche. Tra i vari manuali ed enciclopedie, vi erano anche trattati erboristici, geografici e scientifici posizionati in bella mostra e dall'aria vissuta; diversi manuali di giardinaggio e di galateo, e persino qualcuno sul ricamo e sulla confezione sartoriale (anche questi parecchio consunti e dalla copertina graffiata e rovinata agli angoli, come se fossero stati letti e rimessi a posto molte e molte volte); un intero piano di libri di cucina e pasticceria, comprensivo addirittura di una delle prime copie de “La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene” dell'Artusi, probabilmente un regalo a giudicare dalla dedica sarcastica sulla seconda pagina del volume. Nuovo di zecca, ancora aveva la carta velina che proteggeva le pagine interne e la pelle che rivestiva la copertina era polverosa e lievemente grassa, come se non fosse mai stato toccata. Come tutti gli altri manuali di cucina, notò.


Questo spiegava tante, tantissime cose.


Continuò a cercare qualcosa che le attirasse l'attenzione, ma quando arrivò ai romanzi di appendice, tra i tantissimi titoli più o meno sconosciuti trovò un libercolo senza alcuna scritta sulla costa esterna, nascosto tra una fila di libri tutti tra loro quasi tutti uguali e riposti nello scaffale più in alto. O meglio, la copertina era stata rivestita in modo tale che non si potesse leggere cosa vi fosse scritto, se non aprendolo. Tutta questa segretezza ovviamente non fece altro che alimentare la fiamma della curiosità femminile, e alla fine fu proprio questo tra i tanti che l'avevano attirata ad essere sfilato via dal suo loco con attenzione. Anche questo, ad una attenta occhiata sembrava essere stato sfogliato molte volte...

Una volta decisa su cosa leggere, Italia spense la luce principale, rimanendo per alcuni istanti alla lieve luce brunita delle braci morenti. Dopo aver attizzato il fuoco alimentandolo con nuova legna, a tentoni si avvicinò alla scrivania cercando sopra di questa il pulsante per accendere l'abat-jour. Parecchi secondi dopo passati in ricerca tra carte e portapenne sentì sotto le dita la ceramica dell'interruttore, e fattolo scattare la calda luce ovattata dalla carta di riso illuminò di nuovo la scena. Sorrise lieve, lasciandosi cullare per un attimo dall'atmosfera tranquilla e dall'ipnotico rumore del fuoco scoppiettante e della pioggia che imperterrita continuava a scendere al di fuori della finestra. Non fosse che non era a casa sua, poteva quasi dire che quello era il momento della giornata che preferiva: pacifico e raccolto...


Canticchiando, dal mobile del bar prese una bottiglia di cristallo piena di brandy, ed un bicchiere. Posò entrambi sul piano accanto a lei – esattamente sopra i fogli che prima Inghilterra stava facendo finta di studiare – e poi spostata la sedia imbottita vi si accomodò, alzando le gambe fino ad incrociare le caviglie sul bordo coperto di pelle verde della scrivania. Si, ora era comodamente pronta per dedicarsi alla lettura di...

Un libro austriaco. Ohibò, questo non se lo aspettava proprio. Che ci faceva Mr. “la mia letteratura è la meglio del mondo e voialtri non siete altro che feccia ignorante” con un libro in austriaco?


“Venus im pelz***”


Lesse incuriosita a voce bassa il titolo in caratteri minuti nella seconda pagina di copertina del volumetto, cercando di imitare l'accento del patrigno. Bah, mai sentito. Si versò un bicchiere di liquore, mentre con uno sforzo di memoria tentava di ricordarsi almeno dove aveva sentito il nome di Von Sacher Masoch, l'autore. Le sembrava che Roderich ne avesse parlato una o due volte, nel secolo scorso, lamentandosi della sua amoralità e della condotta riprovevole tenuta dal suddetto scrittore... ma onestamente non gli aveva dato peso. Al tempo aveva altri problemi che non fossero leggere autorucoli da strapazzo suggeriti (in realtà non glie lo aveva proprio suggerito, quanto piuttosto categoricamente vietato. Ma si sa, vietare qualcosa ad una giovane nell'età della ribellione, per quanto in realtà millenaria, era un palese invito a fargli fare quella determinata cosa per puro spirito di contrarietà) dall'esagitato austriaco. Bé, dato che c'era si sarebbe rifatta ora...


Non era arrivata nemmeno alla seconda pagina del romanzo, che di colpo, prendendola completamente alla sprovvista la porta del salotto si spalancò di nuovo, mostrando Inghilterra in maniche di camicia e bretelle, che fissava un punto indefinito davanti a sé con espressione stralunata e un filo psicotica distinguibile nonostante la penombra e la distanza. Per l'accidente il bicchiere ancora pieno che teneva tra le dita le era scivolato, rovesciandoselo addosso. Ed ora una scura macchia con il penetrante odore di brandy invecchiato le decorava la camicia mezza sbottonata.

“...Chi? Cosa?” Esclamò la donna tremante sia per lo spavento appena preso che per la sensazione di bagnato dato dal liquido freddo sulla pelle, mentre tentava di arginare il danno tamponando la macchia con un pezzo di carta assorbente tenuto sul piano per le lettere. Col risultato di lasciare sulla camicia un tempo candida anche delle lievi macchie di inchiostro scioltosi con l'alcool. Ecco cosa si era dimenticata di fare, chiudere la porta a chiave. Male, molto male Felicia. Perdi colpi...


“Ripensandoci” Le rispose l'altro, in tono colloquiale mentre si richiudeva la porta alle spalle. Facendo scattare la serratura, l'avvertì un campanello di allarme leggera e soave come una sirena da transatlantico. “Non ho alcun bisogno di attendere la fine del conflitto per considerarti di mia proprietà. Sei già dentro casa mia, dopotutto...”

Un lieve senso di vertigine investì Felicia, che si sentì tutto il sangue defluirle dalla testa. “...veh?”


“Ergo, fanculo ai lord e alla loro camera. Spero che tu sia preparata psicologicamente, che io stanotte ho tutta l'intenzione di portarmi avanti con la presa di possesso.” Senza por tempo in mezzo si era avvicinato di nuovo alla scrivania, tenendo lo sguardo fisso su quello della donna. Quando poi però lo abbassò, lo vide bloccarsi sul posto. L'uomo sbatté le ciglia boccheggiando, e la pelle stava cambiando così rapidamente e vistosamente colore che anche alla tenue luce della lampada riusciva a notarlo. Dal normalmente rosa al rosso, per poi passare al cianotico e al bianco cadavere. E poi tornare rosso acceso. Molto patriottico, se non altro.


Continuando a fissarla senza sbattere le palpebre deglutì una, due volte a vuoto, poi balbettò a fatica


“S-sei nud...”


Al che, venne finalmente anche a lei l'idea di guardare in basso. O meglio di guardarsi, ancora seduta sulla poltroncina ad asciugarsi la macchia e con le gambe alzate ed appoggiate al bordo della scrivania.


Oh merda. I pantaloni.


Dov'è che li aveva lanciati? Ah, giusto, sotto la finestra. All'improvviso la magnifica sensazione di libertà poco prima provata non le sembrò più così bella e magnifica. E desiderò ardentemente di aver indossato ANCHE le mutande dell'uomo assieme al resto dei vestiti quella mattina, nonostante la biancheria intima maschile fosse parecchio scomoda.



D'ora in avanti, pensò Italia deglutendo mentre sentiva le mani dell'uomo sollevarle il viso e lo vedeva avvicinarsi pericolosamente a lei, avrebbe potuto aggiungere a sua volta una nota a margine al significato della parola “illibata”: quello che ero prima di starmene nuda come una fessa di fronte ad Inghilterra arrapato.






* Alta cucina francese medievale? Ma anche no. Durante il medioevo in Francia si mangiava esattamente come si mangiava nel resto del nord Europa: cibi estremamente semplici con metodi da barbari. Fu infatti Caterina De Medici, sposa del delfino di Francia Enrico D'Orleans a introdurre la buona tavola con la distinzione tra i cibi salati e dolci – al tempo si mangiava tutto assieme, senza alcuna differenza tra una portata e l'altra - l'uso della forchetta al posto delle dita ( a sua volta ereditata dai veneziani, che impararono ad usarla dall'impero Romano d'Oriente... anche se i romani già la conoscevano, ai loro tempi) , e di parecchi alimenti e salse, come la besciamella, le crespelle (che poi diventeranno le crépe), l'olio d'oliva e l'abitudine di condire la carne di volatile con gli agrumi. Ed i francesi ne rimasero così entusiasti che praticamente la assorbirono facendola diventare la loro cucina nazionale. Tanto che oggi come oggi alcuni piatti che da noi ormai sono spariti, sono ancora presenti nei territori d'oltralpe.


** Ovviamente parliamo di Enrico VIII, regnante in Inghilterra e in Irlanda dalla fine del 1400 fino alla metà del 1500, della casata dei Tudor.

N.B. Questo è un riassunto molto ma molto stringato (e anche piuttosto scemo), se mi mettessi a parlare di tutti gli intrighi dietro alle famiglie reali del tempo facciamo l'alba di domani.

Allora... Il bel signore, nonostante agli inizi del suo regno fosse un fedele seguace del papa e della fece cattolica, Quando si accorse che la moglie – Caterina d'Aragona, unita alla famiglia regnante di Spagna e zia dell'imperatore del Sacro Romano Impero – non poteva più dargli un figlio maschio decise di chiedere al papa la dispensa per poter divorziare e poter così sposare in seconde nozze Anna Bolena, la sorella di una sua vecchia amante, Maria Bolena. Ovviamente il Vaticano, non essendoci i presupposti per poter annullare legalmente il precedente matrimonio alla Sacra Rota (anche perché la suddetta Caterina d'Aragona era imparentata sia con la famiglia reale spagnola sia con l'attuale imperatore del Sacro Romano Impero CarloV, e non era molto salutare mettersi contro due dinastie regnanti per farne contenta un'altra) gli disse molto diplomaticamente “attaccati a sto campanile”.

Enrichetto non la prese molto bene.

La chiesa cattolica non gli dava la possibilità di divorziare? Bene, si sarebbe fatto una propria chiesa, quella anglicana. In cui il divorzio – da parte maschile, quello femminile chissenefregava – era facilmente ottenibile.

Come è ovvio pensare, la cosa non andò giù né a Roma né ai vescovi e ai cardinali inglesi, che temevano di veder minato – a ragione, scopriranno - il loro potere sull'isola britannica. Di comune accordo fecero delle trattative segrete per poter rendere nullo il matrimonio di Caterina ed Enrico, così da evitare il motivo del divorzio e peggio ancora lo scisma. La futura ex regina, forte dell'appoggio della famiglia reale spagnola e del SRI (che mi sono scocciata di scriverlo sempre per lungo) osteggiò tanto questa cosa facendola tirare per le lunghe, che il re inglese si stufò di attendere e diede vita allo scisma. Frittata fatta.

Cosicché Enrico divorziò da Caterina e si sposò la bella Anna Bolena, avendone una figlia, Elisabetta. Disconoscendo la prima figlia Maria ottenuta dal precedente matrimonio.

E qui parte la scomunica, anche perché il re, forte della sua nuova posizione da capo della chiesa comincia ad espropriare tutte le proprietà delle chiese cattoliche e dei conventi, costringendo tutti gli adulti del regno a seguire la nuova religione pena l'essere incolpati di alto tradimento e rischiare la morte. Pur essendo ancora, nonostante l'anglicanesimo, un re cattolico. Solo in seguito prese (e diede alla propria chiesa) una inflessione protestante.

Dopo Anna, che gli diede solo Elisabetta, Enrico sposò altre 4 donne, e a parte la terza (Jane Seymour) che morì di parto e l'ultima (Caterina Parr) che gli sopravvisse, vennero tutte ripudiate. La quarta, Anna di Cléves accettò di buon grado e ottenne per questo un indennizzo reale, mentre Anna Bolena e Caterina Howard vennero – a torto o a ragione, chissà – incolpate di tradimento e giustiziate.

