Le Idi di marzo di Shenhazai (/viewuser.php?uid=77808)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Buffo ***
Capitolo 2: *** 2. Le rose inglesi ***
Capitolo 3: *** 3. Padrona in casa d'altri - 1° parte ***
Capitolo 4: *** 4. Padrona in casa d'altri - 2° parte ***
Capitolo 5: *** 5. Ospite in casa propria ***
Capitolo 6: *** 6. Faccia a faccia ***
Capitolo 7: *** 7. Quando distribuivano la furbizia, ero a far la fila per il gelato. ***
Capitolo 8: *** 8. La cosa giusta ***
Capitolo 1 *** 1. Buffo ***
Cap.1 - Buffo
Buffo. Questo era quello
che si poteva chiamare un fatto buffo.
Ancora non riusciva completamente a comprendere cosa fosse successo,
perché se apriva gli occhi, invece di godere del paesaggio
idilliaco che il Garda le offriva dal balcone di casa sua (di una delle
sue tante case. Ne aveva decine, forse centinaia sparse per tutta
l'Italia... il paese dei mille campanili, si diceva che fosse. E tra
lei e la sorella si erano messe di buzzo buono per avere una casa sotto
ogni campanile o almeno provarci, spaziando dagli appartamenti moderni
nei centri storici alle ville maestose, ai ruderi dimenticati nelle
pieghe delle montagne, che forse giusto le volpi e i gufi conoscevano
oltre a loro), si trovava di fronte una parete di calce squallida,
macchiata di muffa e umidità.
Da una minuscola finestrella posta in alto, vicino al passo soffitto a
botte fatto di mattoni scrostati una luce morta, nebbiosa e opaca
rischiarava appena l'ambiente, rivelando quello che probabilmente era
uno scantinato di una vecchia casa ora adibito a sua personale carcere.
Una branda su cui era stesa, una toiletta con un secchio ed un bacile,
una ritirata nascosta da un rozzo paravento. Forse qualcos'altro
nascosto nella penombra, ne avvertiva la presenza con la coda
dell'occhio, ma non riusciva a coglierne la forma.
L'aria era umida, fredda e appiccicosa, quasi viscida. probabilmente si
trovava a non molta distanza da un fosso, o un fiume lento. Ogni tanto
avvertiva anche il fischio di qualche mezzo, forse un battello o un
vaporetto. E il rumore sordo delle auto a scoppio, oltre al
più tradizionale passaggio delle carrozze trainate dai
cavalli. Urla in una lingua incomprensibile, venivano trascinate come
un'eco lontana. i rumori le arrivavano attutiti, forse c'era un
giardino davanti la finestra.. Non era poi così vicina alla
strada da potersi permettere di sperare in un aiuto, se avesse urlato.
Sempre che ci fosse stato qualcuno, in quel posto, desideroso o
quantomeno in grado di aiutarla...
Decisamente aveva poco a che fare con casa sua, tutto questo. Persino
la stamberga mezza crepata che aveva vicino ad Arzachena* era
più adatta ad essere chiamata abitazione di quel posto. E le
capre che vi pascolavano attorno puzzavano certo di meno.
Eppure era quasi certa che nessuna delle altre nazioni conoscesse
quella casa sul Garda, persino Germania e Giappone ne erano all'oscuro.
Persino, e considerando quanto fosse ficcanaso era un suo personale
trofeo, il suo patrigno Austria non conosceva la locazione di neanche
un terzo dei suoi rifugi. Figuriamoci se potesse conoscere questo, che
le apparteneva da così tanto tempo che ancora la
compravendita era siglata con le strette di mano. Quindi nemmeno il
catasto poteva essere utile all'uopo, sempre che qualcuno si fosse
messo di buona lena a leggere contratti ormai cancellati dal tempo in
polverose soffitte di tutti i comuni d'Italia.
E lei nonostante quel che comunemente credessero le altre nazioni, ci
teneva incredibilmente a quella segretezza, a quella ritrosia. Secoli e
secoli di invasioni, ti fanno apprezzare il piacere della quieta
solitudine come fosse aria fresca dopo una lunga apnea. Amava Germania
e Giappone, amava davvero con tutto il cuore essere circondata dai suoi
amici e compagni, ma a volte anche lei sentiva il desiderio di
staccarsi da tutto e da tutti, e nulla come una decina di giorni
isolata dal resto del mondo, con solo la presenza delle sue piante e
del suo paesaggio attorno la ricaricava. Ora più che mai,
tra l'altro, le serviva la solitudine. Per capire... dove avesse
sbagliato. Quando, in quale preciso istante della Storia tutto le fosse
sfuggito di mano, fino ad arrivare al punto di non avere
più il coraggio di guardarsi allo specchio la mattina. Si,
la solitudine era quello che le serviva, e nulla come le sue montagne
poteva donargliela.
Tutto bello, tutto giusto.
Ma allora, perché quella mattina mentre annaffiava il
giardino, tra il limone e il glicine si era trovata davanti quel gran
faccia da culo di Inghilterra? Bella domanda.
Peccato non avesse avuto il tempo di porla al giovane anglosassone che
ghignava di fronte a lei, in quanto il suddetto faccia da culo le era
saltato addosso immobilizzandola, e facendo al contempo ruzzolare un
vaso di geranei imperiali sul selciato. Curioso come, prima di perdere
i sensi per via di un colpo alla nuca dato con il calcio della pistola,
avesse notato sul volto di Inghilterra più dispiacere per il
danno arrecato alla pianta che per averle donato una commozione
cerebrale. Curioso soprattutto come, tra tutte le cose a cui poteva
pensare in quel momento, le fosse rimasta impressa proprio
l'espressione accigliata e colpevole dell'uomo che fissava le foglie
rovinate e i fiori di un rosa carico spampanati a terra, tra il
terriccio e l'argilla rovesciata. Le parve quasi di sentirlo mormorare
un " mi dispiace, te la ristemerò subito", mentre se la
caricava in spalle. E nello stato di semicoscienza in cui ancora si
trovava, si domandò se dovesse ringraziarlo per il disturbo
e la cortese attenzione. Ma poi il buio risolse i suoi dubbi,
mandandole il cervello in ferie...
... Per quanto tempo era stato in ferie, tra l'altro? A giudicare dal
dolore al collo, troppo poco. Per quel che riguardava il suo stomaco,
invece, decisamente troppo tempo. Cielo, le sembrava di non mangiare da
giorni... E se fossero stati davvero giorni, ora che ci pensava?
Difficile stabilire persino che ora fosse con quella luce smorta,
figuriamoci il giorno. Con tutta la calma di questo mondo, cercando di
muovere il capo il meno possibile si tirò a sedere sul
letto, puntellandosi col destro per reggersi meglio, mentre la mancina
si massaggiava l'attaccatura del collo alla ricerca timorosa di
escoriazioni o tumefazioni. Ma a parte il dolore sordo, non sembravano
esserci danni esteriori... avere una indomita ed ingombrante massa di
ricci a qualcosa serviva, dunque. Per lo meno come cuscinetto
ammortizzatore. Sospirò pesantemente, e guardandosi attorno
cercò di comprendere meglio la sua situazione. Non sembrava
aver subito altri danni oltre a quelli dovuti alla botta alla nuca, se
non qualche lieve dolorino dovuto al non proprio comodo pagliericcio su
cui era stata stesa per non si sà quanto, e a qualche lieve
escoriazione che già si stava riassorbendo. Questo per
quanto riguardava il suo fisico. Il vestiario invece era di ben altro
avviso... Il lungo vestito color verde felce era oltremodo sporco e
stracciato sull'orlo inferiore della gonna. Merda. Amava quel vestito,
anche se era di una foggia ormai antica e passata di moda. Era il primo
abito che lei e sua sorella si erano regalate dopo la loro
riunificazione come Regno d'Italia... lei verde felce, Lavinia
scarlatto. Seppure i decenni passavano e la stoffa cedeva, continuavano
impeterrite a rifarselo fare identico, ogni volta lo stesso identico
taglio e gli stessi identici colori, quelli della loro bandiera.
Bé, lo avrebbe fatto ricucire di nuovo. Ciò non
toglieva però che la cosa la facesse incacchiare e non
poco...
"well woke up, my
goddess of spring"
Di colpo, una voce sardonica la fece sobbalzare sul posto, senza
trattenere un'esclamazione di stupore. Gesto di cui si pentì
immediatamente, per via della fitta lancinante che le aveva trafitto il
cervello e si stava spandendo lungo tutto la colonna vertebrale. Si
morse il labbro inferiore per ricacciare indietro le lacrime, e
fissò lo sguardo verso il punto in ombra da cui la voce era
partita. Seduto accanto ad un tavolo scassato, su una sedia altrettanto
scassata c'era l'inglese. O qualcuno con una voce molto simile e
ugualmente irritante, che una volta assicuratasi la sua attenzione
riprese a parlare
" immagino ti stia
chiedendo dove ti trovi, e perché..."
"Veh... Siamo in guerra.
Siamo avversari. Mi hai stordito e portato qui contro la mia
volontà. Quindi, lasciami indovinare... " la
donna sollevò appena lo sguardo, fingendo di ragionarci su "vuoi farmi da guida nel tour
dei castelli inglesi? Spero ci sia anche il castello di Leeds** nel
giro, me ne hanno sempre parlato un gran bene, sai?"
ammiccò poi verso la figura ancora in ombra, per quanto il
recente dolore le permettesse di fare.
La battuta fu colta dall'inglese, che scoppiò in una risata
acida "perché
no, my darling, perché no. Ma al momento temo dovrai
accontentarti di questa reggia" e con un gesto teatrale
del braccio, indicò la squallida stanza nella sua interezza "almeno fino a quanto non
calcolo quanto ci possa guadagnare a tenerti prigioniera"
La donna assottigliò lo sguardo ancor più del
solito, poi sollevò le spalle con un gesto di noncuranza "buona fortuna allora.
Piuttosto, hai reinterrato i miei geranei? ci tenevo particolarmente a
quel vaso, sono una specie piuttosto rara da trovare..."
"reinterrati,
e anche riconcimati. Mi sono permesso pure di finire ad innaffiare il
tuo giardino, richiudere casa e lasciare un messaggio al custode per il
giorno seguente. Non sono stato bravo?" Rispose
Inghilterra mentre si sporgeva in avanti, appoggiandosi con i palmi
alle ginocchia. Non lo vedeva, ma riusciva tranquillamente a
immaginarsi il suo ghigno strafottente.
Niente, più ci si arrovellava e più il termine
"faccia da culo" le sembrava l'unico adeguato a descriverlo.
"un vero e proprio
gentiluomo, non c'è nulla da aggiungere"
mormorò infine Italia, annuendo impercettibilmente. Poi
aggiunse "quanto tempo
è passato? immagino due o tre giorni, a giudicare dalla fame
che ho. è difficile portarsi dietro un corpo di nascosto,
soprattutto di questi tempi. Via aerea? o attraverso la Francia?" si
concentrò un attimo "siamo su una città fluviale.
Questo non è odore di mare, anche se è odore
d'acqua in movimento. Non mi sembra una città francese,
però. Ma non siamo neanche a Londra. Per lo meno, non siamo
in un quartiere di Londra bomb-"
Venne interrotta dall'alzarsi di scatto di Inghilterra, talmente
improvviso che la sedia cadde all'indietro impattando sul pavimento con
un secco colpo, la cui eco rimase nell'aria per parecchi istanti. "Stai facendo troppe domande per
i miei gusti, donna. Dovresti imparare che la curiosità non
si è mai accompagnata alle signore perbene."
Mentre parlava raccolse la sedia, risistemandola sotto al tavolo. Era
come se all'improvviso gli fosse venuta premura, e non vedesse l'ora di
uscire da quella stanza. Come non capirlo, d'altronde anche lei aveva
ben poco desiderio di rimanere lì dentro, anche se temeva
non sarebbe uscita facilmente come il biondo. E mentre lei rispondeva a
mezza voce con un ironico "mai stata una signora perbene", l'inglese si
avvicinò ad una porta al lato estremo della stanza, bussando
un paio di volte. Pochi istanti dopo una feritoia si era aperta, e
chiunque fosse stato dietro di questa, dopo essersi accertato di chi
stava richiamando l'attenzione si operò per sbloccare
parecchi chiavistelli.
"veh... un'ultima
domanda" Lo bloccò lei prima che l'uomo
uscisse. Questi sospirò, e voltandosi guardò
nella sua direzione, le grosse sopracciglia ancora increspate dal
precedente nervosismo;
"cosa c'è
ancora?" Le chiese scocciato, la mano sulla porta pronto a
sbattersela alle spalle.
"... ci sarà
pasta per cena?"
Non ricevette risposta, ma dalla risata dell'inglese, ben
più allegra e sincera di quelle che aveva sentito fino ad
ora, comprese che se non altro l'altra nazione non era più
così incazzata. Bé, su due nazioni, un 50% di
nazioni non furibonde era una buona media, no?
Rimase a guardare la porta ormai chiusa fino a quando la penombra non
le rese impossibile distinguerne le venature consunte e i cardini
ossidati nella sua massa scura. Poi spalancò gli occhi
ambrati, e li fissò al soffitto.
"... buffo."
Fu il suo unico commento, seguito da un lungo sospiro.
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* Comune di Arzachena, provincia di Olbia, nella zona Gallurese della
Sardegna. Più precisamente qui.
Perché la Costa Smeralda non l'hanno scoperta i turisti, veh
** http://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Leeds
E tanto per inciso, ci andrei pure io in tour qui...
***L'angolo del perché
e del percome (che nessuno ha chiesto)***
Veh, che dire. Ho letto
un sacco di libri, un sacco di racconti, e anche un sacco di
fanfiction. Ma è la prima volta che ne scrivo una,
e soprattutto che decido di renderla pubblica. Perché si
sà, quello che stanotte sembrava un'idea carina domani
mattina sarà catalogata come la più immensa
cagata che mente umana potesse partorire. Per cui, preparandomi
mentalmente al pubblico lubridio mi metto occhialini, braccioli e mi
tuffo nel mare della scrittura, ora che sono abbastanza rintronata per
farlo.
Ma bando alle ciance, veniamo alla Fic. Parla di Inghilterra e Italia
del nord, anche se la MIA Italia non è per nulla canon. A
parte che l'è donna, e già qui abbiamo fatto il
salto del fosso, ma è proprio diversa dal solito ideale di
personaggio (insomma, non è un Feliciano con le tette, ma
nemmeno la nyotalia): è la donna turrita, ispirata alla dea
Cibele - dea, vardampò, della natura e della
fertilità - e che rappresenta l'Italia fin dall'impero
romano, quale allegoria del Belpaese in tutte le provincie dell'impero romano.
Sò che è strano, ma immaginatevi un misto tra la
bellezza di Virna Lisi (da giovane. non che ora non sia più
bella, ma le nazioni son comunque poco più che ventenni. E
la Virna da giovane l'era incredibilmente gnocca) e il carisma di Anna
Magnani (lei, quando la prendi la prendi, è spettacolare
dentro, fuori e tutt'intorno). Il tutto con occhi d'oro e
lunghi capelli castani e ricci.
Anche nel comportamento e nella psicologia è diversa...
Più saggia, più empatica. Decisamente meno idiota
(ma ha anche lei i suoi momenti maGGici), l'unica cosa che l'accomuna
con l'Italia canon è l'essere, per sua stessa ammissione,
"inutile". Di fronte al dolore, alle tragedie annunciate e non evitate
anche quando si poteva farlo, alle scelte sbagliate di qualcuno che
distruggeranno la vita di tutti. Come ci sentiamo noi popolino bue
quando i politici fanno l'ennesima minchiata, in fondo.
E soprattutto... è ben più vecchia e stanca di
quanto lasci trapelare; quasi un rudere, oserei dire. Ma
riesce comunque ad avere lati freschi e infantili, e a vivere la sua
vita con leggerezza.
Di sicuro è più sboccata, ma vi sfido a
trovare un italiano che non si lasci mai sfuggire un santone ogni
tanto. Però vi assicuro che non è una tsundere,
se maltratta qualcuno è perché in quel preciso
momento le stà veramente sulle palle, non certo
perché è timida o impacciata e nasconde i suoi
sentimenti pucciosi così.
Probabilmente nemmeno Inghilterra è IC, ma pazienza. Metto
l'avvertimento OoC e passa la paura. (povero Iggy, liquidato con mezza
riga. Gli si sfoltiranno le sopracciglia per la delusione)
E dato che ancora non ho deciso se alla fine i due combineranno
qualcosa o meno, rischia pure di andare in bianco. Sfigato nei secoli
dei secoli imperituri, amen (segno della croce).
Si consolerà coi suoi scones, oppure ci si
suiciderà. Dipende quanti ne mangia. E da come mi ispira
l'angst in quel momento.
Torniamo alle cose serie. Se trovate orrori grammaticali, e vi assicuro
che ne troverete a iosa, avvisatemi. Purtroppo le mie dita hanno un
vero odio nei confronti delle maiuscole all'inizio delle frasi, quindi
per quanto legga e rilegga il testo qualcuna me ne scordo. Non parliamo
dei verbi, poi. Il signore ce ne scampi e liberi.
E poi, e poi... poi basta, vi lovvo tutte. Non solo chi
recensirà, o metterà la storia tra le
preferite/ricordate/nonmiricordol'altracategoria, ma anche chi
leggerà e basta, o per sbaglio aprirà la pagina e
la richiuderà subito pensando "ma che è
stà robaccia!". Così mi porto avanti col lavoro.
Approfittatene, che ho il love mode a tempo. Quando sono finiti i
minuti gratis entro in roaming e poi li sò cazzi.
Monia : )
|
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Capitolo 2 *** 2. Le rose inglesi ***
2. Le rose inglesi
Non seppe
per quanto tempo dopo
che l'oscurità fu scesa nella stanza rimase ferma e in
silenzio a
fissare il basso soffitto a botte. Probabilmente una mezz'ora, o
forse di più... difficile dirlo. I rumori che provenivano
all'esterno della finestrella si facevano via via più radi,
segno
che i bravi ed onesti cittadini di quel dannato posto se ne stavano
tornando a casuccia loro, a consumare il pasto principale di ogni
inglese che si rispetti. A proposito, lei quando avrebbe consumato il
suo pasto principale? O quantomeno un pasto, che fosse principale o
secondario era ininfluente. Voleva dunque prenderla per fame, il
signor Facciadaculo? Bé... ci sarebbe riuscito benissimo.
Una
scampagnata in discesa, proprio.
D'altronde
tutti sapevano che
uno dei suoi molteplici punti deboli era l'appetito. solo il fatto di
seguire la dieta mediterranea la salvava dall'essere ben più
larga,
ma di certo paragonata all'efebica Liechtenstein o anche solo ad
Ungheria risultava decisamente più formosa... molto
più formosa.
Fortunatamente il suo metro e settantadue l'aiutava parecchio a
distribuire le tante, troppe curve che si trovava addosso. Bella roba
essere una nazione composta quasi esclusivamente di colline e
montagne. Ma sticazzi, se si chiamava così un motivo doveva
pur
esserci, no? Era Felicia di nome e di fatto*.
Se non
altro non si ingozzava di
schifezze come facciadaculo/bis, volgarmente conosciuto come America.
Non che l'inglese fosse tanto meglio, quanto a menù... ma
per lo
meno finiva di ingoiare un boccone, prima di ficcarsi in bocca
qualcos'altro.
I suoi
amorevoli (?) pensieri
rivolti alle due nazioni alleate furono interrotte dallo sferragliare
improvviso alla porta. La donna rimase in attesa, trattenendo il
respiro quasi si aspettasse di veder comparire, oltre l'uscio, un
boia incappucciato e con l'ascia appena affilata, ad accompagnare il
prete per l'estrema unzione e il notaio che le leggeva i suoi
ridicoli diritti. Che diritto poteva avere qualcuno che stà
per
essere decollato? Quello di poter sanguinare come un maiale senza
sentirsi in imbarazzo per aver sporcato il pavimento?
Rimase
stranamente delusa nel
suo profondo animo gore (si appuntò mentalmente un
promemoria:
rivedere le proprie fantasie e soprattutto le proprie letture. Un
evento spettacolare in un romanzo d'appendice non sempre è
un evento
piacevole nella realtà) quando invece del suddetto nefasto
trittico,
vide comparire una ragazzina, sottile come un giunco, vestita con una
divisa da infermiera britannica. I lunghi capelli di un castano
chiaro slavato, erano trattenuti da due codini che le davano
un'aspetto più infantile di quanto dovesse essere realmente.
Ben più
importante, portava con sé un vassoio dall'aspetto pesante,
coperto
da un telo bianco e stracarico di piatti e stoviglie, ed una lanterna
ad olio accesa, tenuta per il gancio tra i denti. Bah, in questo
posto nemmeno l'elettricità ci stava...non che si aspettasse
l'illuminazione della Scala, ma un cacchio di bulbo a
incandescenza... insomma, siamo nei ruggenti anni 40! tutti hanno la
luce in casa. Bé, quasi tutti. Lei ad esempio ce l'aveva in
circa...
il 25% delle sue case. Ma mica era colpa sua se la maggior parte
delle sue abitazioni erano vecchie come il cucco. doveva già
ringraziare di averci il camino, in alcune di quelle più
bicocche...
...
Ok, stava
di nuovo mandando il
cervello in loop dietro alle sue solite minchiate. E come al solito
doveva aver assunto un'espressione tra il sognante e il rincoglionito
che ben conoscevano i suoi compagni dell'Asse, a giudicare da come la
ragazzina, dopo un attimo di smarrimento, aveva distolto lo sguardo
dal suo volto, arrossendo. Un attimo, perché era arrossita?
Mah,
stranezze anglosassoni.
La
ragazza avanzò in silenzio senza degnarla più di
uno sguardo, e con
fare teso posò il suo carico sul tavolo predisponendo le
vivande in
modo esperto e sbrigativo. Solo quando diede l'impressione di voler
uscire di corsa, l'italiana aprì la bocca, richiamandone
l'attenzione "ah...
wait. Aspetta, non andartene subito... "
Sospirò
appena, mordendosi il labbro inferiore, e sebbene il profumo del cibo
caldo le solleticasse l'appetito quasi fosse un pranzo di gran festa
si trattenne dal saltarci sopra, cercando piuttosto di trattenere
l'inglesina "...
mi capisci? Non conosco un granché di inglese... what's your
name?
Where are we now?" le
domandò poi, incespicando a fatica sulla lingua di Albione,
non
proprio del tutto certa sulla correttezza sintattica di quel che le
aveva appena domandato.
La ragazza
si strinse al petto
il vassoio ormai vuoto, come un improbabile scudo di latta, e
osservò
di rimando la donna seduta sulla branda ma sporta completamente verso
di lei da dietro gli occhiali dalla montatura dorata. La stava forse
studiando come un animale selvaggio, o peggio come una pericolosa
criminale... Temeva forse che le potesse saltare addosso, se si fosse
avvicinata? Bé, di certo a riscontro della mera prestanza
fisica,
anche ad una superficiale occhiata l'italiana batteva l'inglese su
tutti i fronti (e per quanto non sembrasse ad un semplice sguardo,
era comunque una nazione. Poteva tranquillamente tenere testa a una
decina di uomini grossi il doppio di lei, senza nemmeno una goccia di
sudore) ma si sà che le ragazzine, più sono
piccole e più sono
indiavolate. Avrebbe potuto immobilizzarla senza problemi, certo, ma
non voleva farle del male né voleva spaventarla
più di quanto non
sembrasse già essere.
Per cui,
avvertendo il dubbio e
immaginandosi le paranoie della ragazza dagli occhi verdi, molto
lentamente alzò le braccia mostrandole i palmi delle mani
aperti in
segno di pacifica resa.
"Non
voglio farti del
male. Non voglio e non potrei farlo, comunque... ho sentito che
dietro alla porta ci sono altre persone. E non ho mai e poi mai
sfiorato una donna in vita mia, per farle del male. Per cui
stà
tranquilla, davvero"
Sospirò,
mantenendo lo sguardo
al solito semichiuso sul volto della giovane. Non sapeva se i suoi
ipotetici sequestratori conoscessero realmente il suo potenziale
distruttivo, ma di certo Inghilterra non ci aveva messo degli
sprovveduti. O forse, contava sul fatto che mai e poi mai avrebbe
alzato le mani su una donna? Quel che è certo è
che avrebbe alzato
molto volentieri le mani su di lui. Più e più
volte. Magari armata
con qualcosa di pesante e acuminato.
Felicia -
si schioccò
mentalmente le dita davanti al naso - torna in focus.
"i
just want to chat with you"
Rimase poi
in attesa, leggendo
nello sguardo dell'altra il dilemma. Perché era realmente in
dubbio,
la ragazzina. Da una parte sembrava avesse timore di lei, dall'altra
le labbra fremevano nel desiderio di parlare. Ogni tanto lanciava
sguardi preoccupati alle sue spalle, verso la porta chiusa. Forse
sarebbe stata sgridata o addirittura punita, se le avesse dato
confidenza? Portarla a scegliere tra lei e gli ordini ricevuti non
era il miglior modo per assicurarsi la conoscenza e magari la
complicità con l'infermiera. Meglio prenderla alla larga.
"All
right. Non ti preoccupare. Immagino dovrò stare qui
abbastanza
tempo, a meno che Inghilterra non rinsavisca. Ma conoscendolo, prima
che entri del sale in zucca a quel babbeo si spegnerà l'Etna"
oh... era un'accenno di risata, quella? Dannati popoli del nord,
tutti con un'espressività tale da far concorrenza ad un
ghiacciaio.
Anzi, aveva visto dei ghiacciai ben più comunicativi, a ben
pensarci. Almeno quelli se ti stavano per franare addosso cigolavano,
prima.
"Non
voglio metterti in difficoltà. Quindi non ti preoccupare,
non c'è
bisogno che tu mi risponda... Avremo tempo per conoscerci, direi.
Molto, molto tempo... Se hai capito quello che stò dicendo,
basta
che tu annuisca col capo" Restò
a osservare il volto della ragazza, ancora teso e meditabondo. Poi,
lentamente, l'inglese annuì una, due volte. bé,
se non altro capiva
quel che diceva. Oppure aveva annuito così, tanto per darle
ragione
come si fa ai matti? Un dubbio che non si sarebbe sciolto tanto
presto... la donna riabbassò le mani, posandosele in grembo.
E quasi
in risposta, l'infermierina si era spostata, indietreggando verso la
porta. bussò piano sul legno tarlato, attendendo che le
aprissero,
lo sguardo ancora fisso sull'italiana seduta.
"...Rose.
My name is Rose"
Mormorò piano la ragazzina quando la porta alle sue spalle
fu
dischiusa. Strinse le labbra sottili e pallide, arrossendo appena
sotto le efelidi.
Italia
Sorrise in risposta,
inclinando appena il capo verso la spalla destra
"Lady
Rose... lovely
name, indeed. My name is Felicia. Nice to meet you"
Non attese
risposta. bé, non si
aspettava alcuna risposta, in effetti. Semplicemente osservò
la
ragazza scomparire dietro la porta, e quando il rumore dei suoi passi
scomparì del tutto nel corridoio si alzò per
avvicinarsi al tavolo.
Le girava la testa, e nel momento in cui si trovò in piedi
provò un
senso di vertigine. Fame, fame, tremenda fame... lanciò
un'occhiata
famelica ai piatti coperti lasciati da Rose. Scoperchiandoli,
trovò
una sospetta zuppa d'avena fumante, un... pasticcio di carne - cui
onestamente non si sentiva l'animo di chiedersi la provenienza
animale - e del pudding. Tutto sommato un pranzo mica male,
considerando che era una prigioniera e che erano in un periodo di
crisi. Trovare la carne di questi tempi era un'impresa. Si, aveva
fatto bene nel costringersi a non pensare che tipo di carne ci fosse
dentro quel pasticcio.
Assieme a
tutto il resto, c'era
anche un piccolo cestino coperto da un tovagliolo. Quando lo
scoperchiò, vi trovò un personalissimo e
assolutamente non voluto
dono di Inghilterra. I suoi famigerati Scones. Almeno, sperò
fossero
degli scones, ma avrebbero potuto essere anche spugnette ricoperte di
cenere, o gli scarti del plutonio impoverito.
Chissà.
Meglio
metterli da parte, magari
avrebbe potuto usarli come armi contundenti e/o
chimico-batteriologiche alla prossima occasione...
Il resto
del cibo, invece,
risultò essere abbastanza saporito, e soprattutto
sostanzioso.
Sospettò che molto del piacere provato nel mangiare fosse
dovuto
alla fame accumulatasi nel tempo, ma non le importava. Ora come ora
doveva solo pensare a recuperare le forze, farsi passare quel fottuto
mal di testa... e pensare a come fuggire da quella situazione.
Dannato
faccia da culo!
Ripulì
con attenzione tutti i
piatti (tranne ovviamente gli scones o quello che erano), bevve tutto
il té. Si lavò viso e mani con l'acqua della
brocca nella toeletta,
poi tentò di dare un senso alla massa informe dei capelli,
tra cui
trovò anche delle foglie. Come ci erano arrivate delle
foglie tra i
capelli? Che diavolo aveva fatto Inghilterra dopo che l'aveva
stordita?
...No,
anche questa era una
domanda di cui non voleva sapere la risposta.
Piuttosto.
Quanto tempo ci
avrebbe messo l'Asse ad accorgersi della sua mancanza? E sua sorella?
Temeva, purtroppo, molto. Non era la prima volta che se ne andava in
"eremitaggio", a volte anche per un mese intero e ormai sia
Germania che Giappone sapevano che in questi periodi era praticamente
introvabile. L'unica che poteva avere degli indizi era Lavinia, ma
anche a cercarla in ogni loro casa, una per una, ci avrebbe messo
minimo due settimane, a far tutto di corsa. Decisamente troppo tempo
per la soglia di attenzione della latina. Si sarebbe stufata - o
avrebbe trovato meglio da fare - dopo tre case, quattro al massimo.
Neanche i
suoi superiori
sapevano dove si nascondesse... e lei si guardava accuratamente di
far trapelare la notizia. Soprattutto ai suoi superiori, dannati
pazzi assassini...
No, no, no.
Felicia, si disse,
non cominciare di nuovo. Il capitano di certo ti farebbe una
ramanzina lunga una settimana se sapesse come parli dei tuoi capi.
Non che lui ne pensasse molto meglio, né amava gli ordini
che gli
venivano imposti dall'alto. Anzi, ad essere sinceri li detestava con
tutto sé stesso, ma il suo carattere onesto e retto lo
portava
comunque a eseguirli in silenzio, da bravo soldato che era. Lei
però
soldato non lo era mai stata, un pò come signora. Santa,
mercante,
viaggiatrice... ma difettava in quelle due materie. Quindi pensava -
e diceva - tutto quel che le passava per la zucca.
Un conto
è però farsi
rimbalzare l'informazione da un punto all'altro del cervello, ben
altra cosa è farla trapelare all'esterno. In mezzo ai propri
soldati
immersi fino alla vita nel fango di una fetida trincea gelata, ad
esempio. Non era proprio il massimo dell'incoraggiamento far venire
alla conoscenza dei militari e delle loro famiglie a casa che la
propria Madre Patria voleva quella guerra meno di loro. No, meglio
tacere e sorridere, tacere... e sorridere.
Eppure,
sapere che i suoi figli
venivano mandati a morire per la smania di un branco di idioti, le
faceva piangere il cuore. Un conto è combattere per
difendersi, per
proteggere la propria casa, i propri affetti. Ma lei, aveva davvero
bisogno di estendere i propri domini? conosceva anche troppo bene la
sensazione che si prova nell'essere in balìa degli altri, si
vedersi
la propria terra occupata forzatamente da qualcun altro che non
l'amerà mai come l'amava lei. E non era del tutto sicura di
volerlo
fare a sua volta.
Libia,
Somalia, Eritrea ed
Etiopia erano bravi ragazze e ragazzi. Con una cultura decisamente
diversa dalla sua, per alcuni tratti addirittura più antica.
Selvaggia e
ancestrale, ma interessante, piacevole. Certo, ai suoi occhi d'ambra
quasi tutti i paesi - pochi se ne salvavano - sembravano un poco
barbari e infantili**, ma loro lo erano in modo... innocente. Non
fingevano di essere quello che non erano. Non avrebbe voluto far
loro del male, quanto piuttosto aiutarli a svilupparsi, a superare i
loro problemi. Certo, se fosse dipeso da lei... Ma non dipendeva mai
da lei. Erano tutti pronti a farsi grandi e importanti con parole
ipocrite come "per la Madre Italia!", "è quello che
l'Italia e gli Italiani vogliono!" e cose simili, ma ci fosse
mai stato un cacchio di governante in tutta la sua plurimillenaria
storia che si fosse fermato un isolo secondo e gli avesse chiesto
cosa voleva lei, davvero, per la sua terra e i suoi figli.
Così, per
pura cortesia, tanto per togliersi la curiosità... Non
è che
prentendesse che poi le dessero retta, figuriamoci. Ma domandare,
almeno, sarebbe stato carino.
Nessuno. Il
vuoto cosmico. Tante
volte aveva come l'impressione che se al posto suo avesse mandato una
statua sorridente di dimensioni reali agli eventi politici, non se ne
sarebbero accorti.
Meglio
piuttosto riempirsi la
bocca di belle parole, e poi mandare al macello i suoi figli. Tanto
erano i SUOI figli, mica i LORO. com'era il detto? "armiamoci e
partite". Eppure, eppure ne avrebbe avute tante di cose da
dire...
Aveva
imparato già da bambina
che la via delle armi, quella che di solito scelgono gli umani dalle
brevissime vite, non è mai la via migliore. Sempre di corsa,
sempre
a inseguire qualcosa che difficilmente se non addirittura mai
avrebbero raggiunto, sprecando la loro corta esistenza o addirittura
accorciandosela in maniera arbitraria. Che peccato che
l'umanità, o
almeno la parte che prendeva le decisioni finali, non riuscisse
proprio a comprendere lo sbaglio di fondo di tutto questo
ragionamento. Un vero peccato.
Il fiume
dei suoi pensieri venne
interrotto dall'ultima scintilla di luce proveniente dalla lampada,
che guizzò tremolante prima di spegnersi, lasciandola nel
buio
freddo e umido della notte primaverile.
Finì
di sistemarsi, poi tornò
a sedersi sul letto.
E
appoggiandosi con la schiena
alla parete dietro di lei, chiuse gli occhi in attesa...
----------------------------------------------------
*Felicia in
Latino significa
fortunata, ma anche ricca, fertile e abbondante. E, per associazione
di idee, anche felice, come è quasi ovvio :9
**
Sebbene abbia assunto la sua forma adulta solo con la riunificazione d'italia nel 1861 assieme alla sorella, le due signore è un pò che girano. Diciamo dal tempo degli Etruschi e dei Latini... e parliamo di roba come 1.000 anni prima di Cristo, secolo più secolo meno. Bazzecole. Durante tutti questi secoli, dalla Repubblica Romana alla fine del Rinascimento sono state di un gradino sopra gli altri stati europei per quanto riguarda la cultura, l'architettura, l'arte. Per secoli i popoli del nord sono scesi nel Belpaese per apprenderne la storia, i modi e i costumi e raffinarsi (molti ci venivano pure per farsi l'amante, ma questa è un'altra storia). E, seppure ora sono deboli confronto a territori più grandi e potenti, hanno attraversato i secoli quasi indenni, hanno visto la nascita e il tramonto di parecchie nazioni e imperi, come dell'Impero Romano di cui sono madri e al tempo stesso figlie e vassalle. Il motivo per cui poi lo chiamino nonno e che questi le trattasse come nipotine lo sanno solo loro... forse, per nascondere agli altri il fatto di essere delle vecchie bacucche. Magari prima o poi ci inventerò sopra qualcosina, veh
***Angolo
del perché e del
percome (che nessuno voleva)***
Piccola
curiosità: il nome
Felicia (da Felix, cui viene anche il nome Feliciano) come ho detto
nella nota sopra ha una radice latina.
Lavinia
invece - e il suo
corrispettivo maschile Lavino, che si può confondere
facilmente con
Lovino - è Etrusco, e stà a significare sia la
parola "purezza",
sia "oriunda di Lavinia (un'antica città Laziale)",
cioé
cittadina figlia di stranieri. Che è un pò come
si sente il Lovino
del fandom, straniero in casa sua. Inoltre la sua
personalità viene
spesso descritta come "La sua fiamma brilla ma la luce che
irradia è tremolante e fioca. Un nulla può
spegnere il suo
fuocherello ma lei lo attizzerà di nuovo. La perseveranza,
se non la
forza, l'energia, il vigore, sono dalla sua. Timida, introversa,
Lavinia manca di fiducia in sé al punto che non si
esprimerebbe mai.
Così dovrà fare un grosso sforzo per lasciar
parlare la sua
intelligenza, il suo cuore, il suo intuito... " che, col
personaggio di sud Italia, ci stà parecchio. Sempre
all'ombra del
fratello, tanto che nemmeno viene mai chiamato Italia, come sarebbe
giusto che fosse.
Il fatto
che i due/le due
abbiano il nome scambiato (sud Italia con un nome etrusco, nord
Italia con un nome Latino) è parecchio curiosa...
Che il buon
vecchio Hidekaz lo
sapesse e abbia giocato con i nomi? ;9
E
così compare anche la
Nyotalia inglese... solo che qui non è una nazione.
Essì, è solo
una ragazzina inglese, pura e semplice. Coi suoi immancabili codini,
che sono adorabili : 3
Nel
prossimo capitolo la
presenterò meglio, sia lei che l'altro ospite-carceriere
nella
casa...
Ringrazio
Lady Monet che ha
messo la storia tra le seguite e ha recensito, e Kesese_93 che l'ha
invece messa tra el preferite.
E anche a
chi ha solo letto, o
anche solo aperto la pagina e poi l'ha richiusa schifata. Seeyaa!
|
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Capitolo 3 *** 3. Padrona in casa d'altri - 1° parte ***
3. Padrona in casa d'altri - 1° parte
3.
Padrona in casa d'altri
- 1° parte
Italia
giocava con uno degli
scones lasciatogli da Rose, assieme al resto dell'ennesima cena
solitaria, facendolo rimbalzare sul muro in fondo al letto. Alla fine
aveva trovato un buon uso per quei panini che nelle più
rosee
aspettative dovevano essere di accompagnamento al pasto, ma nella
più
nera delle realtà erano utili giusto a giocarci a
rimbalzino. Sempre
che non si fosse abbastanza schifignosi riguardo alla condizione
delle mani alla fine. Ormai una lieve patina di polvere grigiastra le
ricopriva le dita come un fastidioso guanto di lerciume.
Bé,
non era una sensazione del
tutto spiacevole. Le ricordava in qualche modo l'afa estiva, quando
nel pieno della spigatura la polvere della pula e la terra fine e
rossa si incollava alla pelle sudata sotto l'ombra dell'aia, oppure
quando imparava nelle botteghe degli artisti rinascimentali come
triturare i vari ingredienti per ottenere le tinture più
fini e
cremose fino a farsi sanguinare le dita dai calli per il troppo
utilizzo del pestello, con conseguente dolore quando le sostanze si
mescolavano al sangue e al siero delle vesciche. Si, non era affatto
una brutta sensazione, quella. Fosse stata a casa avrebbe tirato
volentieri fuori cavalletto e pennelli, e si sarebbe dedicata a
qualche piacevole ora di studio delle nuvole sul lago cristallino.
Chissà
come se la passavano le
sue piante... Sarà stato vero che il faccia da culo aveva
avvisato
il custode? L'immagine del biondo che tentava di farsi capire
dall'uomo, un burbero vecchietto che parlava solo in trentino stretto
le donava abbastanza ilarità - non per l'onesto contadino
che
probabilmente avrebbe preso a forconate Inghilterra, se solo avesse
intuito cosa le aveva fatto, ma per come doveva essere risultato
idiota il suddetto rappresentante della nazione anglosassone; davvero
un peccato esserselo persa.
Come al
solito, la fiammella
dentro la lampada ad olio tremolò appena, singhiozzando
prima di
spegnersi e lasciarla al buio. Se non dal pasto, poteva riconoscere
il razionamento in tempo di guerra dalla risibile quantità
di
combustibile che le lasciavano ogni sera i suoi due carcerieri.
Alla fine,
ci era riuscita.
