Malfoy Home di callistas (/viewuser.php?uid=49989)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Malfoy Home ***
Capitolo 2: *** Come stanno le cose ***
Capitolo 3: *** Harry Potter ***
Capitolo 4: *** Mettiamoci al lavoro! ***
Capitolo 5: *** Promozione ? ***
Capitolo 6: *** Conquiste... ***
Capitolo 7: *** Di minacce e figuracce ***
Capitolo 8: *** L'appuntamento con la Livin Home ***
Capitolo 9: *** La svolta ***
Capitolo 10: *** Il marchio del tradimento ***
Capitolo 11: *** Rimettersi in piedi... ***
Capitolo 12: *** Le prime volte di Draco ***
Capitolo 13: *** San Valentino, la festa di ogni cretino... ***
Capitolo 14: *** ... che crede di essere amato e invece resta fregato ***
Capitolo 15: *** Verità Nascoste 1 ***
Capitolo 16: *** Verità Nascoste 2 ***
Capitolo 17: *** Il ritorno del Figliol Prodigo ***
Capitolo 18: *** Scontro finale ***
Capitolo 19: *** The End ***
Capitolo 1 *** La Malfoy Home ***
01 - La Malfoy Home
Per chi ha commentato
l’ultimo mio parto, “La Check List”, ancora non
finirò mai di ringraziarvi a sufficienza per aver, alla fine,
riso delle mie disgrazie.
A chi si appresta, invece, a cliccare su questo primo capitolo di questa nuova storia, do il mio personale benvenuto nel calli-club
– non capisco perché solo Lumacorno possa avere un club
tutto suo u_u – sperando di poter allietare i vostri
venerdì con altre avventure della mia coppia preferita.
La Dramione.
So che avevo detto che avrei
pubblicato venerdì scorso ma naturalmente, quando ti fai un
programma nella mente, spunta sempre fuori qualcosa che te lo manda
“a sgualdrine”.
Domando scusa.
In questa storia troverete una
trama, forse, già vista – anzi, molto più che
certamente – ma ho voluto dare un’ennesima versione –
la mia – alla precitata trama.
Mi troverete, come sempre, in fondo al capitolo, con i miei soliti scherzetti, le mie solite battute e i miei soliti spoiler.
Spero sia cosa gradita.
callistas
Alla Lilly di questa storia
che è esistita davvero,
che con i suoi modi di fare
mi ha permesso di essere
dove mi trovo ora
e la persona che sono ora.
Non esisteranno altri cagnolini all’infuori di te.
I meteorologi lo avevano
annunciato ancora a inizio Agosto ma lei, così come
l’intera popolazione mondiale, non ci aveva creduto o
meglio… non aveva voluto crederci.
Insomma, era assurda solo
l’ipotesi!: vivere di trenta gradi fino al trentuno di Agosto,
per poi finire a soli tre gradi il primo di Settembre. Insomma…
un vero e proprio brusco calo delle temperature!
Nessuno ci voleva credere,
perché il sole era così luminoso e caldo: come sarebbe
stata possibile una simile parabola discendente del clima?
Incredibile o meno, assurdo o no,
vero o falso, la notte tra il trentuno di Agosto e il primo di
Settembre, la popolazione di Londra – e quella mondiale –
solitamente abituata a dormire in mutande, dovette alzarsi nel cuore
della notte per prendere dall’armadio il piumone invernale.
Era il quattro di Settembre, un giorno come tanti.
Si era lavata, vestita, sfamata e poi era partita per dirigersi sul posto di lavoro.
Le piaceva l’azienda per la quale lavorava.
Era una struttura interamente a
vetri oscurati tendenti all’argento; gli interni erano arredati
da pregiati marmi, fontane dalle quali uscivano delicati fiotti
d’acqua, un immenso acquario che ospitava pesci tropicali,
rinomati per la loro delicatezza – e costo – e piante
così rigogliose da sembrare di trovarsi in una foresta tropicale.
I piani erano serviti da quattro ascensori, uno per ogni punto cardinale, che conducevano ai vari settori dell’azienda.
Era davvero un bel posto.
Chi vi metteva piede la prima
volta aveva l’impressione di trovarsi nella casa di qualche
riccone, anziché in un’azienda di piani cucina e
arredamenti.
La sua postazione era al piano terra, perfettamente allineata alla porta d’ingresso, e semicircolare.
D’estate non c’era
male, perché le arrivava una piacevole brezza tiepida che
profumava di sole e caldo ma d’inverno… d’inverno le
arrivavano dritte in faccia vere e proprie mitragliate di aria
ghiacciata. Per quest’unico motivo, aveva chiesto il permesso di
comprare una stufetta da mettere sotto la scrivania che le tenesse in
caldo le gambe.
Il centralino dava l’impressione di essere il bancone della reception di un hotel.
Le piaceva perché la
scrivania era molto spaziosa e il computer di ultima generazione aveva
uno schermo molto grande, decisamente fuori standard, rispetto ai
modelli in commercio.
Era un computer che il direttore
aveva fatto espressamente creare da una ditta americana e che era
costato una fortuna. In azienda ne esistevano pochi: uno era quello per
il centralino, perché il direttore aveva scelto di non
installare una macchina per il fax ma di far arrivare quel tipo di
comunicazione direttamente sul pc per ridurre i costi della carta e
rispettare maggiormente l’ambiente; un altro di quei
“televisori” era nell’ufficio del titolare, e
l’ultimo in Sala Foto.
Posò le cuffiette sulla
scrivania e controllando che non vi fosse nessuno nei paraggi, si
stiracchiò le membra indolenzite, con tanto di gemito
soddisfatto.
Erano due ore che se ne stava
seduta sulla sedia girevole a rispondere al telefono e a smistare i fax
e le E-Mail che le arrivavano.
Adesso urgeva una pausa.
Schiacciò in sequenza un
paio di pulsanti che le permisero di deviare le chiamate al telefono di
una collega, precedentemente avvisata. In questo modo le chiamate non
andavano perse e le ramanzine evitate.
Prese la sua chiavetta e si
diresse al distributore automatico delle bevande. Una buona cioccolata
calda, in quel momento, era un suo inalienabile diritto.
Era un’ottima dipendente per il lavoro che le era stato assegnato.
Molti ritenevano che stare al
centralino fosse un lavoro da poveracci, per chi non era
sufficientemente intelligente per altre mansioni. Lei però non
la pensava così. In fondo… da chi passavano le chiamate?
Chi le smistava? A chi si rivolgevano i rappresentanti delle altre
società quando avevano bisogno di un’informazione? Di
sicuro non a Babbo Natale ma a lei. Il suo lavoro era molto importante
e, sinceramente, compativa chi lo sottovalutava.
Nonostante avesse le competenze
per ben altri incarichi, aveva capito che in ogni posto presso il quale
aveva iniziato un rapporto di collaborazione – quello era il suo
terzo lavoro – aveva sempre iniziato dalla gavetta; un modo del
titolare per comprendere il livello di umiltà di un dipendente.
Schiacciò il pulsante della
cioccolata e poi poté finalmente scaldarsi: sentire quel liquido
semidenso scenderle nella gola e scaldare ogni parte con cui entrava in
contatto, era qualcosa di assolutamente indescrivibile.
Si accertò di non essere
vista da nessuno, guardando prima a destra e poi a sinistra del
corridoio. Tirò fuori il piede dalla scarpa – una
decolleté tacco sette – e mosse le dita dei piedi,
compresse tra di loro. Trovò un immediato beneficio. Fece lo
stesso per l’altro piede e poi… poi dovette tornare al
lavoro, dove rimise le sue cuffiette.
“Malfoy Home buongiorno sono Hermione. Posso aiutarla?”
Tic tac – tic tac – tic tac – tic tac
Le lancette della sveglia segnavano silenziosamente i secondi.
Uno, due, tre, sedici… ventidue… quarantaquattro…
Sessanta.
DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIINNNNNNNNNNNN
Hermione ci impiegò un
po’ per capire che il cicalino che stava suonando era la sveglia
e non la campanella della scuola e che si trovava sul suo materasso a
casa e non su un materassino gonfiabile ai Caraibi.
Sconcertata e, sì,
leggermente delusa, per essere stata sbalzata così
all’improvviso alla realtà, la ragazza aprì
svogliatamente un occhio, districò dal groviglio di lenzuola un
braccio e spense la sveglia, beandosi dell’immediato silenzio che
era tornato. Si raggomitolò in posizione fetale, cercando di
racimolare dentro di sé più caldo possibile, in vista
della solita giornata passata davanti alla solita porta che si apriva solitamente ogni cinque minuti.
Sbadigliò sonoramente,
facendo bella mostra di una dentatura sana e curata. Uscì dal
letto e infilò le ciabatte che suo padre le aveva regalato
l’anno prima per il suo compleanno e le veniva da piangere se
pensava che tra non molto avrebbe festeggiato un altro anno passato.
Un altro compleanno.
“Ventotto
anni…” – constatò la ragazza. –
“… sono prossima alla pensione.” –
ironizzò, poiché le mancavano ancora molti, molti, molti,
molti, molti anni.
Scacciò infastidita quei
pensieri che avevano solo il potere di rovinarle la giornata e si
preparò per affrontare al meglio il lavoro. Giusto per abituarsi
a quello che le sarebbe toccato in ufficio, Hermione aprì le
finestre prendendosi la prima mitragliata del giorno.
“Ma perché fa
così freddo d’inverno?” – brontolò,
mentre con le braccia incrociate per riscaldarsi si dirigeva in cucina
per una buona e sana colazione.
Mancò poco che si
schiantasse a terra. Si aggrappò, grazie alla dea bendata, alla
sedia e imprecò a bassa voce.
“Lilly! Vuoi farmi fuori?”
Lilly, una deliziosa cuccioletta
di Yorkshire, si accucciò a terra, udito il tono minaccioso
della padrona che non resistette oltre, e si mise a ridere. A volte
sembrava che la capisse veramente.
“Coraggio… vieni qui…” – disse Hermione, accucciandosi.
Lilly, ancora sospettosa, iniziò ad avvicinarsi a passo di leopardo e ciò fece morir dal ridere la ragazza.
“Che scemotta! Dai vieni!”
E quando il tono non più
bellicoso della sua padrona divenne un ricordo, la cagnetta
zampettò allegramente verso di lei, in attesa della sua razione
mattutina di biscotti. Hermione la prese in braccio e le
accarezzò il pancino, effusione che non sdegnò affatto.
Si diresse alla finestra e l’aprì, permettendo al suo
cucciolo di fare quattro passi e respirare aria nuova.
Intanto che il cane faceva i suoi
bisogni in giardino, Hermione si preparò la colazione e in
attesa che il caffè salisse, tornò in camera e la
sistemò. Chiuse la finestra e andò in bagno per una bella
doccia per iniziare bene la giornata. Indossò
l’accappatoio e andò in cucina, dove il caffè era
bello che pronto e aspettava di unirsi con il latte. Mischiò il
tutto, lasciando che un intenso aroma di caffè-latte si
spandesse per tutta la cucina. Aspettò che si raffreddasse e
intanto tornò in camera per vestirsi.
E poi finalmente fu in grado di mettersi a tavola e consumare il suo pasto.
Lilly intanto le stava scavando una fossa sulla gamba, in cerca di attenzioni ma soprattutto…
“Seee, seee, eccoti il biscotto… scavatrice!”
Accontentata come ogni mattina, Lilly prese il suo biscottino e andò a sgranocchiarselo in cuccia.
Quando ebbe finito, Hermione mise tutto nel lavabo e andò a lavarsi i denti e finalmente uscì di casa.
“Ciao Lillina! Fai la brava!” – esclamò Hermione, chiudendosi dietro la porta.
“Malfoy Home buon giorno,
sono Hermione. Posso aiutarla? Certo, un secondo solo.” –
attimi di attesa. – “Barbara?, ho Peter Sandler che chiede
di te, posso passartelo?”
“Sì, certo.”
“Ok.” – un tasto e la chiamata venne smistata.
Erano appena le nove e mezzo di
quel mattino e sentiva che niente poteva rovinarle quella giornata di
quel bellissimo giorno che era il venerdì. Nemmeno…
Una folata di vento…
Tutto tranne…
… la porta volutamente lasciata aperta…
… lei.
Guardò l’ora sul suo
computer e alzò per un momento gli occhi al cielo, maledicendo
quelli che lo abitavano per averle dato modo di ricordare quanto lunga potesse essere una giornata di lavoro.
Ma non si scoraggiò.
Indossò il suo miglior sorriso finto e salutò educatamente.
“Buon giorno, signorina
Parkinson. Come sta?” – chiese Hermione, cortese più
per educazione che per reale interesse nel conoscere la risposta alla
sua domanda.
“Meglio di te,
sicuramente.” – rispose la maleducata, per poi passare
oltre senza degnare di uno sguardo quell’umile plebea.
Hermione mantenne il sorriso
finché non la vide sparire all’interno
dell’ascensore, avvolta, o meglio, strizzata, nel suo vestito di
Armani di almeno tre taglie più piccole del normale.
Quando le porte si chiusero e la
sua odiosa faccia da carlino non fu più visibile, Hermione
uscì come un toro dalla sua postazione e andò a sbattere chiudere la porta, imprecando contro la maleducazione di certa gente.
“Cazzo chiude le porte con la telecinesi a casa sua, quella?” – soffiò irosa.
Se c’era una cosa che
proprio non digeriva, era la maleducazione. Ma lasciò cadere
tutto il nervosismo. Ingrossarsi la bile per certa gente non ne valeva
proprio la pena.
Si risedette al proprio posto e inspirò varie volte per calmarsi.
“Malfoy Home buon giorno,
sono Hermione. Posso aiutarla? Sì, attenda un attimo. Becky?,
posso passarti Hilton della Byuliks?”
Mentre camminava sul suo tacco dieci, Pansy pensò che la giornata non poteva iniziare in modo migliore. Quella Grenfer
le stava proprio antipatica! Faceva tanto la santarellina, ma lei aveva
visto perfettamente il sorriso che rivolgeva al suo fidanzato quando
doveva passargli le comunicazioni.
Sembrava dire “prendimi,
sono qui per te”! Peccato che non avesse capito che ciò
che era di Pansy Parkinson, rimaneva a Pansy Parkinson.
“Amore, ciao!” – squittì la donna, entrando in ufficio senza bussare.
L’uomo si girò e le
sorrise furbescamente, ma le intimò il silenzio con la mano. Era
al telefono con un socio in affari.
“… sì,
sì certamente. Allora ci vediamo. Saluti.” –
riagganciò il telefono sulla forcella. – “Buon
giorno, principessa…” – salutò lui, alzandosi
per baciarla.
“Come va?”
“Al solito.” – alias “le azioni continuano a salire, il mio portafoglio anche e anche una parte di me quando ti vede.”
La donna sorrise.
“Mi fa piacere. Sono contenta per te.” – alias “per me, così almeno potrò continuare a spendere i tuoi soldi.”
“Non ti ho trovata a letto, stamattina. Dov’eri?” – s’informò l’uomo.
“Scusami, ma sono dovuta uscire presto stamattina perché mia sorella voleva vedermi con urgenza.”
“Qualcosa di grave?” – s’informò lui. – “Posso fare qualcosa?”
La donna abbassò lo sguardo, facendosi immediatamente seria.
“Pansy?”
“No, niente…” – disse lei con aria sconsolata.
Allora lui le prese il mento tra le mani e la obbligò a guardarlo in faccia.
“Pansy?” – insistette lui.
Ma lei non lo lasciò fare.
“Amore, ti prego… me la gestisco io questa cosa. Hai altro a cui pensare.”
“Pansy tra poco ci sposeremo. Se non mi fai partecipe dei tuoi problemi, come posso aiutarti?”
Pansy lo guardò e sorrise grata per quelle parole.
“Io… è che non ne voglio approfittare. Tutto qui.” – disse lei con falsa premura.
E se invece di guardarla con la
“testa penzolante” l’avesse guardata con quella
attaccata sulla testa se ne sarebbe accorto pure lui.
“Tranquilla… è per la boutique?”
“S-sì…”
“Che problemi ci sono?”
“Io… io davvero non
lo so!” – esclamò Pansy, frustrata. –
“Mia sorella ha fatto tutto, ha portato la documentazione
necessaria, ha fornito le credenziali dei nostri genitori e le tue,
visto che mi avevi dato il permesso…”
A quelle parole, l’uomo si
sentì potente. Amava quando le persone chiedevano il suo
consenso prima di fare qualsiasi cosa.
“Ma?”
“Ma quello
dell’agenzia ha detto che se non gli pagava un extra, non le
permetterà di aprire la boutique! E mia sorella ci tiene
così tanto…”
“Chiamiamo la polizia e…”
“Draco no!” –
esclamò Pansy terrorizzata. – “No! Sai meglio di me
come vanno queste cose: se si sparge in giro la voce che mia sorella ha
avuto a che fare con la legge, non riuscirà mai far acquisire
prestigio al suo negozio.” – lo implorò lei.
“Sì, certo, capisco. Allora, quanto vuole questo tizio?”
“Ecco lo sapevo! Vuoi sempre risolvermeli tu i problemi!” – s’impuntò lei.
“Se posso, ne sarò ben lieto, però…” – disse lui quasi infastidito.
“Co-cosa?”
“Sai che c’è il
pegno da pagare…” – e detto in quel modo,
c’era un unico significato possibile.
Pansy lo capì
immediatamente e non si tirò di certo indietro. Accettò
con patriottico sacrificio quel compromesso.
“Chiedimi tutto
quello che vuoi…” – soffiò lei, prima di
appropriarsi della sua bocca, come per rimarcarne la proprietà.
Calli-corner:
A dire il vero, dovevo fermarmi
come Prologo a “Malfoy Home buongiorno sono Hermione. Posso
aiutarla?”, ma il mio fin troppo generoso cu…ore mi ha chiesto di non fare la stronza.
Non dal primo capitolo, almeno…
Allora, i personaggi principali sono questi, salvo poi apparirne altri durante lo svolgimento.
Hermione lavora per Malfoy come
segretaria d’azienda, Pansy è la fidanzata –
stronza-barra-troia-barra-bastarda – di Draco e Draco…
beh, si sa che un uomo solitamente ragiona con un’altra testa e
Hermione questo lo capirà molto presto.
Al solito… spoiler!
“Mi hanno molto colpito le sue esperienze professionali in ambito amministrativo.”
“Lieta.” – rispose Hermione, pacatamente.
“Sarebbe un vero
peccato se non potesse dar loro un’opportunità per venire
a galla. Così come sarebbe un vero peccato dover finire a
lavorare in magazzino, non trova?”
Ed ecco, un piccolo assaggio di Draco.
Che dire… a venerdì prossimo!
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Capitolo 2 *** Come stanno le cose ***
02 - Come stanno le cose
Ragazzi vi chiedo scusa.
L’altra volta Internet,
questa che mi sono dimenticata… mi sa che se vado avanti
così, dovrò tappezzare casa di post-it per ricordarmi
cosa devo fare…
Comunque sia, scusatemi, davvero.
Innanzitutto, vorrei ringraziare le tre ardimentose che hanno commentato il prologo:
justSay,
hermione59,
kasumi_89
Grazie per aver lasciato traccia della vostra lettura.
Naturalmente un ulteriore grazie
va anche ai Lettori delle Ombre, ovvero quelli che leggono in silenzio
e, spero, apprezzino ugualmente.
Direi che piuttosto che sentirmi – leggermi – blaterare, preferiate leggere il prossimo capitolo.
Vi accontento.
Ci vediamo in fondo,
callistas.
Mancavano cinque minuti a
mezzogiorno. Solamente cinque minuti e poi avrebbe potuto andare al bar
e ingozzarsi con un bel panino e una coca cola.
La sua mente aveva già
proiettato tutto un film nella sua testa, dove lei si dirigeva con
sicurezza al bancone del bar con il barista che la salutava come sempre
e, alla fine, l’agognata ordinazione.
Tre minuti
ancora e tutto quel ben di dio sarebbe finito nel suo stomaco, che
assomigliava più a un’isola ecologica dell’umido
senza fondo.
Controllò la posta un’ultima volta, un gesto che le costò ben tre secondi!, fondamentali
per far trascorrere il tempo più velocemente.
Appallottolò un post-it con un messaggio vecchio già
recapitato e lo cestinò.
Un minuto…
Con lo sguardo vagò sulla
scrivania e nell’atrio per controllare che fosse tutto a posto.
Felice di poter uscire a mangiare qual…
DRIN DRIN – DRIN DRIN – DRIN DRIN – DRIN DRIN
Quante parolacce può tirare una ragazza, all’apparenza mite e gentile, in un frangente di due secondi?
Hermione Granger aveva perso il conto a ottocentoventisette.
Si sedette pesantemente sulla sua
sedia e, prima di rispondere, cercò di modulare il suo tono di
voce, per non risultare aggressiva per quella telefonata
dell’ultimo minuto.
Quando poi vide che era l’interno di Pansy avvertì la fame passarle del tutto.
“Pronto?” – chiese con il tono di voce di chi sta parlando con l’ennesimo creditore.
“Grenfer?”
Hermione chiuse gli occhi. Non
solo il suo peggior incubo si era presentato alle nove e mezzo di quel
mattino, non solo il suo peggior incubo era dotato di una maleducazione
fuori da ogni limite, non solo il suo peggior incubo le aveva rivolto
la parola, offendendola tra l’altro, ma adesso la chiamava per
chissà quale astrusa ragione che capitava, guarda caso, con
estrema urgenza all’ora di pranzo!
Dire che era una iena, era dire niente.
“Granger…”
– precisò Hermione, conscia che non sarebbe stata
ascoltata. – “… mi dica signorina Parkinson.”
– disse Hermione, trattenendosi con delle catene invisibili.
“Oh, sì, beh… quello che è…”
Hermione aprì sdegnata la bocca ma ringraziando il cielo non proferì parola.
“Voglio…”
Neanche “vorrei”, pensò Hermione, seccata per quella continua dimostrazione di maleducazione.
“… che mi porti…”
…che mi portassi, ignorante!, pensò la centralinista sempre più stizzita.
“… il catalogo che è sul tavolo all’ingresso. È urgente.”
“Sì, signorina Par…”
Click.
Hermione chiuse gli occhi e iniziò a respirare pesantemente.
Si umettò le labbra
così tante volte che era certa di aver consumato il primo strato
di pelle. Odiava la maleducazione in qualsiasi sua forma, anche quella
dove le persone chiudevano la comunicazione senza lasciar finire
l’altro di parlare.
Rimise apposto la cornetta e
giunse le mani in preghiera. Quando aprì gli occhi, questi erano
decisamente spiritati e chiunque fosse passato in quel momento avrebbe
giurato che Hermione Granger fosse posseduta dal diavolo in persona.
“Gliela porto immediatamente signorina Merdinson.” – bofonchiò Hermione.
Mezzogiorno e cinque.
Forse poteva ancora farcela.
Si diresse con passo celere
all’ingresso, per quanto i tacchi glielo permettessero, prese il
catalogo incriminato – quando vide che era una rivista di quelle
che i clienti leggevano in attesa di essere ricevuti, pregò che
la Parkinson cadesse dalle scale e si rompesse la testa – e lo
portò in ufficio da Pansy. Prese l’ascensore, pregando
tutti gli dei che conosceva di fare in modo che non le capitasse altro.
Sorridente come non mai per non
aver subito incidenti di percorso vari, Hermione si fiondò a
grandi falcate, diversamente dalle sue colleghe che facevano passi
piccoli e contenuti, come se stessero per dirigersi all’altare
per sposarsi e arrivò davanti all’ufficio della vacca.
Su due gambe…
TOC TOC
“Avanti!” – tuonò una voce seccata.
Evidentemente Hermione doveva
averla disturbata sul più bello. Si complimentò con se
stessa per l’ottimo tempismo. Una piccola vendetta personale che
le migliorò lo stato d’animo.
“Signorina Parkinson, le ho portato il suo…”
Oltre a bloccarsi imbarazzata,
rischiando di cadere a terra per la brusca fermata, Hermione
aspirò una quantità d’aria tale che somigliò
al risucchio dell’aspirapolvere quando viene acceso. Si
schiaffò davanti agli occhi la rivista, ma la scena che
l’aveva accolta al suo ingresso venne marchiata a fuoco nella sua
mente.
In ufficio di Pansy c’era niente popò di meno che il presidente, Draco Malfoy, impegnato in affari con la sua fidanzata.
“Cosa vuoi?” – sbottò Pansy, mentre cercava di darsi un finto contegno.
A Draco non piacevano gli esibizionisti.
Così come non gli piaceva
essere beccato in certi atteggiamenti dai dipendenti. Che diavolo ci
faceva Hermione nell’ufficio di Pansy?
“Ho portato la rivista che
mi aveva chiesto, signorina…” – disse Hermione per
evitare di dar a intendere che avesse disturbato apposta.
Vediamo che mi rispondi, stronzetta!, pensò Hermione, gongolante.
Pansy la guardò sdegnata.
“Cos’avrei fatto io, scusa?!?”
In un nano secondo Hermione sgranò gli occhi e sentì le guance accaldarsi, segno che si stavano arrossando.
Ma per la rabbia.
“Mi ha chiamata due minuti fa, chiedendomi la rivista che si…”
“Io non ti ho chiesto niente! Perché avrei dovuto fare una cosa simile?”
Infastidita non solo per essere
stata interrotta mentre stava parlando, ma per l’ingiusta magra
figura che stava facendo di fronte al suo titolare, Hermione
preferì masticarsi la lingua come se fosse un chewing-gum, per
evitare di scadere nel triviale.
Diplomaticamente sorrise e, anche se ingiusto, si scusò.
“In tal caso… scusate l’interruzione. Buon appetito.” – disse Hermione, uscendo dalla porta.
Prima di uscire, lasciò la rivista sul tavolino all’ingresso.
“Te ne vai di già?
È questo l’attaccamento che hai per il tuo lavoro?”
– chiese Pansy, ottenendo una specie di benevolo assenso da parte
di Draco.
E Hermione non ci vide più.
Poteva sopportare la sua
maleducazione, che la trattasse come una schiava al tempo degli egizi
solo perché stava al centralino, che la interrompesse mentre
stava parlando o mille altre cose ancora… ma non che la si
facesse passare per una che non teneva al proprio lavoro, solo
perché non saltava le pause pranzo.
Era pienamente consapevole che
ciò che stava per fare avrebbe decretato l’inizio di una
serie di vendette – o di un suicidio professionale per la
presenza di Draco Malfoy – ma in quel momento la frase di Pansy
era stata l’equivalente del drappo rosso per il toro.
Armandosi di tutta la pazienza che
il Signore le aveva dato – evidentemente ben poca perché
nella distribuzione se ne stava in ultima fila – si girò e
diede il ben servito alla signorina Merdinson.
Draco e Pansy sollevarono entrambi un sopracciglio per quell’atteggiamento battagliero assunto dalla portinaia.
“Il mio attaccamento al
lavoro va dalle otto del mattino fino alle dodici e dalle quattordici
alle diciotto. Durante tale orario mi può chiedere anche il
mondo e io provvederò ad accontentarla…”
Pansy la guardò sbigottita.
“… ma senza il giusto
apporto di vitamine e proteine non posso fare un granché.
Quindi, per evitare di non poter soddisfare
le sue richieste…” – alludere allo stato in cui
aveva beccato Pansy e il suo datore di lavoro fu istintivo –
“… è meglio che vada a mettere qualcosa sotto i
denti. Di nuovo, buon appetito.” – disse Hermione, uscendo
dalla porta.
Si diresse velocemente verso
l’ascensore per non correre il rischio di tornare in quella
stanza e metterle le mani addosso. Non era pienamente soddisfatta della
sua risposta – infatti, appena messo piede fuori dalla porta le
vennero alla mente altre frasi di maggiore effetto –, ma almeno
una piccola soddisfazione se l’era presa.
Ovviamente, ora, ne avrebbe pagato le conseguenze.
In ufficio una stralunata Pansy e
un decisamente sconcertato Draco stavano riavvolgendo il nastro della
memoria per accertarsi di aver sentito bene.
In verità, l’uomo era
diviso in due: una parte voleva richiamare Hermione per quella risposta
che aveva contenuto una chiara allusione a come si era fatto beccare
con Pansy, dall’altra, invece, avrebbe voluto lasciar perdere.
Hermione Granger era forse
l’unica impiegata che ancora doveva ricevere un richiamo verbale
o scritto. Si era sempre comportata correttamente e non gli aveva mai
dato particolari problemi e mai, in due anni, aveva disturbato le
persone per delle sciocchezze.
Certo, lui per primo era conscio che Pansy, certe volte,
poteva risultare antipatica e che avesse pure lei qualche difetto ma in
quel momento Draco non era obiettivo, perché era innamorato di
lei e a breve si sarebbero sposati quindi prendere le parti della sua
futura moglie fu una scelta istintiva.
“Ma… hai sentito come mi ha parlato?” – si lagnò Pansy con il suo futuro marito.
“Tranquilla… oggi pomeriggio metterò le cose in chiaro.” – disse Draco.
C’era rimasto veramente male per quella risposta.
Quando aveva assunto Hermione
Granger, aveva avuto l’impressione che fosse una ragazza a modo e
volenterosa. Di certo non una che rispondeva a tono.
Ma Pansy non era soddisfatta.
Voleva che Draco la punisse come giusto che fosse per essersi rivolta
in quel modo così irrispettoso alla futura compagna di Draco
Malfoy.
“Ehi là, vecchietta! Come mai così tardi?”
Il filmino che si era fatta nella
testa dove lei entrava raggiante a fare la sua ordinazione finì
nel cesso. Si accomodò al bancone del bar e fulminò Ron,
il proprietario, con lo sguardo.
“Ohi, ohi… la principessa sul
pisello?” – scherzò il rosso, riferendosi a Pansy
Parkinson che lui conosceva solo tramite i racconti di Hermione o da
qualche articolo di gossip sulle riviste.
Con uno straccio dava un’asciugata al bancone.
La ragazza non si espresse verbalmente. La sua aura parlava già di per sé.
“Se la beccassi in un vicolo
cieco, giuro che l’unica persona che uscirebbe sarei io!”
– fu la minaccia di Hermione.
“Che boccuccia di rose…” – ironizzò Ron.
“Sta zitto e fammi due
panini!” – ringhiò la ragazza, mentre trattava la
sua borsetta con la delicatezza di Mike Tyson con l’avversario.
“Come?” – chiese il barista, ormai abituato a quelle esplosioni di rabbia.
“Fai tu!” – tuonò lei, cercando di sbollire la rabbia.
Mezz’ora più tardi,
Hermione si stava ingozzando con i panini e Ron la osservava stupito
per quanto un corpicino così esile mangiasse come un bue in
arretrato di una settimana.
“Calma che ti strozzi…”
Hermione lo guardò e si
rese conto di star mangiando come un animale. Iniziò a masticare
lentamente e a riprendere la via della mitezza. Ingoiò
l’ultimo boccone del primo panino e si pulì la bocca.
“Scusami…” – disse lei mortificata per come l’aveva trattato.
“Tranquilla…” – disse lui, mettendole davanti la bottiglietta d’acqua.
Era abituato a ben peggio…
Hermione la prese e bevve qualche sorso.
“Mi dici adesso cos’è successo in ufficio?”
“Niente, lascia stare…”
Ma Ron non demorse.
“Dai, sputa il rospo.”
E Hermione, evidentemente, non vedeva l’ora di raccontargli tutto.
“Ma niente… a
mezzogiorno mi chiama la Stronza e mi chiede una rivista. Io gliela
porto, ma era impegnata con il direttore, nonché suo fidanzato
secolare. Quando sono entrata, avrei voluto vomitare, visto che mancava
poco che li beccassi nudi sul divanetto.”
Ron annuì interessato.
“Quando sono entrata, mi ha
quasi sotterrata di parole perché l’avevo disturbata
così, ho fatto presente che il giornale me l’aveva chiesto
lei e sai che mi ha risposto?” – chiese Hermione con un
sorriso sarcastico.
“Cosa?”
“Io? Ma io non ti ho chiesto niente!” – disse Hermione, imitando alla perfezione la voce sdegnata di Pansy.
“Bella stronza.” – commentò Ron.
“Oh beh… per quello
che me ne frega.” – disse Hermione, facendo le spallucce.
– “Il punto è che adesso come minimo avrà
chiesto al suo fidanzatino di intervenire. Sta a vedere che oggi mi
chiamerà nel suo ufficio per farmi il pelo!” – disse
lei, che sapeva come funzionavano quel genere di cose.
“Ma dai… io non credo
che sia così bastardo.” – fece Ron, pensoso. –
“Insomma… l’avrà visto pure lui come ti ha
trattata, no?”
“Se stuzzicato con le giuste parole, lo saresti anche tu. Comunque domani ti faccio il resoconto, tranquillo.”
“Ok, ma adesso mangia con calma.” – disse il ragazzo con dolcezza.
Era l’unico che aveva il potere di calmare i suoi bollenti spiriti.
Mancava un quarto d’ora alle
due e Hermione era in bagno a lavarsi i denti, abitudine alla quale era
molto affezionata. Uscì dal bagno e salutò il suo amico.
“Ciao, ci vediamo domani!”
“Devo mettere la pedana per gli invalidi?” – scherzò lui.
“Ha ha…”
– rise lei, ironicamente. – “…bravo,
scherza… poi ci penso io a te. Ciao ciao!”
“Ciao Hermione!”
La ragazza raggiunse la sua auto, vi salì sopra e tornò al lavoro.
Non era per niente tranquilla e, comunque, come avrebbe potuto esserlo?
Aveva risposto alla fidanzata del capo ed era un torto che non si poteva tollerare.
Erano le quindici e quaranta del
pomeriggio e Hermione era arci-mega-stra sicura che se non
l’aveva chiamata alle due sarebbe salita da lui a fine giornata,
il che la portò a rilassarsi e lavorare come al suo solito.
O a provarci, almeno.
Ricevette poche chiamate quel
pomeriggio che le diedero il tempo di sistemare vecchie pratiche in
sospeso e registrare con ordine le chiamate ricevute.
Draco su quel punto era molto
severo: ogni chiamata in entrata e uscita andava registrata con
l’ora, il nome di chi chiamava, il motivo e a chi andava passata.
Chiedeva un registro ordinato, motivo per il quale Hermione scriveva di
getto le chiamate su un block notes e a fine giornata, o quando aveva
un buco libero, le riportava con ordine sul registro. Man mano che le
ricopiava, le spuntava e poi cestinava il foglio vecchio. Alzò
gli occhi sul computer e sgranò gli occhi quando vide
l’ora.
Giuda traditore!, pensò la ragazza con sgomento. Dieci alle sei?!?! A posto sono!
Scrisse le ultime due chiamate e poi mise il registro in un cassetto chiuso a chiave.
DRIN DRIN – DRIN DRIN
Per un soffio non saltò sulla sedia.
Quando vide che era una chiamata esterna si rilassò impercettibilmente.
“Malfoy Home buon giorno,
sono Hermione. Posso aiutarla? No, sono spiacente: Samantha ha avuto il
pomeriggio libero oggi, ma la troverà sicuramente domani.
Certo… buona sera.”
Hermione agganciò la
cornetta e di nuovo si rimise a pensare a ciò che era accaduto
quel mattino e più ci pensava, più non riusciva a trovare
una ragione per la quale il direttore potesse richiamarla.
Era dalla parte della ragione: si
era solo difesa da un’accusa falsa. Certo era ben cosciente del
fatto che rispondere male alla fidanzata del capo era da ritenersi pari
a un suicidio professionale.
Ricevette un’altra chiamata.
Da un interno che avrebbe preferito non vedere mai sul display del proprio telefono.
Interno 100: il direzionale.
“Pronto?”
“Hermione, può venire nel mio ufficio?”
“Sì, subito signor
Malfoy.” – Hermione riagganciò la comunicazione e
aspettò le diciotto per deviare il telefono alla modalità
notte.
Quando i minuti
dell’orologio del pc scattarono da “59” a
“00”, decretando la fine di quella giornata lavorativa
– sperò non del suo lavoro lì – Hermione
raccattò le sue cose e si diresse in direzione.
Qualche secondo prima di entrare, Hermione chiuse gli occhi e prese un paio di respiri.
Aveva avuto modo di parlare con il
signor Malfoy solo in poche occasioni: la prima, quando aveva fatto il
colloquio per capire se poteva fare al caso suo e poi nelle sporadiche
occorrenze dove dipendente e titolare si scambiavano qualche parola di
pura cortesia, per sapere come si trovava al lavoro o se avesse bisogno
di qualcosa di particolare.
In quei momenti, il signor Malfoy
si era dimostrato molto cortese, cosa che aveva subito conquistato il
rispetto di Hermione. Il titolare era una persona a modo e molti
lì dentro ne parlavano solo bene.
Perciò le dispiacque parecchio sapere di essere lì dentro per una ramanzina immeritata.
Bussò ed entrò.
“Si accomodi, prego.” – disse Draco, indicandole una sedia.
“Grazie.” – disse Hermione, sedendosi.
Era nervosa.
“Hermione…”
– iniziò lui, mentre la donna già pregustava una
bella punizione. – “… ho qui sottomano il suo
curriculum.”
Ok. Era confusa.
Che c’entrava il suo curriculum, adesso?
“Dal suo sguardo deduco che
non capisca il motivo per il quale ho tirato in ballo il suo percorso
di studi.” – la anticipò Draco.
“In effetti…” – disse Hermione.
“Mi hanno molto colpito le sue esperienze professionali in ambito amministrativo.”
“Lieta.” – rispose Hermione, pacatamente.
Poi Draco chiuse la cartelletta
che conteneva tutte le informazioni che riguardavano Hermione e la fece
cadere sul tavolo, in un modo che fece venire la pelle d’oca a
Hermione.
Era stupido pensarlo, soprattutto
in un momento critico come quello, ma il gesto di Draco le aveva
ricordato uno dei tanti film che guardava alla tv, dove il direttore
dell’azienda, dopo aver compiuto quello stesso gesto, annunciava
il licenziamento del povero malcapitato.
Sperò di non trovarsi in quella situazione…
“Sarebbe un vero
peccato se non potesse dar loro un’opportunità per venire
a galla. Così come sarebbe un vero peccato dover finire a
lavorare in magazzino, non trova?”
E per Hermione fu tutto chiaro.
Tutto il rispetto che aveva
provato per lui sparì nel cestino della carta straccia che
Malfoy teneva sotto la scrivania. Dunque era quella la fine che le si
prospettava se litigava con la Parkinson? Rischiare che lo studio di
una vita e le sue precedenti esperienze lavorative andassero a puttane
solo perché una persona non riusciva a risolvere i propri
problemi da sola?
Non che avesse mire su Draco
Malfoy, ma se fosse stata lei la sua fidanzata e una dipendente avesse
palesato insofferenza nei suoi confronti, non avrebbe mai chiesto
l’aiuto del proprio ragazzo per sistemare le cose ma le avrebbe
affrontate a faccia aperta.
Era anche delusa.
Aveva pensato che il signor Malfoy
non fosse una persona simile – certo, la loro conoscenza era
limitata a quelle poche volte che si incontravano per strada dove lui
le aveva sempre fatto una bella impressione – e che fosse una
persona corretta.
Ma uno dei difetti – o
pregi, a seconda della prospettiva – di Hermione era che
più gli altri la minacciavano, più lei sentiva la
necessità di far capire loro che non avevano a che fare con una
ragazza che temeva di rompersi le unghie o di finire, come
preannunciato, in un magazzino.
Scosse leggermente il capo,
frustrata per quella situazione e quando rialzò lo sguardo su
Draco, questo rimase alquanto stupito dallo stesso sguardo di sfida che
aveva letto nei suoi occhi solo quel mattino.
“Sa signor Malfoy…” – iniziò lei, con uno strano tono di voce.
Che palesemente non piacque per niente al direttore.
“… non è mia abitudine discutere le decisioni di un superiore.”
“Un comportamento davvero ragguardevole.” – notò lui.
“Quindi di certo non
obietterei né mi opporrei alla sua decisione di volermi
sistemare in magazzino. Il personale è molto
cortese…” – disse lei, sfidandolo.
E per Draco fu tutto chiaro.
Era vero.
Le rare volte in cui Hermione era
dovuta scendere in magazzino per parlare con Roger, il responsabile,
era sempre stata trattata molto bene perché in
quell’azienda, così come in molte altre, regnava nei vari
settori una sorta di codice d’onore: rispetta e sarai rispettato.
Una specie di undicesimo comandamento…
Per Hermione era un istinto naturale portare rispetto alle persone, ma solo se la cortesia era ricambiata.
Le esperienze amministrative di
cui Draco parlava, facevano riferimento alle sue precedenti mansioni,
soprattutto nella ditta di trasporti di famiglia, dove aveva imparato
fin da piccola che il lavoro di tutti andava rispettato, soprattutto
quello dei camionisti che effettuavano le consegne. Era un duro lavoro,
il loro, ed era ingiusto e irrispettoso deriderlo, credendo che fosse
più leggero, solo perché erano sempre in giro per le
consegne.
Dietro il lavoro di un camionista
c’è tutto un mondo fatto di stanchezza per i viaggi lunghi
che a volte ricoprivano l’intero paese, fatto di lontananza dalla
famiglia, di compleanni in ritardo o addirittura persi, ma anche di
cameratismo e solidarietà con gli altri colleghi.
Così, le volte in cui
scendeva in magazzino, lei vedeva solo i suoi vecchi amici ed era
naturale trattarli come tali e far capire loro che almeno lei
apprezzava i loro sforzi e la loro tipologia di lavoro.
“Il lavoro potrebbe essere
pesante, per una ragazza come lei.” – disse Draco,
studiando con più attenzione quella sua collaboratrice.
Quando Draco aveva assunto
Hermione, credeva che avrebbe avuto a che fare con la solita impiegata,
che faceva il solito orario di ufficio e che se ne andava alla solita
ora.
Certo, niente di tutto questo
cambiava con Hermione, ma era il modo in cui la ragazza organizzava il
lavoro che gli aveva dato da pensare, nei vari momenti in cui poteva
permettersi di non pensare agli introiti aziendali.
Si faceva portare un caffè
e si metteva a fare una carrellata di tutti i suoi dipendenti, cercando
di capire come fare per andare loro incontro ma senza risultare troppo
morbido. E ogni tanto pensava anche a Hermione al suo modo di lavorare.
Le aveva dato il tempo necessario
per prendere confidenza con il lavoro e con il computer e una volta
accaduto, l’aveva ritenuta un buon acquisto.
Quando all’inizio passava
ancora dall’ingresso principale, Hermione lo salutava con un
sorriso e gli metteva in una cartellina, debitamente in ordine
alfabetico, tutti i messaggi arrivati indirizzati a lui, le mail e i
fax, rispondendo con efficienza alle sue domande.
In un paio di occasioni si era
fatto portare dalla donna stessa il registro delle chiamate, riuscendo
finalmente a decifrare la scrittura. Si era fatto spiegare come potesse
scrivere così ordinatamente quando il centralino era
nell’ora di punta ed era rimasto piacevolmente sorpreso
nell’apprendere che prima trascriveva di getto le chiamate su un
block-notes per poi riportarle con ordine sul registro.
Quello era stato il suo primo complimento.
E ora doveva invece darle una vera e propria punizione.
“Perché? Come sono io?”
Con una rapida occhiata, Draco la inquadrò.
“Vestiti eleganti ma non volgari, trucco non esageratamente marcato, unghie ben curate… proseguo?”
“No, ha visto bene. Amo
vestirmi in modo adeguato alle mie mansioni.” – disse lei
con un sorriso e Draco lesse tranquillamente tra le righe: “Se
vuoi sbattermi in magazzino, fa pure. Mi adatterò.”
“Mi fa piacere
saperlo… quindi non le dispiacerà fare tirocinio in
magazzino. Sa… così imparerà a fare le bolle di
trasporto e a relazionarsi con quei ritardatari dei nostri
fornitori.” – disse lui, con finto moto di
solidarietà.
“Affatto. Mi fa piacere
poter avere a che fare con i vari settori di un’azienda…
imparerò qualcosa di nuovo. Bene, signor Malfoy, se non
c’è altro io andrei.”
“Non c’è altro.
Ci vediamo lunedì.” – disse Draco, leggermente
risentito per non aver fatto presa su quella ragazza. –
“Ah, signorina Granger?” – la chiamò,
all’ultimo.
“Sì?” – chiese Hermione, girandosi.
“A giocare con il fuoco, si rischia di bruciarsi.” – fu il verdetto finale.
Hermione arricciò le labbra, divertita.
“La ringrazio per la sua
sollecitudine, ma non si preoccupi: sopporto il dolore molto
bene.” – e, dopo aver lasciato l’ufficio con
l’ultima parola, se ne tornò a casa, pronta per dare
dimostrazione di quello che sapeva fare una ragazza di campagna.
Una volta arrivata a casa, Hermione prese la sua Lilly e la portò fuori per fare la solita passeggiata serale.
La cagnetta, felice di poter stare
con la sua padrona, zampettava allegra vicino a lei, mentre Hermione si
tratteneva a stento dal ridere per non fare la figura della schizzoide
con le persone che le passavano accanto. La portò in un campo
vicino a casa e la lasciò libera di scorrazzare e fare i suoi
bisogni.
Un’ora più tardi, le due tornarono a casa per cenare con tranquillità.
“Sai, Lilly?” –
disse Hermione, ottenendo una momentanea attenzione da parte del cane,
che poi tornò ai suoi croccantini. – “Da
lunedì la mamma farà un nuovo lavoro! E
quell’emerito cazzone dovrà mordersi la lingua cento
volte.” – disse con soddisfazione.
Guardò per un po’ la tv dal suo comodo lettone e poi andò a dormire.
Calli-corner:
Allora, qui non succede niente di
così eclatante, ma iniziamo ad avere una visione un po’
globale di come sarà la vita di Hermione all’interno della
Malfoy Home.
Mi dispiace se i primi capitoli
potranno risultare “paccosi”, ma vi prego di non fermarvi
qui e di darmi l’occasione di mostrarvi come sono fatti questi
due.
Hermione.
Hermione qui potrebbe sembrare
quasi una Mary-Sue del lavoro, ma in realtà è solo una
dipendente come potrebbe esserlo chiunque di noi: si applica sul lavoro
con dedizione e costanza e non ha problemi, come lei stessa ha detto, a
girare per i settori di un’azienda.
Draco.
Draco ha le chiappe sui cuscini imbottiti di bambagia.
Lascio a voi
l’immaginazione, a quando dovrà sedersi su un
cactus… non posso dire altro, ma so che siete intelligenti e,
unendo questo al mio profondo senso di bastardaggine, so che trarrete
le giuste conclusioni.
Dunque…
… questa volta non vi
lascio lo spoiler. Il prossimo capitolo è di passaggio e non
è molto interessante – brava callistas, bella
pubblicità che ti fai! – ma mi rifarò dai prossimi.
Un bacione,
callistas.
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Capitolo 3 *** Harry Potter ***
04 - Harry Potter
Signore e signori bentornati a un altro episodio di “Malfoy Home”.
Oggi ci sarà
l’ingresso di Harry Potter, ma non aspettatevi chissà
quali prestazioni. Sarà una questione di lavoro che
richiederà poche battute dove Hermione, naturalmente, la
metterà nelle chiappe a qualcuno di nostra conoscenza.
Nelle prime righe del capitolo,
troveremo un Draco un po’ più interiorizzato. Niente di
Freudiano e che so io, ma capiremo un po’ di più il biondo
e ciò che comporta per lui essere il presidente della Malfoy
Home.
Vi lascio alla lettura con un bacio e un abbraccio immenso.
callistas.
Ignaro di quanto avvenuto in
magazzino dopo che se ne era andato, Draco era salito in ufficio per
chiudere la cassaforte e andarsene finalmente a casa a riposare.
Non si sarebbe visto con Pansy
quella sera, perché impegnata con una sua amica del Country
Club. Ne avrebbe approfittato per farsi una sana dormita: quella donna
aveva la capacità di lasciarlo senza fiato.
Sorrise maliziosamente nel ripensare a che bomba sexy era riuscito a trovare.
Durante le feste organizzate dai
soci dell’azienda, faceva sempre un figurone. Beh, forse era
meglio non pensare a Pansy e alla sua carica erotica o non avrebbe di
certo dormito.
Chiuse la cassaforte e poi anche la porta dell’ufficio.
Quando arrivò alla fine del corridoio, si ritrovò praticamente in cima alle scale.
Si sentì pervaso da una sensazione inebriante di potere.
Percepiva ciò che suo nonno
Abraxas e suo padre avevano creato e che ora tutto quell’impero
era passato a lui; percepiva tutto il potere che il suo nome aveva a
livello mondiale, la sensazione che un suo cenno o un suo diniego aveva
il potere di cambiare le sorti del mercato.
Ma tutto quel potere, però, aveva il suo peso.
Non era mai davvero tranquillo, Draco.
Trascorreva le notti a dormire un
paio d’ore e poi si svegliava, preda di preoccupazioni che solo
un dirigente d’impresa conosce: gli stipendi dei lavoratori,
mantenere giornalmente alto il nome della famiglia, apparire sempre
impeccabile, sempre perfetto, sempre sicuro di sé, sempre
infallibile.
Era un fardello oneroso e a volte
aveva la sensazione si star sbagliando tutto, che se suo padre o suo
nonno fossero stati presenti, avrebbero saputo fare le cose un secondo
prima e meglio di lui.
In quei momenti, Pansy accanto a
lui dormiva beata, cullata dalla certezza che solo il nome di Draco
potesse aprirle tutte le porte che desiderava mentre lui doveva
sbattere quotidianamente la testa al muro per far sì che tutto
questo, che le aspettative di Pansy, della sua famiglia, dei soci
d’affari, dei dipendenti, e del mondo stesso venissero sempre
soddisfatte.
Erano pensieri molesti, che lo
assalivano quando il sonno tardava ad arrivare – mentre Pansy
invece se la dormiva della grossa – o se ne andava, lasciandolo
sveglio, ancora alle tre di notte.
Aveva trovato un posto per Pansy
nella sua azienda per averla sempre vicina, perché nonostante
tutti pensassero che le persone come lui, che avevano il suo
patrimonio, non fossero in grado di provare amore o sentimenti veri,
lui ne provava. Amava quella donna, anche se sentiva di non esserne
pienamente coinvolto.
E Draco si rese conto, mentre
scendeva quegli antichi scalini, che le volte in cui sentiva di amare
Pansy con tutta la sua anima, erano le volte in cui aveva un orgasmo.
Era in quei momenti che Draco poteva prometterle anche la luna.
“Che cretino…” – si disse, sottovoce.
Doveva essere contento di
ciò che aveva: era bello – e nessuno poteva contestare
questo dato di fatto –, ricco, intelligente e di buona famiglia e
a breve si sarebbe sposato con la donna che amava.
E, proprio mentre stava pensando
all’amore che provava per Pansy, gli passò davanti
Hermione Granger che lo lasciò ammutolito quando la vide
sciogliere la crocchia che portava da tutto il giorno e liberare una
cascata di ricci che, non lo avrebbe mai detto, le arrivavano fino al
sedere.
Era la prima volta che vedeva in una donna dei capelli così lunghi.
I capelli più lunghi che
aveva visto nella sua vita erano quelli di sua madre, che ora aveva
acconciato in un sobrio carré con tanto di frangetta che la
facevano sembrare più giovane di quanto non fosse in
realtà.
Hermione aprì la sua macchina e se ne andò.
La Malfoy Home era specializzata nel commercio di arredamenti per la casa.
Era inizialmente partita con la
produzione e la lavorazione di piani cucina in granito proveniente
dalle varie zone del mondo, ottenendo solo con quel particolare tipo di
vendita un buon lancio iniziale sul mercato.
Da lì era proseguita con la
vendita di prodotti per trattare il piano cucina senza rovinarlo. Poi
aveva ampliato il suo giro di introiti scegliendo di non fermarsi solo
piani cucina, ma produrre anche pavimenti in granito o marmo, lavandini
in questo materiale, vasche e, solo su richiesta, tavoli da pranzo.
Ancora, aveva allargato i suoi
orizzonti commerciando in arredamenti come camere, cucine e salotti,
tutti di alta qualità. Qui si era fermata, poiché il
mercato era abbastanza saturo di questi prodotti e aveva scelto di
mantenere un profilo basso per evitare sprechi di risorse, tempo e
denaro.
Ogni giorno arrivavano in
magazzino centinaia di lastre, imballate negli appositi container di
legno e avvolte nel polistirolo per evitare che si graffiassero.
Venivano scaricate, ricontrollate e poi spedite ai destinatari in ben
altri imballaggi.
Quel giorno il magazzino stava
lavorando a ritmo serrato perché certe consegne prevedevano il
carico della merce su navi che per arrivare a destinazione impiegavano
a volte anche un mese. Era necessario lavorare velocemente e,
possibilmente, senza ammazzarsi.
Quel giorno Roger era arrivato a lavorare con il groppo in gola.
Da quando Hermione lo aveva terrorizzato a morte
ragguagliato sui suoi compiti effettivi – aveva pensato tutta la
notte alle cifre che Hermione gli aveva sganciato come se fossero
noccioline e alla prospettiva che, in caso di incidente, lui potesse
finire in prigione – aveva sempre un occhio su quello che faceva
e uno sull’intero magazzino. Il non poter seguire tutti con lo
sguardo lo stava mettendo in ansia e quando vedeva un movimento
sospetto, il cuore gli saltava alla gola.
Hermione se ne era accorta e si
era sentita responsabile per lo stato d’animo di Roger
così gli andò incontro.
“Va tutto bene?”
L’uomo le sorrise, fingendo un disinteresse che in realtà non provava.
“Sì, perché?”
Hermione sospirò.
Uomini…
“Roger… ti ho detto
che la sistemiamo questa cosa.” – lo rassicurò.
– “Oggi sono previsti solo due arrivi: lasci il lavoro agli
altri e io e te ci mettiamo a dare un’occhiata ai tuoi diritti e
doveri.”
“Ah, adesso ho anche dei diritti?” – chiese, fortemente polemico.
Da come gliel’aveva prospettata Hermione, sembrava che il ruolo di Roger comportasse solo doveri.
“Certo che li hai!”
“Allora è un mio
diritto andare da chi si occupa di ‘ste robe e spaccargli la
faccia!” – esclamò, fintamente felice.
“No.” – disse Hermione. – “Quello è un tuo dovere.” – ironizzò.
Una volta stemperata la tensione, Roger tornò a riavere il controllo su di sé.
“Dai, adesso calmati.”
– disse, frizionandogli il braccio. – “Vuoi che
andiamo a prendere un caffè?”
“Sì, è meglio. Josh?” – urlò, chiamando il ragazzo.
“Dimmi!”
“Prendo un caffè!”
Josh gli fece il segno dell’ok e tornò al proprio lavoro.
Al distributore delle macchinette
del piano terra, di solito, non c’era mai nessuno e nessuno
passava mai di lì. Era risaputo che quella macchina era dei
magazzinieri e le smorfiosette dei piani alti si rifiutavano di
prendere qualcosa da mangiare o da bere da lì perché
temevano di sporcarsi le mani.
“Stanotte non ho chiuso occhio…” – sussurrò Roger, massaggiandosi gli occhi.
Hermione sentì la cioccolata perdere immediatamente il suo sapore.
“Ma porca… Roger scusa!” – esclamò desolata.
“Hermione, ti ho già
detto che non devi scusarti. Se non fosse stato per te, magari io
potrei già essere in prigione.”
Era davvero dispiaciuta per aver
abbattuto in quel modo il morale di Roger, ma non aveva potuto agire
diversamente: quelle erano pratiche delicate che andavano trattate con
i guanti di velluto, così com’era importante evitare di
inimicarsi gli ispettori dei controlli perché in quel caso
l’azienda avrebbe potuto anche chiudere.
“Allora sai cosa
facciamo?” – propose Hermione per tirargli un po’ su
il morale. – “Adesso ci mettiamo io e te nel tuo ufficio e
col computer guardiamo cosa c’è da fare.”
Roger scosse la testa in un moto
di profondo affetto e stima verso Hermione. Era davvero un miracolo
vivente e poi lei non era tenuta a interessarsi di quelle cose: poteva
fare benissimo il suo lavoro e poi tornarsene a casa.
“Grazie.”
“E di che?”
Sorseggiarono in silenzio la
propria bevanda e Hermione ostentò una sicurezza, come se quel
lavoro fosse davvero una sciocchezza, che però non aveva. Certo,
sapeva perfettamente dove mettere le mani e quali specifiche andare a
cercare, ma era la mole del lavoro che la demoralizzava. Era andata via
dall’azienda dei suoi per non averci più niente a che fare
e ora ci si ritrovava invischiata di nuovo.
La cosa, da un certo punto di vista, la faceva ridere…
Poi però l’occhio le
cadde su Roger e ogni dubbio o incertezza sparì solo figurando
l’uomo dietro le sbarre. Cestinò la sua cioccolata e si
avviò di nuovo verso il magazzino, dove iniziò con
l’uomo un lavoro ben più pesante.
“Ma tu come sai tutte queste cose?”
Hermione sollevò lo sguardo su di lui.
“Tutto quello che so,
l’ho imparato nella ditta dei miei.” – spiegò.
– “Per chi ha una ditta di trasporti come quella dei miei,
è tenuto ad essere in regola anche con la carta igienica,
altrimenti non ti autorizzano a trasportare niente.” –
disse, usando un paragone d’effetto. – “Io e le mie
sorelle ci siamo fatte tanti di quei corsi su questa materia che
possiamo dire di saperne più degli ispettori.” –
ironizzò. – “Quindi adesso ti dai una calmata e
vediamo di risolvere ‘sta cosa, ok?”
“Ok.”
Come promesso, Hermione prese in
mano anche quella faccenda sotto lo sguardo sbigottito – e pronto
al suicidio – di Roger. Solo digitando sul motore di ricerca
“sicurezza sul lavoro” erano spuntati fuori tanti siti e
altrettanti controlli che, se da solo, lo avrebbero davvero condotto a
uccidersi.
Hermione però sapeva dove
mettere le mani; aveva stampato dei moduli che poteva fare al caso suo,
aveva trascritto dei numeri telefonici degli enti preposti da chiamare
in caso di necessità e tanti altri piccoli accorgimenti che
ebbero il potere di rischiarare l’animo di Roger. In più,
la ragazza faceva delle battute stupide per sollevargli il morale,
tanto che arrivò l’ora di pranzo senza che se ne
accorgessero.
“Dio che fame… Dio che imbecille!” – esclamò Hermione in sequenza facendo ridere i colleghi.
“Che c’è?” – chiese uno.
“C’è che chi ha
gambe non ha testa!” – sbottò. – “Mi
sono dimenticata il pranzo in macchina. Ci vediamo dopo.” –
disse.
Non aveva voglia di risalire e
percorrere tutta quella strada per andare a prendersi il pranzo ma
aveva consumato parecchie energie mentali per dare a Roger qualche
nozione base del suo ruolo, per non parlare degli occhi che ormai
vedevano incrociato per le ore che aveva passato al computer.
Quando entrò
nell’immenso salone, respirò immediatamente odore di
pulito. Ne prese qualche generosa sorsata e poi si avviò verso
l’uscita. Udì delle voci e si girò, sbarrando gli
occhi: erano il signor Malfoy e la sua fidanzata.
Per evitare ulteriori guai alla
sua persona, Hermione accelerò il passo e uscì
dall’azienda. Naturalmente, a differenza di Pansy, chiuse la
porta alle proprie spalle e corse in macchina. Tornò indietro
che i due stavano uscendo; più per cortesia, aspettò che
passassero loro per poi rientrare lei stessa.
“Certo che potevi almeno tenerci la porta aperta.” – sentenziò Pansy, indispettita.
Hermione si girò con gli occhi sgranati per quella stronzata bella e buona.
Draco invece imprecò mentalmente per la tendenza di Pansy nel cercare lo scontro sempre e in ogni occasione.
“Pansy andiamo?”
“No, un attimo. Vorrei chiarire questa cosa con lei.”
Hermione, che aveva un piede già all’ingresso, si bloccò, sbigottita.
Ah!, adesso vuoi chiarire?!?,
pensò Hermione oltraggiata, il cui pensiero era andato subito al
giorno che aveva decretato la sua discesa verso il magazzino.
Ripensò al modo in cui Pansy aveva chiarito la sua posizione: ossia mandando avanti il suo ragazzo per lei.
Lanciò una fugace occhiata
al suo titolare, sperando che intervenisse e se la portasse via o che
almeno si accorgesse che lei, in quel frangente, non aveva nessuna
colpa, ma Draco Malfoy sembrava una statua.
Cagasotto, pensò Hermione più indispettita che mai.
A dire il vero le parve più
infastidito da quel contrattempo ma non riusciva a capire se a causa
sua, che non aveva tenuto la porta aperta a loro due – il tempo
che avrebbero impiegato per scendere le scale a lei sarebbe cresciuta
la barba in mezzo alle gambe – o per il fatto che Pansy la stesse
esplicitamente molestando.
“Allora? Sto aspettando.”
Hermione non sapeva neanche cosa
dire: era letteralmente incastrata. Se le avesse risposto male, a
rimetterci sarebbe stata solo lei, se le avesse risposto con
cortesia… alla fine ci avrebbe rimesso sempre e solo lei, quindi
che fare?
In più aveva un forte mal
di testa, per le ore passate al computer a spulciare tutti i siti e per
la fame, e non era ben disposta al dialogo.
Certo, con Pansy Merdinson non lo sarebbe mai stata… ma quelli erano dettagli.
“Scusi… aspettando cosa?” – chiese Hermione.
Aveva deciso di risponderle nel
modo più educato possibile, ma cercando di farle capire –
anche se dubitava fortemente che avesse un neurone per questa
facoltà – che non era disposta a chinare il capo solo
perché lei era la fidanzata del capo.
Pansy Parkinson esigeva rispetto per se stessa? Ebbene… chi era Hermione Granger per non chiederlo per sé?
“Come cosa?” – squittì l’altra.
“Pansy?” – la richiamò Draco.
Pure lui aveva fame e quella discussione non aveva né capo né coda.
Richiamare Hermione per essersi, in soldoni, difesa
sarebbe stato difficile quella volta e comunque… perché
avrebbe dovuto punirla?, si chiese Draco in un momento di
lucidità. Solo perché Pansy aveva voglia di litigare?
Ecco che quei pensieri molesti tornarono di nuovo all’attacco.
Prima gli venivano solo di notte,
quando non riusciva più a dormire, perché preoccupato per
le sorti della propria impresa anche se deteneva il monopolio del
mercato, e ora pure di giorno.
Sarà la fame, pensò il biondo con un sospiro.
“Ma non ti hanno insegnato
l’educazione i tuoi genitori? Dai Draco, andiamocene.”
– disse la donna, infastidita.
Hermione era rimasta senza parole
con gli occhi sbarrati, venati di rosso, e il fiatone che la rabbia di
quella frase le aveva provocato.
Un giorno o l’altro gliele avrebbe fatte rimangiare tutte!
Rimase impalata
sull’ingresso, osservando, anche se aveva più lo sguardo
perso nel vuoto, le manovre che stava facendo il signor Malfoy con la
macchina.
Quando Draco fece una perfetta
retromarcia, che in una sola manovra gli permise di uscire dal
parcheggio, si girò casualmente verso l’ingresso della
propria azienda.
Fu un movimento dettato
dall’istinto: voleva vedere se Hermione era ancora lì. Non
che sarebbe sceso per confortarla o scusarsi a nome di Pansy,
ma… non lo sapeva nemmeno lui. Quando si girò e la vide
ancora lì, ebbe un leggero sussulto.
Oh, che era furente, era dire poco
e in quel momento non riuscì a non darle ragione. Non conosceva
i genitori della donna, così come non conosceva quelli degli
altri dipendenti, ma era sicuro che l’avessero educata bene
perché mai una volta era stata scorbutica, neanche con chi si
sarebbe meritato un ceffone in faccia.
Partì alla volta del ristorante mentre Pansy aveva già abbandonato l’argomento…
“Ti eri persa?”
– chiese Roger con il sorriso di chi, finalmente, stava riuscendo
a vedere la luce in fondo al tunnel, ma subito dopo si preoccupò
quando vide Hermione entrare con lo sguardo basso e tirato e, da quel
poco che aveva visto, con gli occhi lucidi. – “Che
succede?”
Hermione non piangeva mai.
Poche, se non inesistenti, erano
le cose che riuscivano in tale ardua impresa. Una di esse era il fatto
che le persone sembravano divertirsi a farle gratuitamente del male.
Lei non aveva mai fatto niente di male a Pansy, anzi!, l’aveva
sempre salutata cordialmente e le volte che la vedeva le elargiva un
sorriso di circostanza. La donna, invece, l’aveva presa subito in
antipatia per chissà quale motivo e da quella volta – non
ricordava nemmeno quando fosse iniziato il tutto – la prendeva a
pesci in faccia, le faceva fare delle figuracce e ora la bistrattava,
tirando in ballo i suoi genitori.
Si era resa conto di aver commesso
un enorme errore a non risponderle per le rime – e fanculo le
punizioni di Malfoy! – perché rimanendosene zitta era come
se avesse confermato le accuse di Pansy.
Quindi fu abbastanza sconcertante
per Roger, e i presenti, vedere una lacrima solcare il volto teso della
ragazza. Era con loro da pochissimi giorni, ma la sua predisposizione
al lavoro e la sua cortesia, l’avevano elevata al grado di
mascotte.
“Niente.” – rispose abbastanza seccamente.
Aprì il contenitore della
pasta che aveva preparato con cura la sera prima e se solo ieri aveva
un profumino invitante adesso le causava solo la nausea.
Spostò il contenitore
più in là per non averlo davanti. Quando poi si rese
conto di aver zittito praticamente tutti gli operai si alzò.
“Scusate, vado in bagno.” – disse, raggiungendoli in poche falcate.
La prima cosa che fece fu quella di entrare nel cubicolo, chiuderlo a chiave e sedersi sul water.
Giunse le mani in preghiera e vi
appoggiò la bocca. Che non le era ancora passata, era evidente
dalle nocche che, a furia di stringerle, erano sbiancate.
Adesso basta, si disse.
Non gliene avrebbe fatta passare
più nemmeno mezza! Era stanca di quelle frecciatine del cazzo!,
stanca di essere presa di mira!, stanca che un’antipatia si
trasformasse in una guerra!
Cazzo!, anche a lei stava antipatica della gente, lì dentro!, ma mica andava ad attaccar briga!
Uscì dal cubicolo con le
idee più chiare – ma sempre e comunque incazzata per
quella mancata risposta – e sobbalzò nel trovarsi davanti
Roger.
“Vorrei dirti che questo
è il bagno delle signore, ma non posso.” –
tentò di scherzare la riccia.
Beh, difficile che in magazzino vi fosse un bagno per le donne quando il personale era tutto al maschile…
“Hermione cos’hai?”
“Ma niente…” – disse, minimizzando il tutto con una scrollata di spalle.
Andò al lavabo e sciacquò le mani. Anche se di poco, la fame le era tornata.
“Hermione?”
Roger non avrebbe demorso. Non avrebbe lasciato correre.
Hermione stava facendo tanto per
lui, lo stava rendendo più consapevole del proprio ruolo e
l’aveva avvisato in tempo sui rischi ai quali andava incontro se
non avesse fatto tutte le procedure a regola d’arte. Voleva
aiutarla e lo avrebbe fatto!
“Ho incontrato il signor
Malfoy… e troia al seguito!” – si sfogò,
sentendosi finalmente libera come un uccellino.
Roger sollevò un sopracciglio per il linguaggio.
“Parli della sua fidanzata?”
“Se!” –
sbottò lei secca, mentre con un movimento brusco prese una
salvietta che quasi spaccò il contenitore.
“Cos’è
successo?” – chiese, mezzo divertito dal fatto che potesse
trattarsi solamente di orgoglio femminile ammaccato.
“C’è che un
giorno o l’altro te la ritrovi sulla pagina dei morti!”
– esclamò Hermione, mentre cestinava con rabbia la
salvietta.
Roger si fece serio tutto d’un tratto. No. Non era solo orgoglio femminile ammaccato.
“Non è da te parlare
in questo modo…” – disse, leggermente turbato da
quel lato del carattere di Hermione che non aveva mai avuto modo di
sperimentare.
“Beh, parleresti così
anche tu se quella… troia!, accusasse i tuoi genitori di non
averti insegnato l’educazione!”
L’argomento doveva starle molto a cuore se la faceva reagire così, pensò Roger.
“Dai, dimmi cos’è successo.”
“Una stronzata!”
– esclamò ancora allibita per il motivo che aveva
scatenato quella reazione a catena. – “Ecco
cos’è successo! Ero salita per andare in macchina a
prendermi il pranzo quando sento delle voci provenire dal secondo
piano! Mi giro e vedo quei due che stanno scendendo la scala neanche
fossero in Piazza di Spagna!” – commentò, incazzata
a morte. – “Non sembravano essere di fretta così io
me ne sono uscita e mi sono chiusa la porta alle spalle. Quando loro
arrivano Pansy mi ferma e mi chiede perché non le ho tenuto la
porta aperta!”
“Dai, non arrabbiarti per questo…” – cercò di rabbonirla Roger.
“Oh, ma io non sono
arrabbiata per questo Roger. Io sono altamente incazzata perché
quella mi deve aver scambiato per una portinaia!” –
urlò. – “E per non averle tenuto la porta aperta, mi
sono sentita dire che i miei genitori non mi hanno insegnato
l’educazione!”
“C’è dell’altro sotto, vero?” – chiese Roger, perplesso che fosse tutto lì.
Sì, c’era
dell’altro, ma implicava che Hermione raccontasse qualcosa della
sua famiglia che non aveva detto ad anima viva e non voleva.
“Il fatto è che
quando sono stata messa a lavorare qui in magazzino, è stato
unicamente perché quella stronza, invece di venire a chiarire le
cose con me, ha preferito mandare avanti quel cagnolino del suo
fidanzato. Oggi, invece, voleva fare bella figura con lui e ha
attaccato briga per niente, alla fine! E io Roger ne ho le tasche
piene!” – confessò Hermione, con un tono di voce
sfinito. – “Sono stufa che quando quella si sveglia male io
ci debba andare di mezzo. Tutti noi abbiamo dei problemi ma se
andassimo a scaricarli sugli altri, che casino ne verrebbe fuori?”
Rogera annuì. Ciò che diceva Hermione era vero e sacrosanto.
Purtroppo c’erano cose che nemmeno Dio sarebbe riuscito a cambiare…
“Dai, adesso torni di la e mangi la pasta, mhm?”
Hermione barcollò fino
all’uomo che le mise un braccio attorno alle spalle per darle un
po’ di conforto. Quando tornò, gli altri erano già
al dolce – a turno portavano delle pastine o delle torte fatte
dalle proprie mogli – e le sorrisero, per risollevarle un
po’ il morale.
“Da quant’era che non andavi in bagno, Hermione?” – scherzò Josh, facendo ridere tutti.
La riccia lo guardò e gli sorrise divertita.
Il lavoro procedette tranquillo.
Visto il poco giro di camion,
Roger aveva dato istruzioni affinché tutti gli operai si
mettessero di lena per dare una sistemata al magazzino e dargli una
pulita almeno superficiale mentre lui e Hermione continuavano il lavoro
di ricerca nell’ufficio di lui.
Roger poneva domande e Hermione
rispondeva con precisione, tanto che il responsabile del magazzino
pensò davvero che la riccia ne sapesse davvero più di un
ispettore del controllo.
Una cosa, però, andava accertata.
“Roger io salgo un attimo da Michelle. Vado a vedere se lei sa chi è che segue la Sicurezza sul Lavoro.”
“Sì, ok.”
“Tu intanto compila quei
moduli con i tuoi dati personali. Poi ai dati tecnici degli apparecchi
di movimentazione li facciamo insieme.”
Per un attimo Roger la
guardò perplesso. Era come trovarsi di fronte alla maestra che
dava un compito per tenere occupato l’alunno mentre lei doveva
assentarsi un attimo dalla classe.
Comunque, fece i compiti…
Hermione voleva andare in fondo a quella faccenda.
Lei che aveva seguito corsi su
corsi e aveva parlato a suo tempo con suo padre, sapeva che i
controlli, in cinquant’anni, erano decuplicati, le sanzioni
inasprite, le penali aumentate e la burocrazia aumentata a livello
esponenziale.
Forse all’inizio
dell’attività anche la Malfoy Home non era sottoposta a
frequenti controlli – anche se una prima occhiata le aveva dato a
intendere che fossero messi abbastanza bene da quel punto di vista
– ma oggi riteneva impensabile che non fossero mai usciti
ispettori per il controllo. Dopotutto, lavorava lì da due anni
e… no. Poteva accadere che un’azienda non venisse mai
controllata. A quella di suo padre era accaduto, per esempio.
Forse Miky poteva aiutarla.
Lo sperò vivamente,
perché non aveva voglia di girare l’azienda per cercare la
persona incaricata di seguire questo tipo di pratica.
Erano le tre e mezza del
pomeriggio quando Hermione mise piede nel salone. Udì
distintamente le voci di Malfoy e della sua fidanzata e, peggio di un
ladro, si imboscò dietro una palma. Stavano usando toni di voce
particolarmente concitati e per una frazione di secondo Hermione
sorrise soddisfatta. L’attimo successivo si diede della stupida:
non era lì per origliare ma per parlare con Miky.
“Ciao Miky.”
“Ciao Hermione. Allora, come va in magazzino?” – chiese la collega.
“Bene, non mi lamento. Ah, Miky volevo chiederti una cosa…”
Quando le voci si alzarono tanto da sovrastare quelle pacate di Hermione e Michelle, la riccia si girò perplessa.
“Ma che sta succedendo?” – chiese, incuriosita.
Miky le sorrise con soddisfazione.
“Il Karma, Hermione. Ecco cosa sta succedendo.” – fu la risposta sibillina di Miky.
Michelle era una ragazza che si
era convertita, dall’età di diciotto anni, alla vita
new-age, come la chiamava Hermione. Mangiava solo cibi biologici, tanta
verdura, beveva molta acqua e in macchina era piena di quei CD, dove
una voce soffusa, contornata dal cinguettio degli uccellini o dal
rumore di una cascata, invitava l’ascoltatore a rilassarsi e a
buttare fuori tutto lo stress.
“Il Karma?” – chiese lei, divertita.
Non era un’esperta, ma sapeva che il Karma agiva un po’ come la Legge del Taglione.
E la cosa le fece un disperato piacere… soprattutto se a pagarne le conseguenze era Pansy Parkinson.
“Sì. Ma scusa, cos’è che volevi chiedermi?”
“Ah sì! Tu sai per caso chi è la persona che segue…”
Di nuovo fu interrotta.
“Mi dispiace signorina Parkinson, ma la visita era prevista per oggi.”
Hermione si girò di scatto, credendo di avere le allucinazioni uditive.
“Scusa…”
– disse distrattamente a Miky che non poté chiederle nulla
perché il centralino prese a suonare.
Si avvicinò lentamente ai
tre, notando come i toni si stessero via via riscaldando. Ma non si
scaldarono mai come il suo cuore quando vide che uno dei tre era…
“Harry?!?”
“… e ho ricevuto una… sì?”
L’uomo di nome Harry si
girò verso la voce che lo aveva chiamato e rimase dapprima
perplesso, poi sbigottito di fronte a…
“Hermione?!?”
Draco Malfoy e Pansy Parkinson si
girarono di scatto e sbarrarono gli occhi quando videro Hermione
correre incontro a quell’Harry e saltargli letteralmente addosso.
“Oh mio Dio! Ma dove ti eri cacciato?” – esclamò la ricca, una volta rimessa a terra.
Draco era certo di aver visto di
tutto nella vita ma che una dipendente conoscesse perfino il
Responsabile Nazionale dei Controlli sulla Sicurezza per il Lavoro,
beh… quella proprio gli mancava!
“Sono sempre in giro! E tu? Lavori qui adesso?” – chiese il moro.
“Sì!”
“Scusate?” –
s’intromise voce di Pansy che smorzò la felicità di
Hermione nel rivedere un caro amico di famiglia e che riportò il
volto di Harry sull’infastidito andante.
“Sì?” – chiese Harry.
Draco dovette pensare nella frazione di un nanosecondo.
Aveva capito che Hermione aveva il
potere di cambiare – in meglio – l’umore
dell’ispettore. In parole povere: doveva approfittarne!
“Signorina Granger, staremmo parlando con l’ispettore dei controlli. Torni al suo lavoro, per favore.”
A Draco a volte sembrava strano
che Pansy non riuscisse a cogliere le occasioni della vita. Insomma!,
Hermione poteva mettere una buona parola con loro e lei per qualche
assurda ragione non ne approfittava!
Hermione guardò la Parkinson con diffidenza.
Da un lato aveva ragione, ma dall’altro Harry poteva essere la sua soluzione per Roger.
“Pansy, per favore.”
– s’intromise Draco. – “Signor Potter mi scuso
a nome della mia collega per l’increscioso episodio. Se fosse
così cortese da darci qualche giorno per…”
“Signor Malfoy, mi
scusi…” – lo interruppe Harry. –
“… qui ho una risposta dalla sua collega, la signorina
Parkinson, dove accettava l’incontro. Immagino che lei abbia
numerosi impegni perché conosco la fama della sua azienda ma se
permette, ne ho pure io. Farò il mio giro di controlli e se ci
saranno delle note da verbalizzare gliele farò avere.”
Sentendo che Pansy aveva accettato
l’incontro senza dirgli nulla e non curandolo con
l’attenzione che esso meritava, i capelli di Draco, da biondi,
divennero quasi bianchi.
Sentendo che Pansy era la persona
che stava cercando per aiutare Roger, il cuoio capelluto di Hermione,
da folto, divenne quasi canuto.
A posto siamo, pensarono i due.
“Ma state tranquilli.”
– disse Harry, lasciando perplessi i tre. – “Ora che
so che Hermione lavora qui, sono sicuro che non vi saranno intoppi di
alcun genere, vero Hermione?”
La ragazza avvertì tre tipi
di sguardo su di sé: di mite certezza da parte di Harry, che era
sicuro che sotto la direzione di Hermione non avrebbe trovato nulla
fuori posto, di fuoco incendiario da parte di Pansy che si stava
vedendo surclassata da una schifosa magazziniera e di flebile speranza
da parte di Draco che, fin da quando Hermione aveva salutato il signor
Potter in quella calorosa maniera, aveva intravisto in lei la sua
salvezza.
Lo sguardo di Hermione, invece, era impostato sul Terrorizzato Galoppante.
Aveva volutamente omesso di
scrivere nel suo curriculum “Responsabile della Sicurezza per il
Lavoro” per evitare rogne e ora ci si ritrovava dentro di nuovo!
Passi con Roger che aveva solo bisogno di una mano per rimettersi in
pari, ma a Harry, invece, avrebbe voluto tanto strozzarlo.
Insomma, ma non ci vedeva?!?
Indossava una tuta da magazziniere!, il che non era propriamente
l’abbigliamento di un responsabile.
“La signorina Granger non è responsabile di nulla.” – disse Pansy.
A Draco mancò poco di ruggire per la frustrazione e la rabbia. Pansy stava mandando tutto a puttane!
“Grazie Pansy, ci penso io.” – disse Draco, invitandola con un gesto a inforcare le scale.
“Draco!”
L’occhiata che le rivolse riuscì – finalmente – a zittirla.
“Va bene.” – si girò e se ne andò.
Draco si girò con un
sorriso accattivante, che preoccupò non poco Hermione. Non
sapeva perché, ma era certa che a fine giornata avrebbe fatto
un’altra chiacchierata con il signor Malfoy…
Se avesse saputo che si sarebbe ritrovata a quel punto, si sarebbe scusata immediatamente con Pansy!
“Bene signor Potter. Vedo che lei conosce la signorina Granger.”
Harry sorrise alla ragazza che ricambiò stentatamente.
“Da quando la faceva ancora nel pannolino.” – fu la candida sparata di Harry.
“Harry che ca!…” – si trattenne solo perché c’era lì Draco Malfoy.
“Beh, è vero!”
Hermione pensò che Harry
non fosse cambiato più di tanto: da quanto aveva potuto
apprendere, era rimasto lo stesso ingenuo ragazzo che aveva iniziato la
sua carriera nel mondo delle ispezioni della sicurezza.
“Sì, ok
d’accordo.” – disse la ragazza. – “Harry
senti… dato che sei qui avrei bisogno del tuo aiuto.”
“Dimmi pure.”
Draco venne messo bellamente in
disparte. Non disse niente, anche se un po’ gli seccava,
perché Hermione era molto in confidenza con Harry Potter e
magari poteva metterci una buona parola.
Non era sicuro di come fossero gli
standard di sicurezza in azienda, perché aveva lasciato
quell’ingrato compito a Pansy. Iniziò a pensare di non
aver fatto un bell’affare.
“Senti, vuoi farti un giro prima e poi scendi in magazzino?”
Fu come se solo allora Harry Potter si fosse accorto dell’abbigliamento di Hermione.
“Ma come sei vestita?”
Hermione alzò gli occhi al cielo.
“Sei sveglio come un orso in
letargo.” – disse Hermione, esasperata. –
“Lavoro in magazzino adesso.” – disse Hermione,
sbrigativa.
Draco iniziò a pensare che
spostare Hermione in quel posto non fosse stata una decisione saggia.
Aveva solamente agito su richiesta di Pansy perché, in
realtà, non aveva voglia di sentire le sue lamentele sul fatto
che non avesse punito una lavoratrice per aver risposto male alla
fidanzata del capo.
“Perché?”
“Harry, ne possiamo riparlare un’altra volta? Giù mi staranno dando per dispersa.”
“Sì, ok, scusa. Come ai vecchi tempi, eh?”
Hermione si concesse un sorrisetto.
“Mai vecchi quanto
te.” – fu la battutina che però non riuscì a
compensare quella del pannolino di Harry. – “Quanto pensi
di impiegarci?”
“Beh, di solito in mezz’ora me la cavo. Gli uffici non hanno particolari problemi.”
“Ok. Allora tra mezz’ora mi faccio trovare qui così ti accompagno di sotto.”
“Con?” – la interrogò lui.
“Harry…” – piagnucolò lei.
“Con?” – insistette il moro e Hermione si vide costretta a cedere.
“Con l’elmetto di
protezione, le scarpe antinfortunistiche, il giubbetto alta
visibilità e gli apparecchi otoprotettori. Posso andare
professore?”
“Dieci e lode! A dopo.”
Fu così che Hermione e
Draco si ritrovarono da soli e prima che l’uomo potesse solamente
pensare di dire qualcosa la ragazza, con un finto sorriso, lo
salutò.
“Beh, buona giornata!” – esclamò, fuggendo a gambe levate.
“Herm…” – niente da fare.
Hermione era già sparita.
La riccia si catapultò
giù per le scale, rischiando di cadere e rompersi l’osso
del collo. Arrivò perfino a guardarsi indietro per accertarsi
che Draco Malfoy non la stesse seguendo.
Sono paranoica, pensò la ragazza.
Controllò l’ora e si appuntò mentalmente di tornare su verso le quattro per prendere in consegna Harry.
Intanto, nei piani alti…
“Perché diavolo non mi hai detto niente?!?” – esclamò Draco, furioso.
Non permetteva a nessuno di mettersi in mezzo tra lui e la sua azienda. Nemmeno alla sua ragazza!
Pansy riuscì a farsi venire gli occhi lucidi. Di solito funzionava…
Draco però non era
dell’umore giusto per farle passare anche questa. Se non fosse
stato per Hermione Granger non sarebbero mai riusciti ad ammorbidire
Harry Potter! Per il sollievo di quanto appena accaduto a Draco
passò per l’anticamera del cervello di mettere Hermione
come suo vice direttore!
“Volevo dimostrarti di essere all’altezza delle tue aspettative!” – fu la teatrale risposta di Pansy.
Ma Draco non riusciva davvero a sbollire la rabbia.
“Sapevi perfettamente che
incontri di quel genere vanno discussi con me, prima! Devo essere
presente a queste visite!”
Fuori, gli altri impiegati, si
erano riuniti per sentire il signor Malfoy dirgliene – finalmente
– otto a quell’incompetente della Parkinson.
Non sapeva fare niente!, se non
interferire e commentare negativamente il lavoro che altri facevano
lì dentro ormai da anni.
Miky aveva avuto proprio ragione a parlare di Karma…
“Ma non l’ho mica fatto apposta!”
Fuori si misero a ridere.
La tipica frase di chi non sapeva più come uscirne fuori.
“Fortuna che c’era Hermione che conosceva Harry Potter, altrimenti…”
“Hermione!?! E da quando la chiami per nome?” – esclamò la donna, in piena scenata di gelosia.
“Da quando l’ho
assunta Pansy!” – sbottò l’altro inferocito.
– “Così come chiamo per nome ogni mio dipendente!
Non aggrapparti a queste stronzate, per favore!”
Fuori, gli impiegati, stavano silenziosamente battendo le mani ed esultando per quella stoccata.
Pansy era sbigottita.
Non le aveva mai risposto in quel modo. E tutto per colpa di Hermione Granfer!
“Draco mi dispiace, va
bene?” – disse, stizzita per quei rimproveri meritati.
– “La prossima volta non accadrà più!”
“Lo spero bene per te. Ora
scusa, ma devo scendere con il signor Potter per capire di
cos’avesse bisogno Hermione.”
Immediatamente il corridoio si svuotò e Pansy aprì la porta l’attimo successivo.
“Fa come credi!”
Si avviò a passo spedito verso il proprio ufficio, per pensare a come farla pagare a quella stronza di magazziniera!
“Roger, io salgo a prendere
Harry.” – disse Hermione, dopo avergli spiegato, con un
sorriso smagliante degno della pubblicità del miglior
dentifricio sulla piazza, cosa fosse successo.
Soprattutto la parte in cui Draco cacciava Pansy da quell’incontro.
“Sì, ti aspetto.”
Mentre Hermione saliva ai piani
alti, Roger sistemò le carte che aveva compilato con
l’aiuto della ragazza e le mise in una cartelletta, da far vedere
a questo Harry.
Hermione salì gli scalini
due a due e quando arrivò nuovamente nel salone capì cosa
volesse dirle suo padre quando le diceva che era peggio di uno
“scaricatore di porto”.
Le imprecazioni che aveva tirato
nel giro di cinque secondi – il tempo di vedere Draco Malfoy
intento a parlottare con Harry – furono il suo personale record.
“Ti prego… non dirmi
che scende anche lui…” – disse, trovando il coraggio
di uscire dal suo nascondiglio.
Cercò di simulare una sicurezza che in realtà non provava e quando Harry la vide, le sorrise.
“Eccoti qua. Allora, vogliamo andare?”
Hermione girò gli occhi su Draco e comprese che sarebbe sceso pure lui.
Io mi licenzio, fu il pensiero di Hermione.
Quando scesero in magazzino Harry trovò una situazione particolarmente disastrata.
Quando Draco vide ciò che stava succedendo, pensò che Harry Potter gli avrebbe fatto chiudere l’azienda.
“Signor Potter, io…”
Ma Hermione lo fermò, anzi. Lasciò che Harry facesse la sua ispezione mentre lei discuteva con Draco.
“Che diavolo è questo
macello?” – chiese Draco, conscio che non poteva
prendersela con lei per un errore di Pansy.
Infatti, Hermione lo guardò storto.
“Guardi, mi ero chiesta la
stessa cosa quando sono arrivata qui.” – fu la frecciatina
che lo fece imbufalire ancora di più.
Aveva avuto una brutta discussione con Pansy e non aveva voglia di stare a sentire anche le battutine di Hermione.
“Comunque, lasci che Harry faccia il suo giro.”
“Se continua a farsi i suoi giri mi farà chiudere l’azienda!” – sibilò.
“No, non le farà
chiudere l’azienda, stia tranquillo.” – disse,
trattandolo alla stregua di un bambino che voleva avere ragione a tutti
i costi.
“Senta…”
– disse Draco, spazientito. – “… non so chi si
creda di essere, ma credo di essere arrivato al limite.” –
disse Draco. – “Dovrebbe imparare a stare un po’ di
più al suo posto. Certe sparate non le accetto, sono stato
chiaro?”
“Ora che ha finito, parlo io.”
Draco era pronto per sputare fiamme.
“Se lei affida incarichi delicati come questi a degli incompetenti, non venga a prendersela con me.”
Fu come se gli avessero dato un
pugno nello stomaco. Intimamente, pensava anche lui che Pansy fosse
un’incompetente di primo livello, ma non aveva mai espresso quel
pensiero a voce alta, per timore di scindere il contratto matrimoniale
che aveva con la donna.
Pansy era figlia di Tolomeo Parkinson, titolare delle Parkinson Industries che producevano yatch di lusso.
“Ma come diavolo osi, ragazzina?”
“Non è forse vero?” – lo sfidò.
E al diavolo la sua carriera. Se
proprio doveva essere licenziata, se ne sarebbe andata levandosi la
soddisfazione di far sapere a quel damerino con che razza di
incompetenti lavorava.
“A chi affido gli incarichi, non è di tua competenza! ” – sbottò, dandole del tu.
Hermione non si scompose.
“Allora non se la prenda con
me se poi le cose non sono al loro posto, per Dio!” –
sbottò. – “Io so solo che Roger non sa niente di
quello che comporta il suo ruolo! Abbiamo passato l’intera
mattinata e il pomeriggio a cercare su Internet i documenti da
presentare all’E.S.L. (Ente per la Sicurezza sul Lavoro) e tutto perché nessuno!…”
– disse, riferendosi volutamente a Pansy. – “…
si è mai preoccupato di fargli sapere cosa dovesse fare! Se
vuole è liberissimo di licenziami, anzi! Le dimissioni gliele do
io, così non dovrà sborsare nemmeno un soldo per me, ma
me ne andrò solo quando saprò che Roger è tutelato
a trecentosessanta gradi! Ora scusi, ma devo andare da Harry!”
Gli voltò le spalle mentre Draco schiumava di rabbia.
Perché le parole di Hermione erano vere.
Odiava quando non poteva avere ragione su qualcosa e questo era quello che succedeva quando non aveva le cose sotto controllo.
“Ehi Harry!”
L’uomo si girò, decisamente sbalestrato.
“Hermione… qui ce
n’è abbastanza per farvi chiudere e impedirvi di riaprire!
Ma che casino è questo?”
“Se te lo dovessi spiegare,
faremmo entrambi la barba. Harry ascolta, era questo l’aiuto di
cui avevo bisogno. Purtroppo si sono dimenticati di avvisare Roger, il
responsabile del magazzino, dei corsi da fare. Io ho cercato su
Internet i moduli per queste cose, ma è tutto un casino. Uno ti
dice una cosa, uno un’altra… sai che non sono abituata a
chiedere favoritismi e comunque non lo faccio per me.” –
specificò. – “Roger è una persona a modo e ti
posso garantire che se gli dai una possibilità non ti
deluderà.”
“Hermione, è contro il regolamento…”
“Lo so Harry e credimi:
l’ultima cosa che voglio è metterti nei pasticci.
Non… non è che potresti far passare questa visita per un
sopralluogo generale? Poi mi dici cosa c’è da fare e io lo
faccio.”
“Hermione…” – esitò Harry, perplesso.
Draco, invece, era sull’orlo di una crisi di nervi.
“… posso darti al
massimo due settimane per sistemare la cosa.” – disse
Harry, serio. – “Credi di farcela?”
“Tranquillo! Dai, andiamo a vedere cosa c’è da fare.”
Quando Draco Malfoy vide Hermione
Granger tornare a braccetto con Harry Potter, pensò che quella
ragazza avesse una sorta di potere magico sulle persone.
Che fosse riuscita a convincere l’ispettore a non farlo chiudere per negligenza?
Fu così che passarono il
pomeriggio Hermione, Harry, Draco e Roger: tutti stipati
nell’ufficio di quest’ultimo, mentre i magazzinieri
osservavano perplessi quello strano raduno.
Hermione si era sistemata al computer, Harry era accanto a lei, mentre Roger e Draco erano più in disparte.
Draco non si capacitava delle
competenze di Hermione. Non c’era niente di tutto questo nel suo
curriculum, perché? Si muoveva a suo agio nell’ambiente
delle scartoffie, interagiva con Harry come se stessero parlando del
prossimo barbecue da fare e non della salvezza della sua azienda.
Cristo!, se suo padre lo avesse saputo lo avrebbe preso a cinghiate!
Vide Harry fornire a Hermione una
serie di indirizzi Internet da tenere nei Preferiti del browser da
consultare, poiché i più aggiornati. In questi siti
c’erano le norme sempre aggiornate, i certificati da compilare e
da spedire per effettuare i vari controlli e una sezione FAQ’s
dove andare in caso di qualche dubbio.
La donna diede, insieme a Harry, la priorità ai lavori più urgenti.
Tutti e quattro finirono alle otto di sera.
Uscirono stremati dall’ufficio, ma felici di aver risolto quel problema.
“… allora mi chiami tu per fissare il prossimo appuntamento?” – le chiese Harry.
La riccia guardò Draco di
striscio. Beh, dopo il loro alterco, dubitava seriamente che avrebbe
lavorato ancora per quell’azienda. Arrossì di botto quando
vide il suo capo annuire, dandole così il consenso di
organizzare quella faccenda.
Non la licenziava, allora?
“Sì, ti chiamo io. Hai cambiato il cellulare per caso?”
“No, sempre quello.” – le confermò.
“Perfetto.”
“Hermione, più cose
riuscirai a fare e meglio sarà per il prossimo controllo.”
– fu la velata minaccia che era indirizzata più a Draco
che alla ragazza.
“Tranquillo.” – lo rassicurò.
“Bene. In tal caso, arrivederci.”
“Ciao Harry e grazie!” – urlò Hermione.
“Sei in debito!”
La riccia rise. Era contenta che Harry non se la fosse presa per quella richiesta di aiuto.
Rimasero Hermione, Roger e Draco.
“Era di questo che dovevate parlarmi ieri sera?” – chiese Draco, duro.
Roger si sentì in colpa per non aver dato subito retta a Hermione.
“Mi dispiace Draco. E’
colpa mia.” – si accusò Roger. –
“Hermione voleva parlartene ieri, ma gliel’ho impedito,
perché credevo che le sue fossero solo parole.”
“Oggi abbiamo rischiato
grosso.” – disse Draco. – “Un’altra volta
e vi ritrovate a piedi con il lavoro. Hermione, quando avrà
finito qui, l’aspetto nel mio ufficio.” – disse Draco.
Entrambi aspettarono che se ne andasse prima di crollare a terra.
“Cazzo che giornata…” – fu l’aulico commento di Hermione.
“Beh, almeno sappiamo cosa c’è da fare. Ma dimmi una cosa… Draco ce l’ha con te?”
“Perché? Si vede tanto?” – chiese.
“Oddio…
abbastanza.” – scherzò l’uomo. –
“Dai, tu vai pure. Finisco io di sistemare qui.”
“Sì, grazie. A domani allora.”
“Ciao Hermione. Grazie di tutto.”
Hermione Granger aveva spedito il
suo curriculum alla Malfoy Home perché ne sentiva parlare in
continuazione. Sui giornali leggeva di come questo o quell’altro
vip avesse rifatto casa con arredamenti esclusivi di
quest’azienda e di come persone comuni, persone che non avevano
questi grandi redditi – persone come lei, insomma –
facessero economia per poter avere qualcosa della Malfoy Home.
Così, un giorno, aveva aperto il suo pc e aveva cercato in rete quest’azienda.
Il sito era stato fatto,
evidentemente, da persone esperte nel settore, perché solo a
vedere la foto della facciata dell’azienda, veniva voglia di
farvi parte, anche come solo addetto delle pulizie.
Aveva spulciato nei vari menu a
tendina, documentandosi sulla sua storia e, per come poteva, sui suoi
proprietari che, in rete, mettevano ovviamente informazioni di dominio
pubblico – di certo, non l’indirizzo di casa.
Con stupore, aveva notato che nel
menu dei Contatti, c’era una sezione dedicata ai bandi di
concorso e lei era incappata proprio in quello dove si cercava una
centralinista e che, se in possesso dei requisiti giusti, avrebbe
potuto avere un avanzamento di carriera.
Incuriosita, spedì il
proprio curriculum all’indirizzo generale e aspettò ben
due settimane prima di essere contattata. A chiamarla, per fissarle un
appuntamento con il signor Malfoy, era stata proprio Michelle.
Si era presentata al colloquio con
il suo abito migliore e armata delle più sincere intenzioni di
poter diventare parte integrante di quel processo così imponente
che portava il nome di Malfoy Home.
A scuola aveva subito dimostrato
una particolare attitudine con le lingue straniere. Durante
l’ultimo anno di scuola, i suoi professori avevano parlato con
lei e con i suoi genitori per indirizzarla verso un istituto di stampo
linguistico. Le veniva naturale e più le lingue erano
complicate, più lei si elettrizzava, mentre vedeva i suoi
compagni demoralizzarsi perché non riuscivano a venire a capo di
quella o quell’altra regola grammaticale.
Così era uscita che
conosceva il tedesco, lo spagnolo, il portoghese, il minimo
indispensabile di arabo e un arrangiato russo.
Aveva impressionato positivamente
il signor Malfoy che, qualsiasi cosa le chiedesse, trovava sempre una
risposta sintetica ma chiara, un requisito che lui giudicava importante.
L’aveva messa a suo agio
perché anche Draco, quando suo padre l’aveva portato per
la prima volta in azienda per mostrargli ciò che un giorno
sarebbe stato suo, era rimasto colpito dalla struttura e dalla
freneticità della vita al suo interno. Si era fatto portare un
paio di caffè, per rendere più piacevole quel colloquio
e, una volta terminato, la liquidò come aveva fatto con gli
altri.
Ma con un particolare in più.
“Bene signorina Granger, è stato un piacere conoscerla.”
“Piacere mio signor Malfoy.”
“In caso fosse la persona giusta per noi le faremo sapere.”
“Certo, la ringrazio.”
“Io comunque aspetterei ad accettare altre proposte di lavoro.”
Così aveva detto e,
infatti, un paio di giorni dopo – il tempo per i suoi tirapiedi
di stilare il contratto di lavoro – Michelle la ricontattò
comunicandole che “La Malfoy Home avrebbe piacere di iniziare un rapporto lavorativo con lei.”
Aveva saltato come una cavalletta per mezz’ora…
Firmò il suo contratto di lavoro come inizio centralinista, vergando il foglio con la sua miglior calligrafia.
Erano due anni che si trovava in quella postazione ma non si era mai lamentata.
Se a rispondere si trovava una
persona educata e preparata era più facile essere invogliati a
richiamare o, addirittura, a passare per fare due chiacchiere con il
titolare e lei così si era mantenuta: professionale, simpatica
entro i limiti del decoro e disponibile nell’aiutare chi la
contattava, a risolvere i loro problemi.
Poi, la svolta.
In peggio.
In qualche modo a lei ancora
sconosciuto, era riuscita a inimicarsi la fidanzata del capo, che non
si risparmiava dal trattarla come una pezza da piedi in qualsiasi
occasione.
Certo, aveva fatto carriera, se
così si poteva definire il suo trasferimento in magazzino ma non
si lamentava. Non lo faceva quasi mai.
Quella veloce carrellata di ricordi ebbe una fine.
Bussò e prima di entrare prese un enorme respiro.
Nel salire le scale per
raggiungere l’ufficio di Draco – non l’aveva mai
visto così tante volte come in quei giorni – Hermione si
disse che avrebbe portato le proprie convinzioni fino alla fine, anche
a costo del posto di lavoro ma si sarebbe scusata per avergli detto di
essere un incapace che non sa scegliersi i collaboratori.
Anche se lo pensava sul serio, avrebbe dovuto tenere per sé quel commento.
“Permesso.” – quando entrò, notò con sollievo che la Parkinson non era presente.
“Si sieda.” – disse Draco, brusco.
Hermione, silenziosa,
obbedì. Lo vide trafficare con alcuni documenti nella sua
cassaforte, chiuderla con gesti secchi e girarsi.
Aspettò il verdetto finale.
“Parliamoci chiaro.”
– esordì Draco, che aveva deciso di puntare sulla linea
dura. – “Un altro commento come quello sulla mia scelta dei
miei collaboratori e la siluro.”
Più chiaro di così.
“Era mia intenzione scusarmi per quello che avevo detto in proposito.” – disse la donna, pacatamente.
Draco sollevò le sopracciglia, in un muto invito ad ampliare le sue scuse.
“Non volevo offenderla in
alcun modo ma… anche se so che non è una giustificazione,
ero molto arrabbiata in quel momento. Le faccio le mie scuse.”
“Scuse accettate.” – concesse Draco, conscio che la rabbia facesse straparlare.
Capitava anche a lui, di tanto in tanto.
“Altro punto.” –
continuò il biondo. – “Prima di prendere iniziative
sul consultare Internet in merito alla Sicurezza sul Lavoro, la
pregherei di rivolgersi alla signorina Parkinson.”
Draco non seppe come riuscì
a trattenersi dal scoppiarle a ridere in faccia. A quelle parole
– bestemmie, a detta di Hermione – la ragazza aveva
sbarrato gli occhi, probabilmente terrorizzata-barra-indignata per
quella proposta-barra-ordine.
“Beh, non si
preoccupi.” – disse Hermione, con le guance chiazzate di
rosso per quella che lei riteneva essere un’umiliazione bella e
buona. – “Non c’è motivo di disturbare la
signorina Parkinson. Ora Roger sa cosa deve fare e…”
“Terzo punto.”
Ma questi fanno mai finire la gente di parlare?, si chiese Hermione, indispettita.
“Come conosce il mondo della
Sicurezza sul Lavoro e perché sul suo curriculum non
c’è scritto niente in merito?”
Inizio a odiare quel cazzo di curriculum!, sbottò Hermione nella propria testa.
Ogni volta che entrava da Malfoy, quello aveva sempre in mano quel dannato pezzo di carta!
“Nel mio precedente
lavoro…” – non specificò quale. –
“… ero stata nominata rappresentante dei lavoratori.”
“E perché non lo ha scritto?”
“Per evitare di trovarmici ancora dentro.” – rispose con ovvietà.
Draco sospirò.
Per due anni aveva avuto sottomano una donna-camaleonte e non se ne era mai accorto!
“Non le piace il lavoro?”
“Troppa burocrazia.” – tagliò corto Hermione.
“La sua preparazione mi farebbe comodo, però.”
Hermione sbarrò gli occhi per la seconda volta e negò con la testa.
“Oh per favore no!” – lo supplicò.
Stavolta Draco non riuscì a
trattenere un sorrisetto divertito. Riprese il controllo su di
sé con un colpo di tosse.
“Mi dia una buona motivazione per non toglierla dal magazzino e affiancarla a Pansy.”
La sola prospettiva le aveva fatto sfrecciare davanti agli occhi la parola “licenziamento in tronco!!!”
“Perché siamo
geneticamente incompatibili.” – confessò, conscia
che quello non era un buon motivo per dire di no alla richiesta di un
datore di lavoro.
“Potreste trovare il modo di andare d’accordo.” – propose Draco.
Non era certamente intenzionato ad affiancare a Pansy, Hermione, non era così idiota.
Voleva solo vedere fin dove la
donna si sarebbe spinta per rifiutare un posto che aveva, certo, molte
responsabilità ma anche un bello stipendio.
“Lo escludo.” – disse Hermione, convinta.
“Potrei obbligarla.”
“Potrei licenziami.” – disse Hermione, che non sapeva più che pesci pigliare.
Draco la studiò attentamente. Non aveva mai conosciuto una dipendente ostinata come lei.
“Davvero lei rinuncerebbe a
un avanzamento di carriera e a un buon stipendio per delle
incomprensioni?” – le chiese, quasi divertito.
Se le rispondeva di sì, avrebbe pagato da bere a un intero bar!
Hermione sollevò un sopracciglio scettica.
“Parla come se il magazzino
fosse il gabinetto dell’inferno.” – si trattenne dal
dire “cesso”.
“Non mi dica che le piace uscire la sera tutta sporca.”
“La casa in cui vivo ha la doccia incorporata, grazie.” – frecciò, stizzita.
“Non lo metto in dubbio ma…”
“Signor Malfoy, mi scusi… si può sapere perché mi ha fatta chiamare?”
Vero.
Stavano divagando.
Peccato: si stava divertendo.
“Giusto. Magari vorrà andare a casa a lavarsi.”
Hermione fece per rispondergli ma all’ultimo si accorse che quella del signor Malfoy era stata una semplice battuta.