Ebbe anche una discreta sfilza di figli, ma la maggior parte morì infante, come era solito accadere al tempo. Dalla terza ebbe l'unico maschio erede – Edoardo IV – che sopravvisse comunque poco al padre morendo a 16 anni. Ma fece comunque in tempo a chiedere (no, non la chiese veramente lui. Anche perché quando decisero sta roba, aveva si e no 6 anni) la mano di Maria Stuarda della casata regnante scozzese, anche se la madre preferì mandarla come sposa al delfino di Francia.

Le altre sue figlie ereditiere furono le prime, Maria la cattolica – figlia di Caterina d'Aragona – ed Elisabetta la protestante, figlia di Anna Bolena. Ma entrambe vennero illegittimate, poi riabilitate, poi illegittimate di nuovo e infine, decisamente incacchiate, riabilitate di propria iniziativa (Maria si prese la corona con la ragione della forza, togliendola alla pseudo erede di Edoardo IV Jane Grey, parente alla lontana).

Le due sorellastre poi si fecero una guerra feroce, ma non ho più la forza né la voglia di descriverlo. Tanto ai fini della nostra storia non serve a nulla >_>


In parole povere, le telenovele moderne non hanno inventato nulla.


*** Venere in pelliccia, scritto nel 1870 dallo scrittore austriaco Leopold von Sacher Masoch.
Se per puro caso il cognome di questo gentiluomo vi ricorda in maniera inquietante la parola “masochismo”... bé, ci avete preso u.u

Il libro è un romanzo autobiografico in cui il protagonista, attratto dall'idea di una donna sadica e glaciale vestita solo di una pelliccia e di una frusta, vista in sogno, convince la propria amante a trasformarsi in una padrona crudele e sottoporlo a punizioni e umiliazioni sempre più pesanti, atte a soddisfare il suo piacere parafiliaco nella totale sottomissione e nel dolore fisico e psicologico. Nel libro alla fine vi è una parziale “redenzione”, che nella realtà invece non fu presente almeno a quanto dice la sua stessa moglie. Infoiato di frustate e pellicce era, e infoiato rimarrà nei saecoli saecolorum (fino a quando non verrà internato dalla stessa consorte in un manicomio. Amen.) 

Tra l'altro lui e la sua amante son venuti a far le prove generali per il libro in Italia, a Venezia. Si vede che ispiriamo.



Angolo del perché e del percome (che nessuno voleva)


Ed eccoci, dopo che ve l'avevo promesso, all'angolo SuperQuark! (che sembra più che altro l'angolo Ulisse) *parte la musichetta*

Dunque... le idi di marzo. Perché ho scelto questo titolo che all'apparenza non c'entra una beata mazza?

Bé. Per prima cosa perché la storia è iniziata a marzo del '43, e quindi per una piccola parte ci siamo. Anche se non durante le idi, che sono presenti sin dal calendario romano – dalla fondazione di Roma, quindi già dall'ottavo secolo prima di Cristo. Quello che stiamo usando noi ora si chiama gregoriano, ed è basato invece su quello giuliano, già di 365 giorni – ed erano il giorno 15 dei mesi di marzo, maggio, luglio e ottobre. Nei restanti mesi cadeva il 13, e solitamente corrispondeva alla luna piena (i mesi non avevano un numero di giorni fissi, e si adattavano al ciclo lunare per far si che le “idi”, le “calende” che erano i primi del mese e le “none” cadessero sempre durante una determinata fase: nell'ordine luna piena, luna nuova, luna crescente). L'anno cominciava a marzo, il mese dedicato al dio Marte, e finiva a Dicembre (mese decimo, per l'appunto) con una pausa invernale di circa 60 giorni variabili in cui non vi era alcuna nomenclatura a indicare i giorni mensili.

Poi venne il calendario di Numa Pompilio, che è cosi incasinato che non ci ho capito una fava nemmeno io e quindi mi resta difficile spiegarvelo. Sappiate solo che finalmente vengono catalogati anche i giorni invernali, suddivisi in gennaio (mese dedicato al dio Giano) e in febbraio, mese della Februa, una festa romana. Usato più che altro come tappabuchi (da ora i mesi hanno un numero di giorni fissi, o 29 o 31. Per cui i giorni che servivano a ricalibrare l'anno in base ai cicli lunari venivano infilati qui)) e perché i numeri dispari venivano considerati sfortunati ed un anno composto di 11 mesi significava una grande sfiga. E l'anno continuava ad iniziare a marzo.

Questo pastr-calendario venne rielaborato alla salita come pontefice massimo di Giulio Cesare: con l'introduzione dell'anno bisestile si compensò lo slittamento delle stagioni -finora il problema era stato risolto lasciando a datazione libera il mese di febbraio – e si portò finalmente l'anno solare a 365 giorni. Ormai le idi e le calende non cadevano più nel giorno della luna piena e nuova, ma erano rimaste comunque come nominativi per il conteggio dei giorni. Non si conteggiavano infatti i giorni dopo il primo andando a sommare, ma bensì calcolando quanti ne mancassero ad una determinata fase del mese: ad esempio, il 13° giorno di marzo era il 3° prima delle idi (il giorno stesso della fase faceva parte del conteggio). Tecnicamente avevano anche un altro metodo per conteggiare i giorni suddivisi in ottave (che in realtà erano di nove giornate in cui il giorno principale era stabilito dal giorno del mercato. Quindi, se due città facevano il mercato in giorni diversi era un casino allucinante, perché poi i giorni non corrispondevano più. Tanto per dire, complichiamoci la vita ancora un po' che non basta mai) ereditato dagli etruschi. Ma suppongo che fosse così arzigogolato anche per loro che, se uno dava un appuntamento a talaltro per incontrarsi in un giorno prestabilito, poi si andava sul posto ogni santo giorno perché nessuno dei due aveva capito bene quand'era questo giorno.


E fino a qui abbiamo spiegato cosa sono le Idi. Cosa c'entrano con questa storia?

Dunque, durante il 44 AC Caio Giulio Cesare, all'apice del suo successo come Console vittorioso nelle campagne belliche e come dittatore della città di Roma (il dittatore al tempo era colui che deteneva il pieno potere politico e militare, ma non aveva la valenza negativa che ha assunto la parola in tempi più recenti) era intenzionato a trasformare la sua carica temporanea in una fissa, divenendo re. La cosa non venne accettata dai Romani, da sempre legati al concetto di repubblica. Per cui un gruppo di senatori preparò una congiura, e nella giornata delle idi di marzo assassinarono Cesare con 23 coltellate date ognuna da uno dei cesaricidi. In realtà il numero dei congiuranti era molto più alto, si stima attorno ai 60-80 sia tra i contrari alla sua ascesa al potere che tra i suoi seguaci scontenti, per un motivo o per l'altro, della sua politica. Ma solo in 21, tra pretori e senatori furono i reali esecutori della condanna a morte (qualcuno deve averne data un paio di più, giusto per essere sicuri che non si rialzasse urlando Bazinga!!). Curiosità, sembra che la famosissima frase “tu quoque, Brute, fili mi!” non sia mai stata realmente pronunciata. Un abbellimento della storia che divenne leggenda.


E così... niente, mi piaceva l'idea di ricollegare questa storia a quel preciso momento storico, dato che anche qui si parla di far decadere un dittatore per la salvezza della patria...



Fine angolo Superquark! (che sembra più che altro l'angolo Ulisse)




Ok, cominciamo a parlare del capitolo, ora.


Come si sarà giustamente capito, quella che faceva la fila per il gelato mentre si distribuiva la furbizia era Italia. Perché solo una rincoglionita di qualità sopraffina non riuscirebbe a cogliere i nemmeno tanti velati approcci che l'altro le butta in faccia di continuo. C'è da dire che la coppa dell'idiozia se lo contendono fino ai calci di rigore, questi due. Però stavolta vince Felicia. O meglio perde. L'illibatezza (oh-oh)

A tal proposito, il capitolo l'avevo immaginato un pochino più lungo, descrivendo anche l'assalto alle regioni vitali di Italia... ma poi no. Ho rinunciato del tutto a mettere quella scena.

Primo perché non volevo cambiare target, che il rosso non mi convince troppo. Secondo, perché onestamente non penso ce ne sia bisogno. Insomma, può cambiare la modalità e la tecnica ma il fine ultimo è sempre lo stesso da quando i parameci hanno deciso che era più divertente riprodursi in un altro modo oltre alla scissione cellulare. E poi preferisco che ognuno si immagini la scena come preferisca, porcellosa quanto lo desidera. Terzo, come dulcis in fundo, mi imbarazza descrivere certe tematiche... E dire che ci sono ragazzine con meno della metà dei miei anni che invece sti problemi non se li fanno. Doh.


Poi, metto le mani avanti: temo, ma spero di no, che i personaggi possano sembrare due tsundere.

Ebbene... no. O meglio, Italia non lo è, Inghilterra si, ma non lo è del tutto.

I due non si amano alla follia dal primo momento che i loro occhi si sono incrociati e blablabla. Ma neanche un po'. Italia lo dimostra esplicitamente, tra l'altro. Ma costretta dalla situazione, fa buon viso a cattivo gioco e sopporta le dirette – e ormai anche soddisfatte – avances dell'altro, avendo imparato nei secoli a scindere i sentimenti con quel che le succede nella vita.

Inghilterra per l'altra nazione ha un interesse nella conquista (la Gran Bretagna ha sempre desiderato un passaggio nel mediterraneo per l'Asia, dato che Gibilterra sola non gli è mai bastata, e l'Italia lì in mezzo è sempre stata un canto della sirena), che a livello “umano” si concretizza con una pura e semplice passione fisico-emotiva e desiderio di possesso. Per dirla con termini strettamente scientifici, in lei vede un essere di sesso femminile con un altissimo tasso di trombabilità a medio-lungo termine. Solo che ha un carattere di merda – per l'appunto tsundere – e piuttosto che ammetterlo esplicitamente complica le cose in maniera assurda dando l'aria di disprezzare quel che in realtà desidera ardentemente (mettiamoci poi la capacità di comprendere che aria tira di Feli e stiamo apposto).

Cosa che funziona nei fumetti e nelle storie dove l'altro è completamente, indefessamente e assolutamente innamorato dello/a tsundere. Nella vita vera, al terzo “io ti dico ti odio ma te devi capire ti amo” al soprannominato altro parte un vaffanculo dal profondo del cuore prima di andarsene a cercare qualcuno senza meno tare mentali.


In questa storia poi, dove Felicia più che alla categoria “mi piaci tanto e per questo sopporto il tuo carattere” si trova piuttosto in quella “ già mi stai sulle palle così, figuriamoci se mi tratti pure male”, il metodo tsundere è decisamente fallimentare. Come ammettere dunque il desiderio senza doversi “abbassare” a dirlo esplicitamente? Semplice, facendolo passare per ripicca! Lei non sopporta di essere chiamata per nome/guardata con desiderio/considerata scopabile? Perfetto, lui per darle fastidio la chiama per nome, la desidera, e se la scopa. A prescindere dal suo consenso, of course.

Ecco come si prendono due piccioni con una fava in perfetto stile tsundere U.u (Nb. Questa cosa fuori dalle fanfiction è illegale, non rifatelo a casa)

Il prossimo capitolo sarà l'ultimo... ma non sarà l'ultimo. Il che significa solo che la prima parte delle Idi finisce, ma inizia il ritorno a casa... e la resistenza in Italia. Quindi cambieranno un po' di cose (soprattutto i disclaimer della storia, dato che ci saranno mooolti più personaggi, e sarà una storia decisamente più cupa e violenta)

Si, sono la classica persona con poche idee, ma confuse >_>



come al solito lancio bacioni sparsi a chi ha recensito (Lady Monet, e Kesese_93 ed Eliot Nightray), a chi ha messo tra le preferite, tra le seguite, nel bidone dell'umido. E anche a chi ha solamente letto : )



bacioni e boccioni,

Monia


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Capitolo 8
*** 8. La cosa giusta ***


8. La cosa giusta

8. La cosa giusta




Erano ormai passati più di due mesi ormai da quando era stata rapita da Inghilterra e trattenuta quale "gradito ospite" a casa sua. Due mesi senza alcuna notizia fresca, tranne quelle ricevute di nascosto dai giornali che Jesse, eludendo il controllo dell'altra nazione, riusciva a recapitarle. Da cui ovviamente non riusciva a recuperare nessuna informazione utile riguardo le prossime mosse degli alleati, né notizie riguardanti il suo paese che non fossero insulti o slogan di propaganda. Sessantacinque giorni di completa agonia in cui ogni suo singolo pensiero era rivolto solo ed esclusivamente alla sua terra, al suo popolo, e a sua sorella. In procinto di essere attaccati ancor più duramente di quanto non lo fossero stati fino ad ora.