Seppur la ritrosia della giovane inglesina era stata un pò
ostica da
superare, era riuscita a far breccia nello scudo difensivo e a farsi
dire in che situazione era. Oltre a lei, nella casa c'era solamente
un'altra persona, un ragazzino di nome Jesse che faceva da spola tra
la casa e il mondo esterno. Che il ragazzetto fosse il fratello
dell'inglesina lo aveva compreso al primo momento che l'aveva visto,
senza che lei glie lo dicesse. Capelli color sabbia e occhi celesti,
avevano in comune la forma degli zigomi, il modo in cui aggrottavano
le sopracciglia se in dubbio, la tonalità della pelle e
delle
lentiggini. Le loro braccia, con le dovute proporzioni riduardo
all'altezza e al sesso, erano pressoché identiche dal gomito
in giù,
e anche la camminata li accomunava, in un qualche modo. Imberbe e
dalla voce ancora indecisa tra il tono infantile e quello
più
profondo di un uomo adulto, era di circa tre anni più
piccolo di sua
sorella e come lei ne dimostrava veramente meno di quanti ne avesse,
nonostante fosse più alto dell'inglesina, e per poco non
raggiungesse anche lei. Distrattamente si chiese se anche i suoi
ragazzini, i suoi quindicenni fossero costretti a indossare le divise
militari... che domanda stupida. Certo che lo erano, praticamente
vestivano da soldatini dal momento in cui abbandonavano le tunichette
infantili per i primi calzoncini*.
Nelle poche
parole strappate
dalle labbra sottili di Rose dette in un inglese misto a italiano
stentato, aveva saputo anche che la casa era di proprietà di
Inghilterra e si trovava nella campagna inglese, a circa venti miglia
da Londra, che nessuno oltre a loro e a pochissime altre persone al
governo sapevano della sua permanenza lì, e che erano stati
scelti
lei e il fratello a questo compito in onore del padre, ufficiale
durante la Grande Guerra divenuto disabile per le ferite riportate, e
perché nei loro studi vi era anche un pò di
conoscenza di italiano,
essendo stato il loro nonno un ambasciatore che aveva passato alla
sua discendenza l'amore per gli altri paesi. In questo argomento era
ancor più chiusa che per il resto, e già per
avere risposta
bisognava tirarle fuori le parole con una pinza. Eppure, aveva
d'altra parte la sensazione che i due ragazzini smaniassero per
parlarle... Ogni volta che le portavano il pasto o l'acqua pulita,
sia l'infermiera che entrava, sia il guardiano che restava oltre la
porta a controllare dallo spioncino la fissavano con occhi ardenti,
famelici. La studiavano, come dei ricercatori incerti sui risultati
che riuscivano a raccogliere dalle loro modeste scoperte. A volte si
sentiva un pò un animale in gabbia, e l'idea che i suoi
sequestratori fossero solo due fanciullini le faceva ribollire il
sangue nelle vene, come una lupa che si vede tenuta ferma all'angolo
da un paio di agnelli. Era palesemente una presa in giro, non poteva
essere così facile. DOVEVA esserci l'inghippo, da qualche
parte...
Per
l'ultima volta lo scone
rimbalzò sulla parete, per poi essere riafferrato al volo
con gesto
automatico. La polvere di carbone le cadde leggermente addosso,
rilasciando l'odore di bruciato che si mescolò a quello
della muffa
e dell'umidità. E già sentiva la sua mente
ripartire in un nuovo
turbine di pensieri e ricordi, nessuno dei quali meritevole di essere
considerato più di un secondo in quella notte solitaria. Con
fare
assorto strisciò il dolce lungo il polso lasciato scoperto
dalla
manica arrotolata, e seppure nel buio le parve di vedere la striscia
nera che si stagliava sulla pelle pallida e venata di azzurro
dell'avambraccio.
Massì,
in fondo perché non
provarci? Le era sempre stato di grande aiuto per distendere i nervi,
fino ad allora. Nulla di diverso da quel che aveva fatto nei secoli
passati, quando era particolarmente stressata, stanca o solo triste.
Il buio, la difficoltà e la mancanza di materiale adatto
rendevano
solo la sfida più divertente. Chissà cosa ne
sarebbe uscito fuori
al mattino dopo? Sorrise lievemente, mentre si tirava a sedere.
Scivolando sul pagliericcio raccolse dal cestino un nuovo scone,
tastandoli tutti con attenzione come a cercare quello più
secco e
bruciato. Soddisfatta della ricerca, ne posò un lato in
bilico sulla
parete di fianco a lei, come un gessetto. E chiuse gli occhi,
lasciando che la mano cominciasse a muoversi lentamente, da sola...
"Jesse,
came to see! run!"
Richiamò
la ragazza,
visibilmente eccitata come una bambina piccola. Appena entrata con la
brocca dell'acqua pulita si era immobilizzata, perplessa. E quando
finalmente aveva capito cosa era diverso quella mattina nella vecchia
cantina muffita, aveva emesso una sorta di urlo al contrario,
aspirando l'aria di colpo e facendo cadere il vaso che
rovesciò
sull'impiantitò di legno tutto il suo contenuto,
fortunatamente
senza rompersi. Per una volta completamente dimentica del suo aplomb,
corse a sederlesi accanto, ancora accovacciata a terra mentre stava
dando gli ultimi ritocchi ad un gruppo di fanciulle che, al centro di
una radura, danzavano leggiadre. Si... era piuttosto soddisfatta del
risultato, ora che finalmente riusciva a vederlo anche lei. Certo,
avesse avuto gessetti, carboncini e una superficie che non le si
sfaldava in polvere di calce sotto le dita magari sarebbe stato
più
preciso, ma nonostante tutto il disegno le era venuto armonico, ben
strutturato. I suoi vari maestri ne sarebbero stati... magari non
fieri, ma di certo non schifati, ecco.
L'eccitazione
che aveva preso la
maggiore arrivò diritta al fratellino, portandolo ad aprire
la
porta, e dopo alcuni istanti anche lui rimase imbambolato a fissare
il paesaggio disegnato che ricopriva quasi tutta la parete di fondo,
fin dove il braccio dell'italiana era riuscita ad arrivare. Senza
nemmeno preoccuparsi di riaccostare l'uscio si avvicinò alla
loro
posizione, gli occhi che si spalancavano sempre di più
mentre nella
penombra della stanza cominciava ad avvertire i segni più
fini e
sfumati del carbone sulla parete, e non solo quelli principali e le
campiture. Sembravano entrambi stregati, due bimbi persi dietro un
mondo di favola...
Italia
sospirò. Agli occhi del
mondo esterno, agli occhi di Inghilterra sembrava davvero
così
debole da poter essere controllata solo da due piccoli cuccioli
capaci di essere fregati con così poco? Davvero la
sottovalutava
tanto?
Per un
breve, laido istante si
immaginò la faccia dell'altra nazione quando, tornando a
controllare
la sua prigioniera, avesse trovato la casa vuota. Con solo la macabra
decorazione di due ragazzini morti, appesi per le interiora al
soffitto della cantina a dargli il bentornato. L'idea le diede un
esasperante brivido lungo tutta la colonna vertebrale, facendola
appena tremare. Ma non capì - o non volle capire - se era un
brivido
dato dal disgusto... o dall'eccitazione. Deglutì appena, e
con la
coda dell'occhio controllò i due accanto a lei. Sembrava non
si
fossero accorti di nessun cambiamento nel suo volto, troppo presi a
seguire le linee morbide dello studio paesaggistico che si stendeva
sulla parete nella prigione. Jesse soprattutto, sembrava incantato ad
osservare l'anatomia di un cavallo al galoppo in primo piano...
...quanto
le sarebbe stato
facile allungare la mano fino a stringerla attorno al suo esile
collo. Pochi secondi, e avrebbe avvertito le vertebre uscire dalla
loro sede, il midollo spinale contorcersi dentro di esse fino a
spappolarsi, la carotide perdere velocemente il proprio battito...
Pochi secondi, e di un ragazzino vivace e dal sorriso allegro sarebbe
rimasto un burattino spezzato, inerme tra le sue dita.
"lo avete
disegnato
stanotte, signora? al buio?"
La voce
ancora troppo infantile
di Jesse la riprese dal suo apparente vuoto, e si trovò a
sorridergli gentilmente, il capo inclinato sulla spalla destra.
"yes... non è
difficile
quanto possa sembrare. Dopo secoli di pratica, non ho bisogno degli
occhi per sapere cosa stò disegnando. Nella mente mi
immagino la
forma d'insieme, e le mie mani seguono le linee che voglio. Potrei
farne a migliaia di questi schizzi preparatori.. se avessi abbastanza
pareti. E abbastanza scones" Si trovò a
ridacchiare, alzando
uno degli ultimi panini bruciati con un lato mezzo consumato.
No,
Felicia. Non è con questi
due pulcini che puoi prendertela. Non saranno loro a subire la tua
rabbia nei confronti di Inghilterra, dei suoi alleati, dei TUOI
alleati, della guerra stessa... Sono solo due vittime innocenti. Non
renderli ancora più vittime di quanto già non
siano.
Ecco
l'inghippo, il bastardo non
l'aveva sottovalutata. Semplicemente la conosceva meglio di quanto
dovesse. Se le avesse messo alle calcagna uno stuolo di soldati
adulti, non si sarebbe fatta alcuna remora a ucciderli, o quantomeno
a provarci. Ma contro due bambini, cosa mai avrebbe potuto fare?
Sospirò
appena, nascondendo i
suoi pensieri dietro un sorriso malinconico. Si perse così
il lungo
adocchiarsi che i due fratelli di stavano lanciando, in tensione.
Alla fine, fù Rose a rompere il silenzio, schiarendosi la
voce
"nostro bisnonno...
è stato in Italia, un sacco di tempo fà.
Una volta il nonno ci disse di quando questi vi aveva vista ad una
rappresentazione del Nabucco alla Scala..."
La ragazza
guardò il fratello,
poi di nuovo la donna, che ora l'osservava in attesa della
continuazione. Non capiva, dove voleva andare a parare?
"Il
bisnonno raccontava che
non si sarebbe mai dimenticato quel giorno. Ricordava perfettamente
tutti i particolari di quella giornata, il cielo tinto di rosso
dietro il castello, le migliaia di candele che facevano brillare il
foyer come se fosse pieno giorno. Ma soprattutto, nonno disse di
quanto suo padre si fosse sprecato, lui che nemmeno si ricordava il
giorno del proprio matrimonio, a descrivere la presenza di una
giovane donna assieme ai reali austriaci, il suo volto, il suo
vestito, il suo sorriso. Era... eravate voi, vero signora?"
Italia
abbassò le palpebre,
pensierosa. Il Nabucco, il Nabucco... A giudicare dal racconto,
poteva essere stato circa un secolo fà. Altro che una
rappresentazione, allora... Era stata LA rappresentazione. La prima
assoluta del Nabucco. Si, ricordava bene quei giorni, era
completamente infoiata nell'ideologia patriottica del giovane
Mazzini, e non vedeva l'ora di ficcare una baionetta su per lo
sfintere anale del suo autoproclamatosi patrigno Austria. Cielo
quanto gli era piaciuto, sei anni dopo, farlo realmente all'ombra
dello stesso teatro**. Una soddisfazione immensa, ancora oggi a
pensarci sentiva il sorriso spuntarle istintivamente sulle labbra in
maniera tronfia e gongolante.
Ehm. dove
si era persa? La donna
cercò di recuperare il filo del discorso di Rose, che nel
frattempo
incitata dal fratello sempre pronto con lievissimi mugugni ad
aggiungere particolari, stava continuando il suo racconto.
"... una
dea. Una dea
vestita di bianco, coi fiori rossi tra i capelli acconciati, a cui
confronto le altre donne sembravano svanire. Nonno diceva anche che
sua madre non ne era gelosa, dato che si era innamorata di voi ancor
più del marito... alla fine della serata, era stata ore ed
ore a
parlare di voi, a quanto le piaceva l'Italia e quanto volesse
rimanerci a vivere per sempre. vero, Jesse?"
Oibò,
effettivamente aveva
sempre fatto colpo sulle donne. Non aveva ancora compreso bene il
motivo nonostante i secoli, ma sembrava che le femmine mortali
venissero stregate dalla sua presenza ancor più delle loro
controparti maschili. Non che le dispiacesse, anzi. Casanova
confronto a lei era un poppante timido e pieno di problemi a
socializzare con l'altro sesso...
"si, ero
sicuramente io
quel giorno, alla prima del Nabuccodonosor. Ricordo della Scala, ma
purtroppo non rammento dei vostri antenati, mi spiace... in tutti
questi secoli ho visto così tanti volti che se me li
ricordassi
tutti impazzirei, temo. Ma come mai mi avete parlato di questo
episodio?"
Di nuovo la
ragazzina si morse
le labbra, ma stavolta, prima che potesse riprendere a parlare, fu la
voce rauca di Jesse a squarciare il silenzio.
"noi... abbiamo sempre
voluto vedervi. Fin da piccoli, quando il nonno ci raccontava delle
storie di suo padre, e anche dopo, studiando di voi sui libri di
storia... l'Italia ci ha sempre affascinato. però..."
lo vide
abbassare lo sguardo, arrossendo "però
con la guerra non
avevamo più la possibilità di vedervi. E coi
bombardamenti...
possiamo morire, signora. Potevamo morire senza avervi mai visto.
Ecco."
Il
ragazzino non trattenne un
singhiozzo. La sorella accanto a lui abbassò lo sguardo, e
gli prese
una mano stringendola tra le sue "I
nostri genitori sono morti
col bombardamento. Nostra nonna è vecchia, non
può badare a noi.
Per continuare a vivere abbiamo dovuto presentarci all'esercito, ma
per via della sua età lo hanno preso solo come portaordini.
Io sono
un'ausiliaria, ma non sò nulla di medicina e di ferite di
guerra"
Rose sollevò lo sguardo, incontrando gli occhi
dell'italiana. Era la
prima volta che non rifuggiva il contatto visivo diretto. "Se
non fossimo stati scelti come vostri guardiani, saremmo partiti per
il fronte di Tripoli a gennaio." Di nuovo una pausa, nel
completo silenzio della nazione. Un respiro pesante stringendo
più
forte la mano del fratello, prima di riprendere a parlare "Se
non fosse per voi, ora probabilmente saremmo divisi. Forse morti.
Siete il nemico, avete ucciso i nostri genitori, i nostri amici.
Avete distrutto la nostra casa. Dovremmo odiarvi con tutta la nostra
forza. Ma se non fosse per voi, saremmo molto probabilmente morti.
Forse è stupido da dire, ma per noi voi siete la dea che ha
visto il
bisnonno alla Scala. Forse siete davvero la strega della morte come
ci hanno insegnato a scuola e nell'esercito, l'ottusa e crudele
compagna del mostro nazista, ma... " la ragazzina
strizzò gli
occhi, ormai colmi di lacrime, e li portò al disegno sul
muro, senza
riuscire a vederlo dietro la patina umida "... ma chi riesce a
fare una cosa simile solo immaginandoselo, al buio completo, non
riesco a crederlo veramente cattivo. Chi sogna scene tanto belle non
può avere un cuore nero. Vi prego... non potete fermare
questa
guerra? Ha già fatto tante vittime, tante..."
Italia non
riuscì più ad
ascoltare. Tenne le labbra tirate per nascondere il fremito di
sofferenza, e allungò le mani verso i volti dei due
ragazzini per
attirarli a sé, le dita ancora sporche di fuliggine a
lasciare segni
neri sui colli e sulle nuche. Con estrema delicatezza li
portò al
petto, abbracciandoli entrambi, e mentre questi cominciavano a
singhiozzare rumorosamente, chinò il capo in segno di
contrizione.
"mi spiace.
Non immaginate
quanto mi dispiaccia per voi, per i miei figli, e quelli di qualunque
altra nazione. Se potessi interromperei questo massacro anche ora, a
qualunque costo. Ma la guerra è qualcosa di grande, di
immenso...
troppo grande per chiunque, anche per una nazione come me. Immensa e
spaventosa. L'ho vista così tante volte, così
tante volte... eppure
ogni volta è sempre peggio, sempre più orribile.
E colpisce sempre
più profondamente..."
Sospirò,
ormai la sua voce
scomparsa completamente sotto al pianto a dirotto dei due ragazzi.
Come un fiume in piena, sembrava che i due non attendessero altro che
una piccola spinta per far straripare gli argini e sfogarsi, per
tutto il dolore accumulatosi, per la sofferenza e la paura. Il fatto
che la nazione avesse un aspetto mite e materno accentuava
semplicemente la sensazione di dolorosa mancanza che i due, da poco
orfani provavano tra le sue braccia. Rimasero così
accucciati a
terra per parecchio tempo, tanto che non si sentiva quasi
più le
gambe. Ma non aveva il coraggio di muoversi, nemmeno quando le
lacrime ebbero lasciato il posto ai singhiozzi via via sempre
più
flebili, ancora tenendo stretta i due fratelli a sé. Non che
questi
sembrassero aver intenzione di lasciarla, piuttosto si erano
accomodati meglio per abbracciarla a diverse altezze.
Per un
attimo arrivò
addirittura a pensare che si fossero addormentati entrambi in quella
posizione, quando i loro respiri si fecero più regolari e
tranquilli... ma dovette ricredersi, allo scatto improvviso che Rose
fece raddrizzando la schiena ed allontanandosi da lei.
“oh
my God... sono desolata,
desolata! Non volevo... non volevamo... Jesse, tirati su
subito!”
Esclamò, strattonando il fratello per fargli lasciare il suo
posto
nel grembo della nazione. Nazione che si trovò a sorridere
per
quello scatto di pudore adolescenziale, e soprattutto perché
la
ragazza aveva il naso, occhi e guance rossi fiammanti, che spiccavano
sul suo volto pallido come un pomodoro su una tovaglia bianca.
“non
preoccuparti, non c'è
nulla di male nello sfogarsi un pò. Piangere fà
bene, a volte. Io
piango spesso e volentieri, sai? Per questo motivo ho una pelle
fresca e rilassata come una nazione di appena un secolo”
celiò,
ammiccando come a darsi delle arie. Gesto che servì
all'uopo, dato
che seppur Rose tentasse disperatamente di mantenere un'aria contrita
e vergognosa, sentiva piegarsi le labbra in un ghigno sgembo.
“davvero,
và tutto bene. Non
c'è motivo di vergognarsi...” Riprese
la donna, e con la manica
dell'abito asciugò una grossa lacrima sotto l'occhio
dell'inglese.
Un gesto che parve calmarla, ma la fece anche starnutire; aveva
polvere di carbone e muffa praticamente ovunque, e sebbene le maniche
fossero state arrotolate fino a pochi istanti prima ne erano
così
impregnate da lasciarle una striscia di sporco sul volto. Cosa
avrebbe dato per un bagno decente, erano cinque giorni o forse
più
che non si cambiava. Doveva essere ridotta in uno stato pietoso.
Poco dopo
lasciò che anche il
ragazzino si raddrizzasse strofinandosi gli occhi gonfi, decisamente
di malavoglia. A guardarlo sembrava un cuccioletto svegliato di colpo
nel pieno della sua pennichella... non fosse, per l'appunto, con gli
occhi gonfi di pianto. Si, decisamente Inghilterra era stato un gran
bastardo a metterle addosso due bambini come carcerieri.
Anche se...
Solo in quel momento
le venne in mente che, nonostante tutto, poteva pur sempre uscire da
lì... se non dalla casa, almeno dalla cantina. L'idea le si
delineò
nella mente, retta e limpida come una lancia di ghiaccio. E non ci
avrebbero rimesso nemmeno i due ragazzini, non molto, almeno sperava.
“Jesse...
c'è la porta
aperta” Mormorò semplicemente, ancora
in ginocchio a terra, le
mani piegate in grembo e un sorriso sornione sulle labbra, mentre
lanciava occhiate eloquenti verso l'uscio rimasto spalancato.
Il ragazzo
ci impiegò alcuni
istanti a comprendere la frase rivoltagli, ma quando ci
riuscì
sbiancò completamente, e così anche sua sorella.
La quale si
affrettò subito a rialzarsi e a correre verso l'ingresso,
scivolando
sull'acqua rovesciata e rischiando di rompersi l'osso del collo nel
tragitto.
“Tranquilli,
se avessi voluto
uscire lo avrei fatto tranquillamente già da parecchio
tempo. Non ho
alcuna intenzione di approfittare di un vostro momento di
debolezza... Non sono meschina come Inghilterra, io”
Aggiunse a
bassa voce, in dialetto. Questo era meglio che i due anglosassoni non
lo capissero.
“Ciò
non toglie il fatto che
vorrei uscire di qui. Questo posto è decisamente squallido,
voglio
cambiarmi e voglio fare un bagno, voglio muovermi un pochetto... e
soprattutto per carità di Dio basta pappa d'avena. Per
cui..." lo
stato sorrise ambigua, e guardando entrambi sollevò l'indice
“...che
ne dite di una piccola
scommessa?”
* Piccoli
balilla crescono...
purtroppo.
** La prima
rappresentazione del
Nabucco avvenne nel 1942, e con facilità gli italiani
oppressi
dall'impero austriaco si immedesimarono nelle traversìe del
popolo
ebraico facendole proprie. Sei anni dopo, nel marzo del 1848, vi
furono come summa di parecchie repressioni austriache le cinque
giornate di Milano. Dove gli austriaci vennero finalmente scacciati
dalla città... salvo poi tornare nemmeno cinque mesi dopo.
Sigh.
***Angolo
del perché e del
percome (che nessuno voleva)***
Ed ecco che
compare anche il
secondo carceriere, Jesse. Piccolo e morbidoso, in quell'arco di
età conosciuta come adolescenza, quando non si sà
se si è carne o
pesce. E qualunque cosa si faccia, la si fà mettendoci
esageratamente troppa passione (si vede che io l'adolescenza l'ho
passata da un bel pezzo, se qualcuno al tempo mi avesse descritto
così mi sarei oltraggiata oltre ogni dire). Personaggio
completamente inventato e ovviamente umano come la sorella, anche se,
mentre lo muovevo me lo sono immaginato un pò come Lutuania.
Affettuoso, amichevole, dall'aria pacioccosa. Uno che si lascia
influenzare troppo facilmente dalle persone col carattere forte
attorno a lui, ma quando è il momento giusto sà
trovare il
coraggio, anche se non sà nemmeno lui da dove. Tra lui e
Rose, non
sò quali dei due sfiora più il punto estremo
della fuffolosità nel
mio bacato cervello.
Veniamo
al capitolo: forse il titolo risulta incomprensibile, ma è
dovuto al
fatto che all'inizio era un unicum con il seguente... solo che poi mi
sarebbe venuto qualcosa come 18 fogli di word, che sono anche
tantini. Ergo, è finito splittato, ma ha mantenuto il titolo
originario. Il motivo, lo scoprirete alla prossima puntata...
Sempre
sul capitolo, è venuto piuttosto serio e malinconico.
Inoltre Italia
ha pensieri che non sono poi così tanto dolci e pacioccosi
come ci
si aspetterebbe... Ma in fondo è la rappresentazione vivente
di una
nazione... e questo significa che nella sua esistenza, per
sopravvivere, ha fatto delle bastardate allucinanti col sorriso sulle
labbra. Ubi maior minor cessat, si dice. Per il bene maggiore, il
piccolo viene prevalicato e perde qualsiasi importanza.
Angolo
curiosità. Ci tenevo particolarmente a descrivere una Italia
artista... anche perché tutta la fiction è nata
su quest'immagine.
Tanto per cazzeggiare avevo fatto uno scarabocchio, e mentre il
disegno si formava sulla carta, mi è venuto da pensare
perché
stesse disegnando su un muro... e voilà! La storia
è servita,
signori. Il fatto che vada a parare da tutt'altra parte è
una
semplice conseguenza della mia poca coerenza, però. Ed ecco
l'immagine colpevole di questo obrobrio!
Al
solito, ringrazio LadyMonet che ha recensito, chi ha messo la storia
tra le preferite e le seguite, e anche chi ha solo letto : )
Seeyaa!
|
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Capitolo 4 *** 4. Padrona in casa d'altri - 2° parte ***
4. Padrona in casa
d'altri
– 2° parte
Entrambi i ragazzi, sia
Rose che stava ancora arrancando per alzarsi dallo scivolone, sia
Jesse che l'aveva superata e si apprestava a correre verso la porta
della cantina, si bloccarono sul posto, e alla proposta di Italia la
fissarono stralunati. Incapaci di spiccicare parola, boccheggiavano
entrambi come dei pesci dentro la palla, gli occhi ancora rossi e
gonfi del pianto precedente.
“Come on, una piccola
scommessa. Nulla di pericoloso o preoccupante per voi, dico sul
serio. Non avrete nulla da perderci, scommettendo...”
Non sembravano ancora del
tutto convinti. Gli occhi chiari dell'inglesina saettavano dal suo
volto sorridente a quello preoccupato del fratello, per poi fare la
strada inversa in un battito di ciglia e ricominciare il giro. Le
sarebbe venuto un gran mal di testa, se avesse continuato ancora.
“Che
tipo di
scommessa?” domandò infine, tirando
su col naso il resto del
moccio ancora presente.
“Oh,
come ho detto
nulla di preoccupante. Come avete visto, sebbene ci fosse la porta
aperta non sono scappata. Quindi, potete fidarvi di me, almeno per
questo” Italia lanciò una lunga
occhiata ai due inglesi, prima di
alzarsi in piedi e spolverarsi l'abito ormai ridotto in maniera
orribile “Quello
che voglio scommettere è la libertà... limitata
a questa casa, ma pur sempre libertà. Insomma... se riesco
ad uscire
da sola da questa stanza, voglio il diritto di girare per casa e nel
giardino liberamente. Leggere, camminare, farmi un bagno. Prometto
che non farò un singolo passo al di fuori del giardino di
questa
casa. Non fino a quando ci saremo solamente noi tre qui.
Così, anche
se tentassi di scappare quando c'è Inghilterra o chi per
lui, la
colpa sarebbe sua e non vostra, essendo lui decisamente in grado di
fermarmi più di quanto non possiate mai esserlo
voi”
Lasciò che le sua
proposta facesse il debito effetto, mentre andava a sedersi sul
pagliericcio, accavallando le gambe con fare tranquillo. E
incrociando le mani attorno al ginocchio sollevato, restò in
attesa
che i due, ora avvicinatisi tra loro, confabulassero abbastanza da
prendere una decisione.
“Perché dovremmo
accettare? Se voi scappaste noi saremmo nei guai, grossi guai. A noi
conviene che voi rimaniate qui dentro. Chiusa nella prigione.”
“Io posso scappare
tranquillamente da qui dentro, a prescindere dalla scommessa o meno.
Ma se lo facessi, non avrei alcun obbligo nei vostri confronti e voi
non avreste alcun indizio su dove io sia andata. Quindi sareste
davvero in grossi guai. Se invece accettate questo gioco, io ottengo
meno di quanto potrei, ma voi sareste in qualche modo tutelati.
L'importante è che non sfugga alla vostra supervisione,
vero? Non ha
alcuna importanza se questa sia qui dentro o in qualunque altra
stanza della casa...”
Si sentiva un filo
bastarda a giocare con la buona coscienza di due ragazzini, ma non
stava mentendo, se non altro. Non aveva intenzione di scappare da
quella casa... non ancora. Chissà, forse poteva addirittura
guadagnarci da quella brutta storia...
“Potete
davvero
scappare da qui dentro?” Domandò con
voce rauca Jesse, cercando
nonostante l'altezza maggiore di nascondersi dietro la più
esile
sorella. Al suo annuire, pare farsi ancora più piccolo e
preoccupato. Strinse la manica del vestito di Rose, e le
sussurrò
all'orecchio qualcosa di intelleggibile. La maggiore stette un poco a
pensare, poi guardò l'uscio ancora aperto alle loro spalle.
Altri
secondi di silenzio, prima di annuire, e tornare a guardare la
nazione seduta sul letto.
“All
right. Accettiamo
la scommessa... ma le condizioni le dettiamo noi. Non dovrete usare
nessuno strumento per abbattere la porta, né per danneggiare
il
muro. Noi due” e col pollice indicò
prima sé stessa, poi il
fratello dietro di lei “siamo
intoccabili. Nessuna minaccia,
nessuna moina, niente di niente. E la porta avrà tutte le
serrature
e i catenacci chiusi come al solito, niente di diverso dagli altri
giorni. Got it?”
Italia finse di pensarci
un po', poi annuì col capo. Non le aveva detto nulla che non
si
aspettasse, e del resto, avendo lei stessa proposto la scommessa era
pronta ad affrontarla tranquillamente. Qualsiasi limitazione
potessero mettere i due ragazzini.
“Accetto
ogni
imposizione. Chiedo solo di poter ovviamente toccare la porta, e di
poter usare le mie mani” e nel dirlo le
alzò entrambe, ancora
sporche di polvere e carbone “mi
sembra ragionevole, no? Se ci
riesco entro dieci minuti avrò la mia parziale
libertà. Altrimenti,
avrete vinto voi. Potete chiedermi tutto quel che volete, nel limite
delle mie possibilità. Non posso promettervi la fine
immediata della
guerra... ma avreste un credito verso una nazione. E posso
assicurarvi che significa parecchio, a livello di mero potere. Due,
tre ville nella mia terra? Posso farlo. Soldi facili? Anche quello,
una passeggiata. Me stessa?” aggiunse, con un
lieve sorriso
mellifluo. Erano due ragazzini, si. Ma non così tanto da non
comprendere cosa potesse implicare una simile offerta, e la carne
è
debole. Li vide entrambi tremare appena e deglutire “Perché
no...
Devo aggiungere altro sul piatto, o vi sembra sufficiente?”
Avrebbe potuto aggiungere
il mondo intero. Tanto, da brava e vecchia bastarda sapeva
già che
non avrebbe dovuto pagare alcuno scotto. Qualche millennio di
esperienza alle spalle facevano comodo, in certi casi. E doveva
ringraziare per questo solamente quell'imbecille di Inghilterra, che
le aveva reso possibile il tutto.
“Come facciamo a sapere
che non mentirai o ritratterai tutto dopo?”
“Temo,
miei piccoli
cuccioli, che dovrete fidarvi della mia parola. Non è tanto,
lo
immagino. Ma è tutta l'assicurazione che posso
darvi” Sospirò
teatralmente Italia, inclinando il capo verso la spalla. Le mani
tornarono a incrociarsi attorno al ginocchio, che lasciava dondolare
il piede con calma
“ah, e se vi state
chiedendo perché non sono scappata nei giorni precedenti se
davvero
avrei potuto farlo... è perché non volevo. A
volte, bisogna
studiare bene la situazione, prima di agire...”
Si, era esattamente
quello a cui stava pensando Rose. Nonostante la normale compostezza
anglosassone, stava cominciando a comprendere le espressioni dei due
come un libro aperto... anzi, erano quasi più facili da
capire di un
italiano. Così poco abituati a dimostrare i propri stati
d'animo,
quando li si prendeva in contropiede non sapevano assolutamente
mitigare i loro pensieri, che fluivano fuori come un fiume.
Adorabili, entrambi...
Questa l'avrebbe fatta
pagare parecchio al faccia da culo. Come aveva osato metterle accanto
due creaturine tanto coccolose?
“Mi
sa di scommessa
molto pilotata. Ma ho come l'impressione che possiamo farci poco...
Essia” Rose si raddrizzò in tutta la
sua – ininfluente –
statura, e annuì col capo. Fece un gesto al fratello che
silenzioso
come un cagnolino la seguì fuori dalla stanza, mentre ancora
lanciava occhiate preoccupate verso la donna che rimaneva dentro. Una
volta chiusasi la porta alle loro spalle, li sentì
confabulare
concitatamente un'ennesima volta, poi dopo parecchi minuti
avvertì
il suono di qualcosa che veniva trascinato sul pavimento, qualcosa di
pesante e voluminoso. Oh, probabilmente un mobile... una cassapanca?
Un tavolo davanti alla porta? Nice try, cuccioli... ma fatica
inutile.
Italia si alzò
finalmente dal letto, e stiracchiandosi ogni singolo muscolo della
schiena si avvicinò a sua volta all'ingresso della
cantina-prigione.
Ora che la luce fioca dalla finestrella aumentava, riusciva a
cogliere ogni singolo buco di tarlo sulle tavole di legno... Troppo
resistenti, nonostante tutto, per uno sfondamento diretto. Ma non era
questo ciò a cui mirava. Lo sguardo scorse alla sua
sinistra, dove
serafici ed ammiccanti, facevano bella mostra di sé i
cardini.
Già... il Genio
Incontrastato del Male (si meritava le maiuscole) l'aveva chiusa in
una stanza con i cardini ALL'INTERNO della stessa. Cardini vecchi, di
tipo semplice che in fondo quella era solo una cantina... nessun
fermo, nessuna protezione. Solo due grossi perni a far funzionare la
cerniera su cui ruotava la porta.
La donna restò alcuni
istanti in silenzio, avvertendo al di là dell'uscio la
tensione dei
due ragazzini. Il sorriso le comparve sulle labbra, mentre
canticchiando un motivetto allegro tastava la resistenza data dalla
ruggine sul metallo. La bloccava un po', ma nulla di preoccupante.
Senza nemmeno perdere tempo a proteggersi le nocche con della
stoffa, tirò un diretto sinistro a pochi centimetri di
distanza
dalla cerniera, poi un altro, e un altro ancora mentre vedeva la
polvere rugginosa staccarsi a pezzi dal meccanismo, ad ogni colpo
inferto sul legno tarlato e annerito.
E voilà! Con quelle
botte, il perno si era alzato da solo dalla sua sede, e lei ci mise
veramente poco a sfilare, pinzandolo tra indice e pollice della mano
destra, il pezzo di metallo. Stessa operazione fece con quello
inferiore... ci mise solo qualche istante e un paio di ganci di
più,
per via della maggior quantità di ruggine e sporco
accumulatosi. E
la parte difficile era fatta... figuriamoci il resto. Infilando le
dita nella cerniera tirò a sé la porta
sollevandola leggermente da
terra, mentre i blocchi che la tenevano ancora chiusa e in piedi
cigolavano sinistramente nelle loro sedi, non creati per piegarsi a
quel modo. Quando spalancò l'ingresso della cantina,
sorridente
oltre il tavolo messo di traverso, si trovò davanti i due
ragazzini
che si stringevano l'uno all'altra, con espressione tra lo
stupefatto e lo sconvolto.
“Bene...
penso di
averci impiegato ancor meno di dieci minuti. E usando solo le mie
mani...” aggiunse, sollevando la sinistra che
sanguinava
copiosamente all'altezza delle nocche pesantemente scorticate, quasi
fino all'osso “Ergo,
posso tranquillamente definirmi vincitrice
della scommessa, no?”
Lo sguardo dei due
ragazzini, già spaventato di loro, divenne terrorizzato a
osservare
il sangue colarle in abbondanza lungo l'avanbraccio a inzupparle la
manica. Italia accorgendosene guardò a sua volta la ferita,
e
facendo spallucce vi passò la lingua, leccandosi le tracce
rosso
cupo miste a polvere e schegge di legno “ah, non è
nulla di che.
Tra poco si sarà chiusa senza lasciare tracce... anche se fa
decisamente schifo. Riesco a sentire il saporaccio degli scones
persino dalla loro cenere residua. Bleah”
Sbuffò sventolando la
mano per aria come a voler scacciare una mosca, e sollevando il
pesante tavolo come se fosse un semplice sgabello lo mise da parte,
per poter passare agevolmente. Gesto che finì a sconvolgere
del
tutto i nervi già troppo sollecitati dei due inglesini,
stendendoli
entrambi. Italia rimase quasi stupefatta nel vederli afflosciarsi sul
posto, con un gemito da palloncino sgonfio. Fece un salto in avanti
per afferrarli entrambi ed evitare che cadendo sbattessero da qualche
parte.
“...
Dunque, suppongo
che Inghilterra non vi abbia avvisato della forza fisica reale di noi
nazioni... Imperdonabile mancanza da parte sua, decisamente”
Si
schiarì la voce, con fare fintamente imbarazzato. Poi
lanciò
un'occhiata alla stanza ormai vuota alle sue spalle, e al corridoio
che si dirigeva verso il piano superiore e alla sua possibile e
completamente afferrabile libertà. Restò alcuni
secondi a pensarci,
poi sbuffando sollevò lo sguardo al cielo, e portando i due
ragazzini come sacchi sulle spalle, cominciò a muoversi.
Ormai il pomeriggio, a
giudicare dalla luce che arrivava di sbieco dalle alte finestre, era
molto avanzato. Il che, considerando la latitudine e il mese
equivaleva alle cinque di pomeriggio... quarto d'ora più,
quarto
d'ora meno. Rose sbattè le palpebre un paio di volte,
sentendosi la
testa stranamente pesante e umidiccia. Probabilmente aveva battuto
la testa negli scantinati, e stava perdendo sangue. Eppure, non era
affatto scomoda... Anzi, a parte la sensazione di bagnato non sentiva
alcun dolore, da nessuna parte. Non ci sarebbe dovuta essere nemmeno
tutta quella luce, ad essere sinceri. E il soffitto invece che essere
di mattoni scuriti dalla muffa, era chiaro e decorato da un basso
lampadario di cristalli. Molto strano.
Lentamente riuscì a
mettere a fuoco tutta la stanza, e finalmente si rese conto di essere
stesa sul sofà del salotto di rappresentanza della casa, un
cuscino
sotto la testa e le gambe rialzate sul bracciolo in legno imbottito,
senza le scarpe. Né sua nonna né il signor
Inghilterra avrebbero
approvato, suppose. Stendersi sul divano in quel modo sconveniente...
Voltò appena il capo alla sua sinistra, dove un movimento
aveva
colto il suo interesse con la coda dell'occhio. Suo fratello, ancora
con gli occhi chiusi, si trovava nella sua stessa posizione sul
divanetto gemello, e aveva una pesante pezza bagnata sulla fronte che
gocciolava lungo la tempia. Alzando la mano scoprì che anche
lei
aveva la stessa pezza, e così si spiegò
facilmente la sensazione di
bagnato. Ma chi diavolo lo aveva fatto?
Muovendosi accorta provò
a mettersi a sedere, gemendo piano tra i denti stretti. Sul tavolino
basso tra i due divani vi erano un paio di bicchieri colmi e una
brocca , di quella che si rivelò essere una limonata
estremamente
dolce. Bevve dei lunghi sorsi, riempendosi nuovamente il bicchiere:
aveva la gola riarsa, e il liquido scendeva lungo la gola che era un
piacere. Quando finalmente smise di avere le vertigini si
alzò in
piedi, e infilandosi le scarpe si inginocchiò accanto al
fratello,
controllando la sua situazione. Anche lui non aveva nessun bernoccolo
sotto la pezza rinfrescante, solo un graffio su una mano che era
già
stato pulito e medicato. Era ancora nel pieno della sua
perplessità
quando il rumore ovattato di un qualcosa di metallico posato
pesantemente sul pavimento la fece sussultare.
Lanciando un'ultima
occhiata preoccupata a Jesse lasciò il suo fianco, e preso
dal
caminetto l'attizzatoio per difesa si mosse lentamente fuori dalla
stanza, in direzione del rumore. Arrivò fino alla cucina, e
si
sporse appena per controllare, stringendo ossessivamente il manico
dell'attrezzo come a farsi coraggio in quel modo...
La scena che l'aspettava
la prese completamente alla sprovvista, e ci mese parecchi secondi
per ricordarsi del fatto che Italia, la nazione che dovevano tenere
segregata... aveva vinto la scommessa, ed era virtualmente libera.
Quindi, si trovò a sospirare la ragazzina, era stata lei a
portarli
al piano superiore, sistemarli sui divani e a preparar loro la
bevanda zuccherata? Perché, se avrebbe potuto semplicemente
approfittare del loro svenimento per scappare da lì?
“Te l'ho detto che non
sarei scappata. Ho pur sempre una reputazione da proteggere, da donna
d'onore. E poi non vi avrei lasciato per terra in quel
letamaio, non lo farei nemmeno col mio peggio... no, ritratto. Ad
uno dei miei tanti nemici penso che lo avrei seppellito nella
carbonaia...”
Sentire la voce della
donna, al momento di spalle e impegnata a gettar carbone nella grossa
caldaia di ghisa la spaventò così tanto da farle
cadere
l'attizzatoio dalle mani, provocando un secco rumore metallico quando
questi impattò al suolo. Subito si chinò per
raccoglierlo, lo
sguardo ancora verso la figura china della donna nella cucina.
“Come...
come avete
fatto a capire cosa stavo pensando? Sapete anche leggere la mia
mente?”
Italia sbuffò passandosi
una mano sporca sulla fronte sudata, e voltando il capo nella sua
direzione sorrise allegra “No,
my dear. Ma era talmente ovvio a
cosa stessi pensando che mi è venuto spontaneo rispondere
alle tue
domande non ancora esposte, non appena mi sono accorta della tua
presenza. Comunque” finì di gettare
il contenuto del secchio nella
fornace della caldaia, poi chiuse lo sportello “Come ti senti ora?
Sei ancora decisamente pallida, ti conviene sederti prima di rivenir
giù come una pigna. E Jesse, non si è ancora
ripreso? Vi ho
preparato qualcosa da mangiare, ormai si sarà raffreddata
abbastanza
per poter essere gustata.” Tirò su
appena col naso, poi dalla
vasca superiore alla caldaia controllò lo stato del suo
contenuto,
ummeggiando “spero
vi piaccia la panna cotta... è una sorta di
budino fatto con la panna e il latte. Di suo non ha un gran sapore
deciso, ma accompagnato con lo sciroppo o la confettura è
ottima. O
anche la cioccolata, ma non sono riuscita a trovare nella dispensa il
cacao per poterla preparare...”