“Niente, quello che avevo da dirle gliel’ho già detto.”
Hermione aveva il sedere a mezz’aria quando…
“Ma…”
E te pareva, disse rimettendo le chiappe sulla sedia.
“… per quanto discutibili siano state le sue parole di oggi, è giusto che io la ringrazi.”
Questa me la segno, pensò Hermione.
“Perchè?” – chiese, non riuscendo a trovare il motivo per cui lui dovesse ringraziarla.
“Per aver convinto il signor Potter a non farci chiudere.”
“Infatti, io non l’ho
convinto. Ho solo ottenuto che il controllo di oggi non venisse
verbalizzato e ho… Roger ha avuto due settimane di proroga per
mettersi in pari con le carte e i corsi.”
“Lei tiene molto a Roger, ho visto.”
“So che qui dentro è
un’istituzione.” – scherzò Hermione. –
“E’ una brava persona e mi dispiacerebbe vederlo nei
pasticci.”
“Per colpa di Pansy.” – aggiunse Draco, serio.
“Io non l’ho detto.” – rispose pronta, Hermione.
No, quella volta non avrebbe ceduto.
“Ma l’ha pensato.”
“Forse…”
– disse, permettendosi di sorridere divertita e dandogli a
intendere che sì, l’aveva davvero pensato. –
“Ma è stato lei a dirlo.” – si difese, alzando
le mani in segno di finta resa.
“Touché.”
“Posso andare?”
“Sì certo. Buona serata Hermione.”
“A lei signor Malfoy.”
Calli-corner:
Benvenute alla fine.
Come vi ho promesso, Hermione
è un peperoncino, che non accetta di essere rimproverata per
nulla. Si è sfogata per bene con Draco, rifacendosi un po’
della mala risposta che Pansy le aveva dato quel mattino
sull’educazione che i suoi genitori non le avevano insegnato.
Ricorderete che nel predente “calli-corner” ho detto che Draco non delega niente a nessuno.
A nessuno, che non sia Pansy.
Tenete sempre presente, comunque,
che di fronte a una “patata” l’uomo perde il lume
della ragione e fa ciò che la seconda testa gli suggerisce.
Non ho particolari cose da
spiegare, ma naturalmente se voi avete delle domande da farmi, potrete
chiedere e io risponderò.
Spoiler!
“Posso parlare apertamente?” – chiese lei, trucidandolo con gli occhi.
“Perché?
Fino a oggi cos’hai fatto?” – chiese, pesantemente
ironico e riferendosi a tutte le volte che lei, con educata ironia, gli
diceva le cose in faccia.
“Ce l’ha ancora con me per come ho risposto alla sua fidanzata?”
Vediamo che mi rispondi, stronzo…
“Sinceramente?”
“Se possibile…” – chiese lei con finta pazienza.
“Ebbene sì.”
Besitos!
callistas
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Capitolo 4 *** Mettiamoci al lavoro! ***
03 - Mettiamoci al lavoro
Fosse per me salterei tutti
questi capitoli e andrei dritta al sodo ma, si sa, che callistas
è un gran bel pezzo di… stronza e MAI!!! farà una
cosa simile.
*se la tira.*
Detto ciò, andiamo avanti.
Nel precedente capitolo, Draco ha
ragionato con la seconda testa che gli è stata data in
dotazione, ma non temete, balde fanciulle: anche Draco tornerà a
ragionare con la testa che ha sulle spalle, ma solo mooooooolto
più avanti…
Vi aspetto alla fine del capitolo, che ho un paio di cosette da spiegarvi…
Un bacio,
callistas.
“Malfoy Home buon giorno,
sono Michelle. Posso aiutarla?” – la momentanea sostituta
di Hermione sorrise. – “No, Hermione non è ancora
arrivata, posso aiutarla io? Sì, certo, glielo passo subito.
Devon?, ti passo Koster, ciao. Oh, Hermione! Buon…
giorno…” – la salutò Michelle, sconcertata
per l’abbigliamento.
L’unica spiegazione possibile era che avesse le allucinazioni da Lunedì.
“Ciao Miky, buon giorno!”
“Ma… come sei
vestita?” – chiese la centralinista che, ancora incredula,
si era alzata addirittura in piedi per guardare meglio il suo vestiario.
“Nuove mansioni.”
– rispose Hermione con un sorriso tranquillo. – “Da
oggi fino a nuovo ordine sarò in magazzino. Anzi scusa, ma devo
scappare. Ci vediamo!” – disse Hermione, salutando la
collega come se le avesse detto che aveva vinto alla lotteria.
“Cia-ciao…” – disse Miky, sconcertata.
Poi il telefono suonò.
“Malfoy Home…”
Hermione, quel lunedì otto
settembre, si presentò al suo nuovo lavoro in una comoda tuta da
ginnastica corredata di scarpe, ovviamente, da ginnastica. Per la prima
volta si sentì veramente se stessa. Non disdegnava di certo
vestirsi in modo elegante, ma lei era come un camaleonte: cambiava in
base all’ambiente in cui veniva posta.
E quel giorno, Hermione, era in un ambiente decisamente a lei più congeniale.
Era come tornare a casa.
“Josh?”
“Sì? Posso aiut… Hermione?!”
La ragazza rise divertita dalla
faccia di uno dei magazzinieri addetti allo scarico con il quale,
quando scendeva in magazzino, scambiava quattro chiacchiere.
“Che… tu… in
tuta… oh, ma che hai combinato?” – chiese, riuscendo
a fare una frase dal senso completo.
“Per un po’
starò con voi ad aiutarvi. Sai dov’è Roger?”
– chiese, allungando il collo in cerca del responsabile del
magazzino.
“Sta nella solita baracca.” – rispose Josh, indicando il famoso punto di ritrovo con il pollice.
“Ok grazie.”
“Hermione?”
La ragazza si girò. Era seria.
Il tempo dei giochi era finito.
“Va tutto bene?”
Gli sorrise.
“Tutto bene.” – confermò.
Poi si diresse da Roger.
“Roger?”
Un uomo che aveva ridato un nuovo
significato alla frase “armadio a due ante” si girò
sulla sedia e sorrise, mezzo divertito, mezzo impacciato verso Hermione.
“Ciao Hermione. Ho sentito la notizia.” – disse, riferendosi al fatto che era stata trasferita in magazzino.
“Visto che salto di qualità?” – chiese la ragazza, facendo ridere l’uomo.
“Dai entra.”
Hermione entrò nell’ufficio e chiuse la porta.
Discussero fittamente, mentre chi
era riuscito a farsi scucire da Josh quelle poche informazioni sul
perché Hermione fosse in magazzino, e non al centralino, e
vestita con una tuta, anziché con quei completini che facevano
girare parecchie teste, si ritrovava a fissarla, nella speranza di
riuscire a leggere almeno il labiale.
Poi uscirono tutti e due e si diressero dagli altri.
“Ragazzi, lei è
Hermione, quella nuova.” – disse Roger con una mano sulla
sua spalla, presentandola ai magazzinieri che ancora non la conoscevano.
“Ciao Hermione…” – salutarono gli altri.
“Ciao!”
“Viene dai piani alti e deve imparare questo lavoro. Aiutiamola, ok?”
I commenti di certi furono
alquanto scocciati perché oltre al loro lavoro dovevano star
dietro ad una ragazzina che non sapeva come funzionava il mondo
“vero”.
Hermione li aveva sentiti
perfettamente e non aveva commentato, perché era certa che una
volta dimostrata tutta la sua buona volontà e abilità nel
gestire un magazzino si sarebbe guadagnata anche il loro rispetto.
Una volta che il capo magazziniere rimase da solo con Hermione, le fece sentire tutto il suo sostegno.
“Non abbatterti…
è che il lavoro quaggiù è molto duro. Ci sono
ritardi frequenti e questo porta ad altri ritardi nel lavoro ed
è una cosa che li irrita molto. Tu stammi dietro i primi tempi,
ok?”
“Sì, certo…”
Come prima cosa, Roger Smith
mostrò alla nuova arrivata il programma per l’emissione
delle fatture, dei documenti di trasporto, la contabilizzazione e il
carico/scarico delle merci.
Hermione pensò che quel
programma dovesse avere il monopolio di qualsiasi magazzino del paese,
perché anche a casa suo padre aveva scelto quel software per la
gestione della contabilità.
“Non è complicato come hai potuto notare, ma serve tempo per ingranare e imparare a memoria i codici.”
“Ho una buona memoria…” – disse lei, facendo sorridere il capo magazziniere.
“E’ questo lo spirito giusto, ragazza!”
“Amen, fratello!” – scherzò lei, alzando una mano e chiudendo gli occhi come se stesse pregando.
Roger rise di gusto.
“Coraggio, vieni con me. Ora
ti mostro come funziona lo scarico…” – ma non fece
in tempo a finire la frase che il portatile suonò. –
“Pronto? Sì, sono io… COSAAAA?!?!?” –
sbraitò lui, facendo ammutolire tutti.
Hermione che era accanto a lui, saltò come un petardo e cacciò un urlo per lo spavento.
Roger poteva essere anche un
armadio a due ante ma Hermione non l’aveva mai sentito urlare o
arrabbiarsi. Ci rimase davvero male…
Quelli accanto a lei risero di
quel suo guizzo di spavento. Ogni tanto anche loro però
saltavano spaventati, perché Roger, la maggior parte delle
volte, riusciva a risolvere pacificamente i problemi.
Quello al telefono doveva essere sicuramente Frank della HadroSped.
In molti si chiedevano
perché il signor Malfoy non si decidesse a cambiarlo una volta
per tutte: erano più i ritardi che non le consegne puntuali!
“NON PUOI FARCI QUESTO! NON
MI INTERESSA SE HAI UN’UNGHIA INCARNITA! MI SERVE QUELLA ROBA!
SONO GIA’… senti…” – disse a bassa
voce, cercando di controllarsi. – “… ho bisogno di
quella roba. Adesso!”
Hermione lo ascoltò
esterrefatta. Non avrebbe mai immaginato che la voce dolce di Roger
potesse trasformarsi in un ruggito feroce.
“Ti sei spaventata?” – chiese un ragazzo dell’età di Hermione.
“Come? Oh no, tranquillo…” – disse, tornando a guardare incuriosita il fenomeno “Roger”.
“Io sono Evan, piacere.”
“Hermione.” –
rispose la ragazza, stringendogli la mano. – “Ma con chi ce
l’ha Roger?” – chiese Hermione infine.
“Frank, un nostro
trasportatore.” – spiegò. – “Ci da
sempre problemi. Arriva in ritardo con le consegne e ci causa problemi
con i piani alti. Noi abbiamo fatto presente questa storia, ma ci hanno
liquidato con un “non è esoso.” E ora siamo di nuovo
nella merda ops!, scusa…” – disse il ragazzo
imbarazzato.
“No, tranquillo…” – disse lei con serietà.
Guardò Roger, infervorato come non mai e decise di aiutarlo.
“Roger, lascia…” – disse Hermione, prendendogli il cordless.
Il capo magazziniere la guardò allibito.
“Hermione, non sai come…”
“Tu sei Frank?”
“Chi è?”
“Il tuo peggior incubo se non ti presenti qua tra mezz’ora.” – sentenziò lei dura.
Tutti si erano fermati e quella parte di magazzino si zittì.
“Senti, ragazzina… ho altro da fare che…”
“Sicuramente ti ritroverai
altro da fare una volta che sarai arrivato da noi, perché ti
giuro che se non ti presenti qua entro il tempo che ti ho dato, dovrai
rimanertene a casa per molto tempo. E non per un’unghia
incarnita, mi sono spiegata?”
“Che fai, minacci?” – chiese l’altro, quasi divertito.
“No, dispenso consigli. Frank? Tra mezz’ora. Qui.”
“Mi fa male…”
“Vediamo… che ne direbbe il direttore se sapesse che ogni minuto gli costi £ 1.500,00?”
“Scusa?” – chiese l’autista, credendo di aver capito male.
“Ma che credi? Che il ritardo nelle consegne non comporti costi aggiuntivi?” – lo sbeffeggiò lei.
“Ma…” – Frank aveva iniziato a perdere tutta la sua sicurezza.
Parlava seriamente o lo stava
prendendo in giro solo per avere la merce in orario? E se fosse stata
solo una presa in giro?, o peggio!… e se fosse stata la
verità, cos’avrebbe fatto il suo capo? Lo avrebbe
licenziato in tronco!
Chi si era fermato ad ascoltare la
conversazione, Roger incluso, non poté non rimanere sorpreso di
fronte al caratterino di Hermione. Nessuno aveva mai avuto a che fare
con lei; sapevano solo che era una persona simpatica e che trattava
loro e il loro lavoro con il rispetto che meritava: vederla trattare
con fermezza con quel trasportatore e dare con una precisione quasi
studiata il costo di quei ritardi aveva lasciato parecchie bocche
aperte.
“Informati…”
– continuò Hermione spedita come un panzer. –
“Ogni tuo minuto di ritardo costa al direttore la cifra che ti ho
detto. Moltiplicala i minuti di ritardo e fammi sapere se sei disposto
a rimetterceli. A causa tua i camion ritardano, le navi ritardano, le
consegne ritardano… io inizierei a farmi due conti o a cambiare
direttamente lavoro. Tra venti minuti qui!”
“Ma… avevi detto mezz’ora!” – disse lui, terrorizzato alla prospettiva di dover mettere di tasca sua tutti quei soldi.
“Va che il tempo passa sai?
MUOVI IL CULO!” – e gli chiuse in faccia la comunicazione,
rendendo così ancora più veritiere le sue minacce mentre
tutto il magazzino la guardava con gli occhi fuori dalle orbite.
Riconsegnò il cordless a Roger che lo guardò come se non
fosse più il suo. – “Visto? Con le buone maniere si
ottiene sempre tutto.” – disse lei con un sorriso. –
“Coraggio… tra venti minuti sarà qui e dobbiamo far
posto al camion.” – disse Hermione, dirigendosi verso
l’ingresso gli scarichi.
“Ma… come fai ad esserne sicura?” – chiese Roger ancora sbalordito.
“Istinto femminile.” – disse lei, con una scrollata di spalle.
Tutto il magazzino si
bloccò, allibito, anche chi della conversazione di Hermione non
aveva sentito niente: c’era solo la sorpresa comune di vedere
arrivare Frank della HadroSped in perfetto orario.
L’autista non solo era
arrivato in un quarto d’ora, ma ora vedevano Hermione aprire la
saracinesca del camion come se l’avesse sempre fatto e iniziare a
tirar fuori le scatole.
“CATENA DI MONTAGGIO!” – urlò Hermione per farsi sentire.
Automaticamente tutti gli addetti
allo scarico si misero in fila. Hermione passava una scatola al primo,
che poi la passava a quello dietro di lui, che passava la merce
all’altro… e così via finché non venne
impilata ordinatamente in fondo al magazzino, affinché non
intralciasse le normali manovre.
In tanti si chiesero come mai una ragazza esile e minuta come Hermione riuscisse a compiere lavori pesanti come quello.
La risposta arrivò in pausa pranzo.
Il magazzino aveva una sala mensa
personale, per evitare che lo sporco che si trascinavano addosso
– polvere, l’unto di certe scatole… – potesse
sporcare gli altri ambienti.
Hermione pensò immediatamente che quella fosse una forma di razzismo bella e buona.
Insomma… erano esseri umani
anche loro!, che si lavavano le mani e si cambiavano i vestiti per
mangiare! Ma cosa credevano? Che fossero dei porci, ineducati a stare
in mezzo alle altre persone?
“Mio padre ha una ditta di trasporti.” – spiegò la ragazza.
Aveva preso posto tra gli uomini del magazzino e stava tranquillamente mangiando con loro.
Vari “aaahhh” di comprensione si levarono dal lungo tavolo. Adesso tante cose si spiegavano!
“Di che genere?” – chiese uno interessato.
Era uno dei tanti che aveva
sbuffato quando Hermione era arrivata lì da loro, ma che si era
ricreduto quando aveva visto che la ragazza non si faceva problemi a
lavorare.
“Beh, trasporti in
generale…” – disse Hermione, con un’alzata di
spalle. – “…alimentari, traslochi… un
po’ di tutto.” – disse, addentando la sua pasta.
Quando Roger le aveva spiegato
come funzionavano le cose, ovvero che i magazzinieri non salivano nella
mensa degli amministrativi per non “sporcare”, c’era
rimasta parecchio male.
Credeva che il frigo che si
trovava nel suo ufficio fosse per le bibite ma quando aveva visto che
ne uscivano vari contenitori con dentro quello che sembrava un vero e
proprio pranzo, non ci aveva capito più niente. Così i
suoi colleghi divisero il loro cibo per quella volta, certi che
Hermione non fosse una persona che si approfittava della gentilezza
degli altri.
Li aveva ringraziati per mezz’ora.
“Ah… è per questo che sei abituata a sollevare pesi?” – chiese Roger.
Hermione annuì, con un pezzo di panino in bocca.
“Sì. Quand’ero
piccola andavo in ufficio dopo la scuola e mi mettevo a giocare su una
scrivania, facendo finta di essere la segretaria…”
Tutti si misero a ridere.
“… poi, crescendo, la
scuola ha iniziato a organizzare vari stage presso alcune aziende per
introdurre gli studenti al mondo del lavoro e io mi sono infilata in
quella di mio papà.”
“Sempre come segretaria?” – chiese Evan.
“Per carità,
no!” – sbottò lei, come se avesse appena
bestemmiato. – “Il lavoro d’ufficio lo odio. Sono
più portata a trattare con i fornitori e i ritardatari.”
– disse lei, ridendo e contagiando gli altri, che ricordarono
perfettamente il modo in cui Hermione fece arrivare Frank addirittura
in anticipo. – “Però ho comunque imparato il lavoro
amministrativo e le leggi che ci stanno dietro.” – Hermione
bevve un goccio di coca e poi si alzò per gettare via il tutto
nel cestino.
“Preferisci il lavoro duro a quello d’ufficio?” – chiese un altro ragazzo.
“Diciamo che piuttosto che
avere a che fare con delle colleghe schizzinose, preferisco i
magazzinieri. I miei non sono persone raffinate, nel senso che sono
semplici lavoratori. Si sono fatti il culo una vita intera, lavorando
dalla mattina alla sera e non stanno a guardare se quando vai in
ufficio hai le scarpe col tacco o le infradito. Per loro è
certamente importante il decoro sul posto di lavoro, ma guardano
soprattutto che tu sappia farlo bene e con coscienza. Gli atteggiamenti
di certe persone che lavorano qui…” – disse,
indicando con l’indice i piani alti. – “… non
avrebbero vita lunga con i miei. E nemmeno con me.”
“Un tipo alla buona!” – disse un signore, poco distante.
“Sì! Preferisco alla grande lavorare con persone che non si scandalizzano a parlare come mangiano.”
“Sei la prima donna che sento parlare così.” – disse Roger.
Hermione sorrise. Grazie
all’educazione che le avevano impartito i suoi genitori, non si
faceva problemi con nessun tipo di lavoro. Fin tanto che si trattava di
un impiego onesto, la ragazza non avrebbe obiettato su niente, nemmeno
se ci fosse stato da lavare i gabinetti.
Sua madre e suo padre le avevano
insegnato a impegnarsi sul lavoro, di rendere sempre al massimo e,
soprattutto, di essere umile.
Una dote assai rara per chi, invece, ha sempre avuto la pappa pronta.
Era solo la prima giornata, ma sembrava che il lavoro si fosse alleggerito.
Grazie alle sue abilità
oratorie (minacce e insulti vari…), Hermione era riuscita a far
arrivare in orario, se non addirittura in anticipo, dei ritardatari
cronici come Frank. Si vedeva che la ragazza aveva polso e non si
faceva mettere i piedi in testa nemmeno da qualcuno che era il doppio
di lei.
A fine giornata, tutte le consegne
furono fatte e gli scarichi effettuati. Avrebbero dovuto solamente
preparare tutti i documenti necessari per accompagnare la merce al
luogo di destinazione e poi sarebbe tutto finito.
Tra le classiche virgolette, poiché il giorno successivo sarebbe iniziato tutto d’accapo.
“Ci vediamo domani!” – salutò Hermione, calorosamente.
“Hermione, aspetta!” – la chiamò Roger.
“Dimmi.”
“Senti, a fine giornata il signor Malfoy scende per controllare che tutto sia in ordine…”
Hermione alzò gli occhi al
cielo. Non aveva voglia di rivedere la sua faccia da “fighetto
con la pappa sempre pronta.”
“… so che magari sarai stanca, ma è la prassi. Vuole essere informato su quello che succede.”
“Beh, mi sembra
giusto.” – commentò Hermione, che comunque aveva
apprezzato quel lato del carattere del signor Malfoy. –
“Quando arriva?”
“Tra dieci minuti. Lo aspetti con me?”
“Non puoi arrangiarti tu?” – chiese piagnucolando.
“Dai, dai… su! Forza e coraggio!”
“E santa pazienza,
più che altro…” – disse Hermione, appoggiando
il proprio marsupio sul tavolo in attesa del boss.
Intanto che aspettavano, misero a
posto tutti di documenti arrivati con la merce che avevano scaricato e
li avevano impilati in base al loro arrivo, così il mattino
successivo avrebbero potuto iniziare con l’emissione dei D.D.T..
“Buona sera, Roger.” – disse una voce profonda.
Una voce che Hermione aveva da poco imparato a detestare.
“Buona sera Draco.” – salutò Roger in un moto di profonda confidenza.
“Signorina Granger… vedo che è ancora qui.”
Allora non ti serve l’oculista, genio…
“Sì. Roger mi ha chiesto di aspettare il suo arrivo.” – disse la ragazza con un sorriso cordiale.
Draco annuì.
“Roger, com’è
andata oggi? Ritardatari?” – chiese, studiando le varie
carte che troneggiavano sulla scrivania.
Hermione sentì un brivido
freddo correrle giù lungo la schiena. Aveva paura che il signor
Malfoy mettesse in disordine quelle carte ma, con un sospiro di
sollievo notò che le aveva rimesse dove e come le aveva trovate.
“Nemmeno mezzo!” – esclamò il capo magazziniere orgoglioso di quella giornata.
Draco stava analizzando dei documenti, alzò lo sguardo come se avesse capito male.
“Come?”
“Nessun ritardo, Draco. Ed è tutto merito di Hermione.”
Draco spostò lo sguardo
perplesso dal suo capo magazziniere alla ragazza. Come poteva una
ragazzina minuta come lei aver fatto tutto questo in una sola giornata
di lavoro?
Hermione, invece, aveva sperato che Roger se ne stesse buono e che non la chiamasse in causa. Speranza vana…
“E cosa c’entra la signorina Granger?”
Hermione lo osservò e le
mancò poco per scoppiargli a ridere in faccia. La figura di
Draco faceva a pugni con tutto il contesto: un damerino impagliato nel
suo preziosissimo abito firmato in un magazzino dove l’unto
regnava sovrano.
Si trattenne…
“Ha esortato i fornitori ad arrivare.”
“Non vedo cosa vi sia di diverso da quello che fai tu tutti i giorni.” – stabilì Draco.
“Io sbraito e urlo, ma
Hermione con calma olimpica li ha fatti arrivare addirittura in orario!
È stata fenomenale!”
E Draco notò il tono di confidenza tra i due.
“Vedo che hai già
fatto amicizia con la signorina Granger. Ti ho proprio mandato
giù un valido supporto, allora.” – disse Draco,
guardando la ragazza con aria di sfida.
Che lei contraccambiò.
“E’ un’ottima
lavoratrice e non si lamenta mai. Un’utopia!” –
esclamò Roger che non aveva captato l’ironia nel tono di
voce del suo titolare.
Un sopracciglio inarcato
indicò che Draco non si aspettava di certo un risvolto simile.
Hermione? Un’instancabile lavoratrice?
“Roger, forse il signor
Malfoy ha dell’altro da fare…” – alias
“Roger muoviti che io ho altro da fare!”
“Oh, sì,
scusa.” – disse, rivolto al titolare. –
“Dunque, oggi è arrivato tutto il materiale che avevi
ordinato. È tutto laggiù.” – disse Roger,
indicando il fondo del magazzino, tappezzato di scatoloni più o
meno grossi. – “Domani non sono previsti tanti arrivi,
così avremo tutto il tempo per emettere i D.D.T. e far partire
la merce.”
Ci fu un attimo di silenzio.
Oh ma che devi fare? Ti spicci? Sono stanca!, pensò Hermione, esasperata.
Puzzava e l’unica cosa che voleva era la doccia di casa sua.
“Sono stupito del risultato. È la prima volta che scendo in magazzino e trovo tutto in ordine.”
Roger gongolò dentro di sé per l’orgoglio.
Hermione gongolò dentro di sé per la soddisfazione.
Non dici nient’altro?, pensò la ragazza, cercando di non sorridere spudoratamente in faccia al damerino.
“Mi fa piacere. Hai altro da dirmi?”
“No, Roger… puoi andare.”
Hermione tirò un sospiro di
sollievo. Finalmente la tortura era finita. Andò a prendere il
proprio marsupio, ma non aveva recepito bene la frase di Draco.
“Signorina Granger, può rimanere un attimo?”
Tutto l’entusiasmo di Hermione svanì all’istante.
E te pareva…, pensò la ragazza che, prima di girarsi, alzò gli occhi al cielo.
“Mi dica.”
Con la coda dell’occhio vide Roger andarsene e lo invidiò.
Quando Draco udì la porta chiudersi, poté parlare.
“Un ottimo lavoro, davvero. Sono sorpreso.” – ammise.
E lo era davvero.
Non gli capitava tutti i giorni di
avere a che fare con una ragazza che si adattava – come
d’altronde lei stessa aveva ammesso solo la sera prima – a
qualsiasi tipo di lavoro.
“La ringrazio.”
“Si sente stanca?” – disse Draco, stuzzicandola.
“Affatto…”
– disse lei, anche se pensava l’esatto opposto. Mai e poi
mai gliel’avrebbe data vinta! – “… sono
abituata a questo tipo di lavori, io.” – disse, marcando per bene il pronome.
Draco non sapeva bene se infastidirsi per quella continua sfacciataggine o trovarla perfino… divertente.
“Quindi non avrà nulla da obiettare se la destino qui, per il momento.”
Fa quel che vuoi, basta che mi lasci andare a casa. Ho una fame bestia che mangerei anche te!, pensò la riccia.
“Come le ho già detto
non è mia abitudine discutere una decisione aziendale. Se lei
ritiene che io sia più adatta a questo compito, non
obietterò.” – rispose cortesemente Hermione.
“In questo caso si ritenga momentaneamente distaccata qui in magazzino.”
Hermione annuì.
“Va bene.”
“Buona serata, allora.”
“Buona serata a lei, signor Malfoy.”
Hermione lo seguì con lo sguardo, finché non uscì dal magazzino.
Era la prima volta che una
dipendente lo sfidava in quel modo. Normalmente avrebbe licenziato in
tronco il povero malcapitato, ma a frenarlo era stato il fatto che lei
fosse una donna e che avesse fatto seguire alle sue parole dei concreti
fatti.
Dopo quanto visto, sospettò che la signorina Granger non si sarebbe lamentata neanche se avesse deciso di metterla a lavare i gabinetti degli autisti.
Interessante… pensò
il presidente della Malfoy Home. Si è tagliata le unghie,
pensò con un sorrisetto divertito.
Una volta giunta a casa, Hermione tirò un sospiro di sollievo.
Lilly la guardò come per
dire “com’è che sei così in ritardo? Io devo
fare la pipì!”. Hermione rise di fronte alla faccia
“sbigottita” del cane e le fece una carezza veloce.
“Qualcuno deve fare la pipì?” – chiese Hermione retoricamente.
Quando Lilly individuò la
parola chiave della frase di Hermione, iniziò a saltare come una
cavalletta sulle zampine posteriori. Con non poca difficoltà,
Hermione le mise il guinzaglio e la portò fuori.
“Allora? L’hai
licenziata?” – fu la prima cosa che Pansy chiese a Draco
quando mise piede nel suo appartamento.
“Purtroppo non posso, amore.” – disse Draco, versandosi una generosa quantità di barboun nel bicchiere.
“Ma… perché?” – chiese Pansy, quasi oltraggiata.
“Non c’erano i presupposti adatti per poterlo fare.”
Avrebbe voluto dire “purtroppo”, ma all’ultimo non l’aveva fatto.
Quella ragazza gli aveva dimostrato forza di volontà, una qualità rara da trovare nei suoi collaboratori.
“Perché? Cosa avrebbe dovuto fare?” – chiese, fingendo disinteresse.
“Beh… come minimo
avrei dovuto beccarla a rubare documenti, inoltrarli alla concorrenza,
rubare dalla cassa…” – elencò.
“E allora cos’hai fatto?”
“L’ho sbattuta in magazzino.”
Per una veloce, fugace frazione di secondo, Draco si chiese per quale motivo avesse usato proprio quel verbo.
Di certo non poteva negare che la signorina Granger fosse una ragazza carina, ma da lì a rovinarsi la reputazione con una dipendente ne passava di acqua sotto i ponti!
Pansy aprì la bocca, mentre un accenno di sorriso le imbrattò il volto.
“Cosa?”
Draco le versò del vino bianco nel calice.
“Ma ho l’impressione
che se anche la mettessi a pulire i bagni non si lamenterebbe. Ha forza
di volontà, quella ragazza…” –
constatò lui, leggermente assorto, mentre il profumo del liquore
gli arrivava al cervello.
“Si direbbe quasi che
l’ammiri per questo.” – disse lei, notando il tono
quasi rispettoso che Draco aveva usato per descrivere quella stronzetta
che l’aveva insultata.
Ecco una cosa tipica di Pansy: ingigantire le cose fino all’assurdo.
“Non dirmi che la futura signora Malfoy è gelosa di una magazziniera…” – ironizzò lui.
Pansy voltò di lato la testa con fare stizzito, segno che ci aveva preso alla grande. Com’era solito fare.
“Affatto!” – sentenziò lei.
Draco le voltò il viso con l’indice e la baciò.
“Come potrei mai innamorarmi di una ragazza così rozza e maleducata?”
Pansy sorrise rincuorata e ringraziò Draco con una sana sessione di sesso.
“Ecco… ora premi F1
per la conferma e in automatico esce la stampa del documento.”
– disse Roger a Hermione.
“Ah… ’na
scemenza!” – esclamò lei, che in mezz’ora
aveva imparato a gestire il programma dei documenti di trasporto.
Si differenziava da quello che
usava suo padre in pochi e sciocchi comandi. Li aveva imparati quasi
subito. Dopotutto, erano anni che non gestiva un programma di
contabilità per un magazzino.
“Sei tu che sei brava!”
A Hermione sembrava di sentire suo padre e si commosse.
“Ehi… che ti prende?” – chiese Roger leggermente imbarazzato.
“No, niente… è che mi hai ricordato mio padre… anche lui me lo diceva sempre…”
“Ti manca?”
“Tanto… sono tre mesi che non lo vedo.”
“Figliola… forse una capatina da lui dovresti farla, non credi?”
“Sai che ti dico? Hai proprio ragione!” – esclamò Hermione, come se non ci avesse mai pensato.
Roger sorrise e l’attimo dopo Hermione era già al lavoro con altri documenti.
Man mano che i trasportatori
arrivavano, Hermione li faceva accomodare nel suo ufficio e preparava
loro i D.D.T. al momento e poi glieli faceva firmare.
Altro punto su cui Draco non transigeva.
Il Documento Di Trasporto doveva
essere emesso nel momento in cui il trasportatore arrivava ed essere
firmato: così si aveva l’ora esatta della partenza del
camion e si poteva fare una stima del tempo impiegato per raggiungere
la destinazione prevista, calcolando la rapidità del corriere.
Era un peccato, perché si
potevano emettere i documenti senza l’ora e apporla a mano nel
momento in cui il trasportatore doveva partire.
Comunque a Hermione questa
procedura non pesava, anzi. Era diventata particolarmente veloce con i
tasti e i corrieri non dovevano aspettare troppo tempo.
Era appena un giorno che si trovava in magazzino ma la confidenza con la quale trattava i colleghi e la solerzia
che impiegava nelle chiamate con i fornitori ritardatari davano
l’impressione che Hermione avesse lavorato sempre laggiù,
in quell’ambiente.
Si stava ancora ambientando e nei
momenti di buco andava in giro per il magazzino, chiedendo informazioni
su come funzionasse un settore o sul perché preferivano agire in
un modo piuttosto che nell’altro.
Era curiosa come una scimmia.
Un aspetto che il personale del
magazzino apprezzava di Hermione era che lei non era la classica ultima
arrivata che pretendeva di saperne più degli altri: accettava i
consigli e i suggerimenti dei colleghi e a sua volta faceva
osservazioni che avevano come unico scopo il miglioramento e
l’ottimizzazione del lavoro in magazzino.
“Ciao Hermione, buona serata!”
“Ciao! A domani!” – salutò la ragazza, mentre sistemava le proprie cose nel marsupio.
“Allora…” – disse la voce di Roger. – “… come ti sembra?”
“Oh, a me tutto bene.” – rispose la riccia.
“Non è un lavoro proprio adatto a una donna…” – disse Roger, sperando di non averla offesa.
“Perché?
Finché è onesto, mi possono mettere anche a lavare i
cessi, per quello che mi riguarda.”
“Mi sa che dopo di te, hanno buttato via lo stampino.” – fu il commento di Roger.
“E meno male!” –
esclamò l’altra. – “Non credere che sia
così santa, Roger… anche se sembra di no, ho dei difetti
pure io.” – scherzò Hermione, conquistando la risata
dell’uomo.
Hermione si unì a lui.
“E chissà quali sono
questi difetti.” – disse la voce di Draco, entrato di
soppiatto proprio in quel momento.
Le risa di Hermione si spensero
immediatamente e, senza essere vista, alzò gli occhi al cielo,
una cosa che, in quei due giorni, le capitava un po’ troppo
spesso.
“Draco! Non ti avevo sentito arrivare.” – disse Roger.
“Buona sera.” – glissò l’uomo.
“Buona sera.” – salutarono i due.
“Oggi com’è
andata?” – poi guardò Hermione con un sorriso che
lei ricambiò con un sopracciglio sollevato.
E quel tentativo di fraternizzazione cos’era?
“Hermione ha fatto di nuovo qualche miracolo?”
Ah, ecco la presa per il culo, pensò la riccia.
“A parte il fatto che
Hermione stessa è un miracolo…” – la
elogiò Roger con una serenità tale da far arrossire la
ragazza per l’imbarazzo del complimento e lasciando Draco con
l’amaro in bocca, perché sembrava che con quella ragazza
non riuscisse mai a spuntarla. – “… ma oggi non
c’è stato niente di diverso da ieri. Pochi ritardi o
comunque giustificati dal fatto che in fondo alla città stanno
facendo dei lavori che hanno bloccato un po’ il traffico.”
– spiegò Roger, che riportò parola per parola i
racconti degli autisti.
“Capisco.” – disse Draco. – “Le consegne?”
“Tutto bene.”
Hermione guardò Roger con
un sopracciglio sollevato, per esortarlo a dirgli ciò di cui
avevano parlato solo quel pomeriggio. Roger, invece, scosse la testa,
approfittando di un momento in cui Draco non lo potesse vedere, per non
chiedere spiegazioni di quel loro atteggiamento da cospiratori.
La riccia, invece, poco propensa a
lasciar correre una faccenda come quella, iniziò a prendere a
gomitate l’uomo che, però, continuò a perseverare
nel suo mutismo.
Draco colse un movimento e quando si girò, i due si bloccarono di scatto.
Per un attimo, il titolare pensò di essere tornato alle elementari…
“C’è qualcosa che dovete dirmi?” – indagò.
“No.”
“Sì.”
Dissero contemporaneamente.
Roger guardò Hermione con disapprovazione. Era la prima occhiata “malevola” che le dedicava.
Draco, accortosi di quella strana tensione, continuò a indagare.
“Roger?”
“Ma nulla, Draco…” – minimizzò l’altro.
“Sei sicuro?”
“Certo.”
Hermione, invece, sbuffava come una locomotiva.
“Perché allora Hermione mi sembra un po’ contraria?” – ironizzò.
“Il suo è eccesso di zelo.”
Hermione fece per dire qualcosa ma
si zittì quando Roger le mise una mano sulla spalla. Aveva gli
occhi lucidi per la frustrazione.
Draco ne rimase perplesso ma non indagò oltre.
“D’accordo. Allora ci vediamo domani, buona serata.”
“A domani Draco.” – salutò Roger per entrambi.
“Seee ciao…” – bofonchiò Hermione.
Quando si girò vide il volto serio di Roger.
“Hai anche il coraggio di guardarmi male?” – chiese la ragazza, semi oltraggiata.
“Hermione, la gestione del magazzino non è una tua competenza.”
La riccia immaginò che
Roger avesse paura che lei, in qualche modo, lo surclassasse nei suoi
compiti: un desiderio alquanto lontano dai suoi pensieri.
“Ma chi la vuole!”
– esclamò la donna. – “Sto solo dicendo che
hai sbagliato a non dirgli niente!”
Roger si diresse nel suo ufficetto e Hermione gli andò dietro.
“Le corde sono usurate ormai!”
“Hermione sono anni che
dirigo questo magazzino. Se permetti ne so più di te.”
– s’inalberò l’uomo.
Hermione, però, che aveva dalla sua una gran testa di c… ariete, non demorse.
“Davvero? Allora sai che se succede qualcosa, dopo Draco Malfoy vai tu nella merda?”
Roger continuò a raccattare
le proprie cose, sordo alle parole di Hermione che, vuoi per la
stanchezza, vuoi perché non credeva che il collega fosse
più testardo di lei, vuoi che aveva una fame e voleva solo
andare a casa, iniziò a sbuffare come un treno a vapore.
“Ma non dire cazzate… non è mai successo niente!”
“E ringrazia Dio per
questo!” – esclamò con veemenza. – “Se
domani salta fuori un controllo fanno chiudere l’azienda!”
Roger si girò, perplesso.
A preoccuparlo era stato il fatto
che Hermione avesse parlato di “controllo” e
“chiusura aziendale” come se ne sapesse qualcosa.
Uno strano disagio gli
serrò la bocca dello stomaco. Hermione, notando il suo
turbamento rincarò la dose. Se insisteva in quel modo, non era
per ottenere la direzione del magazzino – il solo fatto di dover
aspettare Malfoy e parlarci tutte le sere era un ottimo motivo per non
volerla – ma perché non voleva che Roger potesse
rimetterci.
“Ma sai cos’hai
accettato quando ti hanno nominato Responsabile del Magazzino?”
– le dispiaceva vedere Roger mortificato, ma lo faceva solo per
il suo bene.
Lì dentro era una specie di
istituzione perché era entrato a lavorare in quell’azienda
da quando Lucius Malfoy aveva assunto la direzione e vederlo rischiare
per una disattenzione la faceva inorridire.
“Questo
attestato…” – disse, indicando il quadretto appeso
al muro. – “… dimostra che se succede qualcosa qui
dentro, dopo il titolare, tu sei il diretto responsabile. Ci sono multe
che a volte superano pure le 10.000,00 £, per non parlare della
responsabilità a livello penale. Puoi finire in prigione! Roger,
scusa… ma mi pare che tu stia cadendo dalle nuvole!”
– esclamò Hermione, vedendo il pallore del collega.
Il poveretto era sbiancato, tanto da doversi sedere sulla sedia.
Lui… lui non sapeva quelle
cose! Da dov’erano spuntate fuori? Perché quando era stato
scelto per quel ruolo, nessuno lo aveva informato di quali rischi
andava incontro?
E Hermione? Come faceva Hermione a sapere tutte quelle cose?
“Io… io non ne sapevo niente…” – biascicò l’uomo.
Hermione lo guardò con tanto d’occhi.
“Come niente?!? Tu devi saperle per forza!”
Roger si passò la mano sul volto, stravolto.
“Roger…”
“Non lo sapevo, va
bene?” – urlò, spaventato da ciò che sarebbe
potuto accadere. – “Nessuno mi aveva detto niente quando
sono stato assunto!”
Hermione si leccò le labbra.
“Roger… quando
quest’azienda è stata aperta, non c’erano tutti i
controlli che ci sono oggi.” – spiegò pazientemente
la ragazza. – “La tua responsabilità era un ruolo
che doveva esserci, così hanno messo te. Ma i tempi sono
cambiati; i continui incidenti nelle aziende hanno portato gli enti
preposti a fare dei controlli sempre più frequentemente, sempre
a sorpresa e a cambiare le leggi che regolamentano la sicurezza sul
lavoro. Per quanto mi riguarda, anche secondo me le corde per il
sollevamento delle casse sono ancora in buono stato perché so
con quanta cura le tenete ma questo agli ispettori non interessa. Le
corde, per legge, vanno cambiate ogni tre mesi, quattro proprio per
tirarla per le lunghe! Se domani venisse fuori un controllo, credi che
l’ispettore di turno si accontenterebbe di un “io non lo
sapevo”? Roger, purtroppo la legge non ammette ignoranza.”
“Cosa devo fare?” – chiese l’uomo, abbandonando ogni forma di ostilità.
“Ti devi aggiornare sui
controlli periodici da fare, verificare le masse a terra, controllare
che i magazzinieri abbiano gli elmetti, le scarpe di protezione e tutto
quello che occorre per girare in un luogo dove, oltre agli esseri
umani, ci sono anche dei camion.”
Roger impallidì sempre di
più. Tutte quelle cose erano da fare? Era certo che se avesse
chiesto ai suoi ragazzi di indossare tutte le protezioni, lo avrebbero
mandato a quel paese in un secondo!
“Io davvero non
capisco…” – disse Hermione, perplessa. –
“… ci sono dei corsi appositi da fare, gli aggiornamenti e
sono tutte cose che passano o dal centralino o arrivano direttamente ai
piani alti.”
“Io non ho mai ricevuto
niente!” – si giustificò Roger. –
“Nessuno mi ha mai parlato dei corsi di aggiornamento!”
Hermione sospirò.
Per fortuna che era finita in magazzino, almeno poteva aiutare Roger a sistemare quella patata bollente!
“Dai, adesso va a casa e riposati. Domani sera quando vedremo il signor Malfoy gliene parleremo.”
“Io…” –
conscio che non poteva fare granché in quel momento, Roger
annuì stancamente e sembrò invecchiato improvvisamente di
dieci anni. – “… sì, certo.”
Hermione sospirò,
sinceramente dispiaciuta per come aveva aggredito Roger –
erroneamente ritenendolo un menefreghista in ambito di sicurezza sul
lavoro – e per avergli messo sulle spalle una preoccupazione in
più.
Già il lavoro di per sé era impegnativo, figurarsi se poi ci si metteva anche la burocrazia!
Era anche per quel motivo che aveva lasciato l’azienda di famiglia.
A lei piaceva stare con i
trasportatori e parecchie volte saltava il lavoro d’ufficio per
andare a fare le consegne con loro – solo in questo modo aveva
imparato a orientarsi per strada e a imparare il codice stradale per
quando dovette studiare per prendere la patente – e suo padre la
sgridava perché l’amministrazione rimaneva indietro,
così come quei fastidiosi controlli da fare sulle
apparecchiature presenti in azienda.
“Mi dispiace per prima…” – ammise la ragazza, con gli occhi lucidi.
In un certo senso, era come se
avesse aggredito suo padre e che il lampo di umiliazione professionale
che aveva scorto negli occhi di Roger lo avesse visto in quelli di suo
padre.
“No, no…”
– la rassicurò l’uomo, mettendole una mano sulla
spalla ma, quella volta, con fare paterno. – “… hai
fatto bene, anzi. Se non fosse stato per te, avrei continuato a vivere
nell’ignoranza e magari mi sarei ritrovato nei casini.”
Gli fu grata per quelle parole ma
di certo non mitigava quel senso di malessere che si era scatenato in
lei quando aveva visto un omone come Roger rimpicciolirsi di fronte a
lei.
“Dai, va a casa e dormici su. Da domani ti do una mano a sistemare questa cosa, ok?”
“Ti posso adottare?” – chiese Roger, stemperando quella tensione che si era creata tra loro.
Hermione sorrise.
“No grazie. Di papà ne ho uno e tanto mi basta.”
Calli-corner:
Ed eccoci qua.
Iniziamo a intravedere come Draco
non riesce a spuntarla con Hermione. La ragazza, provenendo dalla
campagna, per così dire, conosce il significato della parola
“lavoro” e ne dà dimostrazione al biondino.
I suoi pensieri, sono quelli che
farebbe qualsiasi persona che si vede inizialmente discriminata, se mi
passate il termine, perché la si è giudicata dalle
apparenze.
O, almeno, è quello che
pensavo io quando il mio vecchio titolare credeva che mi sarei messa a
frignare dopo nemmeno cinque minuti di lavoro. Non vi dico la
soddisfazione nel vederlo mangiarsi le unghie dei piedi…
Comunque!
In questo capitolo Hermione, oltre
ad essere una lavoratrice fisica, nel senso che non si fa problemi a
sollevare scatole più pesanti di lei, sa star dietro anche
all’amministrazione e introduce Roger nel pericoloso e
labirintico mondo della Sicurezza sul Lavoro.
Di cui, tra l’altro, pure io faccio parte.
È un gran brutto lavoro,
più che altro pieno di leggi, leggine, codici e codicilli che
nemmeno in tre vite uno potrebbe imparare. A chi viene nominato
Responsabile dei Lavoratori per la Sicurezza (dicasi R.L.S.) viene
fatto seguire un corso paccoso, partendo dai primi anni del novecento
fino a oggi ma ve lo posso riassumere in quest’unico punto:
Il Datore di Lavoro è l’unico responsabile.
Ovvero se succede qualcosa va nelle rogne lui.
In questo capitolo, invece, ho
ingigantito un po’ la cosa. Come avrete notato, Draco è un
maniaco del controllo e tutte le sere scende per vedere come sono
andate le consegne e le spedizioni quindi è logico pensare che
non delega nessuno per sgravarlo da certi compiti.
Se non ricordo male (oh, ragazzi!,
mi avevano bombardato di informazioni, eh?), se un Datore di Lavoro
delega un collaboratore a seguire certe pratiche e gli concede di avere
la firma anche sui conti correnti, allora anche questo collaboratore
può venire perseguito penalmente, e civilmente in alcuni casi, e
finire nella cacchina insieme al Datore di Lavoro.
Questo non è il caso di Roger.
Come ho detto, ho voluto
ingigantire la cosa, perché grazie alla sua conoscenza sul mondo
della sicurezza sul lavoro, Hermione continuerà a inimicarsi
Pansy e a dar vita a una serie di cose che la porterà a…
sì, e pensate che ve lo dica?!?
E qui concludo.
Non vorrei annoiarvi troppo con tutte queste tecnicità, se la parola esiste…
Vi lascio lo spoiler!
“Mi dispiace signorina Parkinson, ma la visita era prevista per oggi.”
Hermione si girò di scatto, credendo di avere le allucinazioni uditive.
“Scusa…”
– disse distrattamente a Miky che non poté chiederle nulla
perché il centralino prese a suonare.
Si
avvicinò lentamente ai tre, notando come i toni si stessero via
via riscaldando. Ma non si scaldarono mai come il suo cuore quando vide
che uno dei tre era…
“Harry?!?”
“… e ho ricevuto una… sì?”
L’uomo
di nome Harry si girò verso la voce che lo aveva chiamato e
rimase dapprima perplesso, poi sbigottito di fronte a…
“Hermione?!?”
Draco Malfoy e
Pansy Parkinson si girarono di scatto e sbarrarono gli occhi quando
videro Hermione correre incontro a quell’Harry e saltargli
letteralmente addosso.
Oh-ooohh…
E adesso?
Besitos!
callistas.
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Capitolo 5 *** Promozione ? ***
05 - Promozione (?)
Uelllcam bek signori e signore!
Prima di iniziare, vorrei
ringraziare i miei fedelissimi per aver recensito la storia. Siete voi
che mi fate alzare al mattino…
… e anche la consapevolezza che se non mi alzo per andare al lavoro, non si tirano i soldi…
Ma suvvia!
Non siamo venali!
Dunque, l’altra volta
Hermione ne ha dette un treno a Draco, salvo poi rendersi conto di aver
esagerato. Con umiltà e di propria spontanea volontà gli
ha chiesto scusa, senza che Draco avanzasse richieste in merito.
Già qui avrebbe dovuto
capire con che persona ha a che fare, ma naturalmente Testa-Che-Penzola
ha avuto la sua parte in merito.
Nel precedente spoiler non ho lasciato molto spazio all’immaginazione.
Farò di meglio in questo. ^-^
Ma non temete: Hermione è fedele al motto “Barcollo ma non mollo”.
Un bacione e buona lettura.
Callistas
Era certa che fosse successo qualcosa quella sera nell’ufficio di Draco.
Da chiarire: nessuna alchimia,
nessuno scoppio di cuoricini, nessuna freccia di Cupido… era
solo un datore di lavoro che aveva imparato che non tutti i dipendenti
sono disposti a rinunciare a ciò in cui credono solo per non
andare nei pasticci o peggio, essere licenziati.
Hermione questo gli aveva dimostrato.
Gli aveva salvato l’azienda
e questo a suo intero discapito: aveva difeso Roger a spada tratta,
esponendosi in prima linea e parlandogli come nemmeno suo padre avrebbe
mai fatto.
Era una personalità viva,
accesa, quella di Hermione, di quelle che erano difficili da trovare;
era una persona che, se coltivata con pazienza, avrebbe potuto
diventare davvero molto importante per la sua azienda.
Purtroppo c’era la questione Pansy.
La sua futura moglie non aveva
ancora digerito il fatto di essere stata rimproverata per non avergli
detto niente dell’incontro con il signor Potter e per essere
stata surclassata da una magazziniera.
Di tanto in tanto gli lanciava il
sassolino per testare la sua reazione. All’inizio aveva lasciato
correre, ma ora la cosa stava decisamente uscendo dai binari. Aveva
cercato, dapprima con le buone, di tenerla calma ma non appena Pansy
vedeva i capelli di un colore simile a quello di Hermione o sentiva una
voce simile alla sua, impazziva e ricominciava a stressarlo.
Era certo che da un momento all’altro sarebbe scoppiato.
Facendo in modo che nessuno la
vedesse e assicurandosi che nessuno aprisse bocca, Hermione aveva
continuato ad aiutare Roger con la questione della sicurezza sugli
ambienti del lavoro. Fingendo di riposarsi qualche minuto
nell’ufficio del collega, la ragazza studiava i fogli che Roger
aveva compilato, segnando in rosso cosa dovesse essere corretto e,
accanto, la dicitura esatta da utilizzare.
Poi usciva e tornava al lavoro,
poi si riposava nell’ufficio di Roger e continuava a correggergli
i compiti e così via.
Nelle due settimane promesse a
Harry, aveva aiutato Roger a mettersi in pari con tutto e quel giorno,
l’amico controllore sarebbe tornato per verificare che tutto
fosse stato messo in regola o che, almeno, vi fossero le basi
perché ciò avvenisse.
Era giovedì venticinque Settembre e Harry Potter era da poco arrivato in azienda.
“Buon giorno.”
“Buon giorno a lei.” – salutò Michelle. – “Posso aiutarla?”
“Sì, grazie. Ho
appuntamento con il signor Malfoy e la signorina Granger per
un’ispezione aziendale. Sono Harry Potter.”
“Permetta: li avviso subito.”
Con un sorriso, Harry ringraziò e si allontanò dal centralino per non sembrare troppo invadente.
“Arrivano tra poco.” – lo informò. – “Posso offrirle un caffè mentre aspetta?”
“Io…”
“Ciao Harry!”
“Hermione!”
“Miky grazie, glielo faccio io il caffè.”
“D’accordo.”
“Come stai?” – s’informò la ragazza.
“Bene e tu?”
“Bene, dai. Ti confesso che è stata una settimana d’inferno.” – disse, a bassa voce.
Quando Hermione aveva chiamato
Harry per fissare quell’appuntamento, l’uomo era riuscito a
farsi dire perché fosse finita in magazzino e perché
dovesse mantenere il silenzio sul fatto che a compilare le carte e a
gestire quella situazione fosse stata lei e non il signor Roger Smith.
Quando aveva ascoltato tutta la
storia, era rimasto a bocca aperta ma le aveva promesso di non far
parola con nessuno, men che meno con Draco Malfoy.
“Immagino. Tuo padre come sta?”
“Bene. E’ sempre impegnato con il lavoro… sai com’è fatto.”
“Sì, me lo ricordo.”
Risero.
“Bene, vedo che la signorina
Granger l’ha già accolta. Buon giorno signor
Potter.” – salutò Draco con un sorriso e una stretta
di mano.
“Signor Malfoy, lieto di rivederla. Allora, vogliamo andare?”
“Sì, certo. Prego.”
Hermione fece per andargli dietro
ma si sentì fermata da una stretta d’acciaio. Si
girò perplessa verso Draco.
“Siamo a posto con tutto, vero?”
“Perché lo chiede a me?”
Draco la guardò male e lei arrossì.
“Ho le mie buone ragioni. Allora?”
“Sì, Roger ha sistemato tutto.” – chiarì Hermione, dando il merito al collega.
In quelle due settimane di carte e
scartoffie varie, Roger aveva imposto a tutti i magazzinieri,
l’utilizzo di quegli accorgimenti per la sicurezza del
lavoratore: giubbetto alta visibilità, casco, scarpe
antinfortunistica… all’inizio tutti c’erano rimasti
male perché non erano abituati a mettere tutte quelle cose che,
di tanto in tanto, anziché aiutare, impacciavano i movimenti ma
si dovettero adeguare, volenti o nolenti.
Harry fece il suo controllo di
routine e si compiacque nel vedere che la mano di Hermione era visibile
ovunque. C’erano solo alcuni piccoli accorgimenti da sistemare ma
nulla che potesse pregiudicare l’azienda.
Controllò anche le pratiche
cartacee e vide con piacere che il signor Smith si era iscritto a tutti
i corsi necessari e che gli avvisi agli enti di controllo erano stati
inoltrati nella data prevista da Harry.
“Molto bene.” –
disse il moro. – “A parte alcune irrilevanti piccolezze,
è tutto a posto.”
“Mi fa piacere sentirglielo
dire.” – disse Draco, che aveva ripreso i trent’anni
di vita che aveva perso due settimane prima.
“Oggi compilerò il verbale e lo manderò alla signorina Parkinson.”
“Lo mandi anche a me.”
– disse Draco di slancio. – “Così almeno
evitiamo gli episodi spiacevoli dell’altra volta.”
“Sì, certo. Naturalmente.”
Harry si fece lasciare l’indirizzo di Draco e poi poté tornare ai propri giri.
“Signori, è stato un piacere.” – disse Harry. – “Arrivederci.”
“Arrivederci signor Potter.” – lo salutò Draco.
“Ciao Harry!” – lo salutò Hermione.
Rimasero solo Draco e Hermione.
“Beh, è andata bene, no?” – disse Hermione.
“Sì, molto. Sicura che non devi dirmi niente?” – chiese Draco, scegliendo di dare del tu a Hermione.
“Del tipo?” – chiese lei, che iniziò a sentirsi leggermente sotto pressione.
“Non lo so…”
– disse lui, fintamente evasivo. – “Magari che quando
andavi a riposarti nell’ufficio di Roger gli correggevi le
pratiche?”
Hermione arrossì di botto.
“Questa è violazione della privacy!” – sbottò lei.
“Non ti ho mica seguita in
bagno! Eri in una mia proprietà ed io in quanto datore di lavoro
ho il compito di verificare che i miei dipendenti non ozino
troppo.”
Hermione si sentì presa in castagna. E adesso? Che gli diceva?
Per una volta Zecca-Parkinson fu provvidenziale.
“Draco?”
I due si girarono e Hermione,
felice per averla scampata, lo salutò con un raggiante sorriso
dando a intendergli che, sì, aveva aiutato Roger, ma che aveva
anche perso l’occasione per farsi fare una confessione in piena
regola.
“Arrivederci!” – trillò allegra, mentre correva verso le scale per tornare in magazzino.
Draco volle seguirla per farsi dare quella dannata confessione ma Pansy lo bloccò.
“Draco?”
“Sì?”
“Era il signor Potter, quello?” – chiese, mentre guardava un suv nero allontanarsi dal parcheggio.
“Sì, era lui.” – disse Draco, dirigendosi verso il proprio ufficio.
Con Pansy alle calcagna.
“E cosa faceva qui?”
“E’ venuto a fare un
secondo controllo. Ci aveva dato due settimane di tempo per rimetterci
in pari e oggi ha verificato che tutto fosse a posto.”
L’attimo successivo Draco ebbe voglia di tagliarsi la lingua. Perché diavolo si stava giustificando con lei?
“Oh! E immagino grazie a Hermione!” – sputò acida.
“No, a Roger.” –
disse Draco, scegliendo istintivamente di non rivelare il
coinvolgimento di Hermione o non ne sarebbe più venuto fuori.
“Roger Smith?” – esclamò, quasi schifata. – “E’ impossibile!”
Draco si fermò e la guardò male.
“Perché scusa?”
“Quello non saprebbe
distinguere un cavallo da un asino!” – esclamò,
dandogli esplicitamente dell’idiota.
No.
Quello non poteva accettarlo.
Non poteva tollerare che qualcuno
insultasse bellamente Roger, quando a lui doveva la sua conoscenza di
ciò che avveniva in magazzino.
Quando, da piccolo, suo padre lo
conduceva con sé in azienda, Draco riusciva sempre a trovare il
modo di sgattaiolare in magazzino perché nei piani alti
c’era tanta monotonia e i grandi parlavano troppo e troppo
complicato mentre in magazzino c’era azione, c’era la vita vera!, e si divertiva come un matto a sentire le imprecazioni dei lavoratori…
A Roger doveva molto come, per
esempio, il fatto di imparare a trattare con le persone, che non era
trattandole da schiavi che si otteneva il loro rispetto – ma la
paura – ma con la ferma gentilezza.
Insegnamenti che, purtroppo, con il tempo e le sempre più enormi responsabilità, aveva dimenticato…
Nonostante tutto erano ancora lì e non permetteva a nessuno, tanto meno alla sua fidanzata, di spargere merda su di lui.
“Attenta a come parli di Roger, Pansy.”
La moretta sentì un brivido di freddo colarle giù per la schiena.
“Scusa!” – gracchiò Pansy, sinceramente impaurita dal tono e dallo sguardo di Draco.
Draco non insistette oltre.
Erano passate ormai tre settimane
da quando Hermione era stata confinata in magazzino, ma la ragazza
sembrava non averne ricusato. Certo, i primi giorni erano stati quelli
più duri perché non era più abituata a spostare
scatole, ma si era messa abilmente in pari già dalla seconda
settimana, dove la ragazza notò decisamente un miglioramento e
un minor affaticamento nel corpo.
Roger era ogni giorno sempre
più soddisfatto di lei. Stentava ancora a credere che una
ragazza non si facesse problemi a trascorrere tutta la giornata a
caricare e scaricare scatole pesanti da un posto all’altro, senza
contare il fatto che era l’unica donna in mezzo ad un gruppo di
ragazzi che avevano più o meno la sua età.
I primi giorni ci avevano provato
con lei, ma Hermione aveva sempre declinato le varie offerte.
C’era anche chi aveva cominciato a ronzarle un po’ troppo
insistentemente intorno, ma, con diplomazia, lo rimetteva al proprio
posto.
E poi non era una alla quale piaceva mischiare il privato con il lavoro.
Si era guadagnata il rispetto di
tutti, con il sudore e l’impegno e ora era considerata una di
loro. Anche chi l’aveva in qualche modo ostacolata, senza mai
dare troppo nell’occhio, aveva dovuto ricredersi e accettarla per
quello che era: una ragazza che metteva impegno nel proprio lavoro.
Ogni tanto, il “big boss” scendeva in magazzino per controllare com’era la situazione.
Non entrava mai in quel luogo ma
si fermava sempre dietro delle vetrate che permettevano a lui di vedere
cosa stava succedendo, ma non ai dipendenti di vedere lui. In quel
modo, i magazzinieri erano sempre in allerta per il timore che Draco si
trovasse dietro quella vetrata e potesse far loro il cosiddetto
“cicchetto”.
A volte si perdeva a osservare Hermione e un sorriso gli increspava le labbra.
Non gli seccava ammetterlo: gli
seccava il fatto di non averci pensato prima. Doveva ammettere che da
quando quella ragazza era stata spostata in magazzino, le consegne
erano sempre più puntuali, a volte addirittura in anticipo. Un
giorno aveva ascoltato per puro caso una conversazione con un
fornitore: era rimasto a dir poco allucinato dal linguaggio che quella
ragazza usava. Non erano parolacce, ma semplici dati di fatto,
statistiche e calcoli che Hermione faceva a lato della conversazione
stessa. Da come parlava, sembrava che ne capisse realmente di
amministrazione e sembrava veramente portata per quel lavoro.
Ma era portata anche per fare la magazziniera.
Un piccolo dubbio aleggiò
nella sua mente: lui, che non aveva mai avuto un’indecisione in
vita sua, ora si stava ponendo delle domande sul futuro di quella
ragazza che, a prima vista, non sembrava possedere particolari doti.
Lo aveva sfidato, è vero,
ma oltre alle parole lei aveva messo anche i fatti. E poi Draco aveva
messo quasi in dimenticatoio il motivo per il quale Hermione si trovava
in magazzino. L’impegno e la dedizione di Hermione lo avevano
fatto ricredere.
E poi la sua politica e quella di
suo padre prima di lui era molto semplice: se un dipendente mostrava
particolari capacità che potessero far crescere ulteriormente
l’azienda, allora lui ne avrebbe ammesso la bravura e lo avrebbe
promosso.
C’erano però casi in
cui il meritevole di turno mostrava un po’ troppa faccia tosta,
osando pensare di saperne addirittura più di lui, che in quel
mondo ci era nato e cresciuto. Solo in quei casi silurava il
malcapitato ma con la signorina Granger… era davvero un altro
paio di maniche.
Il dubbio che aveva Draco era se
lasciare Hermione in magazzino, e continuare ad avere le consegne in
orario, o metterla in un ufficio amministrativo per incrementare
l’andamento aziendale.
E poi… c’era anche la sua fidanzata.
Doveva accontentare anche lei.
Per un attimo si era visto pentito di aver assunto Pansy lì dentro.
Ora capiva perché suo padre
insisteva tanto su quel punto: era solo una seccatura e tante volte
Draco si ritrovava a dover giustificare con lei le sue decisioni, una
cosa che, quando se ne rendeva conto, lo mandava in paranoia.
Così, decise che Hermione sarebbe rimasta in magazzino.
Ma si sarebbe dovuta occupare anche delle pratiche amministrative.
Era un carico di lavoro non
indifferente, perché oltre a stancare il fisico con il lavoro
manuale del deposito, avrebbe stancato anche la mente con quello
amministrativo. Poteva essere una wonder-woman in incognito ma era
conscio che non avrebbe retto a lungo e quando quel momento sarebbe
giunto, lui si sarebbe piazzato davanti a lei, ormai stremata sulla sua
scrivania per la mole di lavoro assurdo, e le avrebbe ricordato che a giocare con il fuoco si rischia di bruciarsi.
Ma una fastidiosa corrente di
disagio stava iniziando a muoversi dentro di lui e lo stava mettendo in
guardia sul fatto che se stava agendo in quel modo era solo per Pansy e
non per l’azienda.
Scacciò infastidito quel
pensiero, soprattutto quando gli venivano alla mente i momenti
trascorsi in compagnia della riccia, dove aveva trovato in lei una
piacevole conversatrice, ma soprattutto… un’inarrestabile
Bocca della Verità.
Decisamente, quella di inserire Pansy nel suo organico non era stata una decisione saggia…
“Finalmente anche questa
giornata è andata…” – disse Roger. –
“Oggi è venuto il mondo!”
Hermione sorrise. Roger era seduto su una sedia e si asciugava il sudore con il fazzoletto.
“Non mi dirai che sei stanco, vero?” – chiese Hermione, mentre finiva di archiviare i documenti di trasporto.
In verità pure lei era stanca morta.
“Ti pare?” – chiese evidentemente ironico.
“No, no…”
– ironizzò lei. – “Comunque oggi è
stata veramente una giornata pesante…” – ammise lei,
sedendosi vicino al capo magazziniere.
Effettivamente, loro come
magazzinieri iniziavano alle sette e trenta del mattino e finivano alle
sette di sera, mentre gli orari di ufficio erano otto – diciotto:
un orario più umano.
“Sei stanca di questo lavoro?” – chiese lui.
“Assolutamente no!”
– ammise lei. – “L’unica cosa che mi scoccia
è che so star dietro anche all’amministrazione… e
mi piacerebbe farmi notare anche per questo. Lo trovi presuntuoso da
parte mia?” – chiese Hermione, leggermente mortificata.
“Assolutamente!”
– disse Roger, negando. – “Avere delle competenze
è una buona cosa. Prendi me, per esempio: ho solo la licenza
media perché i miei non hanno potuto permettersi di mandarmi a
scuola e posso fare solo questo genere di lavoro. Certo, la paga
è buona, ma la sera arrivo a casa che sono stanco e non posso
stare con mia moglie come vorrei…” – ammise lui con
una vena di amarezza nella voce.
“Scusami…”
“Per cosa? Non è
colpa tua, anzi. Tu che puoi, non lasciare che un semplice battibecco
ti rovini la carriera.”
Hermione lo guardò. Era
d’accordo con lui, ma se fosse andata a lavorare come segretaria
avrebbe dovuto dire addio ai ragazzi del magazzino e si era affezionata
troppo a loro.
“Mi manchereste troppo…” – ammise lei, infine.
“Guarda che non scappiamo mica! Siamo sempre qua!”
Hermione sorrise. Parlare con
Roger era come parlare con suo padre: sembrava che si mettessero
d’accordo su quello che lei voleva sentirsi dire.
“Oh… Draco, buona sera.” – disse Roger, alzandosi con non poca fatica.
“Sta pure seduto, Roger. Mostro io al signor Malfoy quello che abbiamo fatto oggi.”
Roger guardò il direttore che annuì.
“Venga con me.”
Draco seguì Hermione nello
stanzino e lei gli mostrò, spiegandogli per filo e per segno,
quello che era successo in quella giornata.
“Nessun ritardo. C’è stato solo un imprevisto per una consegna.”
“Cioè?”
“Il trasportatore ci ha
consegnato un’intera fornitura di piani tutti macchiati. Non so
di cosa, sembrava che avessero trattati con la candeggina.”
“Por…” – Draco si trattenne a stento.
“Ho già chiamato il
fornitore. Domani organizzerà una spedizione straordinaria a suo
carico che dovrebbe arrivare domani pomeriggio. Ritardiamo solo di un
giorno.” – disse Hermione che, però, in quel momento
si accorse di essersi presa una libertà che forse spettava al
direttore.
E si scusò.
“M-mi scusi…” – ammise, sinceramente dispiaciuta.
Draco la studiò perplesso.
“… avrei dovuto
chiederle il permesso prima…” – disse, stavolta
veramente imbarazzata per aver commesso un errore così banale.
Però lei era fatta
così: se c’era un problema, lo risolveva subito. Non amava
dover aspettare i comodi degli altri se aveva il potere di risolverlo
da sola e nell’immediato.
Quella volta, però, Draco
non avvertì quel senso di potenza che provava quando Pansy gli
chiedeva il permesso di fare qualcosa, no. Era diverso e non sapeva
spiegarsi il perché.
Forse perché la ragazza
aveva visto che c’era un problema e l’aveva risolto da
sola? Perché non voleva dar a vedere di essere una che non
sapeva come gestire una situazione critica?
Non seppe darsi una risposta.
“No, non ti scusare, hai
fatto bene. Se mi avessi aspettato, avremmo forse ritardato ancora di
più le consegne.”
Hermione lo guardò come si guarda una bestia rara.
Sbagliava… o le aveva detto di aver svolto un buon lavoro?
Meglio che mi lavi le orecchie con
l’acido per sciogliere il cerume la prossima volta…,
pensò la ragazza allibita.
“G-grazie…”
– disse, balbettando. – “… ehm… per il
resto tutto a posto. Non ci sono stati problemi.”
“Molto bene. Puoi passare dal mio ufficio, prima di andar via?”
“Sì, certo.”
Senza aspettarla, il signor Malfoy
si avviò verso il proprio ufficio mentre Hermione e Roger
spensero tutte le luci e chiusero a chiave la porta del magazzino.
“Ciao Roger, ci vediamo domani.” – disse Hermione con un sorriso.
“Ciao! A domani!”
Hermione entrò in ascensore e si fece i soliti quattro piani per andare dal capo.
Era particolarmente agitata. In
fondo… cosa poteva giustificare la sua presenza
nell’ufficio del signor Malfoy? Dalla visita di Harry sembrava
che il rapporto tra loro due fosse migliorato!
TOC TOC
“Avanti…” – disse una voce ovattata.
E Hermione entrò.
L’ufficio era avvolto dalla
penombra. Sembrava di essere in un film della malavita, mancavano solo
le guardie del corpo con in mano un mitra e il sorriso beffardo sul
volto di Draco.
Fortunatamente, le guardie non c’erano, nemmeno i mitra e neppure l’agghiacciante sorriso.
“Permesso…” – disse lei timidamente.
“Accomodati.”
E Hermione obbedì.
“Grazie.”
“Immagino ti starai chiedendo il perché di questa convocazione.”
“Effettivamente…
guardi che se è per la libertà che mi sono presa, le
garantisco che non succederà più. Ho solo pensato
che…”
“Non è per quello. Te l’ho già detto…” – precisò Draco.
Più andava avanti con il
discorso, più Draco sentiva che quella strana sensazione alla
bocca dello stomaco poteva essere catalogata sotto la voce “senso
di colpa”.
Anche se la sua parte razionale
non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, la sua parte inconscia
sapeva che quello che stava per fare alla ragazza era sbagliato, e che
lo stava facendo solo perché lo aveva stabilito prima.
Prima che Hermione gli dimostrasse le sue capacità nelle situazioni critiche.
E la faccia sempre più confusa di Hermione non faceva che aumentare il suo senso di disagio.
Scosse la testa, facendo ondeggiare i capelli e sembrò che quel piccolo gesto avesse scacciato via quel malessere.
“Ho preso una decisione nei tuoi confronti, Hermione.”
Hermione era diventata rossa e non
se ne sapeva spiegare il motivo. Che ce l’avesse ancora con lei
per come aveva risposto a Pansy? Ma no, dai… era impossibile!
Era passato quasi un mese, ormai!
“Cioè?” – chiese titubante.
“Le tue capacità amministrative mi hanno stupito molto…”
Hermione non stette nemmeno a pensare come facesse a sapere che se la cavava in amministrazione.
“… così ho deciso di assegnarti un ufficio.”
Ora Hermione lo guardò con gli occhi sgranati.
“Eeeh?”
“Però mi sono anche detto…”
Ecco l’inculata…, pensò la riccia.
“… che se ti
togliessi dal magazzino le consegne riprenderebbero a ritardare…
così ho deciso di assegnarti due compiti: quello amministrativo
e quello pratico. Sei contenta?”
Hermione aveva gli occhi sgranati e la bocca aperta. Ma era scemo o cosa?
“Perdoni la domanda stupida,
signor Malfoy… ma come faccio a seguire l’amministrazione
e allo stesso tempo scaricare le scatole in magazzino? Non mi hanno
ancora concesso il dono dell’ubiquità.” –
ironizzò lei.
“Sono sicuro che saprai destreggiarti in questa situazione.”
Hermione era sempre più
sbigottita, ma l’idea che lui lo facesse per punirla per come
avesse risposto alla sua fidanzata, non le sembrò mai tanto
valida come in quel momento.
Notando la sua faccia, Draco sorrise soddisfatto.
E Hermione se ne accorse.
“Posso parlare apertamente?” – chiese lei, trucidandolo con gli occhi.
“Perché? Fino a oggi
cos’hai fatto?” – chiese, pesantemente ironico e
riferendosi a tutte le volte che lei, con educata ironia, gli diceva le
cose in faccia.
“Ce l’ha ancora con me per come ho risposto alla sua fidanzata?”
Vediamo che mi rispondi, stronzo…
“Sinceramente?”
“Se possibile…” – chiese lei con finta pazienza.
“Ebbene sì.”
Quando pronunciò quella frase, una bomba atomica gli esplose nello stomaco.
Cazzo non era vero! Aveva ormai
messo nel dimenticatoio quell’episodio ma il danno era stato
fatto. E poi, come ogni uomo che si rispetti, Draco non era disposto a
confidare a una dipendente, per quanto qualificata, il vero motivo per
il quale voleva punirla ancora di più, ossia, per non andare
contro Pansy.
Hermione ci rimase veramente male.
Allora il rapporto civile che
avevano costruito dalla visita di Harry era stato solo per farle
abbassare le difese per poi pugnalarla al momento più opportuno?
Dio che stupida!
“Vedi Hermione… non
tollero simili commenti come quelli che hai rivolto alla mia fidanzata.
Spero che questo doppio lavoro ti possa aiutare a comprendere che
l’essere umano ha dei limiti.”
Hermione non riuscì a contenersi e gli rise sarcasticamente in faccia.
“Beh, poiché siamo in
vena di confidenze…” – disse, calcando con pesante
ironia. Lo disse con un sorriso di scherno sulle labbra e alzandosi in
piedi, in un moto di aperta sfida che irritò il titolare in un
modo tale che nemmeno lui pensava fosse possibile. –
“… sappia che alla fine dei giochi, sarà lei a
doversi mordere la lingua, per il semplice fatto che ha assunto
un’impiegata che non ne ha!”
Draco scattò in piedi.
Erano l’uno di fronte all’altro e non mancava tanto
all’emissione di fulmini e saette dagli occhi di entrambi.
“Non ti conviene sfidarmi! Potresti rimanere a piedi con il lavoro!”
“Cos’è?
Passiamo alle minacce esplicite, adesso?” – disse lei,
sbeffeggiandolo. – “Vuole mettermi a fare due lavori?
Benissimo! Nessun problema! Sappia però che un colpo basso
simile non me lo sarei mai aspettato! Questa è una vigliaccata
bella e buona e lei lo sa benissimo!”
Perché? Perché a lei
permetteva di parlargli in quel modo? Che diavolo aveva quella ragazza
da frenarlo dallo sbatterla sulla strada e farle tabula rasa intorno?
Beh, magari per il fatto che lei
fosse un’impiegata a tutto tondo, che sapesse destreggiarsi in
una situazione critica, che sapesse prendere la decisione giusta al
momento giusto, che aiutasse i colleghi benché non fosse suo
compito, che i suoi soci si complimentassero con lui di lei
perché piuttosto di fare l’interno diretto di Draco,
preferivano passare dal centralino per scambiare due chiacchiere con la
ragazza.
Questi e altri motivi impedivano a
Draco di liberarsi di una tale piaga ma che, nonostante tutto, era una
preziosa collaboratrice.
“Credevo di averle
dimostrato di saperci fare!, di essere una persona affidabile!
Evidentemente per lei non conta niente o peggio!, non è
sufficiente!”
Era delusa in un modo che non riusciva a spiegarsi.
In casi diversi avrebbe mandato il titolare a quel paese e se ne sarebbe andata, ma con la Malfoy Home non ci riusciva.
In realtà, aveva delle mire
su quell’azienda, anzi, una sola, più precisamente: ambiva
a diventare la segretaria personale di Draco. Avere la sua agenda in
mano, il nome di persone importanti anche nel campo della moda, della
musica o del cinema e tante cose ancora che le facevano venire
l’acquolina alla bocca!
E per colpa di una stronza che non
sapeva affrontare le persone faccia a faccia si vedeva costretta a
dover ripiegare su un altro lavoro! Che vita ingiusta!
“Comunque non si
preoccupi!” – concluse, amareggiata. –
“Farò quello che devo. Buona serata.”
Uscì dall’ufficio
più furente che mai. Ma come si permetteva? Minacciarla di
chiuderle la porta in faccia! Ma era scemo?
Draco si sedette pesantemente
sulla sedia. Non aveva mai perso le staffe in quel modo. Non ci
riuscivano i suoi avvocati quando si mettevano d’impegno e ci
riusciva una semplice magazziniera?
Purtroppo le parole di Hermione
erano tutte vere, dalla prima all’ultima e per la prima volta in
vita sua temette che un dipendente potesse licenziarsi e andare a
lavorare per la concorrenza.
Un disastro simile doveva evitarlo a tutti i costi!
Era lunedì sei Ottobre di una nuova settimana e, con esso, il nuovo… i nuovi lavori.
Quella mattina si era svegliata con l’umore sotto i tacchi nel sapere cosa l’avrebbe attesa.
Ma perché, diavolo!, Dio
metteva sulla faccia della terra persone così inutili?, si
chiedeva, riferendosi alla Parkinson.
Che razza di utilità ha
quella donna? Quale contributo dà all’ambiente?: nessuna!
Anzi!: inquina l’aria con il suo profumo e certe volte ha il
potere di rompere la barriera del suono con quella vocetta stridula che
le faceva accapponare la pelle!
Dov’era la sua utilità, dove?!?
Era proprio cattiva come il
veleno, Hermione ma quel suo pessimo umore era più imputabile a
Draco, che a Pansy. Era lui che le aveva piantato quel coltello nella
schiena e lei, da perfetta cretina, si era andata pure a fidare!
Arrivò sul posto di lavoro
vestita con abiti adatti all’occasione e appresso un borsone per
il cambio per il lavoro in magazzino.
Aveva curato le unghie e le mani,
perché nonostante indossasse i guanti, questi erano ruvidi al
loro interno e le aveva sollevato parecchie pellicine e aveva curato
anche i capelli. L’unto, la polvere e lo sporco in generale li
avevano sfibrati.
Quando Miky la vide le sorrise.
“Ciao Hermione, bentornata nel mondo civile.”
Hermione teneva molto a Miky,
perché le aveva fatto fare conoscenza di tutti, l’aveva
messa a suo agio ed era stata la sua referente per il periodo di
apprendistato al centralino, ma certe volte le veniva voglia di
strozzarla: se ne usciva con certe sparate che temeva non dormisse di
notte per pensarle!
“Già…” – fu la monosillabica risposta.
Miky ci rimase male e Hermione
cercò di porvi rimedio: dopotutto era grazie a lei se era
riuscita a venirne a capo con quel maledetto computer!
“Il signor Malfoy mi ha
messa a lavorare in ufficio.” – spiegò, notando come
il sorriso di Michelle fosse tornato.
“Mi fa piacere. Allora ci vediamo dopo, ok?”
“Sì, a dopo.”
Schiacciò il pulsante dell’ascensore e aspettò che dal quarto piano scendesse al pianoterra.
Entrò con l’umore di chi stava andando al funerale di un caro amico.
Doveva trovare un certo Oscar, che
le avrebbe spiegato cosa fare e poi si sarebbe messa al lavoro. Sapeva
solo che a quel piano e in quell’ufficio stavano Ginny e Lavanda,
due ragazze della stessa età molto simpatiche e alla mano.
L’ufficio era già chiassoso alle otto e mezza, notò Hermione.
Intravide Lavanda e Ginny tutte intente nel proprio lavoro.
“Scusa, cercavo Oscar.” – chiese Hermione, alla prima impiegata che passava di lì.
“E’ quello là in fondo al telefono con il maglioncino verde.”
“Grazie.”
“Prego.” – rispose l’altra con un sorriso.
Si diresse a passo lento verso il
ragazzo e lo trovò che sorrideva alla cornetta. Beh, doveva solo
dirle ciò che doveva fare e poi poteva tornare a sorridere anche
a un maialino, per quello che le importava.
“Ciao, sei tu?…”
La domanda cadde nel vuoto.
Stizzito, quel ragazzo di circa
trent’anni fermò Hermione con una mano, perché lo
stava disturbando. Dalla confidenza del tono, la ragazza dedusse che
non si trattasse di una telefonata di lavoro.
Quella giornata era proprio
iniziata male, come se anche il destino volesse darle ad intendere che
quel doppio lavoro sarebbe stato a dir poco faticoso e che forse, forse, sfidare Draco Malfoy non era stata un’idea poi tanto felice.
Tanto per cominciare, la sua
Lilly, la sua adorabile cagnetta, ora giacente nella cella di un
obitorio canino, aveva fatto la pipì fuori dal pannolino.
Hermione c’era rimasta talmente male, perché una cosa
simile non era mai successa…
… il microonde aveva dato
forfait e quindi aveva dovuto farsi il the alla vecchia maniera,
mettendo sul fuoco una pentola d’acqua e scioglierci dentro una
quantità industriale di bustine…
… il dentifricio era magicamente evaporato durante la notte…
… quel mattino, gli addetti
ai lavori pubblici avevano tolto l’acqua per fare un lavoro che
non poteva essere effettuato in altri giorni della settimana.
E senza avvisi alla popolazione…
… era arrivata a pelo al distributore della benzina che, stranamente, era gremito di gente…
Non sapeva spiegarsi come avesse fatto a raggiungere il posto di lavoro in orario.
Forse, si disse, erano tutte coincidenze, ma quando stava per entrare dalla porta principale, intravide Pansy Mer… Parkinson gettarle un’occhiata di pura sufficienza.
Hermione le aveva chiesto gentilmente di lasciarle aperta la porta, che ovviamente…
… le fu chiusa in faccia.
No, si disse in seguito. Le coincidenze non esistevano: esisteva solo qualcuno che ce l’aveva con lei.
Stanca di dover aspettare che quel
tizio finisse di parlare con la sua fidanzata – mentre pensava
alla serie di sfighe che l’avevano colpita, Hermione intuì
dai soprannomi “coccolina”, “amore mio”,
“fagiolino tenero” e altri nomi poco ortodossi che le
stavano facendo venire la carie, che quel ragazzo stesse parlando
proprio con lei – la ragazza abbassò malamente la forcella
del telefono, interrompendo così quell’inutile discussione.
“…e so che…
pronto? Jessy? Jessica, ci sei? Pronto? Pronto?” – il
ragazzo notò una mano sulla forcella del telefono, risalì
il braccio e incontrò il viso della ragazzina che voleva
interromperlo. – “Ma… come ti sei permessa?”
Hermione alzò un sopracciglio, pronta a dare il ben servito a quello spocchioso.
“Senti… ho avuto un
inizio di giornata tutt’altro che felice e vorrei avere altro da
fare che star qui ad ascoltare la tua conversazione privata. Ora, le
soluzioni sono due: o mi dai il lavoro che devo fare, oppure facciamo
una capatina nell’ufficio del signor Malfoy e gli chiediamo se si
può usare il telefono dell’ufficio per le conversazioni
private. Ma non so se usciresti intero…” – disse
Hermione lasciando la frase in sospeso.
Il poveretto si zittì
immediatamente. Effettivamente se il direttore venisse a sapere di come
i suoi dipendenti usano apparecchiature aziendali per fini privati, non
immaginava come poteva reagire.
“Sì, ok…”
Hermione sorrise sorniona.
Chissà come mai era sufficiente nominare il “big
boss” che tutti diventavano di cera.
“Grazie. Cosa devo fare?”
“Tu sei Hermione, giusto?” – chiese Oscar, ancora sottosopra per la minaccia.
“Sì.”
“Allora… il signor
Malfoy mi ha dato istruzioni per te. Al momento ti occuperai di
controllare le fatture che arrivano dai fornitori, che non sono
poche…” – disse lui, come se spaventarla in quel
modo potesse ripagarlo per la minaccia subita. – “…
smistare la posta, controllare le provvigioni per i nostri agenti e
pagare le modelle a fine di ogni servizio.”
“Quando inizio e dove mi metto?”
Oscar l’accompagnò in
un cubicolo, in mezzo a due ragazze. Era una scrivania molto spaziosa e
a Hermione le scrivanie grandi erano sempre piaciute. Ci poteva mettere
sopra tutti gli incartamenti che le servivano senza dover ogni volta
alzarsi per prendere ciò che le serviva, ma soprattutto…
poteva seguire più lavori contemporaneamente.
Cosa che le riusciva molto bene.
Aveva un cervello grande, lei. Non
solo per la sua attitudine al lavoro, alla risoluzione di situazioni
critiche, ma proprio nel vero senso della parola. Ci aveva già
provato, ma aveva notato che se seguiva una pratica alla volta, il suo
cervello finiva sempre coll’andare a quelle in sospeso.
Così, si era messa tutte le pratiche sulla scrivania, seguendole
tutte in una volta sola.
Il risultato? In due giorni, Hermione sistemava tutti i sospesi, portando a termine un eccellente lavoro.
“Questo è il tuo
posto.” – disse. – “Loro sono Ginny e Lavanda.
Se avrai delle difficoltà, chiedi a loro.”
Alias: “se hai problemi, arrangiati e non venire a scocciare me”.
Hermione si guardò un attimo intorno, salutando le due ragazze. Poi, riguardò il ragazzo fannullone.
“Sì, non
temere…” – disse, con un gesto indolente della mano
come a scacciare una mosca fastidiosa. – “… torna
pure a parlare con la tua fagiolina.” – disse lei,
rispondendo alla vera richiesta del ragazzo.
Il ragazzo in questione divenne
rosso pomodoro e se ne andò, sotto lo sguardo divertito di Ginny
e la risata contenuta di Lavanda.
“Ciao ragazze.”
“Ciao Hermione.”
– la salutò Lavanda. – “Davvero grande quella
stoccata. Era ora che qualcuno lo mettesse al proprio posto, visto che
tende un po’ troppo a fare il galletto…”
Hermione fece le spallucce, come per schermirsi.
“Quelli come lui abbaiano e basta. Dove trovo gli incartamenti per il mio lavoro?”
Stavolta fu Ginny ad alzarsi e a farle fare un giro turistico dell’ufficio.
“Vieni con me. Intanto ti
faccio fare un giro dell’ufficio, così saprai bene o male
cosa facciamo a questo piano.”
Hermione, con un sorriso, la ringraziò.
“Allora… lì c’è il reparto fatturazione…”
Hermione scorse tre stampanti che
sfornavano fogli in carta chimica a tutto andare, mentre le dipendenti,
ormai abituate al ritmo con cui le stampanti lavoravano, raccattavano i
fogli e li strappavano per poi imbustarle e spedirle.
“… poco più
distante c’è il reparto cancelleria: se chiedi una penna
che ti faccia le pernacchie, abbiamo anche quella.” – disse
Ginny, evidenziando la fornitura industriale della loro cancelleria.
– “Vicino ai nostri posti ci stanno gli agenti commerciali,
quelli che si occupano di reperire clienti e far loro
visita…”
“A-ha…” – disse Hermione, annuendo.
“… laggiù
invece ci stanno i ragazzi che si occupano di organizzare le spedizioni
e i ritiri, mentre là in fondo c’è lo studio di
avvocati, dove il signor Malfoy ci va minimo minimo una volta al giorno
e nella porta accanto ci stanno i tecnici del computer.”
“Ok… e i documenti?”
“Sì, vieni. In questo
armadio trovi tutto quello che servirà per il tuo lavoro. Vuoi
vedere gli altri?”
“Magari quando mi serviranno. Grazie mille, Ginny. Ora inizio a mettermi al lavoro.”
“No, non credo proprio…”
Hermione infossò la testa nelle spalle, imbarazzata.
“Perché?”
“Perché non si può iniziare a lavorare senza prima una buona dose di caffeina.”
Hermione sorrise e si avviò assieme a Ginny alla macchinetta del caffè, dove ad attenderle vi era Lavanda.
“Fatto tutto?” – chiese Lavanda a Ginny.
“Sì… ora serve un buon caffè!” – disse Ginny.
“Per me una cioccolata calda, invece.” – disse Hermione.
“Ok…”
Attesero due minuti per iniziare a sorseggiare le loro bevande in santa pace, poi si diressero alle proprie postazioni.
A Hermione fu sufficiente che
qualcuno le spiegasse cosa dovesse controllare, come stabilire il
giusto compenso alle modelle e come verificare che le provvigioni
fossero corrette. Lavanda le spiegò dettagliatamente ogni cosa e
dopo due ore di lavoro fatto assieme, Hermione poté continuare
da sola.
Mise tutto sulla scrivania e, con
un bel sorriso, di chi a breve avrebbe dato una bella lezione di vita a
qualcuno di veramente odioso, iniziò.
Passava con agilità da una pratica all’altra e Lavanda e Ginny ne rimasero veramente stupite.
Arrivò la pausa pranzo che non se ne accorse nemmeno.
“Pranzi con noi?” – le chiese Ginny, mentre sistemava la propria scrivania.
Lavanda era in piedi che la stava aspettando.
Hermione sorrise.
“No, grazie. Adesso devo scappare in magazzino.”
“Perché?” – chiese Lavanda.
“Devo star dietro anche a quello.” – rispose Hermione, mentre finiva di battere le ultime righe al computer.
Sotto lo sguardo perplesso delle
due nuove colleghe, Hermione prese il borsone che si era portata
appresso e andò in bagno. Ne uscì totalmente cambiata:
ora vi era una Hermione in tuta da ginnastica, pronta per il
sollevamento pesi.
Le due colleghe si guardarono allibite per quel camaleontico cambiamento e si scambiarono un’occhiata perplessa.
“Che lo abbia fatto incazzare?” – chiese Ginny.
“Ho proprio in mente di sì…” – disse Lavanda e insieme all’amica scesero in mensa.
Hermione era in magazzino e si era
messa all’opera per controllare che i documenti fossero stati
correttamente emessi, che le destinazioni fossero giuste e,
perché no?, che il ruolo di Roger – le sue scartoffie,
più che altro, fossero in perfetto ordine.
Era una cosa importante, quella,
forse più importante del fatto stesso che i magazzinieri
indossassero le dovute protezioni durante il turno di lavoro.
In pausa pranzo c’era ben
poco da fare, perché le consegne e i carichi venivano
giustamente sospesi per dar modo agli operai di tirare un po’ il
fiato, ma il lavoro di amministrazione era decisamente fattibile.
“Sì salve, sono Hermione della Malfoy Home. Posso parlare con George, per favore?”
“Attenda prego.”
“Grazie.”
Durante l’attesa
partì una musica dell’ultimo successo discografico di Lady
Gaga e Hermione, per far passare il tempo, si mise a canticchiarla.
“Ciao Hermione!” – la salutò l’uomo dall’altra parte del telefono.
“Ciao Gio!” – lo apostrofò lei. – “Tutto bene?”
“Io sì e tu?”
“Non mi lamento.” – disse la ragazza, con una faccia che diceva l’esatto opposto.
“Dimmi tutto gioia.”
“Gio, volevo sapere se quella consegna era partita.”
“Aspetta che controllo la bolletta di carico…”
Hermione lo sentì sfogliare della carta e attese.
“Allora… ieri mattina alle nove e mezzo.” – confermò George. – “Vuoi che senta il trasportatore?”
“No, no tranquillo. Luke
è abbastanza puntuale.” – lo rassicurò
Hermione. – “Beh grazie mille. Volevo solo sapere
questo.”
“Figurati, alla prossima allora.”
“Sì, ciao!”
Hermione segnò su un
post-it l’informazione per Roger ed effettuò altre quattro
chiamate come quelle. In pausa pranzo poteva fare ben poco, ma almeno
poteva chiamare le varie agenzie di trasporto per sapere
com’erano messe con le consegne. Lì, gli addetti facevano
orario continuato.
E poi era un lavoro in meno per Roger.
Mentre controllava su Internet a
che punto erano le altre consegne – certe ditte, poche, a detta
di Hermione, avevano cura di lasciarle il codice della spedizione in
modo tale da poter andare sul sito del mittente, inserire i dati e
verificare lo stato della merce – si sgranocchiava un pacchetto
di crackers.
E mentre lei sgranocchiava i crackers, Draco pensava, dall’alto del suo ufficio.
Quella situazione gli stava
sfuggendo di mano. Certo, lui era il datore di lavoro e poteva fare
quello che voleva, ma immaginò che avrebbe fatto la figura
dell’eterno indeciso se avesse spostato nuovamente Hermione da un
posto all’altro della sua azienda. Non era tenuto a giustificare
le proprie azioni con nessuno, tanto meno con un dipendente ma Hermione
non era una lavoratrice qualsiasi.
Lei sapeva destreggiarsi in qualsiasi campo e la prospettiva di perderla gli alzava i peli sulla nuca.
Eppure non voleva lasciarla a
marcire nel magazzino o a controllare le provvigioni degli agenti! Era
portata per ben altri compiti!
“Allora, come va qui?”
“Bene!” –
esclamò la riccia. – “Le consegne sono tutte partite
e saranno qui oggi, massimo domani.” – spiegò.
– “Ti ho sistemato i documenti in ordine alfabetico e
adesso devo solo andare a sistemare le fatture accompagnatorie
nell’imballaggio della merce prima che la chiudano.”
“Perfetto. Ah, Hermione… mi controlleresti questi documenti sulla sicurezza?”
“Sì, cosa c’è che non va?” – chiese la ragazza, studiando il documento.
“Non ho capito questa cosa qui.” – disse, indicandole un paragrafo in basso.
“Allora…”
– lo lesse velocemente. – “Ah, no. Non ti devi
preoccupare. Qui parlano dei controlli da fare quando le macchine hanno
più di dieci anni di vita.” – spiegò. –
“Con Harry è stato controllato tutto e le macchine sono
state cambiate o già revisionate. Questi controlli però
andranno fatti tra due anni, comunque.”
“Ah, ho capito.”
L’organizzazione di Hermione
aveva portato Roger ad avere uno scaffale interamente occupato dai
documenti per la Sicurezza sul Lavoro, suddivisi per categorie.
Era stata davvero una fortuna che ci fosse lei!
Hermione controllò l’ora.
Erano le una e mezza e forse era
il caso di darci un taglio. Voleva farsi una doccia e avrebbe usufruito
di quella dei ragazzi prima di tornare in ufficio.
Quando mancarono dieci minuti alle
due, orario previsto per i dipendenti dell’amministrazione di
rientrare in ufficio, Hermione si trovò già al suo posto
a continuare i lavori precedentemente interrotti.
“Già qui?” – chiese una voce fastidiosa tanto quanto l’urticaria.
Prima di girarsi, Hermione
serrò gli occhi, poi, con garbo e un sorriso falso come Giuda
Iscariota, si girò e rispose a tono.
“Mancano solamente dieci
minuti alle due, signor Malfoy.” – disse, per poi rigirarsi
e continuare il suo lavoro.
“Vedo che non è scesa in magazzino, com’era stato stabilito.”
Hermione si rigirò con un altro sorriso.
“A dire il vero sono appena tornata.” – disse, lasciando basito il direttore.
Quella ragazza lo stava stuzzicando e sfidando sempre più apertamente.
“Non crede che forse una doccia sarebbe stata adatta?”
“Infatti l’ho fatta.” – rispose Hermione addirittura senza guardarlo in faccia.
Draco fumava dalle orecchie.
“E dove?” – chiese, sempre più stupito e infuriato.
“In una doccia?” – chiese lei, ironicamente.
“Ma le uniche docce
sono…” – si fermò, paralizzato, mentre
Hermione non capiva il suo sbigottimento. – “Ha fatto la
doccia con gli operai?”
Hermione si girò di scatto, basita.
“Ma… NO!”
– tuonò lei, imbarazzata. – “Ma come le
vengono in mente certe idee?!”
Fortuna che non era arrivato ancora nessuno…
“Senta, signorina Granger…”
Il tono usato non piacque per niente a Hermione.
“No, mi ascolti lei, signor
Malfoy…” – usò un tono stranamente remissivo
mentre gli occhi diventavano leggermente lucidi. –
“… io non so cosa si è messo in mente, ma non mi
sono fatta la doccia assieme agli uomini, visto che loro a mezzogiorno
non la fanno mai. So benissimo di non dover entrare in ufficio che
puzzo come una capra, ma non immaginavo proprio che arrivasse a pensare
a tanto.” – si fermò con il fiatone. Non che le
importasse tanto quello che pensava il signor Malfoy, ma quello che
pensava il direttore… quello sì. Non tollerava che la si facesse passare per una facile, visto che era l’esatto opposto.
Draco, dal canto suo, si rese
conto che quella vendetta contro Hermione era sulle punte delle dita:
un passo falso e avrebbe potuto finire davvero male. Pur di farle
ammettere di aver sbagliato – ma aveva davvero sbagliato, alla
fine? – era disposto a insinuare cose non vere, ma evidentemente
il temperamento della ragazza era talmente forte che non glielo aveva
permesso.
“Ora mi scusi… ma ho del lavoro da finire.” – concluse, senza guardarlo in faccia.
Continuò a controllare le
fatture, le provvigioni e i pagamenti, visto che della posta non
c’era nemmeno l’ombra.
Conscio di aver esagerato, Draco girò i tacchi e se ne tornò in ufficio.
Seduto sulla sua poltrona,
reclinò leggermente il poggia schiena e chiuse gli occhi. Per
quanto gli costasse ammetterlo, spergiurare su qualcuno non era un suo
abituale metodo di procedimento. Aveva scelto di sfinire la ragazza con
il lavoro e non con le false insinuazioni.
Hermione dimenticò in fretta le parole del signor Malfoy. Aveva ben altro cui pensare.
Aveva controllato le fatture di
Settembre, effettuato i bonifici alle modelle e le mancavano solo le
provvigioni da verificare. Richiuse il raccoglitore delle fatture e lo
mise al suo posto e registrò i bonifici effettuati su un
database di excel da inviare a fine giornata allo “stronzo”.
Ginny e Lavanda non le avevano
rivolto mai la parola in quel pomeriggio. Avevano notato che era molto
presa, ma anche parecchio giù di corda. Si guardarono negli
occhi, ripromettendosi di parlarne con lei a fine giornata.
Che finalmente arrivò.
Molti colleghi avevano già
iniziato a spegnere i computer e ad archiviare i documenti per il
giorno successivo. Avevano fatto così anche Lavanda e Ginny, ma
non lei.
Hermione avrebbe avuto da fare ancora una mezz’oretta e poi le provvigioni sarebbero state a posto.
“Hermione tu non vieni?” – chiese Lavanda.
“Oh, no… ho ancora una mezz’oretta da fare e poi ho finito. Ci vediamo domani, ok?”
“Ok.” – le due
ragazze si diressero verso l’uscita, strisciarono il cartellino
magnetico e se ne tornarono a casa.
Nel suo ufficio, Draco era chinato
sul suo computer e lo stava spegnendo. Aveva un appuntamento con Pansy
e non era sua intenzione e abitudine arrivare in ritardo.
Uscì dalla porta che chiuse a chiave e uscì, ma intravide una luce accesa.
“Devono sempre “dimenticarsi” la luce accesa!” – sbottò Draco scocciato.
Quando arrivò, notò che la luce proveniva dalla scrivania di Hermione.
Colpito, sì, colpito da quella dimostrazione di sfida, Draco si avvicinò cautamente.
“Hermione… cosa fai ancora qui?”
Hermione alzò lo sguardo, ma lo riabbassò subito. Non voleva neanche guardarlo in faccia.
“Sto finendo un lavoro. Non
si preoccupi, vado via tra dieci minuti.” – girò una
pagina e spuntò un paio di voci.
“Le straordinarie non
vengono pagate.” – specificò lui, credendo che
rimanesse lì per aumentare lo stipendio.
Hermione, incurante, sbuffò infastidita. Lavorava anche
per ricevere uno stipendio, ma quando si metteva dietro ad un lavoro,
non lo mollava se prima non lo aveva finito. Si alzò dalla
sedia, poiché aveva finito prima del tempo previsto.
“Ah beh… in tal caso me ne vado subito.” – ironizzò lei.
Si diresse verso un armadio e
archiviò il faldone delle provvigioni nel suo spazio.
Tornò a posto e iniziò a sistemare la sua postazione,
spense il computer nel silenzio più assoluto.
“Per oggi, volevo scus…”
“Non è necessario.” – ribatté lei, fissandolo negli occhi.
Ora come ora voleva solo stargli il più distante possibile. Le veniva la nausea solo a vederlo.
Draco non sapeva più che
fare. In qualsiasi direzione si inoltrasse per cercare di parlare con
quella ragazza era come muoversi su un campo minato.
“Volevo solo…”
“Quale parte della frase
“non è necessario” non le è chiara?”
– Hermione aveva in collo la sua borsa ed era pronta per uscire.
“Vedi di stare al tuo posto.” – disse lui perentorio.
“Starò al mio posto,
signor Malfoy, quando lei imparerà a stare al suo. E non si
azzardi mai più a darmi della puttana. Buona serata.”
– disse salutando.
In quel frangente, Draco si rese conto di una cosa.
Di fronte a una ragazza del
temperamento di Hermione Granger, e cioè una donna non
facilmente piegabile, automaticamente la mente, tra la miriade di
aggettivi che impara durante il corso della vita, ne sceglie uno solo:
puttana.
Perché, poi?
In due anni di rapporto
lavorativo, non ha mai dovuto richiamarla per comportamenti
sconvenienti, mai un rimprovero, mai una lamentela… niente di
niente. Faceva semplicemente il proprio lavoro e poi se ne tornava a
casa. Si poteva quasi affermare che Hermione fosse un fantasma. Non la
si sentiva, non la si vedeva… era precisa sul proprio operato
tanto quanto Pansy lo era a letto. Sembrava che potesse anticipare le
mosse dei suoi colleghi. Una dipendente così non l’aveva
mai avuta.
I primi mesi, quando passava
dall’ingresso principale – poi si era fatto letteralmente
aprire una porta sul retro per non incontrare fornitori asfissianti
– Hermione lo salutava con cortesia, gli lasciava su un foglio,
ordinatamente tenuto, l’elenco delle chiamate e dei messaggi per
lui e la posta arrivata.
Gli augurava una buona giornata e poi tornava a fare il proprio lavoro.
Non era forse questo il tipo di dipendente che avrebbe voluto ci fosse in tutti i settori dell’azienda?
Sì.
Allora perché la stava punendo? Solo per aver risposto male alla sua fidanzata?
Era stizzito.
Sì, perché credeva
di ricevere delle scuse con tanto di capo chino e invece si era
ritrovato invischiato in una sorta di guerra fredda dove lui,
solitamente abile in quel campo, non riusciva a spuntarla, per non
parlare del fatto che quella sera aveva avuto una brutale caduta di
stile.
Non era sua abitudine dare della
puttana a una dipendente solo perché non otteneva da lei
ciò che voleva ma con lei aveva ceduto.
Si riscosse dai propri pensieri. Era leggermente in ritardo, per l’appuntamento che aveva con la sua futura moglie.
Era arrivata a casa, finalmente. Nella sua dolce, sicura e speciale casa.
Quel lunedì non era stato
molto faticoso, ma era certa che proseguire a quel ritmo per un periodo
che si prospettava infinito – per lo meno fin quando non avesse
chiesto scusa a Pansy – avrebbe avuto delle grosse ripercussioni
sul suo fisico e sulla sua mente.
Aveva preso la sua Lilly e
l’aveva portata a fare i suoi bisognini. Era stata fuori circa
una mezz’oretta e poi era rientrata, visto che il suo stomaco
reclamava primo, secondo, contorno, frutta, dolce e un sonnifero.
Si fece arrivare una pizza con il
mondo sopra. Non fece in tempo a ingoiare l’ultimo boccone che si
infilò a letto, cadendo in un sonno profondo e senza sogni.
E il cane accanto, rimasto
decisamente male per quell’atteggiamento, perché non aveva
avuto la sua razione notturna di coccole…
Dall’altra parte della
città, in un lussuoso appartamento all’ultimo piano in
centro a Londra, Draco e Pansy stavano facendo del sano sesso.
Conclusero il tutto con un grido animalesco, crollando esausti l’uno sull’altro.
“Oh Draco…” – esclamò una spossata Pansy con gli occhi chiusi.
Non finì di parlare che la bocca le fu chiusa da un bacio irruento.
Draco rotolò su un lato per prendere fiato.
Sapeva che quello che aveva appena fatto aveva assunto una connotazione strana… diversa.
Aveva sempre in mente Hermione
Granger (non che durante l’amplesso pensasse di voler fare sesso
con lei, s’intenda): le sue parole, il suo sguardo carico di
biasimo… e pur di riuscire a togliersela dalla mente aveva
usato, su Pansy, tutta la sua forza, ma non era servito a niente.
Nemmeno in quell’unico attimo, in cui la mente doveva – o
avrebbe dovuto – svuotarsi, era riuscito a concentrarsi su quello
che stava facendo.
Seccato, scocciato e infastidito,
si alzò da terra e andò a farsi una doccia, lasciando la
compagna sul tappeto, davanti al caminetto, semi addormentata.