Non avrebbe mai pensato che avrebbe sentito così tanto la sua mancanza, dato che avevano passato secoli e secoli distanti l'una dall'altra. Eppure, più i giorni avanzavano e più le sembrava di essere mancante di una parte del suo stesso corpo. D'altronde, persino così distante riusciva ad avvertire il lento ma inesorabile mutamento delle sue città sotto i continui raid aerei, la sofferenza e lo scoramento nazionale che cresceva con le difficoltà della guerra.


Perché Ludwig non l'aveva ancora trovata? Non aveva creduto nemmeno per un istante alle parole del facciadaculo – nonostante tutto, continuava a chiamarlo così. Era davvero la parola migliore al mondo per descriverlo – quando in uno dei loro soliti battibecchi l'aveva informata che Germania stava decisamente meglio senza di lei, potendo così spadroneggiare liberamente sul suo territorio.


...Non ci aveva creduto, però... non poteva mettere le mani sul fuoco anche per i gerarchi nazisti. Né per i suoi stessi politici, che molte volte la vedevano solo come un impiccio fastidioso, invece che come loro primo alleato e controllore super partes. Sapeva anche troppo bene che fuori dalle scatole lei, potevano fare tutti i loro porci comodi come volevano. Soprattutto considerando il fatto che nonostante Lavinia odiasse i giochi di potere politico, il parlamento e ancor di più odiava il regime fascista – senza averlo mai nascosto, neanche nelle fotografie ufficiali – probabilmente contavano parecchio sul fatto che la sorella non sarebbe mai andata a Roma per raddrizzare qualche schiena a bastonate. Questo, da che l'Italia era unita, era sempre stato compito suo.

Maledizione, a ripensarci ora avrebbe fatto meglio a costringere Lavi a seguirla nei meandri della burocrazia per districarcisi in maniera decente, invece che concedergli tutto quel lassismo. Quell'idiota di Spagna l'aveva rovinata, rendendola indolente e pigra. Fosse sopravvissuta a questa guerra avrebbe cambiato un sacco di cose, prima di tutto il governo. E magari avrebbe fatto fuori anche la monarchia, che quel tappetto del re le era sempre stato un po' sul cazzo. E dato che c'era, avrebbe dato il voto anche alle donne!


...Si. E poi ti svegli in un bagno di sudore, Felicia. Tanto come al solito nessuno ti darà ascolto.


La donna sospirò sul suo tea, mentre fissava un punto avanti a sé con espressione assorta


“Qualcosa non va?”


Ecco. Tu non vai, maledetto faccia da culo, si trovò a pensare socchiudendo gli occhi quando avvertì il contatto della mano di Inghilterra sul suo ginocchio. Non poteva assolutamente dire di odiarlo particolarmente, e a parte ormai rari casi – in cui anche lei ci metteva parecchio di suo, doveva ammetterlo – in cui i loro rapporto sfiorava lo zero assoluto in gradi celsius era anche sopportabile. Anzi, decisamente piacevole, come compagnia. Ma ciò non toglieva che la stava tenendo segregata in quella casa da ormai tanto, troppo tempo. Lei, lui, i due ragazzini umani e un paio di gatti selvatici erano un po' pochini come contatto civile per una che era abituata a vivere nel caos della gente praticamente da quando era nata, ormai troppi secoli fa, soprattutto ora che la sua presenza in Italia era assolutamente fondamentale. A volte le sembrava di impazzire, letteralmente.


La stretta sul ginocchio si fece più pressante, e quando risollevò le palpebre incrociò lo sguardo dell'uomo, che la guardava con un misto di apprensione sincera e curiosità.

Assurdo. Se glie lo avessero detto anche solo tre mesi prima, si sarebbe fatta una di quelle risate da slogarsi la mandibola.


E invece, ora ne aveva sotto gli occhi la prova lampante... in lei Inghilterra vedeva VERAMENTE una compagna, una moglie. Quando lo aveva lasciato ad intendere in quella assurda proposta (che pure a ripensarci proposta non le era sembrata per nulla) non stava scherzando.

Di certo non glie lo aveva mai detto a voce – piuttosto si sarebbe strappato da solo le corde vocali, pur di non ammettere una cosa simile – ed alla sola idea di fare i sentimentali sdolcinati veniva la pelle d'oca ad entrambi, ma i suoi comportamenti erano inconfondibili.

Persino ad un occhio disattento come era il suo. Piccoli gesti, gentilezze offerte sempre con una faccia burbera e scocciata e la giustificazione pronta, seppur nessuno glie le avesse chieste.

Certo che per quanto lei fosse inesperta in quanto a sentimenti tra amanti, di certo l'uomo aveva un modo tutto suo per dimostrare i suoi. Contorto e buffo, ma in un certo qual modo anche tremendamente lineare. Assomigliava ad una corda: per quanto potesse arrotolarsi e ingarbugliarsi, aveva comunque sempre una fine ed un inizio, e nessuna diramazione. Con calma e pazienza si poteva sciogliere facilmente qualsiasi nodo.

Una volta che si capiva cosa guardare e cosa tralasciare, districarsi nei suoi comportamenti diventava semplice come bere un bicchier d'acqua. Persino Ludwig confronto a lui era complesso con il suo continuo nascondersi dietro alle regole e alle rigide formalità burocratiche. Kiku poi, era un muro di gomma incomprensibile e inavvicinabile.


“... Nulla, stavo solamente pensando” Rispose dopo un po', sorridendo tiepida alla volta di Inghilterra mentre accostava la tazza alle labbra per bere un sorso di tea ormai raffreddato. Pieno di zucchero e limone, praticamente una limonata calda al vago sapore di Earl Grey. Esattamente come l'uomo odiava venisse ridotta la sua adorata bevanda, giusto per fargli un dispetto.


“A cosa? È un po' che sei particolarmente silenziosa, almeno da un paio di ore” Insistette l'altra nazione, senza smuovere la mano. Non che le desse fastidio, il contatto fisico a lei non aveva mai dato problemi. In effetti era Inghilterra che solo da poco riusciva a sfiorarla – senza intenti belligeranti o vistosamente provocativi – riuscendo a non andare in escandescenza o cominciare a blaterare scuse su scuse anche al di fuori della camera da letto. Già solo due settimane prima, si fosse accorto di averla toccata a quel modo inconsciamente si sarebbe ritirato come se lei avesse avuto la peste, arrampicandosi sul lampadario o sui mobili per mettere più distanza possibile tra loro. Figuriamoci poi in presenza di qualcun altro. Anche ora se avesse sentito la voce dei due ragazzi oltre la porta chiusa si sarebbe trasferito con movimento warp* dall'altra parte della stanza, un libro a caso in mano a far finta di non sapere cosa stesse facendo in quella camera con lei (risposta: a bere il suo dannatissimo tea delle cinque cui la costringeva ogni santissimo giorno, quindi poteva anche evitarsi simili comportamenti da idiota patentato. Senza contare che gli altri due abitanti della casa, non essendo scemi, sapevano benissimo – bé, magari non proprio benissimo, ma a larghe linee lo sospettavano – cosa facessero di notte loro due nello stesso talamo. Ma non glie lo avrebbe mai rivelato, per evitare che morisse d'infarto per il troppo imbarazzo. O forse si... sarebbe stata un'ottima arma da usare contro di lui, prima o poi)

No, decisamente non era quella minuscola libertà che l'uomo si prendeva al di fuori del letto, quanto era il fare finta di non sapere cosa realmente pensasse la donna, a renderla irritata. Come poteva non immaginarlo? Bé, non gli avrebbe indorato la pillola, non oggi.


“A quando potrò tornare nel mio paese, Inghilterra. Stavo pensando al momento in cui potrò finalmente tornare a casa mia da mia sorella e dal mio popolo, dove dovrei stare”


Lo sentì irrigidirsi impercettibilmente, stringendole con una presa tremante il quadricipite. Non sopportava sentirsi dire quelle cose, lo capiva. Ma non per questo avrebbe mai smesso di chiedergli la resa della sua libertà, solo per farlo contento e fingere di essere una mogliettina felice di quella situazione.

D'altronde, sapevano entrambi fin troppo bene che non appena Italia avesse abbandonato quella casa per far ritorno alla sua vera patria e al suo posto naturale nell'ordine delle cose, quella farsa da coppietta fresca di matrimonio sarebbe crollata come un castello di carte. Non avrebbe potuto tenerla legata a lui per sempre, non in quel modo, e per lo meno non con quel metodo, Questo era poco ma sicuro. E anche se si ostinava a negarlo, all'uomo la cosa pesava e parecchio. Forse era proprio per questo che si mostrava tanto scostante...


“... Dopo quasi due mesi ancora ti ostini a chiamarmi Inghilterra. Ti costa così tanto chiamarmi Arthur?” Mugolò scocciato e con lo sguardo basso, prendendola comunque in contropiede. Tra tutte le risposte che avrebbe potuto darle, questa domanda non se l'era aspettata. Risollevò lo sguardo verso di lui, piegandolo di lato per guardarlo di sbieco. Aveva un lieve accenno di rossore sulla punta delle orecchie, e la mascella era contratta.

Italia sorrise, e posata la tazza sul piattino si sporse verso di lui, voltandogli il viso quel tanto che bastava per posargli un delicato bacio sulla bocca stretta in una smorfia. Lo sentì irrigidirsi di colpo, mentre il volto cambiava velocemente sfumatura di colore passando dal roseo al rosso vivido, estendendo quel che prima era localizzato solo sulle orecchie per tutta la faccia, fino al collo. Si scostò da lei di colpo, distogliendo gli occhi lucidi e coprendosi le labbra con il pugno serrato per evitare che gli tremasse la mandibola.


Erano una perfetta coppia di bugiardi, si trovò a pensare Italia, mentre lo osservava da sotto le palpebre socchiuse, sorridendo mesta. Lei che mutuava quella che avrebbe potuto essere, in un'altra situazione, una reale ed affettuosa amicizia in un tiepido amore di convenienza e sopportazione. E lui che celava la sua passione e il desiderio – e si, anche il suo amore – dietro uno scudo di ritrosia e scontrosità testarda.


“Non ancora. Lo farò un giorno, forse, ma ancora no. Non posso” Gli sussurrò a fior di labbra, incrociandone lo sguardo aggrottato che ora la fissava di sbieco, dal basso.


“Perché non puoi? Cosa ti manca, si può sapere?”


“... La fiducia. Tu non ti fidi di me, e quindi nemmeno io posso darti la mia fiducia”


Gli avesse dato un pugno sulla tempia, lo avrebbe stordito di meno. Inghilterra si fermò persino nel respirare, fissandola stranito e con gli occhi pericolosamente venati di rosso.

“Lo sai che non posso! io...” di colpo si era alzato in piedi, e aveva cominciato a fare avanti e dietro per il salotto di fronte a lei. Una tigre in gabbia, nervosa e infuriata con chi l'aveva rinchiusa in quella piccola prigione. Strano, e dire che la sequestrata a conti fatti, era lei.


“Si, si. Conosco le motivazioni per cui debba rimanere qui ormai a memoria. La buona riuscita dell'operazione Husky nel sud Italia, l'onore del servizio di spionaggio inglese, gli ordini dall'alto...il fatto che la mia mancanza sul campo demoralizzi i soldati che quindi si arrendono più facilmente. Ho dimenticato qualcosa?” chiese Italia, contando sui polpastrelli della mano mentre enumerava le varie scuse “Ah, giusto. Dimenticavo la più bella di tutte: devo imparare a bere il tea come una persona civile e non come una selvaggia, rovinandolo con chili di zucchero e limone” seguitò poi appena sardonica, mentre ripresa la tazza beveva apposta con deliberata passione un sorso della sua limonata-tea.