Rose seguì il consiglio
datole, e trascinando i piedi si avvicinò alle sedie del
tavolo,
scostandone una per sederci con fare stanco e inelegante. Si, sua
nonna non avrebbe affatto approvato, ma al momento si sentiva troppo
scombussolata per occuparsi dell'etichetta propria di una signorina
dabbene. Appoggiò l'attizzatoio alla gamba del tavolo, e con
la mano
a reggere il mento, si mise ad osservare i movimenti della donna,
completamente a suo agio in quella cucina sconosciuta.
“Cosa
state facendo?”
Domandò all'improvviso, interrompendo il fiume di parole che
provenivano dalla più grande. Che le lanciò uno
sguardo allegro,
prima di andare a recuperare dei secchi.
“Sto
scaldando l'acqua
per farmi un bagno. Se non altro l'acqua corrente in casa sembra
esserci, ma chiedere anche quella calda direttamente nella stanza da
bagno è decisamente troppo... ah, i bei tempi delle terme
imperiali.
Rubinetti d'oro e acqua calda a cascate... E amena compagnia. Come mi
mancano... bé, che c'è?”
Italia inclinò appena il capo,
osservando incuriosita l'espressione di profondo imbarazzo che si era
dipinta sul volto della ragazzina. Una pelle così chiara
arrossiva
con una facilità disarmante.
“Un...
bagno? Volete
fare il...”
Italia non capiva: cosa
c'era di così imbarazzante nel volersi lavare? Si, sapeva
che gli
inglesi da quel punto di vista erano decisamente carenti – e
il
loro pudore era assurdo, tanto che durante l'epoca vittoriana pure i
tavoli vestivano, pur di non far vedere le loro gambe – ma
lei
aveva sempre trovato l'abitudine della pulizia personale se non
giornaliera, almeno molto frequente, ottima e salutare. Ricordandosi
di quando ancora tutta Europa era sotto il dominio romano, il disuso
delle terme e degli acquedotti era una delle (tante) cose che
rimpiangeva vivamente nella sua lontana gioventù.
“Si,
Rose. Sono sporca
e in disordine, i miei abiti sono ridotti anche peggio di me, e la
cosa mi disgusta immensamente. Per cui”
fissò la ragazza, sempre
sorridente, ma facendole capire con lo sguardo che a prescindere
dalla sua contrarietà sarebbe andata avanti senza patemi
d'animo “mi
riempirò la vasca con tutta l'acqua calda che ci entra senza
strabordare, ci sbatterò dentro tutti gli oli profumati e le
essenze
che riuscirò a trovare nella stanza, e mi farò un
lungo,
corroborante bagno. Ed ho scaldato abbastanza acqua anche per voi
due, se voleste approfittarne dopo che avrò finito. Ora, se
non ti
spiace” Italia sbuffò, e posizionato
un secchio sotto il rozzo
rubinetto della caldaia lo aprì, cominciando a raccogliere
l'acqua
fumante “vado
a mettere in pratica i miei propositi. La panna cotta
è nella ghiacciaia, coperta da un telo. Lo sciroppo
è nel
pentolino... sentiti libera di servirti, e magari sveglia anche tuo
fratello, che un ragazzetto giovane ed in salute come lui non
può
star svenuto così tanto per una sciocchezzuola del
genere...”
Finito di riempire il
secchio ne riempì un secondo, sempre nel silenzio sbalordito
di Rose
che la fissava come fosse un troll uscito da sotto il ponte per
andare ad un ricevimento mondano. Riempito anche questo li
sollevò
entrambi con estrema facilità, e canticchiando
passò accanto alla
ragazzina le ricordò di svegliare il fratello. Ci mise un
pochetto,
questa, a far ciò che le era stato detto. Il fatto di
sentirla
cantare a squarciagola nella stanza superiore l'aiutò a
riprendersi,
e sospirando l'inglese si alzò dal tavolo, per tirar
giù dal divano
il fratello e mangiarsi quella roba chiamata panna cotta...
“...Io
porto il tuo bacio a Firenze
nè mai, giammai potrò scordarmi
te.
Sei figlia d'emigrante,
per questo sei distante,
ma stà
sicura un giorno a'ccasa tornerai...”*
Ancora cantando, avvolta
da un telo bianco appiccicato al corpo e coi capelli gocciolanti e
malamente raccolti sulla nuca, Italia fece la sua ricomparsa nella
cucina, con un sorriso soddisfatto sul volto finalmente scevro da
polvere e sporco. Salutò i due ragazzini attorno al tavolo
– Rose
per lo stupore aveva rovesciato mezzo cucchiaio di dolce sul tavolo,
mentre Jesse si era fatto una strisciata di sciroppo sulla faccia
mancando clamorosamente la sua stessa bocca – e si
avvicinò alla
dispensa, per aprirla e ficcarci dentro il naso. Ne comparì
di nuovo
con una bottiglia di vetro scura, dal tappo a corona.
“ah...
cielo, il mondo
è più bello e ti sorride dopo un bel bagno.
Sapete se questa è una
birra o qualche intruglio mefitico di Facciada... Inghilterra, per
caso?” domandò ai due ragazzi,
agitando appena il contenitore
mentre l'indicava con l'altra mano.
“Si,
è una delle birre del signor Inghilterra... ma non ci
è permesso
toccare troppo in giro, signora” rispose
timidamente Jesse, dopo
essersi pulito la guancia sporca di caramello “soprattutto i suoi
alcolici, dice che siamo troppo piccoli per bere... anche se ho
già
bevuto la birra, io. Non sono così giovane, ecco”
“Ah,
è dunque del signor
Inghilterra. Bé, tanto meglio. Adesso è mia.
Così impara a voler
fregare l'isola Ferdinandea*** a mia sorella, la prossima
volta”
Borbottò allegramente la donna, e posando il bordo della
ghiera di
latta sullo spigolo del tavolo, diede un colpo secco di polso sulla
bottiglia stessa, facendo saltare via il tappo “Ne volete un
sorso?” domandò ai due, che ancora la
fissavano. Soprattutto Rose
sembrava sul punto di andare in ebollizione, e svenire nuovamente.
Dato che non ricevette risposta, si attaccò direttamente al
collo
della bottiglia per mandare giù a garganella tre lunghi
sorsi di
liquido maltato e scuro. Allappando poi con la lingua si
avvicinò al
tavolo e si sedette al suo capo, posando i gomiti sul piano
“Allora... che facevate
di solito dopo avermi portato la cena? Anche perché ormai
è
l'ora... Rose, tesoro. Prendi fiato. Stai diventando
cianotica”
La donna nel dire così
si sporse verso la ragazzina, sfiorandole la guancia con la punta
delle dita. Il contatto parve dare all'altra la scarica elettrica,
che saltò sulla sedia balbettando al culmine dell'imbarazzo “Ah!
ah... io... devo andare a ritirare la biancheria, ecco!
Scusatemi!”
Sia Italia che Jesse
seguirono con lo sguardo la veloce ritirata dell'inglese, entrambi
perplessi. Poi la donna di rivolse al più giovane,
inclinando il
capo “Ehm...
ho fatto o detto qualcosa di sbagliato? Perché è
tanto agitata?” Aggrottò la fronte,
poi pensierosa si portò la
mano ancora sollevata verso il posto ormai vacante occupato da Rose
alle labbra
“uhm... è forse preoccupata per quel che
potrà dirle
Inghilterra? Mi dispiace, ma non dovrebbe. Sono perfettamente in
grado di gestire quel caprone.
...
...Spero.”
Jesse, che ancora
guardava verso la porta abbassò lo sguardo, tornando a
mangiare il
rimanente del dolce nel suo piatto “non
so, signora. Non l'ho mai
vista comportarsi così. Comunque”
Cambiò velocemente discorso,
tornando a sorridere verso la nazione “è buono
questo dolce. Come
avete detto che si chiama? Assomiglia al biancomangiare**, ma
così
dolce e con lo sciroppo è proprio tutt'altra
cosa...”
“Pannacotta,
si chiama
pannacotta. È
un dolce tipico della Lombardia, anche se ormai lo fanno in tutta
Italia, più o meno... se ti piacciono i dolci italiani,
posso
fartene altri” Gli sorrise di rimando Italia, il
viso poggiato tra
i palmi di entrambe le mani. Lo guardò ancora un poco mentre
si
serviva una seconda porzione del budino, poi sospirando si
alzò
dalla sedia, sgranchendosi il collo.
“Bene,
vado a vedere se riesco a trovare qualcosa di decente da mettermi
addosso. Puoi risistemare la cucina quando hai finito di mangiare,
Jesse?”
Attese
il suo assenso prima di uscire dalla stanza, e con passo leggero
salire al piano superiore della casetta, dove ancora aveva dato solo
una veloce quanto superficiale occhiata, essendosi quel giorno
dedicata solo a rimettere in sesto i due umani, cucinare e studiarsi
il piano inferiore. Avrebbe avuto il tempo di ficcanasare con
calma... Aprì una porta, che conduceva ad un salotto
nascosto dai
teli bianchi. Le tende tirate e le imposte chiuse rendevano
l'ambiente particolarmente freddo e spettrale, dato che l'unica luce
era quella del corridoio che filtrava alle sue spalle. Fece un passo
all'interno, alzando una nuvoletta leggera di polvere “E così,
non
è la sua casa principale... peccato, speravo di trovare
qualche
notizia calda riguardo i contatti con l'America... beh”
sbuffò, richiudendosi la porta alle spalle con fare
scocciato
“puntavo
troppo in alto, mi sa... sarebbe stato un colpo di fortuna
mica da ridere, altrimenti.”
Continuò
per altre due stanze, che i rivelarono essere camere per ospiti nella
stessa condizione del salotto. Da sotto la porta della stanza che
aveva usato come bagno, fuoriusciva una lama di luce. E la cosa
stupì
la nazione, convinta di aver spento la lampada alla sua uscita. Senza
pensarci troppo spalancò l'uscio, affacciandosi per
controllare.
Preciso
come un quadrello le arrivò sul naso un barattolo di latta,
che
aprendosi con l'urto rilasciò una nebbia di fine talco alla
lavanda
accompagnato da uno strillo acutissimo che le trapanò i
timpani. Non
che fosse importante il profumo, alla fin fine, anche perché
al
momento aveva problemi anche solo a respirare col setto nasale
così
acciaccato. Gemendo più che per il dolore per lo spavento
preso,
Italia si portò entrambe le mani al viso e mugolando si
accasciò
vicino allo stipite, mentre alcune gocce di sangue cominciavano a
colare attraverso le fessure tra le dita. Cacchio, altro che
ausiliaria. Quella ragazzina aveva un talento naturale come
cecchina... meglio non farlo sapere troppo in giro, o se la sarebbe
di certo trovata in qualche torretta anticarro contro i suoi soldati.
“OH
MY GOD! Scusatemi signora, non... non volevo, davvero!”
La novella
Guglielma Tell, alias Rose si tirò in piedi nella vasca di
colpo e
coprendosi la bocca spalancata in un'espressione di imbarazzo
guardò
la donna, gli occhi pieni di lacrime di rimorso “Avevate detto che
c'era l'acqua calda anche per noi, e quindi... poi avete aperto la
porta e mi sono spaventata... ho preso la prima cosa che mi
è
capitata sotto mano... non pensavo foste voi... non volevo, non
volevo... mi spiace così tanto...”
Italia
ci mise un po' a riacquistare la capacità di respirare,
anche perché
oltre al naso ora cominciavano a farle male anche i polmoni in apnea.
Sentiva la faccia pulsarle come fosse infuocata, e aveva anche la
vista appannata dalle lacrime. Comunque, sempre tenendo il volto
nascosto sollevò una mano, agitandola appena “uhnf... 'do bene,
dod è dulla. golba bia ghe zono endrada
all'imbrovvizo...” (trad.
sto bene, non è nulla. colpa mia che sono entrata
all'improvviso.
Provate a parlar voi decentemente dopo che un barattolo vi ha colpito
il naso)
La
risposta non sortì l'effetto sperato, e anzi mise in
agitazione
ancor più la ragazzina che, bandito ogni pudore
saltò fuori dalla
vasca per correre verso la nazione. Così, fradicia com'era,
sul
pavimento di ceramica liscio e coperto di talco.
Ovviamente
al secondo passo slittò come avesse sotto i piedi dei
pattini da
ghiaccio, arrivando in scivolata a gamba tesa verso Italia e
buttandola giù dalla sua precaria posizione sui talloni come
un
birillo, facendola poi rotolare supina fuori della stanza.
Così che
ora la nazione, oltre a un gran dolore alla faccia anteriore, s'era
fatta male pure a quella posteriore, e senza nemmeno capire come
s'era trovata a guardare il mondo da distesa. Ruotò appena
il capo,
e mentre Rose sempre più impanicata continuava a sciorinare
scuse e
gemiti cercando di issarsi su di lei e tamponarle il sangue dal naso
con il telo da bagno – il suo telo da bagno, dato che l'altra
era
come mamma l'aveva fatta e pure in preda ad una crisi mistica
–
ormai spalancato vide salire dalle scale la dinoccolata figura di
Jesse, che saltava i gradini tre a tre spaventato dalle urla e dai
rumori di lotta sentiti dalla cucina, con ancora addosso il grembiule
e le maniche della camicia arrotolate sopra i gomiti.
Povero
bambino, si trovò a pensare la nazione in un momento di
lucidità,
sbattuto a calci in culo nella pubertà in questo modo. Di
certo
l'aver trovato sua sorella nuda che strepitava in mezzo al corridoio
a cavalcioni di un'altra donna nuda l'avrebbe segnato per il resto
della sua futura vita sessuale.
“AAAAAAAHHHHHHHHHHHHHHHH!!!”
Urlò il ragazzo, di un grazioso tono di pelle tendente al
magenta
dal collo in su;
“AAAAAAAAAAAHHHHHHHHHHHHHHHHHHH!!!!!”
Urlò di rimando la ragazza, accorgendosi della presenza del
fratello
e anche della propria tenuta adamitica. Nonché della
compromettente
posizione in cui si trovava.
“Zando
Dio, era guazi beglio la gandina...” (Trad.
Santo Dio, era quasi
meglio la cantina...) Mormorò la donna sofferente, mentre
cercava di
afferrare per tener ferme le mani di Rose nel suo impacciato
tentativo di soccorrerla – o di ucciderla del tutto, non lo
aveva
ancora compreso bene – e al tempo stesso recuperava un
briciolo di
lucidità. Facendo forza sulle reni si tirò su a
sedere, con ancora
l'inglesina a cavalcioni su di lei, e usando il telo cercò
di
coprire entrambe alla vista del quindicenne. Inspirò un paio
di
volte con una smorfia di dolore, e lasciando che i due finissero di
sfogarsi e consumassero tutto il fiato che ancora avevano nei loro
polmoni prese tempo per scendere a patti col dolore e coi danni.
“Va
bene, ora calmi tutti. Non è successo nulla, solo un banale
incidente che quando sarete entrambi nonni ricorderete con le lacrime
agli occhi per il troppo ridere. Ora”
Sbuffò, mentre si leccava
una striscia di sangue che dal naso le stava colando sulle labbra
“Jesse,
ricomincia a respirare e poi torna di sotto e ficca la
testa sotto il getto dell'acqua nel lavandino. Poi fatti un'altra
porzione di dolce, e abbonda con lo sciroppo. Fidati che funziona.
Scattare, ragazzo, scattare!” Per fargli anche
più fretta gli
lanciò un'occhiataccia, che poi rivolse alle scale dietro di
lui.
L'inglese, incapace di ragionare di suo accettò l'ordine
immediatamente, e voltandosi di corsa si lanciò
giù per la
scalinata, tanto veloce che la donna temette si fosse tuffato
direttamente di pancia verso il piano inferiore. Non sentendo rumori
di rotolamenti né di ossa rotte, ma solo i pesanti passi che
si
allontanavano come avesse avuto il diavolo alle calcagna,
sospirò di
sollievo. E ritornò a guardare la ragazzina, ora in lacrime
di
imbarazzo e vergogna, che si copriva il viso con entrambe le braccia.
“Rose?
Rose, darling... ti sei fatta male cadendo? Hai sbattuto da qualche
parte?” Tentò di sviare il discorso
su un argomento all'apparenza
meno imbarazzante ma evidentemente così non fu anche per
l'altra,
che uggiolò più forte scuotendo il viso sempre
nascosto dietro le
braccia. Sebbene non ottenne alcuna risposta se non un mugolio
indistinto, anche ad una semplice occhiata Italia vide subito che le
ginocchia e i palmi delle mani dell'altra erano rossi ed escoriati.
Sospirò, e facendo attenzione cercò di alzarsi da
terra senza
scivolare di nuovo, tenendo la ragazza tra le braccia come una
bambina. Evitando accuratamente di calpestare la mistura micidiale
d'acqua e talco che si era formata, rientrò nella stanza da
bagno e
fece sedere Rose su uno sgabello, per poi posarle un telo sulle
spalle e coprirla. Sorrise gentilmente al suo volto nascosto, e si
girò per prendere acqua pulita e delle pezze,
così da rinfrescarle
le ferite. Non riuscì a fare un paio di passi che
sentì il telo che
aveva risistemato alla bell'e meglio aprirsi di nuovo e scivolarle di
dosso, trattenuto da qualcosa dietro di lei. Ruotando il capo per
guardarsi oltre le spalle, trovò la mano della ragazza tesa
in
avanti ad arpionare il telo di lino come a volerla bloccare, mentre
questa tratteneva il respiro e stava col volto basso, rossa come un
peperone.
“Io...
mi dispiace, davvero. Dovrei essere io ad occuparmi di voi, e invece
combino guai uno dietro l'altro e alla fine siete sempre voi che vi
occupate di me. Mi vergogno così tanto...”
Cielo.
Gli esseri umani quando ci si mettevano erano incredibilmente,
assurdamente, terribilmente... teneri. La nazione si trovò a
fissare
dall'alto in basso la ragazza seduta sullo sgabello, con persino il
cuoio capelluto sotto i capelli color sabbia arrossito. Emetteva
vapore, da quanto era in escandescenza... Lentamente le si
inginocchiò davanti posando le mani sulle sue cosce, e
avanzando col
volto la costrinse a contraccambiare il suo sguardo. Aveva ancora il
naso rosso per la botta e una scia secca di sangue che le arrivava
fino al mento, ma sorrideva e non mostrava più segni di
dolore
fisico.
“Rose...
non ti preoccupare, davvero. Questo corpo che hai davanti, non
è
niente altro che un oggetto. Mi faccio male, ma non è mai
nulla di
grave... ecco, guarda” ruotò appena
la mano sinistra, così da
mostrarle il dorso e le nocche. La mattina stessa lo aveva ferito a
suon di pugni sul legno tanto da strapparsi la pelle e mostrar quasi
le ossa sotto, ma ora non c'erano rimasti altro che lievi graffi ed
un blando arrossamento “Sono
resistente, molto più di un qualsiasi
essere umano. A meno che la mia nazione non sparisca, e anche in quel
caso potrei comunque sopravvivere in virtù della memoria dei
popoli,
sono praticamente immortale a prescindere da quel che possa
accadermi. Non sono io quella che deve essere curata ora, ma
tu” e
così dicendo abbassò lo sguardo alle ginocchia
sbucciate della
ragazza, strette assieme in una morsa pudica.
Anche
a ripensarci, la donna non seppe dire quale istinto la portò
a
chinare il viso fino a sfiorare la pelle tremante di Rose.
Semplicemente lo fece, lo sguardo perso nel vuoto, e le labbra che
delicate si posarono sulla carne graffiata, ad assaporarne il sapore
del sangue. Un tocco inizialmente timido, per poi prolungarsi in un
contatto più approfondito fino a passare anche la punta
della lingua
sulle escoriazioni con delicati colpetti o più evidenti
passate.
Sentì chiaramente la ragazza fremere, e quando
alzò gli occhi la
vide fissarla con espressione tesa e spasmodica, rossa di imbarazzo,
quasi in lacrime. Spaventata? Forse, ma non c'era solo quello come
motivo dietro al suo mordersi il labbro inferiore... Lentamente le
prese le mani, fino a quel momento strette ancora sul telo da bagno a
stringerselo addosso, e forzandola delicatamente la costrinse a
porgerle i palmi bollenti e arrossati. Tremava come una fogliolina,
Rose... ed era bella. Incredibilmente bella e appetitosa. Le sorrise
maliziosamente, occhieggiandola da sotto le lunghe ciglia scure,
prima di avvicinare le mani aperte al suo viso e di nuovo baciare
dapprima con delicatezza, poi sempre con più trasporto ogni
singolo
centimetro di pelle.
Non
si limitò ai palmi. Ogni dito, sia singolarmente che assieme
alle
altre venne baciato dalla radice alla punta, leccato, succhiato e
accarezzato, lambito dalla lingua e dalle labbra della donna come
fosse una succulenta stecca di zucchero.
La
sentì gemere. Non fu un verso strozzato o nascosto, era
proprio un
gemito lungo e di gola, sentito. La ragazza ora aveva gli occhi
chiusi, le labbra semiaperte e il fiato corto e rapido, mentre il
corpo intero tremava e si contraeva sullo sgabello come presa da
minuscole scosse elettriche. Per oggi... poteva bastare.
Senza
lasciarle le mani si alzò in piedi, rimanendo chinata sopra
di lei.
Rose quando si accorse del movimento spalancò gli occhi,
trovandosela a nemmeno un centimetro dal suo viso, e se possibile
arrossì ancora di più, raggiungendo temperature
da altoforno.
“Nella
mia terra, si dice che un bacio guarisca tutte le ferite” Sussurrò
Italia, melliflua. Poi alzò appena il volto per lasciarle un
bacio a
stampo sulla fronte, prima di staccarsi da lei e recuperare il telo
caduto riavvolgendoselo addosso.
“l'acqua
nella vasca si sta raffreddando... ti conviene finire velocemente il
bagno e poi andare a riposare, Rose. È
stata una giornata intensa per tutti, oggi... Lieta notte, e sogni
d'oro”
Un'ultima
occhiata di traverso, con gli occhi d'ambra che risplendevano alla
luce tremolante delle candele, prima di voltarsi ed uscire dalla
stanza richiudendosi la porta dietro di lei. Da dietro il legno
sentì
di nuovo Rose gemere, stavolta incipit di un pianto liberatorio, e
sorrise tra sé e sé: si, rimanere a scrocco di
Inghilterra era
stata una mossa decisamente interessante...
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* Italia sta cantando un
famosissimo (al tempo) brano di Odoardo Spadaro del 1937, "Porta
un bacione a Firenze". Molto adeguata, visto che parla di una
emigrata che sogna di tornare alla sua città natale, per
l'appunto
Firenze.
Anche se ora non è più
molto conosciuto, al tempo il cantautore era una vera e propria
celebrità internazionale, avendo lavorato a lungo a Parigi
come
cantante e fantasista nel Moulin Rouge e avendo fatto anche una
fortunata tournée in America sia settentrionale che
meridionale, e
in Africa settentrionale. Immaginatevi i cantanti di oggi come quelli
che escono da Amici o X-Factor che vigliacco me ne ricordassi mai
uno... ecco, lui relativamente alla possibilità di
distribuzione
delle sue opere al tempo, come importanza a livello di fama dava loro
non due, ma tre o quattro giri.
** L'isola Ferdinandea è
praticamente la cima di un vulcano sommerso, nella zona che si trova
tra Sciacca e Pantelleria, nel canale di Sicilia. Solitamente
è
sommersa e la sua punta più alta rimane sotto il pelo
dell'acqua per
circa sette/otto metri, ma nel 1831 per via di una eruzione fece la
sua comparsa trasformandosi in un'isola calpestabile. In barba al
fatto che si trovasse nelle acque territoriali del regno delle due
Sicilie e quindi fosse di proprietà dei Borboni,
l'Inghilterra per
estendere il suo dominio nel mediterraneo se ne appropriò
rivendicandola come Graham isle secondo la legge marittima della
"insula in mari nata", cioé isola nata dal mare. In parole
povere, il primo che ci arriva se la piglia. Ci provò anche
la
Francia, dandole il nome di isle Iulia, perché non
s'è mai visto
che in qualcosa fatto da Inghilterra, Francia non ci metti il becco.
Comunque la disputa tra le tre nazioni durò poco: nei primi
mesi del
1832 l'isola, già corrosa dalla marosi, si
inabissò del tutto
tornando alla sua altezza solita sotto la superficie del mare.
ps. da quando conosco il
fumetto Hetalia, mi immagino Inghilterra che pur di mantenere il
diritto di proprietà su quel pezzo di roccia resta in apnea
a sette
metri di profondità, e la cosa mi diverte alquanto u.u
*** Il biancomangiare, o
blancmanger, è un impasto dalla consistenza morbida di
origine
medievale (si suppone francese per via del nome con cui era
conosciuto in tutta Europa) la cui peculiarità è
data dall'avere
all'interno solo ingredienti bianchi, per indicarne la purezza e il
valore ascetico (era uno dei pochi cibi che i nobili si potevano
concedere pubblicamente durante la quaresima. I poveracci, stavano a
digiuno e zitti). Si preparava con carne bianca o pesce sminuzzati e
cotti
nel lardo e nel latte di capra, di mucca o di mandorle. Nà
schifezza, insomma. Decisamente meglio quello odierno fatto con latte
e mandorle, tipico della Sicilia, o la pannacotta.
Angolo
del perché e del
percome (Che nessuno aveva richiesto)
Ed ecco che finalmente
avviene l'inciucio! O meglio, una sorta di inciucio. Un preludio,
diciamo così... con un'inglese, per cui tecnicamente ho la
coscienza
in pace. Il mio lavoro di shipper l'ho fatto. Si, lo so che non era
l'inglese che ci si aspettava, ma questo passava il convento U.u
Ok, scherzi a parte. La
carne è debole, e la prigionia forzata istiga certi
appetiti. Jesse
è un ragazzino da pedobear (virtualmente anche Rose lo
è, essendoci
tra le due qualcosa come... una venticinquina e passa secoli di
differenza d'età), quindi su qualcun altro
toccherà pur sfogare i
bollenti spiriti, no? E poi, anche alla fanciullina non sembra che la
cosa dispiaccia...
Ho aggiunto nei
disclaimer il tipo di coppia shojo-ai, ma metti che mi gira un giorno
la porcaggine finiamo nello yuri. Si sa mai...
Ammetto di aver riso come
una cretina mentre mi immaginavo la scena del bagno. Ed è
brutto che
rida per una cosa che ho scritto io. Ah, la demenza senile che
incombe...
Come al solito ringrazio chi ha recensito
(kesese_93), chi ha messo tra preferiti-seguiti-ricordati, e chi ha
solo letto. Ora torno a drogarmi di nonsimangia, che mi è
appena arrivata la spedizione della Lush e quel dannato sapone
è trooooooppo buono.
Al prossimo capitolo,
torna il padrone di casa : )
|
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Capitolo 5 *** 5. Ospite in casa propria ***
5.
Ospite in casa propria
Inghilterra
era perplesso.
Erano
passate già più di due
settimane e mezzo da quando aveva preso "in prestito"
Italia alle potenze dell'Asse, eppure questi non si erano fatti
sentire. Non una parola, non un cenno. Rien du tout, come diceva la
rana*. Certo, considerando il livello di confusione abitualmente
creato dalla procace mediterranea poteva ben capire che le altre due
nazioni si stessero godendo una minuscola pausa rilassante per i loro
nervi, ma che l'avessero abbandonata al suo destino proprio non gli
quadrava. Già il cane muso giallo** gli era sempre sembrato
il tipo
che avrebbe preso un attacco a un compagno come un'offesa personale,
quindi il suo silenzio stampa a tal riguardo risultava sospetto. Ma
Germania... insomma, quel tipo era in grado di farsi centinaia,
migliaia di chilometri solo per allacciarle le scarpe arrivando
persino in Africa; Inoltre da come ogni tanto l'aveva beccato a
fissarla di nascosto, si capiva lontano un miglio che il mangiapatate
palestrato avrebbe fatto il giro del mondo in ginocchio per lei - ma
non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, neanche a se stesso.
Alla faccia del cameratismo.
Non che non lo
capisse. Tutti
loro, almeno una volta nella vita, avevano pensato a come sarebbe
stato farsi un giro in Italia. In senso metaforico e letterale.
... magari
anche più di una
volta, ad essere onesti.
Davvero gli
riusciva impossibile
pensarlo rilassato ad arrostire salsiccie mentre sapeva che la sua
bella era in pericolo tra le sue grinfie.
...
Perché lo sapeva, vero?
Suvvia, la
lettera di riscatto
che aveva scritto era, seppur arguta e sibillina, chiaramente
comprensibile in ogni sua parte. Era partito con un paio di battute,
qualche presa per i fondelli ai tre che si erano lasciati fregare
dalla sua spettacolare intelligence, una descrizione sommaria - mica
poteva svelare i suoi trucchi del mestiere - di come aveva scoperto
la tana della donna e di come l'aveva messa in saccoccia. E poi
l'indizio per una spettacolare caccia al tesoro. Che alla fine li
avrebbe portati in trappola, altro che nel suo covo. Mica era scemo,
lui (e comunque non glie l'avrebbe restituita a prescindere, dopo la
fatica che aveva fatto per prendersela).
Davvero,
quando ci si metteva
era un dannato poeta, anche nella compilazione delle lettere
minatorie anonime. Si vedeva che il dono della scrittura era una dote
innata del popolo anglosassone.
Si,
perché lui tutto quel popò
di roba l'aveva scritto in un inglese dotto, fluido ed elegante,
usando uno stile persino un pò barocco, come ai cari e bei
vecchi
tempi in cui le cose importanti si compilavano con l'inchiostro in
boccetta e la penna d'oca, mica stà roba moderna come le
penne a
sfera che si rompevano e gli macchiavano sempre il taschino della
giacca.
Non per
vantarsi, ma come
scriveva lui le bolle di corsa non le scriveva nessun'altro.
Un lettera
scritta.
In inglese.
E l'aveva
lasciata al custode,
un vecchio contadinotto analfabeta che molto probabilmente aveva
difficoltà a compitare la parola capra (ma che da come lo
aveva fissato a lungo e con astio stringendo il manico della vanga, era
con tutta probabilità bravissimo a maneggiare un randello).
Shit.
Questo era
meglio non farlo
sapere al signor Winston***. In fondo, non è che uno
può essere
intelligence 24 ore al giorno, sette giorni alla settimana, no? Ogni
tanto scappa di essere anche un pò idiocy.
Se non
altro Italia questo non
lo sospettava. Avrebbe comunque potuto maltrattarla un poco facendole
credere che i suoi tanto adorati amichetti stavano meglio senza di
lei, e nonostante il tempo passato non avevano ancora mosso un dito
per cercarla. Il che era sostanzialmente vero, ma c'è una
differenza
abissale tra la motivazione "lo sanno ma non ti cercano" e
"non lo sanno perché sono un coglione".
No, meglio
tacere sui
particolari scabrosi della vicenda, e soffermarsi su quelli
piacevoli... si sarebbe messa a piangere? Adorava quando gli altri
stati, tiranneggiati, scoppiavano a piangere. gli dava un gran senso
di potenza e lo riportava indietro ai fasti del suo periodo
imperiale... Si, magari non stava proprio bene comportarsi a quel
modo con una donna, ma del resto non era una vera e propria donna,
no? Era una nazione, che solo incidentalmente si trovava dentro il
corpo di una donna. Di un gran bel pezzo di donna, lo ammetteva. Ma
non era quello il punto.
Il punto
della situazione al
momento era "perché quella che dovrebbe essere imprigionata
nella cantina, magari disperata e in lacrime, se ne stà
bella
tranquilla in cucina a chiaccherare con quelli che dovrebbero essere
i suoi carcerieri mentre tira la sfoglia?"
Oibò,
questo non se lo
aspettava proprio. Quando entrando senza far troppo rumore, impegnato a
pensare come rigirare il piccolissimo contrattempo (era sulla buona
strada... già stava minimizzando il problema. Un altro paio
di ore e
non ci sarebbe rimasta più traccia nella storia di questo
fatto. Ah,
che bello avere il controllo dell'informazione...) in qualcosa di
conveniente per lui, si era trovato di fronte questa scena. Che di
suo era quasi banale nella sua normalità: una donna che
cucinava e
due ragazzi che l'aiutavano.
Peccato la
donna in questione
fosse Italia, che al momento avrebbe dovuto trovarsi rinchiusa a
doppia mandata un piano sotto a questo, mentre i due ragazzini si
supponeva fossero i suoi aguzzini. Bé, aguzzini era una
parolona
decisamente forzata, almeno a guardarli. Un soldatucolo alle prime
armi e sua sorella ausiliaria... Come si chiamava? Rosa, gli pareva
di ricordare. Jesse e Rosa, si...
Grande
spirito di sacrificio e
di dedizione alla causa, per carità. Alla loro
età avrebbero ancora
dovuto giocare a nascondino e a mosca cieca, non certo imbracciare un
fucile o assistere ad amputazioni ed estreme unzioni. Ma la
situazione era quella che era, e di tempo per i balocchi non ce n'era
più per nessuno. Loro almeno erano relativamente al sicuro,
in quel
paese a far da balia alla nazione ostaggio.
Anche se al
momento, sembrava
fosse la nazione mediterranea a far da balia a loro due. Voltatasi
solo per un istante a guardarlo, con totale disinteresse era poi
tornata al suo lavoro di stesura della sfoglia, che al momento le
premeva molto più che il suo arrivo nella stanza. Non si era
nemmeno
degnata di fare una faccia spaventata, colpevole o anche solo
scocciata. No, l'aveva guardato come se fosse entrato nella cucina il
gatto di casa, magari miagolante per la fame. Doveva aspettarsi una
ciotola di latte, forse?
"Jesse,
the sauce..."
La
sentì apostrofare al
ragazzo, che invece - come la ragazzina e lui stesso, del resto - era
rimasto imbambolato e incapace di spiccicar parola. Richiamato
all'attenzione come se avesse preso la scossa, il giovane inglese si
era ripreso ed evitando accuratamente di incrociare nuovamente il suo
sguardo era tornato a rimestare nel tegame di coccio sulla stufa, con
anche troppa enfasi per uno che non se la stava facendo addosso. E
faceva bene a farsela addosso. Che diavolo stava succedendo in quella
dannata casa?
"...
si può saper-"
Inghilterra
non fece in tempo a
finire l'esclamazione, dopo aver recuperato l'uso della favella, che
la donna lo aveva bloccato parlandogli sopra, a voce tranquilla
seppur chiaramente udibile. Parlava in italiano, così che
per la
maggior parte del discorso sarebbe stata incomprensibile ai due umani
nella stanza. O almeno così pensava lui.
"Prima
che tu ti metta a
sbraitare come una gallina costipata" sbuffò
"sappi
che se sono qui fuori è solo ed esclusivamente colpa tua.
Non mi
hanno liberato loro, per cui evita di prendertela con questi due
ragazzini. E passami quella ciotola con la farina, visto che sei qui
renditi utile"
Forse era
il tono con cui aveva
dato quell'ordine, ma lo prese così in contropiede che si
trovò a
posare la ciotola accanto alla spianatoia, dove le aveva indicato,
senza nemmeno rendersene conto. Si schiarì la voce con
imbarazzo,
prima di fare due passi indietro, e cercando di riottenere un
briciolo di dignità sedersi su una panca a muro, a braccia
incrociate e caviglia destra posata sul ginocchio sinistro.
"allora,
cos'è questa
storia dell'andare a spasso fuori dalla tua cella? "strinse
le sopracciglia, che per un effetto ottico divennero ancor
più
cespugliose del solito "cosa diavolo hai detto a questi
ragazzini, per convincerli a liberarti?"
"Sò
essere molto
convincente, quando voglio. Comunque sia loro non c'entrano nulla,
non dare ad altri la colpa della tua idiozia" rispose
l'altra nazione, continuando a spingere con buona lena sul
mattarello. Dove diavolo aveva trovato un mattarello nella sua
cucina, piuttosto? Era sempre stato lì? Aveva sempre avuto
un
mattarello e non lo sapeva? ... Era sempre stato così
interessante e
ipnotico il movimento dei fianchi di chi stende la sfoglia?
Forse
cominciava a comprendere
l'amore degli italiani per la pasta. Giusto un pò, eh...
"Non
mi sembra tu sia
nella posizione adatta per poterti concedere un simile tono con me,
donna. E ancora non mi hai risposto. Come sei uscita? Perché
non ne
hai approfittato per scappare?" Ecco, era meglio pensare ad
altro. Come mai stava ancora qui? Fosse stato in lei sarebbe fuggita
non appena ne avesse avuto l'occasione, in barba a tutto e a tutti.
Invece, a giudicare da come i tre si comportavano non era nemmeno il
primo giorno che la donna girava liberamente per casa. Casa SUA, come
la sua dispotica e oltraggiata mente ci teneva particolarmente a
sottolineare. Aveva ficcato il naso in fatti che non le competevano?
Era per questo che era rimasta, per fare controspionaggio? ... Seh,
molto furbo fare controspionaggio così. Facendosi beccare
con le
mani in pasta, nel senso letterale del termine.
"Secondo
te, anche fossi
scappata dove sarei potuta andare? siamo su una fottuta isola in
mezzo a un fottuto oceano, e anche diventassi una nuotatrice tanto
brava da farmi la Manica a braccia mi troverei comunque da quel porco
di mio cugino*. E poi grazie a qualcuno non ho abiti di ricambio degni
di essere chiamati tali né soldi, mi sarei solo che cacciata
in un problema ben peggiore, veh. Meglio star qui e studiare ancora
un pò la situazione, a questo punto..."
Bé,
non faceva una grinza come
ragionamento. Effettivamente non è che lui si fosse
preoccupato di
farle la valigia, per il tour dei castelli inglesi.
Aspetta.
Non aveva altri
vestiti? ma allora che diavolo stava indossando sotto il pesante
grembiule lungo fino ai piedi? Era qualcosa di bianco, e lui si
ricordava benissimo che indossava un abito verde. Di foggia
antiquata, accollato, lungo fino ai piedi... Verde. Ed ora... una
camicia, ecco cos'era. Una camicia e un paio di calzoni scuri.
Eppure, sotto il vestito non aveva certo i calzoni, né una
camicia.
Se non ricordava male aveva una sottoveste rosa antico, ricamata...
Ed ora non
state a chiedere come
facesse a sapere cosa la donna quel giorno indossasse sotto i
vestiti. Notizie di natura strategico-militare, su cui è
stato
apposto il vaglio della censura.
"Quanto
all'essere
uscita da sola dalla mia prigione" riprese la donna, alzando
lo sguardo dalla sfoglia, ormai tanto larga da non entrare
più sulla
spianatoia, e sporgere per un buon terzo oltre il bordo del tavolo.
Posò il mattarello a lato, e mentre ripiegava la pasta su
sé stessa
disse "la prossima volta che vuoi rinchiudere qualcuno in una
stanza, oltre che preoccuparti di montare catenacci e blocchi sulla
maniglia, pensa anche che la cosa funziona meglio se i cardini della
porta non danno verso l'interno della stessa stanza... E scusa se mi
concedo nuovamente questo diritto, ma te lo meriti: imbecille"
cinguettò amabile come un clistere al peperoncino, sbattendo
le
lunghe ciglia. Probabilmente anche i due ragazzini avevano capito che
lo stava bellamente prendendo per i fondelli, visto che guardavano
ognuno in una direzione diversa, rossi in viso, e trattenevano
disperatamente una risatina isterica. Maledetti marmocchi, dov'era
finito il rispetto per le persone anziane?
Li
guardò entrambi male.
Peccato non stessero ricambiando lo sguardo, così la
splendida
occhiataccia di riprovazione andò completamente sprecata.
Bè, si
sarebbe appuntato di ripeterla più tardi, in modo di
prenderli alla
sprovvista.
... No,
ferma tutto. Cos'era
questa storia dei cardini? Lo stava prendendo in giro. Lo stava
sicuramente prendendo in giro... L'uomo si alzò di scatto,
per poi
uscire di corsa dalla cucina. Fece praticamente le scale per il
seminterrato quattro gradini alla volta, e giunto di fronte alla
cantina strinse gli occhi, per osservarla nella tremula luce
proveniente dalle scale.
Shit. Shit.
Storm of shit. Due
minchiate nella stessa giornata erano un record da segnare sul
calendario.
All right,
stavolta la presa per
il culo se l'era davvero meritata. Non aveva affatto considerato il
fattore cardini quando aveva deciso di sbatterla nella cantina...
aveva solo pensato a bloccarne la serratura. E di certo non la
credeva tanto acuta da notare una cosa simile.
Và
bene, al momento aveva perso
una battaglia, ma la guerra era ancora lungi dall'essere conclusa. E
un fiero inglese sputa l'anima prima di arrendersi, che lo imparasse
bene l'italiana...