Sotto il getto dell’acqua
calda, che s’insinuava tra i suoi capelli, l’uomo cercava
di scacciare il pensiero di Hermione Granger dalla sua mente. Ma
più cercava di non pensarci e più lei rimaneva fissa
lì davanti, come a volerlo punire per le sue parole cattive.
Perché sì: era stato davvero cattivo.
Aveva insinuato il peggio e lei,
giustamente, si era arrabbiata e non poteva biasimarla per averlo
aggredito e per avergli risposto in quel modo.
C’era anzi da dire che era
stata fin troppo diplomatica: se avesse avuto un’altra di fronte,
avrebbe sicuramente rimediato un bello schiaffo.
Sbarrò gli occhi,
avvertendo una sensazione di fastidio, quando sentì due mani
affusolate massaggiargli sensualmente le spalle.
Si scansò da lei, per
quanto la doccia lo permettesse e uscì dal box, lasciandola
decisamente confusa. Si sciacquò velocemente e prese
l’asciugamano, dove vi avvolse il suo conturbante corpo.
“Che ti succede?” – chiese lei, andandogli dietro come un cagnolino.
Draco la osservò con la
coda dell’occhio. Perché un mese fa,
quell’atteggiamento di devozione lo avrebbe lusingato fino
all’estremo, mentre adesso provava l’irrefrenabile istinto
di gettarla dalla finestra?
“Nulla.” – fu la sua glaciale risposta.
“Draco, avanti… dimmi cosa ti turba…” – disse lei, andandogli vicino.
Sapeva che stava rischiando
grosso, che lui non era il tipo da parlare dei suoi turbamenti, ma tra
poco sarebbe stata sua moglie: nella buona e nella cattiva sorte.
“Ho detto nulla, Pansy… non insistere.” – sentenziò lui ancora più duramente.
“S-sarò tua moglie… non lasciarmi fuori dalla tua vita…”
E fu la goccia che fece traboccare
il vaso. Draco provò un’ondata di profondo fastidio e
malessere nei confronti di Pansy, che non seppe motivarsi. Aveva avuto
la sensazione di dover rendere conto a lei di qualsiasi mossa o
pensiero, altrimenti aveva come la certezza che non se la sarebbe
scollata di dosso fino a che non avesse ottenuto quello che voleva.
Non disse nulla, il direttore
della Malfoy Home. Iniziò solamente a vestirsi, mentre Pansy
iniziava a piangere, pregandolo di restare.
Ma lui niente. Non ci sentiva.
Quella serata era partita proprio male e male si era conclusa.
“Ci vediamo domani, Pansy. Buona notte.”
Pansy non rispose, si limitò a fissarlo sparire dietro la porta.
Schiacciò il pulsante
dell’ascensore e attese che arrivasse al piano. Una volta dentro,
si appoggiò alla parete frontale e chiuse gli occhi.
Di nuovo, Hermione Granger.
“Ma cosa accidenti vuoi da me?” – sbottò stizzito.
Uscì al piano dei garage
che non sembrava nemmeno lui. La camicia di seta era mezza dentro e
mezza fuori dai pantaloni, la cravatta era annodata in qualche modo e
la cerniera dei pantaloni era a metà della strada. Chiunque
fosse passato di lì in quel momento, avrebbe urlato “al
maniaco”.
Prese le chiavi della sua Porsche
e l’aprì con il comando a distanza, entrò, gettando
sul lato passeggero la giacca e il soprabito e guidò per tornare
a casa, dove l’attendeva un buon sonno ristoratore.
Almeno sperava.
E fu così.
Appena entrato in casa, Draco
andò in camera sua, avendo cura di gettare a casaccio i vestiti
sull’omino e gettarsi sul letto, cadendo addormentato come un
pero.
Calli-corner:
Capitolo ciccione, no?
Spero vi sia piaciuto, così come le risposte che Hermione ha dato a Draco. Beh, qui se le è proprio meritate.
Pur di piegare Hermione e farle
ammettere di aver sbagliato – “sbagliato” è un
concetto molto diverso per Draco e Hermione – arriva a
darle della poco di buono e lei, più che giustamente,
s’incazza e rimane delusa, perché non pensava che pur di
sentirsi chiedere scusa, Malfoy arrivasse a tanto.
Qui spiegato il perché Hermione rimane alla Malfoy nonostante l’atteggiamento di Draco.
Beh, in primis perché se si
licenziasse, la darebbe vinta a Pansy e nemmeno in un universo
alternativo avrebbe permesso questo e poi perché vuole diventare
la segretaria di Draco. E’ una sua ambizione.
Certo che se le cose vanno avanti di quel passo, nemmeno a sessant’anni ci arriverà.
Beh, sapete benissimo che per
qualsiasi punto oscuro che non vi torna, potete scrivermi e io
cercherò di rendervi le idee più chiare.
Ma adesso… spoiler!
“Chi ti ha detto che puoi darmi del tu?” – la rimproverò Pansy.
“Chi ti ha detto che puoi darmi del tu?” – la pappagallò Hermione.
Nel prossimo capitolo ci
sarà finalmente un incontro/scontro tra Hermione e Pansy. A me
ha fatto molto ridere quando l’ho scritto, perché di
solito è una situazione che ognuno di noi sogna si avveri, ossia
dire la cosa giusta al momento giusto senza possibilità per
l’avversario di replicare perché le nostre parole sono
talmente giuste che non possono essere contestate.
Spero di rivedervi,
callistas
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Capitolo 6 *** Conquiste... ***
06 - Conquiste...
Una cosa che vorrei fare
prima che vi apprestiate a leggere il capitolo è ringraziarvi
per il vostro sostegno. Le vostre recensioni, finora, mi hanno dato una
bella carica anche nei momenti no.
Voi e i vostri commenti mi avete
risollevato l’umore. Di fronte a certi mi facevo di quelle risate
per le quali il mio ragazzo mi prendeva per idiota, perché mi
mettevo a ridere da sola all’improvviso.
Passiamo oltre.
*Ghost Whisperer*
In questo capitolo
c’è la parte che preferisco, quella che vi ho anticipato
nello spoiler la settimana scorsa. Qui, è doveroso innalzare
stendardi e standing-ovation a Hermione che si è tolta qualche
sassolino dalla scarpa.
Spero che questo capitolo vi
piaccia, così com’è piaciuto a me scrivere
dell’incontro/scontro tra Pansy e Hermione.
Buona lettura,
callistas
Martedì.
Un nuovo giorno lavorativo pieno di frenetici impegni per tutto lo staff che componeva la Malfoy Home.
Un nuovo giorno lavorativo per
Draco Malfoy che, quella notte, come le altre, aveva dormito un paio
d’ore e poi si era svegliato.
Un nuovo giorno lavorativo per i magazzinieri.
Un nuovo giorno lavorativo che avrebbe ridotto Hermione Granger a uno straccio con le gambe.
Fu un vero trauma per lei alzarsi alla solita ora.
Non lo avrebbe mai creduto
possibile, ma era veramente stanca. Aveva sentito la sveglia solo per
puro caso, altrimenti sarebbe rimasta a letto tutto il giorno. Aveva
impiegato un paio di minuti per riprendere il contatto con la
realtà e quando ce l’aveva fatta ad alzarsi, un capogiro
improvviso l’aveva assalita, facendola risedere pesantemente sul
letto.
Si portò una mano sulla fronte, sperando che la stanza smettesse di girare nei prossimi cinque minuti.
Si era diretta in bagno, dove
sperava che una bella doccia, l’avrebbe rimessa a nuovo. Si era
fatta una colazione che nemmeno le navi da crociera possedevano, che le
portò via ben mezz’ora di tempo, per un totale di: un
tazzone di caffè latte con circa una ventina di biscotti, cinque
fette biscottate con la nutella e altrettante con la marmellata di
fragole. Ora che sapeva che a pranzo avrebbe mangiato letteralmente al
volo, era il caso di fare una buona scorta di energie al mattino.
Prese le chiavi dal quadro appeso
vicino alla porta e se ne andò ai garage, dove la sua macchina
l’avrebbe condotta verso il suo inferno.
Quando parcheggiò
all’interno delle apposite strisce, Hermione si appoggiò
allo schienale, chiudendo gli occhi, infastidita perché aveva
ancora sonno. Certo la sera prima avrebbe potuto andare a letto senza
cenare, ma dubitava che avrebbe avuto le forze per alzarsi dal letto,
quel mattino.
Prese un enorme respiro e si diresse all’ingresso.
“Oh Cristo santo, beato,
Redentore, misericordioso…” – l’elenco
proseguì con altri aggettivi. – “Lavori di merda,
giornata di merda!” – esclamò la riccia, avviandosi
verso l’ingresso.
Stava davvero iniziando a convincersi che esistesse davvero qualcuno che tirasse i fili delle vite delle persone sulla Terra e che si divertisse davvero
a far capitare loro ogni sorta di disgrazia possibile, perché
altrimenti non si spiegava il fatto che era già la seconda volta
– troppe, per lei – che arrivava proprio assieme alla
Parkinson.
“Può lasciarmi la porta!…”
Pansy non fece nemmeno lo sforzo di girarsi, entrò e chiuse la porta.
Hermione si fermò con gli
occhi lucidi, sentendosi inspiegabilmente umiliata. Cos’aveva
fatto per meritarsi un simile trattamento da parte di quella donna?
Oh, ma quella volta non l’avrebbe passata liscia, nossignore!
Corse per raggiungere la Parkinson
e dirgliene quattro. Sapeva che il signor Malfoy gliel’avrebbe
fatta pagare salata ma non gliene importava più niente. Se
doveva arrivare sul posto di lavoro e vivere con il fegato ingrossato,
allora lei passava la mano!, anche se questo significava darla vinta a
quel muso da carlino!
“Mi scusi? Signorina Parkinson?”
Pansy si girò, facendo mostra di un bello sbuffo infastidito.
“Cosa vuoi?”
“Primo.” – disse
Hermione, lasciando basita la Parkinson per quell’atteggiamento.
– “Non ricordo di averle mai dato il permesso di darmi del
“tu”, quindi è pregata di usare con me la forma di
cortesia che io uso con lei.”
“Ma come ti…”
“Non ho finito.”
– la zittì malamente, mentre alcuni colleghi che dovevano
passare da un piano all’altro osservavano basiti Hermione
rispondere in quel modo alla fidanzata del capo. –
“Secondo: le consiglio una bella visita dall’otorino
perché non è possibile che io debba urlare come una pazza
per chiederle di lasciarmi aperta la porta e terzo…”
– stava godendo, oh se stava godendo! – “… a
differenza dei suoi, i miei genitori l’educazione me
l’hanno insegnata. Buona giornata!”
Per concludere trionfalmente quel
monologo, sarebbe stato d’effetto che le porte
dell’ascensore si fossero aperte proprio in quel momento per
permettere a Hermione un’altrettanto trionfale uscita di scena.
Purtroppo la ragazza fu costretta
a inforcare le scale e farsi i piani a piedi perché quello non
era un film, dove tutto era calcolato al millisecondo: quella era la
vita vera e per gli “effetti speciali” doveva arrangiarsi
da sola.
Nell’atrio era sceso il silenzio assoluto.
Nessuno, nessuno aveva mai osato
tanto ma c’era da dire che quello spettacolo era stato davvero
impagabile. Qualcuno era riuscito perfino a registrarlo con il
telefonino perché era certo che se lo avesse raccontato, non
sarebbe stato creduto.
Inutile dire che quel filmino aveva fatto il giro aziendale nel giro di un nanosecondo.
“Non avete niente da fare voi?!?” – strillò Pansy, inferocita per quella figuraccia.
Giunta al secondo piano Hermione
pensò che fosse meglio – per i suoi piedi, più che
altro – prendere l’ascensore. Quando arrivò ci si
rifugiò dentro e chiuse gli occhi, salvo poi ridere come una
pazza.
Oh, la faccia della Merdinson era impagabile!
Quante volte nella vita una
persona ha la possibilità di dire la cosa giusta, al momento
giusto, alla persona giusta? Rare, secondo Hermione. Di solito, nella
grande maggioranza dei casi, o ci si blocca o si scade nella
volgarità, tanto che una volta concluso lo sfogo, ci si sente
peggio perché ciò che si voleva dire non è stato
detto, perché ci si è lasciati trasportare dal rancore.
Naturalmente, dopo la meritata
risata per la faccia della Merdinson, Hermione sospirò di
amarezza, perché si era resa conto di aver appena decretato la
fine della propria carriera lavorativa all’interno della Malfoy
Home.
“Malfoy Home…
è stato bello lavorare per te.” – sospirò la
ragazza mentre entrava in ufficio.
Hermione si stava preoccupando.
Sul serio.
Non era da Pansy lasciare che un
simile affronto passasse inosservato. Perché il signor Malfoy
non la chiamava? Voleva farle il cazziatone davanti a tutti?
Beh, il motivo per il quale Draco
non si faceva vedere era molto semplice: era nel bel mezzo di una
riunione con i suoi avvocati. Stava studiando vari sistemi per tutelare
se stesso, l’azienda e i lavoratori da possibili minacce esterne,
quando una furente Pansy entrò nella sala riunioni –
quella che Draco aveva fatto insonorizzare perché due anni fa
aveva urlato come un indemoniato e l’avevano sentito fino alla
reception – pronta per avere la sua vendetta.
“… è al limite del legale, per questo dovremmo pensarci bene prima di…”
“Draco?!”
La riunione venne bruscamente interrotta da Pansy. Il primo istinto di Draco fu aprire la finestra per scaraventarla di sotto.
Ma non si usava più bussare, adesso?!?
“Pansy!” – esclamò, infastidito per quell’interruzione.
“Signor Malfoy mi scusi… non sono riuscita a fermarla!” – si giustificò Isabel, mortificata.
“Non preoccuparti Isabel,
vai pure.” – disse Draco. – “Signori, potete
darci qualche minuto, per favore?”
Draco notò immediatamente
il fastidio sui volti dei suoi avvocati per quell’interruzione.
Anche loro pensavano che aver assunto quella donna nell’azienda
in una posizione di prestigio fosse stata una mossa sbagliatissima ma nessuno, ovviamente, aveva il coraggio di dirlo ad alta voce.
Per una frazione di secondo, Draco sentì il peso della Malfoy Home sulle sue spalle.
Sentì il peso del lavoro di
suo nonno e di suo padre gravare sulle sue spalle, sentì di
essere nel posto sbagliato al momento sbagliato perché era certo
che i suoi predecessori non avrebbero mai commesso errori così
stupidi come i suoi – assumere Pansy e punire la Granger –,
sentì qualcosa schiacciargli il petto.
E non sapeva come fare per tirarsene fuori.
“Cosa ci fai qui?” – le chiese duramente, dopo aver ripreso il controllo su di sé.
“Hermione Granger!” – urlò, come se solo quel nome fosse una spiegazione sufficiente.
“Hermione Granger… cosa?” – chiese Draco, sperando in un qualche dettaglio in più.
Cazzo! Aveva altre cose più
urgenti da fare che star dietro alle beghe tra due donne!, beh, per
essere più precisi era Pansy che cercava rogne; da quello che
aveva potuto vedere, Hermione cercava di schivarle, a volte, con scarso
successo…
“Mi ha insultata e umiliata davanti a tutti!”
Draco sollevò un
sopracciglio, perplesso. Era della stessa Hermione Granger che stavano
parlando o nella sua azienda c’era un caso di omonimia?
“Cos’è successo?”
“Ha iniziato a urlarmi
contro…” – prima balla. – “… a
dirmi che sono una stronza…” – seconda balla.
– “… e che se sono qui è solo perché
sono la tua ragazza!” – terza balla.
Non era difficile per Pansy dire a Draco ciò che le faceva più comodo, perché sapeva che gli altri
dipendenti avevano paura di lei, perché le sue parole – e
le sue gambe aperte, più che altro – avevano il potere di
far pendere l’ago di Draco da una o dall’altra parte.
Draco rimase senza parole.
Sembrava davvero che il mondo
avesse iniziato a girare al contrario. In un mese era successo di
tutto! Aveva scoperto di possedere un’ottima lavoratrice che fino
a quel momento aveva sminuito, facendole fare un lavoro di
centralinista, l’aveva spostata in magazzino solo
per far star zitta Pansy ma Hermione gli aveva dimostrato di non aver
nessun problema con quel tipo di lavoro, l’aveva messa a seguire
anche un po’ di amministrazione, sperando che lei cedesse e
chiedesse scusa alla sua ragazza, in modo tale da chiudere per sempre
quel capitolo e poterla spostare in ben altri reparti, ma niente!,
aveva scoperto che questa dipendente non solo era un’eclettica in
fatto di lavoro ma non era disposta a chinare il capo di fronte a
quella che lei riteneva un’offesa per se stessa, e ora veniva a
sapere che aveva pubblicamente umiliato la sua futura moglie con
illazioni piuttosto pesanti.
“Senti, voglio che la licenzi! Non so come farai ma trova un modo per!…”
Draco non credette alle sue orecchie. Come osava quella donna dirgli come amministrare la sua azienda?
“No, no frena un attimo. Io non licenzio proprio nessuno!” – esclamò, imponendosi finalmente su di lei.
Pansy rimase basita.
“Ma… perché no?”
“Perché anche se ti sta antipatica, Hermione ha un potenziale che intendo sfruttare al meglio.”
A Pansy mancava solo che un diavoletto le spuntasse sulla spalla e il quadro sarebbe stato completo.
L’invidia le fece vedere verde e cose che non esistevano o che Draco non aveva mai detto…
“Che intendi dire?”
Draco decise che era il caso di darci un taglio.
“Non sono tenuto a discutere con te delle mie decisioni nei confronti di un dipendente.”
Finalmente sentì la
coscienza alleggerirsi. Ciò non significava che amasse di meno
Pansy, ma solo che era giusto dare un limite alle sue richieste in
azienda.
Pansy aprì la bocca, umiliata per la seconda volta.
“Parlerò con Hermione
e vedremo di chiudere definitivamente questo capitolo. Dopo di che vi
terrete reciprocamente alla larga dall’altra. Non voglio
più vederti entrare nel mio ufficio con il nome di Hermione
Granger sulla bocca. Mi sono spiegato?”
“Perfettamente.” – rispose lei. – “Hai altri ordini da darmi, signor Malfoy o posso andare?”
“Pansy…” – sospirò lui, già sfinito alle undici del mattino.
“No, no. Sta bene.”
– disse, oltraggiata. – “Se preferisci una
magazziniera a me, non ci sono problemi!”
Fece per uscire ma la voce perentoria di Draco la fermò.
“Pansy!”
La ragazza si morse il labbro, impaurita.
“Adesso rimani qui. Vado a chiamare Hermione e voglio che oggi stesso venga risolta questa faccenda!”
Pansy fece le spallucce,
indifferente ma dentro di sé gioiva per le parole con cui Draco
avrebbe sotterrato quella stronzetta.
Draco aprì la porta e
represse un gemito di sorpresa quando si ritrovò niente
popò di meno che Hermine Granger davanti alla porta con una
faccia che esprimeva fastidiosa attesa.
“Hermione!” –
esclamò, attirando l’attenzione di Pansy. –
“Giusto te cercavo. Entra.”
“Ma va?” – chiese la ragazza, entrando nella sala riunioni con passo menefreghista.
Dieci minuti prima era uscita
dall’ufficio per prendere qualcosa al distributore automatico ma
si era bloccata sull’uscio quando aveva visto Pansy entrare in
sala riunioni.
Di certo non andava dal signor
Malfoy per parlare del colore delle tende ma per fargli una testa tanta
su quanto le aveva detto quel mattino.
Così aveva aspettato
– con un po’ di concentrazione si riusciva a sentire
ciò che si diceva in quella sala anche se insonorizzata –
che Pansy finisse la sua sfuriata e farsi trovare già pronta per
la predica.
Precisa anche nel prendersi le ramanzine.
“Evita i commenti, per
favore. Allora, cos’è questa storia? Pansy mi ha detto che
l’hai umiliata davanti a tutti.”
Ed ecco il cazziatone. Immeritato, naturalmente.
Adesso però doveva decidere
il proprio futuro: ingoiare il rospo e continuare a lavorare lì,
sperando che un giorno il signor Malfoy le concedesse la
possibilità di diventare la sua segretaria personale, o mandare
a fanculo il precitato Malfoy, la sua agenda e soprattutto la sua
ragazza, ma con la possibilità di potersi guardare di nuovo allo
specchio con la consapevolezza di non essersi svenduta per uno
stipendio più alto?
“Sto aspettando.”
– disse Draco che aveva colto nel mutismo di Hermione una sorta
di conferma alle parole di Pansy.
Non lo avrebbe mai detto possibile.
“Esattamente… cosa vi
aspettate che io dica?” – chiese Hermione, scegliendo di
seguire i propri principi.
Draco non sapeva più che pesci pigliare.
Aveva addirittura pensato che
Hermione si fosse resa conto del proprio potenziale, che poteva essere
utile all’azienda e che si permettesse di rispondere male a Pansy
perché aveva la certezza che lui non l’avrebbe mai
licenziata.
Era un ragionamento un po’ contorto, ma davvero non riusciva più a venirne a capo.
“Intanto le tue scuse per come mi hai trattata!”
“E io non merito delle scuse?” – chiese Hermione direttamente a Pansy.
“Ma tu ci tieni al tuo lavoro qui?”
Bene, non mi dai del “lei?” Scordati che lo faccia pure io!, pensò Hermione, battagliera.
“Non mi risulta che il mio contratto di lavoro me lo abbia firmato tu.”
Draco e Pansy sbarrarono gli occhi.
“Chi ti ha detto che puoi darmi del tu?” – la rimproverò Pansy.
“Chi ti ha detto che puoi darmi del tu?” – la pappagallò Hermione.
La mora gonfiò le guance,
conscia che non era mai successo che Hermione le avesse dato quel
permesso, ma aveva sempre pensato che essere la fidanzata del capo le
desse delle libertà che solo la buona educazione avrebbe
consentito.
“Ma che cazzo vi prende, si
può sapere?” – sbottò Draco, lasciando basita
Pansy per il linguaggio e compiaciuta Hermione. – “Sembrate
all’asilo!”
“Ha cominciato lei!” – sbottò Pansy, dando conferma della teoria sull’asilo.
“Esattamente quando ho
iniziato, scusami?” – chiese Hermione. – “Io mi
ricordo di averti sempre dato “del lei”, di averti sempre
sorriso educatamente se ti incontravo per la strada, di averti risposto
sempre in modo cortese. Onestamente se ti ho fatto qualcosa di male
dimmelo e, potessi morire secca qui, mi inginocchierò e ti
chiederò scusa!”
Ed è anche diplomatica!, pensò Draco in un moto di profondo scoramento.
Si aspettò però che
Pansy rispondesse e iniziò seriamente a prendere in
considerazione l’idea che la sua fidanzata avesse solo una forte
antipatia per Hermione ma niente che di fatto potesse giustificare
quelle sue continue aggressioni, quando non la sentì aprire
bocca.
Oh cazzo, pensò Draco, mentre ripensava alle volte che aveva punito Hermione… per niente.
“Appunto.” – disse Hermione dopo lunghi attimi di silenzio.
Poi si rivolse a Draco.
“Signor Malfoy, io avrei
piacere di poter continuare a lavorare per lei e la sua azienda e spero
non me ne voglia, ma credo che possa capire che così non si
può andare avanti. Io non le sto chiedendo niente di
particolare: solo di poter fare al meglio i lavori che lei vorrà affidarmi nella massima tranquillità.”
E dove cazzo la trovo un’altra così?, si chiese Draco.
La diplomazia con la quale Hermione aveva chetato la faccenda era qualcosa cui Draco non era abituato.
Aveva sempre avuto a che fare con
dipendenti che si scaricavano reciprocamente addosso il barile per
evitare le punizioni ma mai che un dipendente si assumesse la
responsabilità delle proprie azioni ma al tempo stesso facesse
presente che una particolare situazione che si era venuta a creare
fosse doverosa da sistemare.
Non aveva urlato, non aveva insultato e non aveva risposto male a nessuno dei due.
“Hermione…”
– Draco si grattò la tempia, indeciso. –
“… torna pure al tuo lavoro. Oggi vorrei parlarti in pausa
pranzo, se per te va bene.”
“Devo seguire il magazzino.” – fece presente.
“Non preoccuparti.”
“Ci sono i carichi per l’America, oggi.” – spiegò Hermione.
A Pansy diede molto fastidio l’intesa tra loro due.
Draco schioccò la lingua sul palato.
“Allora appena hai finito con il magazzino, vieni da me.”
“Va bene. Permesso.” – disse, e finalmente poté uscire.
Una volta fuori, Hermione chiuse gli occhi un secondo, per capire se aveva fatto la cosa giusta.
Non avvertiva nessuna fonte di
disagio, quindi significava che non aveva sbagliato: aveva fatto capire
senza tanti giri di parole che avrebbe avuto piacere di continuare a
lavorare per lui e per la Malfoy Home ma allo stesso tempo aveva
lamentato il comportamento di Pansy nei suoi confronti e, ciliegina
sulla torta, quella stronza non era riuscita a trovare niente da
controbattere perché sapeva di essere nel torto più
marcio.
Decisamente, doveva fare il diplomatico…
In sala riunioni, comunque…
“Adesso vediamo di capirci, Pansy.” – disse Draco.
La mora lo guardò incattivita.
“Non so perché ce
l’hai tanto con Hermione e, arrivati a questo punto, non mi
interessa neanche saperlo.” – se pensava che rischiava di
perdere una lavoratrice come Hermione per una semplice antipatia gli
veniva la pelle d’oca. – “Quella ragazza sa fare il
suo lavoro, sa farlo molto bene e per quanto possa darti fastidio,
intendo puntare su di lei.”
“Cosa?!?”
“Sai benissimo che non amo
discutere le mie scelte aziendali perciò questo è quanto.
Limitati da oggi in poi ai tuoi compiti.”
“Non finisce qui Draco! E
scordati l’appuntamento di stasera!” – urlò,
uscendo dalla sala riunioni e sbattendo la porta.
E Draco si ritrovò a sospirare per il sollievo.
I carichi per l’America
erano piuttosto delicati, così come tutte le consegne che
dovevano lasciare l’Inghilterra via mare. Il margine di errore,
lì, scendeva sotto lo zero assoluto, poiché quando una
nave lasciava il porto, era piuttosto difficile farla tornare indietro.
Infatti, i magazzinieri
controllavano fino a cinque volte che il piano cucina o
l’arredamento ordinato corrispondesse al nome sulla fattura e che
l’imballaggio fosse tre volte più resistente,
perché non si sapeva mai chi poteva fare le manovre di carico.
Quel giorno i carichi per
l’America erano otto e i controlli seguivano una specie di catena
di montaggio. Roger leggeva la destinazione a scaglioni, ossia prima il
nome, poi l’indirizzo, poi il CAP, poi il paese, e Josh, Evan,
Greg, Martin e Christian la ripetevano, confermando così la
correttezza dell’indirizzo.
Tale sistema di controllo era
stato ideato da Draco in persona, quando un piano cucina che doveva
andare in Asia si era ritrovato in Sud Africa. Riportarlo indietro
aveva portato via molto tempo e ancora di più denaro,
perché la Malfoy Home – dopotutto, era stato un errore suo
– si era accollata le spese di ritiro, di trasporto e di
montaggio presso la destinazione finale.
E non si era trattato di noccioline…
Hermione aveva il compito di
preparare i documenti di trasporto e le fatture, perché quella
merce doveva superare il confine e la dogana del paese che esportava e
quello che riceveva.
La documentazione, poi, era infinita.
La dogana britannica richiedeva
cinque copie, dieci quella americana. Lo spreco di fogli era assurdo,
perché era sufficiente fare una copia conforme
dell’originale ma non era possibile. Entrambe volevano le fatture
in originale. Infilò tutto nelle rispettive buste con
l’indirizzo scritto al computer e le consegnò ai colleghi
man mano che i controlli venivano effettuati.
Finì verso le quattro del
pomeriggio, perché un autista aveva ritardato di un’ora
l’arrivo e aveva messo tutti un po’ nei pasticci.
Fu così che alle quattro e
dieci di quel martedì, Hermione tornò nell’ufficio
di Draco pronta per… beh, non sapeva cosa l’attendesse, ma
era pronta a tutto.
“Permesso?”
“Avanti. Ah Hermione
entra.” – disse Draco, sistemando alcuni documenti e
pinzandoli. – “Tutto bene con i carichi per
l’America?” – s’informò Draco, notato
l’orario di arrivo della ragazza.
“C’è stato un
ritardo che ha sfasato un po’ tutto, ma siamo riusciti comunque a
farli partire.” – spiegò la ragazza.
“Perfetto.”
Appoggiò tutto quello che aveva in mano sul tavolo per concentrarsi solo sulla ragazza.
“Allora, vediamo di chiudere qua questo discorso.”
Speriamo che sia la volta buona, pensò Hermione.
“Ho parlato con Pansy. Non ci saranno ulteriori problemi.”
“Grazie.” –
disse Hermione, che avrebbe preferito di gran lunga saltargli al collo
e omaggiarlo con una statua a Piccadilly Circus per la gioia di quella
notizia.
“Aspetta a farlo. Tu, d’altro canto, evita lo scontro.”
“Guardi che io non ho mai cercato…”
Con un gesto della mano Draco la
zittì. Forse non era ancora pronto per sentirsi dire che la sua
fidanzata non era poi così perfetta come credeva.
La cosa la urtò comunque,
perché voleva solo che lui afferrasse il concetto che non era
lei ad andarsele a cercare! Era Pansy che sembrava correrle dietro per
attaccar briga!
Beh, accettò comunque il fatto che Draco le avesse detto di starle alla larga. Era già un passo avanti…
“Non voglio sentire altro. Spero di non dover più tornare sull’argomento.”
“Non succederà, signor Malfoy.” – disse Hermione, dando la sua parola.
“Perfetto. Allora siamo a posto.”
“Posso andare?”
“Sì certo. Buon lavoro.”
“Anche a lei.”
Hermione uscì soddisfatta a metà.
Se avesse potuto finire la frase,
la sua felicità sarebbe stata completa, ma si accontentò
che Draco si fosse reso conto che era Pansy ad aver iniziato quella
sorta di guerra e non lei.
I giorni passavano e Hermione continuava a dividersi tra l’amministrazione e il magazzino.
Ormai aveva preso la mano con quel
ritmo e aveva imparato a gestire meglio il suo tempo. Quando tornava a
casa, la sera, faceva una seconda doccia, cenava e portava fuori il
cane.
Lilly era abbastanza indispettita da tutti quei cambiamenti di orario.
E prima si usciva a un orario, poi
glielo cambiava, poi glielo cambiava ancora… per tutti i
cagnolini!, lei aveva un timer alla vescica che andava rispettato!
Quella sera, infatti, Lilly era
parecchio nervosetta e faceva i capricci. Hermione, già stanca
di suo, la rimproverava ma poi, riflettendoci più attentamente,
non poteva prendersela con il cane se era lei che continuava a
cambiarle gli orari.
“Lilly scusa…” – disse, mortificata.
Quel cane era un regalo da parte di una persona speciale e l’aveva trattato alla stregua di un essere umano.
“… so che ti secca continuare a cambiare gli orari ma non lo faccio mica apposta!”
Un tizio passò di lì
in quel momento. Anche lui stava portando fuori a passeggio il proprio
cane, ma non si sarebbe mai sognato di parlarci insieme in mezzo alla
strada! La guardò divertito, però.
Hermione, invece, se ne
infischiò altamente del giudizio delle persone che avrebbero
potuto prenderla per pazza per quel comportamento. A Lilly mancò
solo di arricciare il naso per la scocciatura.
“Dai, ti do un biscottino dopo.”
E finalmente tornarono a casa senza più intoppi.
Come previsto dalla tabella di
marcia, Hermione andò a letto, tirandosi dietro il cane che si
sistemò – con la pancina piena di ben tre!, biscotti
– sul suo cuscino in fondo ai piedi.
“Notte Lilly.”
E con uno sbuffo del cane, si addormentarono.
Altro tempo passò da quando
Draco aveva emesso il suo verdetto e si era arrivati, ormai, alla fine
di Ottobre. Hermione passava dall’amministrazione al magazzino
con estrema facilità.
Le prime volte faceva confusione
con i due lavori: parlava a Ginny e a Lavanda del magazzino e a Roger
delle provvigioni degli agenti. Stava davvero rischiando di fare una
figuraccia ma il suo solito spirito di sopravvivenza era venuto in suo
aiuto, riportando le cose alla loro normalità.
“Sei sicura di poter reggere questo ritmo, Hermione?” – le chiese Roger sinceramente preoccupato.
La ragazza gli sorrise grata.
“Tranquillo… iniziati
a preoccupare quando leggerai il mio necrologio.” –
scherzò lei, ma Roger, evidentemente, non era in vena di
scherzare.
“Hermione, sul serio… non so se questa fatica ne valga la pena.”
Roger aveva saputo il
perché Hermione faceva due lavori dalla ragazza stessa durante
una delle tante pause pranzo. Gli aveva raccontato di come quel doppio
lavoro fosse arrivato come punizione per aver risposto a quella
smorfiosa di Pansy.
“Roger,
tranquillo…” – disse Hermione, appoggiando una mano
sul suo braccio per rincuorarlo. – “… quando ho
risposto per le rime alla signorina Parkinson… e Dio solo sa
quante lezioni di umiltà servirebbero a quella…”
– disse, aggiungendo una piccola nota personale. –
“… sapevo a cosa andavo incontro, o meglio… sapevo
di una punizione, ma non immaginavo che potesse consistere in un doppio
lavoro. Comunque il signor Malfoy sembra aver capito con chi ha a che
fare. Quando lavoravo da mio padre, ho passato mesi interi a non
mangiare a mezzogiorno perché c’era da fare e non mi
è mai successo niente. Farò i miei lavori e
metterò lo stesso impegno che ci mettevo quando ne facevo solo
uno. Alla fine di tutto, non sarò io a cedere Roger,
sappilo.”
Era determinata e Roger lo sapeva,
così come sapeva che dissuaderla dal suo obiettivo sarebbe stata
un’assurdità bella e buona.
Ma il capo magazziniere aveva una brutta sensazione al riguardo. E aveva paura per Hermione.
Tra i tanti compiti che venivano
raggruppati sotto la voce “amministrazione” – un
termine piuttosto vago – era che Hermione dovesse scendere di
tanto in tanto nel sottosuolo per informarsi su come proseguissero i
calendari.
Un piccolo sfizio che si era
concesso il padre di Draco – e che Draco stesso aveva mantenuto
– era fotografare i prodotti con accanto modelle mozzafiato.
Le foto che andavano per la
maggiore erano quelle dei piani cucina. In soldoni si trattava di
lastre, solitamente lunghe 3 mt, di vari colori, addosso alle quali si
stagliavano delle vere e proprie pertiche di ragazze. Le norvegesi
erano quelle che andavano per la maggiore, perché avevano le
specifiche richieste per quel tipo di lavoro: gambe chilometriche,
occhi azzurri e capelli biondi.
Di tanto in tanto si poteva scorgere qualche asiatica e qualche sudafricana ma Draco sembrava prediligere le nordiche.
Il compito di Hermione era
scendere e controllare che tutto andasse bene e accertarsi che alle
modelle venisse concesso ciò che richiedevano.
“A destra! No! Ferma così! Brava!”
Il fotografo – Hermione non
lo aveva mai sentito nominare, ma nel suo campo era abbastanza bravo
– impartiva gli ordini che tutte cercavano di seguire alla
lettera.
Per un attimo, Hermione si chiese
perché non potesse essere nata in Norvegia. Cavolo!, sembrava
che quelle ragazze fossero fatte con lo stampino! Tutte belle!, tutte
magre e tutte alte!
Lei al confronto era un nano da giardino.
“Ok, bene! Dieci minuti di pausa e poi continuiamo!”
Rimasta in disparte fino alla fine
di quel primo round, Hermione si avvicinò, con non poco
imbarazzo accanto a quelle bellezze naturali.
“Ciao, io sono Hermione, quella nuova. Se per caso ti servisse qualcosa, dimmelo pure, ok?”
“Oh ti ringrazio.” – disse una, particolarmente gentile.
Si sentì un po’ presa
in contropiede, perché immaginava che le modelle fossero tutte
altezzose e con la puzza sotto il naso. Le fece piacere vedere che in
giro qualcuno aveva ancora un po’ di educazione…
passò tutte le modelle in rassegna, presentandosi e facendo
presente che era lì per loro.
Prima di andare via, però, volle dare un’occhiata alle fotografie.
Dire che erano bellissime, era offendere il fotografo e la modella.
Le luci cadevano su quei statuari
corpi come se fosse stata dipinta e le rendeva ancora più belle
di quanto non fossero in realtà.
“Che ne pensi?” – chiese una voce maschile dietro di lei.
Hermione sobbalzò ed ebbe la brutta sensazione di essere stata beccata con le mani nella marmellata.
“Io… scusi… le stavo solo guardando…” – si giustificò, imbarazzata.
Fortuna che nessuno le stava prestando attenzione.
“Sì, ho visto. Volevo solo sapere che ne pensi.”
“Perché lo chiede a me?”
“Perché, senza
offesa, non sei del settore e siccome queste foto andranno sugli
scaffali del grande pubblico, volevo sapere cosa te ne pareva.”
“Oh, non mi offendo.”
– lo rassicurò Hermione che tornò a guardare le
foto. – “Dunque… beh, che sono tutte belle mi pare
scontato…” – iniziò. – “…
però, se dovessi scegliere quella che mi piace di più,
prenderei questa.” – disse, indicandogli con il dito una
foto.
“Perché proprio questa?” – chiese il fotografo, interessato.
A dire il vero, lui era intenzionato a scartarla, perché non lo aveva soddisfatto.
“Mi piace il contrasto dei capelli della modella sulla lastra.” – spiegò Hermione.
Il fotografo studiò con
maggior attenzione quella foto. Parte del suo lavoro consisteva nel
saper adocchiare immediatamente ciò che era buono da ciò
che doveva essere scartato. Purtroppo, a volte, rischiava di commettere
degli errori a causa della routine del lavoro.
“Biondo su rosso…” – sussurrò l’uomo.
“Sì. Magari è
una stupidata, però ci sono delle donne che si fanno la testa
rossa, mogano, rosso vivo o qualsiasi altro tipo di rosso e poi ci
fanno delle meches bionde. A parer mio non stanno male. Poi lo sguardo
mi piace…”
“Che ha lo sguardo?”
“Sembra che stia pensando a
qualcosa di importante…” – disse Hermione. –
“… del tipo… cosa cucino stasera?” –
scherzò la riccia, poiché si stava parlando di piani
cottura.
Il fotografo rise divertito.
“E mi piace anche
com’è reclinata la testa sulla lastra. Mi da un senso di
familiarità. Ecco, per esempio… questa invece non mi
piace.” – continuò Hermione. –
“Cioè… è bello il colore della lastra e la
modella è da mettere nel Patrimonio
dell’Unesco…” – continuò a scherzare
lei, incontrando il favore del fotografo che si espresse in una bella
risata. – “… ma è fredda, distaccata…
boh, non so come spiegarmi…” – si giustificò.
“No, no… ho capito cosa vuoi dire. Vuoi provare a fare qualche scatto?” – le propose.
Hermione sbarrò gli occhi.
“No, no! Che poi le si rompe l’obiettivo della macchina!” – si prese in giro.
“Beh… scusa, non ho capito come ti chiami.”
“Hermione Granger.”
“Bene Hermione Granger, ti ringrazio: mi hai dato un paio di idee.”
“Oh si figuri. Per il
pagamento le farò avere le coordinate bancarie.” –
continuò a scherzare lei.
“Le aspetto.” – rispose l’altro, ridendo.
“Ora devo andare. Arrivederci.”
“Ciao!”
Il fotografo continuò a
ridere per le battute di Hermione e prima che lei svoltasse
l’angolo, lui si girò e sorrise ancora.
“Si ricomincia!” – urlò.
Era tornata al proprio posto con un bel sorriso soddisfatto.
Una persona importante le aveva
chiesto un’opinione e non era stata bistrattata per le sue idee,
anzi… erano state accolte con educazione e simpatia. Che poi non
ne mettesse in pratica nemmeno una non le importava: le interessava
solo l’educazione.
In tarda mattinata, Hermione venne convocata nell’ufficio di Draco.
“Sbaglio o sei più nell’ufficio di Draco che non nel tuo?” – scherzò Lavanda.
“Davvero!” –
esclamò la riccia, leggermente ansiosa. – “Va a
finire che ci metto una brandina!” – rispose lei.
Preoccupata – quando andava
in ufficio da Draco non erano mai buone notizie – si diresse
verso l’ufficio e si fece annunciare, come al solito, da Isabel.
“E’ permesso?” – chiese la riccia che si sorprese nel trovare il fotografo di prima.
“Vieni Hermione.”
Hermione entrò, mentre Draco confabulava con il fotografo che scoprì chiamarsi Jason Taylor.
“Devo farti vedere una cosa.”
“Cosa?”
Draco le porse una busta
abbastanza pesante. Quando l’aprì e vide che erano delle
fotografie, alzò gli occhi su Jason.
“Ci devo tappezzare la camera?” – ironizzò lei.
Jason rise mentre Draco era
rimasto un po’ allarmato dalla frase. Jason era piuttosto
lunatico ma sembrò che quella volta non se la fosse presa.
Quella ragazza lo avrebbe spedito al manicomio!
“No, dirmi cosa ne pensi.” – disse il fotografo.
Hermione le adagiò sulla scrivania.
“Io credo che abbiate le
persone adatte per questo compito, persone che studiano
l’andamento del mercato e le preferenze delle persone. Non vi
servo di certo io per questo. Le mie sono solo impressioni
personali.”
“Ed è questo che ti sto chiedendo, Hermione.”
Draco alzò lentamente gli occhi sulla riccia.
Quando sarebbe rimasta da sola con
lei, le avrebbe chiesto da che razza di pianeta provenisse per essere
riuscita a conquistare Jason in così poco tempo, quando lui
invece aveva dovuto fare i salti mortali!
La donna arricciò le labbra.
“Di là ho le mie coordinate bancarie.” – scherzò lei.
La risposta di Jason fu una bella risatina.
“Allora… no, no, no, no, no… sì… no, sì, no…”
Man mano che passava le fotografie
metteva da parte quelle che non le piacevano e quelle che le piacevano
sotto lo sguardo allibito di Draco che non riusciva a capire come Jason
permettesse a un’impiegata di fare, primo, una selezione delle
sue fotografie, e secondo, non si arrabbiasse!
Per sicurezza, Hermione
ripassò le fotografie scartate e le studiò meglio. Ne
spostò un paio sul “sì” e poi le
commentò insieme ai due.
“Perché?” – le chiese Jason, mentre la guardava divertito.
La mente di Hermione stava lavorando.
Quando aveva scelto le foto per il
“sì”, lo aveva fatto perché il suo cervello
aveva elaborato che in quelle c’era un filo conduttore, un comune
denominatore che però non riusciva a individuare subito.
Ripensò alla conversazione
fatta con Jason sottoterra e si illuminò quando comprese che
l’uomo aveva usato una sua idea per realizzare un servizio che
poi sarebbe andato in stampa.
“Hai fatto gli abbinamenti testa-lastra! Dai! Non ci credo!” – esclamò, raggiante.
“Ho visto che funzionavano.
Sai, a dirti la verità, la foto che avevi scelto, avevo
intenzione di buttarla via. Non ci vedevo niente di particolare, ma il
tuo punto di vista mi ha aiutato.”
“Sono contenta.”
“Allora abbiamo le foto?” – chiese Draco.
“Abbiamo le foto.”
– confermò il fotografo. – “Le farò
avere la prima bozza quanto prima e…”
“Jason scusa… posso chiederti una cosa?”
“Sì, certo.”
“Perché non c’è neanche un ragazzo su queste foto?”
I due si guardarono e misero a ridere. Dopotutto Hermione era una donna e anche lei aveva gli occhi per guardare.
“Perché solitamente
sono le donne che stanno in cucina Hermione.” – la
rimproverò bonariamente il fotografo.
“Appunto.” – disse Hermione con una faccia eloquente.
“Allora dimmi. Perché vorresti vedere un uomo su queste lastre? Una donna attira di più.”
“Tu hai detto che
nell’immaginario collettivo è la donna che sta in cucina
ma secondo te, io che sono una donna, e vedo questo schianto di ragazza
su un piano cucina, mi viene voglia di comprarlo? Mettici pure che ho
dei seri complessi di inferiorità, dubito seriamente che
potresti mai vedermi qui a comprare una lastra.”
“Fai paura.” – disse Jason, che non aveva preso in considerazione quell’aspetto.
Come aveva detto Hermione poco prima, c’erano persone predisposte per questo tipo di studi.
“Concludendo, forse agli
uomini piacerà… anzi, togli pure il forse, vedersi una
stangona norvegese sul piano cucina, ma se, per l’appunto, in una
cucina deve entrarci una donna, credo sarebbe il caso di attirare il
pubblico femminile, o sbaglio?”
“La tua proposta quale sarebbe?” – chiese Draco, che aveva capito dove la ragazza voleva andare.
“Fate uscire le foto, non fanno male a nessuno, ma… io farei anche un servizio maschile.”
Draco arricciò le labbra,
non del tutto convinto, però il ragionamento di Hermione filava:
la cucina era un ambiente prettamente femminile e doveva attirare un
pubblico femminile. Quindi…
“Vediamo come va a finire.” – disse Draco.
Hermione sbarrò gli occhi,
incredula. Aveva accettato una sua proposta per una cosa così
importante? All’improvviso non si sentì più tanto
sicura dei suoi ragionamenti.
“Allora è andata.” – disse Jason.
Tanto, lui veniva pagato per fare le foto: uomini o donne non faceva differenza.
Hermione era sbigottita. Era d’accordo pure lui? Oh, cavolo!
“Hermione, ora puoi darmi le tue coordinate bancarie.” – scherzò Jason.
La ragazza negò con il capo a bocca aperta.
“Fammi solo assistere al servizio…”
I due si misero a ridere.
Quando Jason si allontanò
dall’ufficio di Draco per organizzare il tutto, rimasero solo
Draco e Hermione. Quest’ultima era ancora scossa per ciò
che era appena avvenuto: un ragionamento che lei per prima aveva
giudicato campato in aria e che aveva esposto più per
divertimento che reale convinzione, gli si era “ritorto”
contro.
Ma, in fondo, non era forse quello
il suo scopo?: dimostrare al signor Malfoy di essere una persona
affidabile e sulla quale poteva contare per poter avanzare nella Malfoy
Home?
E la cosa che la stupiva
maggiormente era che era stato facile! Credeva di dover fare
chissà che, e invece una semplice idea aveva incontrato
l’approvazione del fotografo e del titolare!
Qui urgeva una sbronza!
“Vedo che hai fatto amicizia anche con Jason.”
Era quasi ora di pranzo.
“Non avrei dovuto?” – chiese.
“No. Mi chiedo solo se tu non venga da Venere.”
“Perché? Perché riesco a trattare con le persone?” – chiese, con leggera ironia.
“Ci sono persone qui dentro che non sono facili da trattare.”
Hermione e Draco pensarono
immediatamente a Pansy e da come si guardarono, lo compresero al volo.
Distolsero subito lo sguardo dall’altro.
“Forse.” –
concesse lei. – “Ma la parola chiave per trattare con le
persone è una sola, signor Malfoy.”
“Che sarebbe?”
“Educazione. Pura e semplice educazione. Le auguro buon pranzo.” – disse, uscendo dall’ufficio.
Draco non rispose.
Educazione.
Fortunatamente quel giorno poteva fare un pasto decente.
Decise di andare al bar di Ron, il
Boccino d’Oro, perché era da tanto che non lo vedeva. Le
mancava la compagnia del rosso e doveva anche aggiornarlo sulle
novità.
Attese che l’ascensore arrivasse al piano per scendere.
Quando le porte si aprirono, fece
solo pochi passi quando udì la voce di Pansy. Si fermò di
scatto, indecisa. Se fosse passata in quel momento sicuramente sarebbe
successo qualcosa, nonostante la parola di Draco e non voleva rischiare
di rovinarsi il pranzo.
Ma fu proprio in quei pochi secondi, mentre decideva il da farsi, che la sentì parlare al telefono con qualcuno.
“Sì, sì ho capito. Non sono stupida.”
Hermione fece una faccia come per dire “io avrei qualcosa da dire in merito” ma rimase zitta.
“Ho detto che lo farò. Mhm… proposta interessante la tua…”
Hermione aprì la bocca, incredula.
Non riuscì a credere a cosa
stesse ascoltando. Il tono usato era volutamente sensuale e a meno che
Pansy Parkinson non fosse diventata lesbica nel giro di qualche ora,
suppose che dall’altra parte del telefono vi fosse un uomo.
“Stasera? Sì, credo di sì. Prepara tutto l’armamentario…”
La conversazione finì lì e Hermione aspettò qualche secondo prima di uscire allo scoperto.
Quando uscì da dietro la
palma aveva una faccia che atterrita era dire poco. E adesso? Cosa
doveva fare? Che dovsse andare dal signor Malfoy e dirglielo? E se
avesse travisato tutto? Se magari dietro quel telefono vi fosse stata
una sua amica e ci avesse scherzato? Di tanto in tanto lo faceva anche
lei con le colleghe.
Beh, intanto era il caso di uscire da lì.
Le serviva una bella boccata d’aria fresca – fredda – per pensare lucidamente.
“Ehi, chi non muore si rivede, eh?”
Quando Hermione vide il suo amico
Ron, quella conversazione passò subito in secondo piano. Era
felice di rivederlo e lo abbracciò.
“Come stai?”
“Io bene e tu? Ma ti hanno fatto direttore? Non ti si è più vista!”
“No, solo che mi hanno dato dei lavori da seguire…”
Così, dopo aver ordinato da
mangiare, gli raccontò per filo e per segno tutto quello che era
successo, senza omissioni, se non l’ultima conversazione
ascoltata.
“E questo è tutto.” – concluse.
“Certo che quel mondo
è proprio marcio…” – commentò Ron, che
servì un caffè a un avventore.
“Ormai mi sono abituata.” – chiarì Hermione, che aveva finito il secondo.
“Sarà, ma io al tuo posto avrei già mollato.”
Hermione gli sorrise.
Qualche attimo più tardi si ritrovarono seduti entrambi a un tavolino con qualcosa da bere e da sgranocchiare davanti.
Chiacchieravano del più e del meno, finché non fu ora per Hermione di tornare al lavoro.
“Sono stata contenta di rivederti Ron, ma adesso devo andare.”
“Allora ci vediamo la prossima volta.”
“Sì certo! Ciao!”
Quando Hermione uscì dal bar, la telefonata udita della Parkinson tornò a schiacciarle il petto.
Per quanto non avesse apprezzato
l’atteggiamento del signor Malfoy nei suoi confronti, nessun
meritava un Giuda Iscariota come fidanzata, nemmeno Draco.
Però era davvero indecisa su come agire. Non voleva essere la causa di un litigio.
Per il momento preferì accantonare la questione.
Quando salì in ufficio, si
mise subito al lavoro e verso le quindici e trenta del pomeriggio, una
modella la disturbò.
“Ciao, ti serve qualcosa?” – le chiese.
“Sì, scusa tu sei Hermione vero?”
“Sì, dimmi tutto.”
“Io avrei finito. Volevo sapere se potevate pagarmi in contanti per stavolta. È possibile?”
“Ah…” –
disse Hermione, leggermente presa in contropiede. – “Non
puoi proprio aspettare il bonifico?”
“Purtroppo no, mi dispiace.
Ho dimenticato il portafoglio in agenzia e ho un aereo da
prendere.” – rispose l’altra abbastanza frettolosa.
Hermione ci pensò su un
attimo. Solitamente era prassi pagare le prestazioni con bonifici, ma
forse in questo caso era possibile fare un’eccezione.
L’unica cosa che non le andava giù di tutta la faccenda
era che i contanti li teneva il signor Malfoy nella propria cassaforte
e per avere quei soldi lei avrebbe dovuto vederlo.
Sbuffò.
Purtroppo non poté fare tanto la schizzinosa, perché la ragazza aveva fretta.
“Aspetta un secondo, devo chiedere al signor Malfoy.”
“Sì, grazie…”
Si diresse dal signor Malfoy,
sperando vivamente che acconsentisse e che non le facesse perdere
troppo tempo. Erano solo le quindici e trenta del pomeriggio, ma era
dovuta scendere tre volte in magazzino perché sembravano esserci
problemi con le consegne. Una volta risolti, era ritornata al suo posto
e aveva dovuto ricominciare tutto d’accapo.
TOC TOC
“Avanti…” – disse una voce femminile.
Hermione alzò gli occhi al cielo e mandò a quel paese tutti i suoi abitanti.
“Permesso?” – chiese lei atona.
Draco sussultò leggermente quando la vide entrare.
“Cosa vuoi?” – chiese Pansy, bistrattandola com’era suo solito fare.
Hermione dovette armarsi di una santa, santissima pazienza. E meno male che era tutto risolto…
“Signor Malfoy, mi
scusi…” – disse Hermione, ignorando deliberatamente
Pansy, che se ne risentì tantissimo.
“Dimmi.”
“Di là
c’è una modella che chiede un pagamento delle sue
prestazioni in contanti. Dice che è solo per questa volta.”
“Di che prestazioni stai parlando?” – chiese Pansy, che volle intendere solo quello che pareva a lei.
Oddio…ma le hanno
impiantato un cervello là dentro o c’è solo una
mosca che gira sopra un cumulo di merda?, pensò Hermione,
cattiva come il veleno.
Draco notò che Hermione aveva tentato di dissimulare la propria antipatia fingendo di avere qualcosa nell’occhio.
“Credo lavorative, signorina Parkinson…” – disse Hermione con lieve sarcasmo, colto solamente da Draco.
Aveva scelto di non dire il vero
motivo di quel pagamento, perché la infastidiva oltre ogni dire
dover dare delle spiegazioni a qualcuno che non fosse il diretto
interessato. Se glielo avesse chiesto il signor Malfoy, a lui
sicuramente avrebbe risposto.
“Come mai non può
aspettare il bonifico?” – chiese Draco, in un certo senso
sollevato di poter parlare con Hermione senza doverci litigare.
“Dice che ha urgente bisogno dei contanti ma non mi ha detto il perchè.” – mentì.
“E hai fatto male.”
– s’intromise Pansy. – “Se vuole i contanti,
dovrà fornire al direttore una scusa ben più plausibile
di questa.”
“Non è mia abitudine
impicciarmi degli affari altrui, signorina Parkinson.” –
tagliò corto Hermione.
Quel giorno Hermione si era
svegliata di umore sarcastico. Draco se ne accorse, ma Pansy
capì solamente che quella ragazza le aveva risposto malamente
un’altra volta e ciò non poteva tollerarlo.
Draco sorrise, dentro di sé. Quella ragazza non aveva proprio paura di niente…
“Senti un po’ Granger, tu non…”
“Signor Malfoy, allora? Alla
modella cosa devo dire?” – chiese Hermione che non aveva
voglia di battibeccare con quella per niente.
In più, appena
l’aveva vista, le era tornata alla mente la conversazione che
aveva sentito e si era infastidita parecchio nel trovarsi in
quell’incresciosa situazione.
“Aspettami fuori. Preleverò il contante dalla cassaforte.”
“Grazie.” – uscì senza salutare.
Draco aveva digitato alcuni numeri
sulla cassaforte, mentre Pansy pensava a un modo per farla pagare a
quella ragazzina insolente.
Il biondo prese il corrispettivo
per la modella e, senza salutare Pansy, uscì dall’ufficio,
dove trovò Hermione ad aspettarlo appoggiata al muro.
Non era un atteggiamento molto
professionale: era come se stesse aspettando un vecchio amico
anziché il suo titolare. Eppure, non riuscì a dirle
niente.
Forse l’averle dato della puttana ancora gli pesava.
“Andiamo.” – disse Draco, avviandosi con dietro Hermione.
Rimasero in silenzio alcuni secondi, poi l’uomo riprese la parola.
“Non ti riesce proprio di morderti la lingua, non è vero?” – chiese girandosi verso di lei.
Era divertito e Hermione capì che se avesse fatto dell’ironia, quella volta non ci sarebbero stati provvedimenti.
“Mi sono tolta la dentiera, stamattina…” – minimizzò, con un cenno del capo.
Draco scosse la testa e la ragazza tirò un silenzioso sospiro di sollievo.
“Ma se vuole aggiungere un terzo lavoro, faccia pure.”
Draco si fermò e Hermione
si maledisse in tutte le lingue che conosceva, anche quelle morte per
la mania di voler avere sempre l’ultima parola.
“Credo che te lo sia proprio
meritato, Hermione.” – disse Draco con il sorriso di chi si
complimenta con un lavoratore per la brillante idea.
Hermione, prima di riprendere il
passo, fece il segno dell’impiccato con la sciarpa e pian piano
s’incamminò dietro il suo titolare.
L’aspetto imponente di Draco metteva in soggezione chiunque.
Era molto alto e il suo sguardo non aiutava di certo a tranquillizzare l’animo della modella agitata.
Aveva bofonchiato due parole in
croce, sperando che il direttore della Malfoy Home non insistette
più di tanto, ma se fosse stato per lui, a quest’ora la
modella sarebbe stata rinchiusa in una saletta buia con una lampadina
puntata contro. Fortuna che le venne in aiuto Hermione che, con
diplomazia, era riuscita a far avere alla modella i suoi contanti. Era
letteralmente scappata a gambe levate e i presenti diedero la colpa
alla figura imponente del direttore.
In ufficio tutti sembravano più solerti nel lavorare, specie quando Draco vi metteva piede.
Hermione si sedette alla propria scrivania quando il telefono suonò.
“Pronto? Sì, ciao
Roger.” – lo salutò. – “Ah…
sì… sì. No, non ti preoccupare, sì, scendo
subito.” – poi riagganciò la cornetta.
“Problemi?”
“Roger è un po’
incasinato con il lavoro. Mi ha chiesto una mano. La saluto.”
– salutò Hermione, allontanandosi dal direttore.
“…un’autografo qui e siamo a posto!” – disse Hermione a Frank.
Ormai quel corriere aveva perso la
sua cattiva abitudine di arrivare in ritardo e, se sollecitato con le
giuste parole, aveva iniziato a lavorare decentemente.
“Ecco qua.” –
disse l’autista, con un sorriso che Hermione
contraccambiò. – “Allora… ho sentito che ti
hanno messa a fare il doppio lavoro…” – disse Frank,
piegando a metà la bolla d’accompagnamento.
Hermione alzò gli occhi.
“Già… la
mattina sono su in ufficio e in pausa pranzo qui in magazzino, per poi
riprendere a lavorare in ufficio fino alle sei e tornare qui alle sei e
un quarto in caso di bisogno.”
“Hai fatto incazzare qualcuno?”
“Solo il direttore.”
– rispose lei con noncuranza. – “Fa attenzione quando
guidi, ok?” – si premurò Hermione.
“Tranquilla… ci vediamo!”
“Ciao ciao!”
Finito con Frank, Hermione
uscì dall’ufficetto e andò ad aiutare i ragazzi a
scaricare gli arrivi, li controllò e poi li rimise al loro
posto. Purtroppo con quei due lavori, Hermione aveva poco tempo da
dedicare alla chiacchiera, come invece avrebbe voluto fare, ma non
poteva. Sentiva di dover dimostrare al signor Malfoy che lei era in
grado di cavarsela benissimo.
Emise altri due D.D.T. e poi tornò di sopra.
Draco era dietro la vetrata.
Aveva osservato Hermione lavorare incessantemente fin da quando era arrivata.
Pensava.
Pensava a quel piccolo battibecco,
se così si poteva chiamare, avvenuto quel mattino, sul fatto di
mordersi la lingua. Non era avvezzo a certi tipi di cose, ma se lo
fosse stato, si sarebbe messo a ridere a crepapelle per la battuta.
E poi ad essere onesti, Pansy se
l’era proprio cercata. E tutto per la sua mania di compiacerlo in
tutto e per tutto. Era a dir poco stancante, ad un certo punto.
Si mise a pensare a come l’aveva conosciuta. In discoteca?
No.
Si erano trovati a un party,
organizzato da uno dei soci in minoranza della Malfoy Home, Theodore
Nott, gliel’aveva presentata proprio lui e ne era rimasto
affascinato fin da subito. Il corpo era fasciato in uno splendido abito
firmato Armani, i capelli erano raccolti nel suo solito chignon,
impreziosito da un diadema stile principessa delle fiabe. Si erano
appartati per chiacchierare e aveva scoperto di avere molte cose in
comune con lei. Il gusto per la bella vita, il buon cibo, il buon
vino… e fu grazie ad una sonora sbronza che i due si ritrovarono
in una delle stanze della villa che Theodore aveva affittato per il
party a dar libero sfogo a quell’attrazione iniziale.
E poi era semplicemente continuata. Cena in un ristorante diverso ogni sera, regali costosissimi e tanto, tanto, tanto sesso.
E adesso… invece di
starsene rinchiuso nel suo ufficio a pensare a Pansy e a fare
l’amore con lei, si era ridotto a guardare una sua dipendente,
scorbutica e imperfetta, uscire dal magazzino per riprendere il suo
lavoro amministrativo.
E tutto nel giro di un mese.
Si chiese se suo padre avesse mai
commesso una simile leggerezza, si chiese se lui sarebbe stato in grado
di individuare fin da subito il potenziale di Hermione e farne di lei
una sorta di braccio destro.
Però doveva ammettere che in un solo mese quella ragazza aveva smaltito un bel po’ di arretrati.
L’aveva vista quando aveva fatto il segno dell’impiccato e aveva sorriso.
Draco Malfoy, l’impenetrabile, aveva sorriso di fronte alla spontaneità umana.
La vide prendere l’ascensore e dirigersi verso i piani alti e così fece anche lui. Si diresse verso il suo ufficio.
“… penso per la
settimana prossima…” – Hermione era al telefono con
un agente. Stava parlando della sua provvigione. –
“… no, no… è che speravo che mi
potessi… come? No, no… ti dicevo… aspettavo la
fattura dell’ultima fornitura per poterti pagare. Così
inglobavo tutto e non lasciavo niente al mese prossimo.” –
poi sorrise. Aveva raggiunto l’accordo. – “Allora
facciamo così. Aspetto la fattura. Intanto mandamela per fax
così mi butto avanti. Ok, grazie mille, Alex, a presto!”
– Hermione riagganciò e scribacchiò un post-it che
appese a lato dello schermo del pc. Ora aveva finito anche con le
provvigioni di quel mese.
Ora urgeva un buon caffè.
Calli-corner:
Giusto per evitare incomprensioni… capitoLO ciccione, vero? ^^
Qui la nostra Hermione ha dato il
meglio di sé, rispondendo in quel modo a Pansy che, diciamocelo
in faccia, se l’è proprio meritato. La Merdaccia pensava
che essendo la fidanzata del capo potesse prendersi delle
libertà che solo la buona educazione poteva concedere e quando
si è trovata davanti quella che non accettava quelle confidenze,
ha dovuto fare marcia indietro.
Onestamente, non so se sono stata abbastanza chiara su Draco Malfoy.
Il mio obiettivo è far
vedere i due lati dell’uomo: quello che vuole accontentare la
fidanzata, ma che al tempo stesso è pieno di
responsabilità nel gestire un impero come la sua azienda.
Voglio spezzare una lancia in
favore di Draco: non è un cattivo ragazzo, è solo che il
dover essere sempre all’altezza delle aspettative di tutti
è un peso non da poco, e si rischia di commettere errori come
nel caso di Hermione.
Ritroveremo questo aspetto delle
“aspettative” molto più avanti, quando tutta la
situazione si sarà risolta. ^_^
*me sadica*
Ma adesso, vi lascio alla vostra parte preferita:
lo spoiler!
“Tieniti pronta per la settimana prossima. Partiremo insieme per l’America.”
Ohi ohi…
Lasciate che vi dia un’altra anticipazione. Oggi mi sento generosa.
Nel prossimo capitolo,
entrerà in scena il babbo di Draco, con il quale ci sarà
una piccola discussione, per non parlare dello spoiler.
In teoria, per questi viaggi di lavoro, dovrebbe essere Pansy ad accompagnare Draco.
Che sarà successo?
Il mio sadismo ora vi saluta definitivamente.
^_____^
callistas
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Capitolo 7 *** Di minacce e figuracce ***
07 - Di minacce e figuracce
Buon ciao a tutti!
Sapete, mi sto rendendo conto che
sto allungando i capitoli sempre di più ma non riesco a capire
se lo faccio per accontentare voi o perché voglio finire questa
storia il prima possibile, per postare quell’altra… mah,
fate voi.
Ma forse sarebbe il caso di dare letteralmente un taglio a questa eccessiva lunghezza, che ne dite?
Lascio aperte le votazioni.
Dunque, per passare al capitolo…
Qui troveremo due episodi:
l’incontro con Babbo-Malfoy e la partenza per l’America.
Qui avremo un altro assaggio della preparazione di Hermione e del suo
carattere volitivo ma non voglio dirvi altro per non guastarvi la
lettura.
Io vi lascio qui, ma ci rivediamo in fondo, ok?
Buona lettura,
callistas
Quella sera, Draco avrebbe portato Pansy a cena dai suoi.
Era passato a prendere la fidanata – con appena
un paio d’ore di anticipo – con un girocollo di perle che
necessitava un’assicurazione sulla vita e avevano fatto pace con
del sano sesso, si erano ricomposti e avevano raggiunto Villa Malfoy in
breve tempo.
Pansy si esaltava ogni volta che vi metteva piede.
Il lusso la faceva da padrone.
Arazzi, lampadari, tappeti,
pavimenti… beh, l’arredamento era naturalmente della
Malfoy Home e sembrava che Lucius Malfoy, il padre di Draco, avesse
tenuto per sé solo il meglio della produzione.
Per non parlare del giardino.
Quello era forse il pezzo
più bello della casa: era immenso e di un perfetto color
smeraldo. La signora Malfoy, poi, aveva un’insana passione per le
piante e i fiori e qua e là aveva creato delle vere e proprie
oasi di pace.
Ma la cosa che più mandava
Pansy in estasi era il fatto che una volta sposati, Lucius e Narcissa
Malfoy avrebbero letteralmente cambiato dimora, perché Villa
Malfoy sarebbe diventata proprietà di Draco quando lui le
avrebbe messo la fede al dito.
Lei e Draco sarebbero convolati a
giuste nozze solo ad Agosto dell’anno successivo e la donna ormai
non stava più nella pelle. Pochi mesi ancora e sarebbe divenuta
la padrona del mondo.
“Draco, Pansy, benvenuti.” – li salutò Narcissa Malfoy.
“Mamma.”
“Signora Malfoy, è un piacere rivederla.” – salutò Pansy, ossequiosa come sempre.
“Il piacere è tutto
mio. Grazie Arthur, faccio da me.” – disse, liquidando il
maggiordomo che si ritirò con un inchino. –
“Prego.”
“Papà?” – chiese Draco.
“Torna tra poco.”
– la voce di Narcissa era calma e modulata. –
“E’ andato al Golf Club per giocare con Tiger.”
“Vincent?” – si accertò Draco.
“No. Woods.”
“Ah, capisco.”
Beh, era normale giocare a golf con Tiger Woods…
“Prendete qualcosa da bere?”
“Io passo. Pansy?”
“Un analcolico grazie.”
Draco sollevò un sopracciglio, perplesso, ma poi scosse la testa: ormai ci era abituato.
Conosceva la donna per una che non
si faceva problemi a bere e quindi si straniva sempre quando la sentiva
chiedere un analcolico.
Una parte di lui era contenta che
Pansy cercasse di compiacere sua madre ma dall’altra non gli
andava giù che fingesse di essere un altro tipo di persona.
“Allora Draco, come vanno i preparativi per il matrimonio?” – s’informò la donna.
“Bene.” – rispose lui. – “Il Wedding Planner crede che per Giugno avremmo finito tutto.”
“Oh mi fa piacere. E tu Pansy, sei emozionata?”
La mora si scambiò un sorriso con Draco che ricambiò abbastanza forzatamente.
“Moltissimo. Io e Draco non vediamo l’ora di sposarci, vero amore?”
“Sì.” – disse lui.
Lasciò che le due donne cadessero da sole in quella discussione, lasciando lui fuori.
Non aveva proprio voglia di
parlare del matrimonio, anche perché i suoi pensieri erano tutti
concentrati sul lavoro: Hermione Granger proprio non ne voleva sapere
di schiodarsi dalla sua mente.
Forse, se le avesse dato un
impiego adatto alle sue potenzialità, avrebbe ripreso a vivere
la sua vita, tranquillamente. Sperò davvero fosse sufficiente
perché non poteva andare avanti in quel modo.
In quel momento arrivò suo padre, Lucius Abraxas Malfoy.
“Buona sera a tutti. Scusate il ritardo.” – disse l’uomo, salutando i presenti.
Narcissa gli andò incontro
e lo salutò, mostrandogli un amore e una devozione che Draco
incosciamente sapeva che non avrebbe mai ricevuto da Pansy. Non che non
lo amasse, ma non lo avrebbe mai amato come sua madre amava suo padre.
Lo sguardo che si scambiarono era pieno di amore e promesse silenziose.
“E’ andato tutto bene?”
“Tiger mi ha stracciato.”
“Come sempre, direi.” – disse Draco, tagliando quei pensieri scomodi.
“Fatti gli affari tuoi, tu.” – lo rimbeccò Lucius. – “Pansy ciao. Come stai?”
“Bene Lucius, e lei?”
“Oh, non ci lamentiamo. Narcissa, a che ora verrà servita la cena?”
“Per le otto. Hai tutto il tempo di una doccia.”
“Perfetto. Scusate, torno tra poco.”
E mentre Lucius Malfoy entrava in doccia, Hermione ne usciva.
“Lilly cosa mangiamo stasera?” – urlò la riccia per farsi sentire tra la musica che aveva acceso.
Nessuna risposta.
Naturalmente.
“Ti va la pizza?”
La risposta del cane fu che
apparve magicamente di fronte a Hermione e iniziò a saltare,
approvando in quel modo l’idea della sua padrona.
Divertita, Hermione se la prese in
braccio e iniziò a tempestarla di coccole, mentre il cane
ricambiava leccandole il naso.
La rimise a terra e il cellulare suonò.
Sorrise quando vide che era sua sorella.
“Daphne! Come stai?”
“Certo che se non ti chiamo io, noi qui possiamo essere anche morti, eh?” – frecciò l’altra.
Hermione rise.
“Hai ragione, scusa.
È che sono molto impegnata con il lavoro, anzi… i
lavori.” – specificò.
“In che senso?”
“No, niente di che.” – deviò Hermione. – “Allora, come state?”
“Noi bene. La Lilly?”
“Sì, sto bene
anch’io, grazie…” – disse Hermione,
palesemente contrariata perché sua sorella Daphne, quando
chiamava, chiedeva sempre prima come stava il cane e poi lei.
“Dai non arrabbiarti! Noi tutto bene.”
“Papà?”
“Ancora al lavoro, che vuoi farci? Allora! Vieni per le vacanze di Natale, vero?”
“E chi manca?” – rise Hermione.
“Ah
ecco. Senti… noi abbiamo deciso di regalare alla mamma e al
papà un nuovo armadio, perché il loro è da
buttare. Ci stai?”
“Sì, certo.”
“Perfetto. Allora quando ci vediamo?”
“Per il ventuno.” – la rassicurò.
“Perfetto. Ora scusa ma devo scappare. Ciao Hermione!”
“Ciao Daphne.”
Hermione riagganciò con un sorriso nostalgico sul volto.
Poteva farcela.
La cena a casa di Draco stava proseguendo tranquilla.
Pansy e sua madre si trovavano
d’accordo su molti punti e per lui era molto importante.
Sì, aveva fatto una scelta saggia nel chiedere a Pansy di
sposarlo. Certo, aveva i suoi difetti, ma chi non ne aveva?
Conclusero il pasto con un
delizioso tortino caldo di cioccolato e pere quando Lucius
sequestrò il figlio per parlare “di affari”.
Lo condusse nel suo studio, dove finalmente Draco poté rilassarsi.
“Sembravi imbalsamato stasera.” – disse Lucius, mentre prendeva dal mobiletto dei liquori qualcosa di forte.
Non trovando niente di adatto per l’umore del figlio, scelse di fare un mix di alcol.
“Sono solo stanco.”
“Pansy?” – chiese Lucius, dando a intendere che di sesso ne capiva ancora qualcosa.
Draco lo guardò storto.
“No. Il lavoro.”
“Capisco. Tieni, bevi questo.”
Draco bevve un sorso e per poco non sputò fiamme.
“Che… che diavolo… cos’era?” – chiese, con la voce ridotta a un sussurro.
“Un mix di mia invenzione.
Ti ha rimescolato le budella, vero?” – chiese l’uomo,
con un sorriso d’intesa.
“Più che altro me le
ha sciolte.” – si schiarì la voce. – “Tu
sei un pericolo per l’umanità.”
“Può essere. Adesso dimmi cosa c’è che non va.”
“Ma niente… un insieme di cose.”
“Sì, sei stato chiaro.”
“Papà?”
“Mhm?” – mugugnò l’altro.
“Tu… tu hai mai fatto l’errore di sottovalutare un dipendente?”
Lucius lo guardò, decisamente incuriosito per la domanda.
“In che senso?” – chiese, portando alla bocca il bicchiere dello stesso mix dato a Draco.
Lui, a differenza del figlio, lo bevve come se fosse stata acqua.
“Ho una dipendente…
Hermione Granger…” – disse. – “Quando
l’ho assunta, l’avevo fatto perché mi serviva una
centralinista. Patricia si era licenziata ed io ero rimasto a
piedi.”
Lucius lo ascoltò con attenzione.
“Poi, il mese scorso, l’ho destinata al magazzino.”
Lucius sbarrò gli occhi.
“E perché
scusa?” – chiese, severo. – “Non è
politica dei Malfoy mettere le donne a fare certi lavori.”
Ecco il cazziatone…
“Sì, ma aveva
risposto male a… a Pansy…” – Draco socchiuse
gli occhi quando sentì suo padre esalare un gemito infastidito.
– “… e l’ho messa laggiù.”
“Hai fatto male.” – fu la prima sentenza dell’uomo. – “Va avanti.”
“Il problema… se di
problema si può parlare… è che questa ragazza mi
ha risolto il problema dei ritardi!” – esclamò,
ancora incredulo di fronte a tale abilità.
“I ritardi?”
Draco fece le spallucce.
“Tempo addietro ci sono
stati dei ritardi troppo frequenti nelle consegne, con relativo ritardo
nei carichi ma da quando ho messo questa al magazzino, puff!”
– disse, accompagnando lo sbuffo con un gesto delle mani. –
“Sono spariti! Io l’ho sentita parlare al telefono con un
fornitore e sono rimasto… sorpreso dalla sua conoscenza sulle
cifre che comporta un ritardo. Sembrava avesse studiato i costi della
Malfoy Home!”
“E cos’hai fatto?”
“L’ho messa in amministrazione.”
“Hai fatto bene.” – disse Lucius, più tranquillo.
“Sì, ma comunque non l’ho mica levata dal magazzino.”
“E perché?”
“Perché se ce
l’avessi tolta, le consegne avrebbero preso a ritardare.”
– spiegò il figlio.
“Dato che ci sei,
perché non ti licenzi e non la metti a capo
dell’impresa?” – chiese Lucius, fortemente sarcastico.
Draco sospirò.
“Si può sapere che diavolo ti è preso?” – chiese Lucius, con un pizzico di delusione nella voce.
Draco non si era mai comportato in
quel modo e aveva lavorato con lui abbastanza tempo per insegnargli il
mestiere e vedere come se la cavava!
“Già a fare un lavoro è dura, figurarsi due! Chissà che danni starà facendo!”
“Ma è proprio questo
il punto!” – esclamò Draco, accorato. –
“Non ho mai avuto una contabilità e un magazzino tanto
precisi! Io… io davvero non so come faccia! Riesce a tenere in
piedi due argomenti così diversi neanche stesse facendo la
spesa!”
Lucius si portò una mano
sul mento, per pensare. Da come suo figlio descriveva questa tizia,
sembrava davvero piena di talento.
“D’accordo, è
una in gamba.” – concesse. – “Ma se lo
è, perché l’hai punita? E non dirmi che è
solo perché ha risposto male a Pansy, perché se è
così ti prendo a sberle!” – disse, trattandolo alla
stregua di un bambino.
Il silenzio di Draco fu il suo assenso.
Lucius sospirò pesantemente.
“Draco Lucius Malfoy…”
Il biondo stirò le labbra, decisamente preoccupato.
Quando i suoi lo chiamavano con entrambi i nomi, c’era solo da tremare.
“… invece di
ragionare con la testa che penzola, perché non ragioni con
quella sul collo?” – concluse, urlando.
“Io non…”
“Non ci provare, eh?”
– lo sfidò Lucius a contraddirlo. – “Non
provare a negare! Io ti avevo sempre detto che assumere Pansy non era
proficuo, né per te, né per l’azienda. Adesso cosa
conti di fare con quella ragazza?”
“Non… non lo so…”
“Beh, trova un modo
perché se si dovesse licenziare perché è troppo
sotto pressione, potrei diventare molto molto pericoloso Draco. E lo sai che posso.”
Oh, la minaccia il consiglio era arrivato a destinazione.
Adesso doveva solo capire come fare per risolvere quella situazione.
La soluzione si presentò il pomeriggio del ventisette ottobre, un lunedì.
Hermione era già
all’opera da una buona oretta e niente avrebbe potuto turbare il
suo lavoro. Di tanto in tanto Roger la chiamava, chiedendole delle
spiegazioni o di parlare con qualche fornitore che tentava di alzare
ancora la cresta: lei lo aiutava e poi tornava al proprio lavoro.
Era come se il suo cervello fosse
diviso in due emisferi: uno seguiva l’amministrazione,
l’altro il magazzino e mentre la ragazza spuntava da un enorme
libro contabile le voci che le interessavano, parlava al telefono con
Roger, aiutandolo in ciò che gli serviva.
Draco, nel suo ufficio, aveva gli
occhi puntati sullo schermo del computer e fissava attonito
un’E-mail che aveva ricevuto da un cliente americano molto
importante – quello che praticamente gli faceva un bel fatturato
sia mensile sia annuale – dove si scusava, ma non poteva
più acquistare la merce dalla sua azienda.
L’azienda americana, la
Livin Home, si trovava sulla costa atlantica del paese, nella
città di New York, il che significava che stavano sei ore
indietro con il fuso orario.
Il direttore della Malfoy Home
guardò l’orologio del suo pc e vide che erano le quattro
del pomeriggio. Lo avrebbe chiamato e si sarebbe fatto spiegare il
perché non potesse più comprare da lui.
“Isabel? Chiamami la Livin
Home e passami il signor Cook.” – ordinò Draco,
preoccupato per quello strano comportamento.
Isabel, dalla sua postazione,
guardò perplessa la cornetta del telefono. Riagganciò, e
cercò la Livin Home tra i suoi contatti.
“Signor Malfoy?, il signor Cook sulla linea.”
“Passamelo.”
Il tempo di passare la chiamata e Draco aveva preso più o meno una ventina di respiri.
“Draco?”
“Ciao John.” – lo salutò Draco, tentando di sorridere. – “Come va?”
“Al solito.” – rispose l’altro.
Dal tono di voce, Draco comprese
che non era in vena di chiacchiere, così troncò ogni
sorta di “preliminare telefonico” e andò al dunque.
“John, scusa se ti ho disturbato, ma ho ricevuto la tua mail adesso. Che storia è questa?”
“Vorrei poterti fare la stessa domanda, Draco.”
“Come dici scusa?” – chiese l’altro, perplesso.
“Draco…”
John Cook intratteneva rapporti
con la Malfoy Home fin da quando Draco era entrato a capo
dell’azienda. I due “grandi capi” si erano sempre
trattati con i guanti di velluto, uno perché comprava,
l’altro perché forniva sempre materiale di prima scelta.
Si ritrovò, quindi, parecchio in difficoltà nel pensare
che un rapporto come il loro potesse finire in quel modo. Così,
nonostante avesse preso già la sua decisione, John scelse di
essere corretto fino in fondo con il direttore della Malfoy Home.
“… sarebbe il caso di parlarne di persona.” – disse John.
“Sì, certo. Sei libero? Puoi muoverti?”
“Purtroppo no.”
“Allora vengo io. Dammi il
tempo di organizzare il volo e poi ti faccio sapere. Quando sei libero
tu?” – chiese Draco, prendendo al volo la propria agenda
– quella su cui Hermione sbavava – e cercò le date
che gli stava fornendo John.
Nella data scelta, Draco
notò che vi era una riunione con i soci, organizzata già
da tempo, ma l’uomo non perse tempo a tirarci un segno sopra
– avrebbe poi detto a Isabel di spostarla alla data che gli altri
preferivano – per annullarla, perché la Livin Home era
decisamente più importante.
“Perfetto.” –
disse Draco. – “Dieci Novembre.” –
ripeté Draco. – “Grazie della disponibilità,
John.”
Quando Draco riagganciò la cornetta si sentì madido di sudore.
Che diavolo stava succedendo? Perché quella decisione improvvisa?
Tamburellò le dita sul
tavolo, poi prese la cornetta e chiamò l’ufficio di Pansy.
Dovevano studiare la situazione e partire immediatamente per
l’America per parlare con John!
Peccato che il telefono suonasse a vuoto.
Incazzato come una iena –
per quella mail inaspettata, per l’atteggiamento scostante di
John e perché Pansy non si trovava mai quando serviva! –
Draco sbatté il telefono sulla forcella.
“Isabel!” – tuonò.
La segretaria arrivò tutta trafelata e spaventata.
“Sì?”
“Dov’è Pansy?”
“Ieri ha chiamato dicendo che oggi non veniva in ufficio.”
Isabel, a volte, si chiedeva chi
le faceva fare quel lavoro. A volte doveva fare il portavoce di notizie
di sventura, proprio come in quel momento. La faccia di Draco era
quanto di più spaventoso avesse visto in vita sua.
Draco, dal canto suo, non credeva possibile che quella donna fosse arrivata a tanto.
Si rese conto – ma furono
pensieri che, una volta sbollita la rabbia per ciò che stava
succedendo, si dissiparono come neve al sole – che Pansy si stava
prendendo un po’ troppe libertà. Cosa le costava dire a lui che non poteva andare in ufficio? Cos’era? Era diventato troppo poco importante per essere avvisato?
Così, come ogni uomo ferito nel suo amor proprio, Draco fece l’ultima cosa che avrebbe mai ritenuto possibile fare.
“P-posso andare?” – chiese Isabel.
“Prima di andare prenota un volo per me e Hermione Granger per venerdì sette Novembre per New York e poi va a ritirare i biglietti.”
“Sì, certo” – disse.
Isabel non ci pensò su due
volte a chiudere la porta e tornare al proprio posto, mentre Draco si
alzò di scatto dalla propria poltrona e uscì
dall’ufficio.
“Sì,
certamente.” – rispose Hermione con un sorriso mentre
giocherellava con il filo del telefono. – “Sono contenta
che tu mi abbia chiamato, mi ha fatto molto piacere. Come? Guarda,
piuttosto mi prendo un giorno di ferie. Per te questo e altro.”
Quando Hermione si accorse che Draco Malfoy era accanto a lei, per poco non le venne un colpo.
Draco aveva ascoltato parte della
conversazione, e già arrabbiato per ciò che John gli
aveva detto, si incazzò ancora di più quando vide la
Granger – finalmente l’aveva beccata a fare qualcosa che
non andava! – fare una telefonata privata.
“S-sì… ora
scusa, ma devo andare. Sì, ho scritto tutto.” –
disse Hermione, cercando di affrettarsi.
Il volto del suo titolare era più buio della notte più nera.
“Ok, grazie. Ciao!”
– riagganciò la cornetta, con l’atteggiamento di chi
sapeva di essere stato beccato a fare qualcosa che non doveva.
“Finita la telefonata di piacere?” – chiese, acido.
Hermione guardò il telefono e poi di nuovo Draco.
“Guardi che non era una telefonata privata…” – disse lei.
“Ah no? E chi era allora al telefono?”
“Jason.” – rispose lei, candida come una colombella.
Draco ruggì.
“Mi ha comunicato la data del servizio fotografico. Sa, quello che…”
“Sì, mi ricordo. Non mi è ancora venuto l’Alzheimer.”
Hermione sollevò un sopracciglio.
Che avesse mangiato veleno a colazione?
“Mi scusi…” – disse lei, remissiva.
Non aveva proprio voglia di litigare. Jason le aveva dato una bella notizia e non voleva fare nulla per guastarsela.
“Aveva bisogno di qualcosa?” – chiese Hermione.
“Tieniti pronta per la
settimana prossima. Partiremo insieme per l’America.”
– disse, per poi tornarsene da dov’era venuto.
Hermione aveva visto nero per un secondo.
L’attimo successivo aveva sentito la testa girarle.
America? Settimana prossima? Ma era impazzito?
Guardò i suoi colleghi
vicini di posto, anche loro perplessi e sbalorditi per quella notizia.
Da ciò che sapevano loro, nei compiti di Hermione non era
previsto che lei dovesse spostarsi per lavoro.
Quello fu l’inizio dei pettegolezzi.
“Cosa?, ma… no aspetti!” – sbottò Hermione, correndogli dietro.
America? Ma era matto?
“Signor Malfoy, aspetti!” – lo rincorse Hermione, spaventata.
Draco si fermò davanti alla porta del proprio ufficio.
“Cosa c’è?”
Hermione effettuò una brusca frenata.
“Come cosa c’è?
Che è ‘sta storia?” – chiese lei. –
“Che ci vengo a fare io in America?”
“Perché ho deciso così.”
“Ma no… aspetti un secondo!” – gli disse, trattenendolo.
“Dimmi.” – era evidentemente spazientito.
“Io non posso venire in America con lei!”
“Perché?”
Oh, pure quella ragazzina ci si metteva, adesso?
“Perché non rientra
nei miei compiti! Ad accompagnarla è sempre stata la signorina
Parkinson. Lo chieda a lei.”
“Hermione…”
– iniziò Draco con un tono di voce che seriamente la
preoccupò. – “… non sono tenuto a discutere
con te una mia decisione e mi sembra di ricordare che nemmeno tu sia
abituata a discutere un mio ordine. Quindi tu verrai in America con me.
La partenza è fissata per Venerdì sette Novembre. I
dettagli del volo te li comunicherò tramite E-mail. Questo
è quanto.”
La lasciò sola nel corridoio con un atroce terrore impiantato nel petto.
L’attimo successivo si
ricordò dell’impegno con Jason e non trovò parole
sufficientemente pesanti e offensive da rivolgere a Malfoy
perché le aveva appena fatto perdere il servizio fotografico.
Per tutta quella settimana e la successiva della partenza, Pansy Parkinson si presentò in ufficio saltuariamente.
Per tutta quella settimana e la
successiva della partenza, Hermione Granger fu bersaglio di frecciatine
maliziose e sguardi divertiti da parte dei colleghi per quella partenza
così improvvisa con il signor Malfoy.
Lei cercava di non farci caso, di
proseguire il proprio lavoro con l’attenzione e l’impegno
di sempre, ma era difficile quando accanto e davanti a lei vi erano
persone adulte, o così lei credeva, che la guardavano in
continazione e ridacchiavano tra di loro.
Era imbarazzata come mai lo era stata in vita sua.
Per carità di Dio!…
non negava assolutamente che Draco Malfoy fosse un bellissimo uomo ma
non era certo il suo tipo: troppo aristocratico e, da quanto aveva
visto, con pessimi gusti in fatto di fidanzate…
Lì dentro non era la sola ad aver pensato a che tipo di uomo fosse Draco Malfoy nel privato, ma non era mai andata oltre.
Alla prima occasione, però, gliene avrebbe detto quattro!
L’unica cosa che aveva avuto
il potere di accantonare il suo malumore fu la chiamata che era appena
avvenuta con Jason. Non sapeva dirsi perché, ma sembrava che per
qualche assurda congiunzione astrale, quell’uomo avesse preso in
simpatia lei e le sue idee.
Per questo le aveva comunicato che
aveva spostato il servizio fotografico alla settimana della partenza, o
meglio, al giorno prima.
Quando Hermione scese nel “bunker” come lo chiamava lei, per poco non cadde svenuta a terra.
Uomini!, uomini ovunque! Adoni, Apolli e perfetti Bronzi di Riace si stavano preparando per effettuare il servizio fotografico.
Aveva ancora la bocca indecorosamente aperta, quando Jason le venne incontro.
“La tua faccia mi dice che ho scelto bene i modelli.”
Quando un modello dalla pelle nera
si alzò dalla sedia, la torsione del busto mise in evidenza una
serie di muscoli, che ebbero il potere di farle diventare molli le
gambe.
“Tu sei gay.” –
esordì Hermione, lasciando Jason a metà tra il perplesso
e il divertito. – “Devi esserlo per forza perché
nemmeno io che sono etero avrei scelto tanto ben di Dio!”
Jason rise di gusto.
“Dai, vieni dentro.”
Hermione entrò con la
stessa espressione di un bambino che entra nel negozio delle caramelle
e sa che potrà prendere tutte quelle che vuole.
“Allora… tu da dove inizieresti?”
Hermione si era appena seduta su uno sgabello e aveva guardato Jason come se fosse appena diventato un Sayan di quarto livello.
“Scusa?”
“Sì, da dove inizieresti tu?”
Beh, ormai c’era dentro:
tanto valeva approfittarne anche perché… quando le
sarebbe ricapitata l’occasione di girare intorno a tanto
splendore?
I modelli erano tutti schierati in
fila, in attesa del proprio turno. Hermione stava davanti a loro e non
sapeva davvero chi scegliere. Doveva essere professionale, ma tutta
quella bellezza la stava disorientando.
“Hermione?” – la esortò Jason.
“Eh? Ah sì, scusa…”
I ragazzi ridacchiarono per la spontaneità con la quale Hermione non faceva mistero di quanto belli fossero.
“Allora…”
Di ogni modello studiò gli occhi, i capelli e il colore della pelle.
Ne prese uno biondo con gli occhi
castani e lo piazzò davanti a una lastra mogano. Diamine!, se
avesse avuto soldi a palate si sarebbe comprata tutti quei piani cucina
e i modelli insieme!
“Ok.” – disse Jason. – “Luci!”
Hermione rimase in disparte a
guardare Jason che dava ordini a destra e a manca. Di tanto in tanto
l’occhio le scappava sui modelli in attesa e quando vedeva che lo
sguardo era ricambiato, tornava a guardare la schiena di Jason,
permettendosi una risatina divertita per essere stata beccata.
La ragazza, però, aveva in
mente qualcosa di diverso. Voleva che le foto fossero più
dinamiche: Jason stava solamente fotografando un ragazzo accanto a una
lastra, nemmeno fosse un turista accanto a un monumento.
Per ogni modello, Jason
scattò una ventina di foto e poi ne parlò con Hermione in
disparte con altri colleghi alle dipendenze di Jason.
La ragazza le studiò. Erano bellissime… ma statiche.
“Non ti convincono.” – disse Jason.
Accanto a lui gli altri collaboratori sbuffarono leggermente indispettiti. Insomma… loro erano lì apposta per dare consigli a Jason su come mettere in posa un modello: che diavolo voleva quella ragazzina?!?
“No, sono molto
belle…” – disse, per non sminuire il suo lavoro.
– “E’ che… non so… sono
ferme…” – disse.
“Non hanno ancora inventato la macchina fotografica che fa muovere le persone.” – disse uno.
Hermione si risentì parecchio di quel commento.
“Adam…” –
lo richiamò Jason e Hermione perse la sua occasione per
dirgliene otto. – “Cos’avevi in mente tu?”
“Più
dinamicità. Questo mi sembra un turista che si fa fare una foto
accanto a un monumento!” – esclamò.
“Addirittura?” – disse Jason, perplesso.
“Senti…”
– propose Hermione. – “… se me lo permetti, ti
faccio vedere quello che avevo in mente.”
“Sorprendimi.” – disse Jason.
Quel giorno Hermione si era presa
davvero un giorno di ferie, perché dubitava sinceramente che
Draco Malfoy le avrebbe permesso di saltare un giorno di lavoro per
vedere, alla fine, una serie di ragazzi in posa.
La ragazza aveva parlato con lo
staff addetto alla scenografia e aveva chiesto loro un paio di cosette.
Jason la guardava, cercando di capire cos’avesse in mente, mentre
dietro di loro i suoi collaboratori sbuffavano indispettiti per quel
lavoro extra.
Quando la vide calare dei fili dal tetto, si chiese che diavolo avesse in mente.
“Più giù!
Ancora! Ancora un po’! Stop! Perfetto.” – disse
Hermione. – “Scusami? Divino Apollo?”
– chiamò Hermione uno dei modelli che si indicò,
perplesso ma compiaciuto dall’appellativo. –
“Sì, tu. Puoi venire un attimo?”
Il ragazzo si diresse da Hermione ma si girò verso i suoi compagni, ridendo di quella ragazzina così stramba.
“Ok, mettiti qui.”
– Hermione ne approfittò per prendere per un braccio il
ragazzo e saggiarne la nervatura. – “Adesso mettiti come se
dovessi sollevare questa lastra.”
Il ragazzo si mise di fianco,
celando gran parte del busto, ma evidenziando il braccio muscoloso
nell’atto del sollevamento della lastra.
Naturalmente, una lastra del
genere pesava troppo, per questo Hermione aveva fatto calare dal tetto
delle funi per tenere sollevato il piano: il modello doveva solo fingere di sollevarla per evidenziare il muscolo del braccio.
Jason rise per l’idea e
comprese cosa Hermione avesse inteso per dinamicità delle foto.
Continuò a ridere quando vide la ragazza prendere un casco
protettore e metterglielo in testa, facendolo passare per un manovale.
“Aspetta un attimo.” – disse al modello.
Corse alla zona trucco, prese uno spruzzino con dentro dell’acqua e una salvietta.
“Chiudi gli occhi.”
Il ragazzo obbedì e si
sentì spruzzare addosso dell’acqua. Poi la ragazza gli
tamponò gli occhi, facendolo passare per uno che stava sudando.
“Fagli una foto Jason!” – trillò Hermione.
La luce era perfetta e si
frammentava sulle “goccioline di sudore” sulla fronte del
ragazzo che fingeva di guardare dove camminasse. Il braccio era in
perfetto primo piano e Jason aveva ritratto tutta la fasciatura
muscolare nell’atto dello sforzo di sollevare la lastra e il
modello… beh… sul modello non si poteva dire
assolutamente niente tanto era perfetto.
Con l’aiuto di Hermione,
Jason rifece tutte le foto in pose diverse: un modello doveva sistemare
in verticale una lastra, uno ci stava sdraiato sotto il sole, uno
fingeva di cucinarci sopra e così via, finché
l’ultima foto non ritrasse tutti i modelli seduti su un piano
come la famosa foto degli operai seduti sulla trave a New York.
Ma a torso nudo.
“Ti farò avere una
copia del numero che esce. Queste tienile tu, ok?” – le
aveva detto Jason, consegnandole una busta con tutte le foto fatte, sia
quelle statiche, sia quelle dinamiche.
Hermione se le strinse al petto, grata.
“Grazie dell’aiuto. Hai una bella fantasia.” – le disse.
“Grazie.” – disse Hermione.
“Ciao Hermione!”
“Ciao…”
“Ciao ragazzi!”
– esclamò la riccia che nel giro di una giornata era
entrata in confidenza con quei modelli.
Anche lei se ne andò alle otto e mezza di sera, soddisfatta.
Venerdì sette Novembre. Il fatidico giorno.
Come promesso, Draco le aveva mandato una mail con i dettagli del volo:
Data di partenza: venerdì 07/11.
Data di rientro: venerdì 14/11.
Ritrovo in reception: ore 15.00
Volo: ore 18.27
Hermione era un fascio di nervi,
perché non sapeva quale fosse il suo ruolo in quel viaggio di
lavoro che lei aveva sempre visto fare a Draco e a Pansy.
Nonostante il brevissimo
preavviso, era riuscita a lasciare la sua Lilly al vicino di casa,
disponibile ogni qual volta lei dovesse andare via per qualche giorno e
fosse impossibilitata nel portarsela dietro. Inutile dire che aveva
pianto come una fontana. Aveva chiesto a Miky dove potesse lasciare la
sua valigia e la collega si era offerta di tenergliela sotto la
scrivania fino all’ora di partenza.
Era nervosa.
Ma era anche eccitata.
Beh, era sempre stato un sogno di
Hermione quello di fare un viaggio in America, ma solo il biglietto
costava un suo intero stipendio più metà della
quattordicesima e aveva cose ben più importanti alle quali
pensare, così aveva catalogato l’America come un sogno
destinato a non avverarsi mai.
Aveva rimuginato come un pensatore
filosofico sul perché Draco Malfoy avesse ordinato a lei di
seguirlo in quel viaggio e l’unica conclusione alla quale era
arrivata, fu che non era per
premiarla per il suo lavoro. Naturalmente non sapeva niente di John
Cook e della sua mail, non sapeva niente di Pansy Parkinson e degli
altarini tra lei e il suo fidanzato; sapeva solo che per lei quel
viaggio non era un premio per il lavoro svolto fino a quel momento in azienda.
Guardava in continuazione il suo
orologio e sbarrava gli occhi ad ogni minuto che passava e che
l’avvicinava inesorabilmente alla data di partenza.
Intanto Draco, nel suo ufficio,
stava sistemando le ultime cose prima della partenza. Aveva delegato
alcuni compiti ai suoi collaboratori più stretti e aveva
lasciato il recapito dell’hotel in caso di estrema urgenza.
Era ancora molto arrabbiato con
Pansy per il suo comportamento e aveva preso la decisione di
estrometterla dall’azienda una volta tornato dall’America.
Suo padre aveva sempre avuto
ragione: mescolare il lavoro con il piacere era sempre
controproducente. Eppure una volta andava tutto così
bene… da quando Hermione Granger era entrata nella sua vita,
tutto sembrava aver preso un’altra direzione.
Preferì evitare di
pensarci, perché erano problemi troppo complessi: da una parte
c’era la soddisfazione nell’aver appreso che
all’interno del proprio organico vi era una persona con ottime
capacità gestionali ma dall’altra questa stessa persona e
il suo carattere energico stavano mettendo a repentaglio il suo
rapporto con la sua futura moglie.
Era un bel casino…
Neanche quel mattino Pansy si era fatta viva al lavoro.
Dalla chiamata con John, Draco
aveva tentato di chiamare Pansy ma il telefono o era sempre staccato o
quelle volte che riuscivano a parlarsi lei era sempre di fretta,
così la chiamata si concludeva con Draco che non riusciva a
dirle di quell’imprevisto.
Voleva giocare a sfidarlo? Bene, avrebbe presto imparato che con Draco Malfoy non si gioca! Non sul lavoro, almeno.
Ma non fece neanche in tempo a pensarlo, che una furente Pansy aprì la porta del suo ufficio.
“Che diavolo è questa storia?” – urlò, sventolando in aria i biglietti aerei.
“Buon giorno signorina Parkinson.”
“Buon giorno Isabel. Draco?”
“Nel suo ufficio.” – rispose la ragazza.
“Perfetto.”
L’occhio
però le cadde su due buste che lei sapeva essere quelle che
contenevano dei biglietti aerei. Perplessa, perché non ricordava
di avere in programma un viaggio con Draco – forse era una
sorpresa – li prese, prima che Isabel potesse nasconderli alla
sua vista.
La segretaria
aveva palesato insofferenza per quell’atteggiamento da “io
posso fare quello che voglio” ma Pansy non le aveva dato bado.
Aprì il
primo che scoprì essere quello di Draco e quando aprì il
secondo – che aveva pensato essere a suo nome – era rimasta
pietrificata.
Hermione Jean Granger.
“Che diavolo è questa storia?” – tuonò Pansy.
“Il
signor Malfoy ha programmato per oggi un viaggio in America alla Livin
Home. Mi ha fatto prenotare un biglietto anche per Hermione e…
signorina Parkinson, aspetti!” – urlò Isabel, che
aveva il compito di custodire quei biglietti a costo della sua stessa
vita.
Ma fu troppo tardi: Pansy era già entrata nell’ufficio di Draco.
“Che diavolo è questa storia?”
“Buon giorno.” –
salutò Draco senza guardarla, inespressivo, mentre continuava a
sistemare le ultime cose.
“Non prendermi in giro Draco! Cos’è questa storia che vai alla Livin Home con Hermione Granger?”
“Esattamente questo.”
– disse, bloccandosi un attimo per guardarla in faccia in modo
che capisse che non si prendeva in giro Draco Malfoy senza pagarne le
conseguenze. – “Tu eri troppo occupata per presentarti in
ufficio e non rispondevi alle mie chiamate sul cellulare.”
“Ma… che te la porti a fare?!? Non sa niente quella!”
“La istruirò durante il volo.” – disse sbrigativo.
“Draco… non mi starai tradendo con quella, vero?”
Draco puntò lo sguardo su
un punto alle spalle di Pansy. Dire che era profondamente indignato per
l’accusa, era dire niente. Perché ogni volta che parlava
con una dipendente donna Pansy doveva sempre pensare che la stesse
tradendo?
Davvero… stava iniziando a stancarsi!
“Non dire
assurdità.” – rispose Draco, il cui interesse nei
confronti di Hermione era puramente professionale.
“Annulla il volo. Verrò io con te.” – sentenziò la mora.
Draco avvertì un profondo istinto omicida. Quel suo modo di dargli ordini stava davvero iniziando a innervosirlo.
“No. Ormai ho deciso e se ti
fossi degnata di presentarti in ufficio o chiamarmi avrei potuto farlo
anche prima, ma…” – Draco si zittì e
sentì il sangue incendiarsi nelle vene quando vide Pansy fare
una cosa che non avrebbe mai dovuto fare.
Il biglietto intestato a Hermione finì in mille pezzi a terra.
“Ti stai comportando da perfetta immatura.” – fu la risposta di Draco.
“E tu da uno che non vede l’ora di farsi un viaggetto con l’amante.”
“La tua gelosia è fuori luogo.”
Poteva sembrare calmo, ma in realtà Draco era una pentola a pressione pronta allo scoppio.
“Io sono la tua fidanzata!” – sbottò lei.
E Draco non ci vide più.
“E io il tuo fidanzato, ma sembra che questo ti venga in mente quando ti fa più comodo.”
Pansy non rispose a quella frecciatina.
“Puoi fare a pezzi anche il
mio di biglietto, ma ormai la prenotazione è stata fatta e non
intendo disdirla. Forse la prossima volta risponderai alle mie chiamate
e ti presenterai in ufficio. Ora scusa, ma vado a pranzo.”
Naturalmente, non estese l’invito anche a lei.
“E, Pansy?”
La mora si girò, furente.
“Tornato dall’America parleremo.”
Pansy temette che Draco volesse annullare le nozze.
E tremò.
Alle dodici e trenta, Hermione uscì dall’ufficio per pranzare.
Avrebbe pranzato con i suoi amici
del magazzino, dando loro una specie di “ultimo” saluto.
Aveva un sacchetto pieno di robe da mangiare e nell’altro una
torta fatta da lei. Era terrorizzata da quel viaggio perché non
sapeva cosa l’attendeva.
Certo che però il direttore avrebbe potuto darle qualche informazione in più, accidenti! Cosa gli costava?
Dandosi mentalmente
dell’idiota per aver dimenticato la borsa in ufficio,
tornò indietro. Rimase perplessa quando vide Pansy parlare con
il tecnico dei computer che era seduto proprio alla sua postazione.
Quando Pansy si accorse di lei, sbarrò leggermente gli occhi.
“David… che ci fai qui?” – chiese Hermione, sorpresa.
“Ciao Hermione.”
– la salutò l’altro, allegro. – “Ti
stavo sistemando la banda dati di Internet.”
“Ah, perché?” – chiese lei, totalmente ignorante in materia.
“Di tanto in tanto controllo
che la velocità di trasmissione dati non cali o non cresca
eccessivamente e ho notato che la tua è troppo bassa. Hai notato
rallentamenti quando usavi Internet?”
“Beh sì, ma pensavo fosse normale che ogni tanto ci fossero dei crolli.”
“No, qui avete un contratto per un tot. di MB. Se non ti secca, adesso te li sistemo, ok?”
“No, no, va benissimo, anzi! Grazie. Beh, ti lascio, io vado a pranzo. Ciao David, signorina Parkinson.”