“Quella roba è un insulto a qualsiasi inglese degno di questo nome!” Esclamò l'uomo, fermandosi di colpo per puntarle un dito contro, minaccioso. Ora che Italia aveva riportato la conversazione sui binari del sarcasmo, era decisamente più a suo agio “Il mio orgoglio da gentiluomo britannico non può permettere che chicchessia si sollazzi con una cosa tanto triviale come quella robaccia che ti ostini a paragonare con il tea!” sbuffò concitato, incrociando le braccia al petto È ormai diventata mia precisa e personale missione trasformare una mangiamaccheroni come te in una lady elegante e raffinata, anche se è un'impresa titanica...”


Ah, si si.. Eppure...” sospirò fintamente sconsolata Italia, mentre accavallava le gambe con grazia “Mi pare sia tu quello che a cena mangia più di tutti, persino più di Jesse che è nel pieno della crescita e quindi dall'appetito robusto per definizione, nonostante sia proprio la mangiamaccheroni a cucinare. Forse che la mia volgare e dozzinale cucina italiana è un filino meglio della tua?” aggiunse, sfarfallando con le ciglia in maniera civettuosamente ironica.


“Ngh... è che odio gli sprechi. Mica mangio perché mi piace, anzi! Starei decisamente meglio se non fossi costretto a mangiare tutte le sere la robaccia che prepari...”


Italia socchiuse gli occhi, contando mentalmente fino a cinque. Quando li riaprì, non si stupì affatto nel vedere sul volto di Inghilterra l'imbarazzo e la colpa aggrottargli le sopracciglia già importanti di loro fino a farle combaciare al centro, mentre le labbra cominciavano impercettibilmente a tremare e gli occhi a farsi di nuovo lucidi. Prima diceva una cosa spiacevole e indelicata o anche solo fuori luogo – per i suoi standard. Lei e Lavi quando ci si mettevano di buzzo buono a sciorinarsi cattiverie l'una contro l'altra, ci andavano giù mooolto più pesante, e a volte arrivavano pure a prendersi a pugni. Questa era un'offesa all'acqua di rose – e poi se ne pentiva immediatamente. Ma non avendo il coraggio o l'onestà per chiederle semplicemente scusa del suo comportamento sconclusionato, metteva su quella faccia da cane bastonato alla catena entrando in un mutismo scorbutico ed autolesionista da cui poi avrebbe dovuto tirarlo lei stessa fuori a fatica, parlando del più e del meno, fino a quando il biondo non si sarebbe sentito abbastanza rassicurato del fatto che non lo odiasse, che non se l'era presa per quel che le aveva detto e che non lo trovasse patetico e disgustoso.


Bé, non lo trovava né patetico né disgustoso. Ma scemo si, e anche tanto.


Distolse lo sguardo, sospirando mentre si appoggiava allo schienale del sofà. Come con gli animali selvatici, era meglio evitare il contatto visivo diretto... lo sentì agitarsi appena, fremere di nervosismo, e poi mugugnare qualcosa di incomprensibile mentre si dirigeva alla porta uscendo velocemente. Uff... adesso avrebbe dovuto anche andarlo a cercare. Italia pregò che non si fosse rintanato di nuovo in soffitta, quel dannato posto era pieno di cianfrusaglie che rischiavano di crollare ad ogni suo passaggio, di polvere decennale e presenze inquietanti che persino lei, seppur non avesse alcuna capacità spiritica riusciva ad avvertire... e non le piaceva affatto.



Dopo qualche minuto di pace silenziosa, la porta si aprì lentamente alle sue spalle. Dallo spiraglio, fece la sua comparsa il viso sottile e delicato di Rose, con un lieve cipiglio dietro gli occhiali dalla montatura dorata.

Signora Felicia, vi disturbo?” Domandò con la sua vocina dolce, ma era già entrata chiudendosi la porta alle spalle “il signor Inghilterra è uscito di casa poco fa in tutta fretta, senza lasciar detto dove stesse andando. È successo qualcosa?” chiese poi, con nervosismo e una punta di speranza.


Si, perché il fatto che la sua nazione madrepatria avesse reclamato la donna come suo possesso, alla giovane ausiliaria inglese non era andata per niente giù. Sebbene la ragazza sapesse che un'umana aveva ben poche possibilità di conquistare il cuore di una nazione, fosse anche per una mera differenza nelle aspettative di vita, l'aver dovuto lasciare il passo all'altro senza nemmeno avere il diritto di far valere i suoi sentimenti le era scocciato terribilmente.


Italia aprì di nuovo gli occhi, e voltando il capo la guardò da sopra la spalla, sorridendo “niente di particolarmente grave, suppongo. Probabilmente aveva solo voglia di uscire... lui che può” disse con un sospiro stanco, battendo leggermente la mano sull'imbottitura del divano accanto a lei. La ragazza non se lo fece ripetere due volte, e andò ad accomodarsi lì accanto, sporgendosi verso di lei col petto minuto appoggiato al suo braccio e lo sguardo fisso nei suoi occhi.

Certo che lo spirito di competizione trasforma gli umani... Italia stentava a credere che quella ragazza, i primi giorni tanto timida e riservata da arrossire ogni volta che le rivolgeva la parola, ora provasse a sedurla ogni volta che ne avesse avuto l'occasione. Non che le dispiacesse... era divertente, una volta ogni tanto, essere la “preda” e non la cacciatrice. Una preda già messa nel paniere, tra l'altro: Inghilterra non era sempre presente, e si sa che quando il gatto non c'è...

Sorrise lieve, sporgendo il viso a baciarne le labbra sottili che fremettero appena “mi spiace per la situazione in cui siete finiti tu e Jesse... dev'essere stancante doverci sopportare tutto il giorno. In fondo siamo solo due vecchi brontoloni e testardi...”


No... non dovete preoccuparvi per noi, signora” l'inglese scosse il capo leggermente, pur di non perdere il contatto con la pelle dell'altra donna “a me spiace che voi siate costretta a subire... bé, quello che subite” uno sbuffo, accompagnato da un veloce rabbuiarsi dello sguardo chiaro “mi sento in colpa per quello che la mia nazione vi sta facendo, e se potessi...”


Non ti preoccupare... confronto alla guerra, esser l'amante di Inghilterra potrei quasi definirla una cosa positiva e...” si fermò un attimo. Voleva aggiungere che probabilmente tra poco avrebbe sofferto molto, ma molto di più con lo spostarsi del conflitto nel suo paese. Ma solo sentirla parlare di amanti aveva reso Rose gelosa e accigliata. Meglio non aggiungere altri capi d'imputazione sulle spalle della nazione britannica agli occhi di una sua figlia. Sospirò appena, e le passò le braccia attorno alla schiena, attirandola a sé per abbracciarla e cullarla teneramente, ricambiata.


Rimasero silenziose per alcuni momenti, poi da qualche parte vicino alla scollatura dell'abito sentì la voce di Rose ovattata e timida “Signora Felicia... avete pensato a quello che vi avevamo detto? Io e Jesse ne abbiamo parlato a lungo, e abbiamo deciso... se vuole, noi siamo pronti anche ora...”


… Ci aveva pensato si. Da quando i due ragazzini, in barba a tutto quello che poteva credere, le avevano proposto di farla scappare da lì, con la sola clausola di portarli con lei in Italia. Cosa che l'aveva messa in un atroce dilemma... Certo, la loro presenza durante il viaggio di ritorno le avrebbe fatto comodo. Per quanto potesse aver migliorato il suo inglese nell'ultimo periodo, il suo accento era palesemente straniero, individuabile anche da un bambino. E le abitudini britanniche le erano ancora ostiche... persino guidare, se fosse riuscita a prendere “in prestito” un'automobile sarebbe stato un problema, dato che qui guidavano al contrario – e poi si definivano civili. Con la guida al contrario. Bah... - senza contare che la sua conoscenza delle campagne inglesi proveniva dall'ultima volta che aveva visitato il regno di Britannia, circa mille e settecento anni prima. Potevano esserci stati dei piccoli cambiamenti nel frattempo, in effetti.

Lei poi non aveva nulla da perdere a portarseli dietro... loro però avevano tutto. Non solo quel che rimaneva della loro famiglia, le amicizie e i possedimenti economici. Aiutarla volontariamente equivaleva ad alto tradimento, e per un soldato – perché nonostante tutto, sia Jesse che Rose erano nell'esercito – poteva voler dire anche la condanna a morte. Senza contare che poteva essere parecchio pericoloso: viaggiare di notte, senza soldi o aiuti, passare per vie traverse e nascoste alla pubblica sicurezza... e per le vie traverse non ci passano mai i gentiluomini. Lei non si era mai fatta problemi a tagliare un paio di gole, non le era mai pesato troppo versare sangue altrui. Ma farlo sotto gli occhi di due ragazzini, sia pure per proteggerli... bé, era diverso. Non se la sentiva di mostrare il suo volto nascosto, quello di creatura spietata, sadica e vendicativa, anche a loro.


Rose, tesoro mio... Ne abbiamo già abbondantemente discusso. È troppo pericoloso, sia che la cosa riesca, sia che ci ricatturino per strada... una volta scappati, non potrete tornare indietro. Certo...” sospirò lieve, posando un leggero bacio tra i capelli castano-cinerei della ragazza stretta al suo petto “Potrei sempre dire di avervi preso in ostaggio, magari vi eviterebbe la fucilazione. Ma sarebbe comunque un rischio che non mi sento di farvi correre. Solo per pura fortuna siete scampati alla morte qui nella vostra terra... bé, l'Italia è ridotta come Londra da ormai due anni. Non c'è più un capoluogo di regione che non abbia ricevuto un attacco aereo e non sia stata bombardata. E tra poco sarà ancora peggio, con il conflitto direttamente sul territorio e non solo aereo. Conosco decisamente troppo bene la mia terra e la sua conformazione per farmi illusioni di sorta. Posso già predire che sarà una guerra lunga e sofferta, soprattutto di trincea, dove bisognerà combattere per ogni singola strada, ponte o valico. La mia povera Italia diventerà un lago di sangue e fango... Mi sembra assurdo portarvi in un inferno simile e-”


Non riuscì a completare la frase. La ragazza gli aveva chiuso la bocca con la propria, insistendo in un bacio che sapeva di testardo e infantile. Davvero, l'idea di essere la causa di morte di quello scricciolo era decisamente deprimente. Anche se alla fin fine, era solo una fra le migliaia di scriccioli che durante questa guerra erano o sarebbero morte.


Se non ci permettete di venire assieme a voi, vi seguiremo di nascosto. Ormai abbiamo deciso, e non cambieremo idea. Chiamateci sciocchi, o folli, o traditori. Non ha alcuna importanza.” mormorò la ragazzina a fior di labbra, posando al fronte nell'incavo del collo della donna mediterranea. “Se davvero ci tenete anche solo un briciolo a noi come avete dimostrato fino ad ora, allora lasciate che vi seguiamo. Vi potremmo essere utili, e inoltre Jesse ha sempre sognato di poter diventare un attore. È bravissimo a recitare e sono sicura che diventerà un ottimo baritono, se avrà la possibilità di studiare. Ha sempre desiderato di poter vedere il vostro paese e diventare un artista tale da esibirsi alla Scala. Ama l'Italia con tutto sé stesso...”