Sbuffò
pesantemente, e tornò
con passo da funerale al piano di sopra. Lanciò un'occhiata
di
tralice alla donna italiana – che non lo degnò di
mezzo sguardo –
e masticando fiele si rimise a sedere sulla cassapanca occupata
prima, spalle al muro e braccia incrociate, mentre il ritmico rumore
del coltello batteva sulla spianatoia in legno. Ora che avevano
smesso di parlare sembrava che i tre occupanti della cucina si
fossero di nuovo dimenticati di lui, e avevano ripreso a muoversi
attorno al grande tavolo. La piccoletta con i codini, ne stava
apparecchiando un angolo. Ma nonostante avesse preso quattro
stoviglie, sembrava perplessa sull'eventualità di sistemarle
tutte
quante, e saltava ora con lo sguardo ceruleo da una nazione
all'altra, in attesa di ordini. Il fatto che però guardasse
più la
donna che lui lo infastidì un poco.
La tolse
dall'imbarazzo la
donna, che ormai pareva aver preso possesso di quella cucina. Della
SUA cucina. Come era mai possibile che appena un italiano toccava
qualcosa riusciva a farci la tana e diventarne familiare più
del
vero proprietario? Aveva quasi la sensazione fastidiosa di essere LUI
l'ospite arrivato senza alcun preavviso a scombussolare il normale
fluire della vita domestica.
"Dato
che ci sei, ti
unisci per la cena? Tagliatelle con ragù di lepre e funghi e
sformato di verdure... a proposito. Jesse, come và con il
sugo?"
Domandò al ragazzo ancora davanti alla stufa, che col volto
concentrato continuava a rimestare nella pentola.
"All
right, i suppose.
The scent is yummy" le rispose il ragazzotto in questione,
senza alzare lo sguardo dal suo lavoro, come se ne valesse una
medaglia al valore.
"...
ti sei ambientata
bene, vedo. Anche troppo, per i miei gusti. Dov'è finita
l'Italia
piagnona che non sà allacciarsi le scarpe da sola? Ne sento
quasi la
mancanza... " Brontolò appena l'uomo, alzandosi
dalla sua
postazione per andare ad verificare se davvero quella brodaglia era
appetitosa come il marmocchio decantava.
...Fottuta
miseria, se lo era.
Faceva tranquillamente concorrenza alla roba del barbetta*. Eppure,
non ci aveva messo dentro nulla che lui non utilizzasse solitamente
per cucinare, a giudicare da quel che vedeva lì dentro o nei
resti
dentro al lavello. E allora perché quello che faceva lui
aveva di
solito la consistenza dell'argilla ed un sapore molto simile?
I suoi
dubbi amletici vennero
interrotti dall'avvicinarsi dell'altra nazione, che tenendole tra le
mani come un nido di paglia riversò nell'acqua bollente le
tagliatelle appena allunghate.
"Chissà,
forse si è
stufata di mangiare tutti i santissimi giorni pappa d'avena e pudding
tiepido dal sapore sospetto. Che per carità, confronto a
quel che cucini te
personalmente è pur sempre alta cucina, ma... è
troppo pesante" L'uomo sbuffò scocciato,
lanciandogli un'occhiata di traverso che
lei evitò con noncuranza mentre rigirava la pasta con un
forchettone
"Secondo me voi anglosassoni avete un caratteraccio simile
perché mangiate male. Troppo grasso, troppa carne e troppo
zucchero.
Troppo poco pane, pasta e verdure fresche. Se poi ci aggiungiamo i
litri di birra... Vi và in pappa il cervello. Poi ci credo
che siete
incazzati col mondo intero, con la sbobba che vi sorbite****. Rose,
my dear. Puoi prendere un piato di portata, please?" Dear
God, come si vedeva ora che era parente stretta della rana*;
qualsiasi cosa potessero dire o fare per confutare la sua ipotesi,
veniva stracciata immediatamente. Quel piglio supponente mentre
prendevano in giro la sua cucina era inconfondibile, a prescindere
dalla faccia di provenienza. Simpatici come una forchettata sui
gioielli della corona, entrambi.
"Si...
si vedono i
risultati della tua salutare e leggera alimentazione, invece"
girandosi per avvicinarsi al tavolo, non mancò di darle una
pacca
sul sedere che la fece sobbalzare appena, e si trovò a
sorridere
sotto i baffi quando la sentì imprecare a denti stretti in
qualche
ignoto dialetto appenninico. Ben le stava, in fondo era solo
un'ospite nemmeno ben voluta. Anche se si trovava lì per una
sua
macchinazione. Anzi, senza alcun dubbio la donna avrebbe voluto
essere in qualsiasi altro posto tranne che accanto a lui, ci avrebbe
scommesso una scorta di té per un anno.
C'è
da dire che lui non avrebbe
fatto nulla per farla sentire più a suo agio. E la sua
ricordata
somiglianza con Francia gli aveva fatto venire voglia di darle il
tormento, tanto per. Italia doveva solo che ringraziare la presenza
dei due marmocchi, o avrebbe fatto di peggio. Molto peggio...
Si sedette
con studiata lentezza
a capotavola, mentre i tre erano affacendati chi a condire la pasta
(e a brontolare, ancora. Cielo, quando iniziava sembrava una teiera
in ebollizione. E ogni bolla era un'imprecazione nemmeno troppo
velata diretta alla sua augusta persona, poteva scommetterci), chi a
tirar fuori lo sformato dal forno, e chi a recuperare una bottiglia
di birra e la brocca dell'acqua. Sospirò appena,
socchiudendo gli
occhi, e accavallando le gambe al di sotto del tavolo lasciò
che il
bacino scorresse sulla seduta fino ad essere coperto completamente
dalla tovaglia. Una posa artisticamente svogliata e snob, ci aveva
messo decenni a perfezionarla in modo che sembrasse abbastanza
raffinata e al contempo nascondesse quello che stava realmente
pensando. Perché non sarebbe mai apparso abbastanza
svogliato e snob
con la patta dei calzoni gonfia.
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* Francia,
parliamo sempre di
lui. Com'è come non è, stà sempre in
mezzo. E suppongo nemmeno gli
dispiacerebbe poi troppo stare in mezzo a questi due. Comunque in
Italia c'è un detto, “se i francesi sono nostri
cugini, allora
babbo ha litigato con suo fratello”. Ci stà come
il cacio sui
maccheroni.
** Ora so
che lascerò perplesse
molte lettrici che leggono Hetalia e magari si basano su questo per i
vari collegamenti tra le nazioni: ma nonostante nel fumetto (e in
quasi tutte le fanfiction & doujinshi in giro) America,
Inghilterra e Giappone si vogliono un gran bene e sono degli amiconi
sempre pronti a far baldoria, nella realtà della seconda
guerra
mondiale gli anglosassoni e ancor di più gli americani che
vedevano
i tedeschi come avversari alla pari e nonostante tutto trovavano gli
altri paesi europei in conflitto degni di rispetto civico - seppur
non si fecero alcuno scrupolo nel distruggere e bombardare a tappeto
anche città considerate di nessuna importanza militare, al
fine di
raggiungere la distruzione militare, economica e politica degli
avversari - avevano invece una grande avversione che spesso sfociava
in palese razzismo per i giapponesi (non che i nazisti li vedessero
meglio, anzi. Ma gli facevano molto comodo come alleati e soprattutto
se ne stavano dall'altra parte del mondo. Se avessero vinto la
guerra, ci avrebbero pensato poi a un pò di "sana" pulizia
etnica anche da quelle parti...). La propaganda bellica insegnava sia
ai soldati sia a chi rimaneva a casa di non considerarli neppure alla
stregua di esseri umani, tale era il senso di superiorità
dei
“bianchi” verso gli asiatici e l'odio verso i
traditori (fino a
quel momento, le tre nazioni avevano avuto buoni rapporti di tipo
politico e commerciale). Da qui il famoso detto “cane muso
giallo”.
Già, non se lo sono inventati gli sceneggiatori di Hollywood
per
fare scena.
*** Winston
Churchill, il primo
ministro inglese durante la seconda guerra mondiale. Detto anche il
signor "lacrime, sudore e sangue" dagli amichetti.
**** In
realtà, sembra che
l'alimentazione di sopravvivenza inglese durante la seconda guerra
mondiale fosse una delle migliori in Europa. Forti dell'esperienza
maturata durante la Grande Guerra l'Inghilterra non si fece trovare
impreparata, e riuscì a mantenere una certa
capacità di
approvvigionamento – soprattutto dalle colonie asiatiche e
dai
paesi sudamericani – in grado di offrire un adeguato supporto
di
cibo alla popolazione. Inoltre, grazie alla filosofia pragmatica "in
ogni aiuola, un orto" sembra che durante la guerra fosse
paradossalmente il periodo in cui l'alimentazione Inglese fu la
più
bilanciata e salutare di tutto il ventesimo secolo (e anche di tutti
gli altri secoli; la cucina anglosassone non è mai stata una
dieta
considerata troppo salutare. Troppo grasso, troppe proteine e troppi
zuccheri semplici a fronte di troppe poche verdure fresche e
carboidrati. Per cui, pur avendo dei buoni ingredienti dubito
riuscissero a cavarne qualcosa di decente, considerando la loro
abitudine di coprire tutto con salse improponibili e accostamenti a
dir poco azzardati. A chiunque mi verrà a dire che a Londra
non si
mangia affatto male vorrei ricordare che la suddetta città
è un
melting pot di razze e popoli, e della vera cucina inglese
c'è
rimasto poco o nulla. Assaggiate invece un pasticcio di rognoni e
cervella con la salsa ai mirtilli, poi ne riparliamo. Però i
dolci
sono buoni).
Piccola
chicca: tra i tanti
motivi per cui l'America entrò nel conflitto contro la
Germania e
con l'Italia fu anche perché i sottomarini tedeschi assieme
alle
navi mercantili inglesi ne affondarono parecchie americane,
disturbandone l'economia estera (fino a quel momento, la presenza
degli USA nel conflitto europeo era stato unicamente di supporto per
le forze anglosassoni). Oltre che, ovviamente, perché non
appena i
Giapponesi attaccarono Pearl Harbour gli americani dichiararono
guerra al Giappone, e Hitler dichiarò guerra a loro. Si
fosse fatto
una esuberante padellata di fregnacce sue la storia sarebbe andata in
modo mooolto diverso. Invece così servì a
Roosvelt su un piatto d'argento la scusa che
aspettava per aprire il fronte anche in Europa, dato che prima non
avrebbe mai potuto avendo contro l'opinione pubblica americana. Ebbe
così il diritto di impicciarsi nelle questioni europee e di
arginare
la potenza comunista dell'Unione Sovietica, mostrando al mondo chi
sarebbe stata la vera potenza militare da temere lì in
avanti.
Eroe un par
di palle, Alfred.
Tsé.
***Angolo
del perché e del
percome (che nessuno voleva)***
Ed eccoci
al quinto capitolo!
Stavolta, visto dagli occhi di Inghilterra. Cominciava a mugugnare
troppo nell'angolino, dato che tecnicamente è il
coprotagonista ma è
comparso fino ad ora... poco, molto poco. Praticamente mai.
Sei felice
ora, Iggy? hai un
intero capitolo per mostrare al mondo quanto sei imbecille!
E arrapato.
Come ho detto in
precedenza, ancora non ho deciso se tra i due succederà mai
qualcosa
(molto probabilmente si, gli inglesi assieme ai loro amichetti
americani ci sono andati giù pesanti con le bombe, prima che
l'Italia si alleasse con loro rinnegando il fascismo. Cosa che, vista
in chiave di lettura hetaliana risulta essere molto meno orribile e
crudele ma molto più porcellosa. Siccome io però
dello stile
Hetaliano me ne frego, penso mi terrò le bombe e
lascerò perdere
gli assalti alle regioni vitali, spostando il rapporto più
ad un
livello "umano" che di relazione tra stati (Anche perché
l'Inghilterra non amava affatto l'Italia, anzi. E pure alla fine del
conflitto l'ha sempre vista come una nazione perdente, e mai come una
nazione liberata come invece la considerarono gli americani. Figo, ho
aperto una parentesi dentro un'altra parentesi). E poi c'è
pur
sempre Rose di mezzo). Ma questo poveraccio ha ancora il diritto di
farsi i suoi viaggi mentali, in fondo. Lasciamoglieli fare e vediamo
come va.
Angolo
della curiosità. Quando
Arthur parla degli italiani che dove arrivano fanno la tana...
bé,
sad but true story. Conosco italiani - come mio padre e i suoi amici,
senza dover andare troppo lontano - che dopo una settimana di vacanza
in Borgogna riuscivano a descriverla ai francesi, aggiungendo con
piglio da agronomo professionista consigli su come un certo tipo di
potatura avrebbe portato vantaggi a quel filare di vite piuttosto che
ad un altro. Il tutto in un mezzo italiano/francese/qualcos'altro
inventato sul momento. E questi gli davano pure ragione (io nel
frattempo facevo finta di essere la figlia di una coppia scozzese che
soggiornava nello stesso agriturismo, per la vergogna. Peccato mi
sgamavano subito, dato che lo scozzese non lo capirei manco con un
traduttore accanto a spiegarmelo mooolto lentamente, figuriamoci a
parlarlo). Quando si dice che in ogni italiano vive un piccolo
allenatore, si è riduttivi. Non ci limitiamo al solo calcio,
noi.
Spaziamo in tutto lo scibile umano e non.
Nel mentre
mia madre aveva
scambiato il numero di telefono e la ricetta del brodetto
all'anconetana (che è una zuppa di pesce marchigiana in cui
si butta
dentro mezzo Adriatico, sub incauti compresi, ed è la fine
del
mondo. Come poi questa ricetta possa interessare alla popolazione di
una provincia che il mare lo vede solo con Google Earth, non
è dato
saperlo) con metà del paesino in cui ci trovavamo.
Metà solo perché
non aveva avuto il tempo materiale di estendere i suoi tentacoli
più
in largo. Quel che c'è di buono in questa storia
è che ne ha
ricavato la ricetta di una torta di crema alle pesche da orgasmo.
Grazie sconosciuta signora, le sarò riconoscente per il
resto della
mia vita.
Noi
italiani facciamo paura. In
tutti i sensi...
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Capitolo 6 *** 6. Faccia a faccia ***
6.
Faccia a Faccia
La
cena si svolse in tranquillità,
rotta solamente dalle semplici richieste per passarsi le vivande e
brevi scambi di formalità. Le due nazioni evitarono
palesemente di
scambiare parola, preferendo piuttosto usare i due ragazzi come
intermediari, Inghilterra con fare decisamente brusco e non ancora
del tutto in vena al perdono, mentre Italia con tono molto
più
colloquiale e gentile con entrambi. Anche se alla nazione
anglosassone apparve che tra i due, fosse la ragazzina ad essere
più
attaccata alla donna. Praticamente sembrava pendere dalle sue
labbra... E anche il modo in cui la donna la guardava era diverso da
come osservava Jesse, oppure lui stesso. Vabbé, le poche
volte che i
loro sguardi si erano incrociati poco ci mancava che non lo
maledisse, quindi non era un grande metro di paragone il suo.
Chissà
perché poi... Ah, giusto. Nemici, rapimento, guerra... le
solite
piccole cose. Certo che però era decisamente rancorosa, la
signora.
Finalmente
arrivarono alla frutta, e
l'uomo ormai sazio si alzò dal tavolo con un lento movimento.
“Bene... buona creanza
vuole che io
debba ringraziare per il pasto. Immagino tu voglia parlarmi,
Italia... per cui ti attenderò nello studio. Quanto a voi
due”
Aggiunse, spostando lo sguardo ai due ragazzi umani che ancora
stavano finendo di dividersi una mela “Non appena avrete
finito di
sistemare la cucina ritiratevi pure, o uscite a farvi una passeggiata
se lo preferite. Ma al momento non voglio avervi tra i piedi, per un
po'”
Detto
questo posò il tovagliolo sul
tavolo, e cominciò a muoversi in direzione della porta,
raggiungendola velocemente. Non attese risposta né si
degnò di
studiare la faccia colpevole e mortificata dei due fratelli, o quella
indispettita della donna.
Arrivato
nello studio si appoggiò allo
stipite della porta ormai chiusa alle sue spalle, sospirando con
stanchezza. D'improvviso tutta la fatica accumulatasi nella campagna
africana gli stava tornando addosso pesandogli addosso, per non
parlare del tentativo di ricostruzione e dei primi soccorsi, e della
politica interna. In quei momenti si sentiva un rudere ambulante...
Con apprensione si passò la mano sul petto, dove le pesanti
bende
coprivano le ferite ancora non cicatrizzate del bombardamento. Certo,
a volte era una pacchia essere collegati direttamente al proprio
territorio. Ogni ferita che si facevano, per quanto tremenda e
potenzialmente mortale fosse, si rimarginava con una
velocità
spaventosa senza nemmeno lasciare tracce o quasi. Il rovescio della
medaglia però faceva si che qualsiasi grande danno che
subisse la
nazione stessa, si riversasse addosso a loro in maniera fisica e
dolorosa. E il bombardamento continuo su Londra negli anni
precedenti, era stato decisamente un grande danno. Nemmeno i grandi
incendi dei secoli passati erano riusciti a debilitarlo tanto...*
Ogni volta
che si cambiava le
fasciature e vedeva quelle piaghe sanguinolente sulla pelle, ogni
volta che avvertiva il dolore piegandosi in maniera improvvisa
sentiva la rabbia e il desiderio di vendetta crescere dentro di lui,
contro Germania. Gli era sempre stato antipatico a pelle, quel tipo.
Appena nato ed era già una grande nazione, una potenza
militare,
politica ed economica tale da spaventare tutti gli altri stati
europei. Non contento di ciò, tentava in tutti i modi di
allargare
ancor di più il suo già vasto territorio, ed
aveva pure le spalle
parate da Prussia, quell'imbecille del fratello guerrafondaio che
stravedeva per lui.
I
suoi fratelli li aveva invece dovuti
condurre sulla retta via a suon di stangate sui denti... Non che gli
dispiacesse, in fondo neanche loro quando erano più giovani
si erano
comportati come i fratelli maggiori dell'anno. Anzi. Aveva solo
restituito la pariglia, quando si dice i casi della vita. E la sua
terra, che a differenza di quella del tedesco tutto si poteva dire
tranne che fosse ricca di risorse primarie, l'unica cosa che poteva
esportare in grandi quantità era gioventù
bellicosa e piena di
cattive intenzioni (che comunque erano serviti parecchio durante i
secoli dell'imperialismo britannico). E i cioccolatini alla menta.
Non sapeva se essere più orgoglioso dei primi o dei secondi.
Era comunque
inutile recriminare ora;
avrebbe dato una bella lezione – nuovamente – a
quel moccioso, e
come al solito avrebbe di nuovo esteso i suoi fili di potere in tutto
il mondo. Com'era sempre stato e come sempre sarebbe stato.
Ancora
accigliato entrò finalmente
nello studio, una saletta non troppo grande dalle pareti tappezzate
di librerie stracolme di ogni tipologia di volumi. Gli unici punti
della parete libera dalla carta stampata erano ovviamente le
finestre, il caminetto al momento spento e un mobile bar, vicino alla
grande scrivania in rovere che si stagliava al centro della stanza.
Di fronte a questa due poltroncine dall'alto schienale, coperte di un
pesante velluto a righe. A terra, per proteggere l'impiantito di
legno non trattato parecchi tappeti di origine persiana e indiana,
dai colori vividi e caldi. Di tutta la casa, amava particolarmente
quella stanza; era il suo nido, l'unico posto dove si sentiva in pace
col mondo oltre al giardino.
Rabbrividendo
appena per uno spiffero
d'aria gelida – nonostante fosse marzo ormai finito, le notti
erano
fredde e questa a giudicare dalle nuvole prometteva anche
un'abbondante dose di pioggia nell'immediato – Inghilterra si
diresse al camino, già pulito dalla cenere e fornito di
legna e
carbonella. Vi armeggiò per alcuni minuti con carta e
fiammiferi,
rialzandosi dalla posizione accucciata solo quando la fiamma aveva
già attecchito sui rametti più sottili e
prometteva di rimaner
vivace. Rimase a fissare le lingue di fuoco appoggiato alla mensola
del caminetto a lungo, perdendo il senso del tempo.
Il
rumore di passi lungo il corridoio
lo richiamò dal suo rimuginare, e raddrizzandosi si diresse
alla
scrivania per sedersi, come se fosse sempre stato lì. Non
fece in
tempo a posar le terga sul cuscino imbottito della sedia, che il
secco rumore di nocche sul legno avvertì della presenza di
Italia
dietro la porta.
Si
sistemò comodamente mettendoci più
tempo del necessario, giusto per farla aspettare in piedi nel
corridoio. Prese delle carte a caso, facendo finta di leggerle, poi
con voce disinteressata brontolò uno scocciato “avanti”.
Nessuna
risposta.
…
Ci aveva forse messo troppo tempo a
rispondere? Se ne era andata? Santo cielo che permalosa... No, niente
scherzi. Perché non entrava? Che stava facendo? Era svenuta
davanti
alla porta, putacaso?
“Ho
detto avanti!”
Stava
per alzarsi e controllare quando
l'uscio si aprì con un lievissimo cigolio, e la donna fece
la sua
comparsa nella stanza, stiracchiandosi.
“Misericordia divina,
nemmeno Lavi ci
impiega tanto a rispondere. E si che lei è lenta parecchio e
la
mattina ci mette due ore a carburare. Mi ero addormentata in
piedi”
Italia
gli lanciò un'occhiata di
sbieco, e incrociando le braccia al petto si diresse verso una delle
due poltroncine posizionate davanti alla scrivania, mentre continuava
a tenere lo sguardo rivolto a tutto tranne che all'uomo seduto dietro
il mobile basso. Quest'ultimo sbuffò contrariato, essere
paragonato
alla creatura più indolente e pestifera al mondo e uscirne
anche
perdente era un affronto bell'e buono. Stava per rispondergli per le
rime, che alzando gli occhi dai fogli gli si seccò la voce
in gola.
La donna, che prima in cucina era
coperta dal lungo e pesante grembiule e quindi non perfettamente
studiabile, ora che poteva studiarla meglio indossava veramente degli
abiti maschili... i suoi abiti. Che gli stavano pure male. Troppo
larga sulle spalle la camicia le cadeva giù come senza
forma, ma per
contrasto era tesa allo spasmo sul petto, tanto che i bottoni nelle
asole chiedevano pietà e la stoffa si allargava ad ogni
spazio
possibile. La casacca arrivava a sfiorarle abbondantemente i fianchi,
che rimanevano in parte nascosti. Ma Inghilterra sospettò
che la
situazione da quelle parti fosse simile a quella superiore, per lo
meno a giudicare dalle cosce fasciate dalla stoffa scura. Le stavano
veramente molto, molto male addosso quegli abiti. Considerando che
poi la donna era una che in qualsiasi situazione aveva sempre visto
solo con abiti di alta sartoria - pure la divisa militare era
disegnata su misura e di taglio ben più elegante e raffinato
a
quello normalmente usato dagli ufficiali, persino dai più
alti
gerarchi - immaginò quanto gli rodesse dover andare in giro
così
conciata.
“Staresti
decisamente meglio nuda”
…
Oh God. Non l'aveva detto sul
serio, vero? Per la gloria santissima dell'impero, lo aveva solo
pensato... vero?
A giudicare
da come Italia si sedette
svogliata al divanetto, accavallando le gambe senza aver modificato
espressione durante tutto il tragitto si, lo aveva solo pensato.
Ricominciò a respirare normalmente, rilasciando l'aria che
il
terrore gli aveva bloccato nei polmoni. E recuperando l'aplomb con
cui si contraddistingueva sollevò il plico di carte che
aveva in
mano, sventolandolo in maniera plateale.
“Ero troppo impegnato
a leggere dei
documenti per pensare a te. Mi sei completamente sfuggita di
mente.”
La
donna finalmente spostò lo sguardo
verso di lui, fissandone il viso per pochi istanti prima di passare
alle carte, che ora Inghilterra teneva a bella posta a spenzoloni.
“Ah... e li leggi al
contrario?”
Si
fissarono per un lungo,
interminabile istante.
“…”
“…”
“... Sono
crittografati. Nulla che
debba interessarti. Veniamo al motivo per cui ti ho chiamato
qui.”
L'uomo con fare disinvolto mise via le scartoffie e incrociò
le dita
davanti al viso, in una posa meditabonda.
“Hai perso la guerra
in Africa.
Inutile girarci attorno, ormai sappiamo entrambi che la completa
disfatta tua e di Germania è alle porte, come la vostra
ritirata.
Che, ovviamente” sospirò,
assottigliando lo sguardo oltre le
falangi incastrate “io
farò in modo di rendere il più complicata
e dispendiosa possibile. Immagino che non serva nemmeno doverti dire
cosa succederà poi...”
La
donna, che era rimasta seria e
impassibile alle parole dell'altra nazione annuì appena col
capo,
sospirando. Fece scorrere le mani sulle ginocchia sovrappensiero,
mentre lo sguardo si spostò lento verso la finestra dalla
tenda
aperta, fuori dalla quale la pioggia stava cominciando a cadere
silenziosa. Come se trovasse la posizione scomoda si sistemò
meglio
sulla poltrona, affondando nel grosso cuscino di velluto porpora
dello schienale.
“si... non serve
dirlo. A dire il
vero lo sospettavo già da un pezzo, mi chiedevo solo quando
sarebbe
successo... Speravo un po' più in là. Non ho
ancora preso le misure
necessarie...” Mormorò più
a sé stessa che all'uomo alla
scrivania. Poi parve riprendersi dai suoi pensieri, e spostò
nuovamente la sua attenzione verso Inghilterra.
“Da
quanto lo avete deciso? Direi non
da molto, prima dovevate vedere la situazione in Egitto. Suppongo che
Russia vi stia continuamente col fiato sul collo per questo, eh...
Non che comunque la cosa mi cambi”
“No, in effetti non
cambia nulla.
Sarebbe successo e basta, anche dopo la figura ridicola di America a
Kasserine**. Bé, gli è servita come battesimo del
fuoco” L'uomo
si strinse appena nelle spalle, per poi aggiungere “Comunque è
da
l'anno scorso che volevo farti i miei complimenti. Non mi sarei mai e
poi mai aspettato un comportamento tanto eroico e coraggioso dalle
tue divisioni ad El Alamein, nonostante foste in così netto
svantaggio***”
“Grazie. Sebbene avrei
preferito
riportare a casa più soldati e meno croci d'oro al valore.
Ma sapere
che almeno si son fatti valere è...”
la donna sospirò di nuovo,
stanca “Consolante.
Peccato sia stato tutto inutile. Posso almeno
sapere quando dovrò trovarmi ospiti in casa?”
cambiò poi
discorso, e cambiò anche posizione sul divano. Sembrava
davvero non
trovare pace. Ora che ci pensava, anche in cucina gli era sembrata di
continuo sulle spine... chissà che aveva.
“Ma che domande...
ovvio che no. Non
sarebbe carino rovinare così la festa a sorpresa per le due
festeggiate... Gli si rovinerebbe tutto il divertimento, non
trovi?”
“Uno
spasso, davvero. Non vedo l'ora.
Comunque... Casablanca, vero? Ora che ci ripenso, tutto mi riporta
lì.”
Già,
Casablanca****. Una riunione
decisamente spiacevole, considerando che l'idiozia di Francia e
soprattutto la strafottente incapacità bellica di America
stavano
per mandare all'aria tutte le sue tattiche studiate fin nei minimi
dettagli. Fortuna che si era risolto tutto...
La nazione
guardò la donna seduta, e
sorrise appena. Era stato il suo primo ministro a definire l'Italia
il ventre molle dell'Asse, ma da quel che aveva visto lui non era un
granché molle. Morbido sarebbe stato il termine
più esatto, se
proprio dovevano dare una definizione adeguata al corpo di Italia e
di sua sorella.
Quel che era
certo è che lui a
prescindere dall'aggettivo, da quel giorno di gennaio non vedeva
l'ora di affondarci dentro, in quel ventre.
“Davvero
Italia, mi stupisci ogni
minuto di più. Non è che per caso fingi solo di
essere una completa
cretina?”
“Anche se fingessi,
pensi che verrei
a dirlo a te? Un attore non si toglie mai gli abiti di scena,
semplicemente ne indossa di diversi, ricordatelo...”
Senza
modificare la sua espressione la donna si fissò ad osservare
un
punto indefinito sulla scrivania, assorta.
“Allora, hai scoperto
come rendere un
guadagno il mio rapimento, o ancora ci stai pensando?”
Domandò
poi di punto in bianco,
rompendo il silenzio che si era formato. Inghilterra sorrise appena,
poi annuì col capo.
“Che
ne dici di uscire dall'Asse?”
La
domanda le arrivò in sordina,
all'improvviso. Tanto che la donna ci mise un poco a comprenderla
appieno e somatizzarla.
“Cos'è
che mi hai chiesto? Temo di
non aver capito bene...”
“Hai capito benissimo,
donna”
Rispose l'inglese, fissandola in volto serio “ti ho proposto di
uscire dall'Asse e diventare un avversaria di Germania. Certo,
saresti considerata solo come paese liberato e senza alcun diritto di
intromissione nelle scelte politiche, e alla fine saresti comunque
tra gli sconfitti. Ma avresti la protezione e l'appoggio militare
degli alleati per liberarti dal fascismo... e dai tedeschi.”
Avvertì
distintamente la donna davanti
a lui trattenere il respiro, per un tempo che gli parve umanamente
inaccettabile. Le sue mani, sottili e nervose, erano tanto tese sui
braccioli della poltrona che le nocche erano bianche. Bé,
gli aveva
gettato addosso una bella patata bollente, una di quelle che ti
bruciano mani e palato e poi rimangono nello stomaco a lungo. Ne
approfittò per studiarne il volto, impallidito e dai tratti
tesi,
circondato da un'aureola di capelli ondulati color miele scuro; Gli
occhi
grandi e dal taglio arrotondato erano spalancati verso un punto oltre
la sua spalla, e le pupille erano tanto estese da sembrare due pozzi
neri circondati da un anello d'oro. Ogni tanto avvertiva un fremito
della mascella sotto le guance che si diramava lungo il collo, dove
la carotide pulsava a vista d'occhio. Si costrinse forzatamente a non
scendere oltre con lo sguardo, dove il lino della camicia gemeva ogni
volte che il respiro pesante e lento, ricominciava a gonfiarle il
petto.
...Si,
vabbé. Chi diavolo stava
prendendo in giro, il suo stesso cervello? Approfittando della
distrazione inconsapevole dell'altra, si mise a fissarle impunemente le
tette. Grande, grandissima invenzione della natura, le tette
femminili... Soprattutto quelle che stavano su senza quei trabiccoli
infernali chiamati reggis- Oh my fucked Holy Shit. Non portava il...
sotto la camicia non aveva..
“Mi stai chiedendo di
venir meno al
patto d'acciaio? Di tradire Ludwig?”
Domandò
con voce stranamente calma
Italia, mentre i nervi stanchi di essere sotto tensione si
rilassavano facendola nuovamente affondare nello schienale. L'inglese
dissimulò dietro un colpo di tosse l'incipiente mancanza di
ossigeno
al cervello, cercando di riprendersi. Doveva sembrare diplomatico, o
tutta quella storia non sarebbe servita a nulla.
“Ti sto chiedendo di
fare la scelta
saggia per il tuo popolo. Posso assicurarti che finché
continuerai
ad avere al governo Mussolini e i suoi gerarchi filotedeschi, l'unica
fine della guerra accettata dall'alleanza sarà la resa
incondizionata. So anche grazie alle mie spie che i movimenti
antifascisti stanno prendendo piede anche nelle città che
sembravano
immuni, e praticamente tutto il Sud non vuole più avere i
crucchi in
casa. Se continua così, sai bene che non solo avrai da
combattere
contro di noi... ma anche contro il tuo stesso popolo. E i risultati
puoi immaginarli da sola”
“Chi mi assicura che
con una simile
mossa riuscirei a contenere i danni? La presenza fascista e tedesca
è
così radicata nel mio territorio che dubito fortemente
possano
accettare un voltafaccia così repentino. Anzi.”
Mormorò l'altra,
dopo una lunga pausa di cogitabondo silenzio. Se non altro,
pensò
l'inglese, stava valutando la proposta. Evidentemente la situazione
attuale pesava parecchio anche a lei.
“Purtroppo”
Sospirò ora l'uomo,
tamburellando la punta delle dita sul dorso della mano avversa,
ancora intrecciate tra loro “Niente
può dare a nessuno questa
sicurezza. L'unica cosa che potremmo fare noi e dare supporto
militare ed economico, se tu scegliessi di arrenderti
volontariamente”
La
donna chiuse gli occhi, coprendoli
con il braccio destro. Improvvisamente sembrava sfinita,
completamente esausta. Come se tutto il peso della guerra in Europa
gravasse sulle sue spalle.
Ed
in effetti, al momento era proprio
così. Per quanto fosse tra le nazioni coinvolte la
più debole
militarmente, il solo fatto di esserci teneva la situazione in uno
stallo pericoloso. Finché Italia fosse stata a fianco della
Germania, per gli alleati attaccare sul fronte occidentale avrebbe
significato unicamente dividere le proprie forze in troppi fronti e
indebolirsi inutilmente: la Francia libera sarebbe stata un campo di
battaglia enorme e tatticamente svantaggioso, fino a che il fronte Sud
non fosse
stato preso... E ancora il fronte orientale non era assicurato,
nonostante i successi di Stalin.
Il
che significava anche che, se
l'alleanza fosse riuscita a portare la nazione peninsulare dalla sua
parte, Germania non avrebbe avuto più le spalle parate
né alcuno
sbocco sul Mediterraneo, cosa che l'aveva portato alla sconfitta
già
nella Grande Guerra. Nessuno stato cuscinetto a proteggerlo
dall'attacco combinato di Russia a Est e da loro a Ovest. Senza
contare che dal territorio italiano potevano colpire direttamente la
nazione tedesca, spostando di fatto il conflitto dalla difesa, come
era stata fino a quel momento, ad una posizione di attacco. Era
l'unico spiraglio possibile per aprire, finalmente, il secondo
fronte.
Certo,
invece di proporre alla donna un
armistizio segreto avrebbe potuto seguire le linee guida ufficiali
date a Casablanca e quindi optare per una conquista armi in pugno
dell'Italia e la conseguente resa incondizionata della nazione, ma
era una soluzione quasi peggiore dello stallo. Si sarebbero trovati
addosso entrambi gli eserciti dell'Asse, e stavolta non avrebbero
potuto contare sui mancati arrivi degli approvvigionamenti e sulla
mancanza di strutture logistiche degli avversari come spesso era
successo in Africa. Erano più forti e preparati allo scontro
aereo e
sulle prime secondo i loro calcoli avrebbero avuto il vantaggio, ma
sul combattimento terrestre, dove realmente si fronteggiavano gli
eserciti e si decidevano le battaglie, era tutta un'incognita.
Soprattutto perché se c'era qualcosa di sicuro sul popolo
italiano
era che quanto più le gerarchie a salire, sia politiche che
militari
erano degli inetti palloni gonfiati, tanto più quelle alla
base, i
soldati, gli ufficiali di basso rango e addirittura la popolazione
civile era testarda, determinata a difendere la propria terra con le
unghie e con i denti e capace di azioni eroiche al limite del
suicidio per rallentare anche solo di un metro di terreno l'avanzata
del nemico. Evidentemente secoli di conquistatori avevano reso quel
popolo tanto avverso alle invasioni di qualsiasi tipo da renderli
quasi idrofobi all'idea di un nuovo “padrone”. Ma
se invece
fossero riusciti a passare dalla parte dei liberatori...
Senza
spostare troppo il braccio, la
donna lanciò un'occhiata di sbieco verso l'altra nazione
dietro la
scrivania; dalla sua espressione, l'uomo intuì che avevano
nella
mente gli stessi identici pensieri. Era solo questione di politica e
freddo calcolo, ora. Confrontati i costi e i guadagni, aggiungendo
rischi e possibili incognite di ogni tipo, bisognava vedere se alla
fine della funzione il risultato sarebbe stato passivo o attivo. Pura
e semplice matematica.
“Non è una
decisione che posso
prendere da sola, ora” Dopo la lunghissima pausa
meditativa,
sentire la voce della donna risvegliò Inghilterra dalla
trance in
cui era caduto. Sbatté le palpebre per recuperare il focus
dei
pensieri, e annuì leggermente con un gesto del capo. Come
incoraggiata dal movimento, Italia proseguì
“Rovesciare il Duce
ora come ora
sarebbe equiparabile ad un colpo di Stato, e il caos che ne
conseguirebbe porterebbe i fascisti a fare quadrato e diventare, se
possibile, ancor più ingestibili e cruenti. Dovrei
consultarmi con
le forze dell'opposizione e coi vari gruppi partigiani, vedere come
sia possibile organizzare un governo in grado di mantenere un minimo
di stabilità, e trovare l'appoggio della corona. Il
tutto” sospirò
pesantemente, mentre il braccio fino a quel momento sul viso ricadeva
a peso morto sul bracciolo, dopo aver lasciato scivolare la mano
lungo tutto il volto con fare stanco “Cercando di non
attirare
troppo i sospetti del Terzo Reich e del Führer,
almeno fino a quando non si abbia la certezza del fatto compiuto.
Cosa difficile, visto come questi di primo acchito già non
si fidi
per nulla di me.”
“Quindi”
La interruppe Inghilterra,
mentre si alzava dalla sedia per girare attorno alla scrivania e
posizionarlesi davanti, ora appoggiato con le chiappe sul piano di
legno coperto dalla pelle verde scuro “accetti la richiesta
di
armistizio all'alleanza?”
“Non ho detto questo.
Solo che devo
valutare ogni possibile ipotesi, e capire quale possa essere
più
vantaggiosa e indolore, relativamente parlando. Se capissi che la
situazione generale fosse eccessivamente negativa e costosa in
termine di vite umane, a fronte di un piano di governo completamente
stravolto, resterei nelle mie posizioni” Rispose
la donna, alzando
il capo per continuare a guardare l'altro in viso, ora che si era
alzato “Ma per
far questo devo tornare nel mio territorio.
Imprigionata quassù, a migliaia di chilometri di distanza,
non posso
far nulla...”
“Lo so”
Annuì l'altro,
intrecciando le dita in grembo “Ma
ancora non posso lasciarti
andare. Comprendi anche te che non sei la sola su cui possiamo fare
pressione per una risposta positiva, e per il momento ci conviene
tenervi separate il più possibile. Sai... era uno dei motti
di tuo
nonno, mi pare. Divide et Impera. L'ho sempre trovato
illuminante.”
La
donna lo guardò per un momento
spaesata, poi un lampo di comprensione le passò negli occhi
dorati,
che si indurirono di colpo “Lavinia”
mormorò, stringendo i
denti in un basso ringhio cupo
“Cosa
avete intenzione di farle?”
“Io personalmente,
nulla. Il mio
compito è occuparmi di te” Sorrise
maliziosamente, inclinando il
capo verso la spalla mentre ne fissava l'espressione truce,
“A tua sorella ci
penseranno America
e Canada, direttamente a casa vostra. Sappiamo già che a
differenza
tua lei è sempre stata avversa alla Germania, ma nonostante
tutto ha
comunque seguito le tue direttive e non penso che cambierà
partito
solo chiedendoglielo gentilmente. Anzi, da quel che ricordo”
L'inglese sospirò, sollevando lo sguardo per perderlo nel
vuoto dei
ricordi “Le
parole Lavinia e gentile non le ho mai sentite
pronunciate assieme nella stessa frase, in tutti i secoli che vi
conosco. Credo che la tua dolce sorellina non ne comprenda nemmeno il
più basilare significato. Se può far qualcosa per
far dispetto ad
un altro, anche a costo di rimetterci la farà. Ma purtroppo
per lei
America è esattamente della stessa pasta. A costo di
rimetterci, pur
di far prevalere la sua volontà è in grado di
fare le peggio
porcate...
Dimmi, secondo te quanti
attacchi dovrà
subire per prendere la giusta decisione?”
Sibilò
l'ultima frase, una palese
minaccia con fare mellifluo e amichevole, guardando la donna
dall'alto in basso. Quest'ultima, ancora innervosita, cambiò
espressione per due volte alla velocità della luce. Partendo
dal
ringhiante, si era trovata a trattenere uno sbuffo ironico quando
Inghilterra aveva – perfettamente, doveva ammetterlo. Ma non
lo
avrebbe mai fatto a voce alta – descritto il
“docile”
caratterino della sorella. Salvo poi passare allo stupefatto, e poi
seriamente preoccupato quando senza nemmeno tergiversare l'altro
aveva annunciato il rischio che la parente rischiava per colpa della
ben più prepotente e giovane nazione d'oltreoceano. Non si
sforzò
nemmeno di fingersi superiore alla minaccia.