“Ciao Hermione.”
La ragazza rallentò il passo stranita e, sì, agghiacciata, per quel confidenziale saluto.
Poi scosse la testa e si diresse
agli ascensori. Aveva già sufficienti problemi e forse la
Parkinson aveva finalmente compreso le direttive di Draco nei suoi
confronti.
Alle quindici in punto, Hermione
si fece trovare pronta nella reception della ditta in attesa di Draco.
Miky le aveva consegnato la sua valigia e ora stava trafficando con i
compiti del centralino.
Aveva il fiato corto, come ogni
volta che doveva affrontare qualcosa senza le conoscenze adatte per
farlo. Quando arrivò Draco capì che quel viaggio si stava
concretizzando e che avrebbe dovuto improvvisare.
“Sei pronta?”
“Uh, come no?” – rispose lei, sarcastica.
“Alla fine mi ringrazierai.” – disse Draco. – “Andiamo, il taxi ci aspetta.”
Hermione afferrò la
maniglia della sua valigia rosa shokking, che aveva appicciata addosso
adesivi di tutti i posti che aveva visitato, sotto lo sguardo perplesso
di Draco.
Hermione lo intercettò e sorrise.
“Almeno la riconosco subito quando esce dal nastro trasportatore.” – spiegò lei.
E prima di andarsene, Hermione si
girò d’istinto verso l’ingresso. Alzò lo
sguardo di poco e sbarrò gli occhi quando vide Pansy Parkinson
farle “ciao ciao” con la manina e sorriderle.
Quella fu forse la cosa che la terrorizzò di più.
Il viaggio fu silenzioso, anche perché Hermione non sapeva proprio cosa dire.
Erano seduti entrambi vicini sui sedili posteriori e la ragazza faceva di tutto per non toccarlo.
“Guarda che non ti mordo.” – disse Draco, con lo sguardo fuori dal finestrino.
“Non vedo neanche il motivo per il quale dovrebbe farlo.”
Draco si girò di scatto per
dirle che la sua era una battuta ma quando si accorse del sorrisetto
divertito di Hermione, scosse il capo e sorrise pure lui.
“Sarà una buona esperienza per te.” – disse l’uomo.
“Non ne dubito, ma mi piacerebbe sapere cosa devo fare una volta arrivati.”
“Te lo spiegherò in aereo.”
Hermione annuì, anche se
non capiva perché non volesse anticiparle qualcosa in taxi.
Forse non voleva che il conducente ascoltasse? Boh? Prima o dopo non
faceva differenza; l’importante era che lo facesse.
L’aeroporto di Gatwick era immenso e, naturalmente, affollato di gente.
Aveva viaggiato in parecchi posti,
tutti vicini come la Francia, l’Olanda e anche in Italia, ma
nessun aeroporto le piaceva come quello londinese. Il personale era
cortese, i controlli rigidi ma giusti ma soprattutto c’era
ordine. C’erano segnaletiche ovunque che indicavano ai turisti
dove andare per raggiungere una certa destinazione o centri di
assistenza per chi non riusciva a venire a capo di un problema. Anche
gli addetti al fast-food erano gentili, anche a orari improponibili
come quelli notturni.
Seguì Draco al check-in dove consegnò il proprio biglietto, ma non il suo.
“E quello della signora?” – chiese l’uomo.
“Purtroppo c’è stato un problema con il suo biglietto.”
Hermione lo guardò con gli occhi e la bocca spalancata. E glielo diceva adesso?!?!?
“Purtroppo non posso farla salire senza il biglietto.”
“Per cortesia,
c’è una prenotazione a nome Hermione Jean Granger per New
York, volo delle diciotto e ventisette, posto C1 First Class.”
L’uomo controllò e vide che sì, la prenotazione era stata fatta.
“Sì, la prenotazione
c’è. In questo caso dovrebbe farsi fare una copia dal
nostro Banco Assistenza laggiù in fondo. Poi torni qui per
l’imbarco.”
“Può imbarcare la mia, intanto?” – chiese l’uomo.
“Certo, prego.”
La valigia salì sul nastro trasporatore e la pesata appurò che era nel limite consentito dalla legge.
Hermione era rimasta in disparte, tutta preoccupata per quel contrattempo.
“Andiamo. Facciano una copia e poi torniamo anche per te.”
“Certo che poteva anche dirmelo che c’erano problemi con il mio biglietto.” – disse.
Quel viaggio partiva decisamente male.
“Il problema si è risolto.” – disse Draco, tagliando corto.
Beh, non proprio risolto,
pensò Hermione quando si rese conto di che razza di colonna ci
fosse al Banco Assistenza. Alzò gli occhi al cielo e
guardò Draco, spazientito pure lui per quel contrattempo.
“Senta, se vuole andare a sedersi rimango io qui.”
“Più che a sedermi,
vado a vedere se si può aggirare l’ostacolo. Ci troviamo
al bar laggiù, va bene?”
“D’accordo.”
Così Hermione si ritrovò a fare la colonna.
Quel genere di imprevisti,
generano sempre una sorta di cameratismo tra turisti o viaggiatori.
Hermione si girò e annuì vistosamente al commento di una
signora che non credeva possibile un tale ritardo. Era lì
perché aveva bisogno di sapere se al suo biglietto poteva essere
cambiato l’orario e stava aspettando da ben due ore!
Poi da cosa nasce cosa e…
“Io sono qui perché
ho la prenotazione ma non il biglietto.” – spiegò
Hermione. – “Questa prenotazione non l’ho fatta io,
ma una mia collega e non so perché non abbia ritirato il mio.
Quello al ritiro dei bagagli mi ha detto di venire qui per farmi fare
una copia autenticata, ma mi sembra che gli operatori si siano presi le
ferie…” – commentò, mentre cercava di
allungare il collo per vedere se erano tornati.
“Spero che tu non debba star
qui come un baccalà per due ore…” –
commentò la signora che, tra sé e sé, continuava a
borbottare sull’inefficienza dei servizi aeroportuali britannici.
Hermione, intanto, stava iniziando
a ricredersi pure lei su quanto aveva pensato all’entrata
dell’aeroporto. Che avesse solo beccato il giorno sbagliato?
Poteva essere…
I minuti intanto passavano e Hermione stava iniziando a spazientirsi.
Continuava a controllare
l’orologio del cellulare fin quando non arrivò alla prima
mezz’ora di attesa. Si disse che se fosse arrivata alla seconda,
avrebbe preso il primo autoparlante e avrebbe stordito tutti con le sue
urla.
“Niente.” –
disse la voce di Draco dietro di lei. – “Purtroppo dobbiamo
fare la copia… ma non è ancora arrivato nessuno?!?”
– chiese, attonito, notando che il desk era ancora desolatamente
vuoto.
Oltre a licenziare Pansy, le avrebbe messo in conto anche quel dannato imprevisto!
“No, e qui la gente inizia a spazientirsi!” – urlò, cercando di farsi sentire anche davanti.
Draco la strattonò per un braccio.
“Che diavolo urli?”
Hermione lo guardò indispettita ma la signora davanti a lei le andò in aiuto.
“La lasci urlare, giovanotto. Io ormai ho esaurito la voce.” – disse.
Draco sbuffò.
“Cristo…” – esalò l’uomo.
Quando controllò l’ora sul suo cellulare, Hermione era un peperone.
Alla fine era arrivata ad attendere un’ora.
“Ok, adesso mi sono rotta.” – disse la ragazza.
Draco stava dietro di lei, con le braccia incrociate al petto.
“Che stai facendo?” – chiese, mentre la vedeva allontanarsi dalla fila.
“Arrivo subito! E veda di difenderla a costo della sua vita!” – urlò, indicando la valigia.
A Draco parve davvero di essere
stato catapultato in un universo parallelo. Ma che diavolo doveva fare
per farsi mostrare un po’ di rispetto da quella donna?!
Intanto Hermione…
“Allora… direzione, direzione, direzione… ah, per di qua.”
Hermione si era veramente rotta.
Aveva lasciato Draco a fare la
fila, cosa che un normale dipendente non avrebbe mai fatto ed era
andata in cerca dell’ufficio del direttore o di chi aveva in
gestione l’aeroporto per tirargli dietro un aereo di bestemmie.
C’era gente che doveva
lavorare o peggio!, partire per le ferie e per colpa di alcuni lavativi
lei e altre persone rischiavano di perdere il proprio volo! Oh, era
cattiva come una bestia!
“Buon giorno, posso aiutarla?” – chiese una donna, dall’aria severa.
“Sì, cercavo il direttore dell’aeroporto o qualcuno al quale rivolgermi.”
“Di cosa si tratta?” – chiese la donna.
“Il Banco Assistenza è vuoto e c’è una colonna che ormai arriva al check-in. Forse sarebbe il caso di mettere qualcuno all’accoglienza.” – polemizzò.
La donna non aveva accettato per nulla quella stoccata. Aveva cose ben più importanti a cui pensare.
“Sono sicura che a breve arriverà qualcuno. Torni in fila.”
“Cos’è? Una
veggente?” – chiese Hermione, infastidita dal fatto che non
avesse nemmeno fatto finta di fare una chiamata per risolvere il
problema.
“Senta signorina, lei non…”
Delle risate maschili attirarono
l’attenzione delle due donne e Hermione si ritenne altamente
baciata in bocca dalla fortuna nel sentire un uomo chiamare quello
vestito con un completo grigio “direttore”.
“Mi scusi? Lei con il vestito grigio?”
L’inserviente dell’aeroporto sbarrò gli occhi e cercò di fermare quella ragazzina.
L’uomo, invece, si girò perplesso.
“Sì?”
“E’ lei che dirige l’aeroporto?” – chiese, senza tanti giri di parole.
“Sì, perché?”
“Direttore mi scusi. Stavo cercando di risolvere io il problema della signorina ma…”
“No, tu non stavi facendo un bel niente!” – l’aggredì Hermione, furente.
“Signore, signore per favore calmatevi. Grazie Mary, ci penso io. Prego, mi dica pure.”
Notando la sua gentilezza, Hermione si calmò.
“Al Banco Assistenza non
c’è assistenza.” – ironizzò Hermione.
– “Dovrebbe aprire alle due, ma sono le tre e non
c’è nessuno a servire i clienti. Ci sono persone che
stanno aspettando e alcune di loro sono anziane.” –
chiarì.
Il direttore cercò di reprimere uno sbuffo.
“Signori, voi intanto accomodatevi pure. Io torno subito. Prego, venga con me.” – disse il direttore.
Hermione lo seguì, con la rabbia un po’ sbollita.
Quando Draco la vide arrivare in compagnia di un uomo, sollevò un sopracciglio.
E quello chi era?
“Signori buon giorno.” – salutò cortese. – “Sono il direttore dell’aeroporto…”
Draco sbarrò gli occhi e
avvertì la mascella fare un volo di un metro e ottanta ma non
riuscì a dire niente. Quella scriteriata aveva scomodato un
direttore?!? Ohssignore!
“… sono davvero
spiacente per la vostra attesa, ma vi assicuro che durerà ancora
poco. Andrò personalmente a chiamare il personale e verrete
serviti in men che non si dica.”
Vari “ooohh” di soddisfazione e malcelati “finalmente!” partirono dalla fila.
Infatti, come previsto dal
direttore, due donne arrivarono nel giro di cinque minuti, accesero i
computer e finalmente iniziarono a smaltire la ressa.
“Io davvero non ci credo!” – esclamò Draco, sbigottito.
Hermione avanzò di un passo.
“A cosa?” –
chiese, più concentrata a preparare eventuali documenti di
identità che ad ascoltare Draco.
“Sei andata nell’ufficio del direttore?!?”
“Tecnicamente lui era uscito, ma il concetto è quello.”
“Non puoi scomodare le persone per i tuoi comodi!” – sbottò Draco.
Dietro di lui una signora
sollevò un sopracciglio. E meno male che quella ragazza lo aveva
fatto o alle otto sarebbero stati ancora lì in fila!
Hermione si girò e si trattenne dal mandarlo a quel paese.
“Quindi lei mi sta dicendo che avrebbe preferito rimanersene in fila fino alle sei?”
“Certo che no ma…”
“E poi non ho scomodato le
persone per i “miei” comodi. Il mio intervento ha aiutato
tutti, alla fine. E se a nessuno è venuto in mente di andare a
lamentarsi ai piani alti, non so cosa farci!” – pure il
rimprovero doveva farle?!
Ma come diavolo era stato abituato?!?
“C’era un problema e l’ho risolto. Non mi sembra davvero il caso di rimproverarmi!”
“Buon giorno.” – salutò la donna, fintamente cordiale.
Era ovvio che era stata disturbata
nei suoi compiti per coprire un posto che non era di sua competenza.
Hermione, già infuriata per tutto quel tempo perso e per la
falsità di quel saluto, diede sfoggio della sua innata eleganza.
“Buon giorno una sega.” – chiarì Hermione.
Draco e la donna alla reception sbarrarono gli occhi.
“Mi serve una copia del mio
biglietto aereo. Prima di domani, magari.” –
sintetizzò, mentre Draco voleva scavarsi una fossa con le
proprie mani.
La tizia dietro il bancone non
rispose perché, oltre al motto “il cliente ha sempre
ragione”, era consapevole che una fila di un’ora avrebbe
minato la pazienza anche ad un santo e perché la ragazza aveva
il pieno diritto di arrabbiarsi per tutta quell’attesa.
“Il suo nome?”
“Hermione Jean Granger.”
“Volo?”
“New York.”
“In che classe?”
“First class.” – disse lei. – “Posto C1.”
“Ho una Hermione Granger,
nata a…” – la donna ripeté i dati anagrafici
di Hermione che annuiva, per accelerare il processo. –
“… è corretto?”
“Sì.”
“Perfetto. Ora lo stampo.”
Come promesso, l’operatrice stampò la copia del biglietto e glielo porse con un sorriso.
Hermione lo ricambiò con uno talmente falso che l’operatrice smise di sorridere come una babbea.
Insieme a Draco, tornò al check-in, sempre più costernato da quel carro armato di donna.
“Ecco il biglietto.” – disse Hermione, schiaffandoglielo sul banco.
Prese la valigia e la
scaraventò sul nastro trasportatore sotto lo sguardo mortificato
di Draco e quello perplesso dell’operatore che iniziò a
controllare i dati, appose le varie etichette su valigia e biglietto e
poi consentì ai due di andare dove più preferivano.
“Vuoi qualcosa da bere?” – chiese Draco, già prostrato ancora prima di salire sull’aereo.
“Eh? No grazie.”
Draco invece si prese un
caffè e se ne andò. Per il bisogno di caffeina nel sangue
avrebbe mangiato direttamente i chicchi di caffè!
“Che si fa adesso?” – chiese Hermione.
“Sono le cinque. Se vuoi possiamo dirigerci alle uscite.” – propose lui.
“Sì, va bene.”
Calli-corner
Ed eccoci qua.
Finalmente fanno la loro entrata
in scena mamma Narcissa e papà Lucius, che va a giocare a golf
con Tiger Woods. Finita la cena, sequestra il figlio e Draco si sfoga
con lui su Hermione e Lucius gli consiglia di non farsi scappare una
tipa simile.
Forse non mi farà una bella
pubblicità dirlo, ma giuro che io ho riso come una demente
mentre scrivevo il pezzo sull’aeroporto.
Non so voi, ma io Hermione me la
figuravo benissimo mentre ordinava a Draco di proteggerle la valigia
– quale dipendente sano di mente tratterebbe in quel modo un
datore di lavoro? – e andava alla ricerca del direttore.
Per non parlare poi di quando ha
salutato l’hostess con quel regale “Buon giorno una
sega” che lei si era meritato in pieno.
Io posso capire che quello non
è il tuo lavoro, ma se per colpa della tua inefficienza io devo
rischiare di perdere il mio volo, permetti che mi possano girare un
po’?
Comunque Hermione ha appena
dimostrato a Draco di non guardare in faccia nessuno, se si tratta di
risolvere un problema. Chissà che il biondino non apra
finalmente gli occhi.
Come al solito, sono aperta a qualsiasi tipo di recensione.
Vi lascio con lo spoiler!
“Draco Malfoy, certo.” – rispose la commessa. – “Una camera matrimoniale, giusto?”
A venerdì tessssssssssori!
callistas
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Capitolo 8 *** L'appuntamento con la Livin Home ***
08 - L'appuntamento con la Livin Home
Ed eccoci qua, pronti per l’ottavo capitolo di questa fic.
Sono contenta che la storia
continui a piacere. Hermione di certo sa come tenere alta
l’attenzione e Draco… Draco se la fa andar bene.
Il poveretto è stato
letteralmente bistrattato da quell’insolita impiegata che,
all’inizio del loro rapporto lavorativo, sembrava così a
modo ma che, una volta sguainati gli artigli, si è dovuto
ricredere. Hermione sa quello che vuole e se lo prende e, ancora una
volta, gli dimostra di essere la persona che ogni azienda vorrebbe nel
proprio organico: c’era un problema e lei lo ha risolto.
Non è questo che si chiede a un dipendente, forse? Risolvere un problema senza tanto frignare?
Personalmente, ho messo parecchio
di me in Hermione, da questo punto di vista. Odio quando sul lavoro mi
vengono a disturbare perché non fanno la fatica di spremere le
meningi per risolvere un problema. Tanto… sanno da chi andare
per avere la pappa pronta.
È un atteggiamento che non sopporto.
Vabbè.
Passiamo oltre.
Finalmente sono
all’aeroporto. Cosa accadrà durante il volo? Si
appianeranno un pochino le cose tra quei due zucconi? Ci sarà
una svolta?
Per chi lo vuole sapere, rimanga sintonizzato.
Per chi non lo vuole sapere, rimanga sintonizzato lo stesso.
Benvenuti nella Dittatura-Callistas. ù_ù
In ogni caso, ciancio alle bande e buona lettura!
Ci vediamo in fondo come al solito,
callistas
Passarono pure quei controlli.
Fortuna che almeno lì tutte
le uscite erano aperte, così la folla poté passare molto
più velocemente che al Banco Assistenza. Borsa, orecchini,
cellulare, I-pad… tutto quello che conteneva ferro o tecnologia
doveva essere messo in apposite ceste che sarebbero passate sotto i
raggi x.
Passò prima Draco, senza
intoppi, e andò a ritirare le proprie cose ma quando fu il turno
di Hermione il metal detector suonò. La ragazza alzò gli
occhi al cielo, come ogni volta che doveva viaggiare in aereo.
“Venga qui, per favore.”
Si spostò per far passare gli altri e rispose alle domande dell’agente che l’aveva fermata.
“Si è dimenticata di togliere qualcosa?”
Draco, intanto, osservava con curiosità la sua dipendente in disparte con un agente.
E adesso che c’era? Possibile che non si potesse passare senza intoppi?
Quello fu un altro imprevisto che avrebbe messo in conto a Pansy!
Naturalmente, non sentì
niente della conversazione, poiché l’agente aveva portato
Hermione in una zona appartata. Riusciva solo a vederle confabulare e
basta.
Finalmente, dieci minuti
più tardi, dove ogni sguardo si era puntato su Hermione e sul
fatto che fosse suonato il metal-detector, la riccia prese le proprie
cose e si diresse verso Draco, sperando che non fosse una comare che
voleva sapere per for…
“Come mai ha suonato?”
Fortuna che l’aveva appena pensato… e poi dicevano che le donne erano curiose!
“Mi ero dimenticata di togliere il braccialetto.” – mentì.
“Risolto tutto?”
“Sì, andiamo.” – disse, tagliando corto.
L’attesa al gate 8 non fu lunga come quella al Banco Assistenza.
Draco e Hermione porsero agli
inservienti i propri biglietti con i documenti di identità e poi
salirono sulla navetta che li avrebbe condotti all’aereo.
Salirono le scalette e Draco fece da cicerone alla donna che guidò nella Prima Classe.
Hermione entrò con la bocca aperta.
Non c’era mai stata in quella zona dell’aereo, se non tramite i documentari o le commedie in tv.
“Oh per Dio…” – esclamò, non abituata a tutto quel lusso.
Aveva addirittura paura di sedersi per timore di sporcare i sedili.
Draco, non visto, sorrise divertito. Aveva imparato che Hermione non si faceva problemi a mostrare apertamente le sue emozioni.
Presero posto l’uno di
fronte all’altro, notando come la Prima Classe non fosse poi
così piena. Beh, comprensibile: non tutti avevano a disposizione
le carte di Platino della Malfoy Home…
“Bene, adesso che siamo qui mi dice cosa dovrei fare una volta a New York?” – chiese subito.
Draco non fece in tempo a levarsi la giacca che guardò stranito la donna.
“Certo che non perdi tempo, eh?” – disse, togliendo la giacca e facendola cadere sul sedile accanto al suo.
“E’ che sono curiosa
di sapere cos’ha intenzione di farmi fare.” – ammise,
mentre osservava dal finestrino gli operatori sistemare le ultime cose
prima del volo.
Fece una cosa che lasciò
Draco sgomento: alitò sull’oblò e con le dita
disegnò una faccina stilizzata. Quando si girò, non si
preoccupò più di tanto della faccia del suo titolare che
reggeva in mano un’agenda nera.
Ecco che le tornava l’acquolina…
Sbarrò gli occhi quando vide l’uomo porgergliela. Titubante, l’accettò.
Ne saggiò la consistenza, percorse la rilegatura e le cuciture. Doveva essere stata fatta a mano.
“Aprila.” – le disse.
Hermione lo guardò, cercando una conferma anche dal suo sguardo. Trovatala, aprì l’agendina.
La prima cosa che avvertì fu il profumo del suo direttore.
Usava un’essenza decisa,
maschile. Forse era il dopobarba che si metteva alla mattina sul volto
e che, quando prendeva in mano l’agenda e ne sfogliava le pagine,
vi rimaneva impresso.
Girò pigramente le prime pagine, imprimendo nella mente nomi e la sua calligrafia elegante.
Era stupido mettersi a piangere di
fronte a ciò che aveva sempre desiderato vedere? Forse sì
e solo per questo motivo evitò di farlo davanti al suo titolare
che non avrebbe mai compreso le aspirazioni di un’umile
dipendente come lei.
Draco le lasciò il tempo di prendere confidenza con la sua agenda, di leggerne i nomi che la componevano.
La vide sbarrare gli occhi quando arrivò in fondo all’agendina, dove c’era la rubrica telefonica. Sorrise.
C’erano nomi importanti, tra
quelle righe: Cameron Diaz, Brad Pitt e consorte, nomi di case
farmaceutiche, cosmetiche e altro, nomi di politici, nomi di studiosi,
nomi di poeti contemporanei…
“Posso prendermi il cellulare di Brad Pitt?” – chiese, conscia della risposta negativa del suo titolare.
“Non ora.”
Hermione alzò di scatto lo sguardo. Significava che un giorno avrebbe potuto?!?
“Allora Hermione… adesso vai alla data del dieci di novembre.”
Hermione obbedì. Era un lunedì e vi era un unico impegno.
“John Cook della Livin Home?” – chiese, perplessa.
“Dobbiamo parlare con lui.”
“Perché usa il plurale?” – chiese.
“Perché abbiamo un appuntamento.”
“E io che vengo a fare? La
bella statuina?” – chiese, non riuscendo proprio a capire
cosa potesse mai fare lei tra due giganti come la Malfoy Home e la
Livin Home.
“No. Inizi a lavorare sul campo.”
Hermione corrucciò le sopracciglia e rimase in silenzio.
“Ho per caso fatto qualcos’altro che non dovevo?” – chiese infine.
“Perché me lo chiedi?”
“Beh, di solito quando vuole
affidarmi un incarico, è perché ho fatto qualcosa di
sbagliato, quindi… cos’ho fatto stavolta?” –
chiese, innocentemente.
Beh, cos’aveva fatto quella volta?
Nulla di particolare, se non
essere parte integrante di una piccola vendetta nei confronti di Pansy.
Lei aveva snobbato lui e il suo lavoro presentandosi a suo piacimento?
Bene!, lui sarebbe andato in America con Hermione solo per prendersi
una piccola rivincita.
Di certo, però, non poteva
dirle una cosa del genere o era sicuro che la ragazza avrebbe fatto
addirittura tornare indietro l’aereo per non essere coinvolta
nelle loro beghe.
“Perché non puoi pensare di essertelo meritato?”
Ma la faccia di Hermione esprimeva
perplessità. E come darle torto? Era impossibile da credere che
un giorno Draco Malfoy si fosse alzato dalla parte giusta del letto e
le avesse affidato un compito simile senza prima chiederle se si
sentisse in grado di farlo o senza averle dato le giuste indicazioni.
“Me lo sono meritato?” – chiese lei, divertita per quella sorta di sfida che aveva ingaggiato con lui.
Anche Draco, nonostante tutto, si
stava divertendo. Permetteva a Hermione di parlargli in quel modo
perché era una lavoratrice in gamba. Dubitava fortemente che se
avesse avuto davanti un impiegato che faceva il minimo indispensabile,
gli avrebbe permesso tanto.
“Tu cosa dici?”
Hermione rise per quel continuo rispondersi con le domande.
“Io non so se me lo sono
meritato…” – disse la ragazza. –
“… ma qualsiasi cosa abbia fatto, grazie.”
Quando lo aveva ringraziato, aveva sentito un piccolo pungolo al cuore.
Non la stava premiando per qualcosa che aveva fatto ma perché aveva voluto punire Pansy.
Non era un comportamento corretto, quello.
“Hai del potenziale,
Hermione.” – le confessò Draco dopo qualche attimo
di silenzio, sperando di mitigare un po’ il senso di malessere
con quelle parole.
La ragazza lo guardò stupita. Lo aveva detto davvero?
“Sei precisa nel tuo lavoro e ti sai muovere in vari settori. Sei un’eclettica del lavoro.”
La ragazza arrossì sotto quel fuoco incrociato di complimenti.
“Beh… sono
dell’opinione che quando viene affidato un compito, questo deve
essere fatto nel miglior modo possibile.”
“Sì, dovrebbe essere
così, ma non tutti ragionano come te. La maggior parte delle
persone lavora per lo stipendio e se non è adeguato alle proprie
aspettative, iniziano a lavorare male.”
“Non creda che io sia così santa, signor Malfoy. Nemmeno io lavoro gratis.” – precisò Hermione.
“Lo so.” – disse
Draco, leggermente sconvolto per la schiettezza della ragazza. –
“Ma a volte è una soddisfazione anche per un datore di
lavoro fare il bonifico di uno stipendio, sapendo che la persona in
questione se lo è meritato fino all’ultimo
centesimo.”
Se andava avanti di quel passo, rischiava l’autocombustione!
Che Draco Malfoy avesse bevuto un
alcolico al posto del caffè?, altrimenti non si spiegava tutta
quella sfilza di complimenti. Quella volta, però, non disse
niente: li incassò per poi riascoltarli come una vecchia canzone
mai del tutto passata di moda.
Nell’attesa che
l’aereo decollasse, i due iniziarono a chiacchierare,
mantenendosi su terreni neutrali come il lavoro o gli hobbies.
Quando l’aereo iniziò a rullare, Hermione provò un senso di momentaneo vuoto dentro di sé.
Provava quella sensazione ogni
volta che stava per fare una cosa importante o quando qualcosa di
importante stava succedendo nella sua vita.
Prese un bel respiro e si
preparò ad affrontare quella nuova avventura con l’animo
di chi è riuscito a conquistare il proprio datore di lavoro con
il proprio impegno.
Partire da Londra alle sei del pomeriggio e arrivare alle dodici, scatenò in Hermione un moto di ilarità.
“Perché ridi?”
“Fare questi viaggi,
è come tornare indietro nel tempo. Siamo partiti alle sei di
sera e adesso è mezzogiorno.”
Draco avrebbe voluto dire
qualcosa, ma si rese conto che non riusciva a dire niente. E quella era
la prima cosa che le era venuta in mente non appena messo piede sul
suolo americano? Bah, chi la capiva era bravo…
Come predetto da Hermione, la
ragazza avvistò immediatamente il proprio bagaglio che spiccava
in mezzo a quello degli altri come un pugno in un occhio.
In molti guardavano quel colore
così particolare veramente divertiti e sorridevano in direzione
di Hermione che ricambiava i sorrisi.
La valigia di Draco, naturalmente
più sobria, dovette fare il giro un paio di volte prima di
essere presa perché era un modello che si confondeva molto bene
con quello di altri viaggiatori.
Quando riuscì nell’impresa, Hermione lo guardò divertita.
“Ti sarei grato se non
dicessi niente.” – disse, frustrato perché anche in
quel frangente, Hermione sapeva come cavarsela.
“Ma se non ho parlato!” – esclamò, la cui faccia però dava a intendere dell’altro.
Gli andò dietro cercando di non farsi sentire mentre rideva ai suoi danni…
La loro sembrava una partita, dove
non c’erano vinti o vincitori: continuavano a segnare punti di
pari passo. Prima Hermione aveva riso di Draco perché aveva
impiegato venti minuti buoni per prendere il proprio bagaglio, ora era
Draco che rideva di Hermione quando l’aveva vista sbarrare gli
occhi, incredula, perché ad attenderli c’era un autista
con tanto di cartello con su scritto i loro nomi.
Chissà chi avrebbe vinto, alla fine…
“Signor Malfoy?” – lo chiamò l’autista, per sincerarsi della sua identità.
“Sì, sono io.”
“Buon giorno signore. Io sono Arthur. Sono qui per conto della Livin Home. Vuole seguirmi’”
La folla intorno a loro li
guardava un po’ invidiosa di quel privilegio che sicuramente
costava e poi tornò a farsi i fatti propri.
Il signor Arthur guidava una
macchina elegante, ma non eccessivamente vistosa. Prese i bagagli e li
mise nel baule e quando andò ad aprire la porta, notò che
la ragazza era già salita.
“Non dica niente, per favore…” – disse Draco, sconsolato per quella mancanza di stile di Hermione.
La riccia si era chiusa dietro lo
sportello e poi aveva abbassato il finestrino per buttarci fuori la
faccia. Non si sarebbe persa niente dell’America, neanche del
viaggio dall’aeroporto all’albergo!
Beh, forse quel viaggio poteva
anche saltarlo, perché per la strada c’erano solo campi
sterminati. Niente di così eclatante da essere immortalato con
una fotografia.
Arthur diede loro maggior privacy, alzando il vetro per separarli e dar loro modo di chiacchierare senza essere disturbati.
“Avresti potuto aspettare che Arthur ti aprisse la porta.”
Hermione si girò. Aveva
come colto una sorta di rimprovero per quell’azione che per lei
era naturale come respirare.
“E perché?”
Draco pensò che quella
donna non avesse mai del tutto superato la fase infantile dei
“perché”. Ogni volta che le faceva presente
qualcosa, lei subito gli chiedeva “Perché?”. Era
snervante…
“Perché è un suo compito.”
“Cos’è? Gli
danno dieci dollari in meno se non apre la portiera a qualcuno?”
– chiese, cercando di non mostrarsi palesemente indispettita per
quella forma di servizio che per lei era assolutamente fuori luogo.
Ed ecco la guerra fredda…
“No, ma è pagato anche per questo.”
Hermione però non se la
sentiva di dargliela vinta in quel modo e Draco se ne accorse. Aveva
qualcosa da dire e da come si torturava le labbra, se non lo avrebbe
fatto nel giro di poco, sarebbe scoppiata.
“Cosa c’è adesso?”
“Posso dirle una cosa senza rischiare il licenziamento?”
“Ohssignore!” – esclamò l’altro, già esasperato.
Era certo che da quel viaggio sarebbe tornato devastato.
“Dimmi!” – esclamò.
“Secondo me lei è abituato troppo bene.”
Draco la guardò con gli occhi sbarrati.
“Prego?”
“Sì, insomma…
prima classe, autisti che le aprono la porta. Cos’è?
Troverà anche lo champagne con le fragole in camera?”
La sua, che voleva essere una
battuta grazie a tutti i film che aveva visto, si era rivelata, alla
fine, essere la pura verità.
“Andiamo bene…” – disse Hermione, perplessa e spaesata di fronte a tutto quello spreco.
“Scusa, non vedo
perché tu ti debba fare tutti questi problemi. Non vedo
perché quando ci si può permettere di vivere
nell’agiatezza non se ne possa approfittare. E poi pago io.”
Non l’avesse mai detto!…
Hermione si gonfiò come un gatto di fronte al cane e Draco comprese di aver appena innescato una bomba nucleare.
“Oh, dubito sinceramente che
lei tiri fuori di tasca propria i soldi per pagare
l’albergo.” – puntualizzò. – “E
comunque qui non si parla di “agiatezza” ma di un vero e
proprio sperpero!”
L’attimo in cui Hermione
lasciò l’ultima parola scivolarle dalla bocca, si chiese
perché mai dovesse prendersela in quel modo. Insomma…
erano cavoli suoi! Chi era lei per fargli la predica su come sceglieva
di spendere il proprio denaro?
Adesso capiva perché i suoi familiari, spesso e volentieri, dicevano che lei prima di pensare, parlava.
Chiuse gli occhi, indispettita da quel suo maledetto difetto che saltava fuori sempre nei momenti meno opportuni.
Di certo quello non era il modo migliore per farsi amico il titolare e riuscire a diventare la sua segretaria personale.
Draco, dal canto suo, era rimasto senza parole.
D’accordo, poteva sopportare
che lei lo rimbeccasse sul lavoro, perché fino a quel momento
non aveva mai trovato niente su cui recriminare, ma su come spendeva il
suo denaro… oh no!, quello proprio non lo poteva tollerare!
“Se pensi che…”
E la sua arringa venne smorzata dalle scuse di lei.
“Sono desolata.” – ammise, sinceramente pentita.
E neanche in quell’occasione, Draco ebbe modo di rimproverarla a dovere.
“Lei può fare quello che vuole con i suoi soldi. Chiedo scusa…”
“Scuse accettate.”
– disse lui. – “Ma la prossima volta pensa, prima di
parlare.” – l’ammonì, ancora indispettito per
quel commento così fuori luogo.
E come disse qualcuno…
“Obbedisco…” – sussurrò Hermione, attenta a non farsi sentire…
Hermione, infilati la lingua su per il…
“Siamo arrivati.” – disse Draco, interrompendo i suoi poco casti pensieri.
La macchina si era fermata di
fronte a un albergo monumentale. Era talmente grande e sviluppato in
lunghezza, che Hermione perse il conto di quante finestre c’erano
su un piano alla diciottesima.
Per evitare di irritare
ulteriormente il suo datore di lavoro, aspettò che Arthur le
aprisse la portiera. Draco scese elegantemente e quando fu il turno di
Hermione l’autista le porse la mano per aiutarla.
Hermione lo guardò, confusa e poi guardò Draco che sperò di evitare una seconda figuraccia.
“Gli devo dare la mancia?” – chiese, confusa.
Draco, non visto, si
spiaccicò una mano sulla faccia, frustrato e Arthur cercò
di non ridere troppo apertamente in faccia a quella che lui pensava
fosse una contadinotta.
“Arthur vuole solo aiutarti
a scendere, Hermione.” – chiarì Draco, che non
riusciva a comprendere come Hermione non conoscesse le basi delle buone
maniere.
“E perché?”
Oddio adesso la strozzo!, pensò Draco.
Lei era ancora seduta sui sedili,
mentre aspettava una risposta abbastanza soddisfacente da farle mettere
la propria mano su quella di Arthur.
“Perché questa si chiama galanteria, Hermione.” – chiarì Draco.
Il povero autista era ancora fermo
impalato con la mano rivolta verso l’alto, aspettando che la
donna si decidesse a posarla sulla sua.
“Non c’è mica bisogno di essere così scorbutici!” – lo rimbeccò lei, piccata.
Cavolo!, non era colpa sua se non era abituata a tutte quelle moine!
La voglia che Draco aveva di
strozzare Hermione era proporzionale a quella di un tossico in
astinenza. Si chiese un milione di volte, nell’arco di un
secondo, come facesse a non sapere niente!
Hermione posò la mano su
quella di Arthur che, elegantemente, la tirò fuori. Lei
però, un po’ impacciata, fece solo la figura di inciampare
nei propri piedi e finire addosso all’autista che la prese in
extremis.
Si ricompose frettolosamente, rossa per la figuraccia.
“Ehm… grazie…” – disse, con un sorriso imbarazzato.
“Si figuri.”
Arthur si allontanò per prendere i bagagli e Hermione cercò di evitare lo sguardo divertito di Draco.
Quell’albergo era davvero imponente.
La porta era girevole e Hermione
dovette aspettare un paio di giri prima di trovare il coraggio di
infilarcisi dentro perché aveva paura di sbagliare e prendersela
in testa.
Quando finalmente riuscì a entrare, venne il problema di uscire dall’altra parte.
Temendo di dover rimanere
lì a vita, Draco andò in soccorso di Hermione e
afferrandole con decisione il braccio la tirò fuori, con tanto
di valigia appresso.
“Molto gentile.”
– disse Hermione con pesante ironia, poiché l’aveva
tirata fuori con la stessa decisione con la quale un genitore porta via
un figlio particolarmente capriccioso.
“Figurati.” – rispose Draco, con la stessa verve.
L’uomo, mentre si dirigeva
verso il bancone della reception per avere le chiavi della propria
camera, sperò, pregò, auspicò, implorò che
non gli capitassero altri ritardi o inconvenienti.
Hermione si era attardata per
poter ammirare meglio l’arredamento. Era tutto molto bello; i
marmi che componevano gli arredamenti erano principalmente bianchi,
salvo qualche nota di colore per dare maggior visibilità a
questo o a quell’altro mobilio.
Evitò per un soffio il
ragazzo addetto alle valige. Conscia di non essere nel proprio habitat
naturale, raggiunse velocemente Draco, per farsi dare la chiave della
propria camera.
“Draco Malfoy, certo.” – rispose la receptionist. – “Una camera matrimoniale, giusto?”
“E’ forse impazzita?!” – chiesero i due in coro, atterriti dalla possibilità.
La donna li guardò, imbarazzata. Che avesse commesso un errore?
Ricontrollò meglio il documento d’identità e il nome della prenotazione. Si scusò mille volte.
“Oh, scusate. Ho letto male
il suo nome signor Malfoy, desolata. Sì, due doppie uso singole
per lei, signor Malfoy e per la signorina Hermione Granger. È
corretto?”
“Sì.” – disse Draco, al quale era preso un mezzo infarto.
E chi glielo spiegava poi a Pansy che era stato un errore di quelli dell’albergo?…
“Ecco le vostre chiavi. Buon
soggiorno all’Hilton Hotel. Se volete accomodarvi là in
fondo, vi manderò subito il facchino per i bagagli.”
“Sì, grazie.”
– disse Draco, allontanandosi dal bancone. – “Ci
mancava solo che ci mettesero in camera insieme…” –
borbottò.
“Cosa vorrebbe insinuare con questo?” – chiese Hermione, sentendosi offesa dal commento.
“Niente, lascia stare…” – disse l’altro, stanco per il fuso orario.
Non voleva di certo mettersi a ingaggiare un battibecco con quella ragazza!
“Signor Malfoy?”
Un ragazzo con la divisa dell’hotel si presentò da loro.
“Sì?”
“Sono il facchino. Se mi date i bagagli, ve li porterò in camera.”
“Ah sì, grazie. Sono questi due.”
Il ragazzo annuì e prese in
consegna le valige. Accompagnò per prima la ragazza e poi Draco
che, a fine servizio, gli lasciò una lauta mancia.
“Buona giornata signore.” – ringraziò l’altro, tornando di sotto.
Finalmente un po’ di pace!
Un po’ più a disagio, invece, era Hermione.
La stanza era tre volte il suo
appartamento. Quando il facchino se ne era andato, aveva preso a
guardarsi intorno, giusto per orientarsi. Il letto era a due piazze
– stile ottocento, pensò Hermione – ricco di cuscini
per dormire e decorativi. Ci si sedette sopra, e si mise a ridere
quando lo sentì sprofondare. Molleggiò un paio di volte e
poi andò in cerca della meraviglia successiva.
Ai piedi del letto c’era una
specie di panca rivestita di velluto. Immaginò fosse per i
vestiti, perché non c’erano appendiabiti nei paraggi.
Vicino all’immensa vetrata
c’era un tavolino e dall’immensa cultura di film
immaginò fosse quello della colazione.
Per curiosità, andò ad aprire la finestra e non le mancò poco di cadere di sotto.
“Porca!…”
Stava all’ultimo piano dell’albergo ed erano parecchio altini… per evitare incidenti, chiuse la vetrata e rientrò. E decise di andare alla ricerca del bagno.
Quando aprì la porta, rimase senza parole.
Era immenso e luminoso. Regnava un profumo di pulito tanto che la ragazza pensò fosse stato appena tirato a lucido.
C’era una vasca che faceva da idromassaggio e anche una doccia.
“Che spettacolo…” – esalò.
Uscì dal bagno, solo perché qualcuno aveva bussato alla porta.
“Chi è?”
“Sono io.”
Aprì la porta e si trovò davanti il suo titolare.
“Sì?”
“Posso entrare?”
Si fece da parte e lo accolse.
“Allora, ti piace la camera?”
“Beh, non sono pvopviamente abituata a qvesto levciume, ma mi accontevò.” – scherzò lei.
Draco corrucciò le sopracciglia per non darle a vedere quanto la battuta lo avesse divertito.
“Guardi che non muore nessuno se si lascia andare a una risata, eh?” – disse lei.
“Hermione…” – la richiamò lui, con il tono di un genitore mezzo divertito e mezzo indispettito.
“Ok, ok…” – disse l’altra, mollando la presa. – “Aveva bisogno di qualcosa?”
“Sì. Hai fame?”
“Un po’.”
“Allora scendiamo in sala da pranzo. Lì ti spiegherò cosa faremo in questi giorni.”
E Draco fu di parola.
La mise al corrente di ciò che avrebbero fatto davanti a un bel piatto di pasta italiana.
Ma la lingua lunga di Hermione era in agguato.
Quando il cameriere arrivò
con i piatti, il sorriso di Hermione morì atrocemente sulle
labbra. Era così affamata che avrebbe mangiato un bue intero e
ci rimase veramente malissimo quando le sistemarono sotto il naso tre
spaghetti in croce con mezzo filetto di pancetta e una pallina di
quello che, all’apparenza, era un po’ di uovo.
“Buon appetito.”
– augurò Draco con la forchetta pronta ad affondare nel
risotto ma rimase perplesso nel vedere Hermione con lo sguardo fisso,
sbarrato e inorridito sul piatto. – “Qualcosa non va?”
La ragazza alzò lo sguardo, agghiacciata.
“Hermione?” – insistette lui.
Si preoccupò subito. Che fosse allergica a qualcosa?
“Scusi… ma lei con un
piatto del genere riesce a cavarsela la fame?” – chiese
indignata dalla porzione che non avrebbe sfamato neanche un neonato.
La faccia di Draco era impagabile.
Un misto tra indignazione e rassegnazione si mescolavano sul suo volto.
Iniziò a rimpiangere Pansy…
“Non puoi pretendere che ti portino due etti di pasta, Hermione.” – chiarì Draco.
Inforcò una noce di riso che però si bloccò a pochi centimetri dalla bocca.
“Perché?”
Signore, ti prego, ascolta questa mia preghiera…, pensò Draco stremato.
“Perché in questi ristoranti queste sono le porzioni. Non sei in un agriturismo.” – la rintuzzò.
“Perché?
Lei è mai stato in un agriturismo?” – chiese
Hermione, che non aveva gradito il modo di Draco di farsi beffe di quel
genere di ristorante.
Per la seconda volta aveva tentato di mangiare il primo boccone e per la seconda volta aveva fallito.
“No e non mi interessa neanche.”
“Perché?”
Draco sospirò esausto. Se
sapeva che avrebbe dovuto pranzare con una zecca, non sarebbe passato
per chiederle se aveva fame.
“Non sono posti che fanno per me, quelli.”
“Razzista…” – commentò Hermione che, in un paio di forchettate, aveva finito la pasta.
Nel tavolo vicino, una signora che
aveva l’aria di avere molta puzza sotto il naso, guardò
Hermione con disgusto per la maleducazione dimostrata nello spazzolare
il piatto e raccattare quel poco di sugo che c’era con il pane.
L’occhio di Hermione cadde
su questa donna e con un gesto della mano le chiese cosa volesse da
lei. La donna fece una faccia indignata e tornò a mangiare la
propria portata.
“Tu invece ci vai e ti
rimpinzi fino a stipare ogni buco, immagino.” –
commentò Draco che prese del vino per sé.
Hermione lo guardò male.
“Di solito in un ristorante
si va per mangiare, non per patire la fame. Neanche in dieta si patisce
la fame in questo modo.” – disse, riferendosi al piatto
appena gustato.
Era molto buono, Hermione non poteva negarlo, ma era troppo poco!
“Questa non è una cucina normale. È rivolta a persone di un certo…”
Hermione sollevò un sopracciglio. Era proprio curiosa di sapere cos’avrebbe detto.
“Di un certo?” – lo sfidò la donna.
Draco si morse la lingua. Cazzo!
“… di un certo grado sociale.” – concluse, non trovando nulla per svicolare.
“Desolata se sono una grezza ragazza di campagna.” – si schernì lei.
“Non ho mai detto che tu sia grezza.” – precisò.
Hermione sollevò un sopracciglio.
“Non si arrampichi sugli specchi.” – lo rintuzzò.
Draco sospirò.
“Senti, possiamo…”
“Allora, cosa dovrò fare?” – chiese la riccia, tagliando corto.
Draco sospirò ancora e
decise di accantonare la questione. Iniziò a raccontare per filo
e per segno ciò che avrebbero dovuto fare.
Hermione ascoltò tutto con
attenzione, come quando si trovava davanti a un nuovo compito. Aveva
ascoltato e metabolizzato le informazioni ricevute e le aveva
registrate nella mente.
Draco aveva parlato molto
lentamente, non perché la ragazza di fronte a lui fosse
ritardata, ma perché sapeva che quello era un appuntamento molto
importante e tutto doveva filare liscio.
Ne andava del futuro della Malfoy Home.
Avrebbe fatto lo stesso con Pansy.
Fu durante il dolce, Hermione espresse le proprie perplessità.
“Lei non mi sta dicendo qualcosa.” – iniziò Hermione.
Draco serrò le labbra. Ma che aveva quella? Un radar?
“Dimmi.”
“Onestamente è da
quando mi ha detto che avrei fatto questo viaggio con lei che non
faccio che sfondarmi il cervello per trovarne il motivo. Possiamo stare
qui anche tutta la notte a parlare della mia attitudine al lavoro, ma
entrambi sappiamo che questo non
è un viaggio premio. Lei è il titolare ed è giusto
che un dipendente esegua gli ordini che lei gli da, ma se sono qui per
qualche faida tra lei e la sua fidanzata, credo sia giusto e onesto da
parte sua dirmelo.”
“Hermione, io non…”
“Per favore.” –
disse Hermione. – “Io sono scorbutica, ignorante in queste
cose…” – disse, riferendosi al siparietto della
quantità del cibo. – “… e ammetto che la
maggior parte delle volte parlo prima di pensare, ma le ho sempre
dimostrato, e se non è così mi smentisca pure, di essere
una buona lavoratrice, onesta e che non si tira indietro di fronte a
nessun compito. Quindi per favore… sono qui perché lei e
la signorina Parkinson avete litigato?”
Il ragionamento che si era fatta Hermione era molto semplice.
Poiché quel tipo di viaggio Draco lo faceva con
Pansy, la prima cosa alla quale pensò subito la ragazza, fu che
tra i due fosse avvenuto un litigio, perché Draco non era il
tipo che sceglieva una collaboratrice inesperta per un colloquio
importante come quello con la Livin Home.
Onestamente, Draco non sapeva cosa fare.
Doveva dirglielo o come aveva
giustamente fatto notare lei stessa, lui non era tenuto a tanto? Eppure
sapeva che le sue parole, in parte, erano vere.
Beh, erano vere e basta.
“Se ti dicessi di sì, cambierebbe qualcosa?”
Hermione chinò lo sguardo
sul tovagliolo che aveva sulle gambe e lo stirò, per tenere le
mani occupate. Una parte di lei avrebbe preferito che il signor Malfoy
le dicesse di no, che quel viaggio se l’era meritato grazie al
suo lavoro ma l’altra parte si sarebbe ribellata di fronte a
quella palese menzogna, preferendo la brutale verità.
Era però delusa che una
cosa così importante fosse stata decisa a causa di un bisticcio
tra fidanzati. Lei voleva certamente andare in America, ma solo grazie
alle proprie doti.
“Allora è così? Sono qui perché voi due avete litigato.” – disse.
E non era più una domanda.
“Ora tocca a me fare una
premessa.” – disse Draco. – “Premetto che non
è mia abitudine discutere le mie decisioni con un dipendente ma
come ho già detto, tu hai del potenziale Hermione, un potenziale
che se ben coltivato potrebbe portare a ben altri livelli.”
L’azienda? Lei stessa? Entrambe?
Hermione non riusciva a darsi una risposta.
“Ma ho avuto modo di
conoscerti in questi anni. Sei puntuale e precisa e hai
un’elasticità mentale che è difficile da trovare.
Rare sono le persone con il tuo dono.”
“Signor Malfoy venga al dunque.” – disse Hermione.
Non era decisamente il momento per le lusinghe, quello.
Draco annuì, concedendole il punto.
“Il punto è Hermione
che questo viaggio non era esattamente ciò che avevo in mente
per te, o almeno, non nell’immediato.”
Hermione sospirò pesantemente. Non aveva per niente gradito.
“Ciò non toglie che…”
“Ciò non toglie che
ogni volta che lei deve premiarmi per le mie cosiddette
“capacità”, mi ritrovo invischiata in due lavori o
tra le vostre beghe. Ma è così difficile lasciarmi fuori?
Che cavolo! Me ne stavo così bene al centralino, io!”
– si lamentò.
“Avresti davvero preferito rimanere al centralino per sempre? Con le tue potenzialità?”
“La sa una cosa? Queste mie
potenzialità stanno iniziando a darmi sui nervi!” –
disse, arrabbiata, scaraventando il tovagliolo sul tavolo.
Finora le avevano procurato solo rogne!
“Finora non mi ha mai
incentivato perché le ho dimostrato che ci sapevo fare, ma solo
bastonato perché rispondevo male a Pansy!”
Era la tipica bambina che esponeva
al genitore com’erano andate le cose per filo e per segno per non
beccarsi una punizione immeritata.
“E davvero non riesco ancora
a credere di essere qui a fare una cosa… che non so fare!”
– esclamò.
“Abbassa la voce.” – le intimò Draco.
Le sue urla stavano attirando un po’ troppo l’attenzione.
Hermione lo guardò
malissimo per quel tentativo di farla passare dalla parte del torto
quando era lui ad essersi comportato male con lei fin dall’inizio.
“Sì, non si preoccupi.” – disse Hermione, alzandosi da tavola.
Draco la guardò perplesso.
“Dove vai?”
“In camera. Posso o devo chiedere il permesso?” – chiese, allargando di poco le braccia in fare ironico.
Draco abbassò leggermente lo sguardo e lei se ne andò.
Non poteva darle torto.
E, cazzo… stava pensando
che da quando aveva iniziato a notarla – sì, da quando
aveva risposto a Pansy quel giorno nel suo ufficio – non era mai
riuscito a controbattere a nessuna delle sue parole.
Poi quel colpo basso non se l’era per niente meritato. Nemmeno a lui sarebbe andata giù una cosa del genere.
Il cameriere arrivò.
“Gradisce un caffè, signore?”
“No, grazie.”
Si alzò anche lui e andò in camera.
Aveva bisogno di una bella doccia.
Hermione entrò in camera e sbatté la porta alle spalle.
Ancora non capiva perché se
la prendesse tanto. Insomma!, non era il primo datore di lavoro che le
faceva fare cose assurde senza dare delle giustificazioni! Draco Malfoy
era stato abbastanza onesto con lei eppure ancora non lo riusciva a digerire.
Era iniziato tutto quel giorno a causa di Pansy Parkinson.
Forse doveva riconoscerle un
merito, perché se non fosse stato per lei e il suo voler
continuamente avere l’ultima parola – cosa che non aveva
mai, non con lei, almeno – lei non avrebbe mai avuto modo di
mostrare al signor Malfoy le proprie capacità. Senza di lei,
molto probabilmente sarebbe stata ancora a rispondere “Malfoy
Home buon giorno sono Hermione, posso aiutarla?” e allora?
Massì… forse doveva
smetterla di crearsi tutti questi problemi e accettare le cose come
venivano, doveva smetterla di rispondere a qualsiasi cosa gli dicesse
il suo titolare e accettare le sue decisioni in silenzio.
E smetterla di sperare che un giorno lui l’avrebbe premiata per le sue capacità.
Presa quella decisione, che in
realtà era un arrendersi di fronte a delle ingiustizie che non
sopportava, Hermione andò in bagno e scelse di farsi un bel
bagno nella vasca e rilassarsi. Magari l’avrebbe aiutata a
calmare i nervi – forse era ancora stanca dal fuso orario e dal
viaggio – e ad affrontare al meglio quella nuova esperienza che
iniziò a sperare finisse il più presto possibile.
L’albergo metteva a disposizione dei clienti una serie di essenze da liberare nell’acqua calda.
Hermione ne scelse una alla
vaniglia perché aveva bisogno di rilassarsi e quel profumo dolce
l’avrebbe sicuramente aiutata, come infatti accadde.
La vasca, munita di poggiatesta,
permetteva a Hermione la più rilassante delle posizioni e poco
le mancava per addormentarsi. Nel silenzio del bagno finalmente
sentì i nervi distendersi e la mente svuotarsi di ogni pensiero.
Forse era di un bel bagno che aveva bisogno.
Draco entrò in camera e la prima cosa che fece fu disseminare i propri vestiti dal letto fino al bagno.
Aveva bisogno anche lui di
distendersi perché solitamente quando arrivava in America con
Pansy, la prima cosa che faceva era un bel bagno e un sonnellino di
qualche ora per riprendersi.
Non solo quand’era arrivato
aveva dovuto dare qualche lezione a Hermione su quale fosse il galateo
degli autisti, ma aveva pranzato subito e avuto una discussione con la
sua dipendente.
Di certo, non era ciò che si poteva definire un arrivo tranquillo…
Entrò in doccia e non aspettò neanche che l’acqua si scaldasse.
Rimase sotto il getto per qualche minuto e poi iniziò a insaponarsi. Era tutto sbagliato.
Hermione, lui, il viaggio, il perché di quel viaggio…
Certo, ora sapeva di cos’era
capace Hermione ma a che prezzo? Aveva sempre dato un’impressione
di integerrimo uomo d’affari e con lei aveva buttato tutto
all’aria.
Si sentiva a pezzi.
Si era mai sentito così suo padre? Aveva mai avuto tutte quelle indecisioni?
I pensieri sulla sua inefficienza tornarono prepotenti e lo schiacciarono.
Cosa doveva fare?
L’appuntamento con John Cook della Livin Home giunse insospettabilmente presto.
Quel fine settimana Draco e
Hermione non si videro mai. Lui si faceva portare la cena in camera,
mentre lei, invece, scendeva al ristorante.
Nonostante l’arrabbiatura,
cercava di ordinare pietanze poco costose per non gravare troppo sulle
spese extra di quel viaggio.
Essendo quello un appuntamento
molto importante, avrebbero prima cenato insieme e poi si sarebbero
appartati in una saletta privata del ristorante, dove avrebbero
discusso del motivo di quell’incontro.
Draco aveva mandato Hermione alla
boutique dell’albergo. Dopo una veloce telefonata con la commessa
e averle spiegato per filo e per segno cosa gli serviva, si era
preparato.
Hermione aveva ricevuto in camera
la chiamata dalla boutique e dopo mezz’ora a cercare di far
capire a quella commessa che doveva esserci un errore, quando la donna
finalmente fece il nome di Draco Malfoy, Hermione rimase muta per un
paio di secondi, e poi riagganciò.
Draco stava aspettando nella hall dell’albergo da circa dieci minuti che Hermione arrivasse.
Non aveva pensato neanche per un
momento che la ragazza scegliesse di non presentarsi per fargli una
sorta di dispetto. Infatti, si presentò qualche istante
più tardi tutta in tiro.
La prima cosa alla quale pensò, fu che era davvero una persona molto professionale.
La seconda, che non era una donna
qualsiasi, perché un’altra al suo posto – Pansy
– lo avrebbe fatto attendere fino alla fine dei tempi per
prepararsi.
La terza che aveva stentato a riconoscerla.
Il vestito che la commessa aveva
scelto in base alle sue richieste le stava molto bene, così come
i capelli lasciati sciolti lungo le spalle. Draco notò che in
molti si erano girati al suo passaggio. Forse non era una cosa carina
da pensare nei confronti di una donna ma Draco immaginò che
tutti coloro che si erano girati, lo avessero fatto per i capelli.
Non di certo per la ragazza.
Sì, era carina, ma era una che stava nel mazzo.
Si chiese Draco come avrebbe reagito Hermione se lo avesse sentito parlare in quel modo…
“Buona sera, scusi il ritardo.” – disse Hermione.
“Non ti preoccupare. Sei molto elegante.” – notò.
La riccia si guardò,
perplessa. Non era abituata ai vestiti lunghi e quando la commessa le
aveva detto che il signor Malfoy aveva deciso così così
aveva tirato una sequela di imprecazioni che avevano lasciato basita la
commessa.
“Grazie.” –
disse molto spicciamente. – “Il signor Cook è
già arrivato?” – s’informò.
“Non ancora.” –
rispose Draco, un po’ confuso dal cambiamento che aveva
intravisto in Hermione. – “Abbiamo detto alle otto e
mezza.”
Hermione alzò gli occhi sull’enorme orologio a muro e vide che erano le otto e venti.
Sperò di non aver a che fare con il solito spocchioso arrogante che poteva permettersi di fare ciò che voleva.
“Prendi qualcosa da bere intanto che aspettiamo?” – chiese.
Era calamitato dai suoi occhi.
Erano di un marrone così chiaro che sembrava quasi ambra. La
matita nera poi li evidenziava in un modo tale che li faceva apparire
come due fari nella notte.
“No grazie.” – disse con un sorriso tirato.
“Come vuoi. Un martini on the rocks.”
Il barman annuì e iniziò a preparare il drink.
Draco si accomodò su uno dei tanti divanetti.
“Guarda che puoi sederti, sai?”
“Sto bene in piedi.”
– rispose lei mentre continuava a guardare la porta, sperando che
quel Cook si presentasse subito, che la cena passasse senza tanti
problemi e andare a letto.
Draco non disse altro. Evidentemente le aveva girate e lui non aveva voglia di trovarsi nell’occhio del ciclone.
“Il suo martini, signore.” – disse un uomo, porgendo a Draco il suo drink.
“Grazie.”
Discreto, il cameriere se ne tornò al proprio posto.
“Hai fretta di andartene?” – chiese Draco, leggermente infastidito da quel suo atteggiamento.
Hermione si girò con la
risposta già pronta sulla lingua, ma si ricordò di
ciò che si era promessa solo quel pomeriggio nella vasca.
“No. Solo non sopporto i ritardatari.”
Draco soppesò la risposta.
Era fin troppo tranquilla e subodorò qualcosa: non era da lei
non rispondere con una frecciatina.
“John è un uomo molto impegnato.” – precisò.
Possibile non capisse che certe persone contavano più di altre perché avevano impegni ben più importanti?
“E lei non era impegnato?” – chiese.
Draco sollevò le sopracciglia, sorpreso. Stava prendendo le sue parti?
“Non aveva impegni a Londra?”
“Sì ma…”
“Eppure lei è qui, puntuale, ad aspettare un uomo in ritardo.”
“Tu sputi sentenze un po’ troppo facilmente.” – disse Draco, finendo il suo drink.
Non era arrabbiato con lei: voleva
solo che capisse che quando si ha un’azienda multimilionaria
sotto le chiappe, certi piccoli gesti, come l’arrivare in
ritardo, che a persone come Hermione potevano far venire
l’orticaria, erano purtroppo all’ordine del giorno.
“Quando gestisci un impero,
come nel caso di John, purtroppo devi accettare certi compromessi.
Nemmeno a me piacciono i ritardatari, ma purtroppo anch’io, di
tanto in tanto, arrivo in ritardo a qualche riunione e non ho
possibilità di avvisare. So che si passa per maleducati, ma
purtroppo è così e non ci si può fare
niente.”
Hermione rimase particolarmente
sorpresa per il tono pacato con il quale le aveva spiegato quel piccolo
dettaglio e nonostante continuasse a pensare che ritardare a un
appuntamento fosse da maleducati, quella spiegazione lo aveva un
po’ attenuato.
“Parli del diavolo…” – disse Draco, sorridendo.
Hermione si girò e sbarrò gli occhi.
“Oh porca…”
“Sì, John fa questo…”
“Laney?!?”
Draco si zittì immediatamente e guardò Hermione guardare l’impiegata che John si era portato appresso.
“Hermione!?!”
Il biondo alzò gli occhi al
cielo. Se avessero dovuto incontrare il presidente degli Stati Uniti,
aveva come la sensazione che Hermione avrebbe conosciuto perfino uno
del suo entourage!
“Oddio non ci credo!”
Le due si abbracciarono sotto lo
sguardo perplesso dei due datori di lavoro. Iniziarono a chiacchierare,
ignorandoli bellamente quando uno dei due si schiarì la voce.
“Laney?”
“… e quando
ho… sì? Oh, scusa…” – si scusò
la ragazza. – “John, ti presento Hermione Granger. Ora
lavora alla Malfoy Home ma è una mia vecchia amica. Hermione,
lui è John Cook, il titolare della Livin Home.”
“Piacere di conoscerla Hermione.”
“Piacere mio signor Cook.” – cordialmente, si strinsero la mano.
“Scusate il ritardo, ma all’ultimo mi hanno passato una chiamata dall’Asia che non potevo rifiutare.”
“Non preoccuparti. Prendiamo qualcosa?”
Hermione pensò che potevano
anche svuotare il frigo; ora che aveva rivisto Laney poteva passare
tutta la serata a chiacchierare con lei!
“Sì volentieri.”
“… e adesso lavori
per la Livin Home.” – disse Hermione. – “Non
sei mai passata dal centralino, vero?”
“No, ho il numero diretto di Pansy.”
A quel nome a Hermione venne una paresi facciale.
“Ma toglimi una
curiosità…” – disse Laney. – “Ma
che tipa è questa? Mi pare un po’ tanto acidella.”
Certo che se anche oltreoceano si
erano accorti dell’acidità della Parkinson, si chiese come
avesse fatto il signor Malfoy a non farlo…
“Un limone andato a male
è zucchero, se paragonato a lei.” – disse Hermione,
permettendosi quella confidenza.
Laney annuì come se avesse trovato conferma alle sue teorie.
“Mi pareva…”
– disse Laney. – “Ogni volta che la chiamo, sembra
che l’abbia interrotta sul più bello.”
Hermione si girò e guardò Draco, intento a chiacchierare con John.
“Ti dico solo che è la fidanzata del mio capo.” – e occhieggiò a Laney.
La donna aprì la bocca, incredula.
“Poveraccio…” – disse Laney, dispiaciuta per Draco.
Hermione ancora si girò per accertarsi di non avere Malfoy alle spalle.
“Fidati: certe volte si meritano proprio.”
“Tu hai un po’ di cose da dirmi…” – cantilenò Laney.
“Magari a cena davanti a loro, che ne dici?” – chiese Hermione, ironizzando.
Laney rise e diede una leggera gomitata a Hermione. I due capi si stavano avvicinando.
La cena stava andando tutto sommato bene.
Draco aveva scoperto che Laney era
la segretaria di John, molto efficiente e molto preparata in economia e
finanza. Per un attimo si pentì di aver portato Hermione: per
quanto capace, la ragazza non aveva le basi per la contabilità
aziendale e forse non avrebbe capito un’acca dei loro discorsi.
“… e credevo avresti portato Pansy con te.”
Hermione si mise in ascolto. Era
proprio curioso di sapere che balla avrebbe rifilato a John – lui
era stato così cortese di permetterle di chiamarlo per nome
– su quell’assenza.
“E’ impegnata con i preparativi del matrimonio.”
Accanto a lui, Hermione si schiarì la voce e continuò a mangiare la propria tagliata.
Laney sghignazzò da dietro
il bicchiere. Aveva affinato talmente bene la tecnica del ridere delle
balle dei colleghi che nessuno riusciva mai a beccarla.
“Capisco. A quando il lieto evento?”
A quando la fine del mondo,
casomai!, pensò Hermione che si stava riempiendo la bocca per
evitare di fare le sue solite battutine.
“L’anno prossimo ad Agosto.”
“Dove andrete in viaggio di nozze?” – chiese Laney.
“Abbiamo prenotato due settimane in un resort messicano e una alle Bahamas.”
Le mie condoglianze per il personale del resort, pensò Hermione.
“E tu Hermione, che ci racconti?”
La ragazza guardò John, scettica.
“Cosa vuole sapere?”
“Da quant’è che lavori per Draco?”
“Due anni ormai. Giorno più, giorno meno.”
“E di che ti occupi?”
“Per la maggior parte del
tempo seguo la contabilità e poi faccio un po’ di
magazzino.” – spiegò.
Draco stava sudando freddo…
“Un doppio impiego. Draco deve avere un’alta considerazione di te.”
“Sai John…”
– iniziò Draco, sperando di poter dirottare il discorso su
altro ma Hermione, di nuovo, lo lasciò senza parole.
“Nemmeno io credevo
tanto.” – spiegò Hermione. –
“Insomma… sono partita dal centralino e quando sono
arrivata a imparare a memoria i numeri delle persone che mi chiamavano,
mi sono detta basta!” – disse, fingendo una confidenza con
Draco che non aveva. – “Così mi sono diretta nel suo
ufficio e gli ho chiesto se poteva mettermi alla prova con
qualcos’altro. Il signor Malfoy deve aver accettato più
per farmi capire che non ero pronta per altre mansioni ma poi si
è reso conto che sapevo fare bene il mio lavoro e ha provato a
darmi dell’altro da fare.”
“E com’è andata?”
“E’ andata che sono
qui.” – disse, facendo passare davvero quel viaggio per un
vero premio dovuto alle sue capacità.
John le sorrise.
“Sì, insomma…
quando me l’ha detto, credevo stesse scherzando, ma poi è
venuto il giorno della partenza. E dell’arrivo.” –
scherzò.
I tre si unirono a lei.
Perché lo sta facendo?, si chiese Draco.
“Spero solo di non fargli fare qualche figuraccia.” – si scusò fin dall’inizio.
“Casomai è lui che la fa fare a te.” – disse John.
“Ecco, lei è il mio
datore di lavoro ideale.” – disse Hermione, che
riuscì ad alleggerire un po’ la serata. – “Lei
non si fa problemi a fare complimenti, non come lui. Ogni tanto glielo
dico: Signor Malfoy, si lasci andare a qualche complimento, me ne
faccia tranquillamente!”
Laney e John si misero a ridere di gusto, mentre Draco non riusciva a capacitarsi di quello che stava facendo Hermione.
Nonostante le
avesse detto che non era lì per un merito personale, lei stava
facendo di tutto per non farlo passare per lo stronzo che era.
Era davvero un atteggiamento al quale non era abituato.
“Non si tenga tutto
dentro!” – disse, teatralmente. – “Ma non
c’è niente da fare.”
“Beh, forse non ti farà dei complimenti, ma ti propone viaggi come questi.”
“E io li vorrei tutti e due.” – disse, fintamente sconsolata.
Il dopo cena proseguì in
una sala riunioni dell’albergo molto piccola dove Hermione
comprese che il tempo delle battute era finito.
Hermione aveva chiacchierato molto poco con Laney.
“Mi sono giunte strane voci Draco…”
L’uomo sollevò un sopracciglio, perplesso.
“Quali voci?”
“Laney.” – la chiamò John.
La ragazza, solitamente con il
sorriso in faccia, era particolarmente seria, in quel momento. Si
chinò e prese dalla propria ventiquattrore un plico di fogli che
porse a Draco.
Il biondo iniziò a
sfogliarli e subito comprese di cosa si trattassero. Erano i suoi libri
contabili, che mai sarebbero dovuti uscire dalle mura della sua azienda.
“Come li hai avuti?” – chiese, con lo sguardo di chi era stato beccato sul fatto.
“Onestamente non so chi me
li abbia mandati. Sono arrivati con la posta. Non c’era mittente,
non c’era un timbro, non c’era un francobollo, come se il
mittente me li avesse messi nella cassetta postale dell’azienda a
mano.”
Draco si portò una mano sulla bocca. C’erano dei conti che proprio non tornavano.
“Come puoi vedere, ci sono numerose spese di cui nelle nostre riunioni non hai mai parlato.”
Hermione aveva notato fin da
subito il pallore del suo capo. Beh, già di suo era
particolarmente bianco, ma in quel momento stava rasentando il
cadaverico.
“Io non capisco…” – disse Draco.
Hermione, cercando di non farsi
vedere, cercò di allungare il collo e gli occhi più che
poté per vedere di che si trattasse. Conosceva la
contabilità aziendale perché nell’azienda di suo
padre aveva fatto anche quella, o meglio… dava una mano a sua
sorella a sistemarla. Quando vide che c’erano delle voci che lei
stessa aveva registrato, iniziò a sudare freddo.
Che avesse digitato male un
numero? Ma no, era impossibile! Periodicamente Draco si faceva mandare
dai suoi tecnici un resoconto delle spese mensili e nessuno aveva mai
avuto a che ridire del suo lavoro. Casualmente notò una spesa
registrata proprio due settimane prima della partenza e mossa
dall’istinto, si fiondò su quella pagina.
“Non ora Hermione.” – disse Draco, per nulla voglioso di badare a lei in quel momento.
“No, qua c’è un errore.” – disse la riccia, cercando la riga con il dito.
Draco cercava di tirarle via la mano ma Hermione, imperterrita, continuava a cercare la riga che le interessava.
“Hermione, per
favore!” – sibilò Draco, che però quando si
girò incrociò lo sguardo di Hermione.
Era fisso e sembrava non intenzionato a mollare l’osso.
“Questa spesa l’ho registrata io stessa.” – disse.
Draco si zittì
immediatamente, così come i colleghi americani e il suo sguardo
saettà subito al punto dove la ragazza aveva il dito. Era la
provvigione di uno dei suoi tanti agenti.
“Forse ti è scappato uno zero in più.” – suggerì Laney.
Hermione si girò di scatto,
come se il fatto che l’amica lo avesse solo pensato, fosse stato
da bollare come tradimento.
Lo sguardo che Hermione le dedicò lasciò perplessi i presenti.
“Io non faccio errori.” – scandì.
“Forse nella fretta…” – tentò John.
Hermione guardò dritto
negli occhi anche lui: in quel momento poteva essere anche il Cristo
sceso in terra che non le sarebbe importato. Infatti…
“Io.non.faccio.errori.” – ripeté.
“Hermione… non puoi sapere di quand’è questa spesa…” – tentò Draco.
“E’ di circa due
settimane prima della nostra partenza.” – spiegò,
notando come il suo titolare avesse sbarrato gli occhi per quel ricordo
così preciso. – “Avevo chiamato l’agente per
chiedergli se potevo pagargli tutto a fine mese, in modo da inglobare
anche le provvigioni di Ottobre e così ho fatto. Il totale era
ventimila sterline. Non duecentomila. E io non ho scritto male.”
– ci tenne a precisare.
L’unica opzione era quella
che Draco non voleva prendere in considerazione, ovvero che vi fosse
qualche mela marcia nella sua azienda.
Non sapeva che pesci pigliare o che scusa inventarsi per tenere calmo John, tornare a casa e cercare di risolvere il problema.
Ma Hermione fu di nuovo la sua salvezza.
“Credo sia il programma.” – disse la riccia.
“Il programma?” – chiese John, perplesso.
“Sì, il software che
gestisce la contabilità. È successa una cosa simile due
anni fa ma i tecnici si erano resi conto subito della falla e
l’hanno sistemata. Forse stavolta non l’hanno vista.”
“Come è successo a noi, John.” – disse Laney.
Si fidava di Hermione, la riteneva
una persona più che onesta e anche se aveva intravisto un dubbio
nella sua idea che fosse un problema di software, scelse di darle corda.
“Ti ricordi cinque anni fa? Tu poi hai scelto di cambiare il software.” – concluse Laney.
“Ah sì…”
– disse l’uomo, ora leggermente imbarazzato per aver
trattato così frettolosamente la questione.
Draco si era sempre comportato onestamente con lui.
“Io… credo di doverti delle scuse Draco. Ho preso una decisione affrettata nel mandarti quella mail.”
Draco gli sorrise per rassicurarlo
ma dentro ribolliva come un vulcano. Se beccava il figlio di puttana
che voleva mandargli a rotoli l’azienda, lo strangolava con le
sue mani e poi ne faceva macinato per pesci!
“Non preoccuparti.
L’importante è aver risolto la questione. Quando
tornerò a casa cambierò anch’io il software,
anzi… tu quale hai scelto?”
Così la serata si concluse con quello scambio di informazioni.
Laney e Hermione preferirono tornare a casa a piedi. Era un bel tragitto ma avevano tanto di cui discutere.
Calli-corner
Ecco spiegato il motivo del viaggio a New York.
Naturalmente, Hermione ha dovuto
mettere becco in qualsiasi situazione “strana” le
capitasse. La nostra eroina non è avvezza a certi piccoli lussi
come farsi aprire la porta o farsi aiutare a scendere. E che è
paraplegica? Draco, poveretto, è già stremato ed è
appena arrivato all’aeroporto. Figurarsi quando sarà ora
di andare via…
La camera matrimoniale.
Per chi aveva già in mente
scintille e cuori, spiacente di deludervi: i due provengono da due
mondi troppo diversi per entrare in contatto così, su due piedi,
e poi Draco ha tutto un percorso di maturazione davanti da affrontare.
Altra dimostrazione dell’innata classe ed eleganza di Hermione.
Ho messo la scena del ristorante
perché anch’io ho avuto modo di cenare in uno di questi
posti super lusso. A Febbraio sono stata Londra – amo questa
città sempre di più ogni volta che la nomino – a
trovare un amico che lavorava in un ristorante a quattro-cinquemila
stelle vicino alla strada che conduceva al portone dove Harry, Ron e
Hermione avevano tramortito quei signori del Ministero per intrufolarsi
dentro e recuperare il Medaglione dalla Umbridge, vi ricordate?
Ci ho fatto pure una foto e mi
sembrava di aver appena ricevuto il regalo di Natale più bello!
Insomma… ero di fronte a una saracinesca, usata per fare Harry
Potter!!!!
Sì scusate, sto divagando…
Comunque… ho cenato in uno
di questi ristoranti e sono rimasta sconvolta dalle porzioni che
portavano. Era davvero tutto molto buono, ma era troppo poco!
ç_ç
L’incontro con John Cook.
Anche qui, Hermione lascia Draco a bocca aperta perché la riccia conosce Laney, una vecchia amica.
Finalmente ecco svelato il motivo
del viaggio a New York: qualcuno sta cercando di sabotare la Malfoy
Home e per farlo invia in giro dati falsi alle compagnie, per farle
perdere di credibilità. Fortuna che c’era Hermione, che ha
potuto difendere subito il suo lavoro che è finito su quei
bilanci falsi.
Lascio aperte le scommesse su chi
può volere una cosa simile. Sappiate fin da ora che non avrete
da me né conferme né smentite. ù_ù
*me se la tira*.
Ma eccoci al momento che più adorate. Lo spoiler!
“Ha voglia di fare una cosa con me?” – chiese Hermione…
Draco sbatté le ciglia più volte. Aveva frainteso, o quella era una profferta?
“Co-cosa?”
“Solo per stanotte…” – continuò lei.
Ehm… alla faccia di quando
ho detto che prima che quei due arrivino a una certa intimità,
ne sarebbe occorso di tempo…
Allora, io non dico più
niente. Lascio la vostra fantasia libera di galoppare allo stato
selvaggio e farmi sapere che ne pensate.
AVVISO ALLA POPOLAZIONE:
Martedì
29 Ottobre partirò per le mie meritate ferie e tornerò
martedì 05 Novembre. In pratica, l’aggiornamento di
venerdì verrà anticipato a Lunedì 28 Ottobre.
Mi pare di aver detto tutto.
Credo.
Spero.
Un abbraccio a tutti,
callistas
|
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Capitolo 9 *** La svolta ***
09 - La svolta
Fuori un capitolo, dentro un altro! ^_^
Bello questo sistema, no? Ma non
fateci troppo l’abitudine, perché questo è stato
solo un episodio isolato. Mi seccava saltarlo, così eccoci qua!
Dunque, nel precedente capitolo
abbiamo visto Hermione e Draco scontrarsi come due titani: una sulla
mancanza di stile, l’altro su come si faccia a stare al mondo.
ù.ù
L’appuntamento con la Livin
Home è andato, anche se iniziano a serpeggiare certe teorie che
Draco non vorrebbe prendere in considerazione.
Hermione cerca di sollevargli il
morale, ma ha qualche dubbio pure lei ma preferisce rimanersene in
silenzio per evitare di sollevare polveroni o accusare qualcuno
ingiustamente.
Cosa leggeremo qui?
Anticipazione: qui leggeremo finalmente di una svolta tra i due.
Chissà che forse non la smettano di battibeccarsi come due poppanti.
Ci vediamo in fondo come al solito.
Buona lettura,
callistas
“Ti prego non dirmi che sei la segretaria che va a letto col capo.” – scherzò l’americana.
“No. Sono la segretaria che vorrebbe ammazzare la fidanzata del capo.” – precisò.
Laney rise.
“Ma è tanto stronza?”
“Elevala all’ennesima potenza e avrai una vaga idea di come sia in realtà.”
Seguirono attimi di silenzio.
“E tu?”
“Io cosa?” – chiese Laney.
“Vai a letto col capo?”
“No. Ma quegli otto-novemila pensierini al riguardo ce li ho fatti.” – ammise candida come una colombella.
Hermione rise divertita.
Beh, John era davvero un bell’uomo.
“Mi sono fatta un culo stratosferico per diventare la sua segretaria solo per mangiarmelo con gli occhi.”
“Tu sì che sei una donna ambiziosa.” – la prese in giro Hermione.
“Che vuoi che ti dica?
Unisco l’utile al dilettevole. E poi lo adoro quando si mette
quel completo grigio chiaro, mhm…” – mugulò
estasiata, appoggiandosi alla spalla di Hermione. –
“… gocciolo come un rubinetto aperto.”
“Laney!” – esclamò Hermione, divertita.
“Che c’è? Non dirmi che tu non goccioli quando vedi Draco!”
“No, per niente. Per
carità è un bell’uomo ma mi fermo lì. A
differenza di te che vorresti andare fino in fondo…”
“Ci andasse John. Fino in fondo, dico.”
“Sei impossibile.” – disse Hermione, alzando gli occhi al cielo.
“Hermione?”
“Dimmi.”
La riccia comprese subito che era finito il tempo degli scherzi.
“Avete davvero un problema di software?”
“Sei stata mandata per fare dello spionaggio?”
“Non scherzare.”
“Laney… onestamente
non lo so. Io so solo che quell’unica cifra che ho visto era
sbagliata e io l’avevo scritta corretta! Non so che diavolo sia
successo e arrivati a questo punto, spero davvero che sia stato un problema di programma o davvero qui a qualcuno salterà la testa.”
Laney tornò con la testa appoggiata alla spalla di Hermione.
Per Laney fu sufficiente.
“Tre settimane fa
c’è scappato un bel bacio tra me e John.” –
riprese, con un discorso che non c’entrava niente.
Hermione per poco non si capottò a terra.
“COSA?!?”
La ragazza sospirò sconsolata.
“Era fine giornata.”
– iniziò. – “Ero stata bombardata da mille
chiamate, mille fax e mille stronzate che mi hanno solo fatto perdere
tempo. John mi aveva chiesto di fargli il bilancio del mese ed è
un lavoro che mi prende al massimo un’ora. Verso le sei mi chiede
se avevo preparato tutto. Io gli dico che non ho avuto un attimo di
tempo e mi chiede se mi posso fermare per farlo perché gli
serviva. Io ho accettato, perché tanto non esco mai alle sei.
Così finito l’orario di lavoro e tutti gli scassa palle se
ne sono andati, io mi metto sotto con il bilancio.”
“Ancora non ci credo…” – sospirò Hermione.
“Ero lì che stavo
facendo le mie stampe quando me lo trovo alle spalle. Per lo spavento
mi sono mezza ribaltata a terra ma lui mi ha preso. Hai presente come
nei film?”
“Ohssignore…”
“E niente… lui mi ha
guardata, io l’ho guardato… e ci siamo baciati. Cazzo se
è caldo quell’uomo…” – sospirò.
“Sicura di non essere innamorata di lui?”
“Sì. Almeno credo… quell’uomo dovrebbe essere incarcerato per attentato ai miei ormoni!”
Hermione rise.
“Magari è solo una cotta.” – buttò lì Hermione.
“Forse. Ehi, ti va di entrare lì? È un piano bar. C’è sempre buona musica.”
“Sì, volentieri.”
Il barista arrivò
immediatamente per prendere le ordinazioni e dopo essersi fatte servire
un mojito e una piña colada analcolica, le due continuarono a
chiacchierare.
“Il giorno dopo è
stato imbarazzante. Per quanto io sbavi dietro quell’uomo, non ho
mai pensato di poter arrivare a tanto.”
“E che è successo?” – chiese Hermione, che si era fatta portare un piatto di noccioline.
“Ha aspettato la sera e poi
mi ha chiamata nel suo ufficio per chiarire. Si è scusato,
chiedendomi di non farne parola con nessuno bla bla, bla bla…
per me è meglio così, perché per tanti che hanno
la bella educazione di farsi i fatti propri ce ne sono altrettanti che
sono peggio dei parassiti che, oltre a mettere in giro voci strane sul
fatto che sono diventata in poco tempo la segretaria di John, non si
fanno problemi a venirmelo a chiedere direttamente di persona.”
“Però…” – esclamò Hermione, fintamente sorpresa.
“E’ andata così.”
“Certo che da come ne parli sembra che tu voglia di più da John.”
“E’ che non lo so nemmeno io quello che voglio. Rimane il fatto che è un gran bel pezzo d’uomo.”
“Confermo.” – disse l’altra, mentre prendeva un’altra nocciolina.
“Ma dimmi di te. Come sei arrivata ad essere la segretaria di Draco?”
“Non ci sono arrivata, infatti.” – chiarì, più interessata a spellare la nocciolina.
Laney la guardò scettica.
“Scusa?”
“Onestamente non so bene
neanch’io perché sono qui. So solo che il mio capo ha
litigato con Pansy e io sono qui. Non chiedermi i retroscena
perché non li conosco.” – specificò.
“Credevo di essere incasinata io ma tu mi stai al passo, eh?” – ironizzò l’altra.
Hermione sghignazzò.
“E’ iniziato tutto venerdì cinque settembre a cinque minuti a mezzogiorno.”
Laney si mise a ridere per l’assurda precisione del racconto.
“Pure l’orario?” – chiese, ridendo.
“Difficile dimenticare il
giorno che ha cambiato la tua vita.” – disse mezza seria.
– “Comunque!… mancavano cinque minuti a mezzogiorno
e io avevo parecchia fame. Stavo per prepararmi per uscire quando suona
il telefono. La ragazza di Draco mi ordina di portarle una rivista,
assolutamente indispensabile per la sopravvivenza
dell’umanità!” – esclamò, fintamente
teatrale. – “Io salgo e becco lei e Draco mezzi riversi
sulla scrivania.”
“Mhm… la cosa inizia a interessarmi. Va avanti…”
Hermione alzò gli occhi per quella vena maliziosa che non avrebbe mai abbandonato l’amica.
“Quando entro, Pansy inizia
a fare la scocciata perché l’ho disturbata. Allora faccio
presente che era stata lei a chiedermi la rivista e lei che fa?, mi
sputtana davanti a Draco, dicendo che lei non mi aveva chiesto
assolutamente niente.”
“Brutta stronza…” – disse Laney. – “E tu che le hai detto?”
“Niente. Ho cercato di
smorzare lì la cosa. Stavo per andarmene quando questa inizia a
scassare le palle sul fatto che se andavo in pausa pranzo significava
che non tenevo sufficientemente al lavoro.”
“Che merdaccia… e poi?”
“Già mi giravano per
quella figura che mi aveva fatto fare così mi sono girata e le
ho detto che se volevo soddisfare le sue richieste dovevo andare a
mangiare. Tanti saluti. Le ho chiuso la porta in faccia e me ne sono
andata.”
“Grande Hermione!” – esclamò Laney, tutta presa dal racconto.
“Oh beh, mica è
finita qui. Inutile dirlo, ma mi aspettavo ritorsioni e siccome quella
non si sa pulire neanche il culo da sola, ha mandato avanti il suo
fidanzatino. A fine giornata salgo dal signor Malfoy che inizia a dirmi
quanto sarebbe un vero peccato che le mie doti amministrative finissero
in magazzino.”
Il sorriso di Laney lentamente si spense. Draco Malfoy…
“Che ha fatto quello!?”
“Mi ha schiaffata in
magazzino.” – disse Hermione. – “Io gli ho
detto senza tanti giri di parole che poteva mettermi anche a pulire i
cessi che lo avrei fatto senza tanto obiettare.”
“Ma che facevi in magazzino?”
“Ho iniziato a caricare e scaricare le casse.”
Laney era sempre più attonita.
“Poi ho iniziato ad andare
dietro un po’ alla contabilità del magazzino e poi quando
per la seconda volta ho risposto alla sua ragazza mi ha sistemata negli
uffici per star dietro alla contabilità ma dovevo seguire anche
il deposito di sotto.”
“Che negriero del cazzo!” – esclamò la ragazza, molto finemente.
“Poi quello litiga, o almeno penso sia andata così, ancora con la sua ragazza e mi ritrovo qui.”
“Ma in che razza d’azienda sei finita?” – chiese Laney.
E lei che pensava di essere messa male!
“Guarda… onestamente
a me piace lavorare per la Malfoy Home. Quando ho spedito il mio
curriculum ho dato un’occhiata al loro sito e ho visto che avrei
avuto molte affinità con quell’azienda e ti dirò
che speravo di diventare la segretaria di Draco. Sai, l’agenda,
gli impegni… sono brava a organizzare gli appuntamenti e speravo
di poterlo affiancare in questo tipo di viaggi. Sapere di essere qui
non per le mie capacità ma per chissà Dio che cosa, mi
manda fuori dai gangher!” – esclamò la riccia,
mollando malamente la cannuccia nel bicchiere ormai vuoto.
“E io che pensavo di essere messa male…”
“Tu almeno sei dove sei
perché qualcuno si è accorto che sai fare il tuo
lavoro.” – replicò Hermione. – “Ma
parliamo d’altro, ti prego. Senti, io riparto venerdì. Ci
vediamo una di queste sere?”
“Anche tutte se vuoi. Vuoi tornare in albergo, adesso?”
“Sì, ti prego. Sono distrutta.”
“Dai, andiamo.”
Laney fu molto gentile.
Chiamò un taxi e riaccompagnò all’hotel Hermione a sue spese. Poi tornò a casa.
In camera sua Draco stava crollando dalla stanchezza quando il telefono suonò.
“Pronto? Sì, la ringrazio.” – e riagganciò.
Appena entrata in ascensore, Hermione si levò le scarpe col tacco.
Una violenta scossa di piacere
partì dai piedi fino al collo quando avvertì la dolce
moquette solleticarle i piedi. Era stanca morta, doveva ancora digerire
il fuso orario e struccarsi.
Girò l’angolo e
credette di avere le allucinazioni a causa del sonno, perché
quello davanti alla sua porta non poteva essere Draco Malfoy ma
più si avvicinava e più l’allucinazione sembrava
reale.
“Signor Malfoy?”
“Entra, dobbiamo parlare.”
“Adesso?” – si lamentò la ragazza, senza tanti problemi nel palesare la propria sonnolenza.
“Adesso.” – chiarì l’altro.
Hermione sbuffò e aprì la porta.
“Ti sei divertita?” – berciò l’altro.
Aveva sperato che la ragazza
rientrasse ad un orario più umano per poter chiarire quel punto
della registrazione sbagliata, ma aveva fatto male i suoi conti.
Erano le tre del mattino ed entrambi erano distrutti.
“Sì molto.” – rispose lei, acida.
“Allora cos’è questa storia del… dove vai?” – chiese Draco, stranito.
Lui le stava parlando e lei andava in bagno?!?
“In bagno a struccarmi. Lei può parlare che tanto la sento lo stesso.”
Per non svegliare l’hotel e
rischiare di farsi cacciare, Draco la tampinò fino alla
toilette. La vide trafficare con una pochette e prendere alcune
salviette struccanti. Iniziò a passarsele sul viso.
“Allora, che storia è quella della registrazione della provvigione?”
“Quello che ho detto
stasera. Io ho fatto la registrazione come doveva essere fatta. Non so
perché c’è uno zero in più.”
“Forse perché stavi facendo quello che stai facendo adesso?” – chiese.
Hermione guardò la salvietta colorata del fondotinta.
“Mi struccavo!?” – chiese lei, perplessa.
“No. Dormivi!”
Tutto il sonno passò in un secondo.
“Lei sta davvero iniziando a seccarmi, eh?”
Draco sbarrò gli occhi.
“Come diavolo ti permetti di parlarmi in questo modo?”
“Come diavolo ti permetti di
parlarmi in questo modo?” – lo pappagallò Hermione.
– “Fino a stamattina ero l’impiegata che era rara da
trovare per una serie di pregi che non sto qui ad elencarle e adesso!,
adesso viene ad accusare me di dormire sul posto di lavoro? Se le sto
sulle palle perché rispondo male alla sua ragazza, perché
sono scorbutica, perché prima di pensare parlo, mi licenzi! Ma
non osi mai più dirmi che IO sul lavoro dormo perché
allora lei davvero non sa apprezzare i suoi collaboratori! Quando
lavoro, ci metto cuore e anima e prima di fare una cosa la ricontrollo
mille volte per essere sicura! Io non so perché ci sia uno zero
in più su quel tabulato, ma so di per certo che non sono stata
io. E adesso esca o mi metto a urlare.” – lo
minacciò.
Draco sbuffò come un toro che non poteva incornare il drappo rosso e uscì.
“Non finisce qui!” – sibilò Draco prima di uscire dalla sua stanza.
Hermione gettò la salvietta sporca nel lavandino prima di estrarne un’altra con ferocia.
“Sì… e quando mai finirà con te?” – chiese al suo riflesso nello specchio.
Il giorno dopo Hermione tornò nel mondo dei vivi a ora di cena.
Draco era passato in camera sua
per avvisarla che avrebbe fatto un giro in centro, ma dopo tre volte
che bussava e due che aveva cercato di sfondarla, immaginò che
la ragazza fosse talmente cotta da non sentire nessuno.
“Ben svegliata.” – ironizzò il biondo, mentre sceglieva dalla carta il menu.
Hermione spostò la sedia e si sedette. Aveva ancora sonno!…
“Grazie.”
“Cosa mangi?”
Svogliatamente Hermione prese il
menu e iniziò a guardarlo. Non aveva molta fame così
ordinò una crema di funghi con crostini.
Fu una cena silenziosa, una di
quelle che fanno passare l’appetito che già
scarseggiava… ma si sa che l’appetito vien mangiando e
dopo un paio di cucchiaiate, Hermione ordinò un secondo e il
dolce.
“Ho anticipato la partenza.” – disse Draco, mentre aspettava il dessert.
Hermione lo guardò perplessa ma poi pensò lo facesse per andare in fondo a quella faccenda della provvigione.
“D’accordo. Quando?”
“Giovedì alle quattro.”
“Va bene.”
Un po’ le dispiaceva
perché non poteva vedere Laney come aveva stabilito ma forse, se
fosse stata al posto di Draco, avrebbe agisto allo stesso modo per
capire cosa stesse succedendo.
“Io ho finito.” – disse Draco, alzandosi.
La ragazza alzò il capo. Non sapeva cosa provare.
“Se hai bisogno di qualcosa, sono in camera mia.”
E se ne andò.
Hermione guardò il suo
dolce, una fetta di torta di mele che non aveva niente a che spartire
con quella che faceva sua sorella ma era buona lo stesso. Però
aveva perso un po’ del suo sapore.
Ne lasciò lì un pezzo e poi se ne andò pure lei.
In camera non riuscì a
decidersi se chiamare Laney – aveva sempre odiato chiamare le
persone all’ultimo minuto, ma poiché Draco aveva
anticipato la partenza, doveva usufruire di ogni attimo possibile
– o andare da Draco.
Si chiese poi perché
dovesse andarci. Insomma, per l’ennesima volta l’aveva
incolpata di qualcosa di cui non c’entrava niente, perché
doveva andare da lui?
Beh, si disse che forse poteva
scusarsi per come si era rivolta a lui la sera prima, ma poteva
benissimo aspettare il loro rientro a Londra.
Afferrò il cellulare e chiamò la ragazza.
“Pronto?”
“Laney? Ciao sono Hermione!”
“Hermione ciao! Tutto bene?”
“Diciamo di sì. Senti
Laney, il mio titolare ha anticipato la partenza a giovedì.
Pensavo, se non avevi già altri impegni che potevamo uscire
insieme stasera e domani sera…”
“Io… oh…”
“No, eh?” – disse la riccia, dispiaciuta.
“No, certo che sì! E’ che stasera non so a che ora esco. Sono ancora in ufficio.”
Hermione guardò l’orologio.
“Ma sono le sette e mezzo!”
“Lo so, ma sono in arretrato di lavoro e…” – pausa. – “Va bene.”
“Va bene cosa?”
“Dico a John che stasera devo uscire prima.”
“Ma no…”
– disse Hermione, che non voleva mettere l’amica nei
pasticci. – “… se hai da fare non ti preoccupare. Ci
vediamo domani…”
“No.” – disse l’altra, decisa. – “Senti, ti richiamo tra venti minuti, ok?”
“Laney, davvero non è…”
Click.
“… necessario.” – concluse Hermione, parlando al vuoto.
Così, aspettò.
Laney era davvero invischiata fino
al collo con il lavoro ma non vedeva Hermione da un sacco di tempo e
voleva approfittare di quei tre giorni per stare con lei. Poi
chissà quando si sarebbero viste di nuovo!
Finì ciò che stava
facendo, scrivendo frettolosamente. Rilesse per evitare di presentare
al suo capo una relazione da “bimbominkia” e poi si
alzò dalla propria sedia.
Mentre si dirigeva al suo ufficio
riprese la lettura dall’inizio. Aveva fatto un’introduzione
particolarmente intensa, degna del miglior avvocato sulla piazza e le
venne voglia di rileggerla.
Ma così facendo non si
accorse della sedia che un suo collega – maledetto cazzone!
– non aveva sistemato e cadde carponi, tirandosela dietro.
Attirato dal fracasso, John uscì dall’ufficio e trovò la sua segretaria… a novanta.
“Laney?”
La ragazza alzò il capo e, in sequenza, gli occhi.
“Che fai lì per terra?”
“Controllo che non ci siano acari, John.” – lo rintuzzò lei.
L’uomo si accorse della sedia e subito andò ad aiutarla.
“Io mi chiedo che ci voglia
a mettere una sedia sotto il tavolo!” – esclamò
imbufalita la donna. – “Ah, questa è la relazione
che mi avevi chiesto. Senti, so di avere un po’ di arretrati da
smaltire e giuro su Dio che mi rimetto in pari, ma mi chiedevo se
stasera, domani e dopodomani sera potevo uscire alle sei.”
“Perché?”
“Sai Hermione, la mia amica della Malfoy Home?”
“Sì?”
“Ecco, Draco ha spostato il rientro per giovedì e mi ha chiesto se potevamo uscire insieme queste sere.”
“Sì certo, nessun problema.”
“Oh, Dio ti benedica
John!” – esclamò la ragazza, tornando la proprio
posto per raccogliere le proprie cose.
“Guarda che è un tuo diritto avere una vita sociale. Forse sono io che non ti permetto di averla.”
La ragazza si bloccò e si girò, stranita.
“Scusa?”
John sorrise e negò con il capo.
“Ah, non farci caso. Vai, buona serata.” – e tornò nel suo ufficio.
Tutto l’entusiasmo per la
serata con Hermione finì nel cesso. Non lo aveva mai visto
così giù di corda: lui era il classico tipo che sapeva
quello che voleva dalla vita, che se lo prendeva e non chiedeva niente
a nessuno. Che diavolo era successo?
Guardò il cellulare sulla propria scrivania e poi di nuovo la porta dell’ufficio di John.
Sapeva che se fosse entrata in
quell’ufficio sarebbe stato come ammettere di preferire lui alla
sua “vita sociale” e non voleva concedere così tanto
potere a un uomo. Una volta le era bastato e pure avanzato!
Nonostante tutto, mollò la borsa sulla sedia e andò in ufficio dal suo titolare.
John era seduto sulla propria poltrona con il sedile reclinato.
Era stanco.
Dirigere la Livin Home gli portava
via un sacco di energie mentali e fisiche. A cinquant’anni
suonati, ancora non aveva niente di solido costruito alle spalle.
Certo, aveva un’azienda multimilionaria che sul mercato americano
la faceva da padrone, ma quando tornava a casa, la sera, la trovava
vuota.
La sua ex moglie aveva fatto
fagotto dopo un anno di matrimonio perché “lui pensava
più al lavoro che a lei”. E fortuna che il suo avvocato
gli aveva consigliato un bel contratto prematrimoniale, dove ogni sorta
di vitalizio che poteva spettare a lei, decadeva se subentravano le
comuni “corna”. Lei ci aveva provato, sperando di non
essere scoperta ma quando questo è accaduto, John si è
liberato di Rebecca Hewitt con un sospiro di sollievo.
Avevano smesso di fare sesso tre
mesi dopo il matrimonio perché lei era sempre stanca. Anche lui
lo era, ma cercava di trovare sempre il momento per stare con sua
moglie ma quando si era visto continuamente rifiutato, si era messo
l’animo in pace e non ci aveva nemmeno più provato.
E adesso aveva un po’ di arretrati da smaltire…
Neanche avesse finito di formulare quel pensiero, la sua segretaria entrò nel suo ufficio senza bussare.
Ormai quella formalità era stata abolita.
“Laney.” – la chiamò, raddrizzandosi sulla sedia. – “Credevo fossi uscita.”
La ragazza si sedette pesantemente
sulla sedia. Vero era che trovava John maledettamente sexy e attraente,
ma era più un aspetto giocoso, quello. Provava verso il suo capo
un irrefrenabile rispetto e ammirazione per aver tirato su una ditta
come la Livin Home tutto da solo.
Solo dopo era subentrata l’attrazione fisica.
Così se il suo principale aveva un problema, allora lo aveva anche lei in quanto sua segretaria professionale.
“Andrò domani.”
– disse, sbrigativa. – “Avanti: cosa
c’è?” – chiese.
“Niente.” – disse, perplesso.
“John?”
“Davvero… niente.”
“John, risparmiami
mezz’ora di “te lo giuro non ho niente” perché
non attacca. Ci sono passata prima di te.” – chiarì.
– “Coraggio, confessa!” – esclamò.
John ridacchiò ma, in sostanza, cosa poteva dirle senza apparire patetico?
Sono solo? Ho bisogno di sesso?
“Ma niente, sono solo stanco.” – confessò, stropicciandosi gli occhi.
“John, permettimi di chiarirti un concetto: tu non sei mai stanco. Puoi essere leggermente stressato, ma non stanco.”
“E invece sono stanco.”
“Uh… la cosa è
più grave di quanto pensassi, allora.” –
scherzò la donna. – “Hai bisogno di ferie?”
– gli chiese.
“No, non sono le ferie il problema.” – rise lui per quella visione così semplicistica.
Beh, magari fosse così semplice.
“Allora?”
“Laney, davvero… esci con la tua amica. I miei sono solo problemi di un uomo di mezza età.”
“Quella mezza età te la porti bene però.” – fu il suo commento sincero.
L’uomo la guardò, piacevolmente compiaciuto per quel commento sul suo aspetto.
“Ti ringrazio.”
“Figurati. Lo penso davvero. Te li porti proprio bene quei cinquant’anni.”
John sorrise compiaciuto.
“Me la togli una curiosità?” – chiese Laney.
“Dimmi.”
“Sei mai stato spontaneo in qualcosa?”
“In che senso?”
Laney fece le spallucce.
“Hai mai fatto qualcosa
perché ti piaceva farlo e non perché le convenzioni ti
suggerivano che era bene fare così?”
“Sì. Mi è capitato una volta.”
“E non ti sei sentito
meglio, dopo?” – chiese, levandosi le scarpe con il tacco
in un moto di profonda confidenza.
“Non molto.”
“Perché?”
“Perché non ho più potuto rifarlo.”
“Perché?”
“Ma hai superato la fase dei
“perchè”?” – chiese lui, divertito ma
appesantito da quel discorso.
Laney arrossì.
“Scusa. Deformazione professionale.” – scherzò lei.
Poi tornò seria.
“Davvero John, se questa cosa ti faceva stare bene, dovresti rifarla. Magari potresi portarla avanti nel tempo.”
“Oh fidati, non credo che si potrebbe.”
“Perché?” – chiese Laney.
“Perché credo che andare a letto con la propria segretaria sarebbe convenzionalmente inaccettabile.”
Per la prima volta, qualcuno fu in grado di zittire Laney.
Hermione aveva sospirato, dispiaciuta.
Laney non aveva potuto uscire con
lei quella sera, ma le aveva promesso un tour dei migliori bar per la
sera successiva e quelle seguenti.
E adesso?
“C-credo di non aver capito…” – disse, rossa.
“Hai capito bene, invece.”
“John…”
L’uomo la fermò con
un gesto della mano. Si era scoperto troppo e forse ora aveva incrinato
il rapporto con la ragazza.
“Non dire niente. Quel bacio a me è piaciuto, per quanto poi ti abbia chiesto di dimenticarlo.”
Oh sì che gliel’aveva chiesto.
Ma lei di sicuro non l’aveva dimenticato, anzi! Ci aveva rimuginato sopra fino a poco prima di entrare nel suo ufficio.
“E’ stato un episodio isolato e…”
“Tu non cerchi l’amore, vero?” – chiese lei, seria come mai l’aveva vista.
“In che senso?” – chiese lui, confuso dalla domanda.
Laney prese una decisione che cambiò la sua vita.
Si alzò dalla sedia, gli andò davanti e si sedette sulla sua scrivania.
John non capiva che stava succedendo.
Perché avvertiva una strana tensione nell’aria? La stessa che aveva respirato poco prima che si baciassero.
Iniziò a diventare irrequieto sulla sedia, mentre vedeva Laney levarsi la giacca del tailleur.
“Laney…”
“Sai che ti dico, signor Cook? Ho iniziato a fregarmene delle convenzioni anni fa.”
Il primo bottone della camicetta uscì dall’asola.
“E’ meglio se ti fermi…”
“Ho imparato…”
– proseguì lei, imperterrita. – “… che
invece di guardare la vita passarmi davanti è meglio
viverla.”
Via il secondo bottone.
E John, nonostante la situazione,
le sorrise dolcemente. Aveva intravisto in ciò che stava facendo
la ragazza una sorta di “consolazione”.
“Se mi guardo indietro, vedo solo una ragazzina che viveva la propria vita in base alle aspettative degli altri.”
E via anche il terzo.
“E quando ho iniziato a mandare tranquillamente a fanculo quegli “altri” sono rinata.”
Altri due bottoni.
“Così ho scelto di scegliere. Ho scelto la mia libertà, i miei desideri, le mie voglie: ho scelto me.”
Meno uno.
“E se pensi che a quel bacio non ci abbia pensato, allora credo che tu non mi conosca affatto, John Cook.”
L’ultimo bottone uscì dall’asola.
La camicetta bianca, trasparente, lasciava intravedere un reggiseno di pizzo nero.
John era combattuto.
Non sapeva cosa fare. Era molto desideroso di cedere ma se l’avesse fatto cosa sarebbe successo dopo?
“No John: non
pensare.” – lo esortò la ragazza, scuotendo il capo
come ad ammonirlo. – “A volte bisogna solo cogliere le
occasioni che la vita ti presenta davanti e guardare avanti.”
L’uomo si alzò in piedi. Le gambe tremavano.
Man mano che si avvicinava a lei,
Laney alzò lo sguardo. Doveva vedere che lei non aveva problemi
a portare avanti quella “relazione”, se così
potevano chiamarla.
“Guardare avanti?”
“Precisamente.”