Italia ristette, lo sguardo basso e stanco di chi ha scaricato ormai da un pezzo le munizioni della sua arma e tiene in mano solo un inutile ferro vecchio “Potrei sempre avvisare delle vostre intenzioni Inghilterra. Vi costringerebbe a rimanere qui... forse potrebbe espellervi dall'esercito , o addirittura farvi incarcerare per tradimento. Ma sareste relativamente al sicuro, a questo modo” mormorò la donna, debolmente. Non credeva nemmeno lei a quel che aveva appena minacciato, e la ragazza sulle sue gambe lo aveva intuito con una facilità disarmante. Sorrise beffarda con un lieve ghigno sulle labbra rosee “No, non lo fareste. Anche perché se solo subodorasse l'idea che voi possiate fuggire, il signor Inghilterra sarebbe pronto a chiudervi a chiave in camera. E stavolta stando ben attento che non possiate scappare... A lui non importa molto di noi due. Siamo al pari dei gatti nel cortile, confronto a voi” Touché. Era molto più probabile che invece di fermare quei ragazzini bloccasse completamente lei. No, meglio tenere il faccia da culo fuori da questa storia... per quanto possibile, essendo lui il principio di tutta questa storia. Italia si poggiò con le spalle allo schienale, sospirando, e socchiuse gli occhi arresa.


Anche ammesso che vi permetta di seguirmi... avete davvero compreso cosa possa significare? Pochissimi soldi, niente mezzi. Scappare da ogni possibile centro abitato o posto di blocco, mescolandoci alla peggio feccia che come noi evita i controlli fino a raggiungere un porto che non abbia solo sbocchi sulla manica o sul mare nordico... Il che significa, se ho ben capito dove ci troviamo, un viaggio incredibilmente lungo. Probabilmente da fare a piedi. Dormire dove capita, mangiare quando capita” la donna sbuffò pesantemente, mentre sentiva la ragazza sistemarlesi meglio in grembo ed abbracciarla più stretta. Istintivamente riprese ad accarezzarle il capo “E anche se riuscissimo a raggiungere un porto internazionale, dovremmo imbarcarci di straforo. Se avessi un gran culo potremmo trovare un passaggio su una nave argentina, dato che ho legami stretti con quella nazione non mi dovrebbero negare un simile favore anche se decisamente pesante e pericoloso. Ma dato che le cose se possono andar male vanno sempre peggio, potremmo dover fare i clandestini imbarcandoci di straforo, nella speranza che nessuno ci scopra.


Sai cosa succede ai clandestini se li scoprono, Rose?”domandò abbassando lo sguardo, per osservarla dall'alto.


L'ausiliaria le fece cenno di no con la testa “Ecco, meglio che tu non lo sappia mai. Comunque, posto per caso la possibilità di trovare un passaggio, potrebbero portarci solo fino alle Canarie, prima di dirigersi oltre l'Atlantico. Il che significherebbe il dover cercare un altro passaggio per la Spagna o il Portogallo, un viaggio via terra attraverso la penisola iberica per evitare lo stretto di Gibilterra, e solo allora poter sperare di raggiungere le coste italiane di nuovo via mare, tra le navi vedetta francesi e quelle militari alleate...


Sarà un viaggio duro e difficile, lungo giorni, forse settimane ad andar di sfiga. Con nessun aiuto esterno, e le forze alleate a starci col fiato sul collo, Inghilterra in primis. Nessun vantaggio, nessuna sicurezza, e rischio continuo” Italia sospirò pesantemente. Quanto sarebbe stato più semplice se non fosse su una fottuta isola... poteva rapirla Francia, eh. Sarebbe stata ad un tiro di schioppo da casa sua. Persino negli immensi territori di Braginski sarebbe stato più facile evadere... sebbene la sola idea di riaffrontare la campagna russa, anche ora che la cattiva stagione era alle spalle, diede alla donna una scarica di gelido e puro terrore fin dentro il midollo osseo.


Ciononostante voglio lo stesso seguirvi, Signora Felicia. Se non lo facessi, se non ci provassi sento che me ne pentirei per il resto della mia vita...” Mormorò piano l'inglese, ora discostandosi dal petto dell'italiana per poterla osservare. Aveva il volto arrossato e tremava lieve, ma negli occhi lucidi la donna poteva leggere una sicurezza infantile e incrollabile, che sfociava nell'ostinazione.


Pensi davvero che ne valga la pena, Rose? Per cosa abbandoneresti il tuo paese, le tue certezze, la tua unica parente ancora in vita...?” Le domandò allora la donna ricambiandone lo sguardo, mentre la faceva sedere sulle sue ginocchia abbracciandone la vita sottile. Rose celò gli occhi nascondendoli dietro le palpebre per alcuni istanti, arrossendo. Ma quando le rispose, tornò a guardarla in volto, diretta e sincera


“Perché anche io amo l'Italia, con tutta me stessa”








Fu solamente dopo parecchie ore, a notte ormai inoltrata che Inghilterra si ripresentò a casa, canticchiando una canzoncina stonata da osteria. Essendo ancora sveglia a leggere un libro Felicia ne sentì lo sferragliare incerto sul portone di casa, e i passitraballanti sulle scale di legno. Poi, per circa una decina di minuti non lo avvertì più, segno che si era fermato, molto probabilmente, nella stanza da bagno.

Quando si presentò nella camera aveva la giacca ripiegata sul braccio e la cravatta dal nodo storto, ed appariva stranamente col volto arrossato... come se avesse bevuto. Doveva essersi risciacquato la faccia con una certa esuberanza, da come aveva i capelli e il collo della camicia bagnati. Si... era abbastanza alticcio, cosa molto strana essendo un giorno infrasettimanale**

“Bentornato” lo salutò con un delicato sorriso sollevando lo sguardo dalla pagina. In risposta, ricevette un basso e incomprensibile mugugno, mentre appendeva la giacca sull'attaccapanni e posava cintura e fondina con pistola annessa sul mobile da toeletta. I primi giorni, pensò Italia, la pistola la ficcava dentro la cassaforte chiudendola a chiave. Ora la lasciava in bella vista a tre metri da lei, e non solo per via dell'alcool. In fondo, non era affatto vero che non si fidasse di lei. Anzi, forse lo faceva anche troppo... ma nel modo sbagliato.


Tornò alla sua lettura, mentre avvertiva il peso di Inghilterra abbassare il suo lato del letto impegnato a trafficare con gli stivali per toglierseli. Ma invece di finire a spogliarsi, l'uomo si buttò all'indietro, mancando lo spigolo del libro per un soffio e poggiando con pesantezza la testa sulle gambe leggermente piegate di Felicia. Che per lo spavento aveva sputato fuori l'aria di colpo, e si era messa a tossire leggermente.


“Ma che ti prende, adesso?” Gli chiese di nuovo, abbassando lo sguardo quando i colpi di tosse scemarono completamente. Di nuovo, non ricevette alcuna risposta.


Inghilterra rimase silenzioso a fissare il soffitto per parecchi istanti, prima di rotolare su un lato e affondare il viso nel grembo della donna, abbracciandone al contempo i fianchi con entrambe le braccia. E di nuovo rimase silenzioso, tanto che le parve quasi che si fosse messo a dormire in quella posizione strana. Ma effettivamente non dormiva, aveva gli occhi aperti seppur lucidi e offuscati dall'alcool.


Felicia posò il libro sul comodino – decisamente era troppo difficile continuare a leggere così – e posò le mani sulla spalla dell'altra nazione e sulla sua testa, tra i fini capelli biondo sporco scarmigliandoli più di quanto già non lo fossero.


“Avanti, un penny per i tuoi pensieri. Si dice così, no?”


Inghilterra si prese tempo per rispondere, ma da come le strinse i fianchi, se non altro aveva sentito la domanda, stavolta. Gli tamburellò con tutte e quattro le dita sulla spalla, per mettergli fretta.


“E va bene. Stavo pensando... se ti mettessi incinta, qualsiasi cosa succeda saresti legata a me. Cosa ne pensi?”


“… Che è stato il peggior investimento di un penny che abbia mai fatto in vita mia, davvero.”


“Non sei simpatica”


“E tu sei ubriaco. Uno a uno palla al centro”


“No, sto parlando seriamente!” Sbuffò l'uomo, torcendo il collo per guardarla dal basso con l'espressione contrita “Un figlio lega incredibilmente due persone, funziona così per i normali esseri umani, o almeno per la maggior parte di loro. Non vedo perché non dovrebbe funzionare anche per noi nazioni. E dire che ci provo da ormai più di un mese...” seguitò, fissando lo sguardo opaco in un punto indefinito, ragionando ormai da solo “forse devo solo impegnarmi un po' di più”


Cos'è che stava facendo lui da più di un mese? Per cosa voleva impegnarsi un pochetto di più?

Santo cielo, spero che sia l'ubriacatura a farlo sragionare e inventarsi le baggianate...

… No. Era serio, fottutamente serio. Per quanto la sbronza potesse lasciargli solo un barlume di coscienza, stava realmente pensando di avere un figlio da lei. Così, tutto d'un tratto – non poi così tanto d'un tratto, ripensò poi. Dato che il cretino era un mese e passa che voleva mettere in forno lo scone, a giudicare da quel che aveva confessato. Nel vino la verità e nella birra le sciocchezze.


Un conto però era giocare a far la coppietta appena sposata, ma quello che le aveva chiesto era decisamente un'aggiunta alle regole di gioco che non aveva preso in considerazione, neanche per un secondo in tutta la sua plurimillenaria esistenza. Un figlio? No, grazie. Non voleva proprio finire come i suoi antichi fratelli e sorelle, le provincie romane, che dopo essersi uniti alle popolazioni locali avevano perso tutte le loro forze, sparendo per sempre. Con l'unico risultato di aver lasciato dei figli che nemmeno si ricordavano della loro esistenza. Ed anche lei, sebbene fosse riuscita in qualche modo a sopravvivere a tutti loro, a quante cose aveva dovuto rinunciare? Ne era valsa la pena, dopotutto?

Per un secondo ripensò a tutti quelli che si era lasciata alle spalle... tante, troppe nazioni e semplici umani che aveva amato. Mai e poi mai, aveva giurato a sé stessa, si sarebbe più permessa di legare il proprio destino a chiunque altro non fosse Lavinia. Non avrebbe retto il contraccolpo della perdita, non di nuovo.


Felicia strinse i denti indurendo la linea della mascella, e riprese il libro, riaprendolo con cocciutaggine stampata in volto alla pagina poco prima abbandonata, mentre appoggiava i gomiti sopra la testa del biondo.


“A parte che questo discorso non sta né in cielo né in terra, secondo te mi lascio mettere incinta durante una guerra dove rischio la vita un giorno si e l'altro pure? Mica sono scema”


L'uomo sbuffò, scocciato per come la sua proposta – se quella potesse essere considerata una proposta – fosse stata accantonata in maniera tanto rapida e perentoria dalla compagna “Su questo avrei molto da rid-ahio, ma che hai al posto del gomito, una baionetta? Mi hai trapassato il cranio!! Comunque” lieve colpo di tosse, per schiarirsi la voce mentre cercava di togliersi dalla testa quei due punteruoli travestiti da braccia “Da che mondo è mondo i figli arrivano, non puoi decidere tu se, come e quando rimanere fecondata. Soprattutto se non si prende nessuna misura contraccettiva, ed io sono stato ben attento a fare centro ad ogni colpo in canna, senza false modestie. Da qualche parte” ummeggiò pensieroso, grattandosi il naso sul suo stomaco “dovrei avere la ricetta di una pozione per la fertilità di epoca medievale... chissà dove l'ho messa. Magari aiuta”


Italia alzò gli occhi al cielo, pregando che le desse la pazienza necessaria a non stordire del tutto l'amante con una testata e poi legarlo come un salame dentro a un tappeto per appenderlo davanti alla porta di casa, così da fargli smaltire l'alcool in modo meno stupido. E con voce lievemente annoiata spiegò “Per le donne normali forse si, ma vorrei ricordare al tuo piccolo e alcolizzato cervellino che io sono una nazione. Posso decidere tutto quello che voglio del mio corpo... se lo volessi, potrei anche tornare nuova, intatta e candida come un foglio di carta appena uscito dalla cartiera. E con le tue pozioni, onestamente parlando, ci faccio i gargarismi... per essere educata”


Ci mise un pochetto Inghilterra a comprendere il significato di quelle parole, ma quando ci riuscì rizzò un poco la testa, fissandone il viso da sotto in su con gli occhi spalancati “Stai scherzando? Davvero sei in grado di fare una cosa simile?”


“Cosa, i gargarismi?”