“È
uno scherzo... Non
può davvero... Non oserà...” Deglutì
pesantemente, prima di alzarsi di scatto dalla poltroncina, e con un
passo avvicinarsi all'uomo per afferrargli, con le mani tremanti, lo
scollo della giacca “No.
Non posso permettere che accada.
Assolutamente no. Devo tornare a casa. Devo... Fammi tornare
immediatamente da mia sorella!”
Inghilterra
vide gli occhi dell'altra
farsi decisamente lucidi, brillare alla luce del lampadario. Li tenne
fissi su di lui per qualche istante, prima di farsi vacui e perdersi
dietro a pensieri disastrosi. Le labbra e le mani le tremavano,
poteva sentirlo da come le strattonava la giacca tendendola tra le
dita arpionate. Con fare lento districò le dita dal loro
precedente
intreccio, e le alzò fino a stringere i polsi della donna.
Erano
sottili, freschi e frementi, e ne avvertiva il battito sul palmo
bollente. Avanti, c'era quasi...
“Tranquillizzati.
Non sarà domani né
dopodomani. Ancora deve finire la campagna d'Africa, e dobbiamo
riorganizzarci. Luglio, al minimo giugno. Per cui... no, Non ti posso
permettere ancora di tornare in Italia”
C'erano
dei momenti in cui si sentiva
in colpa. Momenti come quello, ad esempio, che l'avevano spinto a
rivelare alla donna ben più di quanto avrebbe dovuto. Ma non
importava. Non avrebbe cambiato nulla nella sua tattica, a questo
punto.
“Tu...
puoi impedirlo?”
Eccola
là. Caduta nella sua tela come
una farfalla suicida. L'uomo sentiva le labbra piegarsi autonomamente
in un ghigno di vittoria, e fece ricorso a tutto il suo self-control
per trattenersi. Non era ancora il momento...
“...Forse.”
“Allora fallo!
Io...” la donna
abbassò lo sguardo, rilassando le dita fino a far scivolare
le mani
in basso. Un gesto decisamente di rassegnata rinuncia “Farò tutto
quello che vuoi, ma tieni lontano quell'imbecille da mia sorella. Una
guerra è una guerra, e affrontandola siamo partite
già mettendo in
conto di ricevere danni... ma non posso permettere che qualcuno si
approfitti di lei, o peggio ancora di Serena o Gregorio*****. Non lo
accetterò mai.”
L'inglese la
fissò in silenzio, gli
occhi verdi incapaci persino di battere ciglio. Dopo la prima frase,
il suo cervello aveva semplicemente chiuso i battenti, rifiutandosi
di registrare le altre parole della donna.
Insomma,
si era studiato la parte e
ogni possibile variante, decine di domande e risposte e altrettanti
scenari, da quelli più idilliaci a quelli in cui doveva
raccogliere
i suoi denti da terra. In parecchi di questi la frase veniva detta e
ripetuta – spesso con toni più maliziosi - ma...
Holy shit.
Sentirla realmente pronunciata dalla voce di Italia aveva un effetto
completamente diverso dall'immaginarlo nella propria testa. Un
effetto... spiazzante. E non solo.
Ehi.
Ehi
Ehi Ehi.
No,
non di nuovo. Ma che era, un
adolescente in crisi ormonale? Due volte nella stessa serata, era
davvero messo così male?
Merda.
Merdamerdamerda. Si sentiva già
il sangue defluire da una testa... per andarsene nell'altra. Merda.
Di
scatto la scostò da sé,
spingendola via con entrambe le mani. E prima che l'altra capisse
come mai da in piedi era di nuovo seduta sulla poltrona, lui era
già
tornato dietro la sicura protezione della scrivania, sguardo basso e
mani intrecciate nervosamente sul piano. Pesante, solido e
soprattutto coprente piano di rovere. Una garanzia.
“Non
posso assicurarti che ne uscirà
intera. A prescindere da quel che deciderete o meno, subirete degli
attacchi. Pesanti attacchi, e pesanti perdite. Mettilo in conto.
Quanto al tenere America lontano da lei... Posso solo dire che
tenterò di frenarlo. Ma una buona percentuale di peso
l'avrà anche
il comportamento di Sud Italia”
Parlò
di corsa, come a buttar fuori
tutto in un colpo solo. Lo sguardo fisso sulle mani e il respiro
corto. Comunque, l'altra nazione non sembrò cogliere il
momento di
impasse, ancora sconvolta dalle rivelazioni poco prima ricevute. La
sentì sospirare pesantemente, e sollevando appena lo sguardo
la
trovò con le ginocchia piegate e i piedi sulla poltrona in
una
posizione fetale. Teneva le braccia attorno alle gambe per stringerle
al petto, e aveva il capo abbassato sulle ginocchia per nascondere il
viso. Troppo presa dalla preoccupazione, era entrata in uno stato di
silenzio, e così fece anche lui, seppur per motivi
completamente
diversi.
“Se possibile...
vorrei farti
un'altra domanda” Disse la donna, dopo parecchio
tempo passato nella quiete totale rotta solo dalla pioggia che cadeva
imperterrita e dal fuoco in fase di spegnimento. Inghilterra
sollevò il capo di scatto, dopo essersi
calmato si era quasi dimenticato della sua presenza nella stanza,
tanto l'altra era rimasta in disparte accucciata sulla poltrona.
“Prego,
fai pure...”
“... Sei
gay?”
“...
Cosa, scusa?”
“Ti ho chiesto se sei
gay” Ripeté
Italia, con tono serio mentre lo fissava assorta.
“Si può
sapere come ti è venuta in
mente una cosa simile proprio ora? E comunque... no, non lo sono. Ma
che razza di domande...” Rispose infine l'altra
nazione, in
evidente stato di imbarazzo.
“Ne sei proprio
sicuro? Perché sai,
non dai quest'impressione. Sai com'è... Bazzicando sempre
Francia,
Spagna e Cina... insomma, chi va con lo zoppo impara a zoppicare, si
dice” Tentò ancora la donna,
tendendosi sulla poltrona verso di
lui, nonostante la posizione accucciata. Che in risposta si tese a
sua volta, Le mani larghe sul piano dello scrittoio e lo sguardo
fisso e stralunato. E con tono fermo, ripeté fissandola
negli occhi.
“Non. Sono.
Gay.”
“...
Merda. Ho perso”
“Mi scoccia dovermi
ripetere, ma...
cosa, scusa?”
“Avevo scommesso con
Gilbert sul
fatto che tu fossi omosessuale. Sai, mentre chiacchieravamo su tutti
voi alleati... ci ha preso quel brutto bastardo scolorito. Lui e quei
suoi dannati diari del cazzo, sa sempre tutto di tutti”
Sbuffò la
donna, mordicchiandosi l'unghia del pollice visibilmente contrariata
e ritraendosi di nuovo, dondolando appena nella sua posizione.
Inghilterra non sapeva se offendersi, arrabbiarsi o mettersi a
ridere. Optò per un misto tra le tre cose, ma solo nella sua
testa:
doveva comunque mantenere un briciolo di savoir-fare. Con fare
tranquillo si alzò dalla sedia imbottita per avvicinarsi
alla
finestra, dando le spalle all'altra, e le nascose così una
serie di
smorfie e di imprecazioni a mezza voce a stretto contatto con la
lastra gelida e bagnata – e a questo punto anche appannata
– di
vetro. Quando finì parecchi minuti dopo, tornò a
sedersi di fianco
alla donna sull'altra poltrona di fronte alla scrivania, le mani che
fremevano appena sulle ginocchia dischiuse. E il viso solamente un
poco arrossato.
“
Ma non eri in crisi mistica per
quello che ti avevo detto, te?”
Italia
si prese un po' di tempo per
rispondere, poi si strinse nelle spalle “Non posso continuare
a
essere preoccupata. Mi sembra che il cervello mi vada in fusione...
per questo ho cambiato argomento. Meglio pensare a qualcosa di
divertente, o fino a giugno morirò di crepacuore,
temo”
Inghilterra
non poté far altro che
annuire “Ehm...
e questi discorsi che avete fatto te e Prussia, si
possono conoscere o sono segreto militare?”
domandò infine,
mantenendo un tono di finta noncuranza. Se Italia se ne accorse o
meno non lo seppe dire, ma dopo una penetrante occhiata l'altra
sospirò e stringendosi nelle spalle disse “bé, io
avevo scommesso
sul fatto che tu fossi omosessuale passivo ma senza tendenze
particolari, mentre Gilbert sosteneva che nonostante tu sia etero hai
anche la faccia di un masochista che si eccita nell'essere messo
sotto. Eravamo invece piuttosto d'accordo sul fatto che America sia
un coglioncello vergine che non saprebbe trovarsi il culo da solo
nemmeno a cercarlo con entrambe le mani, figuriamoci quello di
qualcun altro” la donna ci pensò un
attimo, poi aggiunse a voce
bassissima “E
Dio solo sa quanto spero che sia vero, ora come ora.”
Sbuffò, per poi riprendere a parlare con voce più
alta “Francia
è
spiccatamente masochista, ma lì praticamente era sparare
sulla croce
rossa. Senza contare che quel dannato di mio cugino è
praticamente
pansessuale, si farebbe pure una statua se trovasse il buco apposito.
Canada pare un mollaccione, ma sotto sotto ha l'aria di essere uno
che tromba come un riccio. Però sembra anche gentile e senza
la
capacità di imporsi su chicchessia. Mentre Russia ha una
spiccata
vena sadica. E soprattutto non gli importa di quel che gli capita
sotto le mani. Un buco è un buco, a prescindere da quel che
ci sta
attorno. Ma per Gil è anche un po' masochista, e... che
succede?”
Italia
si interruppe nel suo monologo,
quando si accorse che Inghilterra si era praticamente accartocciato
su sé stesso, la testa così piegata in basso da
stargli
praticamente tra le gambe e le braccia sopra di questa riunite tra
loro in una buffa forma di preghiera, tremante come una foglia. Lo
avrebbe creduto ridente e incapace di nasconderlo, o incazzato e
altrettanto propenso nel darlo a vedere? Oppure stava pensando che
gli fosse semplicemente venuto un ictus, cosa che avrebbe reso alla
donna la situazione più semplice. Nah, non glie l'avrebbe
mai data
vinta così facilmente. Meglio che non ci avesse sperato
nemmeno,
sarebbe stata una unicamente delusione, altrimenti.
Un
po' titubante la donna si sporse a
lato sul bracciolo della poltrona, e allungando la mano
sfiorò
appena la spalle dell'altra nazione, per richiamarne l'attenzione.
“Ehi...
ci se- ”
Fece
uno scatto sul posto, quando
Inghilterra tirò su la testa per guardarla dal basso, gli
occhi
pieni di lacrime per le risate “ah... scusa. Mi sono perso
alla
descrizione di Americ... pffffhhhh” E di nuovo
scoppiò a ridere,
stavolta senza trattenersi, tanto che dopo un po' cominciò
addirittura a singhiozzare in carenza di aria.
Italia
restò a guardarlo spaesata,
completamente presa in contropiede dallo scoppio di ilarità
della
nazione che aveva sempre, sempre mostrato al mondo solo un piglio
imbronciato come unica espressione. Al massimo il ghigno. La risata
era contagiosa, ma per via della sua situazione non ne venne del
tutto presa e riuscì a nascondere l'accenno di riso dietro
una
smorfia sbilenca sulle labbra, mentre si passava la mano sul collo,
in difficoltà. Attese così che l'altro si
calmasse, e riprendesse
abbastanza fiato da non sembrare più un gambero bollito.
Sebbene
ogni tanto avesse delle ricadute, e scoppiasse in una risatina
isterica trattenuta a stento. Si, decisamente era più
inquietante
quando rideva di quando era infuriato, lo ammetteva da solo.
“My god, ma come
diavolo vi vengono
certe uscite? Farsi simili viaggi mentali è da pazzoidi,
fidati...”
brontolò infine l'uomo, asciugandosi un'ultima lacrima.
Prese un
grosso sospirone e tornò ad appoggiare la testa sullo
schienale
imbottito del divanetto, esausto.
“Bé”
Accennò timidamente la
donna, distogliendo lo sguardo per portarlo alla finestra, dove oltre
il velo di pioggia che ancora cadeva avvertiva la forma dei rami
ancora decisamente spogli stagliarsi neri sullo sfondo del cielo
grigio antracite “...
le notti sono lunghe da passare in trincea.
Tocca pur inventarsi qualche passatempo. E quale migliore se non
sparlare dei propri nemici? Non mi vorrai far credere che voi non
avete mai malignato alle nostre spalle...”
Quando
riportò lo sguardo su
Inghilterra, lo trovò intento a fissarla, ora con sguardo
pericolosamente serio e tagliente. Deglutì appena,
ricambiando
l'occhiata in vago senso di allarme. L'uomo non disse nulla per un
po', poi sospirando socchiuse di nuovo gli occhi. “Touché. In
effetti si, abbiamo sparlato parecchio di voi... e anche di te, si.
Ad essere completamente onesti, soprattutto di te. Capirai che essere
l'amante di Germania ti pon-”
“Io non sono l'amante
di nessuno”
Lo
interruppe la donna, raddrizzatasi
di colpo sul divano. Aveva lo sguardo freddo e serio, e non sembrava
affatto negare solo per imbarazzo, ma più con rassegnazione
e
stanchezza. Inghilterra però non seppe dire se fosse stato
quello
sguardo o quelle parole o ancora uno strascico di euforia precedente,
ma di colpo si era sentito lo stomaco leggero. Incredibilmente
leggero. “Solo
perché siamo amici molto stretti, condividiamo gli
stessi ideali – più o meno – e daremmo
la vita l'uno per l'altro
non significa che siamo amanti. Anzi, ti pregherei di non offendere
il rapporto che ho con Ludwig con simili basse insinuazioni,
né di
relegarlo ad una mera e squallida attrazione sessuale”
Di nuovo
sbuffò, incrociando le braccia sotto al seno con fare
indisponente
(gesto che non sfuggì allo sguardo di Inghilterra. Non aveva
cambiato parere da prima. Quella camicia era e continuava a stare
decisamente male, addosso alla donna. Troppo stretta sul petto. Non
che gli dispiacesse, affatto. Ma avrebbe preferito che avesse addosso
qualcosa di più adeguato alla situazione. Lui stesso, ad
esempio. Ehm...), mentre continuava a mantenere lo sguardo fisso
sull'altra
nazione, in tono di sfida “Ludwig
potrebbe avere tutti gli amanti
che vuole, non cambierebbe una virgola ciò che provo per
lui. La
stessa cosa vale per me e i suoi sentimenti. E questo discorso
può
valersi anche per Kiku, per Elizabetha e tutti gli altri...”
“Ma ci vai a letto
insieme” Chiese
di colpo l'uomo, stupendosi da solo della sua morbosa
curiosità.
Insomma, dov'era andata a finire la sua (in)naturale compostezza
britannica? “Insomma,
quello che volevo dire...”
“Si.”
Oh.
Lo stomaco era tornato al suo
posto, portandosi dietro qualche chilo di sassi raccolti per strada.
“A me non piace
dormire da sola. Mi
tornano alla mentre troppi ricordi del passato che sarebbe meglio
restassero sopiti” In barba ai problemi gastrici
dell'altra
nazione, Italia continuò a parlare, lo sguardo ora
meditabondo
rivolto alle lampadine sospese sopra la loro testa, e le mani
intrecciate attorno alle ginocchia piegate “Perciò
ogni tanto mi
infilo nel letto di Ludwig. Mi basta sentirne il respiro per stare
tranquilla e riuscire a dormire” Oh di nuovo.
Quindi dormono solo?
Tutto qui? Niente risvolti piccanti?
…
Come per magia, il groppo allo
stomaco era sparito di nuovo in un triplice giravolta su se stesso
con doppio scappellamento a destra. Libero e leggero come un aquilone
nella brezza di primavera. Sicuramente la colpa di tutto quel
rimestio di budellame era del doppio piatto di tagliatelle che si era
sgrufolato a cena, seppur brontolando come una suocera, non aveva
dubbi di sorta. Comunque quel Germania era un santo, dormire con una
donna così accanto e... non fare nulla. Decisamente un
santo.
Stranamente la cosa glielo fece piacere un pochettino di
più, ma
comunque gli stava sempre sulle palle.
“Eppure,
ammetti che potresti
tradirlo, nonostante il grande legame che vi lega”
Da
come la donna si bloccò,
spalancando gli occhi sconvolta, Inghilterra capì di aver
fatto
l'ennesima grossa minchiata della giornata. Cacchio, era tanto
così
dal convincerla... altro che fine diplomatico, si sarebbe preso a
calci in culo da solo.
“...Sono due cose
distinte.” La
voce di Italia interruppe la sua esecuzione capitale nella sua mente,
dove era al tempo stesso condannato, giudice e boia. “Come nazione,
devo pensare per prima cosa al benessere della mia terra e del mio
popolo, a prescindere da quel che come persona possa sentire per Ludwig
o per chiunque altro. Se la situazione fosse così disperata
da non
lasciarmi altre possibili vie di uscita, sarei disposta persino ad
abbandonare Lavinia, sebbene sappia già che non riuscirei
mai più a
perdonarmelo. Forse sbaglio, ma ritengo che le questioni politiche e
quelle personali debbano essere ben separate... anche per noi.
Soprattutto per noi, che siamo alla completa mercé dei
nostri stessi
popoli e governanti.”
Oh.
Politica internazionale e
sentimenti completamente scissi... Aveva senso. Decisamente molto
senso. Inghilterra sospettò che molto del ragionamento
dietro a quel
dogma fosse dovuto alla situazione storica della donna. Abbandonata
da bambina dal nonno, continuamente in balia degli altri, spesso e
volentieri in lotta persino con sé stessa nei propri
confini, e a
lungo tenuta lontana dalla sua adorata sorella. Separare la sua
natura di nazione dai sentimenti che poteva provare per i suoi cari,
probabilmente era il miglior modo per tirare avanti senza impazzire
che avesse trovato. Forse addirittura l'unico.
“... Come mai chiami
tutte le nazioni
per nome?” cambiò improvvisamente e
in modo arbitrario argomento
l'uomo, che nel frattempo si era sporto in avanti appoggiando il
mento al palmo della mano “Di
solito ci si appella tra di noi con
il nome del nostro paese, ma tu non lo fai, per lo meno coi tuoi
compagni dell'asse. O mi sbaglio?”
“Non ti sbagli.
Chiamo per nome
chiunque ritengo degno della mia amicizia e fiducia”
Gli sorrise
tiepida la donna, inclinando il capo verso la spalla “Ed accetto di
essere chiamata per nome solo dalle nazioni che rispetto e a cui sono
legata”
“Quindi, se ti
chiamassi col tuo
nome...”
“...
Mi darebbe particolarmente
fastidio, si.”
Inghilterra
sorrise con soddisfatta
malizia.
“Il che renderebbe
particolarmente
felice me. Per cui, Felicia, penso proprio che d'ora in poi ti
chiamerò per nome” Il sorriso sulle
labbra sottili della nazione
si ampliò, allo scorgere una smorfia indispettita sul volto
dell'altra. Era uno spasso vederla diventare rossa in volto, con gli
occhi che scintillavano di rabbia alla luce delle lampade a
incandescenza. Sembravano quasi più lucenti del solito, non
solo
ambra ma puro oro liquefatto. E se c'era qualcosa che Inghilterra
aveva sempre amato, bé, quello era l'oro.
“Io invece
continuerò a chiamarti
Inghilterra. O faccia da culo, a seconda della diplomazia che serve
in quel particolare momento. Spero che non ti dispiaccia... ma anzi,
se ti dispiace è meglio. Sai com'è...”
Nel frattempo aveva
tentato di alzarsi dalla sua posizione, ma venne subito rimessa a
sedere dal movimento identico e più irruente dell'uomo, che
si era
alzato di scatto e usando come perno la gamba destra si era teso
verso di lei, posando le mani sullo schienale del suo divanetto. Con
la conseguenza di incastrarla tra lui e il mobile. Nel far questo
però, era rimasto completamente in silenzio, apparentemente
del
tutto disinteressato alla sua frecciatina. Continuò
semplicemente a
fissarla, con espressione neutra ed assorta per parecchio tempo,
forse addirittura qualche minuto. Alla fine Italia non
sopportò più
la tensione, e sbottò con nervosismo.
“...
Cosa c'è, ora?”
L'uomo,
dopo pochi altri istanti in cui
rimase ancora in silenzio a fissarla sospirò di colpo,
raddrizzandosi seppur rimase con le gambe appoggiate a quelle ancora
piegate di Italia. Lentamente si portò una mano al viso,
massaggiandolo con fare stanco, prima di passarla tra i capelli
spettinandoli.
“Felicia...”
"Ti ho detto che mi
dà fas-” la zittì
subito, tappandogli la bocca con la mano libera.
“Sta zitta un
po' e fammi concludere.
Felicia... io non sono omosessuale”
Mormorò, liberando il viso
della donna, quando questa smise di borbottare al suo palmo.
“Si, me lo hai
già detto. Ci credo,
sta tranquillo...”
“Ma
è da molto, troppo tempo ormai
che non ho una compagna stabile, se non si considera una piccola
avventura passeggera avuta con Belgio”
“Oh...”
“E
tu sei una nazione... no, una
donna molto bella. Estremamente bella e affascinante”
“Oh!?”
“E
ti sarei grato se facessi due più
due”
“...Oh.”
*
La Londra dei secoli passati – come
un po' tutte le grandi capitali europee e quelle contemporanee degli
stati emergenti – avevano un numero di abitanti incredibile
rispetto a quello che le infrastrutture potevano sopportare. Il che
significava inadeguatezza nella rete idrica e nelle fognature, con
conseguente rischio continuo di infezioni di ogni sorta, il
sovraffollamento di alloggi costruiti praticamente in ogni metro
quadrato di terreno, la mancanza di posti di lavoro per tutti e un
sottobosco di criminalità e delinquenza spaventoso. La
stragrande
maggioranza delle case era costruita principalmente di legno e
paglia, e il riscaldamento era dato ancora dal fuoco di legna, di
carbone e di torba, che in Inghilterra si trova in grandi
quantità.
Va da sé che gli incendi erano all'ordine del giorno, e
alcuni di
essi – come il grande incendio nel 1660 – distrusse
addirittura
l'80% della città intera. C'è da dire che per
ottenere un disastro
di simili dimensioni molto ci misero del loro i politici e i pochi
benestanti della città, più preoccupati a
proteggersi e a
danneggiare gli oppositori che a prendere decisioni tempestive per
arginare al massimo i danni. Nella stima ufficiale si
considerò il
decesso di pochissime persone, ma in quella reale si crede che le
morti in realtà fossero di centinaia, forse migliaia di
unità.
Quasi tutti poveracci che erano rimasti completamente carbonizzati in
quell'inferno, rendendo impossibile persino l'identificazione come
essere umano e non come macerie bruciate.
**
Il Kasserine è una zona della
Tunisia centro occidentale, dove nella seconda metà di
febbraio del
'43 si svolse una delle più importanti battaglie nel fronte
africano
tra le forze dell'Asse, guidate dal Feldmaresciallo Rommel, e le
forze angloamericane (soprattutto americane, nelle prime fasi della
battaglia). L'esercito italo-tedesco, in rotta dopo la sconfitta
avvenuta ad El-Alamein, si diresse verso la Tunisia ed occuparla, in
modo da avere una base solida per la resistenza e un facile accesso
ai rifornimenti grazie allo stretto di Sicilia. Gli alleati, per
cercare di contrastare questa situazione mossero a loro volta in
direzione di Tunisi, ma lo fecero in modo lento e sconclusionato.
L'incapacità di dialogo tra i vari eserciti –
inglese, americano e
francese, oltre a diversi battaglioni del sud Africa, Australia,
Nuova Zelanda, India e Grecia, fece si che questi si muovessero in
modo completamente asincrono con gli altri, rendendo di fatto le cose
più facili a Rommel. Quando per primi gli americani
arrivarono sul
fronte sotto alla dorsale delle montagne d'Atlante, erano dunque
soli. E sebbene avessero un equipaggiamento ben più moderno
ed
efficiente di quello italo-tedesco, la completa inesperienza sui
campi di battaglia di soldati e comandanti confronto ai veterani
dell'asse trasformarono quella che doveva essere il battesimo del
fuoco della nazione d'oltreoceano in un eccidio (si parla di 10.000
perdite tra morti, feriti e prigionieri americani a fronte di nemmeno
mille tra quelli italiani e tedeschi. Per quel che riguarda i mezzi
le perdite salgono addirittura a 30 unità per ogni singolo
carroarmato dell'Asse andato perduto). La cosa comunque fu comunque
di insegnamento per gli americani, che negli scontri successivi
–
supportati anche dalle più esperte compagnie inglesi e
francesi –
riuscirono a migliorare le loro capacità operative e
strategiche.
Insomma,
come prima prova Mr. America
se l'è preso nel didietro, e considerando la zona del
combattimento,
anche con un po' di sabbia tanto per gradire.
***
El Alamein è una città sulla
costa dell'Egitto occidentale famosa durante la seconda guerra
mondiale per essere stata teatro (non la città, il fronte
era in
effetti spostato di circa sessanta chilometri verso l'interno in una
depressione naturale che rendeva di fatto impossibile ai tedeschi la
possibilità di accerchiare l'esercito alleato) di uno dei
maggiori
scontri nella campagna d'Africa. Anzi, probabilmente è stato
il
punto di svolta di tutta la guerra, segnando con la vittoria
dell'esercito anglosassone (fu anche l'ultimo scontro in cui questo
ebbe ruolo preponderante, passando poi per il resto del conflitto a
ruolo di appoggio per l'esercito americano) anche l'inizio della
completa disfatta dell'Asse in Africa. E con questa, anche il destino
della battaglia nei territori d'Europa.
Sarebbe
troppo lungo descrivere tutta
la battaglia qui, (anche perché già ho sforato il
mio solito numero
di cartelle e ancora non ho nemmeno scritto le mie scemenze di fine
capitolo) quindi mi dedicherò solo alla estenuante e a
tratti eroica
protezione della ritirata tedesca ad opera dei battaglioni italiani,
tanto che Rommel famoso per essere estremamente parco nel elargire
complimenti, ne fu positivamente impressionato (ma effettivamente il
feldmaresciallo era molto più soddisfatto dei coraggiosi e
disciplinati soldati italiani che dei loro comandanti, da lui
ritenuti codardi e incapaci), inoltre suscitarono il rispetto e
l'ammirazione anche tra gli avversari inglesi.
Sebbene in
effetti – come al solito –
del tutto inadeguati sul campo degli armamenti e sul piano del
semplice valore numerico (poco più di 100.000 uomini in gran
parte
italiani sotto il comando di Rommel con 550 carri armati e 200 aerei,
contro le forze dell'Alleanza, dove la sola armata inglese poteva
contare 200.000 uomini e più del doppio dei mezzi e degli
aerei in
possesso dell'Asse) l'esercito italo-tedesco resse comunque la
posizione per più di dieci giorni, sebbene alla fine la
schiacciante
superiorità del nemico convinse Rommel a disubbidire agli
ordini di
Hitler e Mussolini (combattere fino all'ultima morte) e ripiegare in
una salvifica ritirata. A difesa di questa, rimasero solamente i
reparti italiani Littorio (133° divisione corazzata), Ariete
(132°
divisione corazzata) e Trieste (101° divisione motorizzata)
perché
impossibilitati in mancanza di mezzi ad arretrare come le altre
divisioni. Ormai abbandonati a loro stessi, senza il supporto di
carri armati o della contraerea, i soldati combatterono contro i
mezzi pesanti inglesi con molotov e dinamite, fino alla completa
disfatta rallentando gli alleati abbastanza da permettere ai
commilitoni di raggiungere la Tunisia.
Dopo di
queste, anche un'altra
divisione italiana rimase indietro per mancanza di mezzi ed
aiutò
nel rallentare l'avanzata anglosassone, la Folgore (185°
divisione
paracadutisti). Dopo due giorni di marcia forzata nel deserto, alla
fine quel che rimaneva della divisione dovette arrendersi alla
fanteria britannica, senza che nessuno di loro mostrasse bandiera
bianca o alzasse le mani al nemico. Il generale Hughes al suo comando
diede loro l'onore delle armi, e si complimentò col suo
generale per
il comportamento e la disciplina dei soldati.
L'intera
divisione, quasi del tutto annientata ad El Alamein e ridotta a
semplice battaglione nel '43 dove
venne completamente distrutto dai neozelandesi (ma sempre combattendo
oltre il limite delle umane possibilità), venne ricostituita
dopo la
fine della guerra come la Trieste e la Ariete, e ad oggi è
l'unica
brigata di paracadutisti dell'esercito italiano. Solo la Littorio non
ebbe questo destino scomparendo dal panorama delle divisioni
terrestri dell'esercito, in quanto il suo nome rievocava in maniera
plateale il periodo fascista.
Ugh.
E fortuna che dovevano essere delle
nota corte.
****
La conferenza di Casablanca – la
settima di molte ma la prima tra quelle più importanti
avvenute
lungo tutto il periodo bellico – si svolse nella seconda
metà del
gennaio '43. Ad essere presenti erano Roosevelt per l'America,
Churchill per l'Impero Britannico e De Gaulle per la Francia libera
(Stalin per l'Unione Sovietica fu il grande assente, ufficialmente
per l'impossibilità di lasciare la sua postazione, in
realtà perché
irritato dall'eccessiva lentezza degli stati alleati nell'aprire il
fronte a occidente).
Durante la
conferenza venne decisa la
linea guida per il proseguimento della guerra sul campo di battaglia
europeo, ora che il fronte africano era stato assicurato
all'alleanza. Soprattutto fu considerata l'ipotesi di aprire
finalmente il secondo fronte in Francia, per stringere in una morsa
sia da occidente che da oriente, dove l'esercito sovietico dopo una
prima illusoria ritirata stava triturando l'esercito nemico grazie
anche all'incapacità di questo di fronteggiare il terribile
inverno
russo. Gli inglesi, forti della loro esperienza tattica proposero di
cominciare l'offensiva europea dalle coste siciliane, le più
facilmente accessibili dalle basi logistiche in Africa. I generali
inglesi però si scontrarono con quelli americani, convinti
che si
potesse “saltare” questa fase per aprire il fronte
direttamente
nel nord Europa. Uno addirittura era fermamente convinto che si
potesse evitare proprio il combattimento terrestre, forte
dell'impiego dei nuovi bombardieri pesanti statunitensi.
Dopo dieci
giorni di trattative –
immagino che gli inglesi abbiano consumato quantità abnormi
di té e
medicine contro la gastrite – finalmente venne accettato come
linea
da seguire lo sbarco in Sicilia, denominato “Operazione
Husky”.
Alla fine
venne siglato anche il codice
di comportamento da adottare contro le potenze dell'asse: solo la
resa incondizionata poteva essere accettata. Questa scelta, che in
realtà ebbe come unico risultato quello di rendere la
resistenza
tedesca e giapponese ancor più tenace, servì in
realtà come
tranquillante per Stalin assicurandolo della volontà
angloamericana
di combattere e anche perché temeva negli armistizi la
possibilità
di vedersi scaricare addosso tutto il peso di quella guerra. Come
invece ci rivelò la Storia, vennero accettati gli armistizi
sia
dall'Italia (tra le nazioni del patto tripartito quella considerata
più facilmente riconducibile alla resa) che dagli stati
satellite
dell'asse: Romania (12 settembre 1944), Finlandia (19 settembre
1944), Bulgaria (28 ottobre 1944), Ungheria (4 gennaio 1945).
*****
Serena & Gregorio Vargas:
Rispettivamente la Serenissima Repubblica di San Marino e la
Città
del Vaticano (i nomi li ho scelti io, non esistendo nel fumetto i
loro personaggi, che io sappia). Sebbene siano due micro nazioni a
sé
stanti - San Marino è la più piccola repubblica
al mondo incastrata
tra le Marche e l'Emilia Romagna, mentre il Vaticano è una
città-stato così minuscola da avere addirittura
il proprio
territorio completamente dentro la zona metropolitana di Roma
– ed
entrambi si siano dichiarati neutrali durante la seconda guerra
mondiale, immagino siano comunque fratelli minori delle due
più
famose sorelle italiane, e quindi le due ci tengano a non vederli
immischiati in una guerra che potrebbe polverizzarli senza che i
nemici si accorgano nemmeno di essergli passati sopra. In effetti, mi
chiedo perché Himeruya abbia tralasciato questi due per
mettere
invece Seborga. Che manco esiste, in realtà... è
solo una trovata
del paese ligure per farsi pubblicità come attrazione
turistica >_>
Misteri
di Hetalia.
Angolo
del perché e del percome (che
nessuno ha chiesto)
Ed
eccoci finalmente al momento serio
della storia! Era l'ora che le due nazioni finalmente avessero una
chiacchierata faccia a faccia, anche perché altrimenti per
quale
cacchio di motivo Inghilterra dovrebbe tenere Italia dentro casa
propria? Perché è un porcello? Anche, ma non
è abbastanza.
Ed ovviamente
è un discorso serio,
molto serio. Perché in fondo parlano della guerra, e con la
guerra
non si scherza.
Ora, metto
subito le mani avanti e
ammetto di non essere assolutamente né una storica
contemporanea, né
una stratega militare. Quindi, è molto probabile che abbia
scritto
un cumulo di cazzate atroci mentre descrivevo i possibili rapporti di
peso politico che ha avuto l'Italia nella scelta dell'obbiettivo
dell'alleanza dopo la guerra d'Africa. O forse no, ho avuto
l'illuminazione mistica e ci ho preso, ma comunque non vi conviene
usare queste informazioni per un ipotetico compito in classe.
Le
note invece sono certificate dal
bollino C E (China Export, mica Comunità Europea, che vi
credete),
quindi sono genuinamente tarocche.
Dato
che però nei disclaimer oltre a
storico e introspettivo c'è pure commedia, non potevo
mantenere
tutto il capitolo sul pesante. Fortunatamente ci pensa Iggy ad
alleggerire il tutto con le sue perle da ambasciatore dei maniaci,
offrendoci il suo personalissimo punto di vista sulla scollatura
dell'altra nazione. E non solo su questa. È
difficile muovere un uomo e soprattutto immaginarne i pensieri, dato
che in tren*cade la connessione* anni non mi ero mai posta il
problema. Ma considerando che, in base agli studi scientifici un uomo
pensa al sesso circa ogni sette secondi, penso di esserci andata
anche piuttosto leggera U.u Comunque Italia per rientrare in Canon
non è assolutamente in grado di leggere l'atmosfera, no no.
Anche se
ce la vedo un sacco a spettegolare con Prussia sui vizietti delle
altre nazioni...
Concorsino
ino - ino: facendo finta di nulla ho lanciato un indizio su un
personaggio al momento solo nominato... chi lo indovina?
Quanto
alla parte finale... posso
spiegarla solo in un modo:
E
per la storia con Belgio... viene
tutto quanto da qui.
Quando ho letto questo fumetto sono morta dal
ridere. E poi sono risorta ma ancora stavo ridendo quindi ho
rischiato di morire di nuovo. Son cose belle.
Notizia
inutile della giornata: mi ero messa di buzzo buono a voler spiegare
il motivo per cui questa cacchio di storia si intitola “le
idi di
marzo” ma quando mi sono accorta di come mi sono
“leggermente”
dilungata sulle note a fine capitolo ho deciso in comune accordo con
me stessa che lo avrei fatto il prossimo capitolo. Così mi
sono
anche risolta il problema di cosa scrivere nel prossimo
“momento
Super Quark (che in realtà assomiglia di più al
momento Ulisse)”. Che genio!
Al
solito ringrazio chi ha recensito (Kesese_93 e Lady Monet), a tutte
quelle/i che hanno messo la storia tra i
preferiti/seguiti/ricordati/mi-son-stampata-la-tua-storia-e-la-tengo-nel-portafoglio-come-un-santino.
E anche a chi ha solo letto U.u
Un
bacione,
Monia
|
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Capitolo 7 *** 7. Quando distribuivano la furbizia, ero a far la fila per il gelato. ***
7.
Quando distribuivano la furbizia, ero a far la fila per il gelato.
“E
ti sarei grato se facessi due più
due”
“...Oh.”
Italia
rimase silenziosa a ricambiare
lo sguardo serio dell'inglese per parecchi minuti, domandandosi se
respirare più rumorosamente potesse essere preso come una
possibile
risposta. Alla fine però tra lo scontro di sguardi, che per
una
volta tanto non le provocò alcun cenno di ilarità
ma solo un senso
di nervoso disagio, dovette giocoforza sottrarsi con le pive nel
sacco. Improvvisamente il resto del volto inglese sembrò
più
interessante dei suoi occhi, che pure avevano un punto di verde
incredibilmente lucente e cristallino, difficile da poter descrivere.
Se non altro, oggettivamente parlando
aveva un bel viso. Regolare e lievemente spigoloso, aveva i tratti
fini di un ragazzo da poco entrato nell'età adulta, con un
accenno di
ricrescita della barba distinguibile solo a quella distanza sulla
mascella non troppo marcata e spigolosa. Peccato le sopracciglia che
appesantivano lo sguardo altrimenti giovanile e vivido (e i capelli
senza una forma alcuna. Altro che il parrucchiere, avrebbe avuto
bisogno di un miracolo divino). Sarebbe stato un buon elemento di
studio per un ritratto... E no. Non era il momento per lasciarsi
andare agli attacchi d'arte, sebbene per alcuni istanti avesse
sentito sotto le dita il fremito impaziente che provava quando
desiderava toccare qualcosa per studiarne la consistenza, la forma e
la sostanza in modo più approfondito e interiorizzato di
come
potesse fare con la semplice vista.
Piuttosto, in una scazzottata (meglio
prendere in considerazione ogni possibile scenario futuro) le avrebbe
dato del filo da torcere? Non aveva certo i muscoli e la prestanza
fisica di Germania o Prussia, e nemmeno l'imponenza e la stazza di
America e Russia. Anzi, era piuttosto magrolino e minuto,
più nervi
che muscoli; ciononostante, non sembrava facile da atterrare. Se la
giocavano alla pari, sebbene fisicamente fossero una l'antitesi
dell'altro. Buffo, si trovò a pensare mentre ne osservava il
pomo
d'adamo muoversi lentamente su e giù, come una simile
altezza e peso
(sperando almeno di essere più leggera. Sarebbe stato uno
smacco
troppo grande scoprire di aver addosso più chili di lui)
cambiassero tanto
al colpo d'occhio in base alla persona e al sesso...
Il
rumore di un ciocco carbonizzato che
si spezzava nel focolare la fece sussultare. Quanto tempo avevano
passato nel totale e imbarazzante silenzio? Da un lato anche troppo,
ma dall'altro avrebbe preferito rimanere zitta per sempre, piuttosto
che affrontare la situazione.
Ma dato che anche l'uomo non sembrava
aver alcuna intenzione di spostarsi per molto, molto tempo, e lei
cominciava a stare decisamente scomoda, si fece coraggio e si
schiarì
la voce.
“Ehm... s'è
fatta una certa. Mi sono
anche ricordata che devo rifare il letto per cui...”
di nuovo si
schiarì la voce con un falsissimo colpetto di tosse, e per
potersi
alzare posò la mano in avanti, sullo stomaco di Inghilterra,
solo un
accenno per spostarlo via. Ovviamente, non ebbe alcun successo. Tanto
era innaturalmente forte lei, tanto lo era lui. Anzi, il gesto
sembrò
divertire parecchio l'uomo che accennò un ghigno.
Sollevò la sua
mano a coprire e bloccare quella dell'altra nazione, stringendola
appena “Oh...
don't worry. Puoi dormire con me...”
“... Va bene. Ho
sbagliato esempio,
colpa mia. Devo... andare a preparare la colazione per domani. Ho
dimenticato di annaffiare le begonie. ...Devo lavare il gatto?
Ritirare la vincita del bingo?”
Continuò ad inanellare scuse, via
via sempre più palesemente false e forzate, mentre tentava
di
affondare dentro la poltrona pur di allontanarsi dalla sempre
più
incombente figura sopra di lei e di liberare la mano ora trattenuta
con insistenza e tenacia dall'altro.
Questa piega degli eventi non se
l'aspettava proprio. Certo, le avevano detto quando finalmente era
entrata a pieno diritto nel suo aspetto adulto di stato sovrano che
questo avrebbe potuto portarle più problemi che vantaggi, ma
in
fondo lo aveva pronosticato Austria. E tutto quel che usciva dalla
bocca dell'austriaco veniva automaticamente catalogata dal suo
cervello come cazzata senza alcun interesse. Quindi se ne era sempre
fregata e aveva continuato a vivere la sua esistenza tranquilla e
felice, sicura del fatto che la sua natura di nazione l'avrebbe fatta
scivolare indefessa accanto dall'eterna diatriba uomo-donna senza
venirne mai sfiorata. Maschio o femmina che fosse, era una creatura
al di sopra delle parti (e in effetti lei aveva sempre preferito la
compagnia femminile, per il puro piacere fisico) e a nessuno poteva
importare di meno di cosa facesse e di chi frequentasse al di fuori
della sua vita pubblica... fino a quel momento.