Le esplose una bomba a orologeria
nel ventre quando sentì la sua mano calda posarsi sulla spalla
sinistra e abbassarle lentamente la camicetta.
“E dopo?” –
chiese lui, accarezzando il profilo del suo reggiseno. –
“Cosa succederà dopo?”
“Come dice la parola stessa, ci penseremo dopo.” – disse lei.
John si chinò su di lei per baciarla ma all’ultimo Laney si ritrasse con un sorrisetto divertito.
“Che c’è?” – chiese lui.
“C’è che domani non guarderai più questo ufficio con gli stessi occhi, signor Cook.”
Anche John si concesse un sorriso prima di tornare a sentirsi nuovamente bene.
“… vorrei non prendere in considerazione l’ipotesi.”
“Capisco non sia piacevole ma lei lo ha visto il bilancio di John.”
“Vorrei tanto non averlo fatto.” – disse Draco, massaggiandosi il volto.
“Evitare
un problema non aiuta a risolverlo.” – disse Hermione.
– “Per quanto riguarda la mia parte di lavoro sono sicura.
Bisognerebbe controllare gli altri.”
“Cristo che casino…”
Hermione, alla fine, era rimasta in camera a guardare la televisione.
C’erano i soliti programmi:
quiz televisivi, documentari, musica ma niente catturava la sua
attenzione così, dopo qualche momento passato a fare zapping,
spense la tv e rimase in ascolto del silenzio che aleggiava in quella
stanza.
Non capiva come facessero certe
persone a condurre una vita da nomadi: sempre in viaggio, passare da un
albergo all’altro, trascorrere il Natale in aeroporto… lei
non ci sarebbe mai riuscita! Aveva bisogno di vedere costantemente la
sua famiglia, di stare con loro, se non qualche giorno prima e dopo il
Natale, almeno quel giorno, avere delle abitudini, una routine fatta di
gesti quotidiani che l’aiutano a far girare la giornata.
La sua Lilly…
La sola prospettiva di non avere il cane accanto, le bloccò il sangue nelle vene per un attimo.
New York era fantastica, di notte, con tutte quelle luci, i rumori, l’aria, l’atmosfera.
Era proprio vero.
L’America era un paese
magico e se te ne innamoravi solo attraverso le foto che Internet
forniva, quando la si vedeva dal vivo era impossibile da lasciare.
In pratica, non aveva visto niente
di quella città perché a causa di
quell’inconveniente, Draco aveva giustamente anticipato la
partenza ma quel poco che aveva intravisto le era piaciuto.
Una volta a casa si sarebbe
informata su quanto costasse un biglietto aereo andata-ritorno
perché voleva davvero tornarci.
Era seduta sul parapetto del balcone quando qualcuno bussò alla porta.
E chi cavolo è a quest’ora?, si chiese, infastidita.
“Avanti!” – urlò per farsi sentire.
Quando vide che era il suo titolare, per poco non cadde di sotto.
“Hermione?”
“Si?” – rispose lei.
Draco si girò verso la voce e per poco non gli prese mezzo infarto quando la vide seduta là sopra.
“Ma sei impazzita? Scendi subito da lì!”
“Guardi che se è
venuto per darmi ordini, può tornarsene in camera sua.”
– rispose la ragazza, placida, tornando ad appoggiare il capo
alla balaustra per guardare le luci della città.
Stava bene lì sopra e aveva
una gamba penzoloni nella parte interna del balcone: non sarebbe caduta
neanche se fosse passato un ciclone!
“Tu sei bacata nel cervello…” – commentò l’uomo.
“Oh, finalmente un complimento.” – ironizzò la ragazza, tornando a guardare il cielo.
Draco si avvicinò al parapetto e vi appoggiò le mani sopra.
Era andato lì con
l’intenzione di scusarsi per come l’aveva aggredita la sera
dell’incontro con John e, sì, anche per come il loro
rapporto lavorativo fosse iniziato in malo modo.
Ma ora che era entrato, non sapeva da dove iniziare.
Hermione, dal canto suo, non aveva molta voglia di parlare.
Voleva solo guardare le luci della
città, ascoltarne i rumori, respirarne l’aria che,
sembrava impossibile, era davvero diversa da quella londinese.
Fu Draco a spezzare quel silenzio.
“E’ bella New
York.” – disse con voce calma Draco mentre cercava di
cogliere con una sola occhiata tutto il panorama.
Iniziò a guardarsi intorno, a respirare l’aria che lassù tirava molto forte.
“Sì, molto.” – confermò Hermione.
“Mi dispiace aver anticipato la partenza. Magari ne volevi approfittare per fare un giro con la tua amica.”
La riccia fece le spallucce.
“No, non è il caso. Capisco la sua necessità di voler trovare la soluzione al problema.” – disse Hermione diplomatica, girandosi verso il suo principale, appoggiato a una balaustra.
“Credevo avresti detto: di voler tagliare la testa a chi ha modificato i dati.”
Hermione ridacchiò.
“In verità, avrei detto le palle, ma glielo concedo.” – confessò Hermione con aria complice.
Draco sbuffò divertito.
“Dai per scontato che sia un uomo.” – rispose Draco, reggendole il gioco.
“Difficile tagliare le palle
a una donna.” – ribatté Hermione, pronta, divertita
da quel giochetto. – “E comunque, sarebbe stato anche
brutto da dire “tagliarle le ovaie o le tette”.”
Draco si concesse il lusso di una risata e poi scese di nuovo il silenzio.
“E’ che vorrei tanto
non prendere in considerazione l’ipotesi.” –
continuò Draco, riprendendo il discorso della talpa in azienda,
perso nella contemplazione del panorama.
“Capisco non sia piacevole ma lei ha visto il bilancio di John.”
“Vorrei tanto non averlo fatto.” – disse Draco, massaggiandosi il volto.
“Evitare un problema non
aiuta a risolverlo.” – disse Hermione. – “Per
quanto riguarda la mia parte di lavoro sono sicura. Bisognerebbe
controllare gli altri.”
“Cristo che casino…”
Hermione non disse altro.
D’altronde, cos’avrebbe potuto dire? Lei non era ai vertici
della società, per i quali poteva conoscere i retroscena di
tutto ciò che accadeva e se apriva bocca e rischiava di dire la
cosa sbagliata al momento sbagliato – cosa che le riusciva
particolarmente bene – avrebbe ingaggiato una guerra che si
sarebbe protratta fino al rientro in Inghilterra e non voleva rovinare
quell’unico momento di pace con il suo datore di lavoro.
Sentiva che si stava aprendo con
lei, che forse sentiva solo il bisogno di parlare, di sfogarsi con
qualcuno. Chissà perché, ma immaginava che le occhiaie
del signor Malfoy fossero il segno di chi di notte non riposa bene
perché ha troppi pensieri per la testa.
Voleva comunque chiedergli
qualcosa per interrompere quel silenzio fastidioso, anche una cosa
stupida per fargli capire che se anche aveva bisogno di sfogarsi non
doveva necessariamente farlo con lei, ma almeno che comprendesse che
lei, in ogni caso, ci sarebbe stata anche solo per ascoltarlo.
“A me neanche piace il Messico.” – esordì Draco, lasciando perplessa Hermione.
La ragazza collegò immediatamente quella meta al suo viaggio di nozze.
“E perché?”
“C’è troppo caldo, non si respira neanche!”
“Certo che anche lei
prenotare ad Agosto!…” – disse, facendogli capire
quanto sbagliato fosse stato prenotare là proprio in quel mese.
“A Pansy piaceva…”
Sì, e a te?, si chiese Hermione senza, naturalmente, dar voce ai suoi pensieri.
“Capisco.” – disse solamente.
Non riuscì però a
controllare il tono di voce che alle orecchie di Draco apparve
più come una sorta di silenzioso rimprovero.
“A te Pansy non piace, vero?” – le chiese.
Per una volta voleva essere schietto, dire le cose a muso aperto. Al diavolo la diplomazia!
E poi davanti aveva una che in fatto a schiettezza non scherzava!
“Scusi, ma lei e Capitan Ovvio siete fratelli?” – ironizzò.
Draco ridacchiò.
“Pansy non è così male come sembra, sai?”
Hermione scelse di comportarsi da persona matura.
Scese dalla balaustra e
andò a sedersi sulla sdraia, incrociò le gambe e si
drappeggiò la coperta addosso. Non faceva freddo, non tanto
almeno, ma l’aria era abbastanza fastidiosa.
“Mi parli di lei, allora.”
“Perché dovrei farlo?” – la stuzzicò.
“Ha voglia di fare una cosa con me?” – chiese Hermione, nella più totale delle innocenze.
Draco sbatté le ciglia più volte. Aveva frainteso, o quella era una profferta?
“Co-cosa?”
“Solo per stanotte…” – continuò lei, ingenuamente mentre Draco sudava freddo. – “… sia onesto.” – concluse. – “Io credo che lei abbia bisogno di parlare con qualcuno…”
Draco riprese a respirare correttamente, ma di nuovo Hermione trovò il modo di bloccargli il respiro.
“… o forse solo di
essere ascoltato perché credo che quelle valige che si porta
sotto gli occhi siano frutto di pensieri che la tengono sveglio di
notte. Mi parli di Pansy, perché forse sono io che non riesco a
vedere ciò che invece vede lei, mi parli della sua fidanzata. Mi
parli della persona che ha scelto per condividere la sua vita.”
Da quanto tempo aveva bisogno di qualcuno che gli parlasse in quel modo?
Da quanto tempo aveva bisogno di parlare?
Erano parole sincere, quelle di
Hermione: erano prive di qualsiasi interesse personale ma intrise di
una ricchezza che lui forse non avrebbe mai conosciuto e si disse che
forse per una sera, solo per quell’unica volta, avrebbe potuto
anche lasciarsi andare.
E che forse Hermione era la persona giusta con cui farlo.
Si staccò dalla balaustra e andò a sedersi sulla sdraia.
Le sorrise, leggermente
imbarazzato e Hermione gli restituì il sorriso. Per nessun
motivo al mondo avrebbe usato ciò che lui le avrebbe confessato
quella sera contro di lui.
Avrebbe semplicemente fatto ciò che sua sorella Daphne faceva con lei: avrebbe custodito gelosamente i suoi segreti.
“Pensavi a questo quando hai
fatto mettere la moquette nel tuo ufficio?” – chiese una
piacevolmente indolenzita Laney, stesa sul pavimento – sulla
moquette – dell’ufficio di John.
Si guardava intorno, come se non fosse accaduto ciò che invece era accaduto. Lo sentì ridacchiare dietro di lei.
La donna si girò con la testa sorretta da una mano e la sua giacca a coprirle il corpo nudo.
“Non esattamente.” – rispose John. – “Senti Laney…”
La ragazza gli occhi al cielo e si alzò, sbuffando infastidita.
“Non iniziare, eh?” – gli chiese.
“Siamo giunti al “dopo,” Laney.” – fece presente John.
La donna iniziò a vagare
per l’ufficio del suo capo tutta nuda alla ricerca degli
indumenti che lui aveva scaraventato chissà dove.
“E cosa vuol dire
“dopo” John?” – chiese, più concentrata
a cercare il reggiseno che alle sue parole.
Perché non capiva? Perché non poteva prendere ciò che veniva e poi salutarsi?
“Cosa succederà domani?”
“Ma che diavolo vuoi che ne
sappia io?” – sbottò mentre s’infilava gli
slip. – “Per quello che ne so, potrebbe arrivare un
ciclone!, un cataclisma!, un’inondazione!”
“Sai benissimo a cosa mi riferivo!” – sbottò l’altro.
“Onestamente non lo so e a
dirti la verità, non mi interessa. E’ stato sesso John:
semplice e fantastico sesso.” – chiarì. –
“Prima ti ho chiesto se era l’amore che cercavi e non mi
hai risposto. Fallo ora.” – disse, con il reggiseno in mano.
“Io non…”
“John! O sì o no!” – esclamò esasperata.
“No!” – urlò l’altro, temendo di aver ferito la ragazza.
“Dio ti ringrazio!”
Ogni disagio venne spazzato via da quella frase.
“Scusa?”
“Senti, ma per chi mi hai
presa? Se volessi una storia vera, di certo non andrei a letto con il
mio capo.” – iniziò a saltellare sul posto per
infilare la gonna.
“Ma…”
Afferrò la camicetta.
“E comunque, a prescindere, una storia non la voglio nemmeno io!”
“Io… credevo che…”
Laney si fermò, perplessa.
“Cosa? Che credevi?”
“Credevo di averti offesa, dicendoti che non voglio impegnarmi con te.”
“Il giorno in cui tu vorrai
impegnarti con me, John Cook, sarà l’ultimo tuo giorno
sulla faccia di questa terra.” – lo minacciò.
Ok, qualcosa non andava…
“Laney…”
“Per l’amor di Dio
John!” – esclamò lei esasperata, tornata impeccabile
come se neanche si fosse spogliata. – “Ti stai facendo un
sacco di problemi per niente! Ti è piaciuto quello che abbiamo
fatto?”
“Sì, ma…”
“Perfetto! E’ piaciuto
anche a me. Fine della questione. Se vuoi possiamo ripetere ma non mi
tirare più fuori questi discorsi perché mi danno
fastidio. Limitiamoci al sesso, d’accordo? L’amore…
quello lo lascio alle ragazzine che scrivono sul “That is?”
e che devono ancora capire che un bacio non ti mette incinta e che la
coca cola non uccide lo sperma.” – disse dura.
John non sapeva cosa dire.
Non aveva mai visto Laney sotto questa prospettiva e la cosa… lo eccitò.
Finalmente una donna che non
cercava l’amore preconfezionato, una donna che non voleva
coinvolgimenti. La cosa lo stuzzicava parecchio.
“Quindi, niente amore?”
“Niente, nada, zero!”
– esclamò, più interessata a sistemare la propria
frangetta che a ciò che si erano appena detti.
“Allora ci sto.” – disse John.
Laney smise di sistemarsi la
frangetta e lo guardò. Un piccolo sorriso spuntò sulle
sue labbra che, prima, erano rosse come il fuoco.
“Allora credo che potremmo andare d’accordo. Ci vediamo domani, signor Cook.”
“A domani, signorina Miller.”
La sentì ridere.
Una volta fuori dalla porta, Laney si concesse un sorriso solare.
Aveva sinceramente avuto paura di
essersi innamorata del suo capo ma quando era venuta l’ora di
separarsi da lui, non aveva avvertito nessun macigno nello stomaco o il
cuore piagato a metà.
La sua era solo attrazione fisica e il loro un sano sesso.
Meglio di così non poteva andare!
Quella sera qualcosa veramente cambiò nel rapporto tra Draco e Hermione.
All’ennesimo “signor
Malfoy” Draco aveva sbuffato e le aveva chiesto di chiamarlo per
nome e di dargli del tu. Educatamente Hermione aveva ringraziato e poi
avevano continuato a parlare.
Erano stati onesti entrambi.
Finalmente Draco aveva ammesso di
averle dato due lavori per far contenta Pansy ma Hermione aveva letto
tra le righe che non lo aveva fatto per accontentarla, ma per farla stare zitta.
Un’altra al suo posto poteva pensare che sposare una ragazza
simile fosse un errore madornale ma Hermione aveva sempre tenuto fede a
una semplice regola: non è bello ciò che è bello,
ma è bello ciò che piace.
Se a Draco piaceva Pansy con tutti
quei difetti, lei non era nessuno per poter mettere becco nella sua
decisione, anzi. Ammirava Draco perché aveva comunque scelto una
persona imperfetta ma che amava con tutto se stesso.
Lei aveva parlato poco,
perché aveva visto giusto quando aveva pensato che avesse
bisogno di sfogarsi. Aveva fatto di tanto in tanto qualche domanda,
anche personale e, sì, anche costellata di un po’ di sana
ironia che non guastava mai.
“… e non ti nascondo che vi vorrei vedere andare d’accordo.”
“Draco, per i miracoli non sono ancora stata attrezzata.” – scherzò lei.
Anche Draco si rese conto di averle chiesto un po’ troppo.
“E’ proprio così difficile?” – le chiese.
A Hermione un po’ dispiaceva
non poterlo accontentare ma davvero quella che le aveva appena chiesto
era un’impresa ercoliana.
“Io…”
“Adesso devi essere tu onesta con me.”
“Giusto.” –
concesse lei. – “Vedi Draco… io non sopporto le
persone che per farsi belle agli occhi degli altri, ai tuoi in questo
caso, devono mettere nella merda gli altri.” – w la
sincerità. – “Per non parlare del fatto che trovo
assolutamente infantile il fatto che lei abbia mandato avanti te per
punire me. Insomma… mi pare che sua madre le abbia fatto la
bocca per parlare.” – disse, con pesante ironia. –
“Allora perché non venire a chiarire direttamente con me?
Per non dire di quando lei afferma di essere stata pesantemente
umiliata da me quando in realtà non ho fatto altro che mettere
in chiaro le cose come due persone adulte e civili senza offenderla in
alcun modo. Sarei perfino in grado di andare d’accordo anche con
Hitler perché lui non fa mistero delle proprie idee ma con
Pansy… davvero mi dispiace ma è più forte di me.
Quando e se vedrò che da parte sua c’è voglia di
dialogare, magari non come due migliori amiche ma anche solo per il
bene dell’azienda, non mi tirerò indietro ma per il
momento… lascerei le cose come stanno.” – disse.
– “Sei arrabbiato?” – chiese Hermione, cercando
il suo sguardo rivolto verso il basso.
Draco lo rialzò e le sorrise.
“No, anzi. Sei molto onesta
Hermione. E non parlo solo sul lavoro ma anche nel privato. In molti
avrebbero solo parlato bene di Pansy per non farmi arrabbiare.”
La ragazza fece le spallucce e poi tornò a guardare il cielo.
“Non prendertela a male
Draco, ma le persone arrabbiate non mi fanno né caldo né
freddo. Ci sono cose ben peggiori di un’arrabbiatura dovuta a una
divergenza di opinioni.”
“Concordo, ma sai… non tutti hanno la tua schiettezza.”
La ragazza ridacchiò.
“Allora vuol dire che
preferisci le persone che fanno la bella faccia davanti e poi ti
piantano un bel coltello nella schiena?” – chiese.
“No ma in questo ambiente, soprattutto quando girano parecchi soldi, è difficile trovare persone come te.”
“Ti prego, ti prego, ti
prego!” – esclamò lei. – “Tutti questi
complimenti mi ammazzeranno!” – disse, portandosi
teatralmente la mano sul cuore.
Draco rise di gusto. Era da tanto tempo che non gli capitava.
“D’accordo la smetto.
Sei molto diversa dalle altre tue colleghe. Non ti interessi di
ciò che pensano gli altri di te, fai il tuo lavoro e basta,
aiuti quando ti è possibile… non credi che rischi di
isolarti dagli altri?”
Hermione si girò di scatto.
“Ipocriti.” – rispose Hermione.
Draco la guardò perplesso.
“Chi?”
“Tutti.” – disse
come se fosse ovvio. – “Finora non ho mai trovato nessuno
che dicesse una cosa e poi la portasse avanti, qualunque fossero le
conseguenze. Tutti banderuole, pronti a cambiare partito una volta che
cambia il vento. Io vivo la mia vita Draco, non quella che gli altri
vorrebbero che io vivessi. Se io faccio una scelta per far felici gli
altri ma non me stessa, poi chi sta male sono io. Ma tanto nessuno se
ne cura, perché loro hanno le loro vite, i loro affari, i loro
impegni… e nessuno più ti guarda. È sempre
così!” – esclamò. – “Passi una
vita a soddisfare le esigenze degli altri e tralasciare le tue ma
quando viene il momento che hai bisogno di aiuto e vai dalle persone
che hai sempre cercato di compiacere, queste ti voltano le spalle,
perché hanno altro da fare. Non si curano se stai male e non ti
aiutano se loro per primi non hanno un personale tornaconto. E alla
luce di ciò preferisco vivere una vita di isolamento e riuscire
a guardarmi ancora allo specchio, piuttosto che accompagnarmi a persone
che al mio primo momento di cedimento mi abbandoneranno.”
Fine arringa.
“Non volevo offenderti…” – disse Draco, spaesato da quello sfogo.
“Non mi hai offesa, è
che non sopporto quando mi si viene a dire che rischio di rimanere sola
per il mio carattere. E allora? Rimango sola io, mica gli altri! E io
sto bene così. Da sola riesco a gestire due
lavori…” – disse, con un sorrisetto sfrontato che
fece alzare gli occhi a Draco. – “… ma se iniziassi
a farmi amici i colleghi, si dovrebbe perdere tempo a chiacchierare, a
raccontarsi i fatti propri, a organizzare aperitivi… e io vengo
pagata per lavorare, non per organizzarmi il tempo libero. Quello lo
faccio quando sono a casa.”
“Di te hanno buttato via lo stampino, vero?” – chiese Draco.
“Sì, mi spiace per
te. Quindi ti consiglio di trattarmi con i guanti, da oggi in
poi.” – scherzò Hermione, ridendo.
In quel modo, era stato spazzato via il ricordo di quello sfogo e la tensione che si era venuta a creare con esso.
“Me lo
ricorderò.” – disse Draco. – “Quando
torniamo, ti farò fare un po’ di gavetta, di quella seria,
però.”
Hermione si girò e non riuscì a trattenere un sorriso.
Che fosse arrivato il momento di premiarla davvero per i suoi sforzi?
“Oh bene. Era ora.” – sdrammatizzò lei.
“Allora è deciso.” – disse Draco, alzandosi.
“Vai a letto?”
“Beh, credo sia anche ora.” – disse. – “Sono quasi le tre.”
Hermione sbarrò gli occhi. Si alzò e rientrò in camera pure lei.
“Oh cavolo… sei logorroico lo sai?” – scherzò Hermione.
“Sì, certo…”
La ragazza lo accompagnò alla porta e lo salutò.
“Allora buona notte.”
“Buona notte. Ah Hermione?”
“Sì?”
“Quello che ti ho detto stasera…”
“… verrà con me nella tomba Draco.” – lo rassicurò.
L’uomo sorrise, grato. Avrebbe potuto benissimo risparmiarsi la domanda…
“Buona notte Hermione.”
“Buona notte Draco.”
“E così ripartite dopodomani. Mi spiace sai?”
Il rumore della stecca che colpì la pallina sovrastò per un attimo la voce di Laney.
“Spiace anche a me
ma…” – Hermione si guardò un attimo intorno.
– “… Draco vuole risolvere quella faccenda.”
La pallina mancò la buca di un soffio. Laney schioccò la lingua sul palato, infastidita.
Hermione prese la sua piña colada e ne bevve un sorso.
“Beh, credo sia naturale. Non a tutti piace avere un verme nella mela.”
“La cosa un po’ mi
preoccupa perché ho visto che parte delle registrazioni
riguardavano delle provvigioni che ho inserito io. So di per certo che
il mio lavoro non ha pecche perché lo ricontrollo sempre mille
volte prima di presentarlo, quindi davvero non so cosa pensare.”
“Magari qualcuno ci ha messo le mani per sbaglio e ha fatto un casino.”
Hermione la guardò storta.
“Ci avete presentato otto
pagine fronte e retro di quegli “sbagli”. Forse sono un
po’ troppi, non credi?”
Laney la guardò come per dire “sì, hai ragione”.
“Una falla nel software?” – propose Laney.
“E’ quello che stiamo
sperando io e Draco.” – disse Hermione. – “Gli
prenderebbe un colpo se si trattasse di qualcuno che lavora
all’interno.” – Hermione prese la mira e tirò.
La pallina andò in buca dopo aver sbattuto un paio di volte contro i lati.
“E ci credo. Quando è
successo a noi non capivamo cosa fosse perché la falla aveva un
codice di errore talmente piccolo che erano passati due mesi prima che
riuscissimo a trovarla. Nel frattempo John stava facendo il diavolo a
quattro.”
“A proposito di John… sviluppi?”
“Non siamo mica innamorati!” – esclamò Laney, che aborriva la sola idea.
“Hai capito quello che volevo dire.” – disse Hermione.
“Va bene. Davvero!” – disse Laney, non ancora pronta a confessare tutto all’amica.
“Come preferisci. Allora, tiri?”
Laney si piegò e tirò in buca. Finalmente la centrò pure lei.
“Mi ha fatto molto piacere rivederti.”
“Intendi tornare in Inghilterra o hai troncato ogni rapporto?”
“La seconda.” –
disse Laney. – “Ho solo avuto delusioni laggiù
mentre qui sono quella che ho sempre desiderato essere.”
“E i tuoi? Li senti di tanto in tanto?”
“Perché dovrei
sprecare cinque dollari di chiamata per loro?” – chiese la
ragazza che tirò una seconda volta ma con molta più foga.
Infatti la stecca colpì male la pallina e questa finì sulla sponda accanto.
“Perché ti mancano?” – chiese Hermione, retoricamente.
“E allora? Quando ne avevo
bisogno, non c’erano e sai come la penso.” – con
un’unica sorsata, Laney finì il suo mojito.
“Sì, certo… scusa, non volevo farti star male.”
“No, non
preoccuparti.” – disse l’amica, tornando un po’
più serena. – “Allora, ti va di andare a fare un
giro?”
“Sì, andiamo.”
Quella sera, Hermione
scoprì dove viveva Carrie Bradshow di “Sex and The
City” e dove si trovasse il Four Seasons dove alloggiava
solitamente Mr. Big.
Poi entrarono in una tavola calda
e ordinarono tante schifezze che sarebbero finite subito su fianchi e
sedere. Risero così tanto per delle cavolate che a fine serata
avevano gli addominali indolenziti.
“Era da tempo che non mi
capitava di ridere così!” – esclamò Laney.
– “Domani ti faccio vedere il resto!”
Hermione rise ancora e annuì.
“Quando torno a Londra, mi organizzo e ti chiamo ok?”
“Va bene.”
Quel tanto atteso domani arrivò abbastanza in fretta.
Draco e Hermione avevano raggiunto un buon equilibrio e la riccia non poteva essere più felice di così.
Laney la portò in centro a vedere dei musei e delle mostre di arte e la sera di nuovo a far baldoria.
Purtroppo arrivò anche il momento dei saluti.
“Sono stata davvero
felicissima di rivederti. Prometto che mi farò sentire
più spesso. Per te i cinque dollari li spendo volentieri.”
– disse Laney.
“Io invece li addebiterò alla Malfoy Home.” – scherzò Hermione.
“Spilorcia.”
“Beh, eccoci qui. Non so a
che ora mi alzerò domani ma ti faccio un colpo di telefono
quando arrivo in aeroporto, d’accordo?”
“Ci conto. Ciao Hermione, fa buon viaggio.”
“Grazie. Ah, hai da scrivere?” – chiese la riccia all’ultimo.
“Sì, perché?”
“Da qua: ti lascio la mia
mail aziendale e la mia di casa. Quando arrivi in ufficio, mandami un
messaggio con la tua, così ti metto in memoria.”
“Ah, va bene.”
Le due si abbracciarono strette e poi ognuna andò per la propria strada.
“Attenta Hermione!”
La riccia si scansò all’ultimo, stordita.
Draco andò da lei.
“Stai bene?”
La risposta di Hermione fu un sonoro sbadiglio.
“Scusa… ho un sonno…”
“La notte leoni, la mattina…” – disse, lasciando la frase in sospeso.
“Coglioni, dillo pure.” – disse la riccia. – “Laney mi ha trascinata ovunque ieri sera.”
“A te servirebbero due settimane di ferie per riprenderti, te lo dico io.”
La riccia sbarrò la bocca in un sorriso luminoso tanto che Draco pensò che soffrisse di doppia personalità.
“Mi dai le ferie?”
“No.”
“Al diavolo…” – disse, con il sonno che era ritornato.
“Dai andiamo, hanno chiamato l’aereo.”
Dopo aver rifatto lo stesso procedimento, i due presero posto sul bus che li avrebbe accompagnati sull’aereo.
“Allora, ti è
piaciuto quello che hai visto di New York?” – chiese Draco,
accomodandosi al proprio posto.
“Sì. E’ davvero una bella città, proprio come la vedi in tv.”
“Forse più avanti la
vedrai più spesso…” – disse Draco,
lasciandole intendere come sarebbe stata la sua vita nel prossimo
futuro.
Hermione girò lo sguardo verso l’oblò e sorrise.
La sua vita non poteva andare meglio.
Calli-corner:
E poi ditemi che non vi voglio bene.
Finalmente tra i due le cose
stanno andando bene e Hermione inizierà a fare una gavetta
seria. Basta punizioni immeritate, basta battibecchi con Pansy: la
ragazza si è fatta conoscere finalmente per le proprie doti e
ora potrà mettere le mani sull’agendina di Draco e sul
numero di Brad Pitt. ^_^
Ma, naturalmente, non posso lasciarvi senza l’immancabile spoiler!
“D’accordo,
me ne vado…” – disse, con un sorriso sarcastico.
– “… almeno non dovrò più vedere la
tua merdosa faccia ogni sacro santo giorno!” – si
sentì subito meglio l’attimo successivo.
Pansy aprì la bocca, indignata.
Ehm… ops?
Sono aperte le scommesse su quello
che può essere successo e sul perché Hermione si sia
decisa a rendere pubblica l’opinione che lei – e
l’intera Malfoy Home – ha di Pansy Parkinson.
Adesso scappo, per andare a
continuare la storia che voglio postare dopo questa e alla quale manca
solo una bella revisionata – sapete, orrori di ortografia,
ripetizioni, bimbomikiate – e soprattutto per evitare i vostri
forconi che mi bucherellano il culetto.
Bacioni,
callistas
*hihihi…*
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Capitolo 10 *** Il marchio del tradimento ***
10 - Il marchio del tradimento
Mie fedelissime… un bentornato a voi.
E a me. ù_ù
È stata dura, devo ammetterlo.
Non immaginavo che andare in ferie fosse così stressante. E non scherzo.
Sono stata al paese del mio fidanzato e in una settimana ho dovuto girare mezza Sicilia per andare a trovare amici e parenti.
È un bel paese, per
carità, ma molto caotico. Anche se non ti conoscono, ti fermano
e si mettono a chiacchierare mentre io, invece, sarei più un
tipo da “meditazione Zen”, ovvero
lasciatemi-in-pace-e-fatevi-i-cazzi-vostri.
Ma tutto sommato è andata bene.
Tempo bellissimo e mare stupendo.
Vabbè, torniamo con i piedi per terra e con il capitolo su EFP.
A parte gli sproloqui sulle mie ferie che, naturalmente, non interessano a nessuno, non ho molto altro da dire.
Il mio angolino si trova sempre in fondo alla pagina, nel quale ho messo un paio di spiegazioni sul titolo.
A più sotto,
callistas
Lunedì diciassette novembre e tutto era ripreso a scorrere come doveva essere.
Hermione si divideva ancora tra
contabilità e magazzino ma con la mente era già alla
gavetta che Draco le aveva preventivato in aereo.
Una parte del suo cervello,
però, era tutta sulla registrazione di quelle provvigioni.
Chissà quanti altri dati sbagliati c’erano e se Draco si
era già messo all’opera per trovare la soluzione.
La ragazza avrebbe tanto voluto
fare qualche domanda ai tecnici ma non sapeva se fosse una buona idea.
Non voleva prendere iniziative sconsiderate, non ora che aveva
raggiunto finalmente un equilibrio con Draco.
Non poteva andare meglio di così.
Anche se avevano stretto una sorta
di “amicizia” – se di amicizia tra un datore di
lavoro e una collaboratrice si può definire il loro rapporto
– per Hermione non cambiava niente, se non solo per qualche
battuta in più che poteva permettersi di fare con Draco alle
quali l’uomo rispondeva o con una ghignata delle sue o con
un’esasperata alzata di occhi al cielo.
Il biondo direttore aveva smesso
di farsi venire l’orticaria di fronte a tutti i
“perché” della riccia, solamente per il fatto che da
quando erano tornati a Londra, quei “perché” erano
mirati a colmare le lacune in ambito lavorativo.
A volte sembrava di vedere un padre che trasmetteva il proprio sapere al figlio.
Hermione assorbiva come una spugna
tutte le nozioni che Draco le forniva sull’azienda. A volte il
biondo pensava che le mancasse solo un block notes e una penna per fare
di Hermione una scolara.
Con le informazioni di Draco, stava lentamente mettendo insieme il puzzle che era la Malfoy Home.
Di tanto in tanto, Draco se la
tirava dietro in qualche settore, giusto per farle assaggiare come
sarebbe stata la sua vita futura all’interno dell’azienda.
Hermione gli trotterellava dietro, tutta contenta di essere finalmente stata notata per le proprie capacità.
Un po’ meno contenta ma abile nel nasconderlo, era invece Pansy Parkinson.
La mora fidanzata del direttore
della Malfoy Home era costretta a rosicchiarsi le unghie per quella
confidenza e per quel feeling che i due avevano sul lavoro e,
naturalmente, come ogni fidanzata gelosa insicura del rapporto con il
proprio uomo, vedeva cose inesistenti dappertutto.
Purtroppo Draco era stato chiaro quando avevano parlato al suo rientro dall’America.
“Siediti.”
L’aveva
convocata nel suo ufficio con una freddezza e un distacco tali, che
davvero Pansy pensò che l’avrebbe lasciata.
“Allora, veniamo subito al dunque.” – chiarì lui. – “Mi sto onestamente stancando.”
Pansy era sbiancata.
“Sono
stanco di vederti fare i tuoi comodi all’interno di
quest’azienda, stanco di chiamare nel tuo ufficio e non trovare
nessuno, stanco di vedere i dipendenti entrare nel mio ufficio con
delle carte che tu dovevi firmare, ma che per un astruso motivo hai
sempre accantonato ma soprattutto… sono stanco di vederti
provocare Hermione.”
La mora aveva
tirato un sospiro di sollievo. Non la stava lasciando. Tuttavia, non
gradì che Draco prendesse le parti di quell’insulsa
contadinotta e non le sue.
“Hermione.”
– ripeté lei, sfoggiando l’arma della gelosia.
– “Dunque il viaggio a New York è andato meglio del
previsto?” – chiese, osando insinuare atteggiamenti poco
etici di un fidanzato nei confronti della fidanzata lontana e di un
datore di lavoro nei confronti di una dipendente.
Draco la guardò duramente.
“Queste sono le insinuazioni di una donna di basso borgo, Pansy.”
La mora arrossì per la stoccata.
“E tra
le tante cose di cui sono stanco, è dovervi sempre difendere
dalle tue accuse di tradimento. Ogni volta che parlo con una donna del
mio organico, devo sempre fare i conti con te e la tua inutile gelosia.
Stiamo per sposarci. Questo non significa niente per te?” –
l’accusò.
Pansy chinò lo sguardo.
“E’ solo che vedo quanto tu sia accomodante con certe donne Draco. Tutto qui.” – disse, riferendosi volutamente a Hermione.
“Se devi parlare di Hermione, fallo apertamente, per favore.” – la riprese.
La chiacchierata con la riccia aveva dato i suoi frutti.
Hermione non si faceva problemi a
dire le cose in faccia e Draco aveva iniziato a trovare questo
comportamento molto positivo e da persone mature. I giri di parole, i
sottintesi… iniziavano davvero a stancarlo.
“Ti ho
già detto che la trovo una valida collaboratrice e che intendo
puntare su di lei. Ora hai due scelte: o accetti Hermione, magari non
come migliore amica ma come collaboratrice, oppure te ne vai.”
Aveva parafrasato le parole della riccia e quando se ne era accorto, se ne era sorpreso parecchio.
Pansy era sbiancata paurosamente. Le stava dando un ultimatum?
“Dunque
è a questo che siamo arrivati? Agli ultimatum?” –
chiese Pansy, indignata. – “E tutto per chi? Per Hermione
Granger? Ma si può sapere che ha quella in più degli
altri?”
“E’
una brava ragazza Pansy, una che nonostante l’abbia ficcata in
magazzino per farti contenta non si è arresa e ha migliorato non
solo il lavoro, ma ha anche sistemato un grave problema di Sicurezza
sul Lavoro che, da quello che mi risulta, spettava a te. Una che
nonostante le abbia dato anche l’amministrazione da seguire,
sempre per farti contenta, se ne è rimasta zitta e ha fatto pure
quello. Obiettivamente, Pansy: chi non vorrebbe in azienda una
così?”
“Draco… mi giuri che non c’è niente tra voi due?”
Aveva giocato la carta dell’incompresa che, di solito, funzionava sempre.
E così fu anche quella volta.
“Niente di niente. Solo rispetto.”
Pansy annuì.
“D’accordo. Scusami per le mie assenze. Ti prometto che non capiteranno più.”
Draco annuì.
“Va bene. Coraggio, ho bisogno di te qui dentro.”
Sorridendo, Pansy uscì.
Il giorno in cui Hermione riuscì ad ottenere ciò che si meritava, fu il martedì della settimana successiva.
Draco si era mobilitato e aveva
chiamato una squadra di tecnici esperti per mettere a soqquadro ogni
computer aziendale o mezzo tecnologico che potesse avere a che fare con
i bilanci che erano arrivati in mano a John e che si era accampata
lì già dal giovedì precedente.
Non avevano saltato nessuno su
ordine di Draco stesso: neanche il centralino, il cui unico lavoro era
smistare le chiamate e che con la contabilità non
c’entrava proprio niente.
Ogni settore che entrava in
contatto con quei tecnici, veniva bloccato per delle ore e scansionato
fino a trovare il più microscopico degli errori. Per
l’occasione Draco non aveva badato a spese: anche se ci avessero
impiegato un mese, alla fine la falla doveva saltare fuori.
Solo alla fine delle loro
ricerche, gli esperti avrebbero fatto un resoconto sul sistema
operativo aziendale e lo avrebbero consegnato a Draco e a nessun altro.
“… già che ci
sei mandami via mail… cosa? Sì, sì! Anche quello!
Ok, ok allora l’aspetto, grazie!”
Hermione riagganciò il
telefono e annotò sul block notes l’appunto telefonico.
Voci di corridoio dicevano che a breve quei geni dei computer sarebbero
arrivati anche nel loro ufficio e tutti erano un po’ – un bel po’
– preoccupati perché sui propri computer c’erano
informazioni personali, disdette di polizze assicurative o mail inviate
ad amici per l’organizzazione di una serata, che con il lavoro
non c’entravano niente.
Hermione, invece, non aveva niente
di tutto ciò. Il suo computer era lindo come il culetto di un
bambino appena lavato e non temeva niente.
Continuò con il proprio lavoro, con la coscienza pulita.
“Non capisco perché
non hai fatto fare questo lavoro ai nostri tecnici.” –
chiese Pansy, mentre guardava dalla finestra di Draco il parcheggio
sottostante e si rigirava tra le mani il girocollo di perle. –
“Ti costerà un patrimonio.”
“Può costarmi anche
l’azienda, non m’interessa.” – disse Draco,
pinzando un paio di fogli insieme. – “Voglio sapere che
cos’è successo e poi scoprirò chi ha spedito quei
documenti a John.”
Pansy continuò a fissare il paesaggio, rigirandosi la collana tra le dita.
“Hai magari pensato che forse non è un problema del software?” – chiese, girandosi.
Draco si girò e la guardò dritto negli occhi.
“Sì.”
“Quindi?”
“Quindi ho chiamato questi tecnici proprio per appurare che nel sistema non ci sia niente.”
“E se è stato qualcuno dell’azienda, cosa farai?”
“Non lo so. Prima devo sapere chi è.”
“Certo, certo… Mi chiedo poi chi sia stato a mandare quei bilanci a John.”
“Scoprirò anche questo.” – disse Draco, che ormai era sulle spine.
“Beh, ti lascio al tuo lavoro. Torno nel mio ufficio.”
“Sì, certo.”
Pansy uscì e Draco
pensò che la chiacchierata post viaggio in America era stata un
toccasana per la sua fidanzata, perché l’aveva vista
più presente sul lavoro, meno distratta e più consapevole
del proprio ruolo all’interno del suo organico.
Forse quella sera potevano recuperare gli arretrati accumulati, pensò divertito.
Controllare alcuni settori
aziendali fu un lavoretto molto semplice e veloce, perché certi
computer non erano programmati per alcune funzioni che, invece, erano
proprie del reparto amministrazione.
Era martedì pomeriggio e a
breve i tecnici della Hogwarts’ Academy avrebbero consegnato a
Draco il resoconto sul lavoro eseguito.
Avevano invaso la sua azienda per
una settimana, ma se era vero quanto si diceva su di loro, erano
talmente bravi che avrebbero trovato anche il classico ago nel pagliaio.
Non riusciva a spiegarsene il
motivo, ma non era convinto che il difetto fosse nel software: quella
era opera di qualcuno che voleva sabotargli l’azienda. Per non
parlare di quell’intrusione avvenuta nell’ufficio di Pansy
solo qualche anno addietro.
Avevano sporto regolare denuncia contro ignoti, ma i ladri non erano più stati trovati.
Quando il giorno dopo avevano
scoperto il fatto, sembrava non mancasse niente. Solo dopo aver visto
parte del bilancio della sua società da John, Draco si era reso
conto di cosa mancasse: quei ladri dovevano aver fatto una copia del
programma per il bilancio in modo tale da tenerlo sempre sotto
controllo.
Draco era davvero preoccupato.
Se non poteva fidarsi delle persone con le quali lavorava come avrebbe potuto fare?
“Draco?”
“Sì?”
“Ci sono i tecnici qua fuori.”
“Falli entrare Pansy.”
“Subito. Prego, entrate.” – disse agli esperti.
In fila entrarono in silenzio con
in mano delle cartellette. Entrò anche Pansy, che andò a
sistemarsi dietro le spalle di Draco in un atteggiamento che
l’uomo giudicò estremamente professionale.
Aveva capito come doveva comportarsi.
“Buon giorno signori.” – salutò l’uomo.
“Buon giorno.”
“Allora, che mi dite? Novità?” – chiese Draco, che non aveva voglia di girarci intorno.
“Qualcuna, sì.”
– disse quello che doveva essere il responsabile
dell’operazione. – “Analizzando i vostri computer,
abbiamo trovato parecchie cose non inerenti all’ambito
lavorativo.”
Draco divenne di ghiaccio e quando
sentì la mano di Pansy posarsi sulla sua spalla, si
rilassò. Forse Pansy non sarà stata la persona più
solare di questa terra, ma capiva quando lui aveva bisogno di sostegno.
Proprio come in quel momento.
“Del tipo?”
“Oh, le solite cose…
E-mail personali su come organizzare la serata, a che ora trovarsi per
il cinema… cose così.” – chiarì.
Ma Draco non era tranquillo. Non era quello che gli interessava sapere.
“E… del programma gestionale cosa mi dite?”
“Quello funziona a meraviglia, signor Malfoy.”
Draco abbassò lo sguardo per un attimo.
Cazzo…
“Lo ZXP9500/1 è forse
il miglior programma attualmente in commercio che resiste a qualsiasi
attacco di forzatura esterna. Una volta contabilizzati i dati non si
possono più modificare, a meno che…”
Draco alzò lo sguardo di colpo.
“A meno che?” – era in un bagno di sudore.
“A meno che non venga
introdotto un Cavallo di Troia, con unica funzione quella di cancellare
certi tipi di dati. Una volta cancellati, si possono reinserire
sbagliati.”
E meno male che era il miglior programma attualmente in commercio che resiste a qualsiasi attacco di forzatura esterna, pensò Draco ironico.
“Dunque alla fine è stato qualcuno a manomettere i bilanci.” – fu la conclusione di Pansy.
“Purtroppo sì. E sappiamo anche chi.”
Ecco il momento della verità.
“Abbiamo trovato su un
computer una fitta corrispondenza, tra l’altro nascosta molto
male, tra il suo dipendente e una società fittizia alla quale
siamo risaliti mediante un’approfondita ricerca. Questi sono i
testi che abbiamo stampato.”
Draco li prese e sfogliò le
pagine con fare distratto. Si poteva quasi dire che fosse più
interessato al quantitativo che non a quello che vi fosse scritto
sopra: l’essere venuto a conoscenza che nella sua azienda
c’era qualcuno che gli remava effettivamente contro era stato
davvero un duro colpo.
Di nuovo, il confronto con il
padre fu inevitabile. Draco non aveva mai sentito parlare di questi
problemi quando suo padre gestiva l’azienda.
Perché dovevano iniziare proprio con lui?
“E di chi è il computer in questione?” – chiese Pansy con aria grave.
“Risponde al nome
di…” – il tecnico aprì la cartelletta e lesse
il nome. – “… Hermione Granger.”
Draco avvertì nitidamente una lama conficcarsi nella schiena.
La ragazza in questione stava tranquillamente parlando al telefono con Roger.
A causa di quel viaggio, alcuni
lavori si erano accumulati sulla sua scrivania e non aveva avuto modo
di salutare i colleghi del deposito come avrebbe voluto.
“… beh, ho visto
pochissimo perché Draco è voluto rientrare praticamente
subito. Sono ancora mezza rimbambita dal fuso orario.” –
rise lei.
“Draco, eh?”
“Sì! Mi ha permesso
di chiamarlo per nome e dargli del tu. Sai!, ha detto!…”
– si zittì immediatamente e iniziò a parlare sotto
voce. – “… ha detto che ha dei progetti per me, che
secondo lui potrei essere un valido aiuto per l’azienda, ti rendi
conto? E poi ha già iniziato a farmi vedere
qualcosina…” – disse, ridacchiando eccitata.
“Te l’avevo detto che Draco è una brava persona.”
“Mi sa che avevi ragione tu.”
“E hai visto altro di New York?”
“No. Ma sai la cosa buffa?
Ho trovato una mia amica che adesso lavora nella Livin Home! Il mondo a
volte è davvero piccolo!”
“Ma pensa te!”
“Così adesso che so
dove sta Laney, la mia amica, mi organizzerò e andrò a
trovarla, in modo da vedere meglio la città.”
“Sì, certo. E…”
“Hermione?”
E mentre Roger le faceva la sua domanda, Hermione si girò verso la Parkinson.
Beh, doveva ammettere che da
quando era tornata in ufficio, non l’aveva più fermata per
delle cazzate, anzi… non l’aveva più fermata per
niente e aveva pure iniziato a lasciarle aperta la porta quando la
intravedeva nel parcheggio. Forse aveva ragione Draco su di lei:
bastava conoscerla un po’ meglio per ricredersi.
“Hermione mi senti? Ohi?”
“Ehm, Roger scusa, posso richiamarti dopo?”
“Sì, certo. Ciao.”
“Ciao.” – salutò. – “Ha bisogno?” – chiese Hermione.
“Draco vuole vederti. Adesso.”
“Ah va bene.” – ordinò frettolosamente le carte che aveva sul tavolo e poi seguì Pansy.
Il suo sesto senso era attivo.
Forse si stava sbagliando, forse
Draco voleva parlarle di quella famosa “gavetta” di cui le
aveva anticipato in America o forse era lei stessa che, ogni volta che
vedeva Pansy, entrava in allarme.
Pansy aprì la porta dell’ufficio di Draco e usò a Hermione la cortesia di farla passare per prima.
A quel gesto i campanelli
d’allarme di Hermione suonarono a festa perché non era mai
capitato prima e non era proprio possibile che Pansy fosse cambiata
così radicalmente in quei pochi giorni che erano stati lontani.
Per non parlare poi quando aveva visto l’intero gruppo di esperti
seduti davanti a Draco che la guardavano come se fosse stata infetta.
E adesso che succede?, si chiese la ragazza.
“Buon giorno.” – salutò.
Nessuno rispose.
“C’è… c’è qualche problema?” – chiese, mentre si stropicciava le mani.
Quel gesto non passò inosservato al direttore della Malfoy Home che lo prese come una sorta di ammissione di colpa.
“Draco?” – lo chiamò Pansy. – “Fai tu o faccio io?”
“Fai tu.” – disse Draco con una voce così fredda che fece venire la pelle d’oca a Hermione.
Perché quel tono? E
perché Draco permetteva a Pansy di avere di nuovo “a che
fare con lei”? Non avevano forse detto che era bene tenersi a
rispettosa distanza per evitare guai? Perché si stava
rimangiando la parola?
“D’accordo. Granger, li riconosci questi?”
Malamente, Pansy sbatté sul
petto a Hermione – che prese una bella botta sul seno – un
pacco di fogli. La ragazza si trattenne dal risponderle male non per
soggezione, ma perché voleva capire che stava succedendo.
Guardò i fogli e prese a girarne le pagine.
E che cavolo è ‘sta
roba?, pensò Hermione che man mano che girava le pagine le si
presentavano davanti agli occhi codici e numeri di cui non sapeva
assolutamente nulla.
“Cosa sono?” – chiese, alzando il capo.
“Quelli,
Granger…” – continuò Pansy. –
“… sono le prove che questi signori hanno trovato sul tuo computer e che fanno di te una criminale!”
Non solo era indispettita per
quell’aggressione, ma soprattutto perché la parola
“criminale” associata al suo nome era proprio
l’ultima cosa che quella puttana! stronza doveva fare!
“Oh! Moderiamo i termini, eh? Io non sono una criminale!”
“Ciò che lei regge in
mano signorina Granger…” – iniziò un tecnico
che catturò tutta la sua attenzione. – “…
sono messaggi, fax e mail che lei ha spedito alla concorrenza e che
attestano che lei ha modificato i dati per compromettere la situazione finanziaria dell’azienda.”
Hermione spalancò la bocca, incredula e i fogli le caddero dalle mani.
“Cosa… noo!”
– esclamò! – “Non farei mai una cosa del
genere! Draco diglielo anche tu!”
Fino a quel momento, Draco era
rimasto zitto perché il nodo che gli serrava la gola era
talmente enorme che gli avrebbe solo fatto uscire dei rantoli e che
avrebbero palesato tutta la sua delusione.
Non si era mai sentito così
stupido in tutta la sua vita. Era andato a fidarsi e a confessare cose
private proprio alla persona che stava remando contro di lui!
Aveva sbagliato completamente il
suo giudizio su una persona e non era una cosa che gli capitava molto
spesso. Herm… la Granger era stata molto brava a raggirarlo.
“Cosa dovrei dire?” – chiese Draco, dopo essere riuscito a sciogliere, almeno in parte, quel nodo.
Dal tono di voce, Hermione comprese immediatamente che lui non le credeva.
“Draco…”
“Mi sono fidato di te e in cambio tu… tu spedivi dati falsi alle altre compagnie!” – tuonò.
Hermione sobbalzò sul posto.
Era davvero arrabbiato.
Il reparto si zittì immediatamente.
Non avevano mai sentito il signor Malfoy urlare in quel modo. Chissà che aveva fatto Hermione…
“Ti sei venduta bene, complimenti!”
Un’unica lacrima le solcò la guancia.
“Non sono stata
io…” – disse, con voce incrinata. – “Non
ho spedito nessun dato a nessuna azienda e non so che cosa siano questi
numeri!” – esclamò.
“Ma come?!” – la derise Draco. – “Tu che sai sempre tutto, non sai cosa siano questi dati?”
“No, va bene? Non lo so!”
Ecco che tutta la sua preparazione, ottenuta solo grazie a immensi sacrifici, le si ritorceva contro.
“Peccato che non ti creda per niente! Sei solo una bugiarda! Una falsa! Un Giuda!”
Ah no, eh?
Di tutto si poteva dire di Hermione Granger, ma non che fosse una traditrice!
In un attimo, comprese che tutto
era andato in fumo: la fiducia, l’onestà, i suoi
sacrifici… tutto in fumo perché quell’idiota di
titolare preferiva fermarsi alle apparenze, piuttosto che indagare
meglio. Evidentemente il suo impegno sul lavoro non era servito a
niente se quello stronzo, appena cadeva una foglia, la accusava!
Lei non aveva fatto niente, cazzo! Niente!
“E tu un emerito pezzo di merda.” – scandì Hermione, dura come il granito che vendevano.
La voce era ferma e dura e gli occhi erano due gemme d’ambra inespressive.
I tecnici sbarrarono gli occhi, ora leggermente a disagio.
“Ma come ti per…” – tentò Pansy, ma Hermione ne aveva anche per lei.
“Ti prego!” –
disse Hermione, con gli occhi spiritati. – “Dì
un’altra parola e ti butto giù dalla finestra!”
Pansy si zittì.
“D’accordo, me ne
vado…” – disse, con un sorriso sarcastico. –
“… almeno non dovrò più vedere la tua
merdosa faccia ogni sacro santo giorno!” – si sentì
subito meglio l’attimo successivo.
Pansy aprì la bocca, indignata.
“Dio Cristo Pansy! Sei la
peggior calamità che la terra abbia mai visto dai tempi dei
faraoni!” – nessuno sarebbe riuscito a fermare il suo fiume
di parole. – “Forse qualcosa di buono in tutta questa
storia c’è: finalmente posso dirti in faccia quello che
penso di te, senza dover rischiare di beccarmi un surplus di
lavoro!” – disse, guardando in faccia Draco, che tenne lo
sguardo fisso sul suo. – “Ma non mi lamento di questo, no!
Quello che mi è stato sulle palle dall’inizio di questa
commedia è che tu sei una poveraccia, che non sa pulirsi il culo
da sola, che deve sempre ricorrere all’aiuto di qualcuno!
L’unica cosa che mi auguro è che un giorno tu ti possa
rendere conto di quanto la tua vita sia vuota e di come hai trattato le
persone, anche se forse quella mosca che gira su quel cumulo di merda
che tu osi chiamare cervello, non arriverà mai formulare un
pensiero che vada oltre il te stessa!”
Tutti, Draco incluso, rimasero sbigottiti dalla rabbia e dalle parole violente di Hermione.
La riccia, dal canto suo, si era
sentita liberata di un peso. Che la prendessero per una persona
volgare, mal istruita e campagnola ignorante, non le interessava!
L’unica cosa che le
interessava era potersi guardare allo specchio la mattina, conscia di
aver fatto tutto ciò che era in suo potere per non avere rimorsi
di coscienza.
E quel suo sfogo… oh sì!, quel suo sfogo l’avrebbe fatta andare in giro a testa alta!
Amareggiata da una parte per aver
scoperto di non aver mai avuto la reale fiducia di Draco ma felice
dall’altra, perché aveva detto in faccia a Pansy tutto
quello che pensava di lei dal momento in cui aveva incrociato la sua
strada, Hermione si rivolse a Draco per l’ultima sua volta.
“Quanto a te, fai pena Draco
Malfoy.” – sputò Hermione. – “Sai
perfettamente che io non c’entro niente con questa storia, ma
nonostante tutto, preferisci nasconderti dietro un dito, piuttosto che
fidarti delle mie parole. Ancora, dopo tutto quello che ti ho
dimostrato, non riesci a fidarti di me!”
“Quei documenti erano sul tuo computer!” – esclamò Draco.
“Per favore,
evita…” – disse, commiserandolo. –
“… sei solo capace di sfruttare le persone per poi
buttarle nel cesso quando non ti servono più. Ma sai
cos’è che mi fa più ridere?” – chiese
Hermione, sinceramente divertita. – “Tu potrai licenziarmi
e cacciarmi a pedate nel culo fuori di qui, ma il problema ti
rimarrà ugualmente sul groppo e quando capirai chi è il
vero responsabile di tutto questo casino, sarà troppo tardi. Tu
non sei capace di fidarti delle persone, anzi… conosci il
significato della parola “fiducia” solo quando conviene a
te. Ti saluto.” – inforcò la porta
dell’ufficio del direttore e uscì, sbattendo sonoramente
la porta, e facendo sussultare Pansy che, ancora allibita per le parole
offensive della ragazza, non era riuscita più a dire nulla.
Si fermò a metà corridoio.
Sentiva freddo dentro di lei, perché non credeva possibile che sarebbe potuta accadere una cosa simile.
Non si era azzardata a versare una minima lacrima per tutto il casino che era successo.
Stava male, provava una rabbia
talmente profonda che non sapeva se sarebbe mai riuscita a sbollirla.
Eppure… le sembrava che tutto stesse procedendo bene tra lei e
il direttore, in ambito lavorativo, s’intenda. Avevano raggiunto
un ottimo feeling.
Aveva preso il doppio lavoro non
più come una sfida verso Draco ma verso se stessa: se fosse
stata in grado di mantenerlo, tutti gli altri lavori sarebbero stati
delle bazzecole a confronto e gli avrebbe dimostrato allo stesso tempo
di essere una persona affidabile! Aveva smesso di prendersela per ogni
cosa che diceva Draco e aveva notato che lavorava addirittura meglio,
aveva imparato a chiedergli consigli su come migliorare una determinata
situazione, da impiegata che cerca di migliorarsi ogni giorno, e lui
l’aveva consigliata, suggerendole trucchi che erano stati
insegnati a lui. Faceva domande sull’azienda, dimostrandosi
interessata all’attività e ai suoi contenuti,
insomma… aveva dimostrato a Draco che lui poteva affidarle anche
la sua stessa vita, che lei l’avrebbe protetta anche con i denti,
che altro voleva di più!?!
Ma l’aveva tradita.
Aveva preferito a credere a delle
prove inesistenti e facilmente eliminabili con un colpo di spugna che
al lavoro da lei svolto fino a quel momento.
L’unica nota positiva di tutto quel casino era che aveva potuto dire a Pansy tutto ciò che pensava di lei.
Quando Hermione mise piede in ufficio, l’intero reparto si zittì.
Immaginò che avessero
sentito tutto. Conosceva alcuni di loro come persone sfacciate, che
più di una volta aveva beccato fuori dalla porta di Draco a
origliare mentre faceva il cazziatone a qualcuno.
Entrò a testa alta,
perché non aveva niente da nascondere. Arrivò alla sua
scrivania e iniziò a mettere via le proprie cose.
Nessuno le chiese come stava.
Come ognuno di loro, aveva
decorato la propria postazione con oggettini vari: una matita colorata,
un pupazzetto, un adesivo con una di quelle scritte simpatiche…
stava mettendo via le sue cose in borsa alla rinfusa, senza
preoccuparsi che potessero sgualcirsi, quando la voce di Draco le
arrivò da dietro le spalle.
“Sei pregata di non portare via niente da questo ufficio.”
Hermione chiuse gli occhi e continuò imperterrita a mettere via le proprie cose – e chi si portava via niente! – senza dargli risposta.
Nelle postazioni lì
accanto, i colleghi iniziarono a indietreggiare con le sedie per
evitare di essere colpiti dalla furia di Draco.
“Hai sentito quello che… ah!”
Una serie di increduli e
spaventati “oohh!” si levò nella sala. Nessuno si
fece più scrupolo nell’alzarsi per vedere meglio
ciò che stava succedendo.
Senza tante cerimonie, con una
manovra che insegnano ai corsi di auto-difesa, Hermione si girò
e piegò Draco sulla scrivania, gli torse il braccio destro
dietro la schiena e con l’altra mano gli tenne la testa
schiacciata sulla scrivania di Alley, la sua colle… ex-collega.
“Mettimi ancora le mani
addosso, e giuro che non potrai usare il braccio per molto, molto
tempo.” – aspettò che la minaccia arrivasse a
destinazione e poi lo mollò, nemmeno avesse avuto tra le mani
del letame.
Draco si rialzò, rosso in volto per l’umiliazione subita.
“E ricordati di questa
posizione stronzetto.” – disse Hermione aspra come mai lo
era stata in vita sua, ricordandogli di come si fosse trovato a novanta.
– “Perché adesso credi sia stata io a fotterti, ma
quando arriverà il vero colpevole, ti assicuro che prenderlo in
culo farà tre volte più male!”
Tornò a mettere via le proprie cose in silenzio.
“Sei violenta e grezza, oltre che bugiarda!”
E ora, la ciliegina sulla torta.
Incurante delle conseguenze,
Hermione si girò e gli sferrò un pugno dritto sul naso.
Draco, impreparato per la seconda volta, cadde a terra come un sacco di
patate. Poi Hermione, non contenta, gli andò sopra e lo prese
per il colletto della sua costosissima camicia.
“E tu sei un perdente
Malfoy. Ti circondi di lusso ma sta attento… quando verrà
fuori la verità, rimarrai completamente solo. Nessuno ti
tenderà una mano!”
Poi lo mollò a terra, afferrò la sua borsa e uscì, una volta per tutte, dalla Malfoy Home.
Di fronte ai suoi dipendenti, uno
più sbigottito dell’altro – beh, c’era
già chi stava messaggiando con i colleghi di altri reparti per
informarli su quanto accaduto e chi aveva sfacciatamente ripreso tutto
con il cellulare – Draco si rialzò, rifiutando
l’aiuto di un ragazzo.
Era infuriato per ciò che aveva scoperto e per la figura da donnicciola fatta.
“A tutti coloro che hanno
usato il materiale aziendale per i propri comodi, verrà
diminuito lo stipendio di cinquecento sterline per sei mesi!”
– urlò.
E tutti seppero di essere colpevoli.
Hermione salì in macchina come se avesse avuto alle calcagna un’orda inferocita di tori.
Voleva mettere più distanza
possibile tra lei e quel mondo di merda che le aveva solo procurato
guai. Gettò la borsa sul sedile affianco, accese il motore e
ingranò la retro, rischiando di lasciare nel parcheggio il
cambio per la violenza usata e scappò a casa.
Draco rientrò nel proprio ufficio con un diavolo per capello.
E con un senso di colpa non indifferente a schiacciargli il petto.
Pansy lo accolse, premurosa come
sempre e sbarrò gli occhi quando vide la sua camicia macchiata
di sangue e lui che si teneva il naso con la mano.
“Oh mio Dio! Ma che è successo?” – chiese Pansy, cercando di capire l’entità del danno.
“Niente.” – disse lui, brusco.
“Draco fammi vedere!” – esclamò la donna, preoccupata.
“Ho detto niente Pansy. Dove sono i tecnici?”
“Beh, se ne sono
andati.” – disse lei, come se fosse ovvio. –
“Avevano finito il loro lavoro e poi… non erano molto a
loro agio dopo la scenata della Grenfer.” – disse Pansy.
E nonostante
l’avesse accusata pubblicamente e pesantemente di tradimento,
Draco non riuscì a mandare giù il fatto che la sua
ragazza avesse sbagliato il cognome di Hermione.
Cazzo!, aveva appena scoperto che
lei boicottava la sua azienda e lui si preoccupava che Pansy
pronunciasse correttamente il suo cognome? Ma aveva battuto la testa
quand’era caduto?
Si morse la lingua per non correggerle l’errore.
Si sedette pesantemente alla
propria scrivania, togliendo di tanto in tanto il fazzoletto per
accertarsi che l’emorragia fosse terminata.
“Sai…” –
disse Pansy con un tono gioviale e molto poco adatto alla situazione
che lo fece girare con un’aria perplessa. – “…
mia madre mi ha chiamato e mi ha detto che per la cerimonia ha
contattato Maggie Carlton per cantare l’Ave Maria di
Schubert.”
Meggie Carlton era una soprana molto famosa.
Draco la guardò, sbigottito. E che c’entrava?
“E ti sembra il momento di
dirmelo?” – chiese, non comprendendo cosa passasse nella
mente della sua ragazza. – “Pansy, ho appena scoperto che
una mia fidata collaboratrice mi remava contro…”
Appena pronunciò quelle
parole, Draco le sentì stridere come uno strumento male
accordato, se paragonate a tutto quello che Hermione, in soli tre mesi
aveva fatto per l’azienda.
“… e tu mi vieni a parlare della Carlton?”
“Draco, so che sei sconvolto
ma ormai abbiamo beccato chi era la mela marcia. Dovresti chiudere
questo capitolo e guardare avanti.” – disse Pansy.
Sì, forse avrebbe dovuto,
ma se ripensava alla forza di volontà di Hermione, al suo non
arrendersi mai, al suo aiutare le persone, al suo sfidarlo, non ci
riusciva.
La reazione della ragazza era
stata troppo sincera per essere studiata. Quella era la reazione di una
persona innocente che si è vista accusata di fatti che non aveva
compiuto.
Ma i dati erano sul suo computer, però, continuava a pensare Draco.
Dunque?
“Draco? Draco mi stai ascoltando?”
L’uomo serrò gli occhi, per la prima volta infastidito dalla voce della sua futura moglie.
“Pansy…”
“Guarda che se non vuoi la Carlton possiamo sempre chiamare qualcun altro e…”
“Pansy sta zitta!”
Pansy serrò immediatamente la bocca, incredula.
Draco non si era ancora reso conto
dell’incredibile pugnalata che aveva inferto a Hermione e forse
non se ne sarebbe mai veramente capacitato.
L’unica cosa che sentiva,
che sapeva, era che quella sera a New York, dopo che era uscito dalla
camera di Hermione per quella lunga chiacchierata, aveva dormito
serenamente per la prima volta dopo anni.
Arrivata a casa, Hermione
gettò il borsone e la borsa a terra, mentre la sua cagnolina la
guardava con un enorme punto interrogativo in testa. Della serie
“come mai già a casa?”
Hermione guardò la sua Lilly e poi andò in camera per riposarsi, ma prima dovette fare una cosa molto importante.
Prese il cellulare e compose il numero.
“Pronto?” – chiese una voce femminile.
A Hermione si strinse il cuore in una morsa d’acciaio.
“Daphne? Ciao sono Hermione. Come stai?”
Possibile che il nodo alla gola dovesse saltar fuori proprio in quei momenti?
“Hermione! Ciao! Io bene e tu?” – chiese Daphne, la maggiore delle sorelle di Hermione.
“Abbastanza bene, grazie. Voi? Tutto bene?”
“Oh, non ci lamentiamo… tu piuttosto, cos’hai?”
Hermione allontanò il
telefono dall’orecchio e guardò in alto, cercando di
impedire alle lacrime di scendere. Ma che aveva quella? La palla di
cristallo? Come faceva a capire sempre quando stava male?
“Niente, perché?”
“Non ci provare…” – disse Daphne, che conosceva la sua famiglia meglio delle proprie tasche. – “Dimmi cosa c’è.”
“Daphne… non posso venire per le ferie di Natale.”
“Perché?” – chiese lei, delusa. – “E’ forse successo qualcosa?”
“Purtroppo c’è molto lavoro e mi hanno revocato le ferie. Mi dispiace tanto…”
Daphne sospirò.
“Capisco… quando potremmo vederti, allora?”
“Non lo so… dammi il
tempo di smaltire il lavoro di questi due-tre mesi e appena posso mi
prendo le ferie che mi hanno negato. Poi ci vedremo.” –
stava piangendo. Non era riuscita a impedirselo.
“Ok… pazienza. Lo dirò io alla mamma e al papà, tranquilla.”
Hermione tirò un sospiro di sollievo.
“Grazie, Daphne. Ora scusa,
ma devo scappare. Mi sono fermata solo per chiamarti, ma sono in giro
per conto della ditta. Devo rientrare.”
“Allora vai e stammi bene.”
“Ciao Daphne. Salutami tutti.”
“Ok, un bacio. Ciao…”
“Ciao…”
E la conversazione, terminò.
Quanto odiava mentire in quel
modo. Non le piaceva, ma non se la sentiva di festeggiare il Natale in
quelle condizioni e rischiare di rovinarlo ai suoi cari. Non ne aveva
il diritto.
Gettò il telefono sul comodino e si stese sul letto, dove si addormentò.
Si era accovacciata in posizione
fetale e Lilly era riuscita a trovare un posto sul suo seno, dove si
sentiva meglio il cuore battere.
Sola, Hermione strinse a sé il cane e si addormentò.
Si svegliò verso le nove di sera, intontita.
Guardò la sveglia e
sbuffò e pian piano si alzò dal letto. Era tutta
incriccata, aveva dormito senza una coperta ed era quasi congelata. La
sua Lilly le andò dietro in cucina e iniziò a girare come
una pazza intorno alla stanza perché aveva uno spasmodico
bisogno di uscire. Ancora addormentata, Hermione le mise il guinzaglio,
rischiando di infilarglielo per il sedere e poi finalmente poterono
uscire.
L’aria pungente della notte
la svegliò dal suo torpore, ma la solitudine di quella
passeggiata la indusse a ripensare a quello che era successo.
Scosse la testa, cercando di
ricacciare le lacrime insolenti, ma era tutto inutile: un colpo basso
simile non le era mai arrivato in tutta la sua vita.
Rientrò in casa, trovando
un immediato sollievo a contatto con un ambiente caldo e tranquillo. Il
cane, liberato dal guinzaglio, zampettò nella sua cuccia accanto
al termosifone e si sistemò comoda.
Lei invece era ancora assonnata.
Andò in bagno e aprì l’acqua per farsi una bella
doccia calda e cercare di rilassarsi. Si spogliò lentamente.
Sembrava che soffrisse mentre si levava la maglia, a vederla, sembrava
avesse mille ferite sparse sul corpo che a contatto con il frusciare
della stoffa le procurassero un dolore indicibile.
Sotto il getto d’acqua,
Hermione non pensò a niente. Svuotò la mente di tutti i
pensieri di quella giornata e lasciò che l’acqua la
conducesse a ricordi felici. Ricordi della sua infanzia.
Ma ecco che il ricordo di Draco e
della sua pugnalata si fece prepotentemente spazio nella sua mente e la
fece ripiombare nell’amarezza più nera.
Chiuse con rabbia la manopola
dell’acqua e uscì dalla doccia, avvolta
dall’accappatoio. Di nuovo, ferma davanti allo specchio si
guardò, ma davanti a sé riappariva sempre
l’immagine di Draco che la accusava di tradimento.
Si asciugò in fretta e andò in camera a mettersi il pigiama e tornare a dormire.
Il giorno dopo avrebbe pensato a cosa fare.
Draco era a casa.
Aveva rifiutato categoricamente di vedere Pansy quella sera, perché non era in vena di fare niente.
Nemmeno sesso.
Più si diceva che aveva
fatto bene a licenziare un dipendente per manovre illecite ai suoi
danni, più riteneva che licenziare Hermione fosse stato il suo
sbaglio più grande.
Era diviso a metà e lo sfogo della ragazza era ancora impresso nella sua mente.
"Ma
sai cos’è che mi fa più ridere? Tu potrai
licenziarmi e cacciarmi a pedate nel culo fuori di qui, ma il problema
ti rimarrà ugualmente sul groppo e quando capirai chi è
il vero responsabile di tutto questo casino, sarà troppo
tardi.”
Quelle parole gli ronzavano in
testa come una sorta di profezia e ogni volta che se le ripeteva nella
mente, una sensazione di cattivo auspicio gli cresceva dentro.
Dunque era innocente?
Che qualcuno avesse voluto incastrarla? Ma perché? Chi?
Hermione aveva dato l’anima
per la sua azienda e solo in quel momento si rese conto della
veridicità delle sue parole: lui l’aveva spremuta come un
limone e poi gettata nell’immondizia e quello era stato il suo
ringraziamento per il lavoro – eccellente – svolto fino a
quel mattino.
Pansy aveva protestato, sbattuto i
piedi a terra come una mocciosa e Draco non aveva retto oltre.
L’aveva accompagnata a casa e poi aveva girato i tacchi, troppo
nervoso anche solo per cenare insieme.
E ora… era sdraiato sul suo letto a due piazze e non riusciva a dormire.
La cosa più saggia da fare
sarebbe stata quella di andare da lei e venire a capo di
quell’incresciosa situazione ma aveva come la sensazione che se
le avesse suonato al campanello, si sarebbe presentata alla porta con
un doberman affamato da mesi e una mitraglietta carica tutta per lui.
Sì, ci sarebbe andato ma dopo che il periodo natalizio sarebbe passato, ovvero a Gennaio.
Era il venticinque di Novembre, ma
per come venivano bombardati di ordini in quei giorni per i loro
arredamenti, sembrava Dicembre.
Ma, forse, non avrebbe dovuto aspettare tanto…
In azienda s’iniziò a
risentire della mancanza di Hermione già dal giorno successivo.
Non occorsero giorni o settimane, ma un solo, unico giorno, che tutto
era ripiombato nel caos totale: senza Hermione che teneva sempre il
fiato sul collo ai fornitori, che faceva i D.D.T., che scaricava la
merce, che lavorava con una minuzia tale da far svergognare perfino la
signorina Rottermeier, l’azienda stava lentamente tornando ai
vecchi tempi.
Draco aveva sempre sostenuto che un unico dipendente non fosse indispensabile per l’azienda.
Si era dovuto ricredere.
Ma c’era anche un altro problema.
Le azioni stavano scendendo giorno dopo giorno.
Draco non sapeva dirsi come mai,
ma la sua azienda stava inesorabilmente colando a picco. A nulla
valsero le riunioni straordinarie indette da un giorno all’altro,
ogni giorno, per cercare di capire cosa stesse succedendo e arginare la
situazione.
I clienti smisero di comprare, i
fornitori di fornire le materie prime e alcuni dipendenti, captata
un’aria preoccupante, iniziarono a dare le dimissioni; altri,
invece, vennero direttamente licenziati. Draco Malfoy partì
dagli uffici, sfoltendo i lavoratori e sobbarcando le spalle dei
rimanenti di maggior lavoro.
In quel momento ebbe una
sensazione di de-ja-vu. Aveva dato a ogni lavoratore rimasto un doppio,
se non a volte un triplo lavoro, come aveva fatto, a suo tempo, con
Hermione.
L’unica differenza stava nel
fatto che i lavoratori rimasti alla Malfoy Home si lamentavano per la
mole di lavoro assurda mentre Hermione, invece, aveva preso quel doppio
lavoro come una sfida con Malfoy e con se stessa e quando aveva
ingranato il meccanismo, l’aveva portato avanti quasi fosse stato
un gioco.
La situazione comunque non era
rosea, anzi… era un disastro assoluto! In un mese e mezzo, tra
licenziamenti e dimissioni, Draco si era ritrovato con il personale
decimato.
Nemmeno una peste bubbonica
avrebbe potuto tanto. Il Natale, Draco lo passò in azienda, a
cercare di lavorare per mantenere lo standard al quale molti clienti
erano abituati mentre Pansy era andata con la sua famiglia nel cottage
di montagna.
Narcissa e Lucius erano ogni giorno sempre più preoccupati: per il loro bambino e per l’azienda.
Forse potevano apparire dei
materialisti, preoccupati di perdere gli introiti ai quali erano
abituati ma non era così: la Malfoy Home era nata da
un’idea di famiglia, era cresciuta con una conduzione di stampo
familiare e così avrebbe dovuto essere fino alla sua fine.
Draco stava risentendo molto di
questa situazione, perché stava rovinando il sogno di suo padre
e di suo nonno prima di lui.
Dormiva poco e mangiava ancora
meno. La mente stava iniziando a dare i primi segni di cedimento, le
azioni continuavano a crollare giorno dopo giorno finché non fu
costretto a decretare la fine della sua azienda.
Fu il giorno peggiore di tutta la
sua vita e, come profetizzato da Hermione, nessuno era lì per
aiutarlo. L’unico aiuto che aveva rifiutato era stato quello che
suo padre aveva tentato di offrirgli ma era ancora stupido e immaturo
per rendersi conto che, certe volte, accettare aiuto dalle persone non
era un sinonimo di debolezza.
Ma di forza.
Parole dure vennero pronunciate e
suo padre, ferito per come si stavano mettendo le cose con la sua
azienda e per Draco, che non riusciva a venirne a capo, gli
voltò le spalle.
Ma a volte, voltare le spalle a qualcuno, non significa abbandonarlo.
A Lucius, quel gesto, costò
moltissima fatica, fatica per nulla alleggerita dai continui pianti di
sua moglie che, pur essendo d’accordo con il marito, non riusciva
a non darsi la colpa per non essere stata in grado di trovare una
soluzione alternativa all’abbandono.
Quel brutale distacco, sperava
Lucius, avrebbe dovuto insegnare nuovamente a Draco
quell’umiltà che i suoi continui successi in campo
accademico e lavorativo gli avevano sopito. Era stato troppo sicuro di
sé, suo figlio, e purtroppo era giunto il momento che capisse
quanto importante fosse mantenere sempre i piedi ben saldi a terra.
Ma comunque qualcosa si salvò, grazie all’intervento di Theodore Nott, uno dei soci.
Rilevò la società di
Draco, le cui azioni valevano meno della carta straccia, benché
il biondo fosse restio a farlo, ma tante persone, che dipendevano da
lui e da quella cessione, riebbero i propri posti di lavoro.
A Draco fu garantito un posto
fisso nel consiglio d’amministrazione, una carica che gli
permettesse comunque di gestire la propria azienda, anche se non ne era
più il diretto responsabile.
Suo padre, inutile dirlo, era furioso come mai lo aveva visto.
Ma fu uno sciocco.
Draco si era reso conto troppo
tardi di quello che era successo alla sua azienda, fin quando non
beccò Pansy e Theo scambiarsi gesti inequivocabili.
Chiese spiegazioni, beccandosi
solamente di rimando due risate di scherno e la spiegazione alle sue
domande. L’ex direttore della Malfoy Home aveva lasciato correre
troppe cose, come il pagamento in contanti alle modelle, che alla fine
erano risultate prostitute che si fingevano indossatrici. Le aveva
retribuite in contanti, lasciando così la prova tangibile che
lui pagava una prostituta. Il fatto che la concorrenza lo battesse
sempre nei prezzi, era perché Pansy
provvedeva a passare i listini e altre informazioni affinché
Draco prendesse decisioni sbagliate, come aveva infatti fatto.
Gli furono tolte tutte le
proprietà, le case, le ville, gli appartamenti e gli attici che
erano stati intestati all’azienda e si ritrovò solo.
Solo e senza un tetto sulla testa.
Come si dice…dalle stelle alle stalle.
Era passato Natale e Capodanno
senza che se ne accorgesse in un rudere in periferia a Londra che
l’Ente di Riscossione Crediti aveva in elenco, ma che non aveva
mai sequestrato poiché era talmente a pezzi che non ci avrebbero
ricavato nemmeno un rifugio per cani.
La raggiunse in taxi,
poiché aveva con sé qualche banconota, ma sapeva che ben
presto sarebbero finite anche quelle. Avrebbe avuto di che mangiare e
bere per un paio di giorni poi… il nulla.
Era martedì due Gennaio e alla fine della fiera era rimasto solo.
Avrebbe dovuto passare le feste
con Pansy in una località di montagna, ma ora era cambiato
tutto, la sua vita era cambiata.
Altra cosa che lo
preoccupò, sarebbe stato il freddo che quell’anno si
sarebbe prospettato più tagliente degli ultimi quindici anni.
Non ci volle pensare, per il momento. Ora doveva solo trovare un riparo e poi avrebbe pensato al da farsi.
“Buona
sera… apriamo il tg con la notizia che ormai da settimane sta
tenendo banco su ogni telegiornale regionale e nazionale. La Malfoy
Home, famoso mobilificio affermato in tutto il mondo, ha fallito a
causa della mala gestione del precedente titolare, Draco Malfoy, ora
caduto in disgrazia…”
Hermione era appena uscita dal bagno e aveva ascoltato per l’ennesima volta il resoconto della disgrazia di Draco.
Suo padre glielo aveva sempre proibito, ma niente poteva impedirle di gongolare dentro di sé.
La prima volta che il tg aveva
dato per certo il fallimento della Malfoy Home, aveva radunato tutti i
suoi vicini e aveva offerto loro una cena. Aveva brindato e bevuto per
il fallimento di Malfoy alla faccia sua.
“Ha avuto quel che si
meritava…” – disse Hermione, guardando la sua Lilly
che giocava con un pupazzo che le aveva regalato per Natale.
Lilly, sentendo la sua padrona
parlare si girò, ma poiché non era a lei che si stava
rivolgendo direttamente, tornò a coccolare il suo pupazzo.
La ragazza aveva passato un Natale in solitudine.
La botta che Draco le aveva dato
si era un po’ alleggerita ma di tanto in tanto ci pensava ancora.
Aveva visto un progetto lavorativo molto importante sfumarle davanti
agli occhi e ora come ora non se la sentiva di trovare un altro impiego
e ricominciare tutto daccapo. I lavori che Draco le aveva affidato
erano stati molto pesanti dal punto di vista mentale e fisico,
così si disse che con l’anno nuovo avrebbe iniziato a
cercare un nuovo impiego ma per ora si sarebbe goduta le ferie.
I giorni trascorrevano tranquilli
avvolti dalla solita routine fin quando questa si spezzò il
pomeriggio del sette di Gennaio.
Di nuovo, il telegiornale aprì quell’edizione con la notizia del crollo della Malfoy Home.
Hermione alzò il volume.
I telegiornali le piacevano
perché di una notizia davano dieci versioni diverse. Un giorno
aveva ascoltato l’ennesima storia sull’abbandono di animali
in autostrada. Il primo tg aveva parlato di abbandono, il secondo di
maltrattamenti, il terzo di sevizie, il quarto di sesso con animali e
il quinto… non lo ricordava neanche più. Così si
era divertita ad ascoltare le mille versioni sul crollo della ditta di
Draco: erano così pittoresche, che avrebbe potuto scrivere un
libro di fiabe per bambini!
Ma quel giorno c’era qualcosa di diverso.
Forse era stata la voce della
cronista, forse le immagini del servizio o forse che Hermione aveva un
po’ sbollito la rabbia che l’aveva portata ad augurare
tutto il male possibile a Draco, a Pansy e a quell’azienda del
cazzo!, si era ritrovata a provare una sorta di… pena per
ciò che stava succedendo.
Per quanto arrabbiata potesse
essere, Hermione non aveva mai dimenticato quella chiacchierata fatta
nella sua stanza d’albergo a New York, dove Draco le aveva
confessato i trucchi di un imprenditore per evitare che lo stato gli
sequestrasse le proprietà private e qualcos’altro di
più personale.
“Tutte
le mie abitazioni sono intestate alla ditta. È una precauzione
nel caso in cui dovessero trovare illegalità nella mia vita.
Almeno avrò sempre un tetto sulla testa…”
Hermione si ritrovò a fissare lo schermo della tv e a pensare intensamente.
I telecronisti, supportati da
fotografi e investigatori privati abili nei loro campi, erano venuti a
sapere che Draco non aveva più contatti con i suoi genitori e
che era rimasto senza niente.
Così Hermione desunse che, ora, fosse da solo da qualche parte a Londra.
Fece le spallucce ma non riuscì più a fregarsene come riuscì a fare all’inizio.
“Adesso mi spieghi perché mi devo sentire una merda io?” – chiese retoricamente alla sua Lilly che si stava srotolando sul divano.
Si fermò e la guardò, per poi riprendere nell’indifferenza più totale.
“Grazie eh?”
Niente: il cane era più interessato a crogiolarsi sul divano che a darle retta.
“Ma guarda te…” – borbottò.
Figurati se è da solo,
pensò Hermione. E poi non vedo perché lo devo aiutare io
quando non si è fatto mezzo problema a sbattermi fuori
accusandomi di tradimento. A me!, pensò Hermine indispettita.
In quel momento il cellulare
suonò e la fece sobbalzare. Come suoneria aveva impostato il
miagolio di un gatto e ogni volta che suonava, la sua Lilly iniziava a
correre come una cretina in giro per casa alla ricerca
dell’invasore. Poi, stanca, si buttava in cuccia mentre Hermione
se la rideva di grosso.
“Pronto?”
“Hermione!”
La riccia guardò il cellulare, stranita.
“Laney?”
“Sì, sono io! Hermione che sta succedendo?”
“Adesso me lo chiedi?
Sarà un mese e mezzo che c’è fuori la
notizia.” – disse, perplessa da quel tempismo.
“Scusa! Ero in ferie in montagna e non avevo la televisione. Hermione che succede?”
“Succede che Draco ha avuto quello che si meritava.”
Stavolta fu Laney a guardare perplessa il cellulare.
Quello che si meritava? Ma che diavolo era successo?
“Che vuoi dire?”
Così Hermione fece il
riassunto del riassunto di quella che Hermione stessa riteneva essere
una soap opera da quattro soldi. Laney ascoltò il tutto con gli
occhi a palla.
“… e questo è quanto.” – concluse Hermione, dopo dieci minuti.
“Mi sembra tutto così assurdo…” – esalò l’altra.
“Oh fidati: adesso per tutti io sono un Giuda, mentre Draco ha perso tutto. Direi che siamo pari.”
“Sei proprio arrabbiata…” – constatò l’americana.
“Incazzata renderebbe meglio l’idea.” – disse Hermione, atona.
“Posso fare qualcosa?”
“Non lo so…”
– disse assorta. – “… per caso John sta
assumendo in questo periodo?”
Laney rise piano.
“Spiacente, siamo al completo.”
“E te pareva… vabbè, allora non puoi fare niente.”
“Hermione, ma tu stai bene? Vuoi che venga lì?”
“A fare che?” –
chiese Hermione, stranita per la richiesta ma grata
dell’interessamento. – “No, non preoccuparti. Io sto
bene. Mi sto riposando e poi inizierò a cercare un nuovo
lavoro.”
“Hermione… per qualsiasi cosa chiamami, ok?”
“Sì, non preoccuparti. Grazie per aver chiamato Laney.”
“Figurati. A presto.”
“Sì, ciao.”
Quando riagganciò, Hermione
si portò il cellulare alle labbra e sorrise. Poi però
tornò alla realtà, una realtà che prevedeva Draco
Malfoy sperduto chissà dove.
Un altro ricordo le arrivò
alla mente proprio in quel momento, come se avesse voluto aiutarla a
prendere la decisione giusta.
“L’unica
casa, se così si può chiamare, in mio possesso è
un vecchio rudere nella periferia di Londra, ma è tutto
trasandato e sta per cadere a pezzi. Ho sempre rimandato la sua
sistemazione e non so perché.”
Rimase impalata a guardare il suo
cane, come se potesse darle la soluzione, invece Lilly la guardava come
per chiederle “perché mi guardi così?”.
Hermione rise di fronte alla buffa espressione. Era indecisa sul da
farsi, davvero non sapeva proprio cosa fare: aiutare Draco o lasciarlo
da solo, affinché riflettesse su ciò che aveva fatto?
Furono le feste di Natale più lunghe e solitarie che Hermione e Draco avessero mai festeggiato.
Festeggiato, poi… che parolona.
Una sera, Hermione si era
preparata un pasto degno di un ristorante e l’aveva condiviso con
la sua cagnolina poiché in quel periodo dell’anno
bisognava essere buoni. Però molte volte se lo chiedeva:
perché solo a Natale o sotto le feste bisognava rispolverare i
buoni sentimenti, fare la carità, aiutare il prossimo…
mentre gli altri giorni dell’anno si ritorna ad essere cinici e
freddi? Non aveva mai capito questa situazione. Lei cercava di essere
buona sempre, in ogni giorno dell’anno.
Lasciò da parte questi
filosofici pensieri e si concentrò sul suo arrosto…
chissà che stava mangiando in questo momento Draco…
Alzò gli occhi esasperata. Erano quelli i momenti in cui odiava la sua coscienza.
Seccata lei stessa per quello che
stava per fare, Hermione si alzò da tavola e la
sparecchiò, prese la sua borsetta e le chiavi dell’auto e
andò a prendere quell’emerito faccia di culo.
Calli-corner:
Allora, partiamo con ordine.
Ho voluto dare questo titolo al capitolo per tre motivi:
1-- Il primo tradimento al quale
faccio riferimento è quello presunto di Hermione. Secondo Draco
è lei la colpevole e non vuole sentire ragioni.
2-- Il secondo è quello è quello di Pansy.
Alla fine, è stata lei a
fare tutte quelle cose in collaborazione con Nott, che non vedeva
l’ora di fregare la compagnia a Draco per avere l’occasione
di entrare nel mondo dei manager di successo.
3-- Il terzo, il peggiore, ovvero
quello di Draco. Dentro di sé, l’uomo sa che la ragazza
è innocente, che in quei mesi di lavori forzati lei non si
è mai lamentata, che ha sempre svolto con onestà il
lavoro ma davanti a sé ha i tecnici e Pansy, che si aspettano che lui licenzi la ragazza perché le prove erano sul suo computer.
Di ritorno da New York, le cose
sembrano andare bene tra i due, ma è bastata una foglia morta a
scatenare tutto questo pandemonio.
Draco alla fine rimane solo, come predetto da Hermione.
La ragazza non è una
veggente, è solo una che ragiona con la testa. Draco stesso
aveva ammesso che nel mondo degli affari, dove girano tanti soldi,
è difficile trovare persone sincere come Hermione e Hermione ha
ricordato queste parole, aggiungendo la postilla che, essendo il mondo
di Draco un mondo marcio, al primo cenno di cedimento non avrebbe
trovato nessuno ad aiutarlo.
E così è accaduto.
Le amicizie, a certi livelli, non
esistono: esistono solo i rapporti finalizzati a incrementare il potere
e Draco se ne è accorto nel modo peggiore possibile.
Hermione si è sfogata.
Devo dire che quando ho scritto
tutto quel veleno – con parolacce e volgarità affini
– ero parecchio incazzata. Non mi ricordo più
perché, ma ricordo bene che schiacciavo i tasti della tastiera
con una ferocia tale che non si sarei stupita se me ne fosse saltato
uno.
Anche se da sola ad affrontare
tutta quell’ingiustizia, Hermione sa di aver parlato a nome
dell’intera Malfoy Home quando ha insultato così
pesantemente Pansy, la cui mosca che gira su un cumulo di merda, pensa
solo al proprio matrimonio e non allo stato di Draco.
Draco.
Draco che si è reso conto,
praticamente fin da subito, di aver commesso un grave errore ad
incolpare Hermione così, su due piedi ma se tenta di risolvere
subito la faccenda presentandosi da lei, sa che potrebbe trovare un
arsenale nucleare ad attenderlo.
Aspetterà l’anno nuovo, anche se è troppo tardi.
Già sotto Natale si ritrova
senza niente e costretto a vivere in una baracca che ormai è al
limite della stabilità.
Lucius è molto arrabbiato, con Draco e con quel Nott.
Con Draco, perché
più di una volta lo aveva pregato di non mischiare il privato
con il lavoro ma il ragazzo, troppo sicuro di sé, ha voluto fare
il passo più lungo della gamba, trovandosi con la cacchina nelle
sue preziose mutande firmate Gucci.
I giornali danno ogni giorno la notizia del fallimento della Malfoy Home.
Hermione ha brindato al suo
fallimento, ma quando ha smaltito un po’ la botta, ha iniziato a
sentirsi in colpa, tentando di immaginarsi Draco rannicchiato in un
angolo a battere i denti per il freddo.
Così ha preso le sue cose ed è andata a prendere quell’emerito faccia di culo.
Chissà ora che succederà a quei due.
Che sia la volta buona che si parlino faccia a faccia e mettano delle regole?
Boh, lo scopriremo solo leggendo.
Detto ciò, vi lascio al solito spoileruccio, che tanto so che vi piace tanto. ^_^
“Sì,
ho capito. Davvero?” – si chinò per levare il
guinzaglio al cane che andò a bere e a salutare Draco. –
“Sei una maiala, Ria.”
Draco sbarrò gli occhi.
Hermione si scusò per la terminologia.
“Dato
che ci sei, perché non vi registrate? Poi magari vi riguardate
anche.” – disse, pesantemente sarcastica. –
“Ria? Ria? Ria!, dicevo così per dire! Sì,
vabbè ho capito… ah senti… volevo sapere se per
caso lì stavate cercando mano d’opera.”
Uhmmmm… e chi sarà la “maiala” della conversazione?
Sono aperte le scommesse!
Un bacione,
callistas
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Capitolo 11 *** Rimettersi in piedi... ***
11 - Rimettersi in piedi...
Eccoci qui.
Lo devo ammettere: è stata dura leggere alcune delle vostre recensioni.
Più che apprezzate, ci tengo a precisare.
A dire il vero, nel mio
immaginario ho sempre visto questo capitolo come la colonna portante
della storia, quello che mi sarebbe valso – non dico standing
ovation da stadio – almeno un grande incoraggiamento e lodi a
volontà da parte di tutti.
Un po’ come quando fai un
tema a scuola: sei convinto di aver fatto tutto giusto, di aver scritto
in un italiano più che perfetto tanto da far svergognare il caro
Dante, sei talmente orgoglioso di ciò che ti è uscito,
che quando te lo restituiscono così pieno di correzioni rosse,
ti chiedi dove sia finito l’inchiostro blu.
E cosa sia andato storto.
Leggendo le vostre recensioni,
però, mi sono accorta che per certi versi avevate ragione voi:
forse un po’ per mia eccessiva premura di dare
un’accelerata alla storia, forse per eccessiva sicurezza o forse
chissà Dio per cosa, ho fatto le cose un po’ troppo
“alla Carlona”.
Ma nonostante tutto, ho avuto le mie buone ragioni, che qui di seguito vi spiegherò.
1_ Effetto non riuscito. ç_ç
Viste le vostre recensioni, è ovvio che ciò che avevo in mente non è riuscito.
L’effetto che avevo in mente
era molto in stile “film”, nel senso che mi sono ispirata a
quei film, dove i personaggi proseguono con la loro vita sotto uno
sfondo musicale. Non ci sono dialoghi, solo descrizioni visive di come
va la loro vita. A volte in cinque minuti ti fanno vedere un arco di
tre mesi come, per esempio, nel film “Wedding Planner: prima o
poi mi sposo”, con Jennifer Lopez e Matthew Mcconaughey. Per chi
l’ha visto, ricorderà la scena dove Steve Edison (Matthew
Mcconaughey), Massimo (Justin Chambers) e Fran Donolly (Bridgette
Wilson-Sampras, futura moglie di Steve Edison nel film) si alternano
mentre si fanno prendere le misure dai sarti per i vestiti nuziali,
fino ad arrivare al giorno prima delle nozze.
L’effetto che doveva uscire
era una cosa simile, ma evidentemente o non sono ancora brava con le
parole oppure è una cosa prettamente cinematografica che, a
parole, non si può descrivere.
2_ Il fallimento aziendale.
A questo proposito, vorrei spendere due parole su quanto un tracollo aziendale possa verificarsi in così poco tempo.
Forse si sarà capito, o
forse anche no – dopotutto, non che sia stata mai chiara
più di tanto a questo proposito –, che nelle storie che
posto, c’è un po’ di me.
Un bel po’ di me.
In questa storia, per esempio, c’è La Lilly,
alla quale ho dedicato questa storia: era la mia cagnolina che in
questa storia ha unicamente lo scopo di sdrammatizzare di tanto in
tanto l’atmosfera, come solo un amico a quattro zampe sa fare con
le sue espressioni buffe; poi c’è la preparazione di
Hermione in campo di Sicurezza sul Lavoro, campo nel quale mi ci hanno
messa per forza (>.<), c’è
l’adattabilità di Hermione a qualsiasi tipo di lavoro,
come una specie di jolly, carica che ho ricoperto pure io e
c’è pure un fatto di coscienza a fine capitolo, dove
Hermione va ad aiutare Draco nonostante il suo gesto, atteggiamento che
tengo pure io anche con chi non se lo merita.
E, dulcis in fundo, c’è il crollo aziendale, che mi è toccato pure quello.
Posso affermare oltre il
ragionevole dubbio – fa molto avvocato ‘sta frase ^.^
– che all’apparenza un’azienda può sembrare
solida e indistruttibile, ma se nei piani alti lavorano persone che
prendono decisioni aziendali che vanno bene, non per il futuro dell’azienda, ma per il comodo del momento, la caduta è assicurata.
Ho lavorato per un’azienda
che era stata aperta a fine ottocento – era a conduzione
familiare quindi immaginatevi la storicità di questa ditta
– e che è andata male perché il titolare è
andato a fidarsi delle persone sbagliate.
Com’è successo a Draco.
Questa persona, che poi è
stata licenziata – magra consolazione, perché ormai si
navigava in brutte acque già da un po’ – era molto
brillante e intelligente, ma invece di prendere decisioni che potessero
andare bene anche per il futuro, si è limitato a pensare solo
per il giorno dopo. Queste continue decisioni sbagliate hanno
continuato ad accumularsi fino a che è stato troppo tardi.
E naturalmente i dipendenti sono
venuti a sapere degli intrallazzi dei piani alti solo quando era troppo
tardi e si è dovuti ricorrere ai sindacati.
Perciò fidatevi, se vi dico che un’azienda può crollare in così poco tempo.
A tal proposito, ci sono tre fattori da tenere presente: Hermione, Pansy e Theo.
Con Hermione fuori dai piedi,
Pansy è libera di fare i suoi porci comodi. Ho sviato
l’attenzione, facendovi credere che non vedesse l’ora di
sposare Draco, quando in realtà è andata a fidarsi delle
parole di Theo che qui non posso riportarvi, perché verranno
spiegate al momento opportuno.
Come avete potuto notare, Pansy
è un’arrivista che non guarda in faccia nessuno e se ha
messo su tutta questa finzione del matrimonio, è stato
unicamente per Theo.
Theo.
Anche lui avrà un piccolo
momento tutto suo, dove verrà spiegato perché ha rilevato
la Malfoy Home, perciò mi dispiace: ma dovrete aspettare ancora
un po’. :’(
3_ La mancanza di Hermione che si sente fin da subito.
All’interno di una struttura, una persona non è indispensabile, ma con il proprio lavoro aiuta a mandare avanti la baracca.
Ora, se parliamo di persone che
entrano al lavoro alle 08:29:59 ed escono alle 18:00:01, e fanno il
minimo sindacale, è ovvio immaginare il risultato finale; ma se
invece vogliamo parlare di persone come Hermione – o come
qualsiasi di noi che prende a cuore il proprio lavoro fino a farne
quasi una questione di stato – che pur di risolvere un problema
non si fanno scrupoli a passare sul cadavere di qualcuno –
metaforicamente parlando, eh? –, la cosa ci sta pienamente.
Con il suo carattere determinato,
impedisce ai trasportatori di prendersela con comodo, perché se
un trasportatore ritarda, allora ritarda tutto quanto, se ritarda tutto
quanto il capo s’incazza con i dipendenti e i dipendenti non
possono sfogarsi su nessuno. E’ una cosa legata all’altra.
Ho già spiegato che
Hermione, nell’azienda di famiglia che si occupa di trasporti, ha
già avuto a che fare con ritardatari simili e ha imparato a
trattare con loro.
La Malfoy Home ha dovuto
licenziare personale e quello rimasto si è dovuto sobbarcare due
o tre lavori per mandare avanti l’azienda e la maggior parte
delle persone, quando si vedono recapitare sulla scrivania un lavoro
che non gli compete, o cerca di scaricarlo sul vicino o se proprio deve
farlo lo fa, ma senza metterci troppa cura.
A me è successo che mi sono
licenziata da questa azienda per due motivi: essendo l’ultima
ruota del carro, si permettevano di trattarmi come uno zerbino e
perché ho avuto un problema di salute che ha coinvolto la mia
mamma. Era necessario dare una mano in casa e ho colto la palla al
balzo, andandomene.
Erano passati solo tre giorni, che
il mio vecchio responsabile ha iniziato a chiamarmi – quello che
prendeva le decisioni sbagliate –, chiedendomi se ero sicura
delle mie dimissioni, che avevo del potenziale e tutte cazzate simili
solo perché, quando è stato troppo tardi, si sono resi
conto del mio potenziale, del mio eseguire i lavori senza tanto
lamentarmi, della mia umiltà.
Mandarlo a cagare è stata l’Ottava Meraviglia del Mondo.
Perciò, forse è vero
che un dipendente non è indispensabile all’azienda, ma se
questo lavoratore dimostra di essere una persona affidabile e che
grazie alla sua presenza il lavoro scorre notevolmente meglio, credo
sia doveroso tenerlo un po’ più in considerazione.
4_ I genitori di Draco.
E’ sempre l’eterno discorso.
*me sospira*
Si cerca naturalmente di aiutare
un figlio in tutti i modi che si può, ma arriva in un momento
nella vita in cui il figlio deve imparare a camminare sulle proprie
gambe e capire che non sempre nella vita è tutto rose e fiori.
Scegliendo di non aiutare Draco, Lucius non voleva abbandonarlo definitivamente, ma re-insegnargli
quell’umiltà che aveva perso durante il suo percorso. Non
credete che sia stato facile perché per un genitore, assistere
alla disfatta di un figlio e doversene stare in disparte, sperando che
questo lo aiuti a crescere, è quanto di più difficile ci
sia al mondo.
Ma a volte è necessario.
Avere la presunzione di pensare
che tutto andrà sempre bene è sbagliato e poi quando ti
arriva la badilata in faccia, fa tre volte più male.
Ad aiutare Lucius a prendere la
decisione di “abbandonare” il figlio, ci sono state anche
quelle famose “parole grosse” che sono volate tra i due,
che per via dell’effetto “film” che volevo
trasparisse, non ho inserito. Nonostante Lucius ami Draco, è
stato ingiusto da parte del figlio prendersela con il padre quando
questi non aveva fatto altro che ripetergli quanto sbagliato fosse
mischiare il privato con il lavoro e Draco, come un figlio qualsiasi,
ha fatto l’esatto opposto di quello che gli era stato detto e ora
ne paga lo scotto.
5_ Le prove contro Hermione.
È più facile credere
alla donna che si è scelto di sposare e a un gruppo di tecnici
qualificati o all’ultima arrivata?
Sì. Indagando più a
fondo Draco avrebbe potuto verificare facilmente perché Hermione
avesse sul proprio computer quei dati, ma non lo ha fatto
perché, innanzitutto, il suo nome era proprio l’ultimo che
si aspettava di sentire e perché i tecnici e Pansy si aspettavano che lui la licenziasse.
È tutto un discorso di
aspettative che ritroveremo più avanti, grazie a un discorso che
Hermione farà a Draco.
Il biondo si sarebbe aspettato un
qualsiasi nome, perfino quello dell’addetto alle pulizie, ma non
quello della riccia. Lo shock gli ha fatto perdere la ragione con i ben
noti risultati, salvo poi accorgersi da solo qualche ora più
tardi, che Hermione era innocente e che qualcuno aveva voluto
incastrarla.
Più tardi, si scopre che dietro a tutto c’erano Pansy e Theo.
Mi pare di aver detto tutto.
Ora potrete pensare “secondo
me, questa si è inventata tutte quelle esperienze personali per
giustificare il capitolo” e ne avreste anche tutto il diritto.
Non ci siamo mai viste in faccia – o forse sì, ma non
conoscevamo i nostri alias ^_^ – ma a volte sono più
sincera su questo sito, che non nella realtà.
Come disse Oscar Wilde: “Dategli una maschera e vi dirà la verità”.
Forse, grazie all’anonimato
che ti consente questo sito, salvo svelare il nome a piacimento,
è più facile confidarsi, aprirsi e rivelare qualcosa in
più di sé.
Mi sento come Draco.
Ho peccato di presunzione e sento
che qualcosa in me è cambiato. Oddio… non che
smetterò di scrivere e mi trasferirò sette anni in Tibet
– con Brad Pitt – e mi darò alla filosofia, ma
farò tre volte più attenzione a quello che scrivo, come
lo scrivo e come e quali argomenti sceglierò di sviluppare.
Dopotutto, smettere di scrivere
perché ci si è offesi per quello che, alla fine, si
rivela essere un aiuto esterno, sarebbe proprio da poppanti.
Perciò tranquilli:
tornerò – come vi ho già detto, ho pronta
un’altra storia che deve essere solo sistemata – con la
speranza di farvi sognare ancora.
Siete state terapeutiche, perché di tanto in tanto è giusto tornare con i piedi per terra.
Fortunatamente non volavo troppo alto e sono riuscita ad attutire la caduta. ^_^
Non posso dirvi quanto abbia
apprezzato le vostre critiche, perché avete prestato attenzione
alla storia e avete notato ciò che io invece avevo tralasciato,
nell’arrogante presunzione che quello che scrivo andasse sempre
bene in qualsiasi caso.
Perciò, se ancora non lo avete capito… grazie.
Davvero.
Ora vi lascio al capitolo, con il terrore di aver fatto le cose frettolosamente anche qui.
*se la sta facendo addosso*
Buona lettura,
callistas
Draco giurò di non essere mai stato così umiliato in tutta la sua vita.
Ridotto a vivere come un barbone
di quelli che lui non osava nemmeno guardare per la strada per paura
che gli potessero trasmettere una qualche rara malattia solo con lo
sguardo.
E ora era come loro…
Tossì violentemente.
Erano ormai giorni che stava in
quella baracca sempre nella stessa posizione: seduto in un angolo con
le gambe raccolte al petto per scaldarsi. Vero era che lui aveva sempre
sopportato il freddo molto bene, ma quella stamberga era proprio
ridotta male. Il giorno precedente, per poco, non rischiò di
rimanerci secco: buona parte del tetto era crollata per il legno marcio
e ora nevicava tranquillamente dentro. L’umidità aveva
raggiunto livelli esponenziali e Draco faticava a tenere gli occhi
aperti, tremava e aveva la febbre altissima. Aveva addosso solo una
camicia ormai sgualcita e dei pantaloni strappati.