“Certo, rintronata. Mi chiedevo proprio se tu sapessi fare i gargarismi, non riesco più vivere senza questa informazione” sbottò l'uomo, e l'espressione da stupefatta mutò velocemente in una sardonica “sto parlando del tuo rimaneggiare... qua sotto. Davvero sei in grado di decidere se poter rimanere incinta o meno, e addirittura tornare vergine? … Quindi tutto quello che ho fatto finora è stato inutile? Pure segnarmi il tuo ciclo mestruale sull'agenda e chiedere pronostici agli spiriti fatati sui tuoi giorni fertili?” aggiunse mugolando a voce bassissima e impastata


“Bé” Felicia si strinse le spalle, ignorando lo sguardo dell'uomo con innata classe “in fondo si tratta pur sempre di una ferita, persino minuscola paragonata a tante altre. Quindi come ben dovresti sapere, rimarginabile con un minimo di buona volontà e impegno anche a distanza di anni. E per rispondere alla seconda domanda... bé, se non altro è stato decisamente piacevole. Vedila da questo punto di vist- aspetta, cos'è che avresti fatto TU?”


“... Mi avvalgo della facoltà di non rispondere”


“... Si, in fondo anche io non sono poi così tanto sicura di voler sentire davvero la risposta.”


Rimasero in silenzio in cui l'uomo la fissava da sotto in su e la mora lo ignorava bellamente, poi Inghilterra sollevò appena un sopracciglio per questionare


“... E quindi s-”
“No.” Lo interruppe secca e lapidaria, senza nemmeno alzare lo sguardo dal libro.


“Non sai nemmeno cosa volessi chiederti!” protestò l'uomo, tornando ad appoggiare la testa sul corpo della compagna, coi muscoli del collo che urlavano pietà.


“Era un no a prescindere, dato che sicuramente stavi per dire un'immensa stronzata. Fine del discorso” Liquidò il tutto con uno sbuffo annoiato, voltando pagina. Solo dopo un po', in cui il silenzio si era fatto pesante – e si era anche stufata di come Inghilterra gli stesse tamburellando con le dita sul fianco in maniera nervosa – riprese la parola


“Comunque, come mai ti è presa questa fregola? Di solito sono le donne ad avere l'orologio biologico che le punzecchia e a fare simili uscite tra capo e collo, non gli uomini...” domandò poi, abbassando di nuovo lo sguardo su di lui. Che nascose il suo spingendo il volto tra le pieghe della camicia da notte, in un cambio di espressione rapidissimo e colpevole, premendo sul suo ventre mentre stropicciava la stoffa con entrambe le mani. Sembrava un bambino che per scappare dai fantasmi e dai mostri notturni nascondeva la testa sotto alle coperte... considerato però il livello di affabilità che Inghilterra aveva con fantasmi e la roba occulta in generale, si chiese cosa mai potesse preoccuparlo tanto.


Giusto. Come aveva fatto a non pensarci prima? Era così logico... Ma in momenti simili, anche lei a volte si dimenticava cosa stesse accadendo al di fuori di quelle quattro mura.


“Per quando è previsto il primo attacco?”

Domandò con voce dolce e tranquilla, quasi gli avesse chiesto se per il giorno dopo preferisse il polpettone o l'arrosto per cena. Inghilterra al contrario fremette, come se Italia invece di sussurrare gli stesse urlando contro con inusitata rabbia. La strinse ancora di più, affondando il viso fino a mostrarle, da quella posizione, solo la nuca


“I... primi di giugno. Pantelleria...*** Creeremo una testa di ponte per proteggere lo sbarco vero e proprio sull'isola di Sicilia, e poi sul continente. È già... tutto deciso. Ormai le truppe tedesche e quelle italiane hanno dato la resa in Tunisia, la campagna d'Africa è conclusa in modo vittorioso per gli alleati. E il conflitto si sposterà a nord. Ormai i bombardamenti aerei hanno distrutto la maggior parte delle strutture sulle isole, militari... e civili ” La voce di Inghilterra era bassa e debole, soffocata dal morbido e sottile lino che avvolgeva il corpo della donna.


Italia sospirò con triste rassegnazione, e l'uomo tremò di nuovo, quando questa posato nuovamente il libro riprese ad accarezzargli il capo.


“E cosi è finita con la sconfitta, alla fine. Non posso dire che mi abbia colto di sorpresa. Sarai dunque sempre tu la potenza alleata ad attaccarmi con i bombardamenti?”


Inghilterra trattenne il fiato e annuì col capo, per poi balbettare “Quel che è stato fino ad ora... è solo un assaggio di quel che succederà. Gli attacchi alle città italiane fino ad ora, confronto a quelli avvenuti nei mesi scorsi sono poca roba... Poi anche America attaccherà. E quello nella sua corsa all'eroismo esaltato, schiaccerà tutto quello che gli capita davanti” si bloccò in un singulto, mentre attirava le gambe al corpo strisciandole sulla coperta, fino ad assumere una posizione accucciata di fianco a quella seduta sul letto di Italia, ancora con le braccia attorno al corpo caldo della donna “mi odi, non è vero? Lo capisco... non puoi fare a meno di odiarmi. Non posso fare a meno di farmi odiare. Hai ragione tu, non c'è nessuno al mondo che possa volere uno come me... riesco solo a distruggere tutto quello che desidero e tocco”


“Non ti odio” rispose semplicemente Italia, interrompendo il flusso di depressione in cui Inghilterra si stava infilando in una lenta e dolorosa nenia “Magari mi stavi decisamente sull'anima, ma non ti ho mai odiato. Non ho mai odiato veramente nessuno, a dire il vero. È la guerra, semplicemente una guerra mostruosa e distruttiva per tutti.”


Aveva ripreso a parlare col tono basso e tranquillizzante, mentre cullava l'altro assecondando il suo naturale ondeggiare dolente.

“Non è colpa tua, né di nessun altro. Noi nazioni non siamo niente altro che foglie trascinate dalla corrente degli eventi, e a prescindere da quel che desideriamo veramente non possiamo far altro che eseguire ciò che il nostro popolo e soprattutto il nostro governo decide per noi. E se chi ci comanda decide che dobbiamo distruggerci a vicenda...” non continuò la frase, non ce ne era bisogno. Restò in silenzio ad accarezzare i capelli di Inghilterra per parecchi minuti, lasciando che questi sfogasse a quel modo la sua sbornia diventata improvvisamente triste. Poi, di punto in bianco riprese a parlare, cambiando totalmente argomento.


“Sai, il mio albero simbolo è la quercia rovere. Buffo, vero? La pianta che più di tutte le altre rappresenta la virilità, la saggezza e la forza militare accostata a me, che sono tra le nazioni una delle più deboli, fragili e decisamente poco virile. Chi ha deciso quale pianta dovesse rappresentarmi doveva avere un grande senso dell'umorismo...”


Non sapeva dire se l'altra nazione l'avesse sentita o meno, ma se non altro ora si era tranquillizzata abbastanza da mostrare, se non tutto il viso per lo meno l'orecchio e lo zigomo, arrossati per la posizione precedente e per il pianto soffocato in singhiozzi silenziosi. Finse di non farci caso.


“Io invece mi son sempre considerata più simile al giunco... sai, quello che cresce vicino agli stagni e nelle zone paludose, come la mia pianura padana fino a pochi decenni fa” Continuò la donna, sorridendo lieve mentre le dita sfioravano la pelle accaldata dell'altro con la punta e le unghie , grattando sull'ombra di barba lungo la linea della mascella “insipida, poco considerata per come nasce e cresce nel marciume. Quasi infestante, direi... però, tenace. Che ci sia una tempesta, un uragano tale da strappar via gli altri alberi dal terreno o persino un incendio... finché rimane vivo un solo rizoma nascosto sotto la terra, il giunco rinascerà sempre. Non importa con quanta cattiveria ci si scagli contro, al giunco basta un po' di terra, dell'acqua e il sole e tornerà sempre a farsi vedere, con le sue foglie ineleganti e le sue lunghe canne ondeggianti al vento...”


“Io ti avrei definito più simile ad un arancio” Mormorò Inghilterra, dopo un po'. La voce decisamente più tranquilla e non macchiata dalle lacrime, sebbene il volto fosse ancora rosso e la posizione rannicchiata su se stessa.


“... Se è per fare allusioni poco carine riguardo il mio sedere e alla cellulite, sappi che ti ucciderò adesso, senza rancori. Ti lascio due minuti per rendere l'anima a Dio.”


“No, scema” si sbrigò a spiegare l'uomo, dato che il tono gelido con cui Italia aveva parlato non lasciava adito a dubbi su quanto fosse seria nella sua minaccia “È che profumi di zagara, per questo mi ricordi l'arancio. Zagara, salsedine e incenso, con un vago sentore amaro di essenza di trementina. Ci ho messo un po' per capire cosa fosse quest'ultima nota aromatica... La cosa più assurda è che da te non avverto alcun odore di cibo, e invece un tempo mi sarei aspettato che profumassi di arrosto o di pasta al forno...”


“Guarda che sono una nazione, mica una cucina, veh.” lo avvertì con una nota di sarcasmo la donna, tirandogli appena i capelli tra le dita con fare dispettoso.


“Lo so, lo so. Eppure, mi davi questa impressione... ma ti preferisco così, ai fiori di arancio” ridacchiò appena, tornando ad affondare il volto nel grembo della donna. Probabilmente era ancora l'alcool in circolo che lo faceva parlare così, senza la sua solita scontrosità. Per un singolo, utopico attimo si ritrovò a pensare come sarebbe stato il suo futuro se fosse per sempre continuato accanto ad Inghilterra, senza lo spettro del conflitto tra di loro. Sarebbe mai riuscito ad essere onesto ed apertamente affettuoso con lei anche senza due pinte di birra in corpo?


Italia sorrise, e sospirando aggiunse “Scommetto che non immagineresti mai quale sia la pianta simbolo di Lavinia...”


“... Lo stramonio? La belladonna? Il tasso? Anzi, no... direi l'oleandro****. Si, secondo me è l'oleandro”


“Quanto sei maligno... non è assolutamente vero che Lavi è velenosa. È solo che non ha molta dimestichezza con la diplomazia, ecco tutto. E comunque è l'ulivo*****, per tornare in tema”


Inghilterra finalmente voltò il capo tanto da poterla di nuovo guardare, di profilo, con un occhio solo. Decisamente scettico. Ma quando si accorse che non lo stava prendendo in giro, scoppiò a ridere di gusto


“Pffffft... L'albero simbolo della pace e della saggezza legato a quel demone in gonnella di sud Italia? Si, chi ha fatto i collegamenti tra voi e le piante decisamente era un grande umorista, non c'è nulla da dire...”


Italia sbuffò, tirandogli un piccolo cazzotto sulla spalla “Lavinia quando vuole sa essere molto dolce e gentile, ed anche incredibilmente affettuosa. Sei una pettegola tremenda e parli per partito preso, ecco”


Quando si riprese dalla ridarella, l'uomo sospirò pesantemente, e tornò a nascondere il volto nella camicia da notte di Felicia, sebbene continuasse a guardarla con la coda dell'occhio “Senti... una volta l'avevo presa in ostaggio per poter minacciare Spagna e tenerlo in scacco – non guardarmi a quel modo, per mare la vita di un pirata funzionava così – e l'avevo fatta trasportare sulla mia galera, pieno di marinai esperti abituati alle peggiori traversie e alla disciplina ferrea. Ebbene... dopo neanche mezz'ora d'orologio, il tempo che ho impiegato per andare a parlamentare con Carriedo sul suo galeone e avevo il castello di poppa e la mia cabina in fiamme, metà dei cannoni fuori uso o addirittura fuori bordo, tutte le cime ingarbugliate in maniera incredibile e tre quarti dell'equipaggio passati dall'essere dei soldati disciplinatissimi a furibondi hooligan aizzati l'uno contro l'altro, con parecchi che tentavano di uccidersi tra loro – o di ingropparsi in un'orgia totale, nel caos non l'ho capito molto bene - E quel piccolo diavolo travestito da angioletto attaccata al timone impazzito che canticchiava con una bottiglia di rhum in mano e l'aria candida di chi non sapesse assolutamente cosa stesse accadendo attorno a lei. Da quel giorno è diventata una leggenda al pari del kraken o del triangolo delle Bermuda, per la marina imperiale britannica. Nonché il mio personalissimo incubo per almeno due secoli.