E
ora veniva fuori questo a dirle che
era una bella donna. Non il simbolo di un territorio, ma proprio una
donna.
Era...
destabilizzante. Nessuna
nazione, dacché lei ne sapesse, l'aveva mai considerata come
una
donna nel senso sessuale del termine. A parte forse Francis, ma
quello lì non faceva testo. Era interessato sessualmente a
qualsiasi
creatura del mondo animale, vegetale o minerale, gli bastava avercela
sotto le mani e in qualche modo trovava con cui sollazzarsi. Tanto
che tra lei e la sorella avevano ridato un nuovo significato al
termine “illibato”: colui o colei che corre
più velocemente del
francese (con una nota a margine di Lavinia: o anche solo
più
velocemente dell'ultimo tra gli inseguiti, solitamente Spagna).
Erano
diventate delle scattiste nate,
nel corso dei secoli. Dei fulmini.
…
No, si era sicuramente sbagliata.
Aveva capito male, poco ma sicuro. Tanto, capiva spesso fischi per
fiaschi, perché non anche stavolta? Sorrise nervosamente,
rialzando
lo sguardo verso Inghilterra che ancora la bloccava sulla poltrona,
la mano non impegnata a trattenere la sua sulla spalliera della
poltroncina a bloccarne il capo. Cercò nei suoi occhi chiari
la
prova schiacciante del suo fraintendimento, una nota d'ironia, anche
una velata presa in giro poteva andar bene.
Niente. Vedeva solo degli occhi fissi
su di lei dalle pupille tanto dilatate che sembravano due buchi neri.
Era davvero così serio nella sua proposta? … Non
è che...
“Ehm...
onestamente non credo che
un'alleanza anglo-italiana possa funzionare, ora come ora. A parte
che di solito bisognerebbe almeno essere due stati confinanti, per
rendere la cosa di una qualsivoglia utilità... ma poi siamo
palesemente in contrasto e i nostri popoli non hanno alcun punto in
comune, a parte l'essere entrambi esseri umani - anche se noi siamo
palesemente più belli e affascinanti. Non
funzionerebbe”
Azzardò
allora titubante, mordendosi
il labbro inferiore. Poiché non poteva essere realmente
interessato
a lei come persona, dedusse, sicuramente era questo il motivo per cui
aveva parlato di compagna. Anche se la cosa faceva lievemente a
cazzotti col piccolo particolare della guerra. E del fatto che
fossero sui fronti opposti. Anche sforzandosi un'unione tra le
nazioni italiana e inglese non avrebbe mai funzionato. Forse, e solo
per ipotesi, a livello economico con gli scambi commerciali...
Per
un attimo Inghilterra ristette,
come nemmeno l'avesse sentita. Quando però l'eco delle sue
parole
gli arrivò alla mente... spalancò gli occhi,
fissandola stralunato.
Boccheggiò per alcuni istanti, mentre guance e orecchie
cambiavano
colore vertendo su una delicata tonalità rossa. Oh, anche
lui come
Rose arrossiva senza motivo. Decisamente strani gli inglesi.
Poi...
scoppiò a ridere. Una risata
fredda, nervosa. Quasi isterica. Si scostò da lei con
veemenza,
dandole le spalle mentre si dirigeva alla finestra, per guardar fuori
la notte ormai avanzata.
“Holy God... la tua
faccia spaventata
è la cosa più divertente che abbia mai visto da
almeno cinque anni
a questa parte. Capisco perché metà d'Europa
abbia sempre cercato
di schiavizzarti... è esaltante trattarti male e prenderti
in giro”
La donna si morse il labbro inferiore, nonostante tutto le parve
più
saggio non attirare di nuovo l'interesse e lo sguardo dell'altra
nazione. Strinse i denti sotto le guance ingoiando una rispostaccia e
non disse nulla.
Per
un po' anche l'altro rimase in
silenzio, rendendo l'atmosfera tanto tesa e pesante che avrebbe
potuto tagliarsi con un coltello. Poi, sempre offrendole le spalle,
intrecciò le mani dietro la schiena e riprese a parlare.
“Ti
trovo insopportabile. Ti ho
sempre trovato odiosa, da che ho memoria della tua esistenza. Prima
della Grande Guerra quando nonostante tutto eravamo alleati, prima
dei Great Touring... Prima ancora che Francia venisse a vantarsi con
me della sua cucina, che in realtà veniva da
te...*”
Inghilterra
sospirò, e abbassando le
spalle con fare stanco appoggiò la fronte al vetro freddo,
sempre
tenendo il volto nascosto all'altra nazione mormorò piano
“Da
quando hai preferito mia sorella
Irlanda a me, per essere precisi”
Ahhh... dunque è qui che voleva andare
a parare. Ancora con quella storia dei vari anatemi che gli aveva
lanciato contro nei secoli passati quando aveva dato vita allo scisma
della chiesa anglicana.
Bé,
la maggior parte di questi se li
era meritati tutti, dal primo all'ultimo. Pensava davvero che dopo
tutto quel putiferio (per colpa del quale aveva perso un sacco di
potere sia in Europa che nel resto del mondo appena scoperto) lei
avrebbe più provato il benché minimo interesse
per la sorte degli
inglesi? Ma che fossero crepati tutti all'inferno, lei avrebbe
ballato sopra la tomba di tutti i suoi regnanti. Ovvio che per questo
motivo si era avvicinata ancor di più alla ben
più ragionevole
Irlanda – che in realtà ragionevole non lo era per
nulla, ma
Italia era sempre stata bravissima a rigirarsi le persone come le
pareva. Peccato che da quando aveva lasciato il potere cattolico in
mano al suo fratellino Gregorio per unirsi a Lavinia in una nazione
unitaria avesse perso un po' il tocco magico – e prima ancora
a
Scozia. Ma anche lo scorbutico rosso, alla fine, aveva ceduto alla
nuova religione. Decisamente quest'isola maledetta non le aveva mai
dato alcuna soddisfazione, dalla fine del dominio imperiale di
Britannia ad oggi...
“Non sono io che ti ho
rinnegato per
permettere al tuo re di sposarsi come e quando gli piaceva, anzi. Ero
arrivata a dare la licenza di matrimonio con la Bolena, nonostante il
tipo si fosse già fatto la sorella. Colpa tua e sua che
avete
pestato i piedi agli spagnoli e al Sacro Romano Impero... La
scomunica poi è stato un atto dovuto e meritato,
considerando anche
in che maniera oscena e brutale hai trattato i cattolici nelle tue
terre” rispose dopo aver fatto schioccare
rumorosamente la lingua
sul palato, incrociando le braccia sotto al seno con fare nervoso.
Ogni volta che ci ripensava si scaldava come un cerino, era uno dei
–
tanti – argomenti nel passato che la mandavano in bestia.
“Cielo,
avrà cambiato più mogli che
scarpe, quel dannato! Avrebbe potuto fare come tutti gli altri
regnanti d'Europa e mettere al mondo un figlio bastardo da
legittimare... ma no! Molto più salutare e logico divorziare
a
rotazione – magari facendo uccidere la precedente moglie
tanto per
– e far finta di mantenere una parvenza di puritanesimo,
eh?”
Italia sbuffò, scuotendo il capo con fare scocciato.
Disincastrò le
braccia solo per poter sventolare la mano sinistra, come a scacciar
via una mosca.
“Voi protestanti
anglicani avete una
morale contorta e ipocrita. Per voi non è importante non
peccare,
quello che conta è che nessuno lo venga a
sapere...” nel frattempo
si era alzata in piedi, raddrizzando la schiena. Che per quanto la
gestione dello Stato della Chiesa e della religione cattolica in
Europa tra lei e suo cugino Francia fosse stata decisamente e
paradossalmente una bolgia infernale – non potevano farci
nulla,
amavano gli intrighi e i giochi di potere in maniera patologica. E
avevano trasmesso questo tratto alla maggior parte delle loro
famiglie nobiliari, che nei secoli si erano succedute alla conquista
del soglio pontificio in una girandola di tradimenti e sordide
alleanze tale da non essere inferiore a qualsiasi altra dinastia
reale – nemmeno gli altri loro
“concorrenti” alle anime dei
buon cristiani erano poi così candidi e lindi come volevano
farsi
passare.
“Lutero aveva delle
idee oneste alla
base, posso ammetterlo. Eretiche e assolutamente inaccettabili per la
mia chiesa temporale e i miei traffici” lieve
colpetto di tosse
colpevole a confondere la parola “ma
oneste. Tu che avevi? Pure e
semplici motivazioni politiche, oltreché la fregola di un re
debosciato. Almeno potevi far finta di nasconderle dietro una
ideologia di qualsivoglia tipo...”
Inghilterra
si staccò dalla finestra
voltandosi di scatto, e in meno di tre passi era di nuovo di fronte
ad Italia, ricambiandone lo sguardo astioso. Purtroppo, questo era un
argomento che mandava in bestia anche lui, scoprì la donna.
“Hai una bella faccia
a parlare, te
che hai giocato con l'anima” alzò
entrambe le mani, a fare il
segno delle virgolette con indice e medio per sottolineare la parola
anima “di
mezzo mondo come se fossi una bimbetta isterica e
viziata, solo per soddisfare le tue manie di protagonismo. Te e i
tuoi dannati pontefici corrotti e assetati di potere a schioccare le
dita e decine di re e imperatori a prostrarsi ai tuoi piedi, col
perenne rischio di una scomunica tra capo e collo. Ringrazio il cielo
di aver smesso di ascoltare le tue baggianate secoli fa”
La
donna lo fissò per alcuni secondi,
poi l'espressione accigliata si fece maliziosamente cattiva.
“Ah-ah! Ecco dove ti
volevo...” La
donna sorrise lieve, mentre orna con la punta dell'indice
punzecchiava lo sterno dell'altro, con l'intento –
riuscitissimo,
tra l'altro – di infastidirlo ancor più che con le
sole parole
“Leggo una
puntina di invidia, Inghilterra? Ti scoccia che io sia
Italia l'incapace, Italia la mediocre che nonostante la sua palese
debolezza regnava su di tutti in quanto detentrice del potere
temporale e spirituale della Santa chiesa Cattolica, a cui tutti
volenti o nolenti davano ascolto... e anche ora sono una delle terre
più ambite e ammirate al mondo. Mentre tu sei il povero e
piccolo
Inghilterra che nessuno voleva, e per trovare dei compagni hai dovuto
sottomettere decine di popoli e paesi il cui più grande
desiderio è
di vederti soffocare nel sonno... Bé, lasciati dire una cosa.
Non ti vuole. Ancora.
Nessuno.”
sibilò con una cattiveria che stupì lei stessa
per prima,
d'istinto.
Ed
in effetti, ripensandoci a mentre
fredda forse era meglio se fosse stata zitta.
Eppure aveva speso un sacco di secoli
ad affinare le arti della diplomazia... Secoli buttati nel cesso, per
dirla con un francesismo.
Dire
che Inghilterra davanti a lei
fosse furente era decisamente un eufemismo. Era come paragonare una
tigre affamata ad un micino appena nato, ancora con gli occhietti
chiusi. Improvvisamente nonostante fosse più alto di lei
solo di
pochi centimetri sembrò occuparle tutto lo spazio visivo,
gli occhi
verde erba che sprizzavano scintille di odio da ogni fibra dell'iride
rilucendo nemmeno avessero avuto il tappeto lucido dei gatti. Per un
attimo valutò la distanza tra lei e la porta, e se avrebbe
fatto in
tempo a raggiungerla prima dell'autocombustione dell'altro. Scaldava
più lui del caminetto acceso, ora come ora...
I suoi calcoli vennero interrotti dalla
presa ferrea di Inghilterra sulle sue braccia, tanto forte da farle
formicolare le mani. Deglutì nervosamente, attendendosi come
minimo
di fare un volo verso l'altra parte della stanza, e strizzò
gli
occhi, trattenendo il fiato in attesa del colpo che sarebbe arrivato
tra poco.
Nulla... Per qualche strano motivo,
Inghilterra non stava facendo nulla. Se non stritolarle la carne con
la sua stretta. Quando si azzardò a riaprire gli occhi, lo
ritrovò
nella stessa identica posizione, tanto che le venne da chiedersi se
avesse almeno sbattuto le palpebre o respirato, nel frattempo.
Se
non altro non sembrava volerla
uccidere sul momento, nonostante tutto aveva trovato la sua morte
poco utile. L'aura minacciosa non era diminuita nemmeno un po', in
compenso.
Sempre
tenendola in modo da non
permetterle alcun tipo di allontanamento, lentamente l'uomo le si
avvicinò tanto da sfiorare la fronte con la sua. Strano,
chissà
perché il suo cervello quando era nelle situazioni
assolutamente più
a rischio, si metteva a pensare alle cose più stupide e
inutili. Ad
esempio ora stava automaticamente registrando l'odore dell'altra
nazione, che coprendo quello fisico che il corpo naturalmente
emanava, lo identificava come “Inghilterra”.
Pioggia, lieve
sentore di tabacco e tea stagionati, rose appena raccolte. Piacevole,
probabilmente rilassante, in un'altra situazione. Ora come ora era
solo inquietante come tutto il resto della persona che lo emanava.
Chissà,
si domandò, quale fosse il
suo di odore... ne era così immersa che nemmeno riusciva ad
avvertirlo, ma probabilmente assomigliava a quello di Lavinia... o
forse no. Mah...
“Felicia.”
…
decisamente doveva togliersi questo
viziaccio di spaziare con la mente quando non doveva.
“...si?”
rispose timidamente, la
voce di un paio di ottave più alte del normale. Nemmeno si
offese
per come l'aveva di nuovo chiamata col nome personale, tanto l'aveva
presa alla sprovvista.
“Spero
con tutto il cuore che tu non
prenda assolutamente in considerazione l'idea dell'armistizio.
Così
alla fine di questa guerra tu sarai la nazione perdente su cui mi
rifarò con più dedizione e divertimento. Anzi,
penso che
addirittura ti chiederò come risarcimento di guerra
personale, e
stai pur sicura che se voglio una cosa io la ottengo”
Ossantapeppa. Voleva torturarla? Era un
sadico? ...Si, con quella faccia non poteva essere niente altro che
un sadico. E anche uno di quelli parecchio scorbutici e stronzi. Alla
faccia tua Gilbert, visto che ti sei sbagliato? Tu e i tuoi diari non
sapete poi tutto come volete far credere. Hai perso la scommessa
anche te.
…
bé, era una motivazione ben misera
per gioire, anzi. Ma bisogna sempre vedere il lato positivo delle
cose.
L'avrebbe costretta a lavorare per lui
fino alla notte dei tempi per risarcirlo, o peggio ancora a mangiare
la sua orrenda sbobba fangosa?
…
se questa era una tecnica di
psicologia inversa... bé, funzionava alla grande. Alla
grandissima.
Praticamente
aveva già la mano sulla
penna che avrebbe vergato la richiesta di armistizio.
“
… E dopo che sarai diventata mia,
rimpiangerai i bei vecchi tempi in cui le altre nazioni si
litigavano le tue terre. Ti sembreranno piacevoli ricordi in cui il
più grande impiccio era cambiare armadio ad ogni nuovo
conquistatore, per adattare i tuoi vestiti alla loro corte. Anzi, ti
dico fin da ora che dell'armadio potrai anche fare a meno. Francia ti
sembrerà una monaca di clausura a confronto.”
No!!
voleva togliergli uno delle sue
più grandi e ardenti passioni, i vestiti alla moda! Come
avrebbe
fatto senza le sfilate e le visite a sarti e modiste, i pomeriggi
passati tra i negozi più chic con la sorella a provare
decine e
decine di scarpe, gonne, corsetti... Decisamente era una minaccia
mostruosa. Era quasi certa che da qualche parte nella convenzione di
Ginevra ci fosse scritto qualcosa sul negare ad una donna lo
shopping. L'avrebbe costretta a vestirsi sciattamente come gli
inglesi? Cielo, che orrore... alla sola idea Italia ebbe un brivido
lungo tutta la spina dorsale.
“Ma... la convenzione
di Ginevra... i
miei diritti... ” provò a pigolare la
donna, i cui occhi si
stavano pericolosamente riempendo di lacrime. Di nuovo. “Giusto,
il diritto alla sovranità... non ho mai attaccato
fisicamente l'Inghilterra, quindi anche se per risarcimento tu non
puoi pretendere il suol-”
“Oh, no. Io non voglio
l'Italia.”
L'altra nazione la interruppe con una risatina che sapeva di isterico “Non chiedo le tue
terre, e del pagamento che dovrà la tua
nazione alla mia ci penserà la corte internazionale. Io
voglio te.
Anche a costo di trovare un modo per farti perdere il potere di
nazione, puoi scommetterci l'anima che ti avrò.”
“Io... penso di
sentirmi male. Molto
male...” Mugolò la donna, dopo una
piccola pausa di silenzio.
Effettivamente, se non fosse stata sostenuta da Inghilterra
probabilmente si sarebbe già trovata stesa sul pavimento.
L'uomo,
dopo averla controllata con fare clinico – e anche un filo
ossessivo - la fece indietreggiare fino a farla sedere sulla
poltrona, poi lasciò la presa e il contatto visivo. Se non
altro,
non sembrava intenzionato a rovinare prima del tempo quel che
già
catalogava come una sua proprietà malvestita e ridotta alla
fame.
Probabilmente anche sfruttata economicamente. Che culo.
“Sentiti pure male
quanto desideri, è
un tuo diritto. Tanto ciò non cambia quello che ho deciso, a
prescindere da quel che tu possa provare. Prima accetti la
situazione, e prima riuscirai a fartene una ragione... Ora”
Sbuffò,
e raddrizzando la schiena portò lo sguardo verso la porta
ancora
chiusa. Sovrappensiero si portò la mano al nodo della
cravatta,
allentandolo. Gesto che gelò il sangue alla donna facendola
rabbrividire, anche se non ne comprese il motivo in modo logico.
Mentre che lei era ancora intenta a comprendere come mai avesse
provato quel senso di vago terrore, Inghilterra aggiunse, come a non
dare molto peso alle parole poco prima pronunciate “Penso si sia
fatto troppo tardi, ed io domani mattina ho un consiglio alla camera
dei Lord. Buona notte.”
Detto
questo, senza più scambiare un
solo sguardo con Italia uscì spedito dalla stanza
richiudendosi la
porta alle spalle. La donna, ancora ciondolante dal vago senso di
nausea e terrorizzata fin nelle ossa per l'orribile destino che le si
prospettava d'innanzi attese di sentire sparire del tutto il rumore
degli stivali sul pavimento di legno, prima di prendere fiato e
coprirsi gli occhi, sospirando.
Passarono
più di cinque minuti di
silenzio rotto solo dalla pioggia incessante e dal basso crepitare
del fuoco che andava spegnendosi, dopodiché alla donna
passò il
senso di fastidio alla bocca dello stomaco e riuscì a
trovare il
coraggio di muoversi da quella poltrona senza temere il ritorno
dell'inglese. Più che altro, le facevano tremendamente male
i
fianchi e... si, le apparecchiature di bassa manovalanza.
Mannaggia
a lei quando quella mattina
aveva messo quelle brache. Erano la cosa più scomoda
dell'universo.
Non che il resto dei vestiti appartenenti all'inglese fossero
più
comodi, ma quelle erano... insopportabili. Strette e con le cuciture
proprio dove non dovevano stare. Alla sola idea di dover indossare
abiti simili per il resto della sua vita, se il facciadaculo avesse
attuato le sue intenzioni, e non i suoi comodissimi ed eleganti
abiti di alta sartoria...
Di
nuovo le venne il magone. Unito alla
rabbia, ma ora che l'altro era a debita distanza si poteva sfogare
liberamente. Con un gesto stizzito si sfilò gli stivali
lanciandoli
sul pavimento con cattiveria, quasi lo avesse identificato con la
faccia di Inghilterra (restò comunque in allarme per
parecchi
istanti dopo il gesto, temendo di sentire dei passi in
avvicinamento). E poi passò alle brache, a cui fece fare un
volo
ancor più lungo fino alla finestra. Dato che c'era,
slacciò anche
i primi bottoni della camicia, srotolando del tutto le maniche che
ora le coprivano le mani fino oltre l'attaccatura delle dita.
Oh... ora si che si ragionava. Libertà,
ambita e magnifica libertà!
Zompettò un po' in giro per la stanza,
a godersi la sensazione di ruvido calore del pavimento in legno
trattato, inframezzato dalla morbidezza dei tappeti persiani su cui
era un piacere incommensurabile strofinare i piedi nudi. Dato che
quella requisita come camera propria nei giorni passati era con molta
probabilità la stanza da letto di Inghilterra, si risolse
nel
passare la notte nello studio, a debita distanza.
Per
un attimo pensò di andarsene da
Rose e spupazzarsela un po', ma probabilmente a quell'ora la ragazza
già dormiva e poi la sua stanza era troppo vicina a quella
del
fratello, sicuramente lo avrebbero svegliato. No, meglio lasciar
riposare loro che potevano e rimanere nello studio fino alla mattina,
quando lo stronzo faccia da culo se ne sarebbe andato alla sua
dannata riunione.
Magari
non avrebbe dormito comodissima
– o meglio, su quelle poltroncine non avrebbe dormito per
nulla –
ma se non altro non avrebbe dovuto sorbirsi ancora la mefistofelica
presenza del padrone di casa, o addirittura una filippica su come era
riuscita a ridurre quella stanza nel breve lasso di tempo in cui vi
aveva sostato.
Colpa
di Facciadaculo che non sa
ottimizzare gli spazi e nasconde le cose, si autodifese Italia mentre
con gli occhi e la punta delle dita scorreva le coste dei libri su
uno scaffale della fornita libreria inglese.
Molti
di questi erano memorie, saggi o
racconti di viaggio; ne prese uno riguardante i trascorsi nel suo
paese di un giovane visconte due o tre secoli prima in balia di un
sentimento nostalgico per i suoi paesaggi, ma lo rimise al suo posto
dopo averne sfogliato alcune pagine a caso. Tipico degli inglesi:
finiscono nei posti più belli al mondo, fossero le sue
città d'arte
o i paradisi terrestri ai quattro angoli del mondo, e passano pagine
e pagine a descrivere l'ora del tea e le minuzie del galateo nel
servirlo con eleganza. In quelle poche pagine lette aveva appreso
perfettamente la mìse del visconte e della sua
accompagnatrice lungo
le strade di Firenze, ma nulla su Firenze stessa. Bah.
Ne
prese un altro ma anche questo non
riscontrò il suo favore, lasciandola frustrata.
Sbuffò appena e
continuò a cercare spostandosi lungo le librerie
stracariche. Tra i
vari manuali ed enciclopedie, vi erano anche trattati erboristici,
geografici e scientifici posizionati in bella mostra e dall'aria
vissuta; diversi manuali di giardinaggio e di galateo, e persino
qualcuno sul ricamo e sulla confezione sartoriale (anche questi
parecchio consunti e dalla copertina graffiata e rovinata agli
angoli, come se fossero stati letti e rimessi a posto molte e molte
volte); un intero piano di libri di cucina e pasticceria, comprensivo
addirittura di una delle prime copie de “La scienza in cucina
e
l'arte di mangiar bene” dell'Artusi, probabilmente un regalo
a
giudicare dalla dedica sarcastica sulla seconda pagina del volume.
Nuovo di zecca, ancora aveva la carta velina che proteggeva le pagine
interne e la pelle che rivestiva la copertina era polverosa e
lievemente grassa, come se non fosse mai stato toccata. Come tutti
gli altri manuali di cucina, notò.
Questo
spiegava tante, tantissime cose.
Continuò
a cercare qualcosa che le
attirasse l'attenzione, ma quando arrivò ai romanzi di
appendice,
tra i tantissimi titoli più o meno sconosciuti
trovò un libercolo
senza alcuna scritta sulla costa esterna, nascosto tra una fila di
libri tutti tra loro quasi tutti uguali e riposti nello scaffale
più
in alto. O meglio, la copertina era stata rivestita in modo tale che
non si potesse leggere cosa vi fosse scritto, se non aprendolo.
Tutta questa segretezza ovviamente non fece altro che alimentare la
fiamma della curiosità femminile, e alla fine fu proprio
questo tra
i tanti che l'avevano attirata ad essere sfilato via dal suo loco con
attenzione. Anche questo, ad una attenta occhiata sembrava essere
stato sfogliato molte volte...
Una
volta decisa su cosa leggere,
Italia spense la luce principale, rimanendo per alcuni istanti alla
lieve luce brunita delle braci morenti. Dopo aver attizzato il fuoco
alimentandolo con nuova legna, a tentoni si avvicinò alla
scrivania
cercando sopra di questa il pulsante per accendere l'abat-jour.
Parecchi secondi dopo passati in ricerca tra carte e portapenne
sentì
sotto le dita la ceramica dell'interruttore, e fattolo scattare la
calda luce ovattata dalla carta di riso illuminò di nuovo la
scena.
Sorrise lieve, lasciandosi cullare per un attimo dall'atmosfera
tranquilla e dall'ipnotico rumore del fuoco scoppiettante e della
pioggia che imperterrita continuava a scendere al di fuori della
finestra. Non fosse che non era a casa sua, poteva quasi dire che
quello era il momento della giornata che preferiva: pacifico e
raccolto...
Canticchiando, dal mobile del bar prese
una bottiglia di cristallo piena di brandy, ed un bicchiere.
Posò
entrambi sul piano accanto a lei – esattamente sopra i fogli
che
prima Inghilterra stava facendo finta di studiare – e poi
spostata
la sedia imbottita vi si accomodò, alzando le gambe fino ad
incrociare le caviglie sul bordo coperto di pelle verde della
scrivania. Si, ora era comodamente pronta per dedicarsi alla lettura
di...
Un
libro austriaco. Ohibò, questo non
se lo aspettava proprio. Che ci faceva Mr. “la mia
letteratura è
la meglio del mondo e voialtri non siete altro che feccia
ignorante”
con un libro in austriaco?
“Venus im
pelz***”
Lesse
incuriosita a voce bassa il
titolo in caratteri minuti nella seconda pagina di copertina del
volumetto, cercando di imitare l'accento del patrigno. Bah, mai
sentito. Si versò un bicchiere di liquore, mentre con uno
sforzo di
memoria tentava di ricordarsi almeno dove aveva sentito il nome di Von
Sacher Masoch, l'autore. Le sembrava che Roderich ne avesse
parlato una o due volte, nel secolo scorso, lamentandosi della sua
amoralità e della condotta riprovevole tenuta dal suddetto
scrittore... ma onestamente non gli aveva dato peso. Al tempo aveva
altri problemi che non fossero leggere autorucoli da strapazzo
suggeriti (in realtà non glie lo aveva proprio suggerito,
quanto
piuttosto categoricamente vietato. Ma si sa, vietare qualcosa ad una
giovane nell'età della ribellione, per quanto in
realtà millenaria,
era un palese invito a fargli fare quella determinata cosa per puro
spirito di contrarietà) dall'esagitato austriaco.
Bé, dato che
c'era si sarebbe rifatta ora...
Non
era arrivata nemmeno alla seconda
pagina del romanzo, che di colpo, prendendola completamente alla
sprovvista la porta del salotto si spalancò di nuovo,
mostrando
Inghilterra in maniche di camicia e bretelle, che fissava un punto
indefinito davanti a sé con espressione stralunata e un filo
psicotica distinguibile nonostante la penombra e la distanza. Per
l'accidente il bicchiere ancora pieno che teneva tra le dita le era
scivolato, rovesciandoselo addosso. Ed ora una scura macchia con il
penetrante odore di brandy invecchiato le decorava la camicia mezza
sbottonata.
“...Chi?
Cosa?” Esclamò la donna
tremante sia per lo spavento appena preso che per la sensazione di
bagnato dato dal
liquido freddo sulla pelle, mentre tentava di arginare il danno
tamponando la macchia con un pezzo di carta assorbente tenuto sul
piano per le lettere. Col risultato di lasciare sulla camicia un
tempo candida anche delle lievi macchie di inchiostro scioltosi con
l'alcool. Ecco cosa si era dimenticata di fare, chiudere la porta a
chiave. Male, molto male Felicia. Perdi colpi...
“Ripensandoci”
Le rispose l'altro,
in tono colloquiale mentre si richiudeva la porta alle spalle.
Facendo scattare la serratura, l'avvertì un campanello di
allarme
leggera e soave come una sirena da transatlantico. “Non ho alcun
bisogno di attendere la fine del conflitto per considerarti di mia
proprietà. Sei già dentro casa mia,
dopotutto...”
Un
lieve senso di vertigine investì
Felicia, che si sentì tutto il sangue defluirle dalla testa.
“...veh?”
“Ergo, fanculo ai lord
e alla loro
camera. Spero che tu sia preparata psicologicamente, che io stanotte
ho tutta l'intenzione di portarmi avanti con la presa di
possesso.”
Senza por tempo in mezzo si era avvicinato di nuovo alla scrivania,
tenendo lo sguardo fisso su quello della donna. Quando poi
però lo
abbassò, lo vide bloccarsi sul posto. L'uomo
sbatté le ciglia
boccheggiando, e la pelle stava cambiando così rapidamente e
vistosamente colore che anche alla tenue luce della lampada riusciva
a notarlo. Dal normalmente rosa al rosso, per poi passare al
cianotico e al bianco cadavere. E poi tornare rosso acceso. Molto
patriottico, se non altro.
Continuando
a fissarla senza sbattere
le palpebre deglutì una, due volte a vuoto, poi
balbettò a fatica
“S-sei
nud...”
Al
che, venne finalmente anche a lei
l'idea di guardare in basso. O meglio di guardarsi, ancora seduta
sulla poltroncina ad asciugarsi la macchia e con le gambe alzate ed
appoggiate al bordo della scrivania.
Oh
merda. I pantaloni.
Dov'è
che li aveva lanciati? Ah,
giusto, sotto la finestra. All'improvviso la magnifica sensazione di
libertà poco prima provata non le sembrò
più così bella e
magnifica. E desiderò ardentemente di aver indossato ANCHE
le
mutande dell'uomo assieme al resto dei vestiti quella mattina,
nonostante la biancheria intima maschile fosse parecchio scomoda.
D'ora
in avanti, pensò Italia
deglutendo mentre sentiva le mani dell'uomo sollevarle il viso e lo
vedeva avvicinarsi pericolosamente a lei, avrebbe potuto aggiungere a
sua volta una nota a margine al significato della parola
“illibata”:
quello che ero prima di starmene nuda come una fessa di fronte ad
Inghilterra arrapato.
*
Alta cucina francese
medievale? Ma anche no. Durante il medioevo in Francia si mangiava
esattamente come si mangiava nel resto del nord Europa: cibi
estremamente semplici con metodi da barbari. Fu infatti Caterina De
Medici, sposa del delfino di Francia Enrico D'Orleans a introdurre la
buona tavola con la distinzione tra i cibi salati e dolci –
al
tempo si mangiava tutto assieme, senza alcuna differenza tra una
portata e l'altra - l'uso della forchetta al posto delle dita ( a sua
volta ereditata dai veneziani, che impararono ad usarla dall'impero
Romano d'Oriente... anche se i romani già la conoscevano, ai
loro
tempi) , e di parecchi alimenti e salse, come la besciamella, le
crespelle (che poi diventeranno le crépe), l'olio d'oliva e
l'abitudine di condire la carne di volatile con gli agrumi. Ed i
francesi ne rimasero così entusiasti che praticamente la
assorbirono
facendola diventare la loro cucina nazionale. Tanto che oggi come
oggi alcuni piatti che da noi ormai sono spariti, sono ancora
presenti nei territori d'oltralpe.
**
Ovviamente parliamo di Enrico VIII,
regnante in Inghilterra e in Irlanda dalla fine del 1400 fino alla
metà del 1500, della casata dei Tudor.
N.B.
Questo è un riassunto molto ma
molto stringato (e anche piuttosto scemo), se mi mettessi a parlare
di tutti gli intrighi dietro alle famiglie reali del tempo facciamo
l'alba di domani.
Allora...
Il bel signore, nonostante
agli inizi del suo regno fosse un fedele seguace del papa e della
fece cattolica, Quando si accorse che la moglie – Caterina
d'Aragona, unita alla famiglia regnante di Spagna e zia
dell'imperatore del Sacro Romano Impero – non poteva
più dargli un
figlio maschio decise di chiedere al papa la dispensa per poter
divorziare e poter così sposare in seconde nozze Anna
Bolena, la
sorella di una sua vecchia amante, Maria Bolena. Ovviamente il
Vaticano, non essendoci i presupposti per poter annullare legalmente
il precedente matrimonio alla Sacra Rota (anche perché la
suddetta Caterina
d'Aragona era imparentata sia con la famiglia reale spagnola sia con
l'attuale imperatore del Sacro Romano Impero CarloV, e non era molto
salutare mettersi contro due dinastie regnanti per farne contenta
un'altra) gli disse molto diplomaticamente “attaccati a sto
campanile”.
Enrichetto
non la prese molto bene.
La
chiesa cattolica non gli dava la
possibilità di divorziare? Bene, si sarebbe fatto una
propria
chiesa, quella anglicana. In cui il divorzio – da parte
maschile,
quello femminile chissenefregava – era facilmente ottenibile.
Come
è ovvio pensare, la cosa non andò
giù né a Roma né ai vescovi e ai
cardinali inglesi, che temevano
di veder minato – a ragione, scopriranno - il loro potere
sull'isola britannica. Di comune accordo fecero delle trattative
segrete per poter rendere nullo il matrimonio di Caterina ed Enrico,
così da evitare il motivo del divorzio e peggio ancora lo
scisma. La
futura ex regina, forte dell'appoggio della famiglia reale spagnola e
del SRI (che mi sono scocciata di scriverlo sempre per lungo)
osteggiò
tanto questa cosa facendola tirare per le lunghe, che il re inglese
si stufò di attendere e diede vita allo scisma. Frittata
fatta.
Cosicché
Enrico divorziò da Caterina
e si sposò la bella Anna Bolena, avendone una figlia,
Elisabetta.
Disconoscendo la prima figlia Maria ottenuta dal precedente
matrimonio.
E
qui parte la scomunica, anche perché
il re, forte della sua nuova posizione da capo della chiesa comincia
ad espropriare tutte le proprietà delle chiese cattoliche e
dei
conventi, costringendo tutti gli adulti del regno a seguire la nuova
religione pena l'essere incolpati di alto tradimento e rischiare la
morte. Pur essendo ancora, nonostante l'anglicanesimo, un re
cattolico. Solo in seguito prese (e diede alla propria chiesa) una
inflessione protestante.
Dopo
Anna, che gli diede solo
Elisabetta, Enrico sposò altre 4 donne, e a parte la terza
(Jane
Seymour) che morì di parto e l'ultima (Caterina Parr) che
gli
sopravvisse, vennero tutte ripudiate. La quarta, Anna di
Cléves
accettò di buon grado e ottenne per questo un indennizzo
reale,
mentre Anna Bolena e Caterina Howard vennero – a torto o a
ragione,
chissà – incolpate di tradimento e giustiziate.
Ebbe
anche una discreta sfilza di
figli, ma la maggior parte morì infante, come era solito
accadere al
tempo. Dalla terza ebbe l'unico maschio erede – Edoardo IV
– che
sopravvisse comunque poco al padre morendo a 16 anni. Ma fece
comunque in tempo a chiedere (no, non la chiese veramente lui. Anche
perché quando decisero sta roba, aveva si e no 6 anni) la
mano di
Maria Stuarda della casata regnante scozzese, anche se la madre
preferì
mandarla come sposa al delfino di Francia.
Le
altre sue figlie ereditiere furono
le prime, Maria la cattolica – figlia di Caterina d'Aragona
– ed Elisabetta
la protestante, figlia di Anna Bolena. Ma entrambe vennero
illegittimate, poi riabilitate, poi illegittimate di nuovo e infine,
decisamente incacchiate, riabilitate di propria iniziativa (Maria si
prese la corona con la ragione della forza, togliendola alla pseudo
erede di
Edoardo IV Jane Grey, parente alla lontana).
Le
due sorellastre poi si fecero una
guerra feroce, ma non ho più la forza né la
voglia di descriverlo.
Tanto ai fini della nostra storia non serve a nulla >_>
In
parole povere, le telenovele moderne
non hanno inventato nulla.
***
Venere in pelliccia, scritto nel
1870 dallo scrittore austriaco Leopold von Sacher Masoch.
Se per puro caso il cognome di questo
gentiluomo vi ricorda in maniera inquietante la parola
“masochismo”... bé, ci avete preso u.u
Il
libro è un romanzo autobiografico
in cui il protagonista, attratto dall'idea di una donna sadica e
glaciale vestita solo di una pelliccia e di una frusta, vista in
sogno, convince la propria amante a trasformarsi in una padrona
crudele e sottoporlo a punizioni e umiliazioni sempre più
pesanti,
atte a soddisfare il suo piacere parafiliaco nella totale
sottomissione e nel dolore fisico e psicologico. Nel libro alla fine
vi è una parziale “redenzione”, che
nella realtà invece non fu
presente almeno a quanto dice la sua stessa moglie. Infoiato di
frustate e pellicce era, e infoiato rimarrà nei saecoli
saecolorum
(fino a quando non verrà internato dalla stessa consorte in
un
manicomio. Amen.)
Tra
l'altro lui e la sua amante son venuti a far le
prove generali per il libro in Italia, a Venezia. Si vede che
ispiriamo.
Angolo
del perché e
del percome (che nessuno voleva)
Ed
eccoci, dopo che ve l'avevo
promesso, all'angolo SuperQuark! (che sembra più che altro
l'angolo
Ulisse) *parte la musichetta*
Dunque...
le idi di marzo. Perché ho
scelto questo titolo che all'apparenza non c'entra una beata mazza?
Bé.
Per prima cosa perché la storia è
iniziata a marzo del '43, e quindi per una piccola parte ci siamo.
Anche se non durante le idi, che sono presenti sin dal calendario
romano – dalla fondazione di Roma, quindi già
dall'ottavo secolo
prima di Cristo. Quello che stiamo usando noi ora si chiama
gregoriano, ed è basato invece su quello giuliano,
già di 365
giorni – ed erano il giorno 15 dei mesi di marzo, maggio,
luglio e
ottobre. Nei restanti mesi cadeva il 13, e solitamente corrispondeva
alla luna piena (i mesi non avevano un numero di giorni fissi, e si
adattavano al ciclo lunare per far si che le “idi”,
le “calende”
che erano i primi del mese e le “none” cadessero
sempre durante
una determinata fase: nell'ordine luna piena, luna nuova, luna
crescente). L'anno cominciava a marzo, il mese dedicato al dio Marte,
e finiva a Dicembre (mese decimo, per l'appunto) con una pausa
invernale di circa 60 giorni variabili in cui non vi era alcuna
nomenclatura a indicare i giorni mensili.
Poi
venne il calendario di Numa
Pompilio, che è cosi incasinato che non ci ho capito una
fava
nemmeno io e quindi mi resta difficile spiegarvelo. Sappiate solo che
finalmente vengono catalogati anche i giorni invernali, suddivisi in
gennaio (mese dedicato al dio Giano) e in febbraio, mese della
Februa, una festa romana. Usato più che altro come
tappabuchi (da
ora i mesi hanno un numero di giorni fissi, o 29 o 31. Per cui i
giorni che servivano a ricalibrare l'anno in base ai cicli lunari
venivano infilati qui)) e perché i numeri dispari venivano
considerati sfortunati ed un anno composto di 11 mesi significava una
grande sfiga. E l'anno continuava ad iniziare a marzo.
Questo
pastr-calendario
venne rielaborato alla salita come pontefice massimo di Giulio
Cesare: con l'introduzione dell'anno bisestile si compensò
lo
slittamento delle stagioni -finora il problema era stato risolto
lasciando a datazione libera il mese di febbraio – e si
portò
finalmente l'anno solare a 365 giorni. Ormai le idi e le calende non
cadevano più nel giorno della luna piena e nuova, ma erano
rimaste
comunque come nominativi per il conteggio dei giorni. Non si
conteggiavano infatti i giorni dopo il primo andando a sommare, ma
bensì calcolando quanti ne mancassero ad una determinata
fase del mese:
ad esempio, il 13° giorno di marzo era il 3° prima
delle idi (il
giorno stesso della fase faceva parte del conteggio). Tecnicamente
avevano anche un altro metodo per conteggiare i giorni suddivisi in
ottave (che in realtà erano di nove giornate in cui il
giorno principale era stabilito dal giorno del mercato. Quindi, se due
città facevano il mercato in giorni diversi era un casino
allucinante, perché poi i giorni non corrispondevano
più. Tanto per dire,
complichiamoci la vita ancora un po' che non basta mai) ereditato
dagli etruschi. Ma suppongo che fosse così arzigogolato
anche per loro
che, se uno dava un appuntamento a talaltro per incontrarsi in un
giorno prestabilito, poi si andava sul posto ogni santo giorno
perché
nessuno dei due aveva capito bene quand'era questo giorno.