Con fatica, sapendo bene di non
dover cedere al sonno, si alzò in piedi e fece qualche passetto,
ma doveva sempre tenersi saldamente ad una parete per evitare di
crollare a causa delle vertigini.
Guarda come mi sono ridotto… sono il disonore della famiglia…, pensò.
In quei giorni di isolamento,
l’unico pensiero fisso di Draco era stato Hermione, Hermione e
quello che le aveva fatto. Aveva anche pensato di andare da lei e
chiederle aiuto, ma aveva scartato l’ipotesi a priori:
sicuramente era ancora arrabbiata con lui per il licenziamento.
Appena dopo che era successo quel
casino, Draco si era diretto da alcuni amici, con i quali soleva fare
bisboccia al Country Club, ma trovò solamente una porta chiusa e
la consapevolezza di non aver mai avuto nessuno su cui fare affidamento
per davvero.
Che stupido… era così evidente…, pensò sarcasticamente di sé stesso.
Alla fine, Hermione aveva avuto
ragione su tutta la linea, neanche avesse avuto la palla di cristallo e
gli avesse fatto la lettura di quello che sarebbe stato il suo futuro.
Lei non era la colpevole mentre chi aveva ordito alle sue spalle, ora se ne stava sdraiata su un letto con Nott tra le gambe.
Alzò gli occhi per un
momento, gli era parso di sentire un rumore. Evidentemente la febbre
era più alta del previsto se iniziava ad avere addirittura le
allucinazioni.
Passarono alcuni istanti che
parvero anni e gli sembrò di risentire quel rumore. Alzò
gli occhi e quella volta fu sicuro di avere le allucinazioni.
“He-Hermione?” – oh, non osava sperare in tanto.
La ragazza era appena arrivata e
quando vide Draco in quelle condizioni, le prese un colpo al cuore. Ora
che poteva toccare con mano e vedere con i suoi occhi tutti gli
accidenti che gli aveva inviato – e che erano andati a segno
–, si sentì male e in colpa.
Non voleva davvero augurargli il male ma si sa… la rabbia fa sempre straparlare.
E così, come ogni volta che
vedeva una persona in difficoltà, anche se questa stessa persona
invece si era messa in prima linea per nuocerle, Hermione mise da parte
i suoi rancori e l’aiutò.
“Già…” – disse, avanzando tra le macerie.
Si guardò intorno, cercando
di nascondere la paura che qualche mattone le cadesse in testa con
dell’ironia. – “Certo che ti sei scelto proprio un
bel posticino, eh?” – disse lei.
Ok che aveva deciso di aiutarlo, ma niente le avrebbe vietato di togliersi qualche sassolino dalla scarpa.
“N-non… non avvicinarti… è pericolante…”
“Ma dai?” –
chiese piantando i suoi occhi in quelli di lui. –
“Dì un po’… intendi rimanere qui a
vita?”
Draco la guardò. Era
malconcio, ma non era partito del tutto. Sapeva cosa stava facendo:
voleva che fosse lui a chiederle aiuto, nonostante fosse andata lei a
cercarlo.
E lui voleva chiederglielo, ma non
ne aveva il coraggio. Non dopo che l’aveva maltrattata davanti a
tutti e che pubblicamente l’aveva umiliata.
“F-forse…”
Hermione alzò gli occhi. Uomini…
“S-sto bene qui…”
“Ah, davvero? Allora perché non mi hai invitata a passare il Natale qui con te?” – chiese lei.
“S-smettila…”
CR-CRACK!!!
Hermione alzò di scatto la
testa e sbiancò quando si vide arrivare addosso un traliccio che
aveva l’aria di essere molto pesante e molto pericoloso.
“Hermione!”
Si sentì gettare a terra.
Con uno stacco degno del miglior
velocista, Draco scattò verso Hermione e si gettò su di
lei, per proteggerla dalla trave che le stava per caderle sulla testa.
Si ritrovarono entrambi sdraiati su un altro cumulo di macerie, con Draco sopra di lei.
“Ahia…” –
borbottò Hermione. – “Draco levati…
pesi…” – bofonchiò la ragazza con un sasso
infilato in un posto che avrebbe dovuto rimanere vergine a vita.
Ma Draco non rispondeva. Forse quello scatto gli aveva levato le ultime energie.
“Draco? Draco!”
Che cavolo!, non voleva che morisse!
“Draco rispondi!”
Aveva paura che gli morisse tra le braccia.
“Stai bene?” – le chiese.
Hermione alzò gli occhi e tirò un sospiro di sollievo.
“Sì, io sì. Avanti, poche storie. Vieni con me.”
“Va-vattene…” – disse lui.
Altamente seccata e ancora spaventata per il rischio che aveva appena corso, Hermione si rimise in piedi e lo strattonò.
“Adesso ascoltami bene,
signor Malfoy… non ti permetterò di rimanere qui e
rischiare la vita, quindi se non vuoi diventare cliente Amplifon, ti
conviene seguirmi senza tante storie!”
Draco la guardò e lei si
rese conto dai suoi occhi lucidi che non stava per niente bene. Gli
toccò la fronte che per quanto calda era ci si poteva scaldare
sopra una fiorentina da tre chili.
“Dio santo… hai anche
la febbre. Andiamo…” – ma Hermione notò una
certa resistenza. – “Ma smettila di fare il bambino!
Andiamo, ho detto!”
In quel momento, anche se Draco
era un uomo fatto e finito e ben piantato, Hermione era decisamente
più forte di lui, motivo per il quale se lo addossò e lo
aiutò ad uscire e a salire in macchina.
In macchina Draco pensava di aver
raggiunto il paradiso: l’aria calda era tutta direzionata a lui,
mezzo sdraiato sul sedile del passeggero. Hermione guidava
tranquillamente, ascoltando della musica pop che proveniva dalla sua
stazione radio preferita.
Una volta arrivata al garage, scese dall’auto, aprì il portone e infilò dentro la macchina.
“Ti serve una mano?” – lo vide negare con la testa e lo lasciò fare.
Già era un enorme passo da giganti averlo schiodato da quella catapecchia.
Salirono le scale e si ritrovarono
davanti ad una porta. Hermione l’aprì e subito le venne
incontro la sua Lilly che, percepito l’odore di un estraneo,
iniziò a ringhiare.
“Lilly buona…” – disse Hermione, mettendosi sulle spalle un braccio di Draco.
Era piuttosto malconcio. Lo fece
sdraiare sul divano e si tolse il cappotto. Prese un paio di coperte,
le più pesanti che aveva. Lo coprì e prese la sua
farmacia ambulante per guarirlo.
Quando si avvicinò a lui
per dargli la tachipirina, lo scoprì addormentato e si disse di
avere delle grosse tare mentali se vederlo in quelle condizioni le
ispirava una tenerezza infinita.
“Draco?”
Immaginare che
anche lei, con tutti i suoi accidenti, fosse stata in parte colpevole
per averlo ridotto in quello stato, la riportò a più miti
pensieri.
“Mmm…” – bofonchiò lui, svegliandosi da quel dolce torpore. – “C-cosa?”
“Prendi questa e poi torna a dormire.” – disse Hermione.
Senza tanti problemi e senza farsi
alcuna domanda, Draco prese il bicchiere e lo trangugiò per poi
rimettersi sotto le coperte.
“Ora dormi un po’…”
Hermione era più sollevata
adesso. E anche la sua coscienza si era zittita da quando aveva preso
la decisione di aiutarlo.
Lilly la seguiva dappertutto con
la tacita domanda su chi fosse quel tizio che puzzava di cane e che
stava invadendo il suo territorio. Per farla calmare, Hermione le mise
in piatto un po’ di arrosto tagliuzzato e per un momento il cane
sembrò dimenticarsi dell’ospite.
Dopo aver sistemato tutto quanto,
Hermione andò in camera da letto, tirandosi dietro il cane che,
conoscendolo, avrebbe iniziato a martellare l’animo di Draco per
svegliarlo e farsi fare le coccole.
Che avrebbe dovuto fare, adesso?
Se l’era portato in casa senza tanti problemi e ora doveva anche
tenerselo, altrimenti che senso avrebbe avuto tirarlo fuori da quel
rudere per poi sbatterlo fuori non appena guarito?
Ecco che la sua mente cominciava a ragionare: prima aveva ascoltato l’istinto e aveva messo a tacere la sua coscienza ma poi la parte razionale era saltata fuori, portando alla sua attenzione mille aspetti che non aveva preso in considerazione.
1) Era senza lavoro;
2) Doveva mantenere due persone;
3) Il letto nella camera degli ospiti era stato gettato perché inutile;
4) Dove diamine avrebbe dormito quello spilungone, allora?
A quello, pensò, ci avrebbe pensato una volta che Draco si fosse svegliato.
Si sdraiò sul letto e si addormentò con accanto la cagnetta.
Che giornata strana…
Draco si svegliò a notte
fonda e, sinceramente, non aveva la più pallida idea di che ore
potessero essere. Ebbe in un primo momento una sensazione di black-out
della memoria. L’unica cosa che sapeva era che lì stava
bene. Non capiva, dove si trovasse, ma pian piano i ricordi gli
riaffiorarono.
Il fallimento…
Il tradimento…
L’aiuto di Hermione…
Sgranò gli occhi per
quell’ultimo punto. Lo aveva aiutato portandolo a casa sua,
dandogli un tetto e un divano sul quale riposare.
Non riuscì a chiudere occhio fino al mattino successivo.
Rimase in ascolto del silenzio che
aleggiava in quella casa, impregnata di mille odori. Quello più
recente doveva essere arrosto di maiale… e improvvisamente un
brontolio proveniente dal suo stomaco ruppe la pace di quella casa. Si
mise in ascolto, sperando di non aver svegliato la proprietaria.
Attraverso uno spiraglio della
finestra, Draco intravide l’alba. Pian piano la luce diventava
sempre più chiara fino a che non sentì dei rumori
provenire dal reparto notte.
La porta si aprì e una
Hermione completamente spettinata e assonnata fece la sua apparizione,
incurante della presenza di Draco.
L’uomo la guardò decisamente spaesato.
Quale donna sana di mente si
sarebbe presentata davanti a un uomo con un pigiama anti-stupro,
calzettoni spessi quanto tre dita, senza un filo di trucco e i capelli
in disordine?
In più la ragazza aveva il
segno del cuscino che partiva dalla fronte destra e arrivava fino al
mento. Ciò gli provocò una piccola risatina che
attirò l’attenzione della padrona di casa.
“Oh, buongiorno…” – disse lei, sbadigliando sonoramente. – “Come va oggi?”
Draco si alzò e si sedette sul divano.
“Credo un po’ meglio. Mi hai dato una bomba di farmaci?”
Hermione rise ancora intontita dal sonno.
Con innata eleganza, si grattò la schiena, lasciando un evidente segno rossastro sulla pelle.
“Solo della tachipirina. Se fai dell’umorismo, significa che stai bene. Vuoi qualcosa?”
“Come?”
“Farai colazione, al mattino, no?”
“Solo un caffè,
grazie…” – disse Draco, che non voleva
approfittarsene più del necessario.
Hermione alzò gli occhi, esasperata da tante remore.
“Sì, ho capito va…”
Così prese la sua fedele
moka, che ormai per tutte le volte che era stata usata, stava per dare
l’addio a questo mondo e la stipò di caffè. Prese
il latte e lo mise a scaldare, i suoi fedeli biscotti, le fette
biscottate, la marmellata, il burro, il miele.
Draco la guardava basito mentre
tirava fuori tutto quel ben di Dio e finalmente, dopo cinque minuti, la
vide preparare la tavola.
“Coraggio, siediti e fa una colazione decente…”
“Mangi tutta questa roba prima di venire al lavoro?” – chiese lui senza pensare.
Hermione lo guardò malissimo.
Draco abbassò lo sguardo, imbarazzato per l’errore commesso.
“Io… mi dispiace…” – riuscì finalmente a dire.
“Oh, non ti preoccupare. Sono abituata a te che spari stronzate.” – celiò, dolce come il veleno. – “Però mi piacerebbe sapere perché.” – disse.
E lo prese in castagna. Giusto… perché?
“Le prove erano tutte contro
di te…” – disse, ma si rese conto da solo di quanto
fiacca fosse quella scusa.
“Vuoi continuare a
nasconderti dietro un dito? Possibile che per una cazzo di volta tu non
possa essere onesto con me?” – chiese, nuovamente delusa, mentre metteva in tavola le tazzine del caffè.
“Quei tecnici mi hanno messo in mano i fogli stampati dal tuo computer e…”
“… e il fatto che io
ti abbia detto che ero innocente non aveva avuto peso, vero?”
– concluse lei per lui.
“Io ero arrabbiato…”
“Fino ad ora ho sentito solo
scuse.” – lo rintuzzò, mettendogli davanti la tazza
di caffè. – “Onestà, Malfoy. Conosci questa
parola o è un concetto che comprendi solo quando fa comodo a
te?”
“Di tanto in tanto Pansy
diceva che avevi degli atteggiamenti sospetti. Non mi aveva mai mentito
su una cosa del genere…”
“Ohhhh l’ho visto,
sai? Non ti ha mentito su questo… ma ti ha detto la
verità su lei e Theodore, no?”
Draco la guardò incredulo. Lei… sapeva?
“E comunque, detta da una che non sapeva stare dietro a un lavoro semplice come la Sicurezza sul Lavoro fa proprio ridere.” – disse.
“Tu sai di Pansy e Theo?”
“Sì. La tv la guardo
anch’io… sei su tutti i telegiornali e in un servizio
l’hanno ripresa avvinghiata al braccio del tuo
amico…” – disse Hermione, facendo le virgolette con
le dita. Lo vide abbassare lo sguardo. – “S’è
consolata in fretta, ho visto…” – commentò.
– “Immagino che il matrimonio sia saltato…”
Di nuovo Draco dovette ammettere a se stesso quanto stupido fosse stato e chinò lo sguardo.
“Appena visti i primi licenziamenti…” – disse.
A quel punto, mentire o tergiversare non sarebbe servito a niente.
“Nella buona e nella cattiva
sorte, a quanto vedo. Per non parlare di quella volta che l’ho
sentita parlare al telefono.” – ammise Hermione.
Draco la guardò incuriosito. Che telefonata?
“Di che parli?”
“Era stato…”
– alzò gli occhi al cielo, sperando che la memoria le
tornasse. – “… ah sì! Era stato il giorno che
sono venuta a chiederti se si poteva pagare la modella in
contanti.”
Draco lo ricordò subito.
“Prima di andare a pranzo l’ho sentita usare un tono malizioso con quello con cui parlava.”
Draco arrossì per la vergogna di non essere riuscito ad accorgersene prima.
“E perché non me lo
hai detto?” – di nuovo, Draco si rese conto di aver fatto
una domanda idiota e Hermione gli rise in faccia per il semplice fatto
che se ne era accorto da solo.
“Beh, credevo parlasse con
una sua amica così, per scherzare…” –
chiarì. – “E poi non eravamo così amici da
potermi permettere di venire da te e dirti che forse la tua ragazza ti
pianta le corna senza le prove. Sai, le prove?…” –
ironizzò. – “… quelle che ti piacciono
tanto?” – rise, ricordando quando, nel suo ufficio,
l’aveva accusata con quelle fantomatiche prove.
Draco chinò lo sguardo.
Doveva star facendo la figura
dell’asino ignorante se perfino Hermione aveva sentito Pansy
parlare maliziosamente al telefono con Nott.
Dal canto suo, Hermione sapeva che
non era una bella cosa da fare e, tra l’altro, non si stava
nemmeno divertendo a rigirare il coltello nella piaga, ma per risalire
la china era necessario toccare il fondo. E lei voleva solo che Draco
lo toccasse il prima possibile, affinché la sua risalita
ripartisse il prima possibile.
Così punzecchiarlo era, non
solo un modo per buttare fuori tutto l’amaro che aveva accumulato
da quando era stata cacciata ma anche per permettere a lui a sorpassare
quel momento difficile in fretta.
“Ti diverti, vero?” – chiese, senza cattiveria.
“Vorrei davvero dirti di
sì, Draco. Lo vorrei tanto, ma… evidentemente quando sono
nata, devo aver battuto la testa da qualche perché nonostante
quello che mi hai fatto, non sono una che augura il male a una
persona.”
Beh, in verità l’aveva fatto ma poi aveva fatto qualcosa per rimediare. Ma quello era meglio non dirlo…
Se non era onestà quella, pensò Draco, perplesso.
“Avevo sperato fino alla
fine che ti fidassi di me…” – ammise con malcelata
delusione, mentre versava il latte nel bricco.
“Io… non so
perché l’ho fatto… spero che tu possa perdonarmi,
un giorno…” – ammise mentre un filo di aroma di
caffèlatte gli entrava nel naso.
Hermione lo guardò, incerta se credergli o meno.
“Non lo so.” – confessò lei mentre prendeva posto accanto a lui sul divano.
Lilly andò davanti ai due, leggermente spazientita perché stava ritardando la colazione.
“Io le avevo dato tutto…”
Hermione sbarrò gli occhi
quando vide Draco piangere. L’uomo si mise una mano sugli occhi
per nascondersi, anche se era troppo tardi e inutile.
Che doveva fare, adesso? Era brava a consolare una donna, ma un uomo! Dio santo!, non aveva mai visto un uomo piangere!
Si allontanò di poco da
Draco e l’uomo, avvertito quell’allontanamento, si
sentì ancora più solo.
“Dai Lilly…
su.” – ma il cane non si muoveva. – “Lilly? Dai
vieni.” – il cane ringhiò a bassa voce. –
“Dai, dopo ti do due bisc…”
Hermione si ritrovò con il cane tra lei e Draco.
Era come se sapesse già cosa doveva fare.
Lilly iniziò a scavare nel
braccio di Draco per avere un po’ di attenzione, sotto lo sguardo
intenerito di Hermione. Draco tirò via la mano dagli occhi e
vide il cane guardarlo.
“Che vuole?” – chiese.
“Falla venire in braccio.”
“Non mi piacciono i cani…” – disse Draco, riluttante.
Hermione sollevò un sopracciglio.
“Oh beh, libero di
scegliere: o il cane o ti ributto in strada.” – disse
Hermione, in totale tranquillità.
Draco guardò stranito
Hermione per quello che era un ricatto bello e buono. Ma l’idea
di abbandonare un vero tetto sulla testa non gli fu mai tanto terribile
come in quel momento. Così si spostò e permise a Lilly di
venirgli in braccio.
Il cane ne approfittò e gli
saltò addosso. Si alzò sulle zampe posteriori e
iniziò a leccargli la faccia.
A leccargli via le lacrime.
“Ma che diav…”
Cercò di chiudere la bocca ma Lilly ne aveva approfittato per infilargli la lingua in gola.
“Che schifo!” – esclamò Draco, mentre cercava di sottrarsi a quell’assalto sessuale.
Quando Lilly fu sicura che non
c’erano più lacrime, tornò seduta sulle gambe di
Draco che la guardava ancora atterrito.
“Sono stato aggredito sessualmente da un cane!”
Hermione prese la sua Lilly e se la tirò in braccio.
“Quante storie per due
leccatine. Ti do i biscotti, va bene?” – chiese Hermione,
mettendosi il cane davanti alla faccia.
Lilly le leccò due volte il naso.
Alla fine si misero a tavola pure loro due.
“Coraggio mangia, altrimenti
si fredda.” – Hermione mise un paio di biscotti nella
ciotola del cane che, felice, fece colazione pure lei. –
“Cosa intendi fare, adesso?” – chiese, mentre
intingeva un biscotto nel liquido marroncino.
“Ohhh…” –
disse con uno sguardo da paura. – “… devo studiare
per bene la situazione, poi mi vendicherò.”
“E… nel frattempo?” – chiese la riccia, per nulla toccata da quello sguardo.
“In che senso?”
“Beh… dovrai trovarti un lavoro, suppongo.”
Draco rimase senza parole. Lui? Lavorare?
Vedendo la sua faccia allibita,
Hermione si rese conto che il concetto “lavoro” non era
uguale per tutti: se per lei significava alzarsi alle sette e mezzo per
essere puntuale sul posto di lavoro alle otto, per persone come Malfoy
significava alzarsi andare in ufficio all’ora che più gli
aggradava.
“So che forse la prospettiva
di faticare ti terrorizzi un po’…” – disse
facendo del suo solito sarcasmo. – “… ma se vuoi
rimanere qui, dovrai contribuire alle spese di casa.”
“Sì, ma… abbiamo appena passato le feste. Chi assumerebbe in questo periodo?”
“Troveremo qualcosa.” – lo minacciò rassicurò.
Tre giorni erano passati da quando
Hermione si era tirata in casa Draco e il biondo era guarito quasi del
tutto dal febbrone di cavallo che si era beccato a causa del maltempo.
In quei tre giorni, Hermione aveva
nuovamente dato tutto per lui: aveva chiamato il dottore a casa per
visitarlo, aveva comprato pezzi di carne con i quali faceva il brodo,
lo svegliava per dargli le medicine… Draco era imbarazzato per
tutte quelle premure.
Una volta gliel’aveva pure chiesto.
“Perché fai tutto questo per me?”
“Perché un giorno te le rinfaccerò.” – aveva risposto tranquilla.
Draco c’era rimasto malissimo.
“Non so se definirti onesta o stronza.”
Si era girata e gli aveva sorriso. Naturalmente, scherzava sul fatto di rinfacciargli le cose.
“Sono onestamente stronza.” – aveva detto.
Si era messo a ridere come un cretino.
“No, quello non va lì.”
“E dove?”
“Nel mobiletto accanto.”
“Ah ok.”
Draco stava aiutando Hermione a riassettare la tavola dopo la cena.
Per quanto a casa avesse avuto i
domestici a sistemare ciò che lui metteva in disordine, non se
l’era sentita di trattare Hermione come una di loro. Nonostante
l’avesse trattata come la peggiore delle criminali, lei non si
era fatta problemi ad accoglierlo in casa, curarlo e dargli da mangiare.
Il minimo che poteva fare, anche
forse per sdebitarsi un po’ per il trattamento al quale
l’aveva sottoposta, era aiutarla nelle piccole cose.
“Sì, adesso andiamo,
un attimo!” – esclamò Hermione, in direzione del
cane che ormai aveva scavato un solco nel pavimento.
“Dove?”
“No, non parlavo con te.” – disse.
Hermione risciacquò l’ultimo piatto e lasciò che Draco li asciugasse.
“Senti io porto fuori il cane. Mi apri tu dopo?”
“Sì, certo.”
“Dai, andiamo.”
Dieci minuti più tardi,
sotto lo sguardo sbalestrato di Draco che aveva visto Hermione mettere
il cappotto – il cappotto!!! – al cane, Hermione si
ritrovò in strada con la sua Lilly mentre Draco la osservava
dalla finestra di casa.
Lui era un estraneo per lei,
eppure non si era fatta problemi a lasciarlo in casa da solo fin da
subito. Volendo, Draco avrebbe potuto portare via quello che trovava e
andarsene, ma non lo avrebbe mai fatto: era l’unica che lo stava
aiutando a venire a capo di quella situazione e non le avrebbe dato
un’altra delusione.
Anzi, per quello che valeva, la ragazza era stata fin troppo gentile con lui.
Solitamente Hermione rimaneva
fuori una mezz’oretta, tempo che lui impiegava sempre a ripensare
alle stesse cose: il fallimento aziendale, Pansy, Theo… come
aveva fatto ad essere così cieco? E come aveva fatto Pansy a
nascondere le prove che era stata lei e non Hermione a mandare i file
alla concorrenza?
L’unica spiegazione era che
qualcuno l’avesse aiutata dall’interno quindi non
c’era una, bensì due mele marce.
E lui stupido a crogiolarsi nel suo brodo credendo che andasse tutto bene.
Hermione rientrò mezz’ora più tardi, mezza congelata.
Il cane rientrò subito e
andò a bere dell’acqua, poi tornò da Hermione per
farsi levare quel cappotto.
“Sembra un bambino.” – disse Draco che aveva imparato ad andare un po’ d’accordo con il cane.
Hermione gli sorrise.
“E’ come se lo fosse. L’unica cosa è che non parla, il che è confortante certe volte.”
Draco rise.
“Ti va di guardare un film?” – chiese Hermione.
“Fa come se fossi a casa tua.” – scherzò Draco.
Hermione rise e andò alla sua videoteca personale.
“Che vuoi vedere? Ti avviso:
niente commedie romantiche se non vuoi che vomiti come
l’Esorcista.” – chiarì.
“E io che avevo voglia di un po’ di zucchero…” – ironizzò Draco.
“Se vuoi ti faccio una torta.” – disse Hermione.
“Fai tu.”
Il film scelto da Hermione era un tranquillissimo “The Ring”.
Draco non l’aveva mai visto,
anzi… non aveva mai visto nessun film di genere horror non per
paura, ma perché non ne era attratto. Pansy, poi, aveva una fifa
blu e quindi il problema “horror” non si era mai posto.
Quando arrivarono alla scena in
cui il cavallo, impazzito, si buttava dalla nave e veniva maciullato
dalle eliche, Draco pensò che non avrebbe mai più
mangiato carne di cavallo in vita sua.
Poi continuava a ricorrere
quell’albero dalle foglie rosse per non parlare delle foto dove
le persone raffigurate avevano le facce tutte deformate.
Hermione, invece, beveva letteralmente quelle scene.
Quando finì, Hermione se ne uscì con un…
“… e dormirono tutti felici e contenti.”
“Parla per te…” – disse Draco, pallido.
Che razza di film era! Non aveva neanche capito perché il bambino si era salvato!
“Paura Draco? Vuoi che ti lasci la Lilly così ti fa compagnia?”
“Spiritosa…” – ruggì lui.
“Vabbè, io vado a dormire. Ci vediamo domani.”
“Notte.”
I due erano coricati ormai da mezz’ora, ma di dormire non se ne parlava.
Draco, poi, aveva il cervello
intasato di pensieri. Forse non avrebbe mai smesso di pensare a
ciò che era successo, d’altronde, come avrebbe potuto?
Quel giorno, in ufficio, quando
aveva pubblicamente accusato Hermione di furto ai suoi danni, si era
chiesto come avesse fatto a sbagliare così tanto il giudizio su
una persona.
Peccato non dovesse essere rivolto a lei, quell’infamante pensiero…
Se ripensava a ciò che era
successo, gli veniva la pelle d’oca. Prostitute per modelle,
Pansy che se la faceva con Theo da chissà quanto tempo, le
continue diminuzioni dei prezzi perché la concorrenza riusciva a
fare sempre di meno… arrivati a questo punto, iniziò a
pensare che il furto nell’ufficio di Pansy fosse stata solo una
montatura o che fosse stata la donna stessa a fare una copia del
programma.
Draco storse la bocca.
Pansy, come aveva detto Hermione,
non sapeva neanche pulirsi il culo da sola, figurarsi duplicare un
programma infinito come quello della contabilità.
E l’ipotesi che
all’interno dell’azienda vi fosse stato un complice non gli
parve più tanto astratta…
I minuti passavano e la casa era immersa in un silenzio che Draco non aveva mai sentito prima.
Hermione aveva stipato ogni
fessura per evitare che la luce del giorno filtrasse in casa. Nel suo
attico, invece, non esistevano scuri o persiane, così quando
dalla zona notte passava a quella giorno, una luce accecante lo
accoglieva e si riusciva a sentire il cinguettio degli uccellini. Le
sue finestre non avevano quindi quel potere isolante che avevano gli
scuri di Hermione e nella casa regnava il silenzio assoluto.
E la cosa non gli dispiaceva.
Il divano era un po’ scomodo ma piuttosto di quella catapecchia era una vera manna dal cielo.
Come la ragazza che glielo aveva prestato.
Girò il volto in direzione
della camera di Hermione e poi tornò a fissare il vuoto davanti
a sé. Quella ragazza era proprio strana: l’aveva
torchiata, spremuta come un limone, umiliata e cacciata e lei cosa
faceva? Lo accoglieva in casa sua e si fidava a lasciarcelo da solo.
Forse aveva davvero battuto la testa da piccola…
Tanti altri pensieri si affollarono nella sua mente fino a quando questa non si spense e Draco si addormentò.
Era incredibile come la fine della magia del Natale coincidesse esattamente con il primo giorno di lavoro.
Nonostante le vetrine riportassero
ancora i rimasugli delle decorazioni, l’aria di festa si era
dissolta praticamente il giorno dopo l’Epifania. Hermione e Draco
stavano portando avanti una strana ma pacifica convivenza, dove Draco
aveva imparato il significato della parola “routine”.
Svegliarsi la mattina e fare
colazione in tranquillità, tornare a casa per il pranzo, fare un
giro con il cane, decidere all’ultimo di preparare una cosa
strana per cena… era una realtà molto diversa alla quale
era abituato, ma gli piaceva.
Per non parlare di quello che
aveva fatto Hermione per lui fino a quel momento: non solo gli aveva
dato un tetto sulla testa, ma gli aveva comprato un letto e dei
vestiti. Aveva insistito per dormire sul divano ma si era reso conto
che Hermione aveva una testa più dura della sua.
L’aveva soprannominata Carro
Armato o Panzer perché quando si metteva in testa una cosa, non
cambiava idea neanche se fosse sceso sulla terra Cristo in persona.
Doveva però ammettere che
dormire su un letto era stato come entrare in Paradiso: ora, quando
toccava il cuscino, cadeva immediatamente in un sonno tranquillo e i
cattivi pensieri venivano rimandati al mattino successivo.
Ma se c’era una cosa di cui
Draco si era accorto, era che Hermione con la sua presenza e
soprattutto la sua parlantina, riusciva a distrarlo.
Era venerdì dodici e Hermione era uscita per comprare il pane. Rientrò in casa che stava parlando al telefono.
Draco stava girando la pasta e si girò quando la sentì parlare.
“Sì, ho capito.
Davvero?” – si chinò per levare il guinzaglio al
cane che andò a bere e a salutare Draco. – “Sei una
maiala, Ria.”
Draco sbarrò gli occhi.
Hermione si scusò per la terminologia.
“Dato che ci sei,
perché non vi registrate? Poi magari vi riguardate anche.”
– disse, pesantemente sarcastica. – “Ria? Ria? Ria!,
dicevo così per dire! Sì, vabbè ho capito…
ah senti… volevo sapere se per caso lì stavate cercando
mano d’opera.”
Draco si girò di scatto.
“Ah sì?”
– chiese Hermione, sorpresa. – “Quando? Beh, sono
contenta per loro. Sì, ho qualcuno. Beh, magari gli fanno fare
una prova intanto. Sì, sono in ferie.” – Hermione
deviò lo sguardo da Draco e l’uomo comprese che quelle
ferie altro non era che il suo licenziamento. – “Ne ho per
un bel po’.”
Draco continuava a mescolare la pasta. Il peso sul cuore era tornato.
“No, è che… è che sono stata licenziata Ria.”
L’urlo di Ria riuscì a stordire pure Draco che si chiese con che razza di Banshee stesse parlando Hermione.
“Ria mi hai tolto la
verginità alle orecchie!” – borbottò Hermione
che fu costretta a cambiare orecchio. – “Licenziata,
sì! Senti, quando vengo lì ti spiego, ok? Sì,
salutami tutti. Ciao.”
In quel momento, Draco scolò la pasta.
“Chi era?” – chiese lui, atono.
“Hai un lavoro.” – rispose Hermione. – “Cioè… abbiamo un lavoro.”
“Bene, sono contento.” – disse Draco.
Hermione riuscì a posare il sacchetto del pane.
“Non è vero, ma grazie della bugia a fin di bene.”
Draco ghignò e poi si misero a tavola.
“Dove?”
“In periferia a Londra.”
La piccola Ford Ka, regalo di sua madre, frenò su un terreno accidentato.
Erano circa dieci minuti che
percorrevano quella strada sterrata e il pover’uomo, ormai
provato da tutti quei dissestamenti, non vedeva l’ora di
arrivare. Più volte aveva chiesto a Hermione dove lo stesse
portando, ma lei aveva sempre riso in quel modo che gli faceva aizzare
la pelle d’oca.
Erano arrivati in campagna e la
strada, per quando ancora dissestata fosse, aveva raggiunto una sua
stabilità, per la somma gioia delle sospensioni dell’auto
e della testa di Draco che, vista la sua altezza, continuava a sbattere
sul tettuccio.
Lentamente, si iniziò a
scorgere una specie di casolare rimesso a nuovo, dove vi erano galline
e oche che giravano liberamente. Draco non capì per niente dove
si trovasse e Hermione godette di quello sguardo spaesato.
Parcheggiò l’auto sotto il suo albero preferito, sul quale si arrampicava fin da piccola.
“Arrivati!” – disse felice.
Draco aprì la porta e il
cane, beatamente spaparanzato sulle sue gambe, fu felice di scendere e
correre dietro alle galline che, impazzite, correvano a loro volta per
scappare.
“Dove siamo?” – chiese lui.
Immerso com’era nella
contemplazione di quel posto, Draco fu distratto da una porta che si
spalancava, mentre un uomo sulla trentina, più o meno
l’età di Hermione, vestito con un maglione nero e un paio
di jeans che non gli rendevano onore cacciò un urlo disumano.
“SE NON MI SALTI ADDOSSO
ENTRO TRE SECONDI VENGO LI’ E TI STRANGOLO!” –
urlò il misterioso giovane con cipiglio severo.
Sentì Hermione cacciare un
urletto eccitato e corrergli incontro, avvinghiando le gambe attorno
alla sua vita. L’uomo barcollò leggermente, ma quando
trovò un equilibrio stabile, lo vide stritolare la ragazza e
baciarle velocemente le labbra.
“NEVILLE!!!!!” – urlò Hermione, felice.
Draco osservava sbigottito la scena e la scioltezza con la quale Hermione lo aveva salutato.
“La mia cittadina campagnola!” – disse lui, stringendola sempre più forte.
Quel Neville la mise a terra, permettendole di tirarsi su i pantaloni che le erano leggermente scesi, in un moto di innata eleganza con tanto di scrollata di sedere, quando vide uscire una ragazza che abbracciò forte Hermione.
“CIAO!” – urlò la nuova arrivata. – “Pensavo che non volessi più vederci!”
“Scema!” – urlò Hermione felice di vedere quella coppia.
Draco rimase ancor più
interdetto quando vide la nuova arrivata e quel Neville scambiarsi un
bacio. Ma dov’era finito? In una riunione per scambisti?
“E lui chi è?” – chiese la ragazza.
E finalmente Hermione si girò verso di lui, presentandolo e finalmente avrebbe capito dove fosse finito.
“Daphne, Neville? Lui è Draco e sta cercando lavoro. Ne avevo parlato con Astoria.”
“Piacere Draco, io sono
Daphne, la sorella di Hermione e lui è mio marito Neville.
Coraggio, entrate che fa freddo.” – disse Daphne.
“Lilly?” –
urlò Hermione e di lì a poco apparve la cagnetta che
entrò come un razzo in casa.
Dopo aver fatto tutte le
presentazioni di rito, Draco e Hermione si trovarono a tavola con i
genitori di lei. Al tavolo vi erano anche gli altri tre fratelli di
Hermione. Una si chiamava Astoria – la Rya-maiala della
conversazione telefonica di venerdì –, aveva gli occhi
azzurri e i capelli biondi come Daphne, e suo marito si chiamava Kevin,
occhi castani e capelli neri, mentre l’altro fratello si chiamava
Damian, occhi blu notte e capelli castani, che aveva sposato una santa
donna di nome Marika, incinta di quattro mesi.
I suoi genitori, Scott e Minerva
Granger, erano a capo tavola. Minerva aveva preparato per tutti una
buona cioccolata calda che con un tempo simile era adatta a riscaldare
gli animi.
Hermione aveva raccontato la situazione, omettendo l’insignificante
dettaglio che Draco era l’ex proprietario della Malfoy Home e che
l’aveva licenziata, dicendo che era un dipendente qualsiasi che
cercava un lavoro.
“Credi si possa far qualcosa, Scott?” – chiese Minerva con un sorriso al marito.
“Sicuramente sì… vedrò che buchi ci sono in azienda. E tu patatina?” – chiese Scott.
Hermione tossì, sbrodolandosi di cioccolata. Odiava quando suo padre la chiamava così davanti ad estranei.
Draco, invece, era molto tentato
di mettersi a ridere per quella ragazza che in quel momento
assomigliava molto al Cicciobello-Bollicine ma si trattenne, per ovvie
ragioni.
“Come va in città?”
Hermione tentò vanamente di
ripulirsi il maglioncino, ma alla fine fu costretto a toglierlo e darlo
a Minerva, in modo tale che lo mettesse a lavare, prima che la
cioccolata ne diventasse parte integrante.
“Tutto bene… senti, dove possiamo sistemarlo?”
“Papà?” –
esordì Damian. – “Ci sarebbe ancora la dependance.
Con un po’ di lavoro ritornerebbe come nuova e Draco avrebbe la
sua privacy.”
“Sì, si potrebbe
fare. Per stanotte dormirai sul divano, Draco. Spero non sia un
problema.” – disse Minerva, con un sorriso gentile.
“Il divano andrà benissimo, signora.” – disse Draco.
“Molto bene… allora adesso tutti a letto. Domani abbiamo del lavoro da fare!”
E con quest’ultimo comando, il padrone di casa mandò tutti a dormire.
Come promesso, il giorno
successivo, gli uomini di casa si prodigarono per mettere a posto la
depandance per il nuovo ospite, mentre le donne si rilassavano in
veranda, sotto le carezze dei flebili raggi solari invernali.
Draco, nonostante tutto, si mise
al lavoro per aiutare gli altri: dopotutto stavano lavorando per dargli
una comoda sistemazione e se fosse rimasto a guardare avrebbe
sicuramente fatto una cattiva impressione.
Kevin, Draco, Neville e Damian
entravano e uscivano dalla dependance con vecchie cianfrusaglie che
tenevano più che altro per ricordo. Intanto sul dondolo della
veranda…
“Vacca ladra, Hermione…” – aveva iniziato Astoria.
Forse
adesso si avrà un po’ più chiaro da chi Hermione
abbia imparato qualche forma lessicale non del tutto ortodossa.
“… è uno
schianto quello! Ma dove l’hai pescato?” – chiese la
ragazza, mentre sorseggiava il suo the fumante.
Hermione rise. Era stato il suo titolare, ma niente toglieva che fosse un gran bel pezzo di figliolo…
“Ve l’ho detto…
lavorava con me, ma il datore di lavoro ci ha licenziato perché
c’erano dei problemi… che alla fine si era creato lui
stesso.” – mezza verità.
“Non è che assumono
da voi?” – chiese sempre Astoria con lo sguardo fisso sul
sedere di Draco, facendo guizzare gli occhi ogni volta che quel
perfetto bacio di dama si spostava da una parte all’altra.
“Astoria vola
basso…” – disse Marika, che però, pure lei,
tendeva ad avere almeno uno dei due occhi puntato sul biondino.
Non aveva legami di sangue con quelle ragazze, ma era una della famiglia e la si poteva considerare come la sorella acquisita.
“Sei sposata. E poi magari quello la ragazza ce l’ha già…” – ipotizzò Marika.
Hermione rise sotto i baffi.
“La sua ragazza l’ha
lasciato, da quello che so…” – disse Hermione
evasiva. – “… diceva che era stanca di stare con uno che non faceva carriera… e si è messa con il suo migliore amico…”
“Che puttanone!” – esclamò Astoria sempre più pittoresca.
Hermione annuì vistosamente e vigorosamente. Su quello non ci pioveva!
“Ma spiegami una
cosa…” – disse Daphne. – “… che
tipo di problemi si era creato il tuo datore di lavoro?”
“Non so i
particolari…” – disse Hermione, come se stesse
sparlando della vicina. – “… io so solo che quello
mi ha spremuto come un limone per poi buttarmi nella pattumiera!”
– e almeno un po’ si stava sfogando.
“Scusa?” – chiese Daphne, stranita.
“Non ho mai potuto
sopportare la fidanzata del mio ex titolare… cafona,
irrispettosa, maleducata… insomma!, una troglodita! Non salutava
mai e mi lasciava aperta la porta d’entrata apposta perché
prendessi freddo. Comunque!… un giorno le ho risposto male e lei
invece di venire a chiarirsi con me ha preferito andare a piangere dal
suo fidanzatino che non mi ha solo affibbiato il lavoro amministrativo,
no!, ha pensato bene di farmi lavorare anche in magazzino!”
Le sorelle sgranarono gli occhi.
“Ma è scemo?!?” – chiesero all’unisono.
Hermione rise e guardò Draco.
“Un po’…
comunque si era dovuto ricredere perché gli ho dimostrato che
riuscivo a tenere in piedi perfettamente i due lavori.”
“Ci sarà rimasto di
merda quando ha visto che sapevi fare un po’ di tutto.”
– disse Astoria, divertita.
Hermione, a differenza di Astoria,
Daphne e Damian, era una personalità effervescente. Tante volte
piantava il suo lavoro d’ufficio per andare in magazzino e vedere
cosa succedeva laggiù. Così, lentamente, aveva imparato
più o meno tutti i lavori: dall’amministrazione al lavoro
manuale vero e proprio.
“Oh, non puoi neanche
immaginartelo…” – disse Hermione, mentre le
tornavano alla mente tutti i momenti in cui Draco aveva dovuto mordersi
la lingua perché niente che veniva affidato a lei poteva
definirsi un lavoro lasciato a metà o fatto male. –
“Poi siamo stati in America insieme e lì qualcosa era
cambiato o almeno così credevo.” – disse, assorta.
Il tono di voce si era fatto
più serio, segno che a Hermione ancora bruciava quella falsa
dimostrazione di fiducia di Draco.
“Ho pensato che stesse
iniziando a fidarsi di me. Pian piano abbiamo iniziato a rispettarci e
non si arrabbiava più se lanciavo qualche frecciatina in
direzione della sua ragazza che non le capiva…”
“Un’oca senza cervello!”
“QUA! QUA!” – starnazzò un’ochetta che passava di lì a caso.
“Scusa Penelope! Non dicevo a te!” – disse Astoria. – “Eh… dicevi?”
“Beh, poi arriva la mazzata.”
“Che ha fatto?”
“A Novembre sono stata
convocata nel suo ufficio. Il nostro viaggio in America era stato
improvviso perché il nostro maggior cliente aveva mandato una
mail al mio ex titolare dove gli diceva che non avrebbe più
comprato niente da lui. Lì abbiamo scoperto che questo cliente
aveva in mano parte dei nostri libri contabili, dove c’erano
delle discrepanze molto gravi. Siamo tornati indietro praticamente
subito, perché il titolare voleva vederci chiaro e ha fatto
intervenire una squadra di tecnici esterni che controllassero i
computer di tutti. Sono stata convocata ed è saltato fuori che
quella che ha mandato quei dati falsi al nostro cliente ero stata
io.”
Le ragazze rimasero mute.
“Io gli ho detto che non
c’entravo, che non ne sapevo niente ma non c’è stato
niente da fare: mi ha presa e mi ha sbattuta fuori, umiliandomi davanti
a tutti.”
“Cosa?!?!” – chiesero all’unisono.
“Così ho preso e me ne sono andata.”
“Allora è per quello
che non sei venuta a Natale!” – esclamò Daphne.
– “Sei proprio una cretina! Potevi venire lo stesso!”
– la rimproverò.
“Non ero molto in vena di
festeggiamenti.” – ammise Hermione. – “E poi
non volevo rovinare le feste anche a voi.” – disse,
guardando i ragazzi che facevano avanti e indietro dalla dependance.
“Che pezzo di merda…” – disse Astoria, riferendosi all’ex titolare di Hermione.
Daphne la osservò.
C’era qualcosa che le sfuggiva in tutta quella storia, ma non
capiva cosa. Lasciò perdere per il momento, visto che la
depandance reclamava pulizia.
“Ehi pettegole!
C’è da pulire!” – disse Kevin. –
“Alzate i vostri graziosi sederini e sfacchinate!” –
disse Kevin fintamente arrabbiato.
Le ragazze si alzarono per completare l’opera.
“Marika no.” – disse Damian categorico. – “Non ti farebbe bene.”
“Oh, andiamo Damian! Passare
uno straccio non ha mai ucciso nessuno!” – disse Marika,
seccata, già avviata verso la dependance.
“Damian ha ragione, Marika: lascia stare. Ci pensiamo noi.” – disse Hermione con un sorriso.
“Ma io…”
– tentò la cognata, ma le occhiatacce omicide di tutti la
fecero desistere. – “Va bene…” – ammise
un po’ sconsolata.
Non le piaceva che tutti la trattassero come un’invalida solo perché era incinta.
“Andiamo?” – disse Daphne, mentre Hermione s’infilava dietro di lei.
“Tu non vai, Astoria?” – chiese Kevin, che la vedeva stranamente imbarazzata e ferma sulla veranda.
Tutti si girarono verso di lei.
“Ria tutto bene?” – chiese Hermione.
Astoria non si imbarazzava mai.
La ragazza in questione
abbassò lo sguardo e Hermione la vide sfiorarsi delicatamente in
ventre. Ma fu un gesto talmente veloce che nessuno vi prestò la
dovuta attenzione.
“Oh-santo-cazzo…” – esordì Hermione con la sua solita eleganza.
Tutti si girarono verso la riccia.
“Oh-mio-dio! Oh-mio-dio!
Oh-mio-dio! Oh-mio-dio!” – continuava a ripetere la piccola
della famiglia, finché non la videro schizzare verso sua sorella
e abbracciarla con decisione, ma delicatezza allo stesso tempo.
“Non è che quelle due
se la intendono, vero?” – chiese Kevin perplesso a Neville
per quell’eccessiva dimostrazione di affetto.
Neville fece le spallucce. Ne sapeva tanto quanto lui…
Hermione si girò con un
sorriso che spiazzò i presenti. Corse da Kevin e gli
saltò in braccio, lasciandolo definitivamente senza parole.
Il poveretto guardò il resto del gruppo che, come lui, osservava perplesso la scena.
“Perché non ce l’hai detto?” – chiese Hermione al settimo cielo.
“Detto cosa?”
“Perché non ci hai detto niente?”
“Perché non lo sa,
Hermione…” – disse Astoria, calamitando di nuovo su
di sé l’attenzione.
Hermione scese da Kevin e la guardò perplessa.
“Perché?”
“Io… volevo aspettare stasera…” – ammise imbarazzata.
“E’ troppo chiedere di
cosa dovevo essere messo al corrente?” – chiese Kevin, che
stava iniziando a preoccuparsi.
Con un sorriso d’incoraggiamento, Hermione incitò la sorella a comunicare la bellissima notizia.
“E-ecco…io…”
“Dai Ria!” – disse Hermione.
“So-ehm… aspetto un… aspetto un bambino, Kevin…”
Gli attrezzi gli caddero dalle mani come se fossero state di ricotta.
Sua moglie, la sua bellissima,
stupenda, meravigliosa moglie gli aveva appena detto di aspettare un
bambino. S’incamminò verso di lei per finire poi a correre
e abbracciarla fino a stritolarla.
“Davvero?”
Astoria annuì.
“Perché non me lo hai detto?”
“L’ho saputo solo ieri e volevo dirtelo stasera…”
“Perché stasera?” – chiese lui visibilmente emozionato.
“E’ il tuo onomastico…” – ammise lei imbarazzata per quella romanticheria.
Chi conosceva bene Astoria, sapeva
perfettamente che la sua idea di “amore” era una sana
scopata in qualche anfratto della casa; perciò sentirla
pronunciare quelle parole e sapere che voleva fare una cosa carina
per suo marito, significava che anche Ria, nonostante proclamasse il
contrario, era caduta nella trappola dell’Amore, quello con la
“A” maiuscola.
Draco osservò la scena con il cuore in gola.
Era felice per loro nonostante li
conoscesse da poco più di un giorno, ma l’attimo
successivo immaginò se stesso mentre Pansy gli diceva di
aspettare un bambino.
E un conato di vomito lo assalì.
Le altre due signore rimasero sbigottite dalla notizia, ma non per il modo in cui era stata data.
Hermione era una specie di maga in
queste cose. Aveva una capacità di osservazione così
intensa che a volte spaventava tutti. Sapeva sempre se qualcosa di
bello o brutto stava per succedere e, osservando Astoria, aveva
sganciato per prima la bomba.
“Guarda e impara, animale…” – disse Daphne, sgomitando il marito che incassò il colpo.
“Sai benissimo che posso fare di meglio, amore mio…” – disse malizioso.
Daphne lo allontanò da sé, fintamente scocciata, ma poi sorrise e andò a congratularsi con la futura mamma.
“Ragazzi? Io accompagno dentro Astoria!” – disse Kevin, scortando all’interno sua moglie.
Tutti immaginarono che la coppia andasse a dirlo ai genitori.
Infatti, dall’interno della casa, arrivarono le urla di gioia di Scott e Minerva.
E, alla fine, le uniche che
dovettero sorbirsi le grandi pulizie furono Hermione e Daphne, che
colse l’occasione per parlare con la sorella.
Hermione passava
l’aspirapolvere, mentre Daphne puliva con un panno umido le
superfici e i mobiletti finché, ad un tratto, non si
fermò.
“Sputa il rospo, Hermione.”
La ragazza, sentendo vagamente il suo nome, spense l’aspirapolvere e guardò la sorella.
“Eh?”
“Adesso siamo sole. Dimmi la verità.”
E anche se Hermione capì che a sua sorella non poteva nascondere niente, cercò comunque di tergiversare.
“Che verità?”
“Quella sul tuo titolare.”
“E’ quella che ti ho raccontato prima in veranda.” – disse lei.
“Ma qualcosa mi sfugge… dimmi cos’è!”
“Non è che c’era qualcosa nella cioccolata di mamma, vero?” – chiese.
Quando vide Daphne sollevare un sopracciglio e aspettare la vera risposta, Hermione sbuffò.
“Uffa… ok, te lo dico. Ma devi promettermi che te lo porterai nella tomba.” – disse lei.
“D’accordo.”
“Il mio ex titolare… è Draco.” – confessò.
Daphne sgranò gli occhi.
“Come?”
“Sì… Draco, Draco Malfoy. Quel Draco Malfoy. Lui è quello che mi ha spremuta come un limone e poi mi ha gettato via.”
“Ohssanti… e
perché è qui?” – chiese la bionda, mentre
guardava fuori dalla finestra il Draco in questione.
“Gli serve un lavoro per
mettersi in pari. Tralasciando quello che mi ha fatto, è stato
derubato dalla sua ex e dal suo amico nonché socio. Sa come
tirarsi fuori dai guai, ma ha bisogno di un punto di partenza.”
“Non… non è che è successo qualcosa tra voi, vero?”
Hermione inorridì al solo pensiero.
“Per l’amor di Dio,
no! Nemmeno fosse l’ultimo uomo sulla terra!” –
esclamò inorridita la ragazza. – “Non sono mica
messa così male!” – disse Hermione.
“Com’è che ti scaldi tanto?” – chiese Daphne, divertita.
Hermione arrossì.
“Non girare la frittata,
Daphne…” – disse Hermione, che aveva capito le
intenzioni della sorella. – “Draco non è il mio
tipo.” – concluse, sperando che la sorella non insistesse
oltre.
Daphne si raddrizzò, interessata alla piega che stava prendendo la discussione.
“Ah, e… che tipo sarebbe Draco?”
“Daphne?” – la chiamò Hermione scocciata.
“Ehi! Vorrei solo conoscere
meglio il ragazzo!” – si giustificò la bionda, che
aveva abbandonato l’ascia di guerra contro Draco per capire
meglio cosa passasse per la mente della sorella.
Hermione abbassò il capo,
sconsolata. Già era abbastanza complicato il fatto di essere
tornata a casa senza un lavoro e con Draco Malfoy appresso. Se in
più ci si metteva sua sorella a fare da Cupido, Hermione non
sapeva se la sua sanità mentale avesse retto. Appoggiò
l’aspirapolvere alla parete e si sedette su una sedia appena
spolverata.
“Siamo geneticamente incompatibili…”
Daphne capì che sua sorella
ci stava ancora male per come Draco l’aveva trattata e lo
dimostrava il fatto che per intavolare una discussione seria lei avesse
sempre bisogno di sdrammatizzare. Affrontare le difficoltà era
sempre stato faticoso per lei, dopo… scosse la testa. Non ci
doveva pensare.
“… a me piace ridere
e scherzare, lui è già tanto se riesce a capire una
battuta. Ti prego, Daphne, non metterti a fare il Cupido. Sarebbe una
battaglia persa in partenza.”
“Parliamoci chiaro
Hermione…” – disse Daphne. – “…
se Draco non ti toccasse minimamente, non lo avresti mai portato qui
per aiutarlo a trovare un lavoro, non ti metteresti a pulire con
maniacalità la dependance e non lo avresti messo a suo agio con
mamma e papà. Quindi non venirmi a dire che ti è
totalmente indifferente perché non ti credo.”
Hermione guardò male la
sorella. Non era vero niente! Lei aveva solamente aiutato una persona
in difficoltà, così come avrebbe fatto per chiunque!
Però… il ragionamento di Daphne filava che era un piacere.
Che davvero…
Hermione scattò in piedi.
“Non dire assurdità,
Daphne!” – sbottò lei. – “L’ho
aiutato così come aiuterei un’altra persona nelle sue
condizioni. Non vedere sempre cose che non esistono!” –
sbottò, tornando a prendere in mano l’aspirapolvere.
“Mi parli di cose che non
esistono? Vogliamo ricordare quello che è successo sei anni fa
con il figlio del macellaio?”
Hermione si girò, perplessa.
“E con Jack Hiltons? Tedd
Sanders? Luke Tennwalk? Anche loro erano in difficoltà e tu non
li hai nemmeno guardati in faccia.” – spiegò Daphne.
“Ma era diverso! Non puoi paragonare la situazione attuale con Draco con quello che è successo sei anni fa!”
“Saranno state situazioni
diverse, certo… ma il concetto di base è lo stesso.
Hermione, non li hai aiutati perché…”
“Perché mi facevano i
dispetti, mi prendevano in giro, mi tiravano i capelli! Manco fossimo
ancora all’asilo!”
“E Draco? Ti ha licenziata
dopo che gli avevi dato il sangue. Forse era più giusto che
aiutassi gli altri che non lui.”
“Daphne… è diverso.”
“Cosa c’è di diverso?”
“Tutto! Jack, Tedd, Luke e
tutti gli altri erano solo bambocci viziati che mi prendevano in giro
solo perché non mi facevo toccare il sedere come le altre! Draco
sarà stato un gran pezzo di merda, ma nonostante tutto non posso
dimenticare di quei pochi attimi buoni che ci sono stati.”
“Ma se non hai fatto altro
che sputargli merda addosso fino a cinque minuti fa!” –
esclamò Daphne, stranita per quel ragionamento contraddittorio.
Prima lo sotterrava di parole e poi diceva che era c’era anche del buon in lui. Insomma!, che si decidesse!
Hermione si zittì, non riuscendo a trovare qualcosa con cui continuare e sua sorella se ne accorse.
Seguirono svariati minuti di silenzio.
“Non parlare troppo altrimenti ti si secca la lingua…” – osservò Daphne divertita.
Ed ecco, invece, da chi Hermione aveva ereditato il sarcasmo.
Hermione la guardò spaesata. Aveva fatto tutto questo senza accorgersene?
“Io… ti sbagli.” – disse, solamente.
“Hermione… non ti devi nascondere. Sappiamo tutti perché eviti le relazioni con i ragazzi.”
Hermione volse lo sguardo sul
tavolo, sul quale due granelli di polvere stavano giocando a
rincorrersi. Odiava ricordare certi momenti e sua sorella lo sapeva!
“Ma non è così che risolverai i problemi.”
“Non sono innamorata di
Draco.” – precisò la riccia, con un sorrisetto
che credeva avrebbe troncato ogni possibilità di replica di
Daphne.
Daphne sorrise e andò ad
abbracciare la sua sorellina. Hermione, convinta che tutto fosse chiuso
lì, si lasciò abbracciare.
“Io non ho mai parlato di amore, tesoro.”
Hermione si staccò violentemente da quell’abbraccio e guardò sua sorella con gli occhi sgranati.
No, non era innamorata di Draco,
ne era certa. Non sentiva le farfalle nello stomaco e non sorrideva
come un ebete al suo passaggio. Non c’era nessun sintomo
dell’innamoramento in lei!
Allora perché aveva usato proprio quell’espressione?
Daphne sorrise, con l’atteggiamento di chi aveva aiutato un proprio caro a risolvere un problema alquanto ostico.
Ma Daphne sapeva avere pazienza. Non tutti avevano gli stessi tempi di reazione.
“Coraggio, vai a riposare che qui ci penso io.” – disse la maggiore con amore.
“Ma no, ti aiuto…” – disse, anche se in realtà era stanca morta.
“Hermione, non ti preoccupare. Penso che in un paio d’ore riuscirò a finire tutto. Sarai stanca.”
Lentamente si avviò verso l’uscita e rientrò in casa, facendo attenzione a non incontrare nessuno.
Arrivò nella sua vecchia
stanza e si buttò a peso morto sul letto, sprofondando
immediatamente in un sonno senza sogni.
Calli-corner
Allora? Com’è andata? Cosa ne pensate? Che mi dite? Fa schifo, vero?
Oh-mio-Dio! Mi stanno venendo le ansie da prestazione!
Dunque…
Hermione si è tirata in
casa Draco, ma non appena lo ha fatto, si è resa conto che ci
sarebbero stati degli inconvenienti cui far fronte. Lei però non
si arrende e in qualche modo si arrangiano.
Raggiungono, in quei giorni di
festa, una certa intesa, dove sembra che Draco stia finalmente
imparando “a stare al mondo” e, dulcis in fundo, Hermione
lo porta a casa dei suoi genitori per quel famoso posto di lavoro che
era riuscita a trovare tramite Astoria (Rya).
Qui conosciamo un po’ la famiglia di Hermione, presso la quale si svolgeranno le vicende future.
Daphne, la maggiore, si accorge
dell’atteggiamento di Hermione nei confronti di Draco e lo fa
presente alla sorella che si altera un pochino. Capita, quando tua
sorella vuole fare il cupido a tutti i costi.
Beh, che dire?
Aspetto che mi facciate sapere che ne pensate di questo capitolo, onesti come sempre.
Un bacio,
callistas
P.S.: pensavate che me ne fossi dimenticata, eh? ^___^
“Mi risulta che tu non sia vergine.” – disse Hermione.
“Infatti…”
La ragazza sorrise, quindi lui aveva capito a cosa alludesse.
“… sono dello Scorpione ascendente Toro.” – rispose lui, che proprio non aveva capito niente.
Bacioni!
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Capitolo 12 *** Le prime volte di Draco ***
12 - Le prime volte di Draco
Bentornati a “Malfoy Home”!
Vi ringrazio davvero di cuore per l’affetto che mi state dimostrando.
In questo capitolo, vedremo il primo giorno di lavoro di Draco.
Come si comporterà?
Sarà umile o tratterà i colleghi con la stessa
superiorità con la quale trattava i precedenti? Mah…
leggete e lo scoprirete! ^_^
Prima che mi dimentichi… ho
la memoria a “0 termine” io… qui rientrerà in
scena la Livin Home – John Cook e Laney Miller – in un
piccolo salto temporale all’indietro, salvo poi ritornare ai
giorni nostri.
Dovevo dirvelo subito o vi avrei fatto solo della confusione gratuita.
Beh, che dire?
Intanto buona lettura e poi ci vediamo alla fine.
callistas
Erano arrivati lunedì in
tarda mattinata, aveva presentato Draco come fosse stato un amico
qualsiasi in difficoltà, aveva scoperto per prima che sua
sorella Astoria era incinta e che, secondo Daphne, si stava prendendo
una cotta per il suo ex titolare.
Era tutto meraviglioso.
Draco a parte.
Hermione si svegliò verso le nove.
Un aroma di caffè era
salito fino in camera sua, disturbando il suo sonno, mentre un
brontolio proveniente dal suo pozzo senza fondo, la avvisò che
la sera prima non aveva cenato e che si doveva rifare con una buona e
abbondante colazione.
Si alzò con non poca
fatica, scoprendo di essersi addormentata con i vestiti addosso.
Andò in bagno a sciacquarsi il viso e poi poté
presentarsi ai suoi familiari per lo meno con gli occhi aperti.
“Buon giorno, Hermione!” – la salutò il padre sempre festoso.
“Cia…” – poi prese posto sulla sedia e poggiò il capo sulle braccia e riprese a dormire.
“Patatina… ma hai dormito stanotte?”
Hermione si svegliò di botto, con gli occhi spalancati mentre Draco se la rideva sotto i baffi.
“Ma smettila di chiamarmi così!”
Gli altri si erano messi a ridere.
“Perché patatina?” – insistette l’uomo.
Non lo faceva apposta. Per lui
Hermione sarebbe rimasta la sua piccola bambina che adorava le patate.
Che c’era di male a chiamarla patatina?
“Causa persa, Hermione…” – disse Neville sorseggiando il suo caffè.
Minerva le mise davanti il suo
tazzone di caffè latte, i biscotti e quant’altro le
piacesse per colazione, lasciando che il suo enorme appetito
ringraziasse Minerva per conto suo.
“Ma… quanto
mangi?” – chiese costernato Damian. – “Nemmeno
Marika mangia tanto…”
La donna in questione sollevò un sopracciglio, perplessa.
“Non ho cenato ieri
sera…” – disse, tra un biscotto e l’altro.
– “… non so se vi siete accorti che non
c’ero…” – disse lei, con la bocca mezza piena.
“No, tranquilla… ce
ne siamo accorti eccome!” – disse Neville, che con un
occhio stava tenendo sotto controllo i suoi di biscotti.
“Non… non fare lo spiritoso…”
“Vuoi anche il mio per caso?” – disse Neville, continuando a stuzzicarla.
Hermione lo guardò male.
Draco rimase sempre in silenzio
durante la colazione. Osservava con un misto di invidia e…
tenerezza (?) il comportamento della famiglia di Hermione.
La complicità che avevano
le varie coppie sposate, la spontaneità che Hermione aveva con
ognuno di loro, il bene che Hermione voleva ai suoi genitori che
permeava ogni centimetro di quella stanza… un po’ la
invidiava, visto che la sua vita non era mai stata ricca di queste
emozioni così profonde. Certo, i suoi genitori lo amavano
tantissimo, ma non si erano mai lasciati andare in quel modo.
Poi c’era Pansy, ma con lei si era rivelata una storia di sesso, che sarebbe continuata con il matrimonio.
Matrimonio…
Che errore catastrofico che stava per fare.
Durante la permanenza nel rudere,
sua unica proprietà, Draco si era ripromesso vivamente che non
si sarebbe mai più innamorato.
Aveva anche capito che non
l’amava, per lo meno non come Neville amava la sua Daphne, come
Kevin Astoria e come Damian Marika. Il loro amore era saldo, costruito
su basi solide; il suo con Pansy era costruito sui soldi che lui
possedeva, ma una volta spariti quelli… ecco sparito anche
l’amore.
“Sei taciturno, Draco…qualcosa non va?” – chiese Scott.
L’uomo guardò il padrone di casa e sorrise per cortesia.
“No, tutto bene…”
“Credo stia ancora pensando a quello stronzo del titolare…” – disse Hermione, soffiando compiaciuta sul caffelatte.
Draco avvertì una corrente d’aria gelida accarezzargli la schiena.
Durante le varie presentazioni,
Hermione aveva omesso il dettaglio che lui era il direttore della
Malfoy Home e che sempre lui l’aveva ingiustamente licenziata,
anche se trovava strano il fatto che nessuno dei presenti lo avesse
ancora riconosciuto.
Ma perché tirava fuori quel discorso proprio ora?
“Hermione…” – l’ammonì Scott, che non approvava certi linguaggi in casa propria.
“E tu Draco?” – chiese Minerva. – “Come mai sei stato licenziato?”
“Oh, io…” – ma non sapeva che dire.
“Lui è più o
meno nella mia situazione…” – disse Hermione,
venendogli incontro. – “… ha dato tutto per
quell’azienda e si è ritrovato senza più
niente.”
Draco la guardò, stupito e
sospettoso. La capacità che aveva quella ragazza di farlo
sprofondare nella vergogna più nera per poi risollevarlo come se
niente fosse era veramente incredibile.
“Capisco…
bene!” – disse Scott. – “Hermione, ho fatto un
paio di conti e da domani, se volete, potete iniziare a lavorare con me. Tu ti occuperai delle solite cose e tu Draco, per il momento ti metterò ad organizzare i carichi.”
“Va bene. Grazie per l’aiuto.”
Ciò che balzò subito all’orecchio di Draco fu che il padre di Hermione non aveva detto “lavorare per me” ma “lavorare con me”.
Era una sottigliezza lessicale ma
che dava a intendere con che tipo di persone avrebbe avuto a che fare:
persone semplici, persone che non si facevano problemi ad accoglierne
una in difficoltà e darle una mano.
Non sapeva cosa lo avrebbe aspettato ma non si era mai tirato indietro di fronte a una sfida.
Dopo la colazione, Kevin
portò la sua Astoria a fare una passeggiata. Avevano tante cose
di cui parlare, mentre Neville, Daphne e Damian si erano assentati per
risolvere alcune pratiche in sospeso. Marika si ritirò in camera
sua. Aveva alcune leggere fitte all’addome e non voleva rischiare
di perdere il suo bambino.
Così, rimasero Hermione e Draco da soli.
“Stronzo, eh?” – disse lui ad un tratto.
“Beh, hai forse qualcosa da ridire?” – chiese lei perplessa.
“Conoscendoti, mi sarei aspettato di peggio.”
“Ah beh, se vuoi rimedio
subito. Te ne ho tirate dietro talmente tante che mi sembra strano che
non ti sia ancora rotto qualcosa.” – ironizzò.
Avevano preso posto insieme sul dondolo sulla veranda, mentre osservavano la natura circostante prendere vita.
“Ti ascolto.” – disse lui, fermamente intenzionato a sapere cosa la ragazza pensava realmente di lui.
“Sicuro di volerlo sapere?” – chiese, per essere certa che lo volesse veramente.
“Credo di sì.” – disse Draco.
Hermione ridacchiò per quell’improvvisa insicurezza.
Poi tornò seria e si
preparò a dirgli tutto quello che aveva pensato di lui quando
l’aveva cacciata dalla ditta e umiliata pubblicamente.
“Diciamo che
“stronzo” non è appropriato.” –
iniziò. – “E’ stata la prima cosa che mi
è venuta in mente, ma a mente fredda ho pensato che più
che stronzo, tu fossi un ipocrita, falso con gli altri e con te
stesso.”
Il tempo degli scherzi era finito, e Draco l’aveva capito da come Hermione parlava e dal suo tono di voce.
Non avevano mai affrontato
veramente il discorso a casa della riccia e forse in quei giorni ne
avrebbero avuto modo. Adesso stava a lui scegliere se arrabbiarsi e
piantare il muso a Hermione per ciò che gli avrebbe detto o se
farne tesoro e migliorarsi, per riuscire a otterene il suo perdono.
Alla fine dei giochi, Hermione era
stata l’unica che gli avesse dimostrato sincera lealtà e
onestà ma lui, accecato da ciò che Pansy aveva voluto
fargli vedere, l’aveva cacciata.
“Vuoi avere sempre
l’ultima parola su tutto e t’incazzi come una bestia se
qualcuno prova a contraddirti. Non ti piacciono i bugiardi, ma ne hai
avuta una sotto il naso per anni. Parli di volere lealtà dai
tuoi collaboratori, ma quando ne trovi una che non solo ti da la
lealtà che cerchi, ma anche il sangue, la cacci e la umili
pubblicamente. Ti ho trovato in quel rudere e se non ti avessi portato
via molto probabilmente saresti morto sotto quelle travi, il che mi ha
portato alla conclusione che non hai avuto nessuno che ti ospitasse o
che ti tendesse una mano nel momento del bisogno…” –
si girò e lo guardò con un sorrisetto compiaciuto.
– “… come infatti io ti avevo già
detto.”
Ah sì! E chi se le scordava quelle parole?
“Passi
una vita a soddisfare le esigenze degli altri e tralasci le tue ma
quando viene il momento che hai bisogno di aiuto e vai dalle persone
che hai sempre cercato di compiacere, queste ti voltano le spalle,
perché hanno altro da fare. Non si curano se stai male e non ti
aiutano se loro per primi non hanno un personale tornaconto. E alla
luce di ciò preferisco vivere una vita d’isolamento e
riuscire a guardarmi ancora allo specchio, piuttosto che accompagnarmi
a persone che al mio primo momento di cedimento mi
abbandoneranno.”
“Non ti rendevi conto che
per essere un buon capo-squadra non era necessario terrorizzare il
dipendente con minacce sottili o esplicite…” – di
nuovo lo guardò, e di nuovo a Draco tornarono in mente le sue
parole.
Ed erano passati solo pochi mesi…
“Non ti conviene sfidarmi! Potresti rimanere a piedi con il lavoro!”
“Cos’è?
Passiamo alle minacce esplicite, adesso? Vuole mettermi a fare due
lavori? Benissimo! Nessun problema! Sappia però che un colpo
basso simile non me lo sarei mai aspettato!”
“… ma bastava
semplicemente una pacca di incoraggiamento di tanto in tanto per fargli
capire che non era solo un numero o solo uno stipendio che usciva ma un
essere umano e che come tale andava trattato.” – seguirono
alcuni attimi di silenzio, dove Draco era rimasto veramente turbato da
quelle rivelazioni.
Non credeva, non immaginava di essersi comportato in quella maniera.
Ricordava di aver sempre fatto i
complimenti ai suoi collaboratori, ma solo ora si rese conto che li
faceva solo a chi portava effettivi introiti nell’azienda, ai
suoi avvocati che lo consigliavano sempre nel modo migliore, agli
agenti che portavano clienti.
Non aveva mai fatto un
complimento, o come diceva Hermione, non aveva mai dato una pacca sulla
spalla a un magazziniere o alle ragazze della cancelleria per come
svolgevano quotidianamente i loro compiti.
“Da domani entrerai a far parte di una realtà ben diversa, Draco.” – lo avvisò.
Hermione si alzò dal
dondolo e si spolverò i pantaloni, mentre in lontananza la sua
Lilly giocava a rimpiattino con le papere. Era davvero strano quel
cane: poteva ammazzare quegli animali, ma si limitava a rincorrerli
salvo poi lasciarli stare quando erano veramente stanchi di
correre…
“Come tuo nonno e tuo padre prima di te, mio padre sta portando avanti un sogno.”
Draco la guardò di scatto.
Quelle parole erano così familiari… dove le aveva già sentite?
Poi, ricordò.
Erano state pensate da lui da
mettere appositamente sul sito aziendale nella voce “CHI
SIAMO” della ditta. Aveva letto la cronistoria
dell’azienda? Si era preparata per entrare nella sua
realtà fino a quel punto?
“Qui non ci sono capi o
responsabili. Non troverai nessuno che chiederà il permesso di
prendersi delle ferie, ma persone che si conoscono da una vita e che
sanno quali sono le proprie responsabilità. L’unico capo
è mio padre, perché è lui che ha sulle spalle la
gestione dell’azienda dal punto di vista legale, per il resto
siamo tutti uguali.”
Draco teneva lo sguardo sulle assi del pavimento.
“Capirai cosa significhi
fare otto-dodici ore di fila senza mai fermarsi, capirai
cos’è il vero lavoro di squadra, capirai cosa significa
rimanerci male quando nessuno apprezza ciò che fai. Lilly!
Lascia in pace Penelope, dai!” – esclamò Hermione,
rivolta al cane.
Lilly abbaiò alla papera,
che crollò sfinita a terra, e poi corse da Hermione che si
chinò per prenderla in braccio.
Guardò Draco per un attimo.
Forse era stata troppo dura, ma
non le importava. Non era lui che aveva subito una profonda
umiliazione, non era lui che era stato pubblicamente accusato di furto.
Aveva ancora tante altre cose da dire, ma per il momento le avrebbe
tenute per sé. Per quanto se le meritasse, non era una che
continuava a picchiare l’avversario quando questi era già
a terra.
Rientrò in casa per aiutare sua madre a preparare qualcosa per il pranzo.
Draco rimase fuori, fermo sul
dondolo. Tanta brutale onestà da Hermione non se la sarebbe mai
aspettata, eppure… avrebbe dovuto immaginare che la ragazza non
ci sarebbe andata giù leggera. Così come doveva
aspettarsi che prima o poi sarebbe esplosa.
L’attimo successivo
ripensò alle parole che aveva rivolto a Pansy nel suo ufficio
quando lui aveva scelto di non crederle.
“Dio
Cristo Pansy! Sei la peggior calamità che la terra abbia mai
visto dai tempi dei faraoni! Forse qualcosa di buono in tutta questa
storia c’è: finalmente posso dirti in faccia quello che
penso di te, senza dover rischiare di beccarmi un surplus di lavoro! Ma
non mi lamento di questo, no! Quello che mi è stato sulle palle
dall’inizio di questa commedia è che tu sei una
poveraccia, che non sa pulirsi il culo da sola, che deve sempre
ricorrere all’aiuto di qualcuno! L’unica cosa che mi auguro
è che un giorno tu ti possa rendere conto di quanto la tua vita
sia vuota e di come hai trattato le persone, anche se forse quella
mosca che gira su quel cumulo di merda che tu osi chiamare cervello,
non arriverà mai formulare un pensiero che vada oltre il te
stessa!”
Nemmeno lui, che con le parole ci sapeva fare, avrebbe saputo… fare di meglio.
Solo dopo aver scoperto tutto,
Draco pensò che Hermione aveva riassunto magistralmente la vita
e la personalità di Pansy e che la scelta di alcuni termini
– calamità, poveraccia, vita vuota e, la sua preferita,
cumulo di merda – era stata più che azzeccata, nemmeno li
avesse pensati di notte.
Ma non era di Pansy che doveva preoccuparsi.
Era di se stesso in relazione a Hermione.
Si diresse verso la sua dependance e vi rimase fino all’ora di pranzo.
Aveva molto cui pensare.
Hermione stava aiutando Minerva a
preparare il pranzo, affettando qualche verdura e insaporendo
l’arrosto. Era parecchio taciturna ed era anormale per un tipo
peperino come lei.
“Cosa c’è?” – chiese la madre, mentre mescolava il sugo.
Hermione alzò gli occhi un secondo. Non aveva molta voglia di parlare.
“Nulla…” – ma il suo tono e i suoi mutismi dicevano esattamente il contrario.
“Quindi non c’entra niente Draco?”
La ragazza sbattè il coltello sull’asse, rischiando di tagliarsi un mignolo.
“Oh, ma tutti con Draco ce l’avete?” – sbottò infastidita.
Minerva la guardò sorpresa e un sorrisetto le increspò le labbra.
“Non ridere in quel modo. Qualsiasi cosa a cui tu stia pensando non è quella.”
“Stavo solo pensando che l’arrosto verrà fuori veramente bene…” – ironizzò.
“Sì, certo…” – disse Hermione, sorridendo per quel tentativo di sollevarle l’umore.
“Coraggio… cosa ti turba?”
“Sono solo stanca… tutto qui. Non ti preoccupare.” – disse Hermione con un sorriso tirato.
“Come preferisci.” – disse Minerva, tornando a controllare l’arrosto.
Hermione sapeva di darle un dispiacere, ma era da quel
giorno che faticava a confidarsi con qualcuno. Con Daphne era diverso
perché la sorella maggiore intuiva al volo i suoi pensieri e
Hermione non doveva fare altro che annuire o negare. Per Hermione,
prendere sua madre, farla sedere su una sedia e confidarle le sue pene,
era un’impresa ercoliana.
Pian piano la casa si rianimò di persone.
Astoria e Kevin erano tornati
dalla passeggiata con in mente già alcune centinaia di nomi nel
caso fosse un bambino e circa alcune decine di migliaia nel caso fosse
stata una bambina. Daphne, Neville e Damian avevano sbrigato tutto il
lavoro arretrato, mentre Marika ancora non accennava a farsi vedere.
“Hermione, hai visto Marika?” – chiese Damian.
“L’ho vista salire per
andare in camera sua… mi sembrava che avesse delle fitte al
ventre, ma niente di cui…” – ma Hermione non fece in
tempo a finire di parlare, che Damian era scattato come una molla verso
la loro camera per accertarsi che non ci fossero problemi. –
“… preoccuparsi.” – concluse Hermione. –
“Mamma, apparecchio?”
Minerva controllò l’ora e annuì.
“Sì, grazie.”
Hermione prese la tovaglia, mentre
veniva aggiornata sugli ultimi sviluppi dell’azienda paterna e
sui pettegolezzi del paese. Aggiunse un posto per Draco e poi
aspettò l’arrivo del suo papà.
Quando tutti i commensali presero posto a tavola, il pranzo fu servito.
Il caso
volle (e cioè Daphne, Neville, Damian, Marika, Astoria e Kevin)
che Hermione e Draco sedessero vicini, poiché avevano notato una
certa tensione aleggiare tra di loro. Non si scambiarono una parola per
tutto il pranzo, salvo qualche intervento sporadico per non passare per
maleducati.
Finito il pranzo, si radunarono
tutti in salotto, dove un bel caminetto acceso faceva bella mostra di
sé. Scott prese posto sulla sua poltrona, mentre gli altri, ad
esclusione di Hermione, si sedettero sul divano. La piccola della
famiglia preferì sdraiarsi su un enorme cuscino giallo che, a
occhio e croce, aveva stampato sopra la sagoma della ragazza.
“Allora Draco… raccontaci un po’ di te. Dove abiti?”
“Nella dependance, al momento.” – disse lui.
Gli altri si misero a ridere.
“E prima di stare nella dependance?”
“A casa di Hermione.”
La ragazza alzò lo sguardo,
con gli occhi sgranati e il viso che si stava colorando pian piano di
rosso. Il silenzio calò sulla stanza e Draco pensò che
forse aveva esagerato.
“Nel senso che quando il
nostro ex datore di lavoro ci aveva licenziati, il proprietario
dell’appartamento mi aveva sfrattato e mi ero ritrovato senza
casa. Hermione mi ha offerto un posto dove stare fino a che non trovavo
un’altra sistemazione.” – Draco sentì
distintamente i cuori dei presenti iniziare a rallentare e alcuni
sospiri di sollievo uscire dalle loro gole, ermeticamente serrate.
Bastardo, pensò Hermione, guardandolo.
“Oh… bene…
hehehe…” – rise istericamente Scott, che aveva
ripreso a respirare correttamente.
Non era ancora pronto a vedersi portar via anche l’ultima figlia.
“Di cosa ti occupavi prima, Draco?” – chiese Astoria.
“Me me la cavavo con i conti…” – ammise lui.
“Oh, bene!” –
disse Daphne. – “Così potrai aiutare la nostra
Hermione nel suo lavoro.”
“Mi occupo dell’agenda
di papà, Daphne… non seguo più
l’amministrazione.” – disse lei, guardando negli
occhi la sorella.
Ecco il guaio di avere una sorella
che capisce tutto di te: si mette sempre in mezzo per creare casini che
alla fine ti lascia da sistemare.
“Beh l’agenda di papà non sarà mai tanto piena come quella del tuo ex datore di lavoro, non credi?”
Draco osservò le due e capì che Hermione, con Daphne, doveva essere stata sincera fino in fondo.
“E’ sempre un impegno
e voglio farlo bene.” – disse Hermione, mentre gli altri
non capivano l’insistenza di Daphne.
“Ma nel vecchio lavoro ne facevi due, no?” – s’intromise Draco.
Hermione lo trucidò con lo sguardo.
“Sì, ma…”
“Allora è deciso. Oltre all’agenda aiuterai Draco con la contabilità e i trasporti.”
Hermione si alzò di scatto dal cuscino, veramente arrabbiata.
“Ma che problemi ci sono?
Dato che ci siete perché non mi fate andare in giro con il
camion, anche?” – detto questo, prese l’uscita e
andò a schiarirsi le idee fuori al freddo, mentre i presenti si
scambiavano occhiate perplesse per lo scoppio della ragazza.
Hermione era uscita e si era
diretta verso il suo albero. Con un salto raggiunse il primo ramo e vi
si arrampicò sopra, andando avanti per tre-quattro rami e
arrivando ad un’altezza non indifferente.
Quando Daphne fa così non
la sopporto!, pensò stizzita Hermione. Sempre a voler avere
ragione… e sono anche senza cappotto!, pensò Hermione
sempre più seccata. Si raggomitolò su se stessa per
cercare di scaldarsi, traendo un momentaneo beneficio.
“Hermione?”
La ragazza alzò gli occhi. E adesso che voleva?
“Hermione non
c’è… lasciate un messaggio.” – disse
lei, finché non percepì una presenza vicino a lei. Si
girò e sbuffò infastidita. – “Cosa
vuoi?”
“Sapere perché te la sei presa in quel modo. Ci sono rimasti tutti male.”
“Perché? Perché me la sono presa? Ma ci sei o ci fai?”
“Allora dimmi una cosa: mi hai portato qui con lo scopo di sputtanarmi davanti alla tua famiglia?”
Hermione lo guardò allibita. Da quand’è che parlava in quel modo, Draco?
“Coraggio… perché mi hai portato qui?”
La stessa domanda, solo che era stata posta dall’ultima persona alla quale poteva dare una risposta.
“Perché aiutandoti mi
sono messa in pace la coscienza. Ma se preferisci basta che me lo dici.
Ti riporto a casa, in quel rudere che credo si sia ridotto ormai ad un
cumulo di macerie.” – disse lei cattiva.
“Senti, so che ce l’hai con me per quello che ti ho fatto, ma…”
“Ce l’ho con
te?” – disse lei sdegnata. – “Io sono incazzata
a morte con te, Draco! Ti ho dato anche il culo, ma non ti è
bastato! Mi hai usata per metterti in pari con il lavoro e poi mi hai
cestinata. Sono incazzata e delusa! Perché speravo che tu avessi
un po’ più di fiducia in me, ma alla prima
difficoltà non ti sei posto la minima domanda. Mi hai
semplicemente sbattuta fuori!” – con il dorso della mano
asciugò le due lacrime che le erano sfuggite. – “Mi
hai umiliata, perché quando mi hai sbattuta fuori non hai solo
licenziato una dipendente, ma hai tacitamente detto ai miei ex colleghi
che ero colpevole.”
“Ok. Ho sbagliato.”
– ammise lui. – “Dimmi cosa devo fare per farmi
perdonare e lo farò.”
Hermione si girò, incredula per quelle parole.
“Guarda che non siamo dei
bambini, Draco! Non ti devo perdonare perché mi hai tirato i
capelli. Tu mi hai piantato un coltello nella schiena!”
“Lo so e ho
sbagliato.” – ripeté. “Ho sbagliato in tante
cose ma credo che qualcuno voglia offrirmi una seconda
possibilità di riscatto. Ti dimostrerò che puoi fidarti
di me.”
Hermione si girò. Il suo
viso era ancora deformato dal dolore del ricordo, ma dentro di
sé sperava vivamente che alle parole di Draco seguissero anche i
fatti.
“A parole sei sempre stato
bravo.” – disse, con un sorriso amaro. – “Per
una volta mettici anche i fatti.” – disse Hermione con un
tono di voce che aprì a Draco uno spiraglio di speranza.
“Avrai i tuoi fatti. Ora scendi, però o ti prenderai un accidenti.”
A malincuore, Hermione, si
alzò e iniziò a scendere dall’albero, mentre sulla
porta di casa vi era tutta la sua famiglia che l’aspettava,
preoccupata per quella reazione.
“Tutto bene?” – chiese Scott.
“Sì, scusa…
è che sono ancora un po’ stanca.” – ammise
Hermione con un sorriso tirato.
“Allora va a riposarti, che domani mi servi in forma.”
Hermione sorrise e si diresse in
camera sua per riposare. Con un gesto della mano salutò la sua
famiglia e poi sparì dietro l’angolo.
“Bene, chi ha voglia di una partita a scarabeo?” – chiese Scott.
Tutti alzarono la mano, tranne
Draco, che addusse la scusa di non sapervi giocare per rimanere in
disparte e pensare a come poter riconquistare la fiducia di quella
ragazza che stava imparando a stimare.
Hermione era in camera sua, nella
sua vecchia cameretta e si stava coccolando la sua Lilly. La cagnolina,
vergognosamente a gambe aperte per le coccole sul pancino, ogni tanto
si stiracchiava finchè non cadde addormentata pure lei, accanto
alla sua padroncina.
La ragazza era anche davvero
stanca. L’accumulo del lavoro nell’azienda di Draco non era
ancora del tutto passato e ora come ora aveva solo bisogno di dormire e
di riprendere a lavorare con un ritmo molto meno serrato. Il fatto che
poi avrebbe dovuto stargli accanto per tutto il giorno per aiutarlo ad
inserirsi non l’aiutava a far sparire la tensione. Avrebbe sempre
dovuto dimostrare di essere una buona impiegata, a prescindere dalla
mole di lavoro che le veniva attribuita.
L’odore nauseabondo dei gas
degli scarichi dei camion, l’olezzo delle macchie d’olio
che creavano fatui arcobaleni a seconda della prospettiva con la quale
si guardavano e il via vai dei camionisti che scendevano e salivano da
un tir all’altro, accolsero Draco in quello che lui, di primo
acchitto, definì “il Girone dei Puzzoni”.
Spaesato per tutta quella
confusione e sporcizia che aleggiava nel magazzino, andò dietro
a Hermione come un bambino che sta per affrontare il primo giorno
d’asilo: spaurito. Osservò, per quanto quei pesanti odori
gli permettessero di avere la mente lucida, il rapporto che la ragazza,
che camminava sicura davanti a lui, aveva con i vari dipendenti e i
camionisti.
Ora si spiegava molte cose…
“Ehi, Hermione! Alla buon’ora! Finalmente sei tornata all’ovile!”
“E a giudicare dalla puzza
tu non te ne sei mai andato Luke.” – fu la stoccata di
Hermione che non si era nemmeno voltata per guardarlo in faccia.
Luke Tennwalk, il figlio del
macellaio. Non aveva voluto prendere in gestione la macelleria del
padre perché odiava l’odore di carne e sangue che
impregnava la pelle del padre quando tornava a casa la sera e si era
trovato un posto nell’azienda del padre di Hermione, della
ragazza che qualche anno addietro si divertiva a tormentare, come
magazziniere.
Non puzzava più di carne e sangue ma di olio e grasso per motori.
Hermione aveva messo una pietra
sopra a tutti i dispetti che le aveva fatto quando era più
giovane, ma ogni tanto le piaceva far ricordare chi comandava e Luke,
battutina ad effetto finale di Hermione, capì di dover tornare
al proprio posto se non voleva perderlo.
La ragazza lo sorpassò senza tanto badargli, visto che aveva altre cose più importanti da fare.
“Stronzo.” –
sentenziò Hermione, pensando che il rumore dei camion accesi
avesse impedito a Draco di sentirla.
Speranza vana.
“Effettivamente…” – disse Draco.
Hermione sentì Draco ma non
si girò. Le parole che lei gli aveva rivolto solo la sera prima
erano presenti tra di loro come un muro invalicabile.
Entrarono in un ufficetto non
molto grande ma sufficiente per una persona sola, per Draco. Lo fece
accomodare su una sedia e prese dal cassetto alcuni incartamenti.
“Allora…”
– disse, sfogliando con attenzione alcune pagine. –
“Questa è una relazione che ho stilato personalmente che
riguarda l’attività della ditta di mio padre. Per ogni
settore ho descritto le varie mansioni. Ti consiglio di leggerlo prima
di affrontare questo mondo. Non siamo un’azienda multimilionaria
come la tua…” – si bloccò per la gaffe
commessa.
Lo sguardo di Draco era diventato serio, come se avesse pensato che lo avesse fatto apposta. Hermione chinò lo sguardo.
“Scusa, quello che volevo
dire è che non siamo molto grandi, ma abbiamo parecchio lavoro.
Trattiamo trasporti di vario genere, dagli alimentari fino ai
traslochi, quindi come puoi immaginare abbiamo permessi diversi per
ogni tipo di trasporto che effettuiamo. Quello di cui ti dovrai
occupare tu, sono i trasporti alimentari; sono molto delicati
perché necessitano di documenti sempre in regola per non
incappare in sanzioni stratosferiche.” – Hermione
sfogliò le pagine fino ad arrivare alla voce “Trasporti
Alimentari” e lo porse a Draco. – “Troverai indicati
i documenti che servono e le leggi che governano questa tipologia di
trasporto. Mi raccomando: sono molto importanti.”
Draco prese il libro e iniziò a leggerlo.
“Per qualsiasi cosa, sono in ufficio da mio padre.”
“Sì,
ok…” – disse lui, osservandola uscire
dall’ufficio. – “Allora… Trasporti
Alimentari…”
Draco arrivò a scontrarsi
con un nuovo mondo, fatto di regole e codicilli a lui ignoti. In
azienda si occupava di cose ben più importanti, lasciando ai
capi-settore l’incombenza di conoscere la legge e le sue
applicazioni. Aveva concesso loro il potere di firma sui documenti per
non dover ogni volta essere interrotto, con l’allora fidanzata
Pansy Parkinson, in attività più redditizie.
Ogni volta che si trasportava un
alimento, lesse, serviva una denuncia in carta semplice che attestasse
che il camionista, con tanto di dati anagrafici al seguito, fosse
autorizzato a trasportare quel tipo di merce. Per non parlare di come
ogni alimento prevedesse la sua denuncia, in quanto non era possibile
effettuare una denuncia comulativa. Fortunatamente la denuncia aveva la
durata di due anni, quindi non era necessario ogni volta compliare
scartoffie su scartoffie. Si trovò a leggere con interesse
quella relazione ben dettagliata, con allegati i vari moduli da usare e
già compilati come “faxsimile” in modo tale che
l’utente fosse agevolato al meglio nel proprio lavoro.
Alla quinta pagina, Draco smise di leggere e si perse nei propri pensieri.
Per l’ennesima volta si
ritrovò a pensare a quanto stupido fosse stato ad aver
licenziato un lavoratore del calibro di Hermione. Era una ragazza
sveglia, qualificata come poche, conosceva l’amministrazione come
le sue tasche e lui aveva avuto l’incoscienza di sbatterla solo
per non aver voluto indagare più a fondo. Si ripromise, se e
quando sarebbe avvenuto, che se fosse riuscito a riprendere il possesso
della propria azienda, avrebbe riassunto Hermione come sua socia in
affari.
Riprese la lettura per
un’altra buona mezz’ora, arrivando a concludere il capitolo
nel giro di mezz’ora. Insoddisfatto, lo cominciò daccapo,
leggendo anche quello che esulava dai suoi compiti. Dopotutto, se
Hermione all’interno della Malfoy Home era arrivata ad avere una
conoscenza globale, era stato perché si era impegnata a fondo e
non si era limitata solo al proprio lavoro.
Intanto, nell’ufficietto di Scott…
“Hai dato il lavoro a Draco?”
Hermione aveva appena preso l’agenda del padre e notò, con disappunto, la disorganizzazione degli appuntamenti.
“Sì. L’ho
lasciato che se lo stava leggendo, ma porca paletta,
papà!” – esclamò Hermione. – “Ma
chi ti ha tenuto l’agenda?”
“Astoria, perché?”
“Non s’era
capito.” – ironizzò Hermione. – “Certo
che è una casinara quella ragazza!” – esclamò
Hermione.
“Dai, su, non arrabbiarti
con lei. Tra poco diventerà mamma… e io nonno!”
– esclamò Scott con gli occhi cuoriforme.
Hermione lo guardò malissimo.
“E io zia… dai,
mettiamoci a lavorare.” – disse Hermione, svilendo
l’entusiasmo del padre per la prossima nascita.
In men che non si dica, Hermione
sistemò l’agenda del padre, sistemando gli appuntamenti
con precisione maniacale, facendo apparire il lavoro di Astoria come il
quaderno della brutta copia di scuola.
Soddisfatta del proprio lavoro, la
ragazza alzò gli occhi e notò con soddisfazione che era
arrivata l’ora di pranzo. Andò a vedere com’era
messo Draco: a quell’ora avrebbe già dovuto finire il
capitolo relativo ai trasporti alimentari e andò a curiosare la
situazione. Quando entrò lo trovò alla scrivania con
aperti davanti tre-quattro raccoglitori.
“Ciao, che stai facendo?” – s’informò.
Draco alzò leggermente lo sguardo, ma lo riabbassò, interessato a quello che stava leggendo.
“Passo dalla teoria alla pratica, prof…”
Hermione ridacchiò.
“Allora pronto allora per
l’interrogazione?” – lo vide incurvare l’angolo
destro delle labbra verso l’alto, sintomo che quella
conversazione lo stuzzicava parecchio.
“Certo.”
“Però oggi mi sento buona. Ti faccio prima pranzare e poi ti farò sudare le sette proverbiali camice.”
Draco guardò l’ora e si rese conto che era ora di pranzare.
“Il padrone sei tu.” – disse, chiudendo il raccoglitore e andando verso la porta.
“Farei bene a tenermelo a
mente.” – disse Hermione con il sorriso di chi sa di avere
il coltello dalla parte del manico.
Erano seduti al tavolo della mensa
e Hermione, inconsciamente, era diventata il centro
dell’attenzione. Presentarsi in mensa con un pezzo di ragazzo
simile era una notizia che avrebbe viaggiato al di là del tempo
e dello spazio, soprattutto se la parte femminile della coppia era
Hermione, vista la sua reticenza nelle relazioni amorose.
“Ci stanno fissando tutti…” – osservò Draco, per la prima volta in vita sua a disagio.
Hermione alzò lo sguardo su di lui e lo riabbassò, sorridendo.
“La cosa ti fa sorridere?”
“Sì, perchè
già immagino i pensieri dei presenti.” – disse,
addentando il suo secondo panino.
“Perché? Che pensieri fanno?”
Hermione lo guardò come se avesse davanti un verginello di fronte alla prima esperienza sessuale.
“Mi risulta che tu non sia vergine.” – disse Hermione.
“Infatti…”
La ragazza sorrise, quindi lui aveva capito a cosa alludesse.
“… sono dello Scorpione ascendente Toro.” – rispose lui, che proprio non aveva capito niente.
Hermione stava per addentare il
secondo morso del panino, ma alzò lo sguardo come se avesse
visto un lombrico fare l’hula hop.
“Mi… mi prendi in giro?”
“Perché?”
La ragazza rimise nel piatto il panino e si passò una mano sulla fronte, incredula.
“Intendevo vergine nell’altro senso.” – specificò la ragazza.
“Ah…” – disse lui che aveva finalmente capito. – “… ah.”
“A volte mi lasci senza parole, davvero.” – ammise sconcertata.
“Eh, ho capito male…” – disse lui, mentre lei squoteva la testa, rassegnata.
“Secondo te a che pensano di preciso.”
“Che andiamo a letto insieme.” – disse con franchezza la ragazza, tanto che l’uomo ci rimase male.
Hermione continuò a mangiare il suo panino, come se avesse appena detto che il giorno dopo ci sarebbe stata pioggia.
“Certo che non ti fai problemi a dire le cose come stanno, eh?”
“Evito i fraintendimenti
Avresti preferito che dicessi “stanno sicuramente pensando al
modo in cui mi hai deflorata”. Ti suona meglio?”
“No, ok…andava meglio
l’altra…” – disse Draco, non abituato a
sentire Hermione usare certi linguaggi altisonanti.
“Ecco… oggi pomeriggio comunque ti metterò sotto.”
Draco sgranò gli occhi.
“Come?”
“Sì, ti farò sudare come un matto. Non ho tempo da perdere, quindi faremo una cosa veloce. Spero che tu possa stare al passo.”
E per la prima volta, Draco arrossì di botto. Oh, quante prime volte che stava avendo il bel signorino…
“Voglio vedere come te la cavi sotto pressione. Dovrai essere svelto e venire con me quando te lo dirò.”
Draco era sempre più rosso.
“Beh? Come mai sei rosso?” – chiese la ragazza, che non si era accorta del doppio senso delle sue parole.
“Mi… mi hai
praticamente proposto di fare sesso con te!” –
esclamò a voce leggermente alta, voce che arrivò alle
orecchie di alcuni colleghi che iniziarono a guardare Hermione con
occhi spalancati.
Ora fu il turno di lei ad arrossire vistosamente.
“Ma… ma sei scemo??!” – gracchiò incredula. – “Quando?”
“Prima!”
“Ti ho solo illustrato il
lavoro che dovrai fare! Non ti ho mica…” – poi si
rese conto delle sue effettive parole e dell’enorme,
mastodontico, colossale equivoco che ne era uscito. –
“…ohssanto cazzo!” – disse imbarazzata come
non mai. Infilò in bocca l’ultimo boccone e si
alzò, allontanandosi più che poteva da quel tavolo. Si
allontanò, borbottando qualcosa sulla mente malata di Draco.
Si ritrovarono, faccia a faccia,
nell’ufficio dove avrebbe lavorato con lui, imbarazzati fino al
midollo e rossi come due pomodori maturi.
“Io…” –
dissero all’unisono. Questo non fece altro che accrescere
l’imbarazzo, ormai schizzato a livelli esponenziali.
“Prima tu…” – di nuovo, insieme.
Aprirono bocca nello stesso
momento, ma stavolta nessuno dei due aprì bocca. Era incredibile
il sincronismo che avevano in quel momento.
Allora Hermione lo indicò con l’indice, pregandolo tacitamente di continuare quello che voleva dire.
“Sì, io… scusa per prima… non so come ho potuto capire fischi per fiaschi…”
“N-non ti preoccupare… capita anche a me…” – chiese lei con un sorriso ancora imbarazzato.
“Certo. Allora… ehm, con cosa inizio?”
Hermione si mise d’impegno a
spiegargli come funzionava il lavoro che di lì a poco sarebbe
andato a svolgere, constatando con piacere che, nonostante fosse un
uomo abituato a vivere nel lusso e quindi a non sporcarsi le mani,
Draco recepiva con estrema facilità le regolamentazioni e leggi
affini sui trasporti.
Passò circa un’oretta
chiusa in quell’ufficio a spiegare tutto per filo e per segno e
alla fine Draco potè dire di avere una laurea in trasportologia.
“… tutto chiaro?” – chiese Hermione, con la gola secca.
“Sì, nessun problema.”
La ragazza annuì.
“Ok. Io adesso devo andare via con mio padre, tornerò verso le sei.”
“Clienti?”
“No.”
Draco notò che il viso di
lei si era rabbuiato d’un tratto, ma non volle insistere. In
fondo, chi era lui per chiedere informazioni personali?
“Ok. Ci vediamo dopo, allora.” – disse lui.
“Sì, ciao.”
Hermione uscì
dall’ufficio e andò in quello del padre, che la stava
aspettando con un sorriso amorevole sul volto.
“Sei pronta?”
“No, ma fa lo stesso.” – rispose lei, avviandosi verso l’auto paterna.
Stava avendo serie
difficoltà con quella nuova procedura e, dopo due ore spese a
cercare di capire cosa non andasse, Draco si vide costretto a fare
l’ultima cosa che avrebbe voluto fare.
Chiedere aiuto.
Si alzò dalla sedia,
indispettito come mai in vita sua e si diresse al primo piano, dove
Daphne stava fatturando alcuni articoli. Con l’indice della mano
sinistra si teneva il segno, mentre con la mano destra schiacciava ad
una velocità impressionante i tasti sulla tastiera numerica.
“Ciao Draco.” – disse Daphne, senza alzare il volto dal foglio.
Il ragazzo entrò, chiudendo
dietro di sé la porta e la guardò, per vedere se ci fosse
una finestrella o uno spioncino con il quale Daphne avesse potuto
identificarlo.
“Se aspetti un secondo, sono subito da te.” – disse la ragazza, concentrata al massimo sul suo lavoro.
Cinque minuti più tardi, in
cui il silenzio regnava sovrano, a parte il frenetico ticchettare delle
unghie sulla tastiera, Daphne alzò lo sguardo, sorridendo
soddisfatta e si dedicò a Draco.
“Scommetto che hai problemi con il programma di gestione trasporti.”
L’uomo iniziò veramente a preoccuparsi. Ma dov’era finito? In una famiglia di maghi onniveggenti?
“Come…”
“Perché sia io,
Astoria, Marika e Hermione abbiamo avuto il tuo stesso problema
all’epoca. Non riesci a compilare il modulo C7?”
“Esatto.” – disse lui, sempre più perplesso.
“Nessun problema. Archivio questa fattura e scendo con te.”
Come promesso, Daphne
archiviò la fattura nel suo raccoglitore e poi scese con Draco
nel suo ufficio per aiutarlo nell’impresa.
“Dove ti sei fermato?” – chiese, sedendosi al suo posto.
“Qui: il sistema non mi permette di proseguire. Cos’ho dimenticato?”
Daphne studiò un attimo la situazione e poi sorrise.
“Per poter procedere, dovevi mettere una spunta lì vicino, altrimenti non riconosce il tipo di documento.”
Infastidito per aver disturbato una sua, alla fine, collega per una stupidata simile, Draco chinò il capo e annuì.
“Grazie.”
Daphne si alzò e stava per
uscire, ma tornò sui suoi passi e si sedette sulla sedia di
fronte a lui. Draco la guardò, cercando di capire cosa potesse
volere ancora.
“Sì?” – chiese lui.
“Hermione mi ha detto tutto.” – disse lei con semplicità.
Draco s’irrigidì sul
posto, ma si rilassò impercettibilmente quando notò che
sul viso della ragazza non vi erano tracce di odio o rabbia, ma
solamente un sorriso tirato.
“Capisco. Quindi sei arrabbiata anche tu, immagino.”
“No.” – disse lei, squotendo la testa, come se avesse detto un’eresia.
“Perché?”
“Perché ho la
sensazione che tu possa aiutarla.” – e con questa frase
enigmatica, Daphne lo lasciò da solo, a cercare di capire la
mente contorta di una delle figlie Granger.
“Chi vi capisce è bravo…” – borbottò Draco, per poi riprendere il suo lavoro.
Ancora cinque minuti e poi avrebbe potuto fare una bella doccia e gustarsi una cena prelibata.
Ora che ci pensava, Draco
realizzò che tutte le cene nei grandi ristoranti di Londra non
erano poi così succulente come invece lo erano gli arrosti della
signora Granger. Sapeva cucinare la carne con maestria, lasciando un
velo di croccantezza fuori e una polpa morbida dentro, innaffiandola la
maggior parte delle volte con dell’ottimo vino rosso. Quello era
stato eletto a suo piatto preferito e aveva iniziato a vedere le
porzioni che gli venivano servite al ristorante come piatti da morti di
fame, come aveva detto Hermione quando erano stati in America.
Quel ricordo lo fece sorridere.
“Scusi… ma lei con un piatto del genere riesce a levarsela la fame?”
Aveva davvero pensato che fosse
una ragazza rozza, solo perché non abituata alla raffinatezza di
certe cucine. Adesso era lui che stava facendo la figura del rozzo,
perché se pensava ai piatti della signora Granger e li metteva a
confronto con quelli dei ristoranti ai quali era abituato, la donna li
batteva su tutta la linea, sia per bontà che per consistenza.
Se Hermione fosse stata lì,
non si sarebbe fatta problemi a dirgli “te l’avevo
detto” e che gli agriturismi erano davvero i posti migliori dove
andare per mangiare.
Ma… a proposito di Hermione.
Chissà dov’è finita, pensò Draco.
Il biondo tornò a casa con
Daphne e Neville, lievemente in pensiero per la ragazza. Non voleva
esporre i propri pensieri alla coppia, per non apparire invadente. Se
Hermione avesse voluto parlargli, lo avrebbe fatto. La lingua di certo
non le mancava.
Entrò in casa e
salutò Minerva, mentre la sua mente iniziava a registrare il
profumo di arrosto che la donna aveva magistralmente preparato.
“A farvi la doccia, signori!” – ordinò la donna con un imperativo materno.
Tutti obbedirono più che volentieri e andarono a fare la doccia.
“Facciamo la doccia insieme?” – sentì Neville dirlo a Daphne.
Vide la ragazza arrossire, ma nel
contempo lasciarsi passare in vita il braccio del marito e farsi
condurre ai piani alti con decisione, ma dolcezza allo stesso tempo.
Altro bebè in arrivo?…
Si ritrovò a pensare a
quante volte lui avesse preso Pansy in quel modo. E la risposta
arrivò tranquillamente, identificandosi in un chiaro e secco MAI.
Con lei non aveva mai avuto un
momento di dolcezza, un attimo di pura estasi, un momento in cui si
fosse preso la briga di guardarla negli occhi e pensare “ma cosa
ho fatto per meritarti?”
