Il mormorio degli angeli

di SognandoUnaChimera
(/viewuser.php?uid=600560)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Semplicemente contorta ***
Capitolo 2: *** Pagine di libri usate per asiugare lacrime ***
Capitolo 3: *** Storie dal paradiso ***



Capitolo 1
*** Semplicemente contorta ***


Parlava, parlava molto. Ma nessuno sapeva mai cosa stesse dicendo in realtà. Parlava da sola. I professori fingevano di non accorgersene, i compagni la consideravano pazza, ma lei parlava. Era così strana. Tutti la ricordano così: strana. Ma in realtà tutti la stimavano, tutti avrebbero voluto essere come lei: così unica, così capace, così profonda. Ma come le venivano certe frasi? Ma come è possibile che fosse così perfetta e così imbranata allo stesso tempo? Già, come era possibile? Lei era lei. Nessuno provava ad imitarla, chi ci provava falliva miseramente. Ma ci chiediamo, adesso, perché nessuno ha un buon ricordo di lei.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Pagine di libri usate per asiugare lacrime ***


A lei tutto sommato piaceva la scuola. Le piaceva anche l’odore che sentiva quando passava davanti alla vecchia biblioteca. Non ci entrava mai nessuno lì. Alcuni dicevano perfino che il bibliotecario fosse morto lì dentro, ma non era vero: era l’unica persona con cui lei parlava. Amava chiudersi in quel luogo angusto, pieno di ragnatele, con i libri ingialliti, peggio dei denti di quel vecchio bibliotecario che fumava sigari. Forse era tutta quell’atmosfera a condurla lì, ogni giorno subito dopo scuola. Le piaceva quel posto, le piaceva come il vecchio annusava il suo sigaro come fa un topo prima di assaggiare il formaggio. Si chiudeva nel suo mondo e quello era l’unico momento in cui sembrava vivere. Vita. Sprizzava vita da tutti i pori. Sembrava felice, era felice. Non le importava di niente e di nessuno. Aveva il cuore in gola, le lacrime le sgorgavano, come cascate. Non aveva paura di nascondere quelle lacrime, le pagine ingiallite assorbivano quello sguardo umido e il bibliotecario assisteva senza fiatare. Fingeva di non accorgersi, si dimostrava indifferente a tanta bellezza. Eppure, doveva essere molto difficile, era davvero bella. Come si fa ad essere indifferenti a tanta perfezione e infinito? Come si fa a criticarla, a farla passare inosservata quando i realtà si vede da chilometri che è la persona più piena di nostalgia che si sia mai vista? Forse era lei brava a nascondere, eppure dopo aver visto i suoi occhi, le sue labbra piegarsi ad un minimo sorriso ad ogni sguardo, nessuno si sarebbe più dimostrato indifferente. Sembrava debole, eppure viveva. E adesso, dopo tanto tempo, io mi chiedo ancora da dove prendesse tutta quella forza.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Storie dal paradiso ***


Nessuno provava interesse nei suoi confronti, nessuno aveva mai detto di amarla ma lei voleva essere amata. Non bastavano i suoi libri, le sue frasi buttate giù su quei fogli logori, consumati, scarabocchiati. Non bastavano per renderla felice. Non aveva mai amato, perché nessuno si era mai innamorato di lei, però, a volte mi ritrovavo a pensare a quanto amore quella ragazza potesse dare, e a tutto quello che avesse già dato senza neppure rendersene conto. Mi perdevo spesso nelle parole che leggevo per "puro" caso. A volte, mi capitava ritardare da scuola. Mi ritrovavo chiuso in classe, rannicchiato nell'angolino del suo banco a sbirciare tutto quello che lasciava: disegni, bestemmie urlate al mondo, poesie dedicate al chiarore dell'alba, o all'oscurità della sua anima. E pensavo a quanto il mondo la trascurasse, e non riuscivo a spiegarmi perché le bidelle della scuola pulivano il suo banco, cancellando, ogni giorno, la macchia indelebile che lei lasciava li, in ricordo della sua presenza. Mi ero affezionato a quella ragazza, eppur non conoscendola me ne innamorai perdutamente. Sognavo ogni notte le sue mani che scivolavano sui fogli candidi, ma ingenua com'era, si macchiava coll'inchiostro fresco e sporcava tutte le pagine bianche, scarlatte; ma profumavano quelle pagine, era un odore strano: inchiostro, misto a sangue, al suo sangue, al suo profumo. E la vedevo, nei miei occhi, nella mia mente inconscia, piangere come non avevo mai visto piangere nessuno e sussurrava parole tenui, sottovoce, muoveva le labbra, ma era un movimento leggero, che se fossi stato li presente non me ne sarei accorto. Ma lei era nella mia mente, e fu per me spontaneo avvicinarmi a lei, e sfiorarle quelle labbra sottili quasi invisibili, per vedere se effettivamente si stessero movendo e pareva fosse il vento a farle tremare. Le lacrime nel frattempo scorrevano, invisibili. Mi dirà poi, un giorno, che le partivano bollenti dal cuore, ma sgorgavano dagli occhi come perle ghiacciate e le facevano talmente male da ferirla dentro e fuori. Ho sempre pensato che lei fosse l'incarnazione vivente di quel famoso simbolo cinese che ancora non ne capisco la funzionalità. Se non erro lo chiamano Yin e Yang, due forze opposte, contrastanti, che si controllano a vicenda, e quando una soccombe interviene l'altra per stabilire l'equilibrio. Lei era Amore e Odio, lei era vita e morte, era felicità e tristezza, era purezza, passione, era luce, buio; perfezione, vuoto; saggezza, ingenuità; infinito.. Infinito. Lei era il mio infinito. Mi ci perdevo, e capitava che era lei a ritrovarmi e fingeva sdegno nel salvarmi, quasi come se fossi un peso morto da trascinare dall'oblio che era la sua vita. Non riuscii mai a capirla, a captare i segnali che pareva mandarmi. L'unica cosa che volevo era stringerla nelle mie braccia per far placare quella parte nera del Taijitu che le faceva tanta paura. Una volta, mi trovò in classe, seduto al suo banco come era per me ormai abitudine e non mi rispose quando le chiesi il significato di tutte quelle parole. Ma quando me lo spiegò, capì. Non vorrei mai essere lei, sarebbe assurdo sopportare tutto quello che sentiva, tutto quello che dicevano. Una volta mi parlò del suo segreto e io le promisi che non lo avrei svelato a nessuno. Per convincerla le dissi che le mie labbra si muovevano solo al suono della sua voce e alla vista della sua immagine. Le brillarono gli occhi quando le dissi ciò. Poi mi parlò di lei, mi disse che non sapeva cosa fosse il silenzio. Mi raccontò di una volta, di quando fece un incidente, terribile, con sua madre. Questi era giovane, lei era in grembo. Perse la madre, qualcuno la salvò. Non ha mai saputo come fosse possibile,ma da quel momento iniziò a sentire voci nella sua testa. Mi confidò che forse anche lei era morta, era andata in paradiso forse, e che essendo in paradiso riusciva a comunicare con tutte quelle creature bianche con ali enormi, che se viste da molto vicino fanno paura. Mi diceva che sentiva sempre i loro discorsi e che erano creature che si impicciavano sempre nelle azioni degli uomini, ma che questi ultimi non li ascoltavano; e loro per farsi sentire urlavano. E lei, pur coprendosi le orecchie, riusciva a sentirli. Lei, si, ora ne sono sicuro, lei era un angelo, talmente bello da non poter restare in paradiso.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2391399