E fino a qui abbiamo spiegato cosa sono
le Idi. Cosa c'entrano con questa storia?
Dunque,
durante il 44 AC Caio Giulio
Cesare, all'apice del suo successo come Console vittorioso nelle
campagne belliche e come dittatore della città di Roma (il
dittatore
al tempo era colui che deteneva il pieno potere politico e militare,
ma non aveva la valenza negativa che ha assunto la parola in tempi
più recenti) era intenzionato a trasformare la sua carica
temporanea
in una fissa, divenendo re. La cosa non venne accettata dai Romani,
da sempre legati al concetto di repubblica. Per cui un gruppo di
senatori preparò una congiura, e nella giornata delle idi di
marzo
assassinarono Cesare con 23 coltellate date ognuna da uno dei
cesaricidi. In realtà il numero dei congiuranti era molto
più alto,
si stima attorno ai 60-80 sia tra i contrari alla sua ascesa al
potere che tra i suoi seguaci scontenti, per un motivo o per l'altro,
della sua politica. Ma solo in 21, tra pretori e senatori furono i
reali esecutori della condanna a morte (qualcuno deve averne data un
paio di più, giusto per essere sicuri che non si rialzasse
urlando Bazinga!!).
Curiosità, sembra che la famosissima frase “tu
quoque, Brute, fili
mi!” non sia mai stata realmente pronunciata. Un abbellimento
della
storia che divenne leggenda.
E
così... niente, mi piaceva l'idea di
ricollegare questa storia a quel preciso momento storico, dato che
anche qui si parla di far decadere un dittatore per la salvezza della
patria...
Fine
angolo
Superquark! (che sembra più che altro l'angolo Ulisse)
Ok,
cominciamo a parlare del capitolo,
ora.
Come
si sarà giustamente capito,
quella che faceva la fila per il gelato mentre si distribuiva la
furbizia era Italia. Perché solo una rincoglionita di
qualità
sopraffina non riuscirebbe a cogliere i nemmeno tanti velati approcci
che l'altro le butta in faccia di continuo. C'è da dire che
la coppa
dell'idiozia se lo contendono fino ai calci di rigore, questi due.
Però stavolta vince Felicia. O meglio perde. L'illibatezza
(oh-oh)
A
tal proposito, il capitolo l'avevo
immaginato un pochino più lungo, descrivendo anche l'assalto
alle
regioni vitali di Italia... ma poi no. Ho rinunciato del tutto a
mettere quella scena.
Primo
perché non volevo cambiare
target, che il rosso non mi convince troppo. Secondo, perché
onestamente non penso ce ne sia bisogno. Insomma, può
cambiare la
modalità e la tecnica ma il fine ultimo è sempre
lo stesso da
quando i parameci hanno deciso che era più divertente
riprodursi in
un altro modo oltre alla scissione cellulare. E poi preferisco che
ognuno si immagini la scena come preferisca, porcellosa quanto lo
desidera. Terzo, come dulcis in fundo, mi imbarazza descrivere certe
tematiche... E dire che ci sono ragazzine con meno della
metà dei
miei anni che invece sti problemi non se li fanno. Doh.
Poi,
metto le mani avanti: temo, ma
spero di no, che i personaggi possano sembrare due tsundere.
Ebbene...
no. O meglio, Italia non lo
è, Inghilterra si, ma non lo è del tutto.
I
due non si amano alla follia dal primo momento che i loro occhi si sono
incrociati e blablabla. Ma
neanche un po'. Italia lo dimostra esplicitamente, tra l'altro. Ma
costretta dalla situazione, fa buon viso a cattivo gioco e sopporta
le dirette – e ormai anche soddisfatte – avances
dell'altro,
avendo imparato nei secoli a scindere i sentimenti con quel che le
succede nella vita.
Inghilterra
per l'altra nazione ha un
interesse nella conquista (la Gran Bretagna ha sempre desiderato un
passaggio nel mediterraneo per l'Asia, dato che Gibilterra sola non
gli è mai bastata, e l'Italia lì in mezzo
è sempre stata un canto
della sirena), che a livello “umano” si concretizza
con una pura
e semplice passione fisico-emotiva e desiderio di possesso. Per dirla
con termini strettamente scientifici, in lei vede un essere di sesso
femminile con un altissimo tasso di trombabilità a
medio-lungo
termine. Solo che ha un carattere di merda – per l'appunto
tsundere
– e piuttosto che ammetterlo esplicitamente complica le cose
in
maniera assurda dando l'aria di disprezzare quel che in
realtà
desidera ardentemente (mettiamoci poi la capacità di
comprendere che
aria tira di Feli e stiamo apposto).
Cosa
che funziona nei fumetti e nelle
storie dove l'altro è completamente, indefessamente e
assolutamente
innamorato dello/a tsundere. Nella vita vera, al terzo “io ti
dico
ti odio ma te devi capire ti amo” al soprannominato altro
parte un
vaffanculo dal profondo del cuore prima di andarsene a cercare
qualcuno senza meno tare mentali.
In
questa storia poi, dove Felicia più
che alla categoria “mi piaci tanto e per questo sopporto il
tuo
carattere” si trova piuttosto in quella “
già mi stai sulle
palle così, figuriamoci se mi tratti pure male”,
il metodo
tsundere è decisamente fallimentare. Come ammettere dunque
il
desiderio senza doversi “abbassare” a dirlo
esplicitamente?
Semplice, facendolo passare per ripicca! Lei non sopporta di essere
chiamata per nome/guardata con desiderio/considerata scopabile?
Perfetto, lui per darle fastidio la chiama per nome, la desidera, e
se la scopa. A prescindere dal suo consenso, of course.
Ecco
come si prendono due piccioni con
una fava in perfetto stile tsundere U.u (Nb. Questa cosa fuori dalle
fanfiction è illegale, non rifatelo a casa)
Il
prossimo capitolo sarà l'ultimo...
ma non sarà l'ultimo. Il che significa solo che la prima
parte delle
Idi finisce, ma inizia il ritorno a casa... e la resistenza in
Italia. Quindi cambieranno un po' di cose (soprattutto i disclaimer
della storia, dato che ci saranno mooolti più personaggi, e
sarà una storia decisamente più cupa e violenta)
Si, sono la classica persona con poche
idee, ma confuse >_>
come
al solito lancio bacioni sparsi a
chi ha recensito (Lady Monet, e Kesese_93 ed Eliot
Nightray), a chi ha messo tra le preferite, tra le seguite, nel
bidone dell'umido. E anche a chi ha solamente letto : )
bacioni
e boccioni,
Monia
|
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Capitolo 8 *** 8. La cosa giusta ***
8. La cosa giusta
8.
La cosa giusta
Erano ormai passati
più
di due mesi ormai da quando era stata rapita da Inghilterra e
trattenuta quale "gradito ospite" a casa sua. Due mesi senza alcuna
notizia fresca,
tranne quelle ricevute di nascosto dai giornali che Jesse, eludendo
il controllo dell'altra nazione, riusciva a recapitarle. Da cui
ovviamente non riusciva a recuperare nessuna informazione utile
riguardo le prossime mosse degli alleati, né notizie
riguardanti il
suo paese che non fossero insulti o slogan di propaganda.
Sessantacinque giorni di completa agonia in cui ogni suo singolo
pensiero era rivolto solo ed esclusivamente alla sua terra, al suo
popolo, e a sua sorella. In procinto di essere attaccati ancor
più
duramente di quanto non lo fossero stati fino ad ora.
Non avrebbe mai pensato
che avrebbe sentito così tanto la sua mancanza, dato che
avevano
passato secoli e secoli distanti l'una dall'altra. Eppure,
più i
giorni avanzavano e più le sembrava di essere mancante di
una parte
del suo stesso corpo. D'altronde, persino così distante
riusciva ad
avvertire il lento ma inesorabile mutamento delle sue città
sotto i
continui raid aerei, la sofferenza e lo scoramento nazionale che
cresceva con le difficoltà della guerra.
Perché Ludwig non
l'aveva ancora trovata? Non aveva creduto nemmeno per un istante alle
parole del facciadaculo – nonostante tutto, continuava a
chiamarlo
così. Era davvero la parola migliore al mondo per
descriverlo –
quando in uno dei loro soliti battibecchi l'aveva informata che
Germania stava decisamente meglio senza di lei, potendo così
spadroneggiare liberamente sul suo territorio.
...Non ci aveva creduto,
però... non poteva mettere le mani sul fuoco anche per i
gerarchi
nazisti. Né per i suoi stessi politici, che molte volte la
vedevano
solo come un impiccio fastidioso, invece che come loro primo alleato
e controllore super partes. Sapeva anche troppo bene che fuori dalle
scatole lei, potevano fare tutti i loro porci comodi come volevano.
Soprattutto considerando il fatto che nonostante Lavinia odiasse i
giochi di potere politico, il parlamento e ancor di più
odiava il
regime fascista – senza averlo mai nascosto, neanche nelle
fotografie ufficiali – probabilmente contavano parecchio sul
fatto
che la sorella non sarebbe mai andata a Roma per raddrizzare qualche
schiena a bastonate. Questo, da che l'Italia era unita, era sempre
stato compito suo.
Maledizione, a ripensarci
ora avrebbe fatto meglio a costringere Lavi a seguirla nei meandri
della burocrazia per districarcisi in maniera decente, invece che
concedergli tutto quel lassismo. Quell'idiota di Spagna l'aveva
rovinata, rendendola indolente e pigra. Fosse sopravvissuta a questa
guerra avrebbe cambiato un sacco di cose, prima di tutto il governo.
E magari avrebbe fatto fuori anche la monarchia, che quel tappetto
del re le era sempre stato un po' sul cazzo. E dato che c'era,
avrebbe dato il voto anche alle donne!
...Si. E poi ti svegli in
un bagno di sudore, Felicia. Tanto come al solito nessuno ti
darà
ascolto.
La donna sospirò sul
suo
tea, mentre fissava un punto avanti a sé con espressione
assorta
“Qualcosa non
va?”
Ecco. Tu non vai,
maledetto faccia da culo, si trovò a pensare socchiudendo
gli occhi
quando avvertì il contatto della mano di Inghilterra sul suo
ginocchio. Non poteva assolutamente dire di odiarlo particolarmente, e
a parte
ormai rari casi – in cui anche lei ci metteva parecchio di
suo,
doveva ammetterlo – in cui i loro rapporto sfiorava lo zero
assoluto in gradi celsius era anche sopportabile. Anzi, decisamente
piacevole, come compagnia. Ma ciò non toglieva che la stava
tenendo
segregata in quella casa da ormai tanto, troppo tempo. Lei, lui, i
due ragazzini umani e un paio di gatti selvatici erano un po' pochini
come contatto civile per una che era abituata a vivere nel caos della
gente praticamente da quando era nata, ormai troppi secoli fa,
soprattutto ora che la sua presenza in Italia era assolutamente
fondamentale. A volte le sembrava di impazzire, letteralmente.
La stretta sul ginocchio
si fece più pressante, e quando risollevò le
palpebre incrociò lo
sguardo dell'uomo, che la guardava con un misto di apprensione
sincera e curiosità.
Assurdo. Se glie lo
avessero detto anche solo tre mesi prima, si sarebbe fatta una di
quelle risate da slogarsi la mandibola.
E invece, ora ne aveva
sotto gli occhi la prova lampante... in lei Inghilterra vedeva
VERAMENTE una compagna, una moglie. Quando lo aveva lasciato ad
intendere in quella assurda proposta (che pure a ripensarci proposta
non le era sembrata per nulla) non stava scherzando.
Di certo non glie lo
aveva mai detto a voce – piuttosto si sarebbe strappato da
solo le
corde vocali, pur di non ammettere una cosa simile – ed alla
sola
idea di fare i sentimentali sdolcinati veniva la pelle d'oca ad
entrambi, ma i suoi comportamenti erano inconfondibili.
Persino ad un occhio
disattento come era il suo. Piccoli gesti, gentilezze offerte sempre
con una faccia burbera e scocciata e la giustificazione pronta,
seppur nessuno glie le avesse chieste.
Certo che per quanto lei
fosse inesperta in quanto a sentimenti tra amanti, di certo l'uomo
aveva un modo tutto suo per dimostrare i suoi. Contorto e buffo, ma
in un certo qual modo anche tremendamente lineare. Assomigliava ad
una corda: per quanto potesse arrotolarsi e ingarbugliarsi, aveva
comunque sempre una fine ed un inizio, e nessuna diramazione. Con
calma e pazienza si poteva sciogliere facilmente qualsiasi nodo.
Una volta che si capiva
cosa guardare e cosa tralasciare, districarsi nei suoi comportamenti
diventava semplice come bere un bicchier d'acqua. Persino Ludwig
confronto a lui era complesso con il suo continuo nascondersi dietro
alle regole e alle rigide formalità burocratiche. Kiku poi,
era un
muro di gomma incomprensibile e inavvicinabile.
“... Nulla, stavo
solamente pensando” Rispose dopo un po',
sorridendo tiepida alla
volta di Inghilterra mentre accostava la tazza alle labbra per bere
un sorso di tea ormai raffreddato. Pieno di zucchero e limone,
praticamente una limonata calda al vago sapore di Earl Grey.
Esattamente come l'uomo odiava venisse ridotta la sua adorata
bevanda, giusto per fargli un dispetto.
“A cosa? È
un po' che
sei particolarmente silenziosa, almeno da un paio di ore”
Insistette l'altra nazione, senza smuovere la mano. Non che le desse
fastidio, il contatto fisico a lei non aveva mai dato problemi. In
effetti era Inghilterra che solo da poco riusciva a sfiorarla
–
senza intenti belligeranti o vistosamente provocativi –
riuscendo a
non andare in escandescenza o cominciare a blaterare scuse su scuse
anche al di fuori della camera da letto. Già solo due
settimane
prima, si fosse accorto di averla toccata a quel modo inconsciamente
si sarebbe ritirato come se lei avesse avuto la peste, arrampicandosi
sul lampadario o sui mobili per mettere più distanza
possibile tra
loro. Figuriamoci poi in presenza di qualcun altro. Anche ora se
avesse sentito la voce dei due ragazzi oltre la porta chiusa si
sarebbe trasferito con movimento warp* dall'altra parte della stanza,
un libro a caso in mano a far finta di non sapere cosa stesse facendo
in quella camera con lei (risposta: a bere il suo dannatissimo tea
delle cinque cui la costringeva ogni santissimo giorno, quindi poteva
anche evitarsi simili comportamenti da idiota patentato. Senza
contare che gli altri due abitanti della casa, non essendo scemi,
sapevano benissimo – bé, magari non proprio
benissimo, ma a larghe
linee lo sospettavano – cosa facessero di notte loro due
nello
stesso talamo. Ma non glie lo avrebbe mai rivelato, per evitare che
morisse d'infarto per il troppo imbarazzo. O forse si... sarebbe
stata un'ottima arma da usare contro di lui, prima o poi)
No, decisamente non era
quella minuscola libertà che l'uomo si prendeva al di fuori
del
letto, quanto era il fare finta di non sapere cosa realmente pensasse
la donna, a renderla irritata. Come poteva non immaginarlo?
Bé, non
gli avrebbe indorato la pillola, non oggi.
“A quando
potrò
tornare nel mio paese, Inghilterra. Stavo pensando al momento in cui
potrò finalmente tornare a casa mia da mia sorella e dal mio
popolo,
dove dovrei stare”
Lo sentì irrigidirsi
impercettibilmente, stringendole con una presa tremante il
quadricipite. Non sopportava sentirsi dire quelle cose, lo capiva. Ma
non per questo avrebbe mai smesso di chiedergli la resa della sua
libertà, solo per farlo contento e fingere di essere una
mogliettina
felice di quella situazione.
D'altronde, sapevano
entrambi fin troppo bene che non appena Italia avesse abbandonato
quella casa per far ritorno alla sua vera patria e al suo posto
naturale nell'ordine delle cose, quella farsa da coppietta fresca di
matrimonio sarebbe crollata come un castello di carte. Non avrebbe
potuto tenerla legata a lui per sempre, non in quel modo, e per lo
meno non con quel metodo, Questo era poco ma sicuro. E anche se si
ostinava a negarlo, all'uomo la cosa pesava e parecchio. Forse era
proprio per questo che si mostrava tanto scostante...
“... Dopo quasi due
mesi ancora ti ostini a chiamarmi Inghilterra. Ti costa così
tanto
chiamarmi Arthur?” Mugolò scocciato e
con lo sguardo basso,
prendendola comunque in contropiede. Tra tutte le risposte che
avrebbe potuto darle, questa domanda non se l'era aspettata.
Risollevò lo sguardo verso di lui, piegandolo di lato per
guardarlo
di sbieco. Aveva un lieve accenno di rossore sulla punta delle
orecchie, e la mascella era contratta.
Italia sorrise, e posata
la tazza sul piattino si sporse verso di lui, voltandogli il viso
quel tanto che bastava per posargli un delicato bacio sulla bocca
stretta in una smorfia. Lo sentì irrigidirsi di colpo,
mentre il
volto cambiava velocemente sfumatura di colore passando dal roseo al
rosso vivido, estendendo quel che prima era localizzato solo sulle
orecchie per tutta la faccia, fino al collo. Si scostò da
lei di
colpo, distogliendo gli occhi lucidi e coprendosi le labbra con il
pugno serrato per evitare che gli tremasse la mandibola.
Erano una perfetta coppia
di bugiardi, si trovò a pensare Italia, mentre lo osservava
da sotto
le palpebre socchiuse, sorridendo mesta. Lei che mutuava quella che
avrebbe potuto essere, in un'altra situazione, una reale ed
affettuosa amicizia in un tiepido amore di convenienza e sopportazione.
E lui che
celava la sua passione e il desiderio – e si, anche il suo
amore –
dietro uno scudo di ritrosia e scontrosità testarda.
“Non ancora. Lo
farò
un giorno, forse, ma ancora no. Non posso” Gli
sussurrò a fior di
labbra, incrociandone lo sguardo aggrottato che ora la fissava di
sbieco, dal basso.
“Perché non
puoi? Cosa
ti manca, si può sapere?”
“... La fiducia. Tu non
ti fidi di me, e quindi nemmeno io posso darti la mia fiducia”
Gli avesse dato un pugno
sulla tempia, lo avrebbe stordito di meno. Inghilterra si
fermò
persino nel respirare, fissandola stranito e con gli occhi
pericolosamente venati di rosso.
“Lo sai che non posso!
io...” di colpo si era alzato in piedi, e aveva
cominciato a fare
avanti e dietro per il salotto di fronte a lei. Una tigre in gabbia,
nervosa e infuriata con chi l'aveva rinchiusa in quella piccola
prigione. Strano, e dire che la sequestrata a conti fatti, era lei.
“Si, si. Conosco le
motivazioni per cui debba rimanere qui ormai a memoria. La buona
riuscita dell'operazione Husky nel sud Italia, l'onore del servizio
di spionaggio inglese, gli ordini dall'alto...il fatto che la mia
mancanza sul campo demoralizzi i soldati che quindi si arrendono
più
facilmente. Ho dimenticato qualcosa?” chiese
Italia, contando sui
polpastrelli della mano mentre enumerava le varie scuse “Ah,
giusto. Dimenticavo la più bella di tutte: devo imparare a
bere il
tea come una persona civile e non come una selvaggia, rovinandolo con
chili di zucchero e limone” seguitò
poi appena sardonica, mentre
ripresa la tazza beveva apposta con deliberata passione un sorso
della sua limonata-tea.
“Quella roba
è un
insulto a qualsiasi inglese degno di questo nome!”
Esclamò l'uomo,
fermandosi di colpo per puntarle un dito contro, minaccioso. Ora che
Italia aveva riportato la conversazione sui binari del sarcasmo, era
decisamente più a suo agio “Il mio orgoglio da
gentiluomo
britannico non può permettere che chicchessia si sollazzi
con una
cosa tanto triviale come quella robaccia che ti ostini a paragonare
con il tea!” sbuffò concitato,
incrociando le braccia al petto “È
ormai diventata mia
precisa e personale missione trasformare una mangiamaccheroni come te
in una lady elegante e raffinata, anche se è un'impresa
titanica...”
“Ah,
si si.. Eppure...” sospirò fintamente
sconsolata Italia, mentre
accavallava le gambe con grazia “Mi
pare sia tu quello che a cena
mangia più di tutti, persino più di Jesse che
è nel pieno della
crescita e quindi dall'appetito robusto per definizione, nonostante
sia proprio la mangiamaccheroni a cucinare. Forse che la mia volgare
e dozzinale cucina italiana è un filino meglio della
tua?”
aggiunse, sfarfallando con le ciglia in maniera
civettuosamente
ironica.
“Ngh...
è che odio gli sprechi. Mica mangio perché mi
piace, anzi! Starei
decisamente meglio se non fossi costretto a mangiare tutte le sere la
robaccia che prepari...”
Italia
socchiuse gli occhi, contando mentalmente fino a cinque. Quando li
riaprì, non si stupì affatto nel vedere sul volto
di Inghilterra
l'imbarazzo e la colpa aggrottargli le sopracciglia già
importanti
di loro fino a farle combaciare al centro, mentre le labbra
cominciavano impercettibilmente a tremare e gli occhi a farsi di
nuovo lucidi. Prima diceva una cosa spiacevole e indelicata o anche
solo fuori luogo – per i suoi standard. Lei e Lavi quando ci
si
mettevano di buzzo buono a sciorinarsi cattiverie l'una contro
l'altra, ci andavano giù mooolto più pesante, e a
volte arrivavano
pure a prendersi a pugni. Questa era un'offesa all'acqua di rose
–
e poi se ne pentiva immediatamente. Ma non avendo il coraggio o
l'onestà per chiederle semplicemente scusa del suo
comportamento
sconclusionato, metteva su quella faccia da cane bastonato alla
catena entrando in un mutismo scorbutico ed autolesionista da cui poi
avrebbe dovuto tirarlo lei stessa fuori a fatica, parlando del
più e
del meno, fino a quando il biondo non si sarebbe sentito abbastanza
rassicurato del fatto che non lo odiasse, che non se l'era
presa per quel che le aveva detto e
che non lo trovasse patetico e disgustoso.
Bé,
non lo trovava né patetico né disgustoso. Ma
scemo si, e anche
tanto.
Distolse
lo sguardo, sospirando mentre si appoggiava allo schienale del
sofà.
Come con gli animali selvatici, era meglio evitare il contatto visivo
diretto... lo sentì agitarsi appena, fremere di nervosismo,
e poi
mugugnare qualcosa di incomprensibile mentre si dirigeva alla porta
uscendo velocemente. Uff... adesso avrebbe dovuto anche andarlo a
cercare. Italia pregò che non si fosse rintanato di nuovo in
soffitta, quel dannato posto era pieno di cianfrusaglie che
rischiavano di crollare ad ogni suo passaggio, di polvere decennale e
presenze inquietanti che persino lei, seppur non avesse alcuna
capacità spiritica riusciva ad avvertire... e non le piaceva
affatto.
Dopo
qualche minuto di pace silenziosa, la porta si aprì
lentamente alle
sue spalle. Dallo spiraglio, fece la sua comparsa il viso sottile e
delicato di Rose, con un lieve cipiglio dietro gli occhiali dalla
montatura dorata.
“Signora
Felicia, vi disturbo?” Domandò con la
sua vocina dolce, ma era già
entrata chiudendosi la porta alle spalle “il signor Inghilterra
è
uscito di casa poco fa in tutta fretta, senza lasciar detto dove
stesse andando. È successo qualcosa?”
chiese poi, con nervosismo e
una punta di speranza.
Si,
perché il fatto che la sua nazione madrepatria avesse
reclamato la
donna come suo possesso, alla giovane ausiliaria inglese non era
andata per niente giù. Sebbene la ragazza sapesse che
un'umana aveva
ben poche possibilità di conquistare il cuore di una
nazione, fosse
anche per una mera differenza nelle aspettative di vita, l'aver
dovuto lasciare il passo all'altro senza nemmeno avere il diritto di
far valere i suoi sentimenti le era scocciato terribilmente.
Italia
aprì di nuovo gli occhi, e voltando il capo la
guardò da sopra la
spalla, sorridendo “niente
di particolarmente grave, suppongo.
Probabilmente aveva solo voglia di uscire... lui che
può” disse
con un sospiro stanco, battendo leggermente la mano sull'imbottitura
del divano accanto a lei. La ragazza non se lo fece ripetere due
volte, e andò ad accomodarsi lì accanto,
sporgendosi verso di lei
col petto minuto appoggiato al suo braccio e lo sguardo fisso nei
suoi occhi.
Certo
che lo spirito di competizione trasforma gli umani... Italia stentava
a credere che quella ragazza, i primi giorni tanto timida e riservata
da arrossire ogni volta che le rivolgeva la parola, ora provasse a
sedurla ogni volta che ne avesse avuto l'occasione. Non che le
dispiacesse... era divertente, una volta ogni tanto, essere la
“preda” e non la cacciatrice. Una preda
già messa nel paniere,
tra l'altro: Inghilterra non era sempre presente, e si sa che quando
il gatto non c'è...
Sorrise
lieve, sporgendo il viso a baciarne le labbra sottili che fremettero
appena “mi
spiace per la situazione in cui siete finiti tu e
Jesse... dev'essere stancante doverci sopportare tutto il giorno. In
fondo siamo solo due vecchi brontoloni e testardi...”
“No...
non dovete preoccuparvi per noi, signora”
l'inglese scosse il capo
leggermente, pur di non perdere il contatto con la pelle dell'altra
donna “a me
spiace che voi siate costretta a subire... bé, quello
che subite” uno sbuffo, accompagnato da un
veloce rabbuiarsi dello
sguardo chiaro “mi
sento in colpa per quello che la mia nazione vi
sta facendo, e se potessi...”
“Non
ti preoccupare... confronto alla guerra, esser l'amante di
Inghilterra potrei quasi definirla una cosa positiva e...”
si fermò
un attimo. Voleva aggiungere che probabilmente tra poco avrebbe
sofferto molto, ma molto di più con lo spostarsi del
conflitto nel
suo paese. Ma solo sentirla parlare di amanti aveva reso Rose gelosa
e accigliata. Meglio non aggiungere altri capi d'imputazione sulle
spalle della nazione britannica agli occhi di una sua figlia.
Sospirò
appena, e le passò le braccia attorno alla schiena,
attirandola a sé
per abbracciarla e cullarla teneramente, ricambiata.
Rimasero
silenziose per alcuni momenti, poi da qualche parte vicino alla
scollatura dell'abito sentì la voce di Rose ovattata e
timida “Signora
Felicia... avete pensato a quello che vi avevamo detto? Io e
Jesse ne abbiamo parlato a lungo, e abbiamo deciso... se vuole, noi
siamo pronti anche ora...”
… Ci
aveva pensato si. Da quando i due ragazzini, in barba a tutto quello
che poteva credere, le avevano proposto di farla scappare da
lì, con
la sola clausola di portarli con lei in Italia. Cosa che l'aveva
messa in un atroce dilemma... Certo, la loro presenza durante il
viaggio di ritorno le avrebbe fatto comodo. Per quanto potesse aver
migliorato il suo inglese nell'ultimo periodo, il suo accento era
palesemente straniero, individuabile anche da un bambino. E le
abitudini britanniche le erano ancora ostiche... persino guidare, se
fosse riuscita a prendere “in prestito”
un'automobile sarebbe
stato un problema, dato che qui guidavano al contrario – e
poi si
definivano civili. Con la guida al contrario. Bah... - senza contare
che la sua conoscenza delle campagne inglesi proveniva dall'ultima
volta che aveva visitato il regno di Britannia, circa mille e
settecento anni prima. Potevano esserci stati dei piccoli cambiamenti
nel frattempo, in effetti.
Lei
poi non aveva nulla da perdere a portarseli dietro... loro
però
avevano tutto. Non solo quel che rimaneva della loro famiglia, le
amicizie e i possedimenti economici. Aiutarla volontariamente
equivaleva ad alto tradimento, e per un soldato –
perché
nonostante tutto, sia Jesse che Rose erano nell'esercito –
poteva
voler dire anche la condanna a morte. Senza contare che poteva essere
parecchio pericoloso: viaggiare di notte, senza soldi o aiuti,
passare per vie traverse e nascoste alla pubblica sicurezza... e per
le vie traverse non ci passano mai i gentiluomini. Lei non si era mai
fatta problemi a tagliare un paio di gole, non le era mai pesato
troppo versare sangue altrui. Ma farlo sotto gli occhi di due
ragazzini, sia pure per proteggerli... bé, era diverso. Non
se la
sentiva di mostrare il suo volto nascosto, quello di creatura
spietata, sadica e vendicativa, anche a loro.
“Rose,
tesoro mio... Ne abbiamo già abbondantemente discusso.
È troppo
pericoloso, sia che la cosa riesca, sia che ci ricatturino per
strada... una volta scappati, non potrete tornare indietro.
Certo...”
sospirò lieve, posando un leggero bacio tra i capelli
castano-cinerei della ragazza stretta al suo petto “Potrei sempre
dire di avervi preso in ostaggio, magari vi eviterebbe la fucilazione.
Ma sarebbe comunque un rischio
che non mi sento di farvi correre. Solo per pura fortuna siete
scampati alla morte qui nella vostra terra... bé, l'Italia
è
ridotta come Londra da ormai due anni. Non c'è
più un capoluogo di
regione che non abbia ricevuto un attacco aereo e non sia stata
bombardata. E tra poco sarà ancora peggio, con il
conflitto direttamente sul territorio e non solo aereo. Conosco
decisamente troppo bene la mia terra e la sua conformazione per farmi
illusioni di sorta. Posso già predire che sarà
una guerra lunga e
sofferta, soprattutto di trincea, dove bisognerà combattere
per ogni
singola strada, ponte o valico. La mia povera Italia
diventerà un
lago di sangue e fango... Mi sembra assurdo portarvi in un inferno
simile e-”
Non
riuscì a completare la frase. La ragazza gli aveva chiuso la
bocca
con la propria, insistendo in un bacio che sapeva di testardo e
infantile. Davvero, l'idea di essere la causa di morte di quello
scricciolo era decisamente deprimente. Anche se alla fin fine, era
solo una fra le migliaia di scriccioli che durante questa guerra
erano o sarebbero morte.
“Se
non ci permettete di venire assieme a voi, vi seguiremo di nascosto.
Ormai abbiamo deciso, e non cambieremo idea. Chiamateci sciocchi, o
folli, o traditori. Non ha alcuna importanza.”
mormorò la
ragazzina a fior di labbra, posando al fronte nell'incavo del collo
della donna mediterranea. “Se
davvero ci tenete anche solo un
briciolo a noi come avete dimostrato fino ad ora, allora lasciate che
vi seguiamo. Vi potremmo essere utili, e inoltre Jesse ha sempre
sognato di poter diventare un attore. È bravissimo a
recitare e sono
sicura che diventerà un ottimo baritono, se avrà
la possibilità di
studiare. Ha sempre desiderato di poter vedere il vostro paese e
diventare un artista tale da esibirsi alla Scala. Ama l'Italia con
tutto sé stesso...”
Italia
ristette, lo sguardo basso e stanco di chi ha scaricato ormai da un
pezzo le munizioni della sua arma e tiene in mano solo un inutile
ferro vecchio “Potrei
sempre avvisare delle vostre intenzioni
Inghilterra. Vi costringerebbe a rimanere qui... forse potrebbe
espellervi dall'esercito , o addirittura farvi incarcerare per
tradimento. Ma sareste relativamente al sicuro, a questo modo”
mormorò la donna, debolmente. Non credeva nemmeno lei a quel
che
aveva appena minacciato, e la ragazza sulle sue gambe lo aveva
intuito con una facilità disarmante. Sorrise beffarda con un
lieve
ghigno sulle labbra rosee “No,
non lo fareste. Anche perché se
solo subodorasse l'idea che voi possiate fuggire, il signor
Inghilterra sarebbe pronto a chiudervi a chiave in camera. E stavolta
stando ben attento che non possiate scappare... A lui non importa molto
di noi due. Siamo al pari dei gatti nel cortile, confronto a
voi” Touché. Era molto
più probabile che invece di fermare quei ragazzini bloccasse
completamente lei. No, meglio tenere il faccia da culo fuori da
questa storia... per quanto possibile, essendo lui il principio di
tutta questa storia. Italia si poggiò con le spalle allo
schienale,
sospirando, e socchiuse gli occhi arresa.
“Anche
ammesso che vi permetta di seguirmi... avete davvero compreso cosa
possa significare? Pochissimi soldi, niente mezzi. Scappare da ogni
possibile centro abitato o posto di blocco, mescolandoci alla peggio
feccia che come noi evita i controlli fino a raggiungere un porto che
non abbia solo sbocchi sulla manica o sul mare nordico... Il che
significa, se ho ben capito dove ci troviamo, un viaggio
incredibilmente lungo. Probabilmente da fare a piedi. Dormire dove
capita, mangiare quando capita” la donna
sbuffò pesantemente,
mentre sentiva la ragazza sistemarlesi meglio in grembo ed
abbracciarla più stretta. Istintivamente riprese ad
accarezzarle il
capo “E anche
se riuscissimo a raggiungere un porto internazionale,
dovremmo imbarcarci di straforo. Se avessi un gran culo potremmo
trovare un passaggio su una nave argentina, dato che ho legami
stretti con quella nazione non mi dovrebbero negare un simile favore
anche se decisamente pesante e pericoloso. Ma dato che le cose se
possono andar male vanno sempre peggio, potremmo dover fare i
clandestini imbarcandoci di straforo, nella speranza che nessuno ci
scopra.
Sai
cosa succede ai clandestini se li scoprono, Rose?”domandò
abbassando lo sguardo, per osservarla dall'alto.
L'ausiliaria
le fece cenno di no con la testa “Ecco,
meglio che tu non lo sappia
mai. Comunque, posto per caso la possibilità di trovare un
passaggio, potrebbero portarci solo fino alle Canarie, prima di
dirigersi oltre l'Atlantico. Il che significherebbe il dover cercare
un altro passaggio per la Spagna o il Portogallo, un viaggio via
terra attraverso la penisola iberica per evitare lo stretto di
Gibilterra, e solo allora poter sperare di raggiungere le coste
italiane di nuovo via mare, tra le navi vedetta francesi e quelle
militari alleate...
Sarà
un viaggio duro e difficile, lungo giorni, forse settimane ad andar
di sfiga. Con nessun aiuto esterno, e le forze alleate a starci col
fiato sul collo, Inghilterra in primis. Nessun vantaggio, nessuna
sicurezza, e rischio continuo” Italia
sospirò pesantemente. Quanto
sarebbe stato più semplice se non fosse su una fottuta
isola...
poteva rapirla Francia, eh. Sarebbe stata ad un tiro di schioppo da
casa sua. Persino negli immensi territori di Braginski sarebbe stato
più facile evadere... sebbene la sola idea di riaffrontare
la
campagna russa, anche ora che la cattiva stagione era alle spalle,
diede alla donna una scarica di gelido e puro terrore fin dentro il
midollo osseo.
“Ciononostante
voglio lo stesso seguirvi, Signora Felicia. Se non lo facessi, se non
ci provassi sento che me ne pentirei per il resto della mia
vita...”
Mormorò piano l'inglese, ora discostandosi dal petto
dell'italiana
per poterla osservare. Aveva il volto arrossato e tremava lieve, ma
negli occhi lucidi la donna poteva leggere una sicurezza infantile e
incrollabile, che sfociava nell'ostinazione.
“Pensi
davvero che ne valga la pena, Rose? Per cosa abbandoneresti il tuo
paese, le tue certezze, la tua unica parente ancora in
vita...?” Le
domandò allora la donna ricambiandone lo sguardo, mentre la
faceva
sedere sulle sue ginocchia abbracciandone la vita sottile. Rose
celò
gli occhi nascondendoli dietro le palpebre per alcuni istanti,
arrossendo. Ma quando le rispose, tornò a guardarla in
volto,
diretta e sincera
“Perché
anche io amo l'Italia, con tutta me stessa”
Fu solamente dopo
parecchie ore, a notte ormai inoltrata che Inghilterra si
ripresentò
a casa, canticchiando una canzoncina stonata da osteria. Essendo
ancora sveglia a leggere un libro Felicia ne sentì lo
sferragliare
incerto sul portone di casa, e i passitraballanti sulle scale di
legno. Poi, per circa una decina di minuti non lo avvertì
più,
segno che si era fermato, molto probabilmente, nella stanza da bagno.
Quando si presentò
nella
camera aveva la giacca ripiegata sul braccio e la cravatta dal nodo
storto, ed appariva stranamente col volto arrossato... come se avesse
bevuto. Doveva essersi risciacquato la faccia con una certa
esuberanza, da come aveva i capelli e il collo della camicia bagnati.
Si... era abbastanza alticcio, cosa molto strana essendo un giorno
infrasettimanale**
“Bentornato”
lo
salutò con un delicato sorriso sollevando lo sguardo dalla
pagina.
In risposta, ricevette un basso e incomprensibile mugugno, mentre
appendeva la giacca sull'attaccapanni e posava cintura e fondina con
pistola annessa sul mobile da toeletta. I primi giorni,
pensò
Italia, la pistola la ficcava dentro la cassaforte chiudendola a
chiave. Ora la lasciava in bella vista a tre metri da lei, e non solo
per via dell'alcool. In fondo, non era affatto vero che non si
fidasse di lei. Anzi, forse lo faceva anche troppo... ma nel modo
sbagliato.
Tornò alla sua lettura,
mentre avvertiva il peso di Inghilterra abbassare il suo lato del
letto impegnato a trafficare con gli stivali per toglierseli. Ma
invece di finire a spogliarsi, l'uomo si buttò all'indietro,
mancando lo spigolo del libro per un soffio e poggiando con
pesantezza la testa sulle gambe leggermente piegate di Felicia. Che
per lo spavento aveva sputato fuori l'aria di colpo, e si era messa a
tossire leggermente.
“Ma che ti prende,
adesso?” Gli chiese di nuovo, abbassando lo
sguardo quando i colpi
di tosse scemarono completamente. Di nuovo, non ricevette alcuna
risposta.
Inghilterra rimase
silenzioso a fissare il soffitto per parecchi istanti, prima di
rotolare su un lato e affondare il viso nel grembo della donna,
abbracciandone al contempo i fianchi con entrambe le braccia. E di
nuovo rimase silenzioso, tanto che le parve quasi che si fosse messo
a dormire in quella posizione strana. Ma effettivamente non dormiva,
aveva gli occhi aperti seppur lucidi e offuscati dall'alcool.
Felicia posò il libro
sul comodino – decisamente era troppo difficile continuare a
leggere così – e posò le mani sulla
spalla dell'altra nazione e
sulla sua testa, tra i fini capelli biondo sporco scarmigliandoli
più
di quanto già non lo fossero.
“Avanti, un penny per i
tuoi pensieri. Si dice così, no?”
Inghilterra si prese
tempo per rispondere, ma da come le strinse i fianchi, se non altro
aveva sentito la domanda, stavolta. Gli tamburellò con tutte
e
quattro le dita sulla spalla, per mettergli fretta.
“E va bene. Stavo
pensando... se ti mettessi incinta, qualsiasi cosa succeda saresti
legata a me. Cosa ne pensi?”
“… Che
è stato il
peggior investimento di un penny che abbia mai fatto in vita mia,
davvero.”
“Non sei
simpatica”
“E tu sei ubriaco. Uno
a uno palla al centro”
“No, sto parlando
seriamente!” Sbuffò l'uomo, torcendo
il collo per guardarla dal
basso con l'espressione contrita “Un
figlio lega incredibilmente
due persone, funziona così per i normali esseri umani, o
almeno per
la maggior parte di loro. Non vedo perché non dovrebbe
funzionare
anche per noi nazioni. E dire che ci provo da ormai più di
un
mese...” seguitò, fissando lo sguardo
opaco in un punto
indefinito, ragionando ormai da solo “forse devo solo
impegnarmi un
po' di più”
Cos'è che stava
facendo
lui da più di un mese? Per cosa voleva impegnarsi un
pochetto di
più?
Santo cielo, spero che
sia l'ubriacatura a farlo sragionare e inventarsi le baggianate...
… No. Era serio,
fottutamente serio. Per quanto la sbronza potesse lasciargli solo un
barlume di coscienza, stava realmente pensando di avere un figlio da
lei. Così, tutto d'un tratto – non poi
così tanto d'un tratto,
ripensò poi. Dato che il cretino era un mese e passa che
voleva
mettere in forno lo scone, a giudicare da quel che aveva confessato.
Nel vino la verità e nella birra le sciocchezze.