Ogni coppia di quella casa
trasudava un’intimità e un amore incredibile, forte,
costruito su basi solide. Il modo in cui si scambiavano le opinioni, in
cui semplicemente si passavano il sale oppure ridevano. Tutti questi
gesti erano così semplici, ma allo stesso tempo perfetti, da
procurargli dentro una strana sensazione, qualcosa che si stava
muovendo, ma che ancora non sapeva definire. Tutto quell’amore
fece sì che il sangue iniziasse a pompare più velocemente
nelle vene e che il cuore iniziasse a battere sempre più forte.
Stava per alzarsi e uscire, ignorando gli sguardi perplessi di presenti
ma si trattenne per l’arrivo di Hermione.
Era stranamente sollevato nel
rivederla, nonostante il suo viso avesse un che di tetro. Salutò
a malapena e si diresse in salotto sul cuscino giallo adagiato in
terra. Nessuno badò molto a quel comportamento, come se fosse
stato una cosa decisamente normale.
Pian piano la sala da pranzo si svuotò in quanto tutti erano andati a fare la doccia, chi in coppia e chi da solo…
Draco rimase da solo, in compagnia di Minerva che assaggiava il sugo dell’arrosto che lentamente si cuoceva.
“Coraggio, vai a parlarle. Sono sicura che un po’ di chiacchiera non le farà male.”
Draco si girò di scatto
verso la donna e annuì. La sua ipotesi che quella famiglia fosse
un ritrovo di maghi onniveggenti stava lentamente diventando concreta.
Si diresse in salotto, trovandola
in posizione fetale su cuscino che, in quel momento, gli apparve enorme
per uno scricciolo come lei.
“Hermione?” – la chiamò lui piano, per non spaventarla.
“Mhm…” – mugulò lei, facendogli capire che accettava la sua presenza.
“Qualcosa non va?”
Hermione alzò le spalle.
“Stai male?” –
erano tutte domande stupide, ma almeno erano un tentativo di
conversazione per cercare di distrarre la ragazza.
“No…”
“Vuoi che me ne vada?” – chiese lui.
“Fa come ti pare…” – disse lei.
Draco allora se ne andò.
Evidentemente l’appuntamento di quel giorno con il padre doveva
essere stato molto particolare se aveva ridotto Carro Armato in quello
stato.
La ragazza, dal canto suo, non
voleva essere maleducata. Draco la voleva solo aiutare, anche se
nessuno poteva, e lei lo aveva trattato come una pezza da piedi. Vide
che si allontanò da lei grazie al riflesso sul vetro della
cristalliera davanti a lei…
… e si sentì un verme con le gambe.
Gli chiederò scusa più tardi, pensò la ragazza.
Com’era stanca…
La cena fu relativamente allegra,
se si tralasciava il buco nero che corrispondeva al nome di Hermione.
Per tutta la cena, la ragazza non aveva aperto bocca.
Draco era a dir poco sorpreso
dall’atteggiamento di tutti e, da perfetto estraneo, lo
giudicò irrispettoso nei confronti della ragazza. Era evidente
che avesse qualcosa e ignorare il problema non avrebbe di certo aiutato
a risolverlo.
Tuttavia, preferì
rimanersene zitto e tranquillo al suo posto. Non voleva fare la figura
dell’impiccione e tirarsi addosso le inimicizie di tutti.
Notò che Hermione non aveva toccato cibo e, quando tutti ebbero quasi finito, si congedò.
“Vado a letto. Buona notte…”
“Ciao Hermione, buona notte.” – disse il padre, comprensivo.
Tutti la salutarono e il posto di
Hermione rimase vuoto e i commensali ripresero la cena da dove
l’avevano interrotta, come se l’assenza di Hermione non
fosse stata minimamente calcolata.
Dalla sua camera, quella
mansardata, Hermione sentiva debolmente le voci dei suoi parenti al
piano terra. La sua Lilly era accucciata nel suo cuscino ai piedi del
letto, dove un vecchio maglione di Hermione veniva usato come coperta
per la cagnolina. La ragazza aveva trovato a malapena il fiato di farsi
una doccia e poi si era coricata a letto, nella speranza che il sonno
arrivasse subito.
Odiava quando suo padre le faceva
fare quelle cose. A che servivano? A niente! Se non a farla stare
ancora più male di quanto non stesse già. La stanchezza
accumulata si fece sentire e pian piano si addormentò.
Si svegliò di soprassalto,
come se durante il sonno avesse ricordato di dover fare una cosa
importante prima di andare a letto ma che, ovviamente, non aveva fatto.
Impiegò qualche minuto per
capire che si trovava nella sua camera. Guardò la sveglia sul
suo comodino e vide che erano le dieci e quarantacinque. E pensare che
credeva di aver dormito per due giorni di fila!
Cercò nella mente quello
che doveva fare prima di coricarsi, ma non riuscì a ricordare.
Si infilò sotto il piumone e fu solo allora, quando ebbe trovato
la posizione adatta, che ricordò. Doveva chiedere scusa a Draco.
Sbuffando, scese dal letto e andò alla finestra. Sicuramente stava dormendo e…
C’è la luce accesa,
constatò. Vabbè, non devo mica fare i monologhi. Vado
lì, gli chiedo scusa poi me ne torno a letto.
Decisasi, indossò le
ciabatte e scese al piano inferiore, facendo attenzione a non fare
troppo rumore. Arrivò alla scarpiera e indossò un paio di
scarpe e si diresse verso la depandance.
Draco non riusciva a dormire.
Aver visto l’indifferenza
con la quale la famiglia di Hermione aveva trattato la ragazza lo aveva
quasi fatto ricredere sul concetto di amore che si era fatto
nell’osservarli.
Era semi-sdraiato sul divano e
più cercava di imporsi di non pensare a tutta quella situazione,
più ci cascava dentro come un pero.
Un leggero bussare lo distrasse dai suoi pensieri, meravigliandolo.
Ma chi è?
Andò alla porta e sgranò gli occhi quando si vide davanti l’oggetto dei suoi pensieri.
“C-ciao…”
– balbettò lei. – “Posso… posso entrare
un attimo?” – chiese, mentre si abbracciava per scaldarsi.
Draco si spostò immediatamente e Hermione potè entrare a scaldarsi.
“Scusami per l’ora.”
“No, niente. E’ successo qualcosa?”
“No, no, io… ero venuta per… chiederti scusa.”
“Per cosa?” – chiese il biondo sempre più stupito.
“Per stasera… non
sono stata molto carina…” – per tutta la
conversazione, Hermione non lo aveva mai guardato in faccia.
“Traquilla.” –
rispose lui per non farle pesare quel suo comportamento. –
“Io già non ci pensavo più.” – la
tranquillizzò.
Hermione sorrise.
“Grazie. Allora io vado.
Notte.” – stava per andarsene, ma lui la fermò per
un polso. Era stato istintivo.
Pian piano, Draco, la fece voltare verso di sé. Aveva ancora lo sguardo basso.
“Cosa c’è?” – chiese con un fil di voce.
“Io…” –
resosi conto di quello che aveva fatto, le lasciò il polso.
– “Niente, scusa.”
Hermione annuì e corse fuori dalla depandance.
Fu faticoso per entrambi essere raggiunti dal sonno.
Sapevano che c’era qualcosa
che non andava, qualcosa che spingeva dalla bocca dello stomaco per
uscire ma cercavano in tutti i modi di trattenerla all’interno.
Farla uscire sarebbe stato un terremoto di proporzioni epiche.
“Non riesco ancora a credere che Draco si sia fatto fregare come un principiante.”
La notizia della mala gestione di Draco era arrivata, naturalmente, oltreoceano.
John Cook aveva installato in una
saletta a suo uso personale una tv per seguire ciò che accadeva
nel mondo. Accanto a lui vi era la sua schiera di avvocati, legali e i
galoppini più fidati per capire come muoversi adesso che Draco
non era più a capo della ditta.
“Signor Cook, propongo di recidere il contratto in breve tempo. Non sappiamo come sarà la prossima gestione.”
John osservò lo schermo, pensieroso.
La Malfoy Home aveva sempre
fornito loro materiale di prima qualità in tempi impeccabili.
Com’era stato possibile quel crollo così improvviso?
“Ho preso informazioni sul nuovo direttore, signor Cook.”
John si riscosse dai propri
pensieri e guardò Sturgis, uno dei suoi tanti legali. Gli porse
un fascicoletto ben fornito, ma se inizialmente pensava fossero tutte
informazioni positive, quando lesse le prime righe, si ricredette
subito.
“E questo idiota avrebbe rilevato la società di Draco?!” – chiese John, allibito.
In quel momento entrò Laney.
Fin dal primo momento che era
venuta a sapere di ciò che stava succedendo alla Malfoy Home, si
era attivata per capire che stesse succedendo. Fosse stato un fornitore
qualsiasi non avrebbe scatenato un polverone per avere le informazioni
che le occorrevano, anzi… fosse stato uno qualsiasi avrebbe
voltato pagina fin da subito e cercato un altro.
Ma in quell’azienda ci
lavorava Hermione e Hermione era la ragazza più precisa e
scrupolosa che avesse mai conosciuto e se lei stessa aveva detto di non
aver commesso errori nella digitazione dei numeri delle provvigioni,
allora l’unica spiegazione possibile era che qualcun altro lo avesse fatto al posto suo.
Lavorava incessantemente da
Dicembre su quel grattacapo finché non aveva trovato in Internet
alcune foto di Pansy Parkinson, abbracciata a un uomo che non era Draco
Malfoy.
Ma Theodore Nott.
La mora aveva lasciato
un’intervista dove si diceva assolutamente sgomenta da ciò
che era successo e che aveva lasciato Draco perché non voleva
che il buon nome della sua famiglia fosse trascinato nel fango a causa
delle sue azioni sconsiderate. Il matrimonio era stato disdetto
praticamente il giorno dopo dalla famiglia della ragazza mentre il
giorno dopo ancora lei mostrava di aver superato il
“dolore” della perdita di Draco – da come ne parlava
prima della rottura, sembrava che senza di lui non avrebbe potuto
più vivere una vita che si chiamasse tale – mostrandosi al
fianco di colui che aveva rilevato l’azienda di Malfoy con un
sorriso radioso e con una collana di brillanti che avrebbe oscurato il
sole.
Forse Laney guardava troppi
telefilm polizieschi, ma aveva il sentore che quel Nott
c’entrasse qualcosa e perché no?, anche quella sgualdrina
di Pansy Parkinson.
La Malfoy Home esisteva sul mercato da decenni e Draco aveva mostrato di saper condurre l’azienda in modo impeccabile.
Basta pensare che il primo cliente
che Draco aveva portato a casa sotto lo sguardo allibito di tutti, di
suo padre in primis, era stata proprio la Livin Home.
Era impossibile che il mordente e
le capacità di Draco fossero venuti meno nel giro di una notte!
No… lì c’era qualcosa che non andava.
John leggeva incredulo il
fascicolo – più che fascicolo poteva essere definito
“fedina penale sporca” – di quel Nott che, da quanto
c’era scritto, non sapeva fare neanche due più due.
E aveva avuto il coraggio di rilevare la Malfoy Home?
“Laney!”
“Credo ti possa interessare questo.” – disse la ragazza, porgendogli un secondo fascicoletto.
Quando aprì quel secondo, John alzò lo sguardo su Laney.
“Vedo che la ex futura
signora Malfoy si è consolata in fretta.” –
commentò John. – “Signori, trovatemi un modo in
fretta per scindere il contratto con la Malfoy Home. Subito!”
Come api impazzite, i presenti
uscirono dalla saletta, confabulando tra loro su come fare senza
incorrere in sanzioni o penali astronomiche.
Rimasero solo John e Laney.
“Tu che ne pensi?” – chiese l’uomo.
“Qualcuno ha voluto far fuori Malfoy, mi sembra chiaro.” – fu il commento di Laney.
“Lo penso anch’io. Draco non è un cretino qualsiasi.”
“Beh, forse un po’ cretino lo è stato a non accorgersi di quello che accadeva sotto il suo naso.”
“E cioè?”
“Le foto parlano
chiaro.” – iniziò Laney, indicando a John il
fascicoletto con un’occhiata. – “La società va
a picco nel giro di un mese e mezzo, la fidanzata lo lascia e il suo
migliore amico se la prende? Scusa, ma non ho mai creduto alle
coincidenze.”
John arricciò le labbra, pensieroso.
“Mi chiedo come abbia fatto
questo… questo… questo idiota a rilevare la Malfoy
Home!” – esclamò John. – “Non sa nemmeno
fare uno più uno!”
“A riprova che c’è qualcosa sotto questo improvviso fallimento.”
“Dici che c’entra lui?”
“Io direi loro.”
– disse, includendo anche Pansy. – “John… per
dimostrare di essere in grado di condurre quell’azienda, Draco
è riuscito a portare a casa te
come cliente. Questo la dice lunga sulle capacità di persuasione
di quell’uomo e per anni abbiamo mantenuto con loro ottimi
rapporti di lavoro. E mi rifiuto di credere che una persona simile, nel
giro di una notte, abbia dimenticato le regole basilari per gestire
un’impresa! Senza contare che se Hermione ha detto di non aver
commesso errori, allora sta pur sicuro che di errori, lei, non ne ha
fatti.”
“E cosa dovrei fare?”
“Niente. O meglio…
liberati della Malfoy Home, perché se quel Nott non sa fare
niente, ti trascinerà a picco con lui.”
“Ho detto ai miei legali di tirarmene fuori, ma la vedo dura.”
“Perché? Tu avevi un contratto con la Malfoy Home, non con quel pagliaccio di Nott.”
John sorrise.
“Magari fosse così
semplice Laney. Di mezzo c’è un contratto. Poco importa
chi sia il titolare, se Draco o quell’incompetente che
c’è adesso al suo posto.”
“Se riuscissi a parlare con
Hermione…” – disse Laney, frustrata. –
“… forse riuscirei a farmi dire qualcosa in
più.”
“Ancora niente?”
“Macchè! La maggior parte delle volte è staccato.”
“Senti, adesso come adesso
non possiamo fare un granchè. Tu cerca di chiamare Hermione e
fatti dire che sta succedendo. Io intanto devo sbrigare alcune
faccende.”
“D’accordo.”
John rimase solo mentre una grande agitazione si spandeva in lui.
Laney aveva ragione: le
capacità manageriali di una persona non sparivano dalla sera
alla mattina! Qualcuno doveva aver remato contro Draco per permettergli
di svendere in quel modo la società e chi altri se non colui che
l’aveva rilevata?
Addocchiò le foto di lui che lo ritraevano con la Parkinson.
E forse anche lei.
“Possiamo parlare?”
“Cosa? Sì, certo entra. Finisco questo e arrivo.”
“No. Adesso.”
Daphne guardò sua sorella Astoria sorpresa. Posò la penna sul tavolo e si girò verso di lei.
“Che succede?”
Astoria non era mai stata brava
con le parole, anzi: il più delle volte faceva solo figuracce e
non aveva il dono della diplomazia. Se doveva chiedere qualcosa,
quindi, la chiedeva, senza prendere inutili giri che avevano solo il
potere di far perdere tempo.
“Sei arrabbiata?”
Daphne sollevò un sopracciglio.
“Scusa?”
“Sei arrabbiata?” – ripeté Ria.
“Perché dovrei essere… che hai fatto stavolta?” – chiese Daphne, con mezzo sorrisetto divertito.
Sorrisetto che si spense immediatamente quando vide sua sorella mantenere lo sguardo serio.
“Per cosa dovrei essere arrabbiata, esattamente?” – chiese Daphne, decidendo di stare al gioco.
“Perché sono incinta.”
Daphne sbarrò gli occhi, incredula.
Per non parlare del fatto che iniziò veramente a preoccuparsi quando vide gli occhi di Ria riempirsi di lacrime.
Daphne si passò una mano
sugli occhi, stanca, e quando sentì un singhiozzo lasciare la
gola della sorella rialzò lo sguardo.
“Vieni qui.” – disse alzandosi e aprendo le braccia.
Astoria ci si incastrò dentro alla perfezione.
“Mi dispiace…” – singhiozzò lei.
Daphne la strinse maggiormente a sé.
“Non dirlo mai più.” – scandì, dura.
Se la staccò di dosso e le
prese il volto tra le mani, per essere sicura che niente di ciò
che stava per dire andasse perso.
“Ciò che è
successo è solo colpa mia.” – chiarì. –
“Tu non devi dispiacerti di niente, sono stata chiara?”
“Tu però…”
“Io niente, Ria. Io sono molto felice per te, davvero.”
“Non mi hai mai abbracciata…” – disse.
Era passato qualche giorno da
quando Astoria aveva confessato di essere incinta e sua sorella Daphne
non l’aveva mai abbracciata. Si era, certo, congratulata con lei,
ma mai nessun abbraccio.
“Ria, lo sai perché.
Il mio cuore è felice, gioisce per te ma la mia mente…
quella va per conto suo. Di qualsiasi cosa tu dovessi aver bisogno,
puoi chiamarmi tranquillamente, lo sai.”
“Mi dispiace…” – singhiozzò lei.
“Non ti preoccupare.”
Evidentemente doveva andare così.
Ma quello fu un pensiero che Daphne tenne per sé.
Calli corner:
Purtroppo sono di frettissima e non posso trattenermi più di tanto, se non per chiedervi se il capitolo vi sia piaciuto.
Draco sta iniziando a chinare la testa e chiedere aiuto; speriamo possa continuare così.
Beh, che dire?
Mi dispiace andare così di corsissima, ma ho un appuntamento con il dentista e non vedo l’ora di andare… -.-
Naturalmente, vi lascio il solito spoiler!
“Ma
guardati!” – esclamò. – “Non ti si
può dire niente che subito scatti come una molla! Costringi la
tua famiglia a camminare in punta dei piedi per non disturbarti e
quando qualcuno dice qualcosa che non ti va, lo zittisci come se fosse
una merda! Io sarò insistente, ma tu sei una gran bella
ipocrita!”
La mano si mosse da sola e andò a cozzare contro la sua guancia.
‘Azz… che è successo?
Un bacio e alla settimana prossima!
P.S.: accetto qualsiasi preghiera per i miei dentini…
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Capitolo 13 *** San Valentino, la festa di ogni cretino... ***
13 - San Valentino, la festa di ogni cretino
Ciao a tutti e ben ritrovati a Malfoy Home!
Non so voi, ma è tutta la
settimana che non ho voglia di fare niente. Vorrei solo infilarmi sotto
le coperte, staccare il campanello e dormire fino al Giorno del
Giudizio.
Bah… chi mi capisce è bravo…
Ma nonostante la mia stanchezza,
trovo sempre la forza di postare il nuovo capitolo. E poi ditemi che
per voi non mi sacrifico! ç_ç
Allora, qui troveremo il contesto dello spoiler precedente.
Chissà che sarà successo.
Naturalmente, smetto di scrivere queste cavolate, perché tanto ci rivedremo di sotto e vi lascio alla lettura.
callistas.
Draco era in ufficio.
Parte del suo cervello cercava di
concentrarsi sui moduli da compilare per il trasporto di generi
alimentari – un camion doveva partire di lì a poco, quindi
quale migliore prova sul campo per vedere se aveva imparato? –
l’altra parte pensava a Hermione e al fatto che quel mattino non
fosse partita insieme a loro.
Aveva tentato di fare qualche domanda ma non aveva mai ricevuto una vera risposta.
Mollò la penna sul tavolo e
incrociò le braccia. Era davvero perplesso per il comportamento
della famiglia di Hermione.
Scosse la testa e si rimise al lavoro. Il camion doveva partire e non poteva di certo aspettare lui.
Stranamente, sorrise.
Un tempo nessuno si sarebbe
azzardato a muovere un solo muscolo senza la sua autorizzazione, adesso
invece erano i camionisti a tenere Draco Malfoy per le palle…
“Sto andando, ciao…”
“Hermione?”
“Sì?”
“Puoi stare a casa oggi, se vuoi.”
Madre e figlia si guardarono negli occhi.
“Ci vediamo dopo.” – disse Hermione.
Minerva Granger osservò la macchina di Hermione percorrere la stradina per uscire da casa.
Rientrò con il capo chino e
con un forte peso sulle spalle e sul cuore e iniziò a preparare
il pranzo. Voleva fare l’arrosto alle cipolle che a Neville
piaceva tanto.
Prese sei cipolle belle grandi e
iniziò a sbucciarle. Peccato che avessero il brutto difetto di
farla piangere ogni volta.
Minerva invece pensava che fossero davvero utili, così poteva piangere senza far preoccupare nessuno.
A Londra, invece, Pansy Parkinson entrava alla Nott Home con un sorriso a trentadue denti sulle labbra.
Arrivò verso le nove e trenta con in mano tre sacchetti di carta recanti lo stemma di Coco Chanel.
“Attenta che non si rovinino
o me li ripaghi.” – disse Pansy, scorbutica, mettendo sulla
tastiera del computer le borse con i vestiti.
Amanda, una delle tante ragazze
dell’amministrazione che, a turno, scendevano al centralino per
coprire quella postazione, si morse la lingua per non mandare Pansy a
quel paese. Le borse, malamente sbattute sulla tastiera, avevano
schiacciato dei tasti che stavano rischiando di rovinare il suo lavoro.
“Sì, va bene.” – disse, sbrigativa.
Lei, come molti altri, aveva
notato quanto Pansy avesse alzato la cresta da quando Draco Malfoy non
era più il titolare dell’azienda. Arrivava all’ora
che voleva, se ne stava lì mezz’ora e poi se ne andava.
Intanto, le E-mail sul suo computer si accumulavano, tra le quali
quelle relative alla Sicurezza sul Lavoro.
Nell’ufficio di Draco,
invece, Theodore Nott sedeva sulla poltrona che aveva da sempre voluto
occupare con lo schienale reclinato e le braccia incrociate dietro la
testa. Era sicuro di essere in possesso dei requisiti necessari per
dirigere quella società, forse meglio di Draco. Gli insuccessi
che aveva avuto in passato non erano degni di essere presi in
considerazione: aveva semplicemente sbagliato a indirizzare la propria
attenzione ma ora che aveva sotto il sedere un’impresa ben
avviata come quella, non avrebbe avuto da fare nient’altro che
supervisionarla e apportare quei pochi cambiamenti che riteneva
necessari.
Ma se c’era un motivo che
aveva portato Nott ad accumulare un fallimento dietro l’altro,
era la sua scarsa attenzione ai dettagli, alle piccole cose.
Prima di fare un acquisto
importante come poteva essere un software gestionale o rifare
l’arredamento, Draco si faceva sempre mandare vari preventivi,
mai uno solo, in modo da poter avere sott’occhio i vari prezzi,
la qualità del materiale e la provenienza. Non lasciava mai
niente al caso e riusciva sempre a farsi fare un ulteriore sconto
sull’acquisto.
Ancor prima della sua primissima
spesa come titolare dell’azienda, Theo decise che uno dei famosi
“pochi” cambiamenti che intendeva apportare, fu il cambio
del nome dell’azienda.
La Malfoy Home era diventata la Nott Home.
E la prima spesa, la prima uscita che fece da titolare, fu il cambio del programma di gestione della contabilità.
Aveva personalmente telefonato
all’azienda produttrice e l’aveva comprato a scatola
chiusa, senza nemmeno informarsi sul prezzo, se poteva dilazionare il
pagamento o sapere se era possibile avere un ulteriore sconto sul
prezzo di listino.
Ma il problema di quel software
era che era stato testato su piccole aziende. Sostenere il lavoro della
Nott Home sarebbe stato veramente impossibile.
Per non parlare del fatto che
fosse difficile da usare e che gli impiegati, ormai abituati al vecchio
programma di cui conoscevano vita, morte e miracoli, avrebbero
impiegato una vita per poterlo imparare.
La società fornitrice
avrebbe messo a disposizione – a pagamento – dei tecnici
per insegnare ad alcuni impiegati l’uso del programma e che a
loro volta avrebbero dovuto insegnarlo agli altri.
Draco, invece, quando la
compravendita era stata messa a punto, aveva preteso dei professionisti
che insegnassero ai dipendenti come funzionasse il programma in orari
non lavorativi, come una sorta di corso aziendale.
Era appena la metà di
Gennaio e tra Theo e Pansy, mezzi introiti della Malfoy Home erano
spariti tra spese inutili e vestiti griffati.
Di quel passo dell’azienda di Draco sarebbe rimasto solo il ricordo.
Il tempo passava e Febbraio aveva fatto la sua apparizione.
Era lunedì 10 e
nell’aria si respirava odore di San Valentino, anche se mancava
ancora qualche giorno. Per la festa degli innamorati, il paese aveva
organizzato una festa a tema, chiamando per l’occasione quelle
giostre che prevedevano un romantico tet-a-tet: ruota panoramica,
tunnel dell’amore, un percorso studiato apposta per delle
passeggiate al chiaro di luna…
La famiglia Granger era particolarmente elettrizzata.
Tranne Hermione.
La ragazza stava sviluppando una
sorta di diabete da San Valentino per quella festa che non era ancora
iniziata ma che aleggiava sulle loro teste come una nuvoletta della
sfiga.
Costernato dal modo che aveva
Scott di dirigere l’azienda, Draco notò che in quei giorni
la ditta aveva subito un vero e proprio esodo di massa.
Gli uffici erano pressoché
deserti e tutto perché il paese, essendo di provincia con
tradizioni ancora vive e mantenute negli anni, chiamava a raccolta i
suoi abitanti affinché partecipassero attivamente alla buona
riuscita della festa che aveva il potere di attirare parecchi turisti.
Scott era uno di quelli che partecipava attivamente come aiuto cuoco nel tendone adibito a cucina.
In azienda rimanevano solo i
trasportatori che, purtroppo, non potevano godersi degnamente la festa
ed erano costretti ad andare in giro anche sotto le feste.
Solo che quell’anno qualcosa cambiò.
Con ancora in mente le parole di
Daphne sul fatto che lei si stesse innamorando di Draco, la mente
malata di Hermione partorì una malsana idea.
Le consegne da fare sotto San
Valentino erano quattro e se si fosse impegnata avrebbe potuto farle
lei stessa, permettendo agli uomini di festeggiare il santo con la
propria moglie o la propria fidanzata. Per questo aveva letteralmente
dato fuoco alle polveri, sollecitando gli arrivi delle merci.
Draco la guardava dare ordini al
telefono e una leggera soggezione si impadronì di lui. Quella
ragazza aveva lo strano potere di far fare agli altri ciò che
più le aggradava.
“… bene, allora ti
aspetto il tredici per le otto. Grazie davvero! E anche questa è
andata.” – si disse, soddisfatta di se stessa.
Draco entrò nel suo ufficio
in quel momento. Gli sembrava quasi scortese entrare senza bussare
– se qualcuno lo avesse fatto a lui alla Malfoy Home lo avrebbe
licenziato in tronco – ma quella sembrava, più che una
legge scritta, un comportamento più che normale tra persone che
condividevano lo stesso scopo.
“Hermione?”
“Sì?”
“Ti ho portato i moduli che mi avevi chiesto.”
“Oh perfetto!” – esclamò, strappandoglieli letteralmente dalle mani.
Li pinzò uno per uno alle bolle di consegna precedentemente fatte.
“Perché li fai adesso i documenti di trasporto?” – chiese.
Lui invece aveva sempre voluto che venissero fatti al momento del carico.
“Perché si perde meno
tempo Draco.” – spiegò lei, come se non vedesse
l’ora di dirgli quella cosa.
Alla Malfoy Home aveva dovuto
starsene zitta perché se quella era la decisione del capo lei
non l’avrebbe mai contestata, ma la trovava veramente pesante e
una perdita di tempo.
“I documenti li ho fatti
adesso ma non ho messo né la data né l’ora. Quelle
gliele scriverò, quando la merce partirà e poi ho questo
registro, dove vengono segnati i dati di partenza di un carico.”
Draco guardò il tutto con interesse. Doveva ammettere che come idea funzionava.
“Così quando venerdì partirò per fare le consegne avrò tutto già pronto.” – chiarì con un bel sorriso.
“Come parti per le consegne!??” – chiese, allibito.
“Sì. Ho deciso di dare la possibilità anche agli altri di partecipare alla festa di San Valentino.”
Draco la guardò sempre
più sbalestrato: per l’idea e perché Hermione che
guidava un camion, per quanto gli avesse dimostrato che lei sapeva fare
tutto, non ce la vedeva proprio.
“Sì ma… tu?”
Stavolta fu lei a guardarlo allibito.
“Io che? Io non ci vado alla festa!” – disse, quasi offesa che avesse solo potuto pensarlo.
“Perché no?”
L’uomo non ci capiva
più nulla. Ogni ragazza normale e sana di mente amava San
Valentino! Tutte tranne… un sorriso divertito gli stirò
le labbra.
“Non è che odi San Valentino perché non hai nessuno con cui festeggiarlo?”
Hermione smise di scrivere e alzò lo sguardo su quello di Draco. Ghignò anche lei.
“E chi ti dice che non abbia nessuno?”
“Non ti ho mai vista insieme a qualcuno.”
“Dai per scontato che lei si di qui.”
Tutta la sicurezza di Draco finì nel cesso con tanto di sciacquone a seguito.
“L-lei?”
Lei? Una donna? Un’essere umano femminile? Lei?!?
“Hai qualcosa contro le lesbiche, per caso?”
“No!” – squittì.
“Perché credi che
voglia fare le consegne io, quest’anno?” – chiese,
mordicchiandosi le labbra in un gesto volutamente sensuale che gli fece
correre un brivido lungo la schiena.
“Se-sembravi etero…” – disse lui, accaldato.
Hermione accavallò
elegantemente le gambe in un gesto che Draco non le aveva mai visto
fare. Non con quella carica erotica, almeno…
“Ti dispiace sapermi lesbica, Draco?” – chiese Hermione, facendo oscillare il piede.
Draco non sapeva più cosa dire. Entrambe le risposte sarebbero state compromettenti.
“I-io…”
Hermione si alzò e gli andò davanti, sorridendo.
“Draco?”
“E-eh?” – chiese lui, attonito.
Hermione Granger nelle vesti di seduttrice.
Ora poteva dire di averle viste tutte!
“Stavo scherzando.” – disse lei, lasciandolo in piedi con gli occhi sbarrati e fissi nel vuoto.
Draco registrò quelle parole con estenuante lentezza.
Stava scherzando, aveva detto.
Quando comprese a cosa si stava
riferendo, si girò di scatto per dirgliene un treno e la
ritrovò nei panni della solita Hermione, quella un po’
imbranata e pasticciona, quella che sapeva cosa fare, quella che
rimetteva gli altri al loro posto con una semplice occhiata.
Hermione, insomma!
Ma Draco
sapeva che quel piccolo teatrino che la donna aveva inscenato solo per
prenderlo in giro, aveva spostato leggermente l’ago della
bilancia.
“Non sei stata divertente!” – esclamò, stizzito per esserci cascato come un idiota.
Hermione si girò e gli sorrise.
“Ma tu sì,
però.” – disse. – “Senti, se vuoi puoi
andare a fare un giro in paese per vedere come butta.”
“Ho del lavoro da fare.”
Si bloccò quando Hermione
si girò e gli sorrise. Non era però un sorriso divertito
o da presa in giro. Era un semplice sorriso.
Ma proprio per la sua semplicità, bellissimo.
“Non ti preoccupare, vai. Tanto qui ho finito.”
“Io no però. Ho solo qualche carta da firmare e poi torno a casa.”
“Ok. Se vuoi allora torniamo a casa insieme.” – propose lei.
“Ok.”
Draco uscì per tornare nel proprio ufficio.
In realtà non aveva niente da sbrigare. Aveva già finito quando aveva consegnato i moduli a Hermione.
Dirle che aveva dell’altro
da fare era stato istintivo. Hermione aveva una personalità
unica nel suo genere e sempre pronta a fare scherzi – e lui era
il suo bersaglio preferito perché ci cascava sempre.
Dal giorno in cui erano arrivati a
casa dei suoi, Draco aveva imparato a conoscere un po’ meglio la
ragazza, a provare sempre più stima per lei e sì, anche
del sano affetto.
Per la prima volta in vita sua,
Draco voleva bene a una persona e non perché questa poteva
portargli un vantaggio economico o perché poteva fargli un
favore: voleva bene a Hermione perché era lei.
I due si trovarono all’ingresso.
Hermione aveva chiuso a chiave la
porta e inserito l’allarme. Quei giorni pre-festivi erano anche
una benedizione da un certo punto di vista, perche le consegne
slittavano automaticamente alla settimana successiva e lei poteva
rallentare un po’ il ritmo.
La radio dava un vecchio successo dei Pink Floyd che entrambi canticchiavano sulle labbra.
“Allora? Me lo dici perché?”
“Perché cosa?” – chiese Hermione, attenta alla strada.
“Perché non vai alla festa.”
“Te l’ho detto. I
nostri trasportatori sono costretti a viaggiare anche sotto le feste.
Per una volta che se le godano pure loro.”
“E, parlando sul
serio…” – chiarì. – “…
davvero non hai nessuno con cui festeggiarlo?”
“E chi dovrei avere?” – chiese, perplessa.
“Un ragazzo, un amico particolarmente affezionato… che ne so?”
“Ringraziando Dio, nessuno.” – disse Hermione.
Draco la guardò, perplesso.
Hermione si fermò a un semaforo rosso e guardò Draco.
“Non guardarmi
così!” – esclamò. – “Non tutti
siamo nati per stare con qualcuno!”
“Una storia andata
male?” – chiese Draco, che aveva visto in quella risposta
una sorta di autodifesa per, appunto, una storia finita male.
“No. Sto bene da sola.”
“Nessuno ama stare solo.” – disse Draco con voce lontana.
“Forse.” –
concesse lei, mentre ingranò la marcia per ripartire. –
“Ma almeno sei sicuro che nessuno può farti del
male.”
Draco percepì un chiaro riferimento a Pansy.
“I rischi del mestiere, suppongo.” – disse Draco.
“Gran bel rischio.”
– disse, fintamente d’accordo. – “Tu ora stai
così, mentre quell’altra se la gode.”
“Era quella
sbagliata.” – constatò Draco. – “Non
è detto che non trovi quella giusta, magari.” –
disse, guardandola.
Hermione ricambiò distrattamente lo sguardo.
“Auguri a lei, allora.” – ridacchiò Hermione.
Draco alzò gli occhi al cielo, ma si concesse un sorrisetto divertito pure lui.
I due scesero dalla macchina e la prima “cosa” che andò loro incontro fu la piccola Lilly.
Hermione la prese in braccio al
volo quando la vide fare un salto a “volo d’angelo”
verso di lei. Le stropicciò le orecchie e si fece dare tante
leccate sulla faccia.
Se la caricò sottobraccio come un sacco di patate, cosa che il cane sembrava gradire.
Draco guardò perplesso quello strano attaccamento che Hermione aveva a quel cane ma lasciò correre.
“Bentornati.” – li salutò Minerva con il suo solito sorriso.
“Gli altri sono alla sagra?” – chiese Hermione.
“Sì. Stanno finendo di allestire gli ultimi tendoni. Avete fame ragazzi?”
“Abbastanza.” – rispose Draco.
“Dai, manca ancora mezz’ora alla cena. Fate in tempo a farvi una doccia.”
Hermione e Draco non se lo fecero ripetere due volte: corsero nei rispettivi bagni per lavarsi.
Draco si spogliò in fretta.
Aveva visto la padella della pasta e non vedeva l’ora di sapere con cosa Minerva l’avesse condita.
Hermione, invece, era ferma davanti allo specchio, come ogni volta che si spogliava per lavarsi.
Eccolo lì, il suo marchio nero.
Eccola lì, la sua condanna.
Non passava giorno che non ne avvertisse addosso l’amara presenza.
Non osava nemmeno toccarla.
Girò il capo per non guardare oltre ed entrò in doccia.
Lei, a differenza di Draco, non si sentì meglio.
A tavola, Hermione si sforzò di fare della conversazione.
Draco e Minerva, invece,
chiacchieravano che era un piacere. L’uomo elogiava le sue doti
culinarie, incredulo che non avesse deciso di aprire una trattoria:
avrebbe avuto da lavorare ad oltranza!
“Sei fin troppo gentile con questa vecchia signora, Draco.” – le disse Minerva, mentre toglieva i piatti.
“Vecchia? Dove?” – chiese il biondo, fingendo di guardarsi intorno.
Minerva rise, deliziata.
“Ah Draco!, se ti avessi incontrato prima!…” – scherzò Minerva, lasciando in sospeso la frase.
Hermione, che stava finendo il dolce, sbatté la coppetta sul tavolo e si alzò dalla sedia.
Le risa di Draco e Minerva vennero smorzate subito.
Draco rimase allibito di fronte a quel comportamento e Minerva tornò a sparecchiare senza dire più una parola.
“Scusala.” –
disse Minerva, dandogli le spalle. – “E’ un periodo
un po’ così…”
E Draco, che aveva intravisto in
Minerva una possibile fonte per sapere cosa passasse per la mente di
Hermione, cercò di farle qualche domanda. Niente di asfissiante,
per evitare che la donna si chiudesse a riccio.
“Perché? Che periodo è?”
“E’ stressata per San Valentino.”
“Dovrebbe esserne felice…” – disse Draco, sperando che la donna mangiasse la foglia.
Minerva invece fece le spallucce mentre lavava i piatti.
“Non tutte le feste sono felici, Draco.”
Un enorme punto interrogativo gli si dipinse sulla testa. Che voleva dire?
Anche se la voglia di sapere era
immensa, l’uomo non se la sentì di insistere. Minerva
sembrava particolarmente abbattuta da quell’uscita di Hermione e
lui non voleva rischiare di fare la domanda sbagliata.
“Beh, speriamo possa cambiare idea, allora.” – disse il biondo, troncando lì la conversazione.
Minerva, non vista, sorrise e sospirò di sollievo, riconoscente.
Draco guardò prima Minerva e poi la direzione presa da Hermione.
Senza pensarci su due volte, andò da Hermione.
La trovò sul dondolo, con
una gamba piegata sotto il sedere e l’altra a terra, che
l’aiutava a dondolarsi. Aveva lo sguardo chino verso terra e
Draco capì che forse era pentita di quell’uscita.
Si sedette accanto a lei senza dire una parola. In braccio, Hermione teneva l’immancabile Lilly.
“Stavamo solo scherzando Hermione.” – disse Draco.
Aveva cercato nella sua mente
mille modi per intavolare un discorso ma tutti le sembravano
così stupidi e insignificanti, così aveva ripiegato
sull’onestà.
Non era forse questo che Hermione gli aveva chiesto?
La riccia sospirò.
“Lo so…” – sussurrò lei.
La cagnolina guardò la sua padrona, si alzò sulle zampe posteriori e iniziò a leccarle la faccia.
Draco collegò subito quel gesto a quel giorno, quando era scoppiato a piangere e il cane gli aveva leccato la faccia.
Allora non ci aveva dato bado
più di tanto, ma poi si era reso conto che l’animale gli
aveva asciugato tutte le lacrime e che da quel giorno lui non ne aveva
più versata una.
Iniziò a pensare che anche Lilly fosse veramente speciale…
“Allora perché sei stata così scorbutica?”
“Non capiresti.” – disse, tirandosi via il cane dalla faccia.
“Prova a spiegarmi.” – disse lui, pazientemente.
Hermione lo guardò.
Doveva ammettere che in quel primo
mese di “lavoro forzato” si era comportato piuttosto bene,
non si era mai lamentato una volta, accettava suggerimenti e consigli
con la stessa facilità con cui li elargiva.
Ma poteva essere sufficiente tutto questo?
Gli aveva chiesto di far seguire
alle sue parole i fatti. Era sufficiente o aveva bisogno di altre prove
per perdonarlo per ciò che le aveva fatto?
“Io…”
Come poteva spiegargli quello che si portava dentro da infiniti anni? E lui? Sarebbe stato in grado di capire?
Sapeva però che se non provava, non lo avrebbe mai scoperto.
Draco non si era accorto di star trattenendo il fiato.
Non era tanto ansioso di sapere
cosa turbava Hermione, piuttosto avvertiva una sorta di groppo in gola
perché sentiva che lei stava per tornare ad avere fiducia in lui.
“… è una cosa che…”
“Siamo tornati!”
– urlò la voce di Astoria, mentre un preoccupato Kevin,
che stava disseminando ciocche di capelli per la preoccupazione per il
bambino, le stava dietro.
Hermione si zittì immediatamente.
Cosa stava per fare? Era forse impazzita?
Si alzò di scatto dal dondolo e Draco si alzò con lei.
“Hermione…”
“Fa come se non ti avessi
detto niente!” – strillò la ragazza, angosciata per
ciò che stava per fare.
Hermione scappò in casa; Draco voleva seguirla ma aveva capito che l’atmosfera era stata interrotta.
“Ciao Draco!” – trillò Astoria, tutta felice.
Il biondo guardò per
l’ultima volta la direzione presa da Hermione, scosse la testa e
si girò. Sorrise, per quanto non ne avesse voglia.
“Ehi ciao. Com’è andata in paese?”
Marika si aprì in
un’accurata descrizione di ciò che avevano fatto quel
giorno ma Draco l’ascoltava distrattamente.
Hermione si rifugiò in camera sua, dove chiuse la porta a doppia mandata.
Il cane riuscì ad entrare a
pelo, altrimenti Hermione l’avrebbe lasciata fuori, guaendo
leggermente perché un pelo della coda gli era rimasto incastrato
nella porta.
Saltò sul letto assieme al cane e chiuse gli occhi.
“Dio quanto sei
cretina!” – sbottò Hermione, riferendosi a se
stessa. – “Un imbecille! Una demente! Una stordita!”
Continuò per cinque minuti buoni, inventandosi degli aggettivi che nemmeno esistevano in natura o nella lingua corrente.
“E tu non potevi mordermi
una mano?” – sbottò verso il cane che, beata, si
stava srotolando sul fondo del letto.
La sagra iniziò mercoledì dodici Febbraio.
Il parroco del paese aveva indetto
un piccolo rito celebrativo come ogni anno per benedire quella sagra e
le persone che avevano collaborato per la sua riuscita.
Poi, finalmente, i chioschi aprirono.
Come previsto, anche quell’anno vi fu una bella affluenza di persone.
C’erano i soliti tendoni gastronomici, dei dolci, le giostre per i bambini e quelle per gli adulti.
Draco si guardava attorno,
meravigliato. Non che non avesse mai visto una giostra dal vivo, ma
lì si sentiva proprio il calore umano che aveva dato vita a
quella festa.
Hermione era intervenuta unicamente per la celebrazione di Padre Peter e ora che aveva finito, poteva tornarsene a casa.
“Andiamo Lilly?”
La cagnetta però non era
d’accordo. Voleva almeno qualcosa da mangiare da uno di quei
chioschetti e Hermione, conscia che se non le avesse preso niente il
cane le avrebbe dichiarato guerra, le comprò una crepe alla
nutella.
“Va a finire che mi muori di diabete…” – borbottò Hermione, mentre spezzava la crepe.
Si incamminarono verso casa, allontanandosi senza aver salutato nessuno.
“E così sei di Londra città.” – disse una.
“Già…”
“Io sono stata sulla London
Eye. Da lì hai davvero un’altra prospettiva del
mondo…” – disse un’altra.
“Io sono riuscita ad entrare al Tower Bridge. Bellissimo!” – esclamò una terza.
Altra attrazione della sagra di paese fu Draco.
L’uomo aveva riscosso
parecchio successo tra la fauna femminile e ora si ritrovava
accerchiato da tre ragazze della sua età molto carine, ma che
non erano il suo genere. Tuttavia, l’educazione impostagli da sua
madre e le convenzioni sociali imponevano che lui le ascoltasse,
pregando Dio che trovassero qualcosa di più interessante di lui.
Al momento, però, sembrava una speranza vana.
Con la coda dell’occhio scorse un vestito familiare.
“Signore, vogliate scusarmi ma ho visto un’amica che non vedo da molto tempo. Vado a salutarla.”
Le ragazze annuirono in coro e
quando Draco si allontanò, parlottarono tra loro di quanto quel
ragazzo fosse così a modo e soprattutto molto carino.
“Hermione!”
La ragazza si fermò e si girò. Quando vide Draco abbassò lo sguardo.
“Ciao.” – salutò lei.
“Ciao. Dove vai?”
“A casa.” – rispose lei, come se fosse normale.
“Non vuoi goderti un po’ la festa?” – chiese.
“Veramente no.” – disse.
Fece per andarsene, ma Draco la fermò per un polso.
“Un boccone!” –
esclamò, per trattenerla. – “Mangia qualcosa almeno,
prima di andare via.”
Onestamente non capiva
perché insisteva tanto a trattenerla lì. Non gli aveva
forse già spiegato che a lei, San Valentino, faceva venire
l’orticaria?
Eppure un certo languorino
l’aveva. Fortuna che la musica copriva il temporale che si stava
svolgendo nel suo stomaco o si sarebbe sotterrata.
Notando la sua esitazione, Draco rincarò la dose.
“Dai, non pensi che tuo padre ci tenga che tu assaggi qualcosa che ha cucinato lui?”
“Non so se sia il caso…” – disse Hermione, rendendosi conto di star arrampicandosi sugli specchi.
“Guarda! Anche Lilly ha fame! Non vuoi darle le sue pappe?”
Poche cose aveva capito Draco di
quel cane: una era che era molto affettuosa – predatrice sessuale
canina rendeva meglio l’idea – due che amava stare tra le
persone perché, o da uno o dall’altra riusciva a farsi
fare qualche coccola extra e tre era tale e quale a Hermione: un pozzo
senza fondo. Quindi nominare la parola “pappe” fu
sufficiente per scatenare nel cane un moto di profonda ribellione sul
fatto di dover tornare a casa.
“Lilly! Lilly!”
– esclamò Hermione, tirando il cane per farla star calma.
– “Io… e va bene!” – acconsentì.
– “Un piatto di pasta e poi me ne vado.”
Le ultime parole famose.
Dalla pasta Draco riuscì a
farle prendere il secondo, la verdura – patate fritte e arrosto
– il dolce e il caffè, corretto con mezzo litro di latte.
“Se rotolo arrivo a casa prima…” – esalò Hermione, piena come un uovo.
Dopo aver mangiato tutto quello
che Draco le aveva piazzato davanti – sapeva come prendere
Hermione: per la gola – Hermione stava tornando a casa.
Il cane, poi, aveva mangiato e
bevuto come due porci e ora doveva fare i suoi bisogni. La sagra
distava circa venti minuti a piedi da casa sua e la ragazza decise di
fare una passeggiata.
E Draco con lei.
I rumori della festa iniziarono ad attutirsi e Hermione tornò in possesso delle sue orecchie.
Ogni filo d’erba era annaffiato dal fiotto del cane che, poveretto, non ce la faceva più.
“E’ davvero una bella festa.” – disse Draco. – “Mi stupisce che non ti piaccia.”
“Io non ho detto che la sagra non mi piace. E’ San Valentino che mi sta sulle scatole.”
“Perché? Che hai contro questa festa?”
Quella volta non avrebbe lasciato correre.
Hermione si fermò e piantò i suoi occhi in quelli di Draco: adesso era venuto il momento di stabilire dei limiti.
“Senti, chiariamo un paio di punti…” – disse Hermione.
Draco comprese subito che non stava parlando tanto per dare aria alla bocca. Si fece serio pure lui.
“… sono contenta che
tu ti sia ambientato bene, ma ciò non ti autorizza a ficcare il
naso nella mia vita privata. Ci sono delle cose che non mi piacciono
come a migliaia di altre persone nel mondo. Non vedo perché tu
ne debba farne una questione di stato!” – poi
s’incamminò a passo spedito.
Draco la guardò allontanarsi di qualche passo ma lui, in poche falcate la riprese e le si parò davanti.
“E io non capisco perché tu debba essere sempre così sulle spine!”
Hermione sbarrò gli occhi.
“Ma guardati!” –
esclamò. – “Non ti si può dire niente che
subito scatti come una molla! Costringi la tua famiglia a camminare in
punta dei piedi per non disturbarti e quando qualcuno dice qualcosa che
non ti va, lo zittisci come se fosse una merda! Io sarò
insistente, ma tu sei una gran bella ipocrita!”
La mano si mosse da sola e andò a cozzare contro la sua guancia.
Cadde un pesante silenzio tra loro.
Draco guardò Hermione
duramente per quel gesto che forse, sì, si era meritato, ma che
palesava quanto avesse centrato il punto con quelle parole.
Hermione guardò Draco
sofferente per quel gesto che, senza forse, era sorto spontaneo
perché non era riuscita ad accettare quella scomoda
verità.
Draco aveva ragione: lei
costringeva la sua famiglia a camminare sulle uova, a dosare i sospiri
per non irritarla, a misurare le parole per evitare la scenata del
giorno prima.
E Hermione, più di prima, si rese conto di essere solo un peso per la sua famiglia.
Non disse niente.
S’incamminò per
tornare a casa, facendo bene attenzione che la mano destra, quella che
aveva dato lo schiaffo a Draco, non toccasse nessun’altra parte
del suo corpo.
“Massì scappa!”
– sbottò Draco. – “Tu sei solo brava a parlare
ma batti in ritirata quando è ora che ascolti i tuoi stessi
consigli!” – urlò Draco.
Hermione proseguì per la propria strada, con lo sguardo sbarrato di fronte a sé e colmo di lacrime.
“E non azzardarti mai
più a venire a fare la predica a me sul far seguire i fatti alle
parole!” – concluse.
Forse non l’aveva sentito
perché la ragazza era stata inghiottita
dall’oscurità ma ogni parola di Draco era stata scolpita a
fuoco nella sua mente.
Aveva ragione.
Per quei cinque giorni di festa, il paese cadeva nel black-out totale.
Funzionavano solo i bar e i panifici che lavoravano per fornire il pane alla sagra, ma per il resto, tutto era chiuso.
Hermione era in ufficio dalle otto e mezza e lavorava ininterrottamente a tutto ciò che le capitava sotto mano.
Si era perfino messa a ripulire
l’ufficio di suo padre quando si era resa conto che in previsione
di San Valentino i suoi colleghi avevano sbrigato tutte le faccende,
per evitare di trovarsi alla settimana successiva con un carico di
lavoro doppio.
Aveva sempre in mente le parole di
Draco ed era in quei momenti che s’impegnava due volte in
più in ciò che stava facendo.
Lui aveva ragione.
Gli aveva sempre fatto la predica ignara che le sue stesse parole avrebbero potuto rivoltarsi contro di lei.
Spazzava il pavimento, punteggiandolo delle lacrime che non riusciva a fermare.
Si sentiva ridotta a uno straccio, peggio del moccio che se ne stava nel secchio pronto all’uso.
Lui aveva ragione.
Era un’ipocrita,
perché condannava la sua famiglia a stare attenta a come
parlava, a come si muoveva in sua presenza, ma non aveva il coraggio di
staccarsi da loro e vivere la sua vita pienamente.
Lui aveva ragione.
Lei scappava. Anziché risolvere un problema, prendeva e scappava lontano.
Era brava a risolvere i problemi sul lavoro, ma non quelli della sua vita privata.
Draco, invece, era rimasto a casa.
Era nella dependance e pensava a
quello che aveva detto a Hermione la sera prima. Forse avrebbe dovuto
starsene zitto e incassare, perché Hermione aveva fatto tanto
per lui ma non c’era riuscito.
Aveva notato come la ragazza fosse
brava a fare la predica agli altri ma quanto poi non riuscisse ad
applicare i medesimi concetti che lei stessa elargiva su di sé.
Da lui aveva preteso i fatti, oltre alle parole.
Allora perché lui non poteva pretendere lo stesso per sé?
Decise di parlarne con Minerva.
Magari lei avrebbe potuto
chiarirgli un po’ più la confusione che aveva in testa,
solo che quando mise piede in casa, trovò la donna intenta a
parlare al telefono.
“… lo sai
com’è fatta…” – la sentì dire.
– “… per lei non può esistere festa peggiore
di questa, lo sai. Sì, sì… c’era da
aspettarselo. È stato un miracolo che Draco sia riuscita a
trattenerla per tutte le portate.”
Sentendosi chiamare in causa ed
essere riuscito a fare qualcosa che nessun altro era riuscito a fare,
Draco si sentì orgoglioso. Ancora non sapeva il perché,
però.
“Non posso forzarla a fare qualcosa che non vuole. Non ti devi preoccupare per me. No. Sì.”
Avrebbe dato un braccio per sapere di cosa stava parlando Minerva!
“Ha bisogno di tempo. Certo
che non gli ho detto niente, per chi mi hai presa? Se Hermione
vorrà parlargli, lo farà lei stessa. Io non intendo
violare la sua privacy in questo modo. Sì, d’accordo. A
stasera.”
Minerva riagganciò la cornetta e Draco uscì senza farsi sentire.
“Minerva?” – chiamò Draco, fingendo di essere arrivato in quel momento e di non aver sentito niente.
“Sono qui!” – rispose la donna, cercando di dissimulare il dispiacere della chiamata.
“Ah eccoti. Perché non sei alla festa?”
“La casa non si pulisce da sola, Draco.” – scherzò la donna.
L’uomo però riuscì a cogliere la nota forzata nella sua voce.
“Ma se brilla di luce propria!” – disse l’uomo, cercando di rasserenarla.
Ci riuscì.
“Grazie davvero. Comunque andrò stasera. Tu vieni con me?”
“Volentieri.”
“Oggi a pranzo saremo noi tre.”
Draco s’irrigidì impercettibilmente. Sperò che andasse tutto bene.
Hermione tornò a casa a
mezzogiorno e un quarto, entrò in casa, salutò sia Draco
sia sua madre e poi si lavò le mani.
“Ci sono arretrati sul lavoro, Hermione?” – s’informò Minerva.
Draco continuò a mangiare,
prestando però attenzione all’atteggiamento di una e
dell’altra. Era proprio vero: Minerva camminava sulle uova e
permetteva a Hermione di fare il bello e il brutto tempo.
“No. Tutti si sono dati da
fare la settimana scorsa per non lasciarne. ” –
spiegò la riccia. – “Ah, oggi pomeriggio vado a fare
la consegna al posto di Oliver.”
Il pezzo di pane si fermò a metà strada. Minerva era perplessa.
“Perché?”
“Ieri l’ho sentito
mentre parlava al telefono con Angelina. Era triste perché non
poteva portarla alla festa, così l’ho sostituito.”
“Gentile da parte tua.”
Hermione sorrise tiratamente.
“Ti dispiace se Draco viene con te?”
Il biondo alzò lo sguardo su Minerva, sbigottito. Ma… avevano detto che sarebbero andati alla festa insieme!
“Perché dovrebbe venire?” – chiese, preoccupata.
“Le consegne di Oliver sono
tutte in mezzo ai boschi e con strade che non mi piacciono. Almeno
saprò che c’è qualcuno con te.”
“Ma tanto la strada la
conosco.” – rispose, cercando di trovare ogni scappatoia
possibile per non avere Draco tra i piedi.
“Hermione davvero. Mi sentirei più sicura.” – disse la donna.
“Non c’è bisogno di rischiare in due.” – disse, pentendosene subito dopo.
Sia Draco sia Minerva la guardarono sbalestrati.
“Che vorresti dire con
questo?” – chiese il biondo, sbalestrato dalle implicazioni
che quella frase aveva portato con sé.
“Beh, tu sei un ospite qui. Cerco di fare in modo che non ti capiti niente di male.” – rispose.
Quella era una vera e propria scalata sugli specchi!, pensò Draco.
“Non ti preoccupare per
me.” – disse Draco. – “Vengo volentieri con te.
Minerva, l’accompagnerò più che volentieri domani
sera alla festa.” – si scusò Draco.
La donna invece sorrise.
“Non ti preoccupare. Preferisco sapere Hermione con te che da sola.”
Uno sbuffo ironico fece
comprendere ai presenti quanto Hermione avesse preferito il contrario.
Ma sia sua madre sia Draco sembravano essersi coalizzati per renderle
la permanenza una sofferenza.
“D’accordo.”
– acconsentì lei. – “Si parte dalla ditta alle
una e mezza.” – disse Hermione, alzandosi.
Non appena volse le spalle a Draco e a sua madre, un’improvvisa e amara consapevolezza l’assalì.
Lo stava facendo di nuovo.
Stava di nuovo bistrattando sua
madre mentre lei deteneva le redini del buono o del cattivo tempo.
Avrebbe tanto voluto girarsi e scusarsi per quel suo atteggiamento, ma
qualcosa di ancora più forte la spinse a non farlo, a continuare
per la propria strada.
Draco scosse la testa,
amareggiato. Era sempre più convinto che Hermione nascondesse
qualcosa e proprio non riusciva a capire cosa.
“Mi dispiace.” – disse Minerva, con un sorriso tirato.
Draco si pulì la bocca e scosse la testa.
“Non è lei che
dovrebbe dispiacerti o scusarsi.” – disse Draco. –
“Forse sarà una mia impressione, ma è da quando
siamo arrivati qui che Hermione è cambiata.”
Minerva chinò lo sguardo e Draco comprese di aver almeno centrato un punto.
“E’ così? Avevo visto giusto, allora. Minerva?”
La donna rialzò lo sguardo, velato di lacrime.
“E’ ora che tu inizi a prepararti Draco. Hermione non ama i ritardatari.”
Draco si morse la lingua e, col capo chino, annuì.
“D’accordo. Ci vediamo questa sera.”
“Va bene. Fate attenzione.”
Fate attenzione a cosa, di preciso?, si chiese Draco.
Erano partiti da circa
un’ora e dopo aver passato il paese e altri due centri abitati, i
due si ritrovarono immersi nel verde assoluto.
A Draco piaceva il verde, era
sempre piaciuto. Infatti, lo stemma della Malfoy Home era una
“M” e subito attaccata, la lettera “H”. Le
lettere erano argento e sullo sfondo c’era una spennellata di
verde.
La strada era tutta curve fiancheggiata da alberi su entrambi i lati.
Hermione guidava in assoluto
silenzio, concentrata sulla strada. Draco di tanto in tanto le lanciava
qualche occhiata per vedere se c’era qualche sorta di reazione in
lei, ma niente. Il biondo intuì che quello sarebbe stato un
viaggio molto lungo e molto silenzioso così si sollevò
dal sedile e accese la radio.
Due secondi dopo, Hermione la spense.
“Adesso non si può ascoltare neanche la radio?”
“Mi da fastidio.” – fu la sua risposta.
“Oh, ho notato quante cose ti diano fastidio, Hermione.”
La donna serrò le mani attorno al volante, solo per non serrarle attorno al collo di Draco.
“Hai per caso voglia di litigare?” – chiese, infastidita.
“Beh, perché
no?” – chiese Draco, fortemente sarcastico. –
“Almeno spezziamo questo silenzio, in un modo o
nell’altro.”
“Ti ho chiesto io di accompagnarmi?” – chiese Hermione, guardandolo per un attimo.
Poi tornò a guardare la strada.
“Non mi pare. Ho voglia di un po’ di silenzio, è forse un crimine?”
“L’unico crimine qui è il trattamento che stai riservando alla tua famiglia.”
“Ha!” –
sbottò Hermione. – “Disse quello che la famiglia se
la stava scegliendo proprio bene!” – commentò.
Draco non si fece scalfire, anche se quella frecciatina gli aveva fatto molto male.
“Complimenti! Pensavo avessi più stile!” – rispose lui di rimando.
I toni si stavano lentamente scaldando.
“Non venirmi a parlare di
stile, Draco. Sei proprio l’ultimo che si può permettere
di fare commenti sullo “stile”!” –
sbottò, mimando velocemente le virgolette con le dita.
“E tu di dirmi di far seguire i fatti alle parole!” – rispose lui di rimando.
“Almeno io non pianto coltelli nella schiena!”
Draco si girò, pronto a dar fondo ai suoi pensieri.
“Ma quale schiena? Tu i coltelli li pianti direttamente nel cuore!”
Hermione sbarrò gli occhi e si girò.
“Ma che credi che sia cieco?! Vedo come tratti i tuoi! Soprattutto tua madre!”
Fu lì che qualcosa cambiò.
“LEI NON E’ MIA MADRE!”
Lo urlò con così
tanto fiato e con così tanta convinzione che Draco, per una
frazione di secondo, le credette.
Rimase ammutolito.
Hermione aveva il fiatone e gli occhi sbarrati.
Finalmente aveva detto ciò
che sentiva nel cuore da anni ma che prima di quel momento non aveva
mai avuto il coraggio di confessare.
Il furgoncino sbandò leggermente, perché la presa sul volante si era allentata.
In un attimo di lucidità, Hermione serrò la presa e il mezzo tornò a seguire i suoi comandi.
Draco era più che turbato, era sconvolto dentro.
Come poteva dire una cosa del genere? Come poteva trattare Minerva in quel modo, dopo aver visto con quanto amore la guardava?
“Come… che vuol dire che non è tua madre?…”
Hermione aveva iniziato una
manovra per entrare in uno spiazzo erboso, fermarsi e tentare di
riprendere il controllo su di sé. Slacciò con ferocia la
cintura, imprecando per quelle funi che sembravano volerla trattenere
lì e affrontare un discorso che non voleva neanche avviare nella
sua mente, figurarsi con un estraneo e scese dal furgoncino.
Draco la osservò mentre le passava davanti al cofano e andare verso il bosco. Scese anche lui.
Hermione camminava in tondo, parlando a bassa voce.
Sembrava stesse recitando un mantra, una sorta di litania per calmarsi ma sembrava che quella volta non funzionasse.
“Hermione?”
Onestamente Draco aveva un
po’ paura di affrontarla. Non la riconosceva nemmeno più.
Quella non era la ragazzina sarcastica pronta a zittirlo con quel suo
solito sorrisetto da “avevo ragione io e tu torto” che
aveva sempre conosciuto: quella era una perfetta estranea, era una nel corpo di Hermione.
La donna continuava a girare intorno e Draco riuscì a sentire ciò che stava dicendo.
Era una preghiera.
“Angeli del cielo, dal
paradiso splendente, di ali d’orate e fili cangianti. Vi affido
il mio bambino, proteggetelo e verso l’Amore guidatelo. Angeli
del cielo, dal paradiso splendente…”
“Hermione?”
No. Non era paura la sua.
Era folle preoccupazione.
“… verso l’Amore…”
“Hermione rispondimi…”
“… dal paradiso splendente…”
“Hermione smettila!” – sbottò Draco, spaventato.
Hermione si bloccò
all’istante, sia di camminare in tondo, sia di recitare quella
preghiera. Alzò gli occhi su Draco, ma senza vederlo realmente.
Prese un enorme respiro.
“Andiamo.” – disse, tornando verso il furgone.
Lo sorpassò, lasciandolo sempre più basito.
“Cosa… Hermione!”
“Andiamo o faremo tardi e
non ho voglia di guidare con il buio.” – spiegò,
attenta a non permettergli di avvicinarsi troppo e incrinare ancora di
più quel muro che si era costruita attorno.
“Ma fermati un attimo!” – sbottò, prendendola al volo per un polso.
La sua reazione non si fece
attendere: non le piaceva essere toccata, solo Daphne riusciva ad
eludere quelle barriere. La mano libera tentò di dargli uno
schiaffo ma il biondo – scemo una volta, non due –
intuì il movimento del braccio e le imprigionò le mani
nelle sue.
Sembrava una bambina che non voleva essere tirata via dalle giostre.
“Lasciami!” – sbottò, spaventata da quel contatto, mentre cercava di dimenarsi come un’anguilla.
“Non ci penso proprio!
Adesso mi dici che ti sta succedendo! E se hai paura a guidare di notte
non preoccuparti: guiderò io!”
“Lasciami andare!” – urlò, sempre più terrorizzata da quel contatto.
Mentre la teneva tra le braccia,
cercando di razionalizzare e capire in quei pochi secondi cosa le
stesse succedendo, Draco avvertì la piacevolezza di stringere
quella ragazza tra le braccia. Pensò che avrebbe voluto provare
la sensazione di stringersela addosso senza tutti quegli scatti
improvvisi.
Hermione profumava di buono, di pulito: scioccamente pensò che fosse appena uscita dalla lavatrice.
Quei pensieri ebbero una loro fine, quando Draco tornò con i piedi per terra.
“Draco per favore…” – lo supplicò.
Doveva essere parecchio disperata per implorarlo.
“… lasciami andare. Staccati…”
“No.”
E lei si sentiva sempre più imprigionata.
“Draco…”
“Calmati, calmati…” – sussurrò.
Hermione sembrava essere sull’orlo di una crisi di panico nel vero senso della parola.
“Guardami…” – ordinò.
La riccia iniziò a
respirare male, con gli occhi sempre più sbarrati fino
all’inverosimile. Prendeva respiri molto profondi, che in casi
normali sarebbero stati sufficienti per affrontare un’apnea di
trenta secondi ma, nonostante questo, l’oppressione che le
schiacciava il petto era tale che sembrava di non prendere aria a
sufficienza.
Draco le prese il volto tra le
mani, spaventato a sua volta perché temeva per la vita di
Hermione, e la costrinse a incatenare i loro occhi. Non sapeva se stava
facendo bene, perché non aveva mai partecipato a corsi di Primo
Soccorso. Aveva sentito dire – e sperò davvero che non
fosse una stronzata da soap opera – che per calmare una persona
nel panico, bisognava fare in modo che respiri di entrambi si
sincronizzassero.
“… va tutto bene… respira…”
Draco diede il ritmo del proprio
respiro a Hermione e lei, sempre più terrorizzata ma con il
bisogno di tornare con i piedi per terra, si adeguò.
Inspirò ed espirò.
“Così, brava…”
E poi Draco – quando voleva – sapeva attrezzarsi di una bella voce. Calda, avvolgente…
“Inspira, espira, inspira, espira… stai andando benissimo…” – la incoraggiò.
Hermione si aggrappò con le
mani a quelle dell’uomo, che si trovavano sul suo volto, per
impedirle che lei guardasse altrove. Pian piano tornò lucida, ma
con grande fatica. Non ricordava più da quanto tempo non aveva
quelle crisi.
Il tempo minacciava di piovere ma a nessuno sembrava importare.
In Draco, invece, scattò qualcosa. Qualcosa di strano, di indefinito.
Era riuscito a fare qualcosa di
buono per una persona senza l’aiuto di nessuno, aveva aiutato
Hermione a riprendere contatto con la realtà.
Le aveva salvato la vita.
Ed era stato lui.
Istintivamente
l’abbracciò, un po’ per tranquillizzarsi e un
po’ per darsi la definitiva conferma che lei era ancora
lì, in piedi.
Viva.
Le massaggiò la schiena, come con i bambini piccoli.
Inizialmente, Hermione si era
quasi spaventata quando Draco l’aveva tratta verso di sé.
Aveva avuto l’irrazionale paura che lui, dopo averla salvata,
volesse farle del male, come quando si è abituati a ricevere
solo schiaffoni e una mano alzata può far riemergere quel
ricordo. Poi però, nessuno schiaffo era arrivato.
Erano arrivate tante carezze sulla schiena, tanto… affetto (?), tanta comprensione espressa a gesti e non a parole.
Si sentiva terribilmente stupida in quel momento: Draco sicuramente stava pensando che era una pazza scappata dal manicomio.
“Va meglio?” – le chiese, cercandola con lo sguardo.
Lei invece faceva di tutto per evitarlo.
“S-sì…”
Draco le prese il mento e lo sollevò. Non gli bastava quella risposta insicura: voleva averne la certezza.
“Sì, sto bene.” – lo rassicurò.
“D’accordo. Allora andiamo. Guido io.”
Ripresero la marcia in totale silenzio.
Draco aveva riesumato dal furgone
una vecchia coperta, una di quelle che probabilmente Oliver usava
quando doveva affrontare viaggi lunghi e voleva sonnecchiare un paio
d’ore. La drappeggiò su Hermione, che si rannicchiò
sul sedile del passeggero con lo sguardo basso.
Aveva iniziato a piovere e
l’uomo pensò che quel tempo si adattasse bene allo stato
d’animo di Hermione. Da quando erano arrivati lì, la
ragazza aveva subito un radicale cambiamento. Che odiasse il
paesaggio?, gli abitanti o il paese di per sé?
Draco escluse a priori ogni
possibile legame con questi tre luoghi, perché Hermione era
felice di tornare lì, dalla sua famiglia.
“LEI NON E’ MIA MADRE!”
O forse era proprio la famiglia che non le piaceva.
No non era nemmeno di questo,
perché amava la sua famiglia anche se di tanto in tanto aveva
atteggiamenti incomprensibili anche per un indovino.
“Cosa dobbiamo consegnare a Norwich?” – chiese per fare della conversazione.
Non voleva farla sentire una bestia rara.
“Dei liquori.” – rispose lei, sempre con il volto basso.
“Per un bar?”
“No, un piccolo albergo.”
Altro silenzio.
“Mi-mi dispiace… per prima…” – chiarì, imbarazzata e sull’orlo del pianto.
“Non ti preoccupare.” – disse.
E poggiò una mano sulla sua.
Grazie alle capacità
dialettiche di Draco, l’uomo riuscì a instaurare una
conversazione con Hermione, per evitare che il silenzio tra loro
divenisse ancora più pesante di quanto non fosse già.
Arrivarono a Norwich in ritardo
sulla tabella di marcia di solo un’ora. Draco non conosceva bene
le strade e più volte aveva dovuto fermarsi, chiedere
indicazioni e poi tornare indietro. Sapeva che Hermione conosceva la
strada, ma non aveva voluto disturbarla, perché si era
appisolata.
Anche in quel paese, giusto per
non farsi mancare nulla, era in atto una festa di San Valentino. Gli ci
erano volute ben tre ore per arrivare e ora era stanco. Hermione, poi,
non era nelle condizioni fisiche e mentali per guidare, così la
donna riuscì a farsi dare una stanza per riposare un paio
d’ore – erano veramente stanchi – per poi ripartire.
Entrarono nella camera e Draco si buttò subito sul letto.
“Possiamo stare qui solo per un paio d’ore, poi dovremmo andarcene.”
“Due ore saranno più che sufficienti.” – disse Draco, che sentiva gli occhi chiudersi.
Hermione lo guardò, dispiaciuta.
“Sei tanto stanco?”
Draco la guardò. Era veramente mortificata.
“Non sono abituato a guidare così tanto.” – disse.
“Tranquillo. Dopo guido io e…”
“No, no no.” – disse, alzandosi con il busto sul letto.
Oddio… messo così faceva la sua porca figura…
“Anzi, sdraiati anche tu e dormi decentemente.”
Hermione arrossì.
“Io ho dormito sul furgone.” – disse.
Draco la guardò di traverso.
“E me lo chiami dormire? Dai…” – si spostò di lato per far spazio alla donna.
Hermione era molto tentata, ma di solito lei di notte si rigirava fino ad arrotolarsi nelle lenzuola.
“No, non ti preoccupare…”
“Hermione o vieni qui con le
tue gambe o vengo lì io e ti prendo di peso. Libera di
scegliere.” – disse.
Oh, era certa che l’avrebbe
fatto così, riluttante e piena di vergogna, si avvicinò
al letto. O lei era stanca morta o in quell’hotel avevano i
materassi migliori di tutta Londra.
“Cosa fai?” –
squittì lei, diventando di granito quando sentì il
braccio di Draco avvilupparsi alla sua vita.
“Ti da fastidio?”
Erano schiena contro petto.
Hermione aveva il cuore a tremila e non sapeva cosa fare.
Cosa dire.
Se avesse risposto di
“no”, non sapeva come Draco avrebbe potuto prenderla; se
avesse risposto di sì, avrebbe buttato all’aria quello che
lui aveva fatto per lei in quel piccolo spiazzo erboso.
“N-no…” – rispose lei, sperando di non aver dato una cattiva impressione di sé.
In risposta, il braccio di Draco
serrò maggiormente la presa sulla vita di Hermione e lei,
anziché sentirsi a disagio o imbarazzata per
quell’eccessiva vicinanza, si sentì protetta.
Prima di addormentarsi, Hermione aveva messo la sveglia sul cellulare programmata alle sette di sera.
La prima a svegliarsi fu la ragazza che spense l’allarme.
“Draco?”
Nessuna risposta.
“Draco svegliati.”
Niente. Doveva essere veramente stanco…
Cercando di non dare al materasso troppi scossoni, Hermione si girò nel suo abbraccio.
“Draco?”
“Mhm?”
“Sono le sette. Dobbiamo alzarci.”
“Arrivo…”
– ma invece di aprire gli occhi, tirò Hermione
maggiormente verso di sé e la imprigionò in una morsa di
cui Hermione non capiva né l’inizio né la fine.
Sentiva solo il respiro placido di Draco sul collo.
E che le piaceva.
Riuscirono ad alzarsi dal letto
alle sette e un quarto. Fortuna che il padrone dell’albergo non
aveva fatto loro storie per quel ritardo.
“Grazie mille.” – disse il gestore a Hermione, per quella fornitura di fortuna.
Hermione gli sorrise. Il sonno le aveva fatto bene.
“Grazie a lei. Arrivederci.”
“Ehi!” – li richiamò l’uomo.
“Sì?”
“Perché non andate in piazza alla sagra?”
“La ringrazio, ma dobbiamo…” – tentò Hermione, ma il gestore la interruppe.
“Dai, andate! Tenete.”
– disse, andando da loro e mettendogli in mano dei biglietti.
– “Sono i buoni pasto. Ve li offro io per la gentilezza di
questa consegna.”
“Ma veramente…”
“Davvero molto gentile da
parte sua.” – s’intromise Draco, ringraziando e
trascinando Hermione con sé. – “Faremo sicuramente
un giro. Grazie ancora!”
L’uomo li salutò con un cenno della mano prima di tornare ad asciugare i bicchieri.
“Draco! Draco aspetta!”
“Cosa?”
Hermione rimase decisamente
perplessa nel vedere quel sorriso sul volto di Draco. Sembrava non
vedesse l’ora di andare a quella festa.
“Faremo tardi!”
“Ma dai! Mangiamo qualcosa e poi ripartiamo.”
Effettivamente aveva fame…
“Una cosa veloce, però.”
“Va bene.” – le promise Draco.
Ma con le dita saldamente incrociate dietro la schiena…
Calli-corner:
Lascio decidere a voi com’è stato questo capitolo.
Ma partiamo dall’inizio.
Troviamo subito Pansy e Theo alla
“Nott Home”, in atteggiamenti molto poco professionali.
Alla fine, Pansy voleva solo spendere i soldi della ditta a suo
piacimento e Theo poteva permetterglielo, se lo avesse aiutato a far
fuori Draco.
Come poi si è avverato.
Di Theo, invece, si scopre che in
passato ha dovuto subire vari fallimenti ma è certo che con
l’azienda di Draco ben avviata, non ne subirà più.
San Valentino.
Draco pensa che Hermione odi
quella festa perché non ha nessuno con cui festeggiarla ma non
è così. C’è qualcosa di più nel
disprezzo che Hermione prova per questo giorno e quel “di
più” verrà spiegato più avanti.
Alzi la mano chi è
d’accordo con Draco sul fatto che Hermione sia un’ipocrita,
quando chiede al biondo di far seguire i fatti alle parole mentre lei
fa il contrario.
“LEI NON E’ MIA MADRE!”
Era proprio incazzata quando lo ha urlato.
Ma cosa vorrà dire?
Tutto questo e molto altro qui, su EFP, alla pagina della Malfoy Home con callistas!
E prima di lasciarvi, prendete il nuovo spoiler!
“Ma io ti ammazzo!” – urlò Hermione, salendo sul tavolo in uno scatto che spaventò i due.
Draco
riuscì a prenderla per le caviglie e a tirarla indietro,
trattenendola per la vita mentre lei si dimenava come un’ossessa
per sfuggire a quella morsa d’acciaio e uccidere quello stronzo!
Sempre meglio, non trovate?
^_____________________^
Un bacio e a venerdì prossimo,
callistas
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Capitolo 14 *** ... che crede di essere amato e invece resta fregato ***
14 - ... che crede di essere amato e invece resta fregato
Mie fedelissime.
Bentornate.
Come al solito non vi
ruberò molto tempo perché so che preferite leggere il
capitolo, piuttosto che le mie sproloquiate, quindi vi auguro buona
lettura e vi aspetto in fondo.
Vi dico solo che qui uscirà fuori qualcosina che…
Buona lettura,
callistas.
La festa di Norwich non aveva
niente a che fare con quella che organizzava Castle Rich, il paese di
Hermione. Era certamente molto bella, ma mancava di quello spirito di
comunione che si percepiva una volta messo piede nella sagra. A Castle
Rich si respirava, nel vero senso della parola, il senso di
unità tra i partecipanti. Quella era solo una festa indetta per
cercare di racimolare un po’ di soldi.
A Draco, invece, sembrava piacere.
Hermione si chiese se i suoi genitori l’avessero mai condotto a
feste di quel genere, perché si guardava intorno come se non ne
avesse mai visto una.
Non se la sentì di
trascinarlo via, così si mise il cuore in pace e andò a
prendere da mangiare. Fortuna che il gestore dell’hotel aveva
consegnato loro già i buoni per poter ritirare i pasti,
altrimenti avrebbe dovuto fare una fila infinita.
Avevano ordinato piatti
prettamente tipici, come la selvaggina. Niente da paragonare con quella
che cucinava il vecchio Charles: lui sì che sapeva come cucinare
quella carne.
Avevano preso posto a uno dei tanti tavoli di legno e stavano cenando come… come una normale coppietta.
“Quella di Castle Rich mi sembra meglio.” – disse Draco.
“Perché lo è.” – disse Hermione.
“Ma se hai sempre detto che non vai mai a queste feste.” – obiettò lui.
“Vero. Ma so chi ci lavora dentro.”
“Hai sempre la risposta per tutto?” – chiese, divertito.
Hermione rise, ma non rispose.
“Hai finito?” – chiese Draco.
“Sì. Vuoi che andiamo?”
“E’ meglio.”
Si alzarono e Hermione stava per raggiungere l’uscita quando si sentì di nuovo fermare da Draco.
“Cosa c’è adesso?”
“Un ballo.” – le disse, semplicemente.
“No.” – disse lei, categorica.
“Uno solo!”
“Ho detto di no!”
“Perché no?”
“Perché siamo in ritardo.” – disse.
“Uno e poi andiamo.”
“Draco ho detto…”
Avrebbe voluto dire di no, ma si
era zittita immediatamente quando aveva sentito le sue braccia
avvolgersi attorno alla sua vita in un gesto che la lasciò senza
parola per la naturalezza con la quale era stato fatto.
La sensazione provata era molto
diversa da quella di qualche ora prima a letto. Lì non
c’era la stanchezza che poteva fungere da scusa: poteva ritrarsi
ma non lo fece.
Si spaventò quando si rese conto di voler stare tra le sue braccia.
Draco aveva appoggiato la guancia
contro la tempia di Hermione, che si stava lasciando condurre
docilmente. La sentiva vicina, forse fin troppo e la cosa,
anziché inorridirlo – si era ripromesso di non farsi mai
più abbindolare da una donna – gli piaceva.
Forse perché la donna in
questione era diversa dalle altre che aveva conosciuto: era vera, con
difetti veri, con un grande cuore, e anche se era strana, non era
importante.
Non si spaventò, quando si rese conto di voler stare tra le sue braccia.
Quel pensiero lo portò a serrare maggiormente la presa sulla vita di Hermione.
Hermione sospirò. Sapeva che si stava cacciando in un brutto pasticcio…
“Perché sei voluta venire a lavorare in città?”
Hermione sorrise.
“Castle Rich è un bel
posto…” – disse Hermione. – “… ma
tutti hanno la tendenza a farsi i fatti di tutti.”
“Beh, a Londra non è poi tanto diverso.” – disse Draco.
“Vero. Ma almeno a Londra posso mandare tranquillamente la gente a quel paese senza sentirmi in colpa.”
Draco rise.
“Un’interessante prospettiva.” – disse.
Draco l’allontanò da sé, le fece fare una giravolta e poi se la tirò nuovamente vicina.
Si fermarono in mezzo alle altre coppie che ballavano.
Draco la guardò.
Era davvero bella, anche con quei maglioni informi, i capelli perennemente raccolti e senza un filo di trucco.
Come aveva fatto ad accorgersene
solo in quel momento? O era solo suggestione? Era forse questo il
potere di San Valentino? Ti faceva vedere cose che magari, in
realtà, non esistevano?
O forse nutriva davvero
un’attrazione per Hermione? Se sì, da quanto andava avanti
e perché lui non se ne era mai accorto prima?
Beh, qualunque fosse la risposta,
Draco non l’aspettò. Si chinò sulla riccia che lo
guardava con ansia, avvicinarsi.
Non riusciva a muoversi
perché se da una parte aveva paura delle implicazioni di
ciò che stava per succedere, dall’altro non vedeva
l’ora che accadesse.
Draco si chinò su di lei e…
Calli-corner:
Dunque, mi rendo conto che il capitolo è un po’ corto ma…
… ma se proseguite leggerete il resto.
^_______________________________________________________________________________________^
… il cellulare nella sua tasca suonò.
Non si seppe mai dire chi dei due ci rimase più male.
Hermione si staccò subito e
guardò dappertutto tranne Draco che, imprecando peggio di uno
scaricatore di porto – se sua madre lo avesse sentito, gliene
avrebbe date di santa ragione – si palpeggiava dappertutto per
cercare di capire dove fosse finito quel diavolo di cellulare!
Quando lo prese, trovò un
numero sconosciuto. Si allontanò dalla musica mentre Hermione
gli andava dietro, imbarazzata a morte per ciò che stava per
succedere.
Ma che non era accaduto.
“Pronto? Chi parla?”
“Signor Malfoy?”
“Sì sono io…” – disse Draco, esitante.
Non ricordava di aver mai sentito
quella voce e temeva che fosse qualche altro esattore che voleva
prendersi qualcos’altro di suo. Era riuscito a salvare quel
cellulare per puro miracolo!
“Ehm… sono David, David Linch, si ricorda?”
David Linch, David Linch… dove aveva già sentito quel nome?
Sbarrò gli occhi, incredulo.
“David?”
Hermione alzò gli occhi. Forse era un amico che non sentiva da tanto tempo…
“Sì, sono io. Signor Malfoy, la situazione è tragica! Deve tornare!”
Draco sorrise amaramente.
“David non posso.” – disse Draco. – “Non sono più il titolare della Malfoy Home.”
A quel nome, Hermione si bloccò, sgomenta. Che c’entrava adesso la Malfoy Home?
Draco sentì David masticare un’imprecazione.
“Sì, lo so, ma… cosa dovrebbe succedere perché lei torni?”
Draco sorrise. E così aveva
un affezionato tra le sue fila… se avesse avuto la
possibilità di tornare a dirigere la Malfoy Home, avrebbe dato
così tante pacche amichevoli sulla spalla di David che
gliel’avrebbe lussata!
“Onestamente non lo so.”
Hermione gli andò davanti,
più interessata a ciò che si stava dicendo Draco con quel
David. Gli chiese tacitamente che stesse succedendo e Draco scosse la
testa, chiedendole di aspettare un attimo.
“Non so come sia la situazione ora e…”
“Disastrosa.” – fu il commento di David.
“… bisognerebbe vedere le azioni come sono messe e…”
“La carta igienica vale molto di più, signor Malfoy.”
Draco corrucciò le sopracciglia.
“Che vuoi dire?”
“Signor Malfoy… l’azienda sta andando a puttane! Nott non sa fare un cazzo!” – sbottò mentre Draco ascoltava esterrefatto.
Ma… era dello stesso Nott che si stava parlando?
“In una
settimana è riuscito a spendere più di quanto lei abbia
mai guadagnato in un anno!, per non parlare dei clienti che si sono
staccati da noi! Il magazzino è un cagaio, le consegne hanno
giorni, settimane perfino, di ritardo! E quella maledetta troia della
sua ex non fa altro che spendere i soldi rimanenti in vestiti firmati!
Per Dio Draco, torni!”
Draco aveva ascoltato con lo sguardo fisso nel vuoto. No, qualcosa non quadrava. Theo non poteva essere un tale incapace!
“Ma… è dello stesso Nott che stiamo parlando? Theodore Nott?”
“Senta…” – disse David, che pareva parecchio prostrato. –
“… Nott ha cambiato il software gestionale aziendale. Ne
ha preso uno che costa un patrimonio e che ha sempre rogne! Io…
senta!, posso parlarle di persona? Avrei altre cose da raccontarle e ho
preso delle informazioni su Nott che potrebbero interessarle, nel caso
in cui volesse riprendersi l’azienda!”
Draco si passò una mano sugli occhi. Mio Dio! Com’era stata possibile una cosa simile?
“Io…”
“… sì, certo. Dove e quando?”
“Preferirei non a Londra. Dove si trova adesso?”
David prese carta e penna e scrisse l’indirizzo. Gli venne un mezzo colpo quando lesse il cognome dell’abitazione.
“D’accordo. Ci vediamo domani.”
David agganciò la cornetta e tirò un sospiro di sollievo.
Giunse le mani in segno di
preghiera e le portò alla bocca. Non sarebbe stato facile dire
al signor Malfoy ciò che aveva fatto ma doveva. Lo doveva a
tutte le persone che avevano lavorato lì dentro e che lo
salutavano ancora – chi era rimasto, almeno – con affetto.
Si sentiva un verme giorno dopo
giorno e non ce la faceva più. Forse si sarebbe beccato una
denuncia e sarebbe finito in prigione e David lo considerò il
male minore.
Voleva tornare a guardarsi ancora allo specchio.
“Chi era?” – chiese Hermione.
“David. David Linch.”
Hermione sbarrò gli occhi.
“David? Come mai ti ha chiamato?”
Draco guardò ancora il cellulare.
“Non lo so. Dice…
dice che l’azienda sta andando in malora e che deve dirmi
qualcosa e che può farlo solo di persona. Spero non ti secchi,
ma gli ho dato l’indirizzo di casa tua.”
“No, tranquillo. Senti… qui si sta facendo davvero tardi. È meglio se rientriamo.”
“Sì, certo.” – disse Draco, ancora scombussolato dalle notizie appena ricevute.
Il bacio mancato passò in secondo piano.
Sulla strada di ritorno, nessuno dei due fiatò.
Hermione continuava a rivedere
davanti agli occhi la scena di Draco chinarsi su di lei per baciarla
mentre Draco continuava a rimuginare sulle parole di David. Ancora
stentava a credere che Theo stesse mandando a rotoli la sua azienda.
Quando era un socio, non aveva mai dimostrato avventatezza negli
affari. Che, come Pansy, anche la sua fosse solo una facciata di
copertura?
Non sapeva più cosa pensare.
Rientrarono a casa verso le una di
notte. La sagra era sul finire, anche se metà della famiglia
Granger era rientrata a casa e stava già dormendo.
Draco parcheggiò il camion
all’inizio della via per non svegliare tutti e con Hermione si
avviò verso casa. Fu quando venne ora di salutarsi, che si
ricordò di ciò che avrebbe fatto se il cellulare non
avesse suonato.
“Hermione?”
“Sì?” – chiese l’altra.
“Per stasera, io…”
“Non ti preoccupare.” – disse lei. – “Non è successo niente.”
“Appunto.” – disse Draco, leggermente indispettito.
Hermione lo guardò, confusa.
“Se ti avessi baciata, tu che avresti fatto?” – chiese senza indecisione alcuna.
Hermione notò quanto Draco
fosse bravo a sganciare le patate bollenti agli altri. Ma ora che
glielo chiedeva, lei cos’avrebbe fatto?
“Hermione?”
“Non… non lo so.
“Hermione…”
“Devo andare!” – disse, scappando.
“Hermione!” – la richiamò Draco, invano.
Scosse il capo ed entrò nella dependance.
“Non è aria, Laney.”
“E’ tanto grave?”
“Vedi tu. Il contratto con la Nott Home non si può recidere. John è una iena.”
La donna sospirò. Negli affari bisognava essere squali: i sentimentalismi dovevano essere abbandonati in un angolo.
“John?”
“Chi cazzo!… ah, sei tu.”
Laney entrò in punta di piedi. Chiuse la porta e andò a sedersi di fronte a lui.
Lo vide sedersi pure lui e
chinarsi sulle ginocchia, prendere il volto tra le mani e rimanere in
silenzio. Non l’aveva mai visto così.
La loro storia, se così si poteva chiamare, non poteva andare meglio.
Laney non poteva chiedere di meglio da una relazione.
Si ritrovavano di tanto in tanto
per un aperitivo, del sano sesso e poi ognuno a casa propria. Sul
lavoro erano talmente impeccabili, che nessuno avrebbe mai immaginato
che tra loro vi fosse di mezzo il sesso.
“Allora niente per la Nott Home?” – chiese la donna.
John si alzò di scatto dalla sedia e Laney sobbalzò sulla propria.
“Niente di niente! Ma come
ho fatto ad essere così stupido? Come ho fatto a legarmi con
quell’azienda in un contratto simile? Che cazzo mi passava per la
mente in quel momento?”
“Sbagli a parlare così.”
John la trucidò con lo sguardo.
“Non parlare di cose che non conosci.”
Laney sollevò un sopracciglio.
“Capito.” – disse.
Era andata da lui perché
sperava che parlandogli si sarebbe calmato – in azienda non si
poteva respirare troppo forte altrimenti John scattava come un petardo
– ma non era intenzionata a farsi dare dell’incompetente
solo perché lui era arrabbiato.
Si alzò dalla sedia e fece per uscire, quando alle orecchie le giunsero delle scuse nette.
“No, scusami… non volevo dire questo…”
Laney si girò e lo fronteggiò.
“Non sono una novellina
John, ficcatelo in testa.” – chiarì Laney. –
“Non avrò le tue competenze, non saprò scovare un
affare neanche se me lo sbattono in faccia, ma conosco il mio lavoro
come le mie tasche e standoti affianco ho imparato molte cose.”
“Scusami…”
“Quando ti sei legato alla
Malfoy Home, tu avevi portato a casa un eccellente fornitore,
ricordalo.” – gli ricordò. – “Ti sei
legato a Draco perché avevi visto in lui una possibilità
di affermarti ancora di più sul mercato americano. Solo
perché lui ha commesso l’errore di fidarsi delle persone sbagliate, non significa che…”
“Ma è proprio questo
che non capisco!” – sbottò, alzando la sedia e
sbattendola a terra. – “Come ha fatto un uomo come lui, con
le sue capacità, con la sua intelligenza… a permettere
una cosa simile?”
“La parola “innamorato” ti dice niente?” – lo rintuzzò.
John si zittì.
“Errore numero due.”
– elencò il direttore della Livin Home. –
“Perché non ha lasciato a casa quella che si scopava?”
Quando John si rese conto di
ciò che aveva detto, guardò di scatto Laney, che aveva un
sopracciglio sollevato e un sorrisetto divertito sulle labbra.
“Oggi non ne dico una di giuste…” – cercò di sdrammatizzare.
“Non solo oggi.” – disse lei.
Non si era sentita minimamente toccata dal commento, perché lei e John non erano fidanzati.
“Draco era solo innamorato e
voleva avere accanto la sua fidanzata. Non puoi pensare che un uomo,
quando entra in ufficio, lasci fuori dalla porta i sentimenti! La
voleva accanto e basta.”
“Ti odio quando mi fai ragionare…” – commentò, divertito.
Laney arricciò le labbra in un sorrisetto.
“E fortuna che ci sono
io.” – si auto lusingò. – “Comunque
John… stasera preparati.”
“Perché?”
“Hai un po’ di testosterone da scaricare e io intendo immolarmi come agnello sacrificale.”
John rise.
“Ma come ho fatto a non accorgermi della tua bontà d’animo fino a questo momento?” – chiese lui.
“E’ risaputo che gli
uomini sono ciechi come talpe, all’occorrenza.” – poi
si diresse alla porta. – “Ah, un’ultima
cosa…”
“Sì? Portati dietro
il cane, perché non so se uscirai vivo dalla mia camera. Non
vorrei che a quella povera bestiola scoppiasse la vescica.”
– e uscì.
John sollevò un sopracciglio.
Molto bene…
A causa dell’incompetenza
manageriale di Nott, la Livin Home stava perdendo tanti buoni clienti e
John sapeva perfettamente che riprenderli sarebbe stato difficile, se
non impossibile: una volta che un cliente ti abbandona è per
sempre ed è meglio cercarne un altro fin dal giorno dopo.
Pensava a questo mentre sulla sua
jeep percorreva le strade di New York per raggiungere la casa di Laney
mentre sul sedile posteriore Rex se ne fregava dei problemi del suo
padrone – bastava che avesse le ciotole piene e sarebbe potuto
cascare anche il mondo – e respirava tranquilla a bocca aperta
con la lingua che sobbalzava ad ogni scossone.
“Benearrivati.”
Rex aveva molto in simpatia Laney perché lo trattava meglio di quanto facesse John.
“Buona seera!” – salutò Laney, chinandosi sul cane.
John, che si era già
preparato per avere un bacio, rimase quasi deluso quando vide la donna
preferire il cane a lui. Rex si sdraiò sulla schiena e
aspettò le coccole di Laney che non tardarono ad arrivare.
“Rex, sei peggio di una
puttana.” – fu il commento di John, divertito. –
“Ti svendi per una coccola.”
“E un pacchetto di biscotti, vero Rex?”
Alla parola
“biscotti”, il cane saltò in aria come un petardo,
con la coda che andava a destra e a sinistra e che avrebbe potuto
benissimo sostituire il ventilatore.
“Vieni? Oh, ciao!” – salutò Laney.
“Ciao, eh? Grazie della considerazione.” – borbottò l’altro, offeso.
Laney rise e andò a
baciarlo, lasciandosi completamente andare alle sue carezze. A
interromperli, un alquanto indispettito Rex, che voleva i suoi biscotti.
Che poi facessero quello che volessero… ma prima doveva avere i suoi biscotti, accidenti!
La donna sorrise.
“Ti sfamo il cane e poi sfamo te.”
In che senso?…
Laney prese la ciotola di Rex e la riempì con dei biscotti fatti in casa.
“Hai fame?”
“Sì, perché?”
“Meno male. Ho preparato una cosetta al volo. Ti va di mangiare insieme a me?”
“Ah sì, grazie.”
I due cenarono, chiacchierando
tranquillamente. Laney aveva preparato una veloce pasta e un
altrettanto rapido secondo, giusto per non perdere troppo tempo per il
dessert. Avevano parlato anche della Malfoy Home, mentre Rex si
mangiava gli spaghetti che Laney aveva preparato anche per lui.
Il pelo bianco attorno alla bocca era tutto rosso…
Laney e John si erano spostati sul
divano mentre Rex in giardino ad annaffiare le piante di Laney. La
donna era seduta in braccio a John.
“Come sei rigido stasera…”
“Credevo mi volessi così…”
La donna rise.
“Sei rigido nei punti sbagliati. Aspetta… proviamo così…”
John iniziò ad ansimare.
Laney era in possesso di un tasso erotico talmente alto che avrebbe potuto rischiare di essere incarcerata per attentato agli ormoni.
Era sexy in tutto quello che
faceva: dal presentarsi in ufficio, prendere la fattura, studiare gli
appunti, aiutare i colleghi sul lavoro… le donne che sapevano
quello che volevano dalla vita e se lo prendevano senza tanti problemi
– esattamente come stava facendo Laney in quel momento – lo
eccitavano a morte. Non aveva mai sopportato le eterne indecise,
perché cambiavano idea ogni cinque minuti.
E tra una smorfia di piacere e
l’altra, tra un gemito e l’altro, John sentì che
Laney aveva raggiunto il suo obiettivo.
“Adesso sei rigido nel punto giusto.” – disse.
John aveva il fiatone. Quella
donna lo trattava fin troppo come le aggradava: le cose dovevano
cambiare. Con un colpo di reni ben assestato, l’uomo
riuscì a mettersi in piedi con Laney in braccio.
“Sbaglio o non dovevo uscire vivo dalla tua camera?”
“Ti ricordi la strada o ti serve una piantina?” – scherzò lei.
“Tutto quello che mi serve ce l’ho in braccio.”
Laney rise.
E Rex fuori a fare l’annaffiatoio…
Il giorno successivo Draco si presentò a tavola con due occhiaie da spavento.
“Che schifo di
faccia…” – fu il commento di Astoria. –
“… hai delle occhiaie orrende Draco.”
“Tu sì che sai come
parlare a un uomo, Astoria.” – fu il commento di Draco che,
nonostante il sonno, sorrise divertito.
“Ma papà? Dov’è?” – chiese Ria.
“Tuo padre era parecchio
stanco.” – disse Minerva, mentre intavolava il burro.
– “Ieri sera è rimasto fino a tardi per aiutare gli
altri a sistemare le tavole.”
Hermione, seduta al proprio posto, mescolava il caffelatte in silenzio.
Anche lei come Draco aveva due
occhiaie da paura per il semplice motivo che non aveva dormito. Aveva
speso ogni minuto della nottata a ripassare, fotogramma per fotogramma,
quel bacio mancato. Di tanto in tanto chiudeva gli occhi e riviveva la
scena nella mente, riuscendo a sentire ancora quel vuoto nello stomaco.
Draco, invece, aveva pensato alle parole di David.
Non riusciva davvero a crederci. Chissà che gli avrebbe detto una volta arrivato.
“Chiedo scusa…”
– disse Draco, catturando l’attenzione dei presenti.
– “… oggi verrà un mio d…”
– stava per dire dipendente, ma all’ultimo si corresse.
– “… amico perché deve portarmi alcune carte.
Ho dato il vostro indirizzo, spero di non aver fatto male.”
“Non ti preoccupare.” – disse Minerva.
“Grazie.”
La colazione fu chiacchierata,
tranne per Hermione che avrebbe tanto voluto chiedere a Draco delle
spiegazioni ma non osava, perché non ne aveva il coraggio.
Temeva ciò che poteva dirle, così scelse di rimanere
nell’ignoranza.
“Tieni.” – disse Neville, porgendo a Hermione un bicchiere d’acqua.
“Non ho sete…” – disse la riccia, perplessa.
“Lo so, ma credevo che con tutto il tuo parlare ti si fosse seccata la lingua.”
La riccia alzò gli occhi al cielo e sorrise.
Quella piccola battuta riuscì a stemperare un po’ quella leggera tensione.
Beh, oltre a ripensare alle parole di David, Draco ripensò anche al bacio che avrebbe voluto dare a Hermione.
In quel mese abbondante in cui
aveva soggiornato a casa dei genitori di Hermione, aveva avuto modo di
conoscere meglio la ragazza. Aveva notato come in molti ragazzi la
guardassero con il desiderio negli occhi ma aveva anche visto come quel
desiderio svanisse come neve al sole quando passava, per caso, una
ragazza più bella di lei.
Forse era il fascino dei soldi.
Si era detto che anche Pansy
doveva aver subito lo stesso influsso, perché quando aveva
iniziato ad aver problemi, lei lo aveva abbandonato alla
velocità della luce.
C’era mai stato un momento
di amore vero tra di loro? E le persone che lui, per anni, aveva
definito “amici”, lo erano mai stati veramente? No.
Niente di tutto ciò.
E Hermione lo aveva anche
previsto. Gli aveva detto che nel momento in cui si sarebbe trovato ad
aver bisogno di qualcuno, nessuno sarebbe stato lì a tendergli
la mano a meno che non vi fosse un tornaconto personale.
Che stupido. Come aveva fatto a vivere di menzogne fino a quel punto?
E ora tutto era perso…
“Minerva scusi…”
“Sì?”
“Non è che potrei usare il computer una mezz’oretta?”
“Sì, certo.”
“Grazie. Scusate.”
Draco si alzò e andò
al computer. Voleva vederci un po’ più chiaro in tutto
quel casino e forse Internet poteva aiutarlo. Accese il pc e sul motore
di ricerca digitò “Malfoy Home”.
Il primo sito che gli apparve diceva:
“Malfoy Home dal 1902… ora Nott Home…”
Solo quello gli fece drizzare i capelli in testa.
Nott Home? Ma stavano scherzando?!?
Aprì il sito che, alla
fine, era un sito di gossip – in quei casi erano i più
affidabili – dove si diceva che la Malfoy Home era stata cambiata
in Nott Home e che l’azienda non navigava in buone acque.
L’azienda era in perdita, così come la sua organizzazione.
Lesse delle numerose dimissioni e licenziamenti e di come Nott stesse
sperperando ciò che lui, suo padre e suo nonno avevano
faticosamente guadagnato.
Si portò una mano sulla fronte per lo sgomento.
“Qualcosa di interessante?” – chiese Hermione, spuntatagli alle spalle.
Draco si girò di scatto.
“Leggi un po’.”
Hermione si chinò su di lui e rimase sbigottita.
“Ma… Nott non era un tuo socio?” – chiese, girandosi verso di lui.
Fu peggio che ricevere una badilata sui denti.
Tornarono di nuovo faccia a faccia, forse un po’ troppo vicini.
“Sì…”
– rispose Draco, catapultato indietro nel tempo alla sera prima
dove si trovavano praticamente nella stessa posizione.
Il pomo d’Adamo non ne voleva sapere di stare fermo e Hermione indossava profumo di pulito.
D’altro canto la ragazza non era messa meglio.
Non riusciva a staccare gli occhi
da quelli di Draco. Sembrava aver notato solo in quel momento la loro
particolare tonalità. All’inizio le erano sembrati azzurro
chiaro ma ora che li aveva a distanza ravvicinata, comprese che non
erano azzurri, ma grigi.
Forse non era il caso di baciarla
lì, con la famiglia ancora riunita in sala da pranzo per la
colazione, con il padre che poteva vederli da un momento
all’altro e gridare “allo stupro!” o peggio, averli
lì tutti insieme ma troppa era la tentazione di baciarla
talmente tanta che decise di farlo, in barba alle conseguenze.
Hermione era nella stessa
condizione della sera prima: da una parte voleva andarsene mentre
l’altra la teneva ben ancorata a terra in modo che non muovesse
un muscolo.
A pochi centimetri…
“Draco?”
La voce di Minerva riuscì a farli scattare a molla, all’indietro.
Hermione, per lo meno. Draco invece era nella stessa posizione e nella bocca lo stesso sapore di delusione della sera prima.
“Credo sia arrivato quel tuo
amico.” – disse Minerva, entrando in quel momento. –
“Ho forse interrotto qualcosa?” – chiese la donna,
avvertendo una strana atmosfera aleggiare nell’aria.
“No.” – disse Draco.
“Stavamo solo leggendo un articolo su Internet.” – disse Hermione.
“Ah, comunque sia è arrivato.” – disse la donna, levando le tende.
Rimasero di nuovo da soli.
“Hermione…” – tentò lui.
“Andiamo da David.” – suggerì lei.
“Ciao David!” –
salutò Hermione con un sorriso. – “E’ un
po’ che non ci si vede.”
I tre avevano preso posto al
tavolo da pranzo e la famiglia Granger andò per i propri affare
per lasciarli liberi di parlare.
“Già…” – rispose l’uomo, a disagio.
“Ti offro qualcosa?”
“No, grazie. Sto bene così.”
Gli sembrava brutto accettare qualcosa dalla persona che lui stesso aveva danneggiato.
“Ok.”
Cadde un lungo attimo di silenzio.
David non sapeva proprio come iniziare il discorso e Draco non sapeva
come fare per introdurlo. Aveva così tante domande che non
sapeva da quale iniziare.
“Allora… credo che quello che ho da dire non vi piacerà.”
“Vi lascio soli.” – disse Hermione, credendo che la cosa riguardasse solo Draco.
“N-no Hermione… devi sentire anche tu.”
La riccia si scambiò uno
sguardo perplesso con Draco ma ugualmente rimase lì ad
ascoltare. I due notarono il disagio di David ma non lo forzarono.
Rispettarono e aspettarono i suoi tempi.
“E’ iniziato tutto quando Pansy ti ha chiesto quella rivista.”
Hermione sollevò un sopracciglio. Solo quella frase aveva scatenato in lei una bufera di domande e dubbi.
E così iniziò un racconto che ebbe dello straordinario.
David raccontò ogni singola
cosa che Pansy gli aveva chiesto di fare: la simulazione di furto nel
suo ufficio, i bilanci sfalsati, le copie inviate a John Cook e…
e del fatto di aver dirottato tutte le mail dal computer di Pansy a
quello di Hermione. Era Pansy che teneva i contatti con le persone che
erano state pagate per boicottare la Malfoy Home negli anni e lei, con
queste persone, si scriveva regolarmente come se fossero stati amici di
penna. Inviava e riceveva istruzioni su cosa fare o come farlo e tutto
questo scambio di informazioni venne fatto deviare sul computer di
Hermione per far sembrare lei la colpevole.