No, non fa assolutamente ridere, sai? Smettitela”


Aggiunse, quando sentì la donna non trattenere in alcun modo una risata divertita e cristallina coprendosi a malapena le labbra con entrambe le mani, gli occhi stretti in una fessura lucente. Sebbene anche a lui venisse da ridere, ora che la raccontava. Effettivamente... l'idea che una marmocchia alta un metro e un pomodoro l'avesse messa in saccoccia a centocinquanta uomini tignosi e nerboruti e soprattutto a lui, faceva veramente ridere ripensandoci a mentre fredda, e mettendo da parte per cinque minuti l'orgoglio. La cosa peggiore tral'altro è che a quel mostriciattolo era bastato fare gli occhioni dolci e innocenti – assolutamente falsi, lo sapeva benissimo. Eppure... – e gli era divenuto impossibile prendersela con lei. Infatti se l'era presa con Spagna, che tanto ci era abituato.


Italia sospirò, asciugandosi una lacrimuccia che le aveva rigato la guancia per il troppo ridere. Ora che il momento ilare era passato, sul volto era venuta a crearsi una espressione decisamente malinconica, che faceva palese contrasto con quella divertita di poco prima.


“... Ti manca, vero?” domandò Inghilterra, tornando serio. Le accarezzò il fianco con dolcezza, conoscendo già la risposta. Che non tardò ad arrivare, con un cenno di assenso del capo da parte della donna

“Si. Da morire. Così come mi manca la mia terra... ma soprattutto, quello che mi fa sentire peggio non è la lontananza, è il non poter fare nulla, qui. Molto probabilmente anche in Italia sarei inutile, ma potrei almeno combattere, o aiutare i civili. Così invece sono del tutto impotente, e mi sento di tradire la fiducia del mio stesso popolo...” Lasciò che la voce morisse lentamente, in un sospiro. Senza speranze né desiderio di vendetta o rivincita, solo semplicemente rassegnata.


Rimasero così, immobili per un periodo di tempo relativamente lungo, ognuno immerso nei propri pensieri. Poi, di colpo Inghilterra si staccò dalla donna, dandole le spalle mentre si metteva a sedere sul letto. E raccattati gli stivali, disse con voce bassa mentre li rimetteva “Sai bene che io non posso lasciarti andare. Sarebbe tradimento nei confronti del mio governo”


“Si... lo so. Ma cosa...?” lo scatto dell'uomo l'aveva preoccupata. Ed ora lo seguiva con lo sguardo, mentre risistemava la camicia e la cravatta, e recuperata poi la giacca la indossava nuovamente, allacciandola di tutto punto.


“Cosa hai intenzione di fare?” Italia finì la domanda lasciata poco prima in sospeso, spostando istintivamente lo sguardo verso la finestra dalle tende tirate “Ormai non mancherà più tanto a mezzanotte... qualunque cosa tu debba fare, non puoi farla domani mattina?”


Inghilterra si fermò per un attimo, mentre risistemava la pistola d'ordinanza nella fondina sulla cintura appena allacciata. Poi sembrò ripensarci, e posò nuovamente il ferro sul ripiano della toeletta. Da che si era alzato, aveva evitato accuratamente di rivolgere anche solo un quarto di viso verso il letto e la donna “... No. È una cosa che devo fare ora. Mi sono ricordato di avere un impegno urgente e non posso più rimandarlo. Starò fuori per almeno una settimana... forse dieci giorni. Tu torna pure a dormire, non preoccuparti per me.” parlò velocemente, con nervosismo. Gli tremava appena la voce... e la mano, quando la poggiò allo stipite della porta che aveva aperto.

Certo, fino a cinque minuti prima stavano ridendo tranquilli, poi di colpo aveva assunto l'aria di chi stava scappando come avesse il diavolo attaccato al culo e lei non si doveva preoccupare? E nemmeno la stava degnando di uno sguardo... Velocemente scese dal letto per poterlo avvicinare e guardare in faccia, ma prima che riuscisse a girare attorno al mobile per dirigersi alla porta lui la fermò, sempre dandole le spalle.


“NO! Ti ho detto di tornare a dormire. Obbedisci, donna. Non dimenticare chi è che comanda qui dentro... È meglio per tutti e due”


Il tono imperioso con cui l'aveva apostrofata era servito a fermarla, bloccandola sul posto. Si trovò a balbettare nervosamente, incapace di comprendere il repentino cambio di umore dell'uomo


“Ma -ma... perché? Inghilterra, che è successo all'improvviso? Guardami, almeno...”


Da teso e nervoso che era, lo vide afflosciarsi su se stesso, le spalle cadere in avanti come se reggessero un tremendo peso. Non le rispose, e nemmeno si voltò a guardarla.

Mormorò un bassissimo “Arrivederci, Felicia” prima di uscire dalla stanza, richiudendosi la porta alle spalle. La donna ne seguì i passi lungo il corridoio, poi sulle scale. Anche quando non riuscì più a distinguere i rumori fatti dall'uomo al piano inferiore, rimase immobile al centro della stanza da letto, il corpo a malapena coperto dalla leggera camicia che andava velocemente disperdendo calore nella fredda aria notturna. Eppure, il freddo maggiore lo sentiva da dentro, senza neanche capirne il motivo.





Inghilterra non si presentò in quella casa se non dopo dieci giorni, trovandola fredda e vuota. Alla fine anche i due ragazzini se ne erano andati, seguendo la donna. Piccole serpi in seno... Sospirando arrivò in cucina, dalla cui ghiacciaia proveniva l'odore dolciastro e nauseabondo di cibi deteriorabili a diversi stati di decomposizione. Persino i fiori sul tavolo erano secchi ed emettevano un vago tanfo di morte.

Sul piano di legno rovinato, parecchie cartine e mappe nautiche, gli orari dei treni e quelli delle navi traghetto e mercantili di parecchi porti, sia sulla manica che diretti verso l'oceano, aperti e sottolineati in più punti. Avrebbe potuto facilmente ricostruire i movimenti dei tre solo seguendo le indicazioni fornitegli – sembrava quasi apposta – e controllando quali, tra le mappe e i vari libelli che aveva lasciato a bella posta sopra il tavolo la notte di dieci giorni prima, mancassero all'appello.


Ma prese tutte le carte e le buttò dentro la stufa bruciandole senza dar loro una minima occhiata, fino a che non ne rimase solo cenere impalpabile.


Andò poi nello studio. Al posto della busta contenente le sterline per il viaggio, ve ne era una più piccola, indirizzata a lui. All'interno un biglietto scritto a mano, due semplici parole nella morbida ed elegante calligrafia di Italia. Solo due parole, eppure gli bastarono per sentire di aver fatto la cosa giusta.



Arthur, grazie.




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* il movimento warp è quella tecnologia che, sulla saga fantascientifica di Star Trek, permette alle navi spaziali di muoversi ad una velocità superiore a quella della luce. Inghilterra lascia dietro di sé l'immagine illusoria sulla rétina, tanto si muove veloce...


**Il popolo anglosassone (e i suoi derivati) ha un rapporto decisamente tormentato con l'alcool. Si potrebbe dire che l'alcolismo è il problema più diffuso a livello del territorio, quasi una piaga sociale. Perché a differenza dei popoli latini, che bevono sempre ma, nella media con parecchia moderazione - nessun adulto si nega un bicchiere di vino a pasto, ma è difficile che si superi questa soglia - gli inglesi invece durante la settimana non toccano alcool. Son tutte delle bigotte puritane che solo a vedere una carta dei vini al ristorante si scandalizzano tremendamente, manco al posto di una bottiglia di bianco i camerieri avessero appoggiato sulla tovaglia un topo morto. Durante la settimana, badate bene.

Quando invece scatta l'ora x del venerdì pomeriggio, cambiano come il giorno e la notte. Da ogni parte, ad ogni ora, senza alcuna distinzione di sesso, età e ceto sociale il popolo anglosassone beve come una spugna. Roba che una uscita con gli amici non è considerata ben conclusa se quasi tutti non hanno vomitato l'anima sul marciapiede e almeno due o tre non rischiano il coma etilico.

C'è una ragione storica per questo. Durante la rivoluzione industriale, gli stipendi degli operai erano pagati in parte con la distribuzione di alcolici, e quasi tutte le fabbriche avevano il proprio pub privato, dove i lavoratori potevano andare nel dopolavoro a bere pagando pochissimo. Quindi, per un Tom Jones a caso, farsi una bevuta equivaleva spesso all'aver ricevuto lo stipendio, ed era motivo di soddisfazione. Poi l'abitudine di pagare in gin è andata perdendosi, ma non quella di considerare l'alcool come causa scatenante di festa e divertimento. Potremmo dire che la compita e tremendamente regolata società inglese galleggia placida su un mare d'alcool, e la maggior parte delle relazioni sociali lubrifica i suoi ingranaggi sotto l'effetto dello stupore alcolico. Basti pensare che il nostro "ci si vede", in Inghilterra spesso e volentieri viene sostituito con "let's have a drink", andiamo a bere qualcosa...

Inutilmente il governo ha tentato di arginare questo problema, cambiando gli orari dei pub - inutilmente. Prima erano aperti solo nel dopolavoro e nel finesettimana, dopo che potevano star aperti sempre (sperando che, avendocelo sempre a disposizione magari gli inglesi si autoregolassero come gli animali di appartamento) si sono ritrovati coi bar vuoti alle tre del pomeriggio e pieni di vomito all'una del mattino, esattamente come prima - aumentando il costo degli alcolici, alzando l'età media per l'acquisto... Tutta fatica sprecata. anche le campagne di sensibilizzazione lasciano il tempo che trovano, e le scritte allarmanti sulle bottiglie hanno lo stesso valore di quelle sui pacchetti di sigarette o sulle slot machines; chi ne abusava prima, ne abuserà anche dopo aver letto la scritta.


*** Finita la campagna d'Africa con la vittoria degli stati alleati su quelli dell'asse, si apriva finalmente un nuovo fronte, quello italiano. Già decisa durante la conferenza di Casablanca, quest'operazione - chiamata operazione corkscrew, "cavatappi" - iniziò ufficialmente il 9 maggio del '43, e durò per più di un mese, fino al 13 di giugno.

Era principalmente un'azione di apertura, atta a distruggere le difese della penisola poste sulle quattro isole nello stretto siciliano: Pantelleria - che fu anche la più colpita, essendo l'unica ad avere un porto tanto grande da poter essere usata come base di appoggio ed avendo anche un aeroporto - Lampedusa, Linosa e Lampione per un mese subirono continui bombardamenti prima dal cielo e negli ultimi giorni dell'operazione anche dal mare. Non erano i primi bombardamenti fatti sul suolo italiano, ma furono i primi ad essere continuativi e metodici e con lo scopo di annientare completamente le difese terrestri del luogo. Sulla sola Pantelleria, i B17 e i B24 della RAF (Royal Air Force, l'aeronautica militare inglese) scaricarono oltre 5.000 tonnellate di esplosivo.

Infine, nei primi giorni di giugno, la 1° divisione inglese sbarcò effettivamente sulla terraferma, quando ormai c'era poco da combattere. Va detto che comunque su Lampedusa, molto meno colpita della principale isola obiettivo, vi furono degli scontri tra fanterie e anche qualche scambio di colpi terrestro-navali ma che non sortirono alcun effetto. Linosa si arrese immediatamente, conscia dell'inferiorità numerica e tecnologica, Lampione invece non era nemmeno difesa, sottovalutata dalle stesse potenze italiane (d'altronde, è un isolotto veramente piccolo) e conquistarla fu una passeggiata.