Un conto però era
giocare a far la coppietta appena sposata, ma quello che le aveva
chiesto era decisamente un'aggiunta alle regole di gioco che non
aveva preso in considerazione, neanche per un secondo in tutta la sua
plurimillenaria esistenza. Un figlio? No, grazie. Non voleva proprio
finire come i suoi antichi fratelli e sorelle, le provincie romane,
che dopo essersi uniti alle popolazioni locali avevano perso tutte le
loro forze, sparendo per sempre. Con l'unico risultato di aver
lasciato dei figli che nemmeno si ricordavano della loro esistenza.
Ed anche lei, sebbene fosse riuscita in qualche modo a sopravvivere a
tutti loro, a quante cose aveva dovuto rinunciare? Ne era valsa la
pena, dopotutto?
Per un secondo ripensò
a
tutti quelli che si era lasciata alle spalle... tante, troppe nazioni
e semplici umani che aveva amato. Mai e poi mai, aveva giurato a
sé
stessa, si sarebbe più permessa di legare il proprio destino
a
chiunque altro non fosse Lavinia. Non avrebbe retto il contraccolpo
della perdita, non di nuovo.
Felicia strinse i denti
indurendo la linea della mascella, e riprese il libro, riaprendolo
con cocciutaggine stampata in volto alla pagina poco prima
abbandonata, mentre appoggiava i gomiti sopra la testa del biondo.
“A parte che questo
discorso non sta né in cielo né in terra, secondo
te mi lascio
mettere incinta durante una guerra dove rischio la vita un giorno si
e l'altro pure? Mica sono scema”
L'uomo sbuffò,
scocciato
per come la sua proposta – se quella potesse essere
considerata una
proposta – fosse stata accantonata in maniera tanto rapida e
perentoria dalla compagna “Su
questo avrei molto da rid-ahio, ma
che hai al posto del gomito, una baionetta? Mi hai trapassato il
cranio!! Comunque” lieve colpo di tosse, per
schiarirsi la voce
mentre cercava di togliersi dalla testa quei due punteruoli
travestiti da braccia “Da
che mondo è mondo i figli arrivano, non
puoi decidere tu se, come e quando rimanere fecondata. Soprattutto se
non si prende nessuna misura contraccettiva, ed io sono stato ben
attento a fare centro ad ogni colpo in canna, senza false modestie.
Da qualche parte” ummeggiò
pensieroso, grattandosi il naso sul suo
stomaco “dovrei
avere la ricetta di una pozione per la fertilità
di epoca medievale... chissà dove l'ho messa. Magari
aiuta”
Italia alzò gli occhi
al
cielo, pregando che le desse la pazienza necessaria a non stordire
del tutto l'amante con una testata e poi legarlo come un salame
dentro a un tappeto per appenderlo davanti alla porta di casa,
così da fargli smaltire l'alcool in modo meno
stupido. E con voce lievemente annoiata spiegò “Per le donne
normali forse si, ma vorrei ricordare al tuo piccolo e alcolizzato
cervellino che io sono una nazione. Posso decidere tutto quello che
voglio del mio corpo... se lo volessi, potrei anche tornare nuova,
intatta e candida come un foglio di carta appena uscito dalla
cartiera. E con le tue pozioni, onestamente parlando, ci faccio i
gargarismi... per essere educata”
Ci mise un pochetto
Inghilterra a comprendere il significato di quelle parole, ma quando
ci riuscì rizzò un poco la testa, fissandone il
viso da sotto in su
con gli occhi spalancati “Stai
scherzando? Davvero sei in grado di
fare una cosa simile?”
“Cosa, i
gargarismi?”
“Certo, rintronata. Mi
chiedevo proprio se tu sapessi fare i gargarismi, non riesco
più
vivere senza questa informazione”
sbottò l'uomo, e l'espressione
da stupefatta mutò velocemente in una sardonica “sto parlando del
tuo rimaneggiare... qua sotto. Davvero sei in grado di decidere se
poter rimanere incinta o meno, e addirittura tornare vergine?
…
Quindi tutto quello che ho fatto finora è stato inutile?
Pure
segnarmi il tuo ciclo mestruale sull'agenda e chiedere pronostici
agli spiriti fatati sui tuoi giorni fertili?” aggiunse
mugolando a voce bassissima e impastata
“Bé”
Felicia si
strinse le spalle, ignorando lo sguardo dell'uomo con innata classe
“in fondo si
tratta pur sempre di una ferita, persino minuscola
paragonata a tante altre. Quindi come ben dovresti sapere,
rimarginabile con un minimo di buona volontà e impegno anche
a
distanza di anni. E per rispondere alla seconda domanda...
bé, se
non altro è stato decisamente piacevole. Vedila da questo
punto di
vist- aspetta, cos'è che avresti fatto TU?”
“... Mi avvalgo della
facoltà di non rispondere”
“... Si, in fondo anche
io non sono poi così tanto sicura di voler sentire davvero
la
risposta.”
Rimasero in silenzio in
cui l'uomo la fissava da sotto in su e la mora lo ignorava
bellamente, poi Inghilterra sollevò appena un sopracciglio
per
questionare
“... E quindi
s-”
“No.”
Lo interruppe
secca e lapidaria, senza nemmeno alzare lo sguardo dal libro.
“Non sai nemmeno cosa
volessi chiederti!” protestò l'uomo,
tornando ad appoggiare la
testa sul corpo della compagna, coi muscoli del collo che urlavano
pietà.
“Era un no a
prescindere, dato che sicuramente stavi per dire un'immensa
stronzata. Fine del discorso” Liquidò
il tutto con uno sbuffo
annoiato, voltando pagina. Solo dopo un po', in cui il silenzio si
era fatto pesante – e si era anche stufata di come
Inghilterra gli
stesse tamburellando con le dita sul fianco in maniera nervosa
– riprese la parola
“Comunque, come mai ti
è presa questa fregola? Di solito sono le donne ad avere
l'orologio
biologico che le punzecchia e a fare simili uscite tra capo e collo,
non gli uomini...” domandò poi,
abbassando di nuovo lo sguardo su
di lui. Che nascose il suo spingendo il volto tra le pieghe della
camicia da notte, in un cambio di espressione rapidissimo e
colpevole, premendo sul suo ventre mentre stropicciava la stoffa con
entrambe le mani. Sembrava un bambino che per scappare dai fantasmi e
dai mostri notturni nascondeva la testa sotto alle coperte...
considerato però il livello di affabilità che
Inghilterra aveva con
fantasmi e la roba occulta in generale, si chiese cosa mai potesse
preoccuparlo tanto.
Giusto. Come aveva fatto
a non pensarci prima? Era così logico... Ma in momenti
simili, anche
lei a volte si dimenticava cosa stesse accadendo al di fuori di
quelle quattro mura.
“Per quando
è previsto
il primo attacco?”
Domandò con voce dolce
e
tranquilla, quasi gli avesse chiesto se per il giorno dopo preferisse
il polpettone o l'arrosto per cena. Inghilterra al contrario
fremette, come se Italia invece di sussurrare gli stesse urlando
contro con inusitata rabbia. La strinse ancora di più,
affondando il
viso fino a mostrarle, da quella posizione, solo la nuca
“I... primi di giugno.
Pantelleria...*** Creeremo una testa di ponte per proteggere lo
sbarco vero e proprio sull'isola di Sicilia, e poi sul continente.
È
già... tutto deciso. Ormai le truppe tedesche e quelle
italiane
hanno dato la resa in Tunisia, la campagna d'Africa è
conclusa in
modo vittorioso per gli alleati. E il conflitto si sposterà
a nord.
Ormai i bombardamenti aerei hanno distrutto la maggior parte delle
strutture sulle isole, militari... e civili ” La
voce di
Inghilterra era bassa e debole, soffocata dal morbido e sottile lino
che avvolgeva il corpo della donna.
Italia sospirò con
triste rassegnazione, e l'uomo tremò di nuovo, quando questa
posato
nuovamente il libro riprese ad accarezzargli il capo.
“E cosi è
finita con
la sconfitta, alla fine. Non posso dire che mi abbia colto di
sorpresa. Sarai dunque sempre tu la potenza alleata ad attaccarmi con
i bombardamenti?”
Inghilterra trattenne il
fiato e annuì col capo, per poi balbettare “Quel che è
stato
fino ad ora... è solo un assaggio di quel che
succederà. Gli
attacchi alle città italiane fino ad ora, confronto a quelli
avvenuti nei mesi scorsi sono poca roba... Poi anche America
attaccherà. E quello nella sua corsa all'eroismo esaltato,
schiaccerà tutto quello che gli capita davanti”
si bloccò in un
singulto, mentre attirava le gambe al corpo strisciandole sulla
coperta, fino ad assumere una posizione accucciata di fianco a quella
seduta sul letto di Italia, ancora con le braccia attorno al corpo
caldo della donna “mi
odi, non è vero? Lo capisco... non puoi fare
a meno di odiarmi. Non posso fare a meno di farmi odiare. Hai ragione
tu, non c'è nessuno al mondo che possa volere uno come me...
riesco
solo a distruggere tutto quello che desidero e tocco”
“Non ti odio”
rispose
semplicemente Italia, interrompendo il flusso di depressione in cui
Inghilterra si stava infilando in una lenta e dolorosa nenia “Magari
mi stavi decisamente sull'anima, ma non ti ho mai odiato. Non ho mai
odiato veramente nessuno, a dire il vero. È la guerra,
semplicemente una guerra mostruosa e distruttiva per tutti.”
Aveva ripreso a parlare
col tono basso e tranquillizzante, mentre cullava l'altro
assecondando il suo naturale ondeggiare dolente.
“Non è
colpa tua, né
di nessun altro. Noi nazioni non siamo niente altro che foglie
trascinate dalla corrente degli eventi, e a prescindere da quel che
desideriamo veramente non possiamo far altro che eseguire
ciò che
il nostro popolo e soprattutto il nostro governo decide per noi. E se
chi ci comanda decide che dobbiamo distruggerci a vicenda...”
non
continuò la frase, non ce ne era bisogno. Restò
in silenzio ad
accarezzare i capelli di Inghilterra per parecchi minuti, lasciando
che questi sfogasse a quel modo la sua sbornia diventata
improvvisamente triste. Poi, di punto in bianco riprese a parlare,
cambiando totalmente argomento.
“Sai, il mio albero
simbolo è la quercia rovere. Buffo, vero? La pianta che
più di
tutte le altre rappresenta la virilità, la saggezza e la
forza
militare accostata a me, che sono tra le nazioni una delle
più
deboli, fragili e decisamente poco virile. Chi ha deciso quale pianta
dovesse rappresentarmi doveva avere un grande senso
dell'umorismo...”
Non sapeva dire se
l'altra nazione l'avesse sentita o meno, ma se non altro ora si era
tranquillizzata abbastanza da mostrare, se non tutto il viso per lo
meno l'orecchio e lo zigomo, arrossati per la posizione precedente e
per il pianto soffocato in singhiozzi silenziosi. Finse di non farci
caso.
“Io invece mi son
sempre considerata più simile al giunco... sai, quello che
cresce
vicino agli stagni e nelle zone paludose, come la mia pianura padana
fino a pochi decenni fa” Continuò la
donna, sorridendo lieve
mentre le dita sfioravano la pelle accaldata dell'altro con la punta e
le unghie , grattando sull'ombra di barba lungo la linea della
mascella “insipida,
poco considerata per come nasce e cresce nel
marciume. Quasi infestante, direi... però, tenace. Che ci
sia una
tempesta, un uragano tale da strappar via gli altri alberi dal
terreno o persino un incendio... finché rimane vivo un solo
rizoma
nascosto sotto la terra, il giunco rinascerà sempre. Non
importa con
quanta cattiveria ci si scagli contro, al giunco basta un po' di
terra, dell'acqua e il sole e tornerà sempre a farsi vedere,
con le
sue foglie ineleganti e le sue lunghe canne ondeggianti al
vento...”
“Io ti avrei definito
più simile ad un arancio”
Mormorò Inghilterra, dopo un po'. La
voce decisamente più tranquilla e non macchiata dalle
lacrime,
sebbene il volto fosse ancora rosso e la posizione rannicchiata su se
stessa.
“... Se è
per fare
allusioni poco carine riguardo il mio sedere e alla cellulite, sappi
che ti ucciderò adesso, senza rancori. Ti lascio due minuti
per
rendere l'anima a Dio.”
“No, scema”
si sbrigò
a spiegare l'uomo, dato che il tono gelido con cui Italia aveva
parlato non lasciava adito a dubbi su quanto fosse seria nella sua
minaccia “È
che profumi di zagara, per questo mi ricordi
l'arancio. Zagara, salsedine e incenso, con un vago sentore amaro di
essenza di trementina. Ci ho messo un po' per capire cosa fosse
quest'ultima nota aromatica... La cosa più assurda
è che da te non
avverto alcun odore di cibo, e invece un tempo mi sarei aspettato che
profumassi di arrosto o di pasta al forno...”
“Guarda che sono una
nazione, mica una cucina, veh.” lo
avvertì con una nota di
sarcasmo la donna, tirandogli appena i capelli tra le dita con fare
dispettoso.
“Lo so, lo so. Eppure,
mi davi questa impressione... ma ti preferisco così, ai
fiori di
arancio” ridacchiò appena, tornando
ad affondare il volto nel
grembo della donna. Probabilmente era ancora l'alcool in circolo che
lo faceva parlare così, senza la sua solita
scontrosità. Per un
singolo, utopico attimo si ritrovò a pensare come sarebbe
stato il
suo futuro se fosse per sempre continuato accanto ad Inghilterra,
senza lo spettro del conflitto tra di loro. Sarebbe mai riuscito ad
essere onesto ed apertamente affettuoso con lei anche senza due pinte
di birra in corpo?
Italia sorrise, e
sospirando aggiunse “Scommetto
che non immagineresti mai quale sia
la pianta simbolo di Lavinia...”
“... Lo stramonio? La
belladonna? Il tasso? Anzi, no... direi l'oleandro****. Si, secondo
me è l'oleandro”
“Quanto sei maligno...
non è assolutamente vero che Lavi è velenosa.
È solo che non ha
molta dimestichezza con la diplomazia, ecco tutto. E comunque
è
l'ulivo*****, per tornare in tema”
Inghilterra finalmente
voltò il capo tanto da poterla di nuovo guardare, di
profilo, con un
occhio solo. Decisamente scettico. Ma quando si accorse che non lo
stava prendendo in giro, scoppiò a ridere di gusto
“Pffffft...
L'albero
simbolo della pace e della saggezza legato a quel demone in gonnella
di sud Italia? Si, chi ha fatto i collegamenti tra voi e le piante
decisamente era un grande umorista, non c'è nulla da
dire...”
Italia sbuffò,
tirandogli un piccolo cazzotto sulla spalla “Lavinia quando vuole
sa essere molto dolce e gentile, ed anche incredibilmente affettuosa.
Sei una pettegola tremenda e parli per partito preso, ecco”
Quando si riprese dalla
ridarella, l'uomo sospirò pesantemente, e tornò a
nascondere il
volto nella camicia da notte di Felicia, sebbene continuasse a
guardarla con la coda dell'occhio “Senti...
una volta l'avevo
presa in ostaggio per poter minacciare Spagna e tenerlo in scacco
–
non guardarmi a quel modo, per mare la vita di un pirata funzionava
così – e l'avevo fatta trasportare sulla mia
galera, pieno di
marinai esperti abituati alle peggiori traversie e alla disciplina
ferrea. Ebbene... dopo neanche mezz'ora d'orologio, il tempo che ho
impiegato per andare a parlamentare con Carriedo sul suo galeone e
avevo il castello di poppa e la mia cabina in fiamme, metà
dei
cannoni fuori uso o addirittura fuori bordo, tutte le cime
ingarbugliate in maniera incredibile e tre quarti dell'equipaggio
passati dall'essere dei soldati disciplinatissimi a furibondi
hooligan aizzati l'uno contro l'altro, con parecchi che tentavano di
uccidersi tra loro – o di ingropparsi in un'orgia totale, nel
caos
non l'ho capito molto bene - E quel piccolo diavolo travestito da
angioletto attaccata al timone impazzito che canticchiava con una
bottiglia di rhum in mano e l'aria candida di chi non sapesse
assolutamente cosa stesse accadendo attorno a lei. Da quel giorno
è
diventata una leggenda al pari del kraken o del triangolo delle
Bermuda, per la marina imperiale britannica. Nonché il mio
personalissimo incubo per almeno due secoli.
No, non fa assolutamente
ridere, sai? Smettitela”
Aggiunse, quando sentì
la donna non trattenere in alcun modo una risata divertita e
cristallina coprendosi a malapena le labbra con entrambe le mani, gli
occhi stretti in una fessura lucente. Sebbene anche a lui venisse da
ridere, ora che la raccontava. Effettivamente... l'idea che una
marmocchia alta un metro e un pomodoro l'avesse messa in saccoccia a
centocinquanta uomini tignosi e nerboruti e soprattutto a lui,
faceva veramente ridere ripensandoci a mentre fredda, e mettendo da
parte per cinque minuti l'orgoglio. La cosa peggiore tral'altro
è
che a quel mostriciattolo era bastato fare gli occhioni dolci e
innocenti – assolutamente falsi, lo sapeva benissimo.
Eppure... –
e gli era divenuto impossibile prendersela con lei. Infatti se l'era
presa con Spagna, che tanto ci era abituato.
Italia sospirò,
asciugandosi una lacrimuccia che le aveva rigato la guancia per il
troppo ridere. Ora che il momento ilare era passato, sul volto era
venuta a crearsi una espressione decisamente malinconica, che faceva
palese contrasto con quella divertita di poco prima.
“... Ti manca,
vero?”
domandò Inghilterra, tornando serio. Le accarezzò
il fianco con
dolcezza, conoscendo già la risposta. Che non
tardò ad arrivare,
con un cenno di assenso del capo da parte della donna
“Si. Da morire.
Così
come mi manca la mia terra... ma soprattutto, quello che mi fa
sentire peggio non è la lontananza, è il non
poter fare nulla, qui. Molto probabilmente anche in Italia sarei
inutile, ma potrei almeno
combattere, o aiutare i civili. Così invece sono del tutto
impotente, e mi sento di tradire la fiducia del mio stesso
popolo...” Lasciò che la voce morisse
lentamente, in un sospiro.
Senza speranze né desiderio di vendetta o rivincita, solo
semplicemente rassegnata.
Rimasero così,
immobili
per un periodo di tempo relativamente lungo, ognuno immerso nei
propri pensieri. Poi, di colpo Inghilterra si staccò dalla
donna,
dandole le spalle mentre si metteva a sedere sul letto. E raccattati
gli stivali, disse con voce bassa mentre li rimetteva “Sai bene che
io non posso lasciarti andare. Sarebbe tradimento nei confronti del
mio governo”
“Si... lo so. Ma
cosa...?” lo scatto dell'uomo l'aveva
preoccupata. Ed ora lo
seguiva con lo sguardo, mentre risistemava la camicia e la cravatta,
e recuperata poi la giacca la indossava nuovamente, allacciandola di
tutto punto.
“Cosa hai intenzione
di
fare?” Italia finì la domanda
lasciata poco prima in sospeso,
spostando istintivamente lo sguardo verso la finestra dalle tende
tirate “Ormai
non mancherà più tanto a mezzanotte... qualunque
cosa tu debba fare, non puoi farla domani mattina?”
Inghilterra si fermò
per
un attimo, mentre risistemava la pistola d'ordinanza nella fondina
sulla cintura appena allacciata. Poi sembrò ripensarci, e
posò
nuovamente il ferro sul ripiano della toeletta. Da che si era alzato,
aveva evitato accuratamente di rivolgere anche solo un quarto di viso
verso il letto e la donna “...
No. È una cosa che devo fare ora.
Mi sono ricordato di avere un impegno urgente e non posso
più
rimandarlo. Starò fuori per almeno una settimana... forse
dieci
giorni. Tu torna pure a dormire, non preoccuparti per me.”
parlò
velocemente, con nervosismo. Gli tremava appena la voce... e la mano,
quando la poggiò allo stipite della porta che aveva aperto.
Certo, fino a cinque
minuti prima stavano ridendo tranquilli, poi di colpo aveva assunto
l'aria di chi stava scappando come avesse il diavolo attaccato al
culo e lei non si doveva preoccupare? E nemmeno la stava degnando di
uno sguardo... Velocemente scese dal letto per poterlo avvicinare e
guardare in faccia, ma prima che riuscisse a girare attorno al mobile
per dirigersi alla porta lui la fermò, sempre dandole le
spalle.
“NO! Ti ho detto di
tornare a dormire. Obbedisci, donna. Non dimenticare chi è
che
comanda qui dentro... È meglio per tutti e due”
Il tono imperioso con cui
l'aveva apostrofata era servito a fermarla, bloccandola sul posto. Si
trovò a balbettare nervosamente, incapace di comprendere il
repentino cambio di umore dell'uomo
“Ma -ma...
perché?
Inghilterra, che è successo all'improvviso? Guardami,
almeno...”
Da teso e nervoso che
era, lo vide afflosciarsi su se stesso, le spalle cadere in avanti
come se reggessero un tremendo peso. Non le rispose, e nemmeno si
voltò a guardarla.
Mormorò un bassissimo
“Arrivederci,
Felicia” prima di uscire dalla stanza,
richiudendosi la porta alle spalle. La donna ne seguì i
passi lungo
il corridoio, poi sulle scale. Anche quando non riuscì
più a
distinguere i rumori fatti dall'uomo al piano inferiore, rimase
immobile al centro della stanza da letto, il corpo a malapena coperto
dalla leggera camicia che andava velocemente disperdendo calore nella
fredda aria notturna. Eppure, il freddo maggiore lo sentiva da
dentro, senza neanche capirne il motivo.
Inghilterra non si
presentò in quella casa se non dopo dieci giorni, trovandola
fredda
e vuota. Alla fine anche i due ragazzini se ne erano andati, seguendo
la donna. Piccole serpi in seno... Sospirando arrivò in
cucina,
dalla cui ghiacciaia proveniva l'odore dolciastro e nauseabondo di
cibi deteriorabili a diversi stati di decomposizione. Persino i fiori
sul tavolo erano secchi ed emettevano un vago tanfo di morte.
Sul piano di legno
rovinato, parecchie cartine e mappe nautiche, gli orari dei treni e
quelli delle navi traghetto e mercantili di parecchi porti, sia sulla
manica che diretti verso l'oceano, aperti e sottolineati in
più
punti. Avrebbe potuto facilmente ricostruire i movimenti dei tre solo
seguendo le indicazioni fornitegli – sembrava quasi apposta
– e
controllando quali, tra le mappe e i vari libelli che aveva lasciato
a bella posta sopra il tavolo la notte di dieci giorni prima,
mancassero all'appello.
Ma prese tutte le carte e
le buttò dentro la stufa bruciandole senza dar loro una
minima
occhiata, fino a che non ne rimase solo cenere impalpabile.
Andò poi nello studio.
Al posto della busta contenente le sterline per il viaggio, ve ne era
una più piccola, indirizzata a lui. All'interno un biglietto
scritto
a mano, due semplici parole nella morbida ed elegante calligrafia di
Italia. Solo due parole, eppure gli bastarono per sentire di aver
fatto la cosa giusta.
Arthur, grazie.
---
* il movimento warp è
quella tecnologia che, sulla saga fantascientifica di Star Trek,
permette alle navi spaziali di muoversi ad una velocità
superiore a
quella della luce. Inghilterra lascia dietro di sé
l'immagine
illusoria sulla rétina, tanto si muove veloce...
**Il popolo anglosassone
(e i suoi derivati) ha un rapporto decisamente tormentato con
l'alcool. Si potrebbe dire che l'alcolismo è il problema
più
diffuso a livello del territorio, quasi una piaga sociale.
Perché a
differenza dei popoli latini, che bevono sempre ma, nella media con
parecchia moderazione - nessun adulto si nega un bicchiere di vino a
pasto, ma è difficile che si superi questa soglia - gli
inglesi
invece durante la settimana non toccano alcool. Son tutte delle
bigotte puritane che solo a vedere una carta dei vini al ristorante
si scandalizzano tremendamente, manco al posto di una bottiglia di
bianco i camerieri avessero appoggiato sulla tovaglia un topo morto.
Durante la settimana, badate bene.
Quando invece scatta
l'ora x del venerdì pomeriggio, cambiano come il giorno e la
notte.
Da ogni parte, ad ogni ora, senza alcuna distinzione di sesso,
età e
ceto sociale il popolo anglosassone beve come una spugna. Roba che
una uscita con gli amici non è considerata ben conclusa se
quasi
tutti non hanno vomitato l'anima sul marciapiede e almeno due o tre
non rischiano il coma etilico.
C'è una ragione
storica
per questo. Durante la rivoluzione industriale, gli stipendi degli
operai erano pagati in parte con la distribuzione di alcolici, e
quasi tutte le fabbriche avevano il proprio pub privato, dove i
lavoratori potevano andare nel dopolavoro a bere pagando pochissimo.
Quindi, per un Tom Jones a caso, farsi una bevuta equivaleva spesso
all'aver ricevuto lo stipendio, ed era motivo di soddisfazione. Poi
l'abitudine di pagare in gin è andata perdendosi, ma non
quella di
considerare l'alcool come causa scatenante di festa e divertimento.
Potremmo dire che la compita e tremendamente regolata
società
inglese galleggia placida su un mare d'alcool, e la maggior parte
delle relazioni sociali lubrifica i suoi ingranaggi sotto l'effetto
dello stupore alcolico. Basti pensare che il nostro "ci si
vede", in Inghilterra spesso e volentieri viene sostituito con
"let's have a drink", andiamo a bere qualcosa...
Inutilmente il governo ha
tentato di arginare questo problema, cambiando gli orari dei pub -
inutilmente. Prima erano aperti solo nel dopolavoro e nel
finesettimana, dopo che potevano star aperti sempre (sperando che,
avendocelo sempre a disposizione magari gli inglesi si
autoregolassero come gli animali di appartamento) si sono ritrovati
coi bar vuoti alle tre del pomeriggio e pieni di vomito all'una del
mattino, esattamente come prima - aumentando il costo degli alcolici,
alzando l'età media per l'acquisto... Tutta fatica sprecata.
anche
le campagne di sensibilizzazione lasciano il tempo che trovano, e le
scritte allarmanti sulle bottiglie hanno lo stesso valore di quelle
sui pacchetti di sigarette o sulle slot machines; chi ne abusava
prima, ne abuserà anche dopo aver letto la scritta.
*** Finita la campagna
d'Africa con la vittoria degli stati alleati su quelli dell'asse, si
apriva finalmente un nuovo fronte, quello italiano. Già
decisa
durante la conferenza di Casablanca, quest'operazione - chiamata
operazione corkscrew, "cavatappi" - iniziò ufficialmente
il 9 maggio del '43, e durò per più di un mese,
fino al 13 di
giugno.
Era principalmente
un'azione di apertura, atta a distruggere le difese della penisola
poste sulle quattro isole nello stretto siciliano: Pantelleria - che
fu anche la più colpita, essendo l'unica ad avere un porto
tanto
grande da poter essere usata come base di appoggio ed avendo anche un
aeroporto - Lampedusa, Linosa e Lampione per un mese subirono
continui bombardamenti prima dal cielo e negli ultimi giorni
dell'operazione anche dal mare. Non erano i primi bombardamenti fatti
sul suolo italiano, ma furono i primi ad essere continuativi e
metodici e con lo scopo di annientare completamente le difese
terrestri del luogo. Sulla sola Pantelleria, i B17 e i B24 della RAF
(Royal Air Force, l'aeronautica militare inglese) scaricarono oltre
5.000 tonnellate di esplosivo.
Infine, nei primi giorni
di giugno, la 1° divisione inglese sbarcò
effettivamente sulla
terraferma, quando ormai c'era poco da combattere. Va detto che
comunque su Lampedusa, molto meno colpita della principale isola
obiettivo, vi furono degli scontri tra fanterie e anche qualche
scambio di colpi terrestro-navali ma che non sortirono alcun effetto.
Linosa si arrese immediatamente, conscia dell'inferiorità
numerica e
tecnologica, Lampione invece non era nemmeno difesa, sottovalutata
dalle stesse potenze italiane (d'altronde, è un isolotto
veramente
piccolo) e conquistarla fu una passeggiata.
Così l'operazione
corkscrew si concluse in un successo pieno. Con la presa dello snodo
principale del mediterraneo, il canale di Sicilia, la difesa delle
flotte alleate che dovevano passare per forza di cose in quelle zone
ed infine la creazione di un'ottima testa di ponte per la seguente
operazione Husky, che vedrà l'attacco vero e proprio
all'Italia, in
Sicilia. Fu anche l'ultima operazione a livello di comando in cui
l'esercito inglese la fece da padrone... poi passò
decisamente in
sordina, attenendosi semplicemente ad eseguire le direttive del
generale americano Eisenhower. Sebbene nel lato adriatico
dell'Italia, abbia comunque fatto i suoi bei danni (povera la mia
Ancona ç_ç)...
**** Lo stramonio, detto
anche l'erba del diavolo o delle streghe, la belladonna, il tasso e
l'oleandro. Quattro piante, in ordine crescente di
velenosità,
potenzialmente mortali per l'uomo. Tutte belle cariche di tossine e
alcaloidi tanto da mandare una persona adulta direttamente al
Creatore senza passare per il via in poco tempo. L'oleandro
soprattutto è velenoso per qualsiasi specie animale (se ne
avete una
pianta in giardino fateci caso: è una delle poche che le
lumache non
toccano...) in ogni sua parte: foglie, fiori, rami, radici... Si
racconta che dei soldati napoleonici siano morti per avvelenamento
dopo aver usato dei rami di oleandro come spiedi per la carne. Cosa
avrà voluto insinuare Iggy accostando queste splendide
piantine alla
piccola&dolce Italia del sud?
***** la pianta simbolo
dell'Italia è il corbezzolo. Poiché fiorendo in
inverno e avendo la
completa maturazione delle bacche sempre nella stagione invernale,
porta su di sé i colori della bandiera tutti assieme: foglie
verdi,
fiori bianchi e bacche rosse. Non è dunque la margherita
come si
ostina a ripetere Himaruya. Il corbezzolo comunque rappresenta tutta
l'Italia, quindi ho pensato che Feli e Lavi, essendo in due a reggere
il peso di una sola nazione, avessero anche due altri alberi simbolo
personali.
La quercia rovere e
l'ulivo, infatti, fanno parte dello stemma italiano assieme alla
stella (il vespero o esperia, la stella dell'ovest legata a Venere
prima e alla Madonna poi, rappresentate l'Italia ancor prima della
nascita della repubblica romana) e alla ruota dentata, simbolo della
forza lavoro su cui si basa la nostra patria. Entrambe le piante
avevano una grande simbologia fin dai tempi dell'impero romano. Come
dice Felicia, la quercia rappresenta la forza, la virilità e
il
valore militare (oltreché, in altre simbologie, anche la
saggezza e
la perseveranza) mentre l'ulivo è il simbolo indiscusso
della pace,
oltre che della purezza, della giustizia divina e della sapienza.
Angolo
del perché e del
percome (che nessuno voleva)
EEEEHHH.... ed eccoci
finalmente alla conclusione delle Idi di marzo (anche perché
ormai
siamo, in ordine di tempo della storia, a maggio inoltrato...).
È
strano che, fino ad ora abbia sempre scritto un sacco di corbellerie,
ed ora, all'ultimo angolino scemo, non sappia cosa dire. O meglio, di
cose ne avrei così tante che non so nemmeno da dove
cominciare, e
quindi mi impallo abbestia <.<
Bé, iniziamo
dall'inizio, lasciamo l'ascia e accettiamo l'accetta, dato che ci
siamo.
Se una persona
emotivamente normale si trova a dover convivere forzatamente con uno
tsundere timido e facile a cadere in depressione, cosa deve fare per
non trasformarsi nell'omicida del suddetto tsundere? Semplice,
studiarlo come si studiano le scimmie allo zoo. E questo fa Italia,
per la bellezza di quasi due mesi. Vi risparmio l'osservazione
empirica sul campo – altrimenti, avrei tirato fuori un
trattato di
psicologia in 120 comodi volumi da 1000 pagine l'uno – e vi
porto
direttamente ai risultati. Come rivela Feli, una volta capite le
meccaniche del gioco, tutto risulta facile (un po' come quando vai
nei ristoranti etnici: cinese tutto fritto, giapponese roba cruda,
indiano niente vacche). Basta sapere che tutto quello che esce dalla
bocca di Arthur, anche la peggio cattiveria deve essere filtrato e
ben dosato, e scorporato dal contesto. Un'analisi logica in piena
regola.
Comunque, sebbene tra i
due i rapporti si siano ammorbiditi parecchio, è un po' una
versione
all'acqua di rose della sindrome di Stoccolma. Ma molto molto
diluita. Quindi nel continuo della storia, non vi aspettate che si
amino alla follia, questi due, o che stiano sempre culo &
camicia
dopo l'armistizio... di certo, non durante il conflitto. Non esiste
città in Italia che non abbia visto cadersi sopra le bombe
alleate,
e per alcune zone – vedi il Frosinate e altre zone laziali e
toscane – quasi che l'arrivo degli alleati fu il momento
peggiore
di tutta la guerra. E tutto questo non aiuta in un sano rapporto di
coppia, decisamente no. Ma vedremo se supereranno la prova del tempo
e della guerra...
Poi Inghilterra se ne va,
e torna Rose. E qui temo di aver fatto un po' schifo, lo ammetto.
Perché volevo dire un
sacco di cose, e temo di averlo fatto in maniera decisamente
confusionaria e caotica. Senza nemmeno rendere bene l'idea del
rapporto che intercorre tra le due. Mi scoccia un casino, ma di
meglio non sono riuscita a fare. Uff... Più che altro volevo
spiegare come semplicemente Italia veda Rose come una graziosa
conquista e nulla più. Le piace e la trova adorabile, ma non
è di
certo l'amore della sua vita. Anche perché la vita della
ragazzina è
neanche un centesimo di quella della nazione...
Inoltre la parte
descrittiva del possibile viaggio è stata stancante (e
fortuna che è
solo descritta per somme righe). Perché è
veramente difficile
immaginarsi come si possa scappare da un'isola come la gran Bretagna,
se si è in guerra con il paese stesso. Ovvio che non ci
sarà
nessuna nave, tranne quelle militari – ma quelle le lascerei
stare,
se volessi passare inosservata – che si dirigerà
in una zona
adatta allo sbarco vicino alle coste alleate (di viaggi aerei
è
anche inutile parlarne)... Personalmente avessi il giro di conoscenze
che può avere una nazione scapperei in quel modo, cercando
la via
più lunga, si, ma anche la più sicura. Ma come al
solito sono
elucubrazioni mie, e potrei sbagliarmi di parecchio.
Anche perché l'Argentina
era si neutrale (e quindi non si era vista tagliare le rotte
commerciali) ma aveva delle leggere simpatie naziste... inoltre, un
sacco di argentini – quasi due terzi del paese intero
– hanno o
vantano antenati italiani. Sarebbe quindi un piccolo favore alla
madre patria (e se non proprio madre, sorella patria XD), chiamiamolo
così.
E veniamo alla parte
fluff... o meglio, a quel che io tento maldestramente di far passare
per fluff. Ma mi rendo conto benissimo di non esserci riuscita
(purtroppo la mia totale incapacità di scrivere qualcosa di
serio
per più di tre minuti si è fatta di nuovo
sentire. Terry Pratchett ha avuto una cattiva influenza su di me) U.u
Di nuovo una scena
notturna... decisamente più intima e familiare. Magari non
sentimentale, ma di certo affettuosa.
E ricollegandomi alla
nota alcolica sopra scritta, Arthur per una volta si toglie la
maschera del burbero e mostra i suoi veri sentimenti e pensieri
(pensieri decisamente idioti o depressi, ma da Iggy non mi sarei
aspettata nulla di meno), sebbene con l'aiuto dell'alcool. Purtroppo
senza, gli inglesi non carburano... Ed anche Felicia, si trova a fare
strani pensieri. Forse la parte della rapita/amante/pseudomoglie non
le sta poi così tanto stretta come credeva.
Arriviamo al finale. Che,
nonostante tutto, posso consideralo un lieto fine, relativamente
parlando (non potevo certo scrivere “e vissero per sempre
felici e
contenti”, dato che nel continuum della Storia tra nemmeno un
mese
inizierà il conflitto direttamente in Italia e altro che
amore e
baci... voleranno bombe e pugni).
Forse un po' triste, ma
il fatto che dopo due mesi in cui Felicia si ostinava a non chiamare
per nome Arthur, finalmente si sia decisa a riconoscerlo come degno
della sua fiducia e del suo affetto... bé, fa pensare anche
a me,
con un po' di immodesto orgoglio, di aver dato con questo finale
l'unica soluzione giusta (altrimenti non lo avrei scritto, of course
(me la canto e me la suono con la fanfara))XD
Per la cronaca, quello
che Italia voleva, seppur inconsciamente – se n'è
accorta solo
alla fine – non era la libertà a tutti i costi:
quella avrebbe
potuto ottenerla fin dal primo giorno, senza fatica. I problemi che
elenca a Rose ci sono, ma sono comunque superabili.
Quello che chiedeva al
biondo, era piuttosto una prova di fiducia. Lasciandola andare
volontariamente, l'uomo avrebbe perso ogni diritto su di lei ottenuto
con la prigionia. Ma gli avrebbe offerto la possibilità di
scegliere
se, dopo la guerra, tornare da lui o meno come vera compagna e non
come prigioniera coatta. Solo che questo alla fine lo fa a modo suo,
vergognandosi quasi più della sua gentilezza che del suo
caratteraccio.
Comunque, come recita un
detto cristiano “Il Padre non toglie la gioia ai suoi figli
se non
per donarne loro una ancor più grande e maestosa”;
per cui, se son
rose fioriranno... (e poi io sono una shipper UkIta, quindi
perché
non accoppiarli? XD)
Aggiungo una piccola
postilla, che avrebbe dovuto essere una nota ma già ne avevo
scritte
troppe: Arthur rivela che Felicia profuma di fiori d'arancio, ma in
realtà la zagara è il nome comune di tutti i
fiori degli agrumi.
Quindi anche del limone, della limetta, del cedro e del bergamotto.
Anche perché se di agrumi di ogni specie l'Italia
è piena, gli
aranceti sono presenti in grande preponderanza a sud per via del
clima più adatto.
Ok, basta parlare di quel
che è stato, pensiamo al nuovo!
Che, in soldoni, è il
continuo di questa storia. Avverto già da subito che mi
prenderò
una pausa nello scrivere – almeno la prossima long, ma potrei
mettere delle storie autoconclusive – perché ho in
mente un bel
mattone. E minimo prima di pubblicare il primo capitolo voglio avere
la storia definita almeno nella linea principale e se possibile anche
quattro o cinque capitoli già finiti e solo da rivedere, il
che
significa anche leggersi un casino di libri e annali della guerra di
resistenza italiana. Per cui, potrei riprendere il tutto tra uno o
due mesi, dipende come sono ispirata e se non sono morta sotto la
carta stampata.
I protagonisti saranno
uno sfacelo – anche perché nella guerra del '43 -
'45 ci fu
davvero una babele di eserciti... si sono dati tutti appuntamento da
noi : 9
Spero di non far troppi
casini...
Un bacione e un sentito
ringraziamento a tutte quelle che hanno seguito questa long: grazie,
non sapete nemmeno quanto mi ha fatto piacere leggere le vostre
recensioni e scambiare le missive con parecchie di voi. In
particolare Kesese_93 che mi ha addirittura segnalato per le storie
scelte (troppa grazia ç_ç), poi Lady Monet, Eliot
Nightray e
KnucklesGirl, a cui ho scopiazzato ignominiosamente il pairing. Ecco,
l'ho ammesso. Fanciulla, è colpa tua se ho scritto questa
roba. (tanto lo sò che non ti penti di ciò, ma
non importa) pentiti! *le punta il dito contro tipo la scimmia cattiva
di Family
guy*
Ringrazio anche
ghiaccioomega, IvyLotus, Kesese_93 e KnucklesGirl che hanno messo la
storia tra le preferite, ed Dar K ya, Eliot Nightray, Gogy e Lady
Monet che invece mi hanno infilato nella lista delle storie seguite.
E infine sempre Kesese_93 e Lady Monet che mi hanno addirittura messa
tra le autrici preferite. Vi lovvo, mie adorate fanciulline, lo
sapete? E se non lo sapete, sapevatelo, su rieduchescionàl
channel
(questa mi sa che come battuta è troppo vecchia...)
Ovviamente un bacione
anche a chi ha solo letto la storia (prima o poi capirò
anche perché
qualche capitolo ha il doppio delle letture degli altri...) e anche
chi ha solo aperto la storia e poi l'ha richiusa senza darci peso; se
vi è piaciuta ne sarò orgogliosa, se vi ha
schifato me ne
rammarico, ma se vi avesse anche solo fatto sorridere per un istante
mi renderebbe una persona appagata e felice : )
Un bacione e alla
prossima storia,
Monia
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