Così l'operazione corkscrew si concluse in un successo pieno. Con la presa dello snodo principale del mediterraneo, il canale di Sicilia, la difesa delle flotte alleate che dovevano passare per forza di cose in quelle zone ed infine la creazione di un'ottima testa di ponte per la seguente operazione Husky, che vedrà l'attacco vero e proprio all'Italia, in Sicilia. Fu anche l'ultima operazione a livello di comando in cui l'esercito inglese la fece da padrone... poi passò decisamente in sordina, attenendosi semplicemente ad eseguire le direttive del generale americano Eisenhower. Sebbene nel lato adriatico dell'Italia, abbia comunque fatto i suoi bei danni (povera la mia Ancona ç_ç)...


**** Lo stramonio, detto anche l'erba del diavolo o delle streghe, la belladonna, il tasso e l'oleandro. Quattro piante, in ordine crescente di velenosità, potenzialmente mortali per l'uomo. Tutte belle cariche di tossine e alcaloidi tanto da mandare una persona adulta direttamente al Creatore senza passare per il via in poco tempo. L'oleandro soprattutto è velenoso per qualsiasi specie animale (se ne avete una pianta in giardino fateci caso: è una delle poche che le lumache non toccano...) in ogni sua parte: foglie, fiori, rami, radici... Si racconta che dei soldati napoleonici siano morti per avvelenamento dopo aver usato dei rami di oleandro come spiedi per la carne. Cosa avrà voluto insinuare Iggy accostando queste splendide piantine alla piccola&dolce Italia del sud?


***** la pianta simbolo dell'Italia è il corbezzolo. Poiché fiorendo in inverno e avendo la completa maturazione delle bacche sempre nella stagione invernale, porta su di sé i colori della bandiera tutti assieme: foglie verdi, fiori bianchi e bacche rosse. Non è dunque la margherita come si ostina a ripetere Himaruya. Il corbezzolo comunque rappresenta tutta l'Italia, quindi ho pensato che Feli e Lavi, essendo in due a reggere il peso di una sola nazione, avessero anche due altri alberi simbolo personali.

La quercia rovere e l'ulivo, infatti, fanno parte dello stemma italiano assieme alla stella (il vespero o esperia, la stella dell'ovest legata a Venere prima e alla Madonna poi, rappresentate l'Italia ancor prima della nascita della repubblica romana) e alla ruota dentata, simbolo della forza lavoro su cui si basa la nostra patria. Entrambe le piante avevano una grande simbologia fin dai tempi dell'impero romano. Come dice Felicia, la quercia rappresenta la forza, la virilità e il valore militare (oltreché, in altre simbologie, anche la saggezza e la perseveranza) mentre l'ulivo è il simbolo indiscusso della pace, oltre che della purezza, della giustizia divina e della sapienza.



Angolo del perché e del percome (che nessuno voleva)


EEEEHHH.... ed eccoci finalmente alla conclusione delle Idi di marzo (anche perché ormai siamo, in ordine di tempo della storia, a maggio inoltrato...). È strano che, fino ad ora abbia sempre scritto un sacco di corbellerie, ed ora, all'ultimo angolino scemo, non sappia cosa dire. O meglio, di cose ne avrei così tante che non so nemmeno da dove cominciare, e quindi mi impallo abbestia <.<


Bé, iniziamo dall'inizio, lasciamo l'ascia e accettiamo l'accetta, dato che ci siamo.
Se una persona emotivamente normale si trova a dover convivere forzatamente con uno tsundere timido e facile a cadere in depressione, cosa deve fare per non trasformarsi nell'omicida del suddetto tsundere? Semplice, studiarlo come si studiano le scimmie allo zoo. E questo fa Italia, per la bellezza di quasi due mesi. Vi risparmio l'osservazione empirica sul campo – altrimenti, avrei tirato fuori un trattato di psicologia in 120 comodi volumi da 1000 pagine l'uno – e vi porto direttamente ai risultati. Come rivela Feli, una volta capite le meccaniche del gioco, tutto risulta facile (un po' come quando vai nei ristoranti etnici: cinese tutto fritto, giapponese roba cruda, indiano niente vacche). Basta sapere che tutto quello che esce dalla bocca di Arthur, anche la peggio cattiveria deve essere filtrato e ben dosato, e scorporato dal contesto. Un'analisi logica in piena regola.

Comunque, sebbene tra i due i rapporti si siano ammorbiditi parecchio, è un po' una versione all'acqua di rose della sindrome di Stoccolma. Ma molto molto diluita. Quindi nel continuo della storia, non vi aspettate che si amino alla follia, questi due, o che stiano sempre culo & camicia dopo l'armistizio... di certo, non durante il conflitto. Non esiste città in Italia che non abbia visto cadersi sopra le bombe alleate, e per alcune zone – vedi il Frosinate e altre zone laziali e toscane – quasi che l'arrivo degli alleati fu il momento peggiore di tutta la guerra. E tutto questo non aiuta in un sano rapporto di coppia, decisamente no. Ma vedremo se supereranno la prova del tempo e della guerra...


Poi Inghilterra se ne va, e torna Rose. E qui temo di aver fatto un po' schifo, lo ammetto.

Perché volevo dire un sacco di cose, e temo di averlo fatto in maniera decisamente confusionaria e caotica. Senza nemmeno rendere bene l'idea del rapporto che intercorre tra le due. Mi scoccia un casino, ma di meglio non sono riuscita a fare. Uff... Più che altro volevo spiegare come semplicemente Italia veda Rose come una graziosa conquista e nulla più. Le piace e la trova adorabile, ma non è di certo l'amore della sua vita. Anche perché la vita della ragazzina è neanche un centesimo di quella della nazione...

Inoltre la parte descrittiva del possibile viaggio è stata stancante (e fortuna che è solo descritta per somme righe). Perché è veramente difficile immaginarsi come si possa scappare da un'isola come la gran Bretagna, se si è in guerra con il paese stesso. Ovvio che non ci sarà nessuna nave, tranne quelle militari – ma quelle le lascerei stare, se volessi passare inosservata – che si dirigerà in una zona adatta allo sbarco vicino alle coste alleate (di viaggi aerei è anche inutile parlarne)... Personalmente avessi il giro di conoscenze che può avere una nazione scapperei in quel modo, cercando la via più lunga, si, ma anche la più sicura. Ma come al solito sono elucubrazioni mie, e potrei sbagliarmi di parecchio.
Anche perché l'Argentina era si neutrale (e quindi non si era vista tagliare le rotte commerciali) ma aveva delle leggere simpatie naziste... inoltre, un sacco di argentini – quasi due terzi del paese intero – hanno o vantano antenati italiani. Sarebbe quindi un piccolo favore alla madre patria (e se non proprio madre, sorella patria XD), chiamiamolo così.


E veniamo alla parte fluff... o meglio, a quel che io tento maldestramente di far passare per fluff. Ma mi rendo conto benissimo di non esserci riuscita (purtroppo la mia totale incapacità di scrivere qualcosa di serio per più di tre minuti si è fatta di nuovo sentire. Terry Pratchett ha avuto una cattiva influenza su di me) U.u

Di nuovo una scena notturna... decisamente più intima e familiare. Magari non sentimentale, ma di certo affettuosa.
E ricollegandomi alla nota alcolica sopra scritta, Arthur per una volta si toglie la maschera del burbero e mostra i suoi veri sentimenti e pensieri (pensieri decisamente idioti o depressi, ma da Iggy non mi sarei aspettata nulla di meno), sebbene con l'aiuto dell'alcool. Purtroppo senza, gli inglesi non carburano... Ed anche Felicia, si trova a fare strani pensieri. Forse la parte della rapita/amante/pseudomoglie non le sta poi così tanto stretta come credeva.

Arriviamo al finale. Che, nonostante tutto, posso consideralo un lieto fine, relativamente parlando (non potevo certo scrivere “e vissero per sempre felici e contenti”, dato che nel continuum della Storia tra nemmeno un mese inizierà il conflitto direttamente in Italia e altro che amore e baci... voleranno bombe e pugni).

Forse un po' triste, ma il fatto che dopo due mesi in cui Felicia si ostinava a non chiamare per nome Arthur, finalmente si sia decisa a riconoscerlo come degno della sua fiducia e del suo affetto... bé, fa pensare anche a me, con un po' di immodesto orgoglio, di aver dato con questo finale l'unica soluzione giusta (altrimenti non lo avrei scritto, of course (me la canto e me la suono con la fanfara))XD


Per la cronaca, quello che Italia voleva, seppur inconsciamente – se n'è accorta solo alla fine – non era la libertà a tutti i costi: quella avrebbe potuto ottenerla fin dal primo giorno, senza fatica. I problemi che elenca a Rose ci sono, ma sono comunque superabili.

Quello che chiedeva al biondo, era piuttosto una prova di fiducia. Lasciandola andare volontariamente, l'uomo avrebbe perso ogni diritto su di lei ottenuto con la prigionia. Ma gli avrebbe offerto la possibilità di scegliere se, dopo la guerra, tornare da lui o meno come vera compagna e non come prigioniera coatta. Solo che questo alla fine lo fa a modo suo, vergognandosi quasi più della sua gentilezza che del suo caratteraccio.

Comunque, come recita un detto cristiano “Il Padre non toglie la gioia ai suoi figli se non per donarne loro una ancor più grande e maestosa”; per cui, se son rose fioriranno... (e poi io sono una shipper UkIta, quindi perché non accoppiarli? XD)

Aggiungo una piccola postilla, che avrebbe dovuto essere una nota ma già ne avevo scritte troppe: Arthur rivela che Felicia profuma di fiori d'arancio, ma in realtà la zagara è il nome comune di tutti i fiori degli agrumi. Quindi anche del limone, della limetta, del cedro e del bergamotto. Anche perché se di agrumi di ogni specie l'Italia è piena, gli aranceti sono presenti in grande preponderanza a sud per via del clima più adatto.


Ok, basta parlare di quel che è stato, pensiamo al nuovo!


Che, in soldoni, è il continuo di questa storia. Avverto già da subito che mi prenderò una pausa nello scrivere – almeno la prossima long, ma potrei mettere delle storie autoconclusive – perché ho in mente un bel mattone. E minimo prima di pubblicare il primo capitolo voglio avere la storia definita almeno nella linea principale e se possibile anche quattro o cinque capitoli già finiti e solo da rivedere, il che significa anche leggersi un casino di libri e annali della guerra di resistenza italiana. Per cui, potrei riprendere il tutto tra uno o due mesi, dipende come sono ispirata e se non sono morta sotto la carta stampata.

I protagonisti saranno uno sfacelo – anche perché nella guerra del '43 - '45 ci fu davvero una babele di eserciti... si sono dati tutti appuntamento da noi : 9

Spero di non far troppi casini...


Un bacione e un sentito ringraziamento a tutte quelle che hanno seguito questa long: grazie, non sapete nemmeno quanto mi ha fatto piacere leggere le vostre recensioni e scambiare le missive con parecchie di voi. In particolare Kesese_93 che mi ha addirittura segnalato per le storie scelte (troppa grazia ç_ç), poi Lady Monet, Eliot Nightray e KnucklesGirl, a cui ho scopiazzato ignominiosamente il pairing. Ecco, l'ho ammesso. Fanciulla, è colpa tua se ho scritto questa roba. (tanto lo sò che non ti penti di ciò, ma non importa) pentiti! *le punta il dito contro tipo la scimmia cattiva di Family guy* 


Ringrazio anche ghiaccioomega, IvyLotus, Kesese_93 e KnucklesGirl che hanno messo la storia tra le preferite, ed Dar K ya, Eliot Nightray, Gogy e Lady Monet che invece mi hanno infilato nella lista delle storie seguite. E infine sempre Kesese_93 e Lady Monet che mi hanno addirittura messa tra le autrici preferite. Vi lovvo, mie adorate fanciulline, lo sapete? E se non lo sapete, sapevatelo, su rieduchescionàl channel (questa mi sa che come battuta è troppo vecchia...)


Ovviamente un bacione anche a chi ha solo letto la storia (prima o poi capirò anche perché qualche capitolo ha il doppio delle letture degli altri...) e anche chi ha solo aperto la storia e poi l'ha richiusa senza darci peso; se vi è piaciuta ne sarò orgogliosa, se vi ha schifato me ne rammarico, ma se vi avesse anche solo fatto sorridere per un istante mi renderebbe una persona appagata e felice : )


Un bacione e alla prossima storia,

Monia

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