David raccontò anche di
Nott, dei suoi precedenti fallimenti e di come fosse riuscito a tenerli
nascosti solo grazie alle stesse persone con le quali era in contatto
per danneggiare Draco e la sua ditta.
Hermione aveva le mani a coppa
sulla bocca praticamente dall’inizio del racconto che durò
un bel paio di orette. David era veramente mortificato per ciò
che aveva fatto ma quando aveva iniziato a vedere i suoi colleghi
venire licenziati perché Nott non aveva i soldi per pagarli
– perché sperperava il denaro in spese inutili – gli
erano venuti così tanti sensi di colpa perché con molti
di essi intratteneva rapporti anche fuori dal lavoro. Li conosceva,
conosceva la loro situazione familiare e come lo stipendio della Malfoy
Home li aiutasse a vivere decentemente.
“… so-so che non ho
scusanti per quello che ho fatto ma davvero… non ce la facevo
più a tenermi tutto dentro.”
In quel momento Hermione venne colpita da un flash.
Era quel famoso venerdì della partenza per l’America.
Hermione aveva
voluto pranzare con i colleghi del magazzino, solo che aveva
dimenticato la borsa in ufficio ed era tornata indietro a prenderla.
Una volta
arrivata lì, però, ad attenderla vi erano David e Pansy.
Il primo era intento a smanettare al suo computer, l’altra era in
piedi che sembrava controllare ciò che stava facendo.
“David… che ci fai qui?”
“Ciao Hermione. Ti stavo sistemando la banda dati di Internet.”
“Ah, perché?” – chiese lei.
“Di
tanto in tanto controllo che la velocità di trasmissione dati
non cali o non cresca eccessivamente e ho notato che nella tua è
troppo bassa. Hai notato rallentamenti quando usavi Internet?”
“Beh sì, ma pensavo fosse normale che ogni tanto ci fossero dei crolli.”
“No, qui avete un contratto per tot MB. Se non ti secca, adesso te li sistemo, ok?”
“No, no, va benissimo, anzi! Grazie. Beh, ti lascio, io vado a pranzo. Ciao David, signorina Parkinson.”
“Ciao Hermione.”
Sul momento
aveva ritenuto più che strano quel confidenziale saluto ma non
vi aveva dato peso perché stava per partire alla volta
dell’America con Draco che non si era abbassato a spiegarle i
dettagli di quel viaggio. E poi era in ritardo per il pranzo e aveva
fame.
“Allora il giorno che io
dovevo partire per l’America tu stavi manomettendo il mio
computer!” – esclamò, scattando in piedi.
David abbassò lo sguardo, ammettendo così la sua colpa.
“Ma io ti ammazzo!” – urlò Hermione, salendo sul tavolo in uno scatto che spaventò i due.
Draco riuscì a prenderla
per le caviglie e a tirarla indietro, trattenendola per la vita mentre
lei si dimenava come un’ossessa per sfuggire a quella morsa
d’acciaio e uccidere quello stronzo!
Ripensò a tutti i dolci che gli aveva portato perché era riuscito a sistemarle il computer!
“Hermione calmati!” – ordinò Draco, rimanendo inascoltato.
David, scattato in piedi a sua
volta per evitare di morire per davvero si tenne a debita distanza, non
sapeva come rispondere. Hermione ne aveva tutto il diritto di
comportarsi in quel modo.
Attirati dalle urla della figlia,
la famiglia rientrò in casa e allibì nel trovarsi
Hermione tra le braccia di Draco che si dimenava in direzione di quel
David.
“Hermione!” – esclamò Scott.
“Fuori tutti!” –
urlò. – “Se devo ammazzarlo non voglio testimoni in
giro! Ma come hai potuto farmi una cosa del genere? E tutto per un paio
di gambe aperte?”
Nessuno, ovviamente, comprese le parole di Hermione.
“Hermione calmati!” – esclamò il padre.
Draco invece non riusciva più a tenerla. Aveva una forza assurda!
“Hermione mi dispiace…” – sussurrò l’altro.
“Ti-ti dispiace?”
– esclamò, attonita. – “Per colpa tua mi
credono un Giuda! Infilateli su per il culo i tuoi dispiaceri,
stronzo!” – urlò.
Draco le mollò uno strattone.
“Calmati, calmati!”
“Non dirmi di stare calma,
tu!” – esclamò. – “Alla fine hai visto
che la verità è venuta fuori? Hai visto che non sono
stata io a rovinarti l’azienda?”
Daphne tirò le labbra. Ahia…
“Hermione…” – iniziò Ria. – “… ma che boiate stai dicendo?”
La ragazza riuscì a staccarsi da Draco.
“La verità. Cosa che qualcuno qui dentro ha sempre cercato di non voler vedere!”
Compresero che la questione ora si era spostata tra Draco e Hermione e tutti se ne chiesero il perché.
E Draco comprese che era venuto il
momento di dire la verità, anche se aveva sperato di farlo in
altre circostanze, in un’atmosfera più calma e rilassata.
“E io ho perso il conto di tutte le volte che mi sono scusato, ormai.”
Hermione si girò e scosse la testa. Quella ferita non si era mai chiusa del tutto.
“Qualcuno vuole spiegare anche a noi?” – chiese Neville.
“Draco è… era
il proprietario della Malfoy Home.” – spiegò Daphne
che catturò tutta l’attenzione. – “E’
lui che ha licenziato Hermione.”
Dopo un attimo di sgomento
iniziale, Ria portò le mani chiuse a pugno sui fianchi –
poteva essere un bel ragazzo ma aveva fatto star male sua sorella e
questo non lo poteva tollerare – Neville, Kevin e Scott
sollevarono in sincrono il sopracciglio.
Hermione non voleva che la
verità venisse fuori in quel modo ma era così arrabbiata
che aveva parlato senza pensare ancora una volta.
Sapeva che Draco era cambiato, che
aveva rivisto parecchie delle sue priorità e non era giusto,
ora, accusarlo di cose passate. Certo, ancora se pensava al torto
subito stava male, ma in quel mese e mezzo Draco aveva abbondantemente
ripagato il suo debito.
Accusarlo in quel modo era stato da vigliacchi.
In quel mese Draco aveva messo i fatti tanto richiesti da Hermione.
David naturalmente non capì
niente di ciò che stava succedendo, ma fu sollevato di non
essere più al centro dell’attenzione.
“Credo sia il caso che me ne vada.” – disse l’uomo.
“Cosa…” –
esalò Hermione, terrorizzata non solo da quella
possibilità, ma di essersi comportata due volte peggio di Draco.
“Avrei voluto parlarvene di
persona, con più tranquillità, ma… evidentemente
doveva andare così. Sì.” – chiarì
Draco, alzando il volto. – “Io sono Draco Malfoy,
l’ex titolare della Malfoy Home. Hermione ha lavorato per me per
due anni, ma solo negli ultimi mesi, da Settembre circa, ho potuto
verificare quanto efficiente fosse nel proprio lavoro.”
Hermione si sentì sempre peggio.
“Lei è la lavoratrice che ogni azienda vorrebbe ma che io non ho saputo apprezzare veramente.”
La riccia non sapeva cosa dire.
“Ma nonostante avessi potuto
vedere con i miei stessi occhi la lealtà e l’onestà
che ha messo nella mia azienda, al primo cenno di esitazione l’ho
cacciata, accusandola pubblicamente di avermi danneggiato.”
I presenti non seppero che dire.
Draco stava descrivendo un lato di
sé che nessuno credeva potesse possedere, perché avevano
conosciuto un ragazzo volenteroso e disponibile al lavoro. Era come se
stesse parlando di un’altra persona.
“Volevo parlarvene in un’altra situazione, ma…” – lasciò la frase in sospeso.
La sensazione di sollievo che
aveva provato nel confessare quel suo segreto fu qualcosa che ebbe il
potere di alleggerire il mattone di colpa che avvertiva ogni volta che
doveva dire a Scott o alla sua famiglia una mezza verità sul suo
passato.
Ora finalmente le bugie erano finite.
“Vado a preparare le mie cose. Permesso.”
Draco uscì dalla casa, sentendosi improvvisamente di troppo.
Nella stanza calò un
silenzio che mai si era sentito in quelle quattro mura. Hermione
osservava con l’aria di un cucciolo bastonato la figura di Draco
che lentamente si allontanava da lei.
“Hermione…”
– iniziò Scott. – “… perché non
ci hai detto niente di Draco, di chi era in realtà?”
“Io…”
Perché non aveva detto niente?
Probabilmente se l’avesse
fatto suo padre non lo avrebbe aiutato a rimettersi in piedi, non gli
avrebbe dato un lavoro e lei… lei non avrebbe avuto modo di
conoscerlo veramente.
Era forse questo che voleva davvero? Conoscere sul serio Draco Malfoy?
“Eppure sembrava una persona
così a posto…” – borbottò Neville,
pensoso. – “… si era dimostrato un buon lavoratore
fin da subito e non l’ho mai sentito lamentarsi.”
Prima coltellata.
“Sì. A me invece ha
aiutato molto a sistemare i conti. Non riuscivo a capire come facesse
un semplice contabile a risolvere così in fretta i
problemi… ma lui c’è riuscito. Adesso ho capito
perché.” – disse Kevin.
Seconda coltellata.
“Draco avrà
sbagliato, ma in queste settimane ha dimostrato di essersi pentito del
suo gesto nei tuoi confronti Hermione e vi ha posto ampiamente
rimedio.” – disse Daphne, che conosceva tutta la storia.
Terza coltellata.
“Rivangare il passato non
è mai una buona cosa.” – concluse Scott. –
“Soprattutto rinfacciare le cose alle persone.” – la
rimproverò. – “Il Draco che conosco io è una
persona a modo, rispettosa e precisa sul lavoro. Hermione…”
Suo padre era dannatamente serio
ed era certa che sarebbe giunta la quarta coltellata. –
“… il passato è passato.” – disse.
Hermione lo guardò con gli occhi sbarrati.
“Bisogna guardare avanti o si rischia di ammalarsi.”
Ed ecco la quarta coltellata.
Ormai Hermione assomigliava a un puntaspilli.
“Draco si è
dimostrato un valido aiuto per la ditta Hermione.” – disse
Scott. – “Per favore va a parlargli e chiedigli di
rimanere. E scusati.” – precisò.
E Hermione seppe che quello era un ordine.
A capo chino, Hermione si diresse verso la dependance dalla quale sentiva provenire delle voci.
David e Draco.
Chiuse gli occhi. Se pensava a quel tradimento… non riusciva a capacitarsene! Come aveva potuto farle una cosa simile?
Era di fronte alla porta, pronta
per bussare, quando questa si aprì, rivelando la figura di David
con la testa rivolta all’indietro, che parlava ancora con Draco.
“… la terrò
costantemente aggiornato, signor Malfoy.” – quando David si
girò per poco non gli prese un colpo.
Uscì celermente a capo chino e Hermione si fece da parte. Non voleva nemmeno toccarlo.
Entrò in casa e chiuse la porta alle spalle, rimanendovi appoggiata contro.
Draco alzò per un attimo lo sguardo, ma poi lo riabbassò e continuò a mettere via le sue cose.
“Non hai delle consegne da fare?” – le chiese.
Hermione sentì una lacrima scenderle lungo la guancia. La scacciò subito.
“Forse più tardi.”
Avvertita una voce strana, Draco
sollevò lo sguardo e la vide mentre cercava di asciugare le
lacrime. Beh, era troppo tardi adesso.
“Tranquilla, vado via subito.” – la rassicurò.
Ora o mai più, Hermione, si convinse la riccia.
“Dove?” – s’informò lei.
“Non so, forse in un albergo.” – disse. – “Qualcosa troverò.”
Si sentiva davvero pessima.
“E se io… e se io non
volessi?” – chiese in un sussurro che, nel silenzio della
dependance, si udì perfettamente.
“Se tu non volessi cosa?” – chiese.
“Che… che tu te ne vada.” – alzò timidamente lo sguardo su di lui ma lo riabbassò subito.
Non aveva mai avuto un ragazzo e non sapeva se stava dicendo le cose giuste.
Draco si alzò, interessato
al risvolto della conversazione. Non che avesse detto di volersene
andare solo per metterla alla prova, ma lui di passi in avanti ne aveva
fatti ben due: adesso toccava a lei dimostrargli qualcosa.
Qualsiasi cosa.
“Perché dovrei rimanere?” – chiese, con un maglione in mano.
Uno dei tanti che Hermione gli aveva comprato.
“Dammi una sola ragione per rimanere qui.”
“Mio padre dice…”
“Tuo padre.” – ripeté Draco, indeciso se mettersi a ridere o arrabbiarsi.
E Hermione comprese di aver detto la cosa sbagliata.
“Draco io…”
“Senti, finiamola qui.
Qualsiasi cosa sia.” – disse, tornando a mettere via le
proprie cose con maggior convinzione.
Hermione non sapeva cosa fare. Che si faceva in quelle situazioni, di solito? Accidenti a Daphne!
Così scelse l’onestà.
“Ma è proprio questo il punto, non capisci?” – chiese lei, indispettita.
Draco si alzò di scatto. Aveva pure il coraggio di arrabbiarsi? Lei?!
“Onestamente no. E poi tu non eccelli proprio in materia di chiarezza, se devo essere onesto.”
Hermione sospirò pesantemente.
“Ci sono cose di cui non posso parlare.”
“Non puoi? O non vuoi?”
“Non giocare con le parole Draco.”
“Io non sto giocando
Hermione, forse è questo che ti sfugge!” – disse,
gesticolando. – “Non puoi dirmi certe cose come “lei
non è mia madre!”…” – disse, ricordando
lo scoppio della sera prima in camion. – “… e poi
pretendere che io non mi ponga delle domande o che le faccia a te per
cercare di capire!”
Beh, non aveva tutti i torti…
“Se non ti senti pronta per
raccontarmi i tuoi segreti, lo capisco!” – disse. –
“Ma almeno con te stessa dovresti essere onesta! Onesta in
quello… in quello che provi almeno…” –
concluse, con un sospiro amaro e sì, imbarazzato.
Non era abituato a parlare in quel modo a una ragazza.
“Ho bisogno di
tempo…” – disse lei, sentendosi infinitamente
ridicola e stupida per avergli chiesto una cosa del genere.
Draco rimase in silenzio per un periodo abbastanza lungo, tanto che Hermione pensò che fosse tutto finito.
Alla fine lo sentì sbuffare, ma non sembrava infastidito.
“La cosa ridicola è che sono disposto a dartelo…” – disse, dandosi dell’idiota da solo.
Hermione alzò lo sguardo di scatto.
“Davvero?”
“Già…” – disse Draco, sedendosi sul letto a capo chino.
Hermione si avvicinò
lentamente e gli si inginocchiò davanti. Gli mise una mano sulla
guancia. La barba le solleticava il palmo.
“Una cosa alla volta Draco.” – gli disse.
Gli chiese.
Lui la guardò. Era serio.
“Che ti ha detto David?”
Draco soppesò la risposta.
Gli aveva chiesto del tempo e lui era stato disposto a concederglielo;
aveva detto una cosa alla volta e lei aveva scelto di risolvere per
primo la gatta della sua società.
Che lo facesse perché
voleva che lui riprendesse ciò che era suo o perché
voleva rimandare il più possibile la questione non era
importante. Draco pensò che forse era meglio risolvere tutti i
problemi che aveva in relazione alla Malfoy Home per potersi dedicare
mente e corpo a Hermione.
E cuore.
I due rientrarono in casa, dove vi
era l’intera famiglia attorno al tavolo ad aspettarli. Quando
entrarono calamitarono su di sé l’attenzione.
“Draco rimane.” – disse Hermione.
“Mi fa piacere.” – disse Minerva. – “Hermione tu devi fare le consegne, vero?”
“Sì, credo che partirò tra poco. Vuoi… vuoi venire con me?” – chiese la riccia a Draco.
“Sì, certo.”
“Ok. Io vado a cambiarmi.”
Draco rimase da solo con la famiglia di Hermione.
“Draco Malfoy.” – disse Scott. – “Quel Draco Malfoy…”
“Già.” – disse Draco, ancora imbarazzato.
“Non ci saranno altri colpi di scena o bugie, vero Draco?” – chiese Scott, come monito.
“No Scott.”
“Bene. Allora preparati anche tu. Signori, si torna in pista.” – disse Scott.
Astoria e Marika rimasero a casa
mentre Daphne salì in camera per prendere un giacchino –
il tempo non sembrava essere molto clemente – e andare ad aiutare
gli altri.
Mentre saliva le scale, Daphne sorrise.
Hermione si stava lentamente aprendo con Draco ed era un bene.
Voleva solo la felicità della sua sorellina.
Il tempo passò e
arrivò Maggio che, oltre ad aver permesso all’Inghilterra
di vedere il sole, fu il mese in cui Draco iniziò il suo
percorso per riprendersi l’azienda di famiglia senza trascurare
quella di Scott.
Lui e Hermione avevano raggiunto
un buon equilibrio ma Draco sapeva che c’erano ancora dei segreti
tra loro, segreti che da come li trattava Hermione, sembravano avere il
potere di spaccare le fondamenta della terra e inghiottire tutti in un
buco nero. Non aveva più riprovato a baciarla non per mancanza
di voglia, ma perché le informazioni che David gli passava
costantemente sull’azienda lo tenevano occupato per la maggior
parte del tempo.
Anche Hermione.
La riccia si era messa di lena per
aiutarlo a riprendersi ciò che era suo, sperando così di
veder affondare Pansy Parkinson nella merda dalla quale era uscita.
Beh, lo scopo di Hermione era molto meno nobile di quello di Draco ma
al biondo non interessava: lui avrebbe riavuto la sua azienda e
Hermione la vendetta che aveva sempre tanto desiderato.
E tutti sarebbero stati felici e contenti.
In quei tre mesi, Draco aveva
continuato a notare che Hermione, per tre giorni al mese, era di umore
nero e nonostante avesse cercato di farsi dire che cosa stava passando,
nessuno sembrava volergli dare una risposta chiara.
Si era creato un alter ego che gli
permettesse di muoversi nel mondo dell’Economia Aziendale senza
destare sospetti, ma soprattutto per impedire a Nott di prendere misure
per agire contro di lui.
Era Maggio inoltrato e le giornate si erano allungate che era un piacere.
Le magliettine leggere avevano
sostituito i maglioni coprenti e le gonne, i pantaloni di lana, quindi
alla Granger’s Transports c’erano molte paia di gambe
scoperte che cercavano di far colpo su un certo biondo.
Draco, vista la stagione estiva,
aveva il doppio del lavoro con il trasporto degli alimenti. Le consegne
dovevano partire presto e arrivare ancora prima e quindi non aveva il
tempo di perdersi a guardare le ragazze dalla vita in giù.
Ma nonostante il lavoro, il tempo per pensare alla Malfoy Home lo trovavano sempre sia lui, sia Hermione.
Lavorare nell’azienda di
Scott e al contempo elaborare i dati e le informazioni passate da David
li aveva legati molto più di quanto avessero potuto immaginare.
La famiglia di Hermione aveva
potuto toccare con mano la precisione di Hermione nel suo vecchio
lavoro: parlava con Draco di cose che capivano solo loro, contattavano
persone a destra e a manca. Scott era allibito quando aveva sentito sua
figlia usare un tono da Hitler in gonnella per avere ciò che le
serviva.
Un giorno glielo aveva anche chiesto.
“Hermione, perché parli in quel modo con le persone al telefono?”
La riccia,
dopo una giornata massacrante al lavoro, si era messa sotto con quello
per la Malfoy Home. Rilegava fascicoli, pinzava fogli, ordinava
informazioni… il tutto contemporaneamente.
“Qui non
siamo a Castle Rich dove tutti conoscono tutti. Qui le persone si fanno
in quattro per non mettere le altre nei pasticci ma là fuori
è un altro discorso. Se vuoi qualcosa, te la devi prendere senza
chiedere.” – disse.
E tornò al lavoro.
Lavoravano letteralmente spalla
contro spalla, si passavano carte alla velocità della luce, si
scambiavano informazioni su come affrontare una cosa piuttosto che
l’altra. In pratica, erano diventati complementari: se lui diceva
una cosa, lei l’aveva già fatta, se lei pensava a
qualcosa, Draco l’aveva espressa a voce.
Non si intralciavano mai, nemmeno
quando dovevano lavorare in una scatola di sardine come poteva essere
l’ufficio di Rya, sfrattata dal lavoro perché la pancia
iniziava a ingombrarla.
Marika era agli sgoccioli e la
maggior parte del tempo la passava sdraiata in camera. Con il caldo, le
gambe le divenivano pesanti e non riusciva più a stare in piedi.
Per non parlare della pancia che pesava oltre ogni dire.
Avevano affinato la tecnica di collaborazione che aveva portato ad affinare un altro tipo di rapporto: quello personale.
Lui aveva iniziato a preoccuparsi
sempre per lei, le rivolgeva sempre una parola carina prima, dopo e
durante il lavoro, cercava di farla ridere…
Hermione, dal canto suo, faceva la
stessa cosa con Draco: lo aspettava sempre prima di scendere a cena,
facevano colazione sempre da soli al mattino, aveva ripreso ad avere
quella fiducia che lui auspicava potesse ritornare…
Tutti si erano resi conto di
ciò che stava succedendo, ma nessuno aveva mai osato aprire
bocca. Era una cosa importante quella che stava succedendo a Hermione e
non volevano rovinarla con battutine stupide.
Ma il lavoro, Hermione che aveva
un problema non indifferente da risolvere e che stava mentendo a Draco,
i due non riuscivano mai a parlarsi veramente, ad esporre i propri
pensieri. E quando trovavano il momento, mancavano le parole e quando
c’erano le parole, mancava il momento.
Soffrivano entrambi, ma ad occhio esterno, sembrava che nessuno dei due ne risentisse.
I due lavoravano alacremente fino a ore tarde.
Per non disturbare nessuno,
Hermione aveva preso le proprie carte e il computer e li aveva
trasferiti nella casa di Draco, dove potevano anche urlare che nessuno
li avrebbe sentiti.
Stavano discutendo sul fatto che
la Malfoy… la Nott Home stava scendendo sotto la soglia minima
che un’azienda non dovrebbe mai superare per non finire in guai
seri perfino con la legge. Hermione continuava a dirgli di comprare ma
Draco voleva aspettare.
“Ma perché?
Più in basso di così non può scendere! E se ci va
poi non la tiri più su!” – esclamò Hermione.
Era parecchio stanca, aveva
mangiato male e in fretta, la giornata era stata pesantissima e
l’unica cosa che voleva era solo andare a letto e dormire per tre
giorni di fila. Invece doveva rimanere alzata per aiutare Draco a
sistemare i conti in sospeso.
Avrebbe tanto voluto evitare quella piccola lite con Draco ma sembrava non fosse possibile.
“Nott ha rilevato la mia
società per appena settantamila sterline.” – il
ricordo di quanto aveva dovuto svendere la sua società gli fece
serrare gli occhi per la stupidità dimostrata nel fidarsi di
certe persone. – “Io la ricomprerò ad ancora
meno.”
“Quanto meno?” – chiese Hermione.
“Diecimila.”
“Sei sotto la soglia di copertura.” – lo avvisò Hermione, mentre si stropicciava gli occhi.
“La ritirerò su.” – disse Draco, mentre si stropicciava gli occhi.
Hermione si sedette e sbadigliò pesantemente.
Draco le sorrise.
“Sei stanca?”
“No, no. Mi piace slogarmi la mascella.” – frecciò lei.
“Vuoi dormire qui?” – le propose.
Hermione si era già sistemata con il capo sulla scrivania e gli occhi chiusi.
“Non dirmelo due volte…” – disse lei, con voce strascicata.
“Vuoi dormire qui?”
“Sì.” – disse lei, tirandosi in piedi.
Si tolse le scarpe – i
vestiti mai!!! – e s’infilò a letto.
L’indomani avrebbe sostituito le lenzuola.
Draco ridacchiò ma
andò a letto pure lui. Era sfinito e per fortuna che il giorno
dopo avevano avuto la mattina libera da parte di Scott, che aveva
notato quanto fossero bisognosi di quante più ore di sonno
possibili.
Le aveva proposto di dormire
insieme, in memoria di quel viaggio fatto a Norwich, dove avevano
diviso il letto per quelle due orette in quell’albergo. Era stato
bello sentirla tra le sue braccia, anche se allora non aveva ancora ben
chiaro cosa stesse nascendo in lui, e ora, che invece sapeva cosa gli
stava succedendo, poteva riprovarlo.
Si accoccolò accanto a lei e si addormentarono abbracciati.
Calli-corner:
Quando la tecnologia ti scassa le balle anche quando non dovrebbe.
Finalmente Draco prende il coraggio di baciare Hermione e Hermione sembra alquanto collaborativa, ecco che suona il telefono.
David Linch, il tecnico informatico della Malfoy Home che ha recato danno non solo all’azienda ma a Hermione stessa.
Dunque ecco spiegato il suo scoppio d’ira.
Fossi stata in lei, avrei dato una
ginocchiata nelle palle di Draco perché mi mollasse e avrei
ucciso quello stronzo che mi aveva fatto licenziare.
Ed ecco che l’intera famiglia viene a sapere di Draco e della Malfoy Home.
Un primo mistero è stato risolto, anche se ce ne sono degli altri in vista.
Hermione è costretta dalla
sua famiglia a fare i conti con Draco, perché nonostante lui
abbia trattato male la ragazza, a casa loro si è sempre
comportato bene e Daphne, che sapeva tutta la storia, ha potuto toccare
con mano il cambiamento del biondo.
Hermione gli chiede tempo,
perché ha bisogno di capire come affrontare certi discorsi ma
preferisce risolvere prima la gatta della Malfoy Home per avere la
mente libera da ogni preoccupazione.
Il tempo passa e con David che sta
cercando di porre rimedio ai suoi errori, che passa a Draco tutte le
informazioni per riprendersi l’azienda e mandare Pansy e Nott in
galera, i due non hanno modo di parlarsi perché sono
costantemente impegnati con il lavoro all’azienda di Scott e
quando tornano devono analizzare le informazioni di David.
Beh, che dire?
Ve ne ho date di informazioni in questo capitolo!
Vediamo cosa vi suggerisce lo spoiler…
“Posso chiederti una cosa?”
“Dimmi.” – disse lei, soffiando sul tea bollente.
“Se non sono indiscreto…”
Quelle parole ebbero il potere di riscuotere Hermione dai suoi pensieri e far si che la sua attenzione si posasse su Draco.
“… posso sapere perché Neville e Daphne non hanno figli?”
Secondo voi, cosa accadrà nel prossimo capitolo?
^___^
Bacionissimi!
callistas
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Capitolo 15 *** Verità Nascoste 1 ***
15 - Verità Nascoste 1
Devo dire che è la prima volta che mi capita e onestamente non è una bella sensazione.
So perfettamente che questa storia
non è al livello di Verità Nascoste – oddio, non
che io possa dire cosa sia ad un livello superiore e cosa no –
perché l’ho scritta più per diletto e perché
stavo ancora sistemando quella che posterò dopo questa.
Ora, la mia nuova storia è
finita – un’ultima occhiata e poi la posterò –
e sento l’odioso impulso che mi dice di cancellare questa e
postare l’altra.
Giuro: è la prima volta che mi succede ed è bruttissimo.
Rimane il fatto che non
cancellerò questa storia, perché sono troppo affezionata
ai vostri commenti per perderli in questo modo, ma a volte ho la voglia
di postare l’ultima parte tutta in blocco.
Prrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr!!!
*pernacchia*
Non lo farò mai!
Comunque sia, a parte questo
piccolo sfogo, vi lascio alla lettura di questo capitolo, dove
riusciremo a capire qualcosa di più di Daphne e di Hermione.
Come al solito vi aspetto sotto.
Buona lettura,
callistas
“Maledizione!” – tuonò un uomo dai capelli neri. – “Siamo scesi ancora!”
“E’ colpa tua!”
– esclamò la sua compagna di letto. – “Non
dovevi accettare quell’affare!”
“Ma sta zitta, Pansy! Fin quando ti andava bene da spendere soldi era un affarone, vero?”
Pansy si morse il labbro. Forse
Theodore era veramente bravo solo a parlare, mentre a fatti era un vero
e proprio disastro. Ora come ora non sapeva se aveva fatto bene a
tradire il biondo per mettersi con uno che di affari ne capiva meno di
zero.
“Ora devo vedere cosa fare.”
“Vendi, prima che sia troppo tardi!” – disse la donna, preoccupata.
Se vendevano adesso, c’era una buona probabilità di avere soldi a sufficienza per passare bene il futuro.
Avevano un buon compratore per le
mani e Pansy non voleva rischiare di perderlo perché
quell’altro era più testardo di un mulo!
“Non dire cazzate! Non venderò mai!” – s’impuntò l’altro.
“Non fare lo stupido! Se vendiamo adesso, abbiamo la possibilità di non fare una vita da morti di fame!”
“HO DETTO DI NO!” – tuonò Theodore, battendo i pugni sulla scrivania e facendo sobbalzare la donna.
“E allora arrangiati! Non intendo finire a fondo con te!”
“Credi sia così facile?” – chiese Theodore, che non era uno sprovveduto fino in fondo.
“Cosa vuoi dire?”
“La firma sui conti ce
l’hai anche tu. Tu hai speso i soldi derivanti dagli affari per
comprarti le macchine e i vestiti lussuosi, quindi se affondo io
affondi anche tu!”
“Bastardo…” – sibilò Pansy, evidentemente preoccupata.
Alla fine, alla Nott Home, erano
rimasti solo pochi impiegati, quelli che percepivano uno stipendio
base. Quelli che avevano raggiunto gli scatti di anzianità, i
premi produzione, i premi fedeltà per gli anni passati in
azienda, o si erano dimessi per come vigeva lo stato in ditta, o per le
pressioni che subivano dallo stesso Nott o erano stati licenziati senza
tante remore solo perché percepivano un salario troppo alto che
Nott non riusciva più a pagare. Erano rimasti, per
l’appunto, dipendenti che di ciò che facevano i colleghi
più anziani non sapevano niente perché non rientrava
– giustamente – nelle loro mansioni e nessuno era tenuto a
imparare quelli altrui. La Nott Home stava affondando, e anche
abbastanza velocemente, anche per quel motivo: i pochi sopravvissuti
sbagliavano continuamente le fatture, i calcoli delle provvigioni, il
fatturato… tutto perché non erano stati debitamente
istruiti sul da farsi e perché, in soldoni, Nott non era in
grado di dirigere un’azienda.
Il malcontento era ai massimi
vertici e Nott non se ne curava. A breve si sarebbe ritrovato una
schiera di avvocati dei sindacati per dare ai dipendenti ciò che
da mesi lui non dava più: lo stipendio.
“Sarò anche un bastardo tesoro… ma godevi quanto ti scopavo.” – disse, non molto finemente.
Pansy lo odiò. In quel momento lo odiò profondamente.
Draco non le avrebbe mai parlato
in quel modo così volgare. Solo allora si rese conto del
madornale errore che aveva fatto e tutto perché non era stata
sufficientemente attenta in ciò che faceva, troppo accecata dal
fatto che poteva spendere tutti i soldi che voleva senza badare a spese.
E ora ne pagava le conseguenze.
“Domani inizia a dare un’occhiata alle fatture delle provvigioni.” – disse lui, sbrigativo.
Pansy lo guardò sbigottita.
“Che vuoi dire?” – chiese.
Nott la squadrò con
sufficienza. Per lui era stato molto più importante soffiare
l’azienda e la fidanzata a Draco più per sfida personale
che per reale interesse.
Almeno per quello che riguardava Pansy.
“Sei sorda oltre che puttana?”
Un singhiozzo indignato le uscì dalla gola.
“Ti ho detto di fare le fatture per le provvigioni.”
“Vuoi… vuoi mettermi a lavorare? Ho capito bene?”
“Almeno di sano
hai ancora le orecchie.” – disse Theo, divertito. –
“Sì, ti metto a fare le fatture. Qualche problema?”
“Io non faccio le
fatture!” – esclamò, indignata dalla
possibilità di dover lavorare sul serio per la prima volta in
vita sua.
“Beh, comincerai adesso. Ora va. Ho altro da fare che stare a sentire le tue lagne.”
Pansy uscì dall’ufficio, sbattendosi la porta alle spalle.
Ma come osava trattarla in quel modo? Dopo tutto quello che aveva fatto per lui?
Theo invece stava pensando al perché la Nott Home stesse così miseramente fallendo.
Non riusciva davvero a rendersi
conto che lui non era mai stato in possesso di quel sesto senso che
Draco, Lucius e Abraxas invece avevano. Avevano fiuto per gli affari ma
soprattutto… facevano il passo commisurato alla lunghezza della
gamba. Theo invece si buttava a capofitto nelle situazioni senza
vagliarne i pro e i contro.
E ora doveva scendere dalla giostra.
Hermione si svegliò perché sentiva qualcosa tra i capelli.
Quando riuscì a scollare un
occhio, vide la mano di Draco che continuava a pettinarle quei ricci
che lei tanto odiava con un sorriso placido sulle labbra. Non riusciva
mai a farli stare come voleva! Un giorno o l’altro si sarebbe
rasata la testa!
“Che stai facendo?” – chiese, con la bocca ancora impastata.
“Cerco di dare una forma ai tuoi capelli.” – scherzò l’uomo.
Draco si era svegliato circa una
mezz’ora prima e il primo istinto fu quello di baciarla. Si
sentiva molto preso dalla ragazza e aveva approfittato di quel suo
momento di totale abbandono per toccarla.
“Auguri allora.
Com’è che non ti facevo così spiritoso?”
– chiese Hermione, con gli occhi comunque chiusi intenta a
godersi quelle carezze.
“Ci sono tante cose che non sai di me.” – disse lui.
“Le scoprirò.” – disse lei, ancora mezza intontita dal sonno.
La mano di Draco si fermò e
lui stirò le labbra in un sorriso. Forse al detto “in vino
veritas” avrebbe dovuto aggiungere “in somnium
veritas”.
Lentamente la donna iniziò
a svegliarsi. Peccato: si stava bene lì. Si alzò ma un
lembo della camicetta le scivolò sulla spalla. Veloce lo
riportò al suo posto e agganciò il bottone
all’asola.
Draco rimase perplesso ma poi scosse la testa.
Forse ciò che aveva visto era stata solo un gioco di luci e ombre.
Non sapeva dirsi perché, ma scartò l’ipotesi che si trattasse di una cicatrice.
Hermione e Draco entrarono in casa che non c’era nessuno.
Era domenica e quello doveva
essere l’ultimo giorno di festa in paese – una festa che
era solamente per gli abitanti di Castle Rich – motivo per il
quale anche Minerva aveva abbandonato la dimora per andare ad aiutare
le altre mogli nei chioschetti.
Buon giorno Hermione,
ho immaginato che vi sareste svegliati tardi, così vi ho preparato direttamente il pranzo. Lo trovi in forno.
Buona giornata.
La prima cosa che Hermione
pensò fu che Minerva sotto “buona giornata” non
aveva scritto “mamma”. Ricordò che una volta lo
scriveva ma poi non lo aveva più fatto.
Scosse la testa per non pensarci.
Minerva comunque aveva fatto bene,
perché erano già le dodici e quarantacinque e nonostante
si fossero appena svegliati, avevano già fame. Bella
fatica… la sera prima avevano cenato al volo!
Gettò il biglietto e iniziò a preparare la tavola.
“Posso chiederti una
cosa?” – chiese Hermione, che si alzò sulle punte
per prendere i piatti dallo scolapiatti.
“Dimmi.” – disse Draco, che stava sistemando i tovaglioli.
“Vuoi acquistare la Nott Home al prezzo di diecimila sterline. Dove li vai a pescare i soldi?”
Quando vide Draco rabbuiarsi, comprese di aver toccato un tasto dolente.
“Pensavo di chiedere un prestito in banca.”
“E chi ti farà da garante?”
“Ci sto pensando…” – disse lui, rimanendo sul vago.
Nessuno dei due parlò più. Hermione prese ad affettare il pane e tagliare il pasticcio.
“Te li presto io.” – disse la riccia, voltata di spalle.
Draco si girò di scatto.
“Scusa?”
“Ho detto che te li presto io.” – disse mentre impiattava.
“Ti ringrazio, ma non posso accettare.”
Hermione si girò e portò i piatti in tavola.
“Insisto.”
“No. Hai già fatto
tanto per me e non voglio invischiarti in questa cosa. Tra
l’altro non so neanche se andrà bene, quindi…”
“Ma se ieri sera hai buttato
giù un piano militare che Churchill se lo sogna!” –
esclamò. – “Che fai? Ti tiri indietro, adesso?”
“No, sono sicuro di ciò che faccio, ma non voglio coinvolgerti più del necessario.”
“Ormai siamo sulla stessa barca.” – disse lei. – “Non tirare su i remi prima del tempo.”
“Sì, ma se va male?”
“Inizia a correre.” – disse lei, semplicemente e buttandola sullo scherzo.
Aveva iniziato a mangiare, con la discussione ormai archiviata sotto la voce “si fa come dice Hermione”.
Draco però aveva sentito lo
stomaco chiudersi e la fame gli era passata non per lo sdegno della
proposta, ma perché per quanto avesse calcolato tutto nei minimi
dettagli, temeva sempre quel particolare, quel contrattempo che poteva
guastargli la festa e se ciò fosse accaduto a rimetterci non
sarebbe stato solo lui, ma anche Hermione.
Il suo era un gesto molto generoso
e che palesava quanto fosse riuscita ad accantonare la storia del tiro
mancino che Draco le aveva fatto circa sette mesi prima.
“Grazie.” – sussurrò, prima di cominciare il pranzo.
Hermione gli sorrise complice.
Finito il pranzo, si rimisero
sotto a ricontrollare la situazione della Nott Home, notando come nelle
prime ore di apertura del mercato, le quotazioni della ditta fossero
scese ancora di qualche punto.
“Pazzesco che sia
così incapace…” – fu il commento di Hermione.
– “… ma come ha fatto a diventare un tuo
socio?”
“Me l’aveva proposto
uno dei tanti soci della Malfoy Home.” – spiegò
Draco. – “Mi fidavo di loro e… sì, lo so a
cosa stai pensando.” – disse. – “Anche
lì mi sono fidato delle persone sbagliate, ma se tutto va come
deve andare, farò Tabula Rasa di tutti che mi stavano intorno a
fare i leccapiedi e prenderò gente di cui posso fidarmi.”
Questa sono io. Lo so: sono bella.>
Hermione stava sistemando un
raccoglitore relativo alla consegna appena fatta di un arredamento per
una famiglia di Liverpool. Solitamente non era una sua abitudine, ma
sapeva che a Marika mancava davvero poco per dare alla luce la sua
bambina che, con Damian, aveva scelto di chiamare Noemi.
Draco era lì con lei e
digitava al computer alcune mail di richiesta ai fornitori di questo o
di quell’altro documento per chiudere definitivamente una
pratica, quando entrambi sentirono il telefono vibrare sulla scrivania.
Si girarono in sincrono.
Hermione scavalcò un paio
di sedie con l’eccitazione tipica di chi leggerà per primo
quel messaggio. Man mano che leggeva, un sorriso si levò ad est
per finire a ovest.
“Allora?” – chiese Draco, contagiato dal sorriso di Hermione.
“E nata!” – esclamò.
“Davvero? Congratulazioni! Che dice il messaggio?”
Hermione gli piazzò davanti al naso il display del cellulare e anche quando Draco lo lesse, ridacchiò divertito.
“A dieta già da adesso?”
“Questa è Marika di sicuro.” – disse Hermione, che conosceva la cognata come una burlona.
Le mandò un messaggio di felicitazioni, dicendole che sarebbe passata a trovarla più tardi, finito il lavoro.
Fu una giornata abbastanza pesante
e sapere che una volta tornati a casa avrebbero cenato letteralmente al
volo per rimettersi sotto con la Nott Home non aiutò ad
alleggerire lo stato d’animo dei due.
Avrebbero tanto voluto buttare all’aria tutto e dormire per una settimana di fila!
Uscirono dal lavoro alle sei
spaccate perché Hermione voleva passare dal fiorista a prendere
un mazzo di rose per sua cognata e vedere la piccola Noemi.
“Sei stanca?” – chiese Draco.
Hermione era bellamente svaccata sul sedile del passeggero, con la testa incastrata tra il sedile e il vetro della portiera.
“Un po’…” – mormorò.
Lo era talmente tanto che non aveva nemmeno il fiato per parlare.
“Vuoi che andiamo a letto stasera?”
Hermione lo guardò stranita.
“Scusa?”
“Dicevo… se vuoi stasera possiamo prenderci una pausa. Il grosso del lavoro lo abbiamo fatto.”
“Sicuro?” – s’informò lei.
Draco fece le spallucce. Un po’ di riposo non avrebbe nuociuto a nessuno dei due.
“Sì. Siamo stanchi e in queste condizioni potremmo fare più danni che altro.”
Il ragionamento filava e la
prospettiva di fare un pasto decente e un sonno ristoratore Hermione
sembrò anticipare le tappe, almeno con la dormita… si
appisolò fino ad arrivare dal fiorista.
Draco sollevò le sopracciglia. Era così stanca?
Scosse la testa, divertito e
intenerito da quella roccia di ragazza così, approfittando di
quel momento di solitudine, Draco pensò a tutto ciò che
era successo.
Ancora non riusciva a credere che
David avesse boicottato Hermione – e la sua azienda – per
le gambe aperte di Pansy. Quella donna non aveva proprio nessun ritegno
per se stessa. Però, stando a contatto con la famiglia di Scott,
aveva imparato cosa fosse il vero perdono e quanto fosse indispensabile
darlo non solo a chi, per lo meno, dimostrava sincero pentimento e il
tentativo di porre rimedio ai propri errori ma soprattutto darlo per la
pace della propria anima.
Vivere con l’anima rosa dall’odio è una vittoria per chi procura dolore.
Così lo aveva perdonato e subito dopo si era sentito meglio con se stesso.
Hermione, invece, era un altro
paio di maniche. Lei non aveva mai fatto del male a nessuno, eppure
tutti si sentivano in dovere di farne a lei o, semplicemente, metterla
in difficoltà. Il suo unico obiettivo era quello di impegnarsi
seriamente sul lavoro in modo tale che le sue qualifiche potessero
emergere e invece aveva avuto la sfortuna di incontrare Pansy sulla sua
strada.
Come aveva fatto ad essere
così cieco?, se lo chiedeva praticamente tutti i giorni. Si
chiedeva come avesse potuto solamente pensare che, tra le due, Hermione
fosse la bugiarda mentre Pansy quella incompresa da tutti.
Era riuscito a vedere il lato positivo anche quando sembrava che fosse tutto finito.
Fortuna che se ne era accorto in tempo…
Immerso in questi mille pensieri,
Draco arrivò dal fiorista. Si girò per svegliare
Hermione, ma quando la vide addormentata come un masso, preferì
non svegliarla. Scese lui a comprare le rose per Marika. Il gestore
aveva dieci tipi di colore e Draco, indeciso, ne prese una per tipo,
pagò e si diresse all’ospedale, dove fu costretto a
svegliare la donna.
“Hermione? Siamo arrivati.”
La riccia si stropicciò gli occhi e inarcò la schiena.
Draco stava scoprendo parecchi
lati nascosti di quella ragazza: sul lavoro era così puntuale e
precisa che non avrebbe mai detto potesse atteggiarsi in quel modo.
Hermione aprì gli occhi e si stranì nel trovarsi all’ospedale.
“Ma… ti avevo detto di passare dal fiorista!” – esclamò, quasi delusa.
“I fiori stanno dietro. Li ho presi io.”
Si girò di scatto e
guardò perplesso il mazzo di rose variopinto che faceva bella
mostra di sé sui sedili posteriori.
“Grazie…” – sussurrò prima di scendere.
La piccola Noemi dormiva mentre
tutti – Hermione, Draco e Damian – la divoravano con gli
occhi nella culla messa a disposizione dell’ospedale accanto al
letto della mamma.
Marika, a sua volta, guardava i graditi ospiti studiare la bambina da ogni angolazione.
“Spero che non diventi una
porca come Ria, altrimenti siamo a posto.” – fu
l’aulico commento di Hermione che fece ridere di gusto i presenti.
“Non credo che Damian lo
permetterebbe.” – disse Marika, guardando di striscio il
marito che da quando aveva tenuto in mano quel fagottino rosa per la
prima volta si era innamorato di nuovo.
“Ho le mutande di latta in cantina.” – chiarì il papà.
“Ah giusto… quelle
che usavi tu quando ti facevi la doccia a scuola…” –
frecciò Hermione, divertita.
Damian la guardò storto e Hermione tornò a studiare la nipotina.
“Non ha caldo con la cuffietta?” – chiese, perplessa.
Già lei stava sudando sette camicie.
“E’ per proteggere la fontanella.” – spiegò la neo mamma con un braccio sotto la testa.
“Quando esci?”
“Se tutto va bene mi
dimettono sabato mattina e poi…” – si scambiò
uno sguardo d’intesa con il marito, della serie “e da
sabato ce la cucchiamo noi…”
Rimasero lì ancora per qualche minuto poi se ne andarono per lasciarli godere della loro intimità.
“Certo che hai una bella
considerazione di tua sorella Astoria…” –
commentò Draco, una volta in ascensore.
“Perché?” – chiese Hermione, con un sorrisetto divertito.
“Le hai dato della porca.” – chiarì Draco.
“E non lo è?” – lo sfidò a ribattere.
Ormai Draco era con loro da cinque mesi e avrebbe dovuto capire che tipo fosse sua sorella.
“Sì, ma…”
“E allora?” – chiese lei, facendo le spallucce. – “E poi scherzavo…”
Le porte dell’ascensore si aprirono e i due poterono tornare alla mcchina.
Come promesso da Draco, Hermione
poté mangiare tranquillamente e andare a letto veramente presto
per recuperare il sonno arretrato.
Nemmeno Draco disdegnò la cena in tranquillità e un buon sonno ristoratore.
I tempi previsti da Draco per
comprare la Nott Home al prezzo stabilito – voleva scendere
ancora per non intaccare troppo i risparmi di Hermione ma lei non ne
aveva voluto sapere – si allungarono ancora di qualche mese.
Gli serviva del tempo per parlare
anche con avvocati, legali e quant’altre persone ancora per
vedere se ci fossero state delle irregolarità
sull’acquisizione della sua azienda.
Il bambino di Astoria aveva fatto
in tempo a nascere, scegliendo il caldo del trentun Luglio e a
festeggiare i suoi primi due mesi di vita.
Inutile dire che i nonni
sembravano ringiovaniti di vent’anni, perché nonostante
quelle nascite fossero una delle tante tappe nella vita dei suoi figli,
per Minerva e Scott – lui, soprattutto – erano un viaggio
indietro nel tempo.
Quel periodo a casa Granger era servito anche per ben altri motivi.
Innanzi tutto, Draco aveva imparato che non tutto il male viene per nuocere.
Il fatto di essersi trovato dalla
mattina alla sera senza un tetto, gli aveva aperto gli occhi su chi era
veramente suo amico e, nessuno, a partire da Theodore lo era stato.
L’ultima persona sulla
faccia della terra alla quale avrebbe potuto solamente sognarsi di
chiedere una mano, ovvero Hermione, si era invece offerta di propria
spontanea volontà per aiutarlo a rialzarsi. Non aveva mai
chiesto niente in cambio, non aveva mai rivoluto veramente indietro i
soldi che all’inizio aveva speso per lui, non aveva chiesto
niente, se non fiducia e rispetto, altre due parole di cui, prima di
venir cacciato dall’Olimpo dei manager dell’anno, non
conosceva il reale significato.
Ora, grazie a Hermione e alla sua
famiglia, poteva dire di avere imparato molte cose, in primis a livello
umano. Sul lavoro aveva imparato a sporcarsi le mani, nel vero senso
della parola: se qualcuno aveva bisogno di spostare una scatola
più pesante di un’altra, interveniva lui.
Inutile dire che da quando Draco
era arrivato a lavorare per la Granger’s Transport, il personale
femminile aveva esibito un repertorio di battutine e di vestiario
veramente piccante.
Il clou della venerazione che le
donne avevano per lui avvenne quando lui, un giorno d’estate,
entrò dalla porta principale con una cassa di legno sulla spalla
destra. Indossava solo dei jeans strappati ed era senza maglietta.
Aveva aiutato un camionista ad agganciare il rimorchio alla motrice, ma
purtroppo i jeans si erano strappati così come la maglietta che,
sollecitata dalla massa muscolare delle braccia sotto sforzo, si era
ridotta in brandelli. Ignaro di poter scatenare un inferno in terra,
Draco se la tolse e la buttò in un cestino.
Comunque… quando
entrò tutto sudato con la cassa sulla spalla destra, il reparto
femminile della Granger’s Transport ebbe un brusco arresto, per
non parlare dei continui errori di distrazione dovuti
all’immagine di quel dio a petto nudo.
E nemmeno Hermione era rimasta indifferente di fronte a quello spettacolo…
Altra cosa che Draco aveva imparato era che i bambini gli piacevano.
Quando aveva chiesto a Pansy di
sposarlo, lui le aveva prontamente fatto notare che non avrebbe voluto
avere mocciosi in giro per la casa, che urlavano e strepitavano per
qualsiasi cosa. Forse, questa sua visione non del tutto paradisiaca
della prole, derivava dal fatto che tutti i figli dei suoi allora amici
erano viziati e capricciosi, sempre soddisfatti dai genitori nelle loro
assurde richieste solo perché non disturbassero.
I figli di Marika e Astoria erano
invece tutt’altra cosa: nonostante la tenerissima età,
sapevano riconoscere immediatamente il tono autorevole dei genitori,
per non parlare della coppia stessa che era unita su ogni decisione
presa per il bene dei bambini. Marika, Damian, Astoria e Kevin con i
loro atteggiamenti e la consapevolezza di avere per le mani una
creatura fragile e indifesa gli fecero rivalutare pian piano il
desiderio di averne a sua volta.
Ed era in quei momenti che il suo sguardo cadeva su Hermione.
Per non parlare di Scott e
Minerva… quei due in compagnia dei loro nipoti subivano una
trasformazione incredibile. Diventavano peggio dei bambini stessi!
Inutile dire che Astoria e Marika “sbuffavano” di fronte a
tutta quella vivacità, ma sotto sotto si vedeva che erano felici
per il dono della maternità.
Marika e Astoria, con i rispettivi
mariti avevano spiccato il volo verso la loro nuova dimora, sempre in
paese. Durante le due gravidanze, Minerva e Scott avevano insistito
perché restassero lì con loro, in caso di
necessità, ma era giunta l’ora che le due nuove famiglie
si godessero il calore del focolaio domestico in santa pace.
Gli unici che non si schiodavano da casa erano Neville e Daphne.
A Draco faceva molto strano,
perché quei due si amavano tantissimo, avevano una profonda fede
e non capiva perché non avessero ancora messo in cantiere un
bambino, perché aveva visto come Daphne guardava i suoi
nipotini: con amore misto ad amarezza.
Che non ne potesse avere?
Pensò che sarebbe stato un
vero peccato, perché se c’era qualcuno che meritava di
avere tanti bambini, quella era proprio Daphne.
Castle Rich era entrato
nell’autunno e il paesaggio che si apriva davanti ai loro occhi
ogni mattina era qualcosa che mozzava il fiato.
Il sole, soprattutto quando tramontava, incendiava le foglie e creava un’atmosfera strana, quasi magica.
Alla Granger’s Transport
tutto filava liscio come l’olio. Draco non aveva mai visto tanti
impiegati chiacchierare così tanto ma essere produttivi allo
stesso tempo, anzi: sembrava che le chiacchiere aumentassero la
produttività stessa. Come aveva detto Hermione all’inizio
di quell’avventura, si sarebbe scontrato con una realtà
molto diversa da quella cittadina; ognuno faceva ciò che voleva
in rispetto del proprio lavoro che, in ogni caso, aveva sempre la
precedenza. Durante l’Estate alcuni dipendenti si erano presi le
ferie e prima di partire avevano portato a termine il proprio lavoro e
ciò che non erano riusciti a sistemare, avevano istruito i
colleghi, affinché lo facessero loro. Alla Malfoy Home, quando
qualcuno partiva per le ferie, diventava irreperibile fino al rientro
in azienda.
Draco e Hermione, come qualsiasi
altro lavoratore, si erano presi il pomeriggio libero, giusto per
tirare il fiato e staccare un po’ la spina.
Tutto era pronto – mancavano
solo pochi e insignificanti dettagli – per il grande rientro di
Draco sul Red Carpet degli imprenditori: mancava solo che Nott facesse
l’ultimo passo falso – cosa che avrebbe fatto se continuava
ad andare avanti in quel modo – e poi lo avrebbe schiacciato come
un moscerino.
Gli veniva l’acquolina in bocca quando ci pensava…
Seduto sul dondolo sulla veranda,
Draco continuava a rimuginare sul fatto che Neville e Daphne non
avessero dei bambini. Con i loro nipoti stavano benissimo, anche se una
patina di malinconia velava i bellissimi occhi azzurri di Daphne ogni
volta che un bambino entrava in una stanza, dove ci fosse lei.
“Tutto assorto, stasera?” – gli chiese Hermione, offrendogli una tazza di tea caldo.
Erano tornati i maglioncini pesanti e con essi l’amara consapevolezza che la bella stagione stava volgendo al termine.
L’estate stava finendo e il
venticello autunnale aveva iniziato a spirare. Era fastidioso durante
il giorno, ma quando la sera ci si sedeva sul dondolo, avvolti da una
coperta in pile e una tazza di the caldo in mano, sembrava che
diventasse magico.
Draco guardò la ragazza.
“Pensavo…” – disse lui, spostandosi per farle posto.
Hermione si accomodò, mettendosi la coperta sulle gambe.
“Tu che pensi? Mi sa che domani ci sarà la burrasca…” – scherzò lei.
Draco abbozzò un sorriso.
Ormai aveva preso l’abitudine di sentirsi preso in giro e quando
poteva, ricambiava il favore. L’uomo iniziò a far
dondolare il dondolo con calma.
“Posso chiederti una cosa?”
“Dimmi.” – disse lei, soffiando sul tea bollente.
“Se non sono indiscreto…”
Quelle parole ebbero il potere di
riscuotere Hermione dai suoi pensieri e far sì che la sua
attenzione si posasse su Draco.
“… posso sapere perché Neville e Daphne non hanno figli?”
Presa in contro piede, Hermione non seppe che rispondere.
Recependo il suo silenzio come un invito a farsi gli affaracci suoi, Draco si sbrigò a ritirare tutto.
“Scusa… non sono affari miei.” – disse, frettoloso.
Aveva fatto i salti mortali per ottenere di nuovo la sua fiducia e non voleva buttare all’aria tutto quella sera.
Hermione lo guardò. Certo
che da quando aveva iniziato a lavorare con lei, era cambiato di
parecchio. Rifletté se era il caso di dirglielo.
“Daphne…”
– iniziò Hermione, titubante, ma poi si decise. –
“… Daphne non ha l’utero.”
Draco si girò con gli occhi sgranati.
“Cosa?!”
“Verso i ventitré
anni iniziò a sentirsi male. Accusava fitte insistenti al
ventre, ma non si è mai fatta curare.”
Draco ascoltò con estrema attenzione quel racconto.
“Aspettò,
perché pensava che fosse un male di stagione, ma quando
iniziò a perdere sangue, iniziò a preoccuparsi
seriamente. Quelle emorragie le duravano a volte un mese intero e
Neville, quando se ne accorse, prima la tempestò di parolacce
per aver trascurato i sintomi e poi la portò dal dottore.”
– gli occhi si velarono di lucido al ricordo perché
Hermione sapeva quanto sua sorella volesse un bambino. –
“Le comunicarono di avere tre metastasi tutte circoscritte
all’utero. Se voleva vivere, doveva asportare
l’organo.”
“Dio mio…” – sussurrò Draco, atterrito.
“Daphne era caduta in uno
stato di catalessi. Togliere l’utero significava non poter dare
un figlio a Neville, cosa che voleva fare appena sposata. Così
suo marito, per non perdere anche lei, firmò
l’autorizzazione all’intervento. Lei non disse nulla. Per
mesi e mesi si è presa sulle spalle colpe che con quello che era
successo non c’entravano assolutamente niente.”
“Del tipo?”
“Del tipo che se sua madre
si era tagliata un dito era colpa sua perché aveva trascurato il
male dentro di sé, che se Astoria inciampava in uno scalino era
perché lei era nata… cose così, insomma. Sono
serviti tre anni di terapie e pian piano mia sorella iniziò a
riprendersi. Ma sa che dentro di sé c’è un vuoto
che non sarà mai colmato.”
“Io… davvero mi
dispiace. Non immaginavo fosse così grave…” –
disse Draco, che non sapeva come comportarsi di fronte a una catastrofe
simile.
“Adesso al minimo raffreddore, Daphne si precipita dal dottore. È frustrante vederla in questo stato.”
Guidato dall’istinto, Draco
la prese per le spalle e la fece adagiare sul suo petto in un vano
tentativo di risollevarle il morale.
“Ti ha dato fastidio che abbia fatto così?”
Aveva usato un tono basso e caldo, come a volerla rassicurare che lo aveva fatto solo per cercare di farla star meglio.
“N-no… è che non… sono abituata… tutto qui.” – mormorò lei imbarazzata.
Vero era che avevano fatto passi
da gigante ma Hermione di fronte a certi gesti, che per chi li compiva
erano naturali, per lei erano un muro insormontabile.
“Non mordo, tranquilla.” – pian piano, la sentì rilassarsi sotto di lui e sorrise.
Rimasero in silenzio su quel
dondolo magico per una buona mezz’ora. Hermione si strinse
maggiormente nel suo abbraccio per il freddo.
Le dita affusolate di lui
iniziarono a massaggiarle ritmicamente il braccio e Hermione
percepì il proprio cuore battere come un tamburo a festa.
Timidamente alzò lo sguardo
e incrociò quello di Draco, lasciandola senza fiato per un
attimo interminabile. Non si era mai accorta delle pagliuzze azzurre
dei suoi occhi all’esterno dell’iride.
E alla fine si ritrovò a
pensare che lei di Draco non sapeva proprio niente. Lo aveva conosciuto
come il signor Malfoy, suo diretto superiore nonché bastardo di
prima categoria con i suoi dipendenti, lo aveva conosciuto come Draco
il senza tetto, lo aveva poi conosciuto come Draco il lavoratore
instancabile e sexy.
E ora?
Chi aveva davanti ora? Quale Draco era in quel momento?
Lo vide avvicinarsi al suo volto e sfiorare leggero le labbra di Hermione.
Si staccò violentemente da
lui non per il disgusto, ma per l’impatto emotivo che quel bacio
aveva avuto: era stato come essere travolti da un treno ai mille
allora! L’impatto era stato devastante, così come
devastanti furono le conseguenze che arrivarono immediatamente dopo.
Staccandosi così violentemente, Hermione perse la presa sulla tazza, che volò a terra e si ruppe.
Non sapeva più dove
guardare, se la confusione e la delusione negli occhi di lui o la tazza
rotta per terra. Ad ogni modo due legami si erano rotti e Hermione
decise di catapultarsi su quello più importante.
“NO!” –
esclamò terrorizzata, inginocchiandosi a terra. –
“NO! NO! NO! NO!” – continuava a ripetere, mentre con
le mani, tremolanti, cercava di raccattare i cocci.
“Hermione… cosa…”
“Guarda che hai
fatto!” – lo accusò, con le lacrime che le bagnavano
le guance. – “No, no, no, no…”
Per Draco fu come tornare a quel giorno della consegna a New Castle.
“Hermione… è solo una tazza.”
Mai l’avesse detto. La ragazza lo guardò come il peggiore degli assassini e lo aggredì.
“NON E’ UNA TAZZA! E’ LA TAZZA! E TU L’HAI ROTTA!”
Draco, che non capiva il motivo di
tutto quell’attaccamento a quella comune tazza con disegnata
sopra una mucca che rideva; inconsapevole del peso delle proprie
parole, non accettò il fatto di essere incolpato per una cosa
che non aveva fatto lui.
“Guarda che l’hai rotta tu. È scivolata dalle tue mani, non dalle mie.”
Hermione lo guardò, con gli occhi sgranati e smise di piangere immediatamente.
Era vero. Lei aveva rotto la tazza, lei si era mossa bruscamente, lei aveva rotto l’ultimo ricordo.
Con il respiro affannoso e gli
occhi spiritati, rimase a fissare Draco, come se le avesse aperto
finalmente gli occhi, come se le avesse ricordato qualcosa di
importante che lei aveva tentato di soffocare.
Il resto della famiglia Granger
era andato in paese per un giretto. Marika e Astoria volevano mostrare
i loro bambini a tutti. Tornarono a casa per prendere un caffè
tutti insieme e poi tornare nelle proprie dimore, perché i
bambini iniziavano ad essere stanchi e stavano iniziando a fare i
capricci. Quando arrivarono, trovarono una scena alquanto strana e
quando realizzarono quello che era successo, iniziarono a tremare.
Draco si girò e lei lo imitò, iniziando a tremare vistosamente.
“Hermione, calmati.”
– la voce di suo padre le arrivò dritta come una
martellata al cuore, mentre Draco ci capiva sempre meno.
Si fece da parte, sperando che
Scott riuscisse a farla rinsavire. Il genitore andò dritto da
lei, la prese per le braccia e le diede qualche scossone.
“Cos’è successo?”
Hermione aprì la bocca tre quattro volte, ma le parole non si degnarono di uscire.
“L-la… tazza…
l’ho… rotta… io… rotta… basta…
più…” – sconnetteva le parole ma Scott
capì immediatamente quello che voleva dirgli.
Le ragazze si avvicinarono
rapidamente, lasciando i bambini in mano ai mariti. Raccolsero i cocci
della tazza e portarono Draco all’interno, nonostante volesse
rimanere per capirci qualcosa in più.
Fuori, rimasero Hermione e suo padre.
“Hermione, ascoltami,
ascoltami!” – disse Scott, scuotendola. – “Non
è colpa tua. E’ stato un incidente.”
Ma era ovvio che la ragazza non era d’accordo.
“Io…
rotta…” – la ragazza cedette sotto il proprio peso e
Scott la prese al volo, portandola in casa, dove un alquanto scioccato
Draco osservava la scena, sperando che qualcuno gli spiegasse
ciò che era successo.
Scese un silenzio alquanto pesante. Astoria e Marika andarono a mettere a letto i bambini e rimasero solo gli uomini e Daphne.
Adesso era giunto il momento della verità.
“Immagino che quello che è successo sia normale, giusto?” – frecciò.
In quei mesi a casa Granger, Draco
non aveva fatto altro che vedere Hermione sparire un giorno al mese per
ritornare peggio di uno straccio centrifugato. Quello stato di coma le
durava due-tre giorni e poi tornava ad essere l’Hermione di
sempre. Aveva più volte tentato di chiedere spiegazioni, ma
nessuno aveva voluto dargli retta.
Un giorno si era catapultato nell’ufficio di Daphne.
“Dobbiamo parlare.”
Erano quattro
mesi che Draco lavorava per la ditta di Scott e, come Hermione prima di
lui, aveva imparato vita, morte e miracoli di quello che succedeva
lì dentro.
Stanco di non
riuscire ad avere risposte esaurienti dalla diretta interessata, Draco
si era rivolto a Daphne. Era entrato senza bussare nel suo ufficio,
mentre la ragazza era impegnata con Astoria, che le chiedeva degli
incartamenti sui fornitori.
Le due si
guardarono e Astoria preferì alzare i tacchi in velocità,
per quanto la pancia, ormai evidente, glielo permettesse.
Una volta uscita, Draco si concentrò su Daphne.
“Cosa succede?”
“Sputa
il rospo, Daphne. Voglio sapere cos’ha Hermione. E non venirmi a
dire che è normale che si comporti e parli come una donna di
strada perché non ti crederei.”
Daphne si
morse il labbro. Aveva cercato in tutti i modi di evitare
l’argomento, ma era evidente che Draco era un tipo molto sveglio
e continuare a mentirgli lo avrebbe sicuramente fatto infuriare di
più. Comunque lei ci provò, per l’ultima volta.
“Ancora?”
– enfatizzò lei, mentre fingeva di ricontrollare delle
informazioni, come se l’argomento fosse stato sviscerato talmente
tante volte da risultare ormai noioso. – “Ti ho detto che
non ha niente! Si è sempre espressa in quel modo, nonostante io
e i miei non fossimo d’accordo. È un suo modo di essere e
cambiarlo vuol dire non accettare Hermione per quello che
è.”
Draco aveva ascoltato tutto con scetticismo.
“Ok. Ora
che mi hai propinato per l’ennesima balla su tua sorella, esigo
la verità. Sai meglio di me che non sta bene e che ignorare il
problema non porterà da nessuna parte. O me lo dici tu con le
buone e lo scopro io con le cattive, scegli!”
“Guarda
che qui non siamo alla Malfoy Home, Draco.” – era scattata
lei, che non aveva gradito quel tono da dio sceso in terra. –
“Qui ognuno di noi si fa i fatti propri e non va in giro a
minacciare le persone per curiosità.”
“Curiosità?
Io non sono curioso! Mi preoccupo per tua sorella, cosa che tu mi
sembra non stia facendo!” – disse, lanciando una grave
accusa.
Solo che Daphne non poteva accettarlo.
“Tu…
tu…” – era livida in volto. – “…
con che coraggio vieni a dirmi che non mi preoccupo per
Hermione?” – gli occhi erano diventati lucidi. –
“Tu non sai niente di questa famiglia! Non sputare sentenze se
non sai le cose!”
“Se le sapessi, magari potrei aiutare!”
Draco era
proprio stanco, si sentiva impotente. Da quando aveva iniziato a vivere
con la famiglia Granger, aveva imparato cosa significasse lavorare
veramente, faticare per portare a casa uno stipendio, avere il rispetto
di tutti non per il nome che porta ma per il lavoro che si svolge.
Trovò tutto estremamente appagante, ma c’era una macchia e
quella macchia si chiamava Hermione.
Ogni giorno la
vedeva spegnersi lentamente, mentre davanti a tutti fingeva di essere
quella di un tempo. Era una cosa che proprio non riusciva a sopportare.
La grinta che dimostrava da quando era tornata a lavorare per il padre,
non si avvicinava di nemmeno un quarto a quella che aveva quando
lavorava alla Malfoy Home.
“No,
Draco. Non puoi fare niente. Ci sono cose che gli altri non possono
risolvere. Sì, è vero.” – confessò,
stanca di tutti quei segreti. – “Hermione ha dei problemi,
ma se non interveniamo è perché ci è stato
consigliato di fare così. Fattela andar giù questa cosa,
perché non ho intenzione di riparlarne. E se vengo a sapere che
hai infastidito le mie sorelle o i loro mariti, ti faccio cacciare a
pedate nel culo. Mi sono spiegata?”
Draco scosse
la testa. Sapeva di averci visto giusto, ma non concordava sul fatto
che il problema della ragazza dovesse essere lasciato andare alla
deriva.
Doveva essere risolto.
I presenti abbassarono gli sguardi, come se fossero colpevoli.
“Mi avete accolto, nonostante fossi un perfetto sconosciuto e mi avete permesso di vivere con voi.”
Astoria e Marika scesero in quel momento.
“Mi avete detto che potevo
aiutare Hermione, ma non posso. Non ne sono capace. Non posso farlo
perché nessuno si degna di dirmi che le succede. Adesso esigo di
sapere perché sta così!”
Aveva parlato senza urlare, ma aveva usato il tono del vecchio Draco Malfoy.
In quel momento scese anche Scott.
“Che succede?”
“Credo sia il caso di
dirglielo.” – disse Astoria. – “Non è
giusto continuare a mentirgli.”
“Dovrebbe farlo lei.” – disse Scott, non convinto di parlare al posto della figlia.
Era lei che doveva decidere se raccontare o meno i suoi fatti.
“Ma non lo fa.” – disse Daphne risoluta e arrabbiata. – “Sta lasciando che il suo male la maceri dentro e tutti stiamo a guardare. O lo fai tu o lo faccio io.”
Scott, con il cuore pesante, annuì.
“Seguimi.”
Draco non se lo fece ripetere due
volte e seguì il padrone di casa in salotto, mentre gli altri si
rifugiarono nelle proprie camere, consci che il giorno seguente niente
sarebbe stato più lo stesso.
Scott invitò Draco a prendere posto sul divano di fronte a lui.
“Prima di iniziare, permettimi di dirti una cosa.”
“Ti ascolto.”
“Ho sempre cercato di
insegnare alle mie figlie di affrontare le difficoltà, non di
sfuggirle, ma con Hermione è diverso, quindi… è
importante che tu presti molta attenzione a quello che ti dirò,
sperando che tu capisca la sua scelta di non dirti niente e la
nostra… di non fare niente.”
Colpito e sì, decisamente
un po’ spaventato da quella premessa, Draco si accomodò
meglio e si preparò a scoprire quali fossero i problemi che
affliggevano la ragazza. Vide Scott guardare il cuscino giallo con un
misto di tenerezza e malinconia.
“Quel cuscino…”
– iniziò Scott. – “… glielo
confezionò sua madre.”
“Immagino… Minerva è molto abile con ago e fi…”
“No, non Minerva.”
Draco alzò le sopracciglia, sorpreso.
“Chi?”
“Jean, la mia prima moglie.”
“LEI NON E’ MIA MADRE!”
Ricordò Draco e sbarrò gli occhi.
Allora quel grido disperato era da prendere alla lettera!
“Ah.” – fu il
suo monosillabico commento. – “Vi… vi siete
separati?” – chiese titubante.
“Nel modo peggiore che poteva esistere.”
“Avete litigato?”
“No. E’ morta.”
Draco percepì una corrente d’aria fredda scendergli per la schiena, per la gaffe commessa.
“Io… mi dispiace… non sapevo…” – disse.
Iniziò davvero a pensare
che la sua fosse solo curiosità come aveva detto Daphne,
perché in nessuno dei motivi che aveva provato a darsi per
giustificare il comportamento di Hermione, aveva mai pensato a una
simile evenienza.
Non seppe dirsi perché, ma si fece convinto che la signora Jean fosse morta di qualche malattia incurabile.
“Lo so…” – disse Scott con un sorriso tirato. – “Lo so.”
Seguirono attimi interminabili,
attimi in cui mille domande ronzavano nel cervello di Draco. Finalmente
vide Scott alzarsi e smuovere quel pesante silenzio e dirigersi verso
un cassetto. Aveva preso un foglio. Lo guardò, come se stesse
cercando di ricordare qualcosa e poi si diresse verso Draco e glielo
porse. Draco non capì a cosa potesse servire, ma ugualmente lo
accettò, prendendolo come un altro pezzo di verità sul
passato di Hermione.
“Leggilo ad alta
voce.” – disse Scott, riprendendo il proprio posto sul
divano. Aveva la testa china, pronto per riascoltare quelle parole.
“Sì…”
Piccoli amori miei, quando leggerete questa lettera, io non ci sarò più.
Siete i tesori più belli che mi siano mai capitati tra le mani e non permetterò che qualcuno me li porti via.
Nemmeno a Dio in persona.
Prendo questa decisione
nella più totale delle libertà che mi sono state concesse
e se avessi l’occasione di tornare indietro, la ripeterei senza
esitazione.
Daphne, sei una ragazza forte.
Il Signore ti ha messo a
dura prova, ma tu ce la farai. Arriveranno tempi bui e tutto ti
sembrerà risolvibile con la morte, ma non cedere, bambina mia.
Arriverà il giorno in cui tornerai a sorridere alla vita,
prendendo tutto ciò che essa ti ha negato con gli interessi.
Damian, sei sempre stato più maturo rispetto alla tua età.
Fin da piccolo hai sentito
il dovere di caricarti le spalle dei problemi della famiglia,
nonostante io e tuo padre ti avessimo sempre chiesto di non
preoccuparti e di starne fuori ma tu, con la tua caparbietà e
testardaggine, ti sei impuntato fino a diventare il secondo uomo di
casa.
Invidio la donna che sceglierai come moglie.
Astoria, la mia dolce e
tenera Astoria… anche se non ho mai approvato il tuo linguaggio,
ti chiedo ora di non rinunciarvi. Che gli altri pensino pure che tu sia
una rozza contadina, ma arriverà anche per te un uomo che ti
renderà felice e che ti amerà per tutto quello che sei.
Hermione, Hermione, Hermione…
Il tuo nome dice
già tutto. Sei l’ultima delle mie figlie, ma non per
questo la meno importante. Sei sempre stata fragile, ma preferivi non
mostrare mai la tua debolezza davanti agli altri. Non ricordo
più ormai le volte che trovavo al mattino il tuo cuscino umido
per le lacrime che versavi a causa dei bambini che ti facevano i
dispetti. Quando seppi della tua malattia, non provai niente, e lo sai
perché? Perché sapevo già cosa dovevo fare.
Come madre ed essere umano
ho preso questa decisione. Tuo padre ha cercato di dissuadermi, ma non
potevo ignorare il richiamo di mia figlia. Io ti lascio, ma so che tu
capirai il motivo che mi ha spinto a fare quello che ho fatto. Non
odiarmi, te ne prego. Ho fatto la cosa più giusta. Ti
guarderò crescere da lassù e quando vedrai un arcobaleno
in cielo, sappi che sono io che ti sorrido.
Vi amo.
Tutti.
Jean.
Draco sentì un groppo alla
gola. Erano parole bellissime, ma ancora non capiva in che modo la
morte della madre biologica di Hermione c’entrasse con i problemi
della ragazza.
Aveva letto che Hermione era malata. Chissà di cosa…
“Ah, Jean…” – sussurrò Scott, travolto dai ricordi.
“Sono…” –
deglutì. – “… sono parole bellissime.”
– disse Draco, ripiegando il foglietto e riconsegnandolo al
proprietario che lo riprese in consegna come il più prezioso dei
tesori.
“Jean era molto brava a scrivere.”
“Scott… ti ringrazio
per avermi fatto leggere questa lettera, ma ancora non capisco in che
modo Hermione e la morte di sua madre siano collegate tra di
loro.” – disse Draco, sperando di non essere stato
indelicato.
“Eppure è così
semplice. – disse, tanto che Draco per un attimo si sentì
un idiota. – “Hermione stava male e sua madre l’ha
curata.” – disse, facendo un riassunto della lettera.
“Sì, ma… come?”
“Non ti sei mai chiesto come
mai Hermione non vada mai in piscina, al mare o in qualsiasi altro
posto che preveda di spogliarsi?”
Draco ci pensò su un
attimo. Effettivamente… non l’aveva mai vista in costume o
con una maglietta scollata. Perché?
“Ora che ci penso… come mai?”
Scott sorrise. L’altruismo della moglie era motivo di vanto per lui.
“Ha una cicatrice.”
“Ah sì? E dove?” – chiese.
Nuovamente, il padrone di casa, sorrise.
“Qui, sul petto.” – disse, indicando la parte che pendeva leggermente verso sinistra.
Quella frase ebbe il potere di
riportargli alla mente il ricordo della mattina in cui si erano
svegliati insieme nella dependance, perché avevano fatto tardi
la sera. Aveva scorto qualcosa di strano nell’incavo dei seni di
Hermione, ma aveva pensato che fosse stata solo un’ombra.
Ma ancora Draco non capiva.
Perché si indicava il punto dove più o meno c’era
il… sgranò gli occhi e scattò in piedi come una
molla, mentre osservava la pacatezza con la quale Scott lo guardava,
capendo finalmente che ci era arrivato.
“Vedo che hai compreso, finalmente.”
“Ma… ma stai scherzando?!?!!” – esclamò lui sconvolto.
Com’era possibile?
“No. Jean ha donato il proprio cuore a Hermione.”
Il respiro gli si accorciò
in un secondo, l’aria sembrò mancare e un senso di
pesantezza gli chiuse la bocca dello stomaco. Possibile? Possibile che
al mondo esistessero persone che ancora pensavano al bene altrui prima
ancora del proprio? Perché nessuno glielo aveva mai insegnato?
Perché lo stava scoprendo in quella maniera così brutale?
“La bambina aveva una malformazione cardiaca: il suo cuore era più piccolo rispetto alla norma.”
Perse il controllo.
Su tutta la linea.
Per la prima volta, da quando Draco Malfoy era venuto al mondo, pianse.
Una, due, tre, dieci lacrime
iniziarono a cadergli dagli occhi, sotto il sorriso amorevole di Scott.
Il peso del suo corpo si fece sentire tutto in un colpo, crollò
sul divano e si prese la testa nelle mani, lasciando che le fesserie
che suo padre gli aveva fino a quel momento inculcato
sull’orgoglio lasciassero il posto a qualcosa di più
importante, tanto da opprimerlo.
Il senso di colpa.
Perché di lei non aveva mai
capito niente, perché l’aveva ritenuta una ragazzina
superficiale quando ancora lavorava alla Malfoy Home, perché
parlava e si comportava in quel modo perché credeva che non
avesse ricevuto un’istruzione adeguata.
Aveva sbagliato completamente tutto.
Tutto quello che Hermione faceva,
erano mute richieste di aiuto gridate al mondo, a lui, alla famiglia,
ma che nessuno era stato in grado di cogliere.
“Perché i medici le hanno permesso di morire?” – riuscì a chiedere.
Scott fu ora sorpreso.
“I medici non sapevano niente, Draco. Si sono ritrovati tra le mani il corpo di mia moglie a fatto compiuto.”
“Cosa!?!?” – era allucinato e incredulo.
“Jean si è tolta la
vita. Si è tagliata le vene. Quando la trovai, non ci fu niente
da fare per lei. Era già morta. Vicino al suo corpo trovai una
lettera, il suo testamento: aveva lasciato espressa richiesta che il
cuore fosse donato a Hermione.”
“Senza sapere se erano
compatibili? Senza aver fatto gli esami di rito? Non ci credo Scott!
NO!” – era esploso. Sperava che Scott gli dicesse che era
stato tutto uno scherzo, ma il padrone di casa lo smentì.
“Jean aveva già fatto tutto, Draco. Era, tra tutti, la donatrice perfetta.”
Schiacciato dalla verità,
Draco non seppe più cosa replicare. Tutto quello che aveva
appena sentito, aveva dell’incredibile.
Nel suo mondo, nel suo vecchio
mondo, quelle gesta erano solo delle parole su blog per ragazzine
romantiche, dove la frase finale “Non c’è
più. Ti ha donato il suo cuore” faceva scoppiare pianti
isterici che non aveva mai potuto sopportare.
E ora… ci sbatteva il muso contro. Non erano solo parole, adesso…
“Non aveva mai sopportato di
vedere un figlio star male e non poter fare nulla per aiutarlo.”
– riprese Scott, perso nei ricordi. – “Non l’ho
mai vista così impotente come quando a Daphne avevano asportato
l’utero.” – disse, rammaricato. – “Quando
mi ha detto di ciò che voleva fare per Hermione io mi sono
opposto, naturalmente, ma lei era così decisa… aveva
sempre sostenuto che aiutare Hermione fosse la sua possibilità
di riscatto per non aver aiutato Daphne.”
Draco lo guardò, con gli occhi piegati all’ingiù per il dolore.
“Quando ha deciso di…
farlo…” – disse, non riuscendo proprio a pronunciare
le parole “togliersi la vita”. – “… mi
ha chiesto di non essere presente. Sa che l’avrei fermata.”
– disse, quasi orgoglioso della testa dura della moglie. –
“Sai, forse sarà stata suggestione, perché sapevo
quello che aveva in mente, ma… mentre camminavo, ho sentito una
specie si fitta al cuore. Ho sempre voluto credere che fosse il suo
ultimo saluto. Il nostro ultimo San Valentino…”
Draco chinò lo sguardo a terra, offuscato dalle lacrime.
Cazzo, continuava a ripetersi
nella testa. Cazzo, cazzo, cazzo, cazzo, cazzo… era
l’unica cosa alla quale riusciva a pensare.
“Ora sai cos’ha Hermione. Ti chiedo di non metterla sotto pressione, ora che sai tutto.”
E, senza prima pensare, Draco confessò quello che era successo in veranda a Scott.
“L’ho baciata.” – disse, con voce tremula.
Scott sperò di aver capito male.
“Scusa?”
Draco si rese conto di aver fatto una cazzata di proporzioni epiche.
“Io… ho baciato tua figlia.”
Il genitore rimase muto, incredulo.
“Ma si è staccata
subito!” – precisò lui, come per far passare in
secondo piano il bacio. – “E nello staccarsi ha rotto una
tazza.”
“La tazza, vorrai dire.” – precisò. – “Era un regalo di sua madre.”
Draco alzò gli occhi al
cielo, instupidito da se stesso. E ora, alla luce dei fatti, si
pentì amaramente di quello che le aveva detto.
“Cazzo…” – imprecò l’uomo a denti stretti.
Adesso la sua reazione aveva avuto un senso; ora le sue parole, dapprima sconnesse, avevano assunto il vero significato.
“Cosa?”
“Io… mi ha incolpato
perché l’avevo rotta, ma le ho detto che era caduta a lei,
non a me. Che l’aveva rotta lei, non io.”
Scott alzò gli occhi al cielo.
“A posto siamo…” – disse.
“Io… se avessi saputo non…”
“Cosa? Non l’avresti
baciata? La tazza non si sarebbe rotta? Non le avresti detto,
inconsciamente, che se sua madre è morta la colpa era sua? Cosa non avresti fatto Draco?”
“Avrei riflettuto prima di
agire.” – disse l’uomo, fronteggiando il padre di
Hermione e sperando che Scott capisse quanto lui ci tenesse a Hermione.
“Lasciala stare Draco. Non è di compassione che ha bisogno mia figlia.”
“E non è compassione che volevo darle stasera.” – disse, con un sorrisetto ironico.
Forse la verità stava venendo a galla.
“E cosa volevi darle? Draco,
Hermione ha bisogno di tranquillità, sapere di aver vicino
persone sulle quali può contare.”
“E io cosa sono?
Immondizia?” – disse lui, deluso. – “Una volta
al mese la vedo sparire per tutto il giorno e la trovo alla sera che
è ridotta ad uno straccio. Non le rivolgete la parola a meno che
non sia lei a farlo per prima. Credete che sia aiuto, questo? Lasciarla
da sola ad affrontare questo problema?”
“Modera i termini, ragazzino. Stai oltrepassando la linea.” – disse Scott, duro.
“E credo che sia ora che qualcuno la oltrepassi!”
Non permetteva a nessuno di andare in casa sua e dirgli come gestire la vita della sua famiglia.
Quella situazione era molto
delicata. Nessun essere umano al mondo prima di loro ci era passato
quindi nessuno poteva giudicare se le loro azioni fossero dettate dal
buon senso o sbagliate: avevano loro solo la speranza che tutto
ciò che avevano fatto fino a quel momento fosse la cosa giusta.
“Sta attento, Draco. Non ti permetto di dirmi cosa devo o non devo fare! Finora…”
“… finora non avete
fatto altro che guardarla mentre cercava aiuto da parte vostra! Ma non
vedi come sta fingendo? Dì un po’ Scott… ma hai mai
conosciuto veramente tua figlia?”
All’improvviso, Draco, si
ritrovò scaraventato a terra da un pugno di Scott. L’uomo
cadde sul tavolino in cristallo, mandandolo in frantumi. Il botto fece
accorrere tutti i presenti.
“BASTARDO!” – urlò Scott in preda alla rabbia.
Ci vollero Damian, Kevin e Neville per trattenerlo.
“PAPA’ FERMATI!” – urlò Damian.
Draco si mise seduto, asciugandosi con la manica il sangue che colava dal labbro.
“LASCIAMI ANDARE! LASCIAMI DAMIAN!”
Calli-corner
Oh-mio-Dio!
Ecco il punto cruciale della soap-opera!
Ora, scherzi a parte, per il
problema di Hermione mi sono ispirata al film “Sette
Anime”, per chi non l’avesse visto, lo pregherei vivamente
di farlo, ma di premunirsi di cinquanta pacchetti di fazzoletti,
perché ti toglie il cuore, altro che il respiro. Per chi lo
avesse visto, invece, credo sappia a che scena sto facendo riferimento.
Non ho voluto anticiparvi niente a
inizio capitolo perché altrimenti avrei scoperto troppo le carte
e volevo che fosse una sorpresa dall’inizio alla fine.
Ma partiamo dall’inizio.
Daphne.
Daphne non ha l’utero
perché a causa di un’emorragia non curata, ha perso
ciò che per lei era fondamentale: la possibilità di dare
a Neville un figlio.
Hermione.
Hermione, come ho detto sopra,
aveva una malformazione cardiaca e sua madre, che ha solo seguito il
suo istinto, ha fatto di tutto per la sua bambina.
La ragazza, però, si sente responsabile per tanti motivi che verranno spiegati nel capitolo successivo.
Forse noterete delle somiglianze
con “John Q” con Denzel Washington, dove il bambino di
Denzy ha lo stesso problema al cuore e la moglie lo assilla a fare di
tutto per guarirlo. Denzy lo fa, ma prende in ostaggio un chirurgo, la
sua equipe per far operare il figlio.
Il cuore lo vuole donare Denzel
stesso, ma alla fine arriva l’incidente, dove muore una ragazza
che è compatibile in tutto e per tutto con il figlio di Denzel.
Lo so, sono contorta.
Forse è troppo esagerato,
forse fa troppo soap-opera, ma l’idea mi è venuta dopo
aver visto il film, anzi… i film in questione.
Spero di non aver strafatto.
Ma non preoccupatevi. Nel prossimo capitolo ci sarà un’altra rivelazione su Hermione. ^_^
Intanto, vi lascio con lo spoiler, in attesa del prossimo capitolo.
“Io…”
– beh, se era riuscito a non farla più sentire sbagliata
per ciò che sua madre aveva coraggiosamente fatto per lei, forse
poteva aiutarla anche con quella questione.
Lo sperò vivamente.
“… sono vergine. E no, non mi riferisco al segno zodiacale.”
Ma di cosa staranno mai parlando? ^_______________^
Bacioni,
callistas
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Capitolo 16 *** Verità Nascoste 2 ***
16 - Verità Nascoste 2
Dunque, dunque, dunque…
Ci sono due notizie che devo darvi.
Una buona e una cattiva.
Iniziamo con la cattiva.
Oggi è il mio ultimo giorno
di lavoro prima di partire per delle meritate ferie, il che significa
che per due venerdì non potrò aggiornare.
*evita un forcone all’ultimo*
Proseguiamo con la buona… --.--
Siccome non me la sento di
lasciarvi a stecchetto, posterò anche i capitoli per i due
venerdì mancanti, quindi… triplo regalo! Tre capitoli in
uno!
Pregasi chi ha lanciato il forcone di ritirarlo e mandare una raccomandata di scuse con ricevuta di ritorno. ù_ù
Ora sta a voi scegliere se
leggerli tutti in fila o se leggerli rispettando la scadenza, come se
li avessi postati normalmente ma, conoscendovi, so che li leggerete
tutti.
Anche perché è quello che farei pure io…
Bene!
Diamo inizio alle danze, o alla lettura come preferite, e poiché non ci sentiremo più fino al 2014…
Buon Natale!
Buon Santo Stefano!
Buon San Silvestro!
Buon Capodanno!
E per chi non se la prende…
BUONA BEFANA!
Era butto da dire, ma aveva finto di svenire tra le braccia del padre.
Non aveva voglia di stare
lì a sentire l’ennesima predica sul fatto che non fosse
stata colpa sua, anche se sentiva di meritarla tutta.
Se non fosse nata, non avrebbe
avuto quel problema al cuore. Se non fosse nata, Daphne, Astoria e
Damian avrebbero avuto una madre accanto a loro che li amava. Non che
Minerva non volesse loro bene, ma la mamma è la mamma: Jean se
le era scarrozzate in pancia per nove mesi ciascuna, le avevano fatto
venire le nausee mattutine, avevano scalciato, si erano mosse dentro di
lei. Il legame tra madre e figlia è un legame che non si
può spezzare tanto facilmente.
Era rimasta sdraiata sul suo letto
con gli occhi aperti e dopo che suo padre era sceso, qualche attimo
dopo lei, senza farsi notare, lo aveva seguito. Si era nascosta dietro
un angolo.
Lo faceva sempre quando chiedeva
alla madre di intercedere con il suo papà per permetterle di
rimanere fuori più a lungo. Si era accovacciata a terra,
racchiudendo le ginocchia nelle braccia e appoggiando il capo alla
parete.
E sentì tutto.
La confessione di Scott, la
lettera della mamma letta da Draco, la confessione di Draco, quando
aveva detto a suo padre che l’aveva baciata. In quel momento le
era scappato un tenue sorrisetto. Aveva sentito nel suo tono di voce
che forse non aveva fatto un bell’affare a dire a un genitore di
aver baciato la figlia…
Nessuno l’aveva mai difesa in quel modo.
Daphne, Astoria e Damian
l’avevano sempre lasciata perdere quando tornava dalle sedute,
mentre lei avrebbe voluto che qualcuno le rivolgesse anche un solo
sorriso.
Quando sentì il tavolino
frantumarsi era scattata in piedi: ora Draco sapeva tutto di lei, non
poteva più far finta di niente.
“LASCIAMI ANDARE! LASCIAMI DAMIAN!”
“Perché Scott?
Perché Hermione è sempre sulla difensiva?” –
chiese Draco, ancora seduto a terra.
“CON CHE DIRITTO ENTRI IN
CASA MIA, DOPO CHE SEI STATO ACCOLTO COME UN FIGLIO, E MI ACCUSI DI NON
AMARE MIA FIGLIA? COME?”
“STAI FACENDO TUTTO
TU!” – urlò Draco, infervorato come non mai. Si
alzò. – “MA IMMAGINO CHE NON MI ABBIA DETTO TUTTO,
VERO?”
“Ci sono cose che non puoi sapere! Rievocarle significa…”
“Perché anch’io ho cercato di togliermi la vita, Draco.” – disse una voce nota a tutti.
I presenti nella stanza si
girarono di scatto verso le scale, trovando Hermione in piedi.
Indossava un pantalone pesante e un maglione che le arrivava al
ginocchio.
“C-cosa…” – balbettò l’uomo, sconvolto.
Sarebbero mai finiti i colpi di scena?
“Hermione, no!” – ordinò il padre.
“Ho… ho cercato di
uccidermi.” – ripeté. – “Anche se
tutti dicono di no, io so che se la mamma non c’è
più è solo colpa mia.” – aveva perfino finito
le lacrime… – “Io ho ucciso la mamma, io ho privato
Daphne, Astoria e Damian di una figura importante, solo io.”
“Hermione…”
– sussurrò Damian, addolorato per non aver mai capito cosa
si celasse nel cuore della sorella minore.
“Non riesco a pensare di poter… di poter meritare la vita.”
“Stupida…” – bofonchiò Daphne, mentre cercava di non piangere.
Si puliva le guance alla bellè meglio dalle lacrime che non volevano darle tregua.
Hermione guardò la maggiore, dispiaciuta.
“Spero sempre di venir
travolta da una macchina, di inciampare dalle scale e rompermi la
testa, ma niente. Sono arrivata alla conclusione che è la vita
la vera condanna che devo scontare per quello che ho fatto.”
Draco non credeva alle sue orecchie.
Com’era riuscita a portarsi dentro tutto quel marciume senza esplodere prima?
“Il dottor Johnson vi ha
consigliato di non parlarmi, dopo le sue sedute. Cosa credeva di
ottenere in questo modo, non lo so, io… io però volevo
che mi parlaste, o che solamente mi rivolgeste un sorriso.
Qualcosa… ma niente.”
In quel momento tutti si resero
conto di quanto Hermione avesse dovuto sentirsi abbandonata a se stessa
per i consigli di Johnson. Onestamente a nessuno andava giù
l’idea di non rivolgere la parola a Hermione dopo quelle vere e
proprie stangate – altro che sedute – ma Johnson era stato
categorico in proposito. Anni spesi a vederla tornare con lo sguardo
spento senza fare nulla.
Scese un silenzio tombale.
Quella confessione li aveva prostrati più del gesto di Jean.
E Draco aveva visto giusto: non
avevano mai capito realmente il vero stato d’animo della ragazza.
Pensavano che tutto stesse andando bene, ma era evidente che era solo
una facciata.
Senza dire altro, Hermione
uscì dalla stanza. Inforcò l’uscita e andò a
fare due passi, nonostante l’ora tarda. Il vento era sparito, ora
c’erano solo fruste invisibili che le perquotevano il viso
coperto dalle lacrime. Iniziò a correre, sperando che il suo
cuore cedesse, che potesse raggiungere sua madre al più presto
possibile.
Arrivò su una collinetta e lì cadde in ginocchio.
Non avrebbe mai immaginato di
riuscire a confessare tutto quello che le stava dentro nel cuore da
quando sua madre era mancata. Non voleva far pesare il suo dolore su
Daphne, Astoria e Damian, ma non ce l’aveva più fatta.
Si era aperta, dunque, all’ultima persona che… ultima?
Draco era diventato quasi una pietra miliare nella sua vita.
Senza che se ne accorgesse, aveva
permesso che lui entrasse a far parte della sua vita. Era sempre
distaccato quando parlava con gli altri sul lavoro, ma con lei si
trasformava completamente. Quando lei parlava, anche di cose stupide,
lui l’ascoltava con attenzione. Aveva creato con lui una sorta di
legame invisibile al quale si era attaccata senza rendersene conto.
Però lei non poteva
condurre una vita normale. Non se la sentiva di aggrapparsi ad una
persona, di appoggiarsi ad essa, perché, un giorno o
l’altro, lei sarebbe sparita.
Così come aveva fatto sua madre.
Aveva sempre evitato di relazionarsi con il sesso opposto a causa del trauma infertole dalla madre. Il fatto che la donna, di sua iniziativa,
si fosse tolta la vita per cederla alla figlia, doveva essere
interpretato come un gesto di estremo altruismo, fatto da una madre che
non avrebbe retto il seppellire la figlia. Ma Hermione non
l’aveva mai vista in questo modo. L’unica certezza che
aveva era che sua madre aveva preferito abbandonare suo padre, Daphne,
Astoria e Damian per permettere a lei di vivere.
Che cosa stupida, pensava sempre.
Salvare una vita e distruggerne altre quattro.
Si pensa sempre che i genitori vivranno in eterno.
Sbagliato.
Nel suo caso, Hermione aveva ucciso la sua base, la sua roccia.
Altre lacrime si unirono a quelle vecchie, rinvigorendo l’antico dolore.
“Qualcuno mi faccia morire per favore…” – pregò rivolta alla volta celeste.
Era così stanca della vita…
“Questo qualcuno dovrà passare sul mio cadavere.” – aveva detto qualcuno alle sue spalle.
Draco, dopo aver ascoltato e
registrato la confessione di Hermione, guardò attonito i
presenti, che cercavano di schivare il suo sguardo.
Scott, pur di non guardarlo in
viso dopo la confessione della figlia che praticamente aveva confermato
le parole dell’uomo, prese a raccogliere i vetri del tavolino
frantumato.
“Non ho mai capito niente…” – disse Daphne, passandosi una mano sulla fronte.
Un capogiro la colse e Neville la sorresse al volo, facendola sedere sul divano.
“Non sei la sola.”
– disse Astoria. – “Nessuno poteva immaginare che
Hermione non avesse mai superato la morte della mamma.”
Minerva, fino a quel momento, era
rimasta in un angolo ad ascoltare ciò che già sapeva. Non
si era mai resa conto di quanto la piccola della famiglia Granger
soffrisse. Si avvicinò con calma al marito e lo aiutò a
raccogliere i cocci, metafora di quella famiglia.
“Minerva…” – disse Scott.
Era vergognosamente dispiaciuto
per come doveva sentirsi sua moglie che, nonostante tutto, era sempre
stata lì per aiutarli.
Anche in quel momento.
La donna gli sorrise e continuò a raccattare i pezzi più grossi. Li altri li avrebbe raccolti con la scopa.
Non voleva che altri si facessero male.
“Vado a cercare Hermione…” – disse Neville.
“No. Vado io.” – disse Draco. – “Dove la trovo?”
“Sulla collina in fondo alla strada.” – disse Damian.
In un battito di ciglia, Draco
uscì di casa e corse a più non posso per arrivare il
più in fretta possibile su questa collinetta e la trovò
lì, accartocciata su sé stessa.
Quell’immagine faceva a pugni con quella che era sempre abituato a vedere di lei.
“Qualcuno mi faccia morire per favore…” – pregò rivolta alla volta celeste.
“Questo qualcuno dovrà passare sul mio cadavere.”
Hermione si girò di scatto.
Ora che lui sapeva,
l’avrebbe evitata come la peste? Forse sì e forse sarebbe
stato meglio così. Almeno avrebbe impedito a se stessa di fare
affidamento su una persona che un giorno, sicuramente, l’avrebbe
lasciata sola.
Un lungo sospiro le uscì dalle labbra.
“Hermione…”
“Non dire niente.”
– disse lei, cercando di non mostrarsi debole, anche se era
troppo tardi. – “Fa finta di niente.”
“Ma… come puoi dire questo? Non puoi continuare a ignorare il problema!”
La vide scrollare le spalle.
“Non importa… sono sopravvissuta fino ad ora… continuerò a farlo.”
Draco andò da lei e la
prese per le braccia, iniziando a scuoterla. Era sgomento. Come poteva
una persona annientarsi in quel modo?
Voleva levarle di dosso quello
stato di catatonico torpore nel quale si crogiolava da troppi anni. Sua
madre aveva dato la vita per lei! Doveva renderle onore vivendo…
non sopravvivendo!
“Stai delirando! Come puoi lasciare che la vita ti scivoli dalle mani!”
“Magari mi scivolasse dalle
mani Draco, magari!…” – ammise lei convinta delle
proprie parole. – “… non sai la fatica che devo fare
tutti i giorni per guardare in faccia i miei fratelli. Sapere di aver
portato via la madre e di essere la causa della sua morte è
qualcosa che non mi fa guardare allo specchio la mattina
e…”
Un sibilo, e Hermione indietreggiò di qualche passo, allibita.
“Ahia!” – esclamò, sgomenta.
La mano di Draco era ancora a mezz’aria, visto il man rovescio appena dato.
“Sei una stupida! Una stupida ragazzina viziata e ingrata!”
Hermione lo ascoltò senza spiacciare una parola mentre si massaggiava la guancia dolorante.
Ma aveva dei badili al posto delle mani, quello?
“Tua madre è morta
per permetterti di vivere e tu col tuo egoismo vorresti ucciderla una
seconda volta? Vuoi veramente questo?”
Oh, perfetto. Le lacrime erano tornate
Hermione sapeva che Draco aveva
ragione, ma non ce la faceva più. Era stanca di provare quel
malessere alla bocca dello stomaco, era stanca di piangere di nascosto,
era stanca di tutto.
“I-io…” – tentò lei, ma Draco era arrabbiato, tanto che non la fece finire di parlare.
“Te ne vai in giro a
dispensare perle di saggezza su quanto sia bella la vita, su quanto
valga la pena di viverla, quando tu per prima la vorresti buttare nel
cesso! Sei un’ipocrita! Almeno stà zitta!”
“Ti prego, basta…” – disse lei, tappandosi le orecchie per non sentire.
“No! E’ facile adesso!
Sai pensare solo a te stessa, ma non credi che i tuoi fratelli possano
percepire la presenza della madre in te? Saresti così egoista da
impedire a loro di sentirla ogni giorno accanto a loro?”
“Basta! Basta!”
Draco le prese i polsi e glieli staccò dalle orecchie, in modo tale che le sue parole si conficcassero in testa.
“Sei una vigliacca… vorresti far soffrire di nuovo la tua famiglia?”
Hermione lo guardò negli occhi e lo supplicò di smettere.
“Ti prego basta…”
“No, non la smetto! Voglio che tu capisca che ci sono molte
persone che soffrirebbero per la tua morte, non… non puoi
credere davvero che se tu morissi nessuno se ne accorgerebbe.”
“Ho ucciso la mam…” – un violento scossone le impedì di continuare a parlare.
“SMETTILA! BASTA! NON SEI
STATA TU! E’ STATA UNA SUA SCELTA! COSI’ COME LO AVREBBE
FATTO PER DAPHNE, ASTORIA O DAMIAN!”
“Ma io mi sento piena di colpe!” – esclamò.
“Perché ancora non
riesci a capire il vero significato del gesto di tua
madre…” – disse lui con voce più calma.
– “E quando ci arriverai, sarà il momento per te di
riuscire a guardare avanti.”
Quanto era cambiato Draco? Per
quanto ancora poteva fingere che lui fosse solo il signor Malfoy e non
l’uomo che l’aveva stregata?
“M-mancherei anche a te?” – chiese timidamente.
Per Draco il tempo sembrò
bloccarsi. Anche a lui? Sarebbe mancata anche a lui? Gli sarebbe
mancata quella peste di ragazza che le piaceva fargli prendere uno
spavento mentre era concentrato su qualcosa? Gli sarebbe mancata la
ragazza che senza chiedere niente aveva offerto aiuto al suo peggior
nemico? Gli sarebbe…
“Dio Hermione… non ne hai la più pallida idea!”
Calò sulle sue labbra,
conscio che finalmente, quella sera, ogni fantasma era stato sconfitto
e ogni segreto portato alla luce.
E niente e nessuno sarebbe stato in grado di impedirgli di baciarla come avrebbe voluto fare ancora tempo prima.
Hermione si aggrappò a lui e ricambiò il bacio.
Camminava con Hermione accanto, con un braccio attorno alla sua vita.
Era stato devastante quello che
era successo a casa e poi sulla collina. Era venuto a conoscenza del
passato della ragazza e del suo desiderio di morire. Proprio lei che
sembrava così piena di vita, in realtà aveva ingannato
tutti.
Sapendo che la ragazza era con
l’unica persona che aveva saputo comprenderla meglio di tutti
loro messi insieme li aveva fatti andare a letto con più
tranquillità.
“Ti va di dormire con me?” – le propose.
Hermione arrossì.
“Sì…”
Così Draco e Hermione dormirono di nuovo insieme.
Esausti, crollarono dal sonno.
C’era più caldo del solito, ma non era un caldo soffocante, anzi. Era molto piacevole.
Per la prima volta dopo tutti
quegli anni, Hermione fu in grado di dormire tranquillamente, senza
incubi che la facevano urlare nel pieno della notte.
Quel calduccio era veramente
invitante. Ma sentiva anche che qualcosa le premeva sul fianco destro,
impedendole di muoversi liberamente. Quando si rese conto che era un
braccio, iniziò a preoccuparsi. I ricordi tardavano a tornare,
il che la rese più agitata di quello che doveva essere.
Cercò in mille modi di girarsi, senza destare la persona che le
dormiva affianco, ma fu tutto inutile.
“Ti sei svegliata…” – mormorò Draco, rafforzando di più la presa sulla vita di lei.
Hermione sgranò gli occhi. Draco? Che diavolo ci faceva a letto con Draco?
Pian piano, i ricordi tornarono e
con essi, arrivò anche la consapevolezza che l’uomo le
aveva esplicitamente detto di tenere a lei.
E Hermione si rese conto che di
tutto quello che era successo la sera prima, il primo ricordo che era
sopraggiunto fu la dichiarazione di Draco e il bacio che ne era
seguito. Non la confessione di lei in casa o lo schiaffo che le aveva
dato Draco.
Il bacio.
“Scusa… non volevo svegliarti…”
“Tranquilla…”
– aveva la voce impastata dal sonno e gli occorsero un paio di
minuti buoni per poter parlare e non biascicare le parole.
“Devo… dobbiamo alzarci… il lavoro…”
“A parte che oggi è
domenica.” – chiarì Draco. – “E poi non
credo che dopo ieri sera ti faranno problemi se salti un giorno di
lavoro.”
Hermione ridacchiò e si girò nel suo abbraccio. Ora poteva guardarlo in faccia e divenne seria.
“Senti…”
– iniziò lui con un tono decisamente troppo serio. –
“… volevo chiederti scusa per quello che è successo
sulla veranda. Non sapevo che…”
Hermione gli mise l’indice sulle labbra.
“Io che devo chiedere scusa
a te. Non ti ho mai detto niente mentre tu hai mi hai dato il tempo che
ti avevo chiesto.”
Voleva baciarla, ma temeva che per
lei fosse ancora troppo presto. Beh, fosse stato per lui
l’avrebbe soffocata di baci, ma doveva andarci cauto.
“Perché aspetti?” – chiese lei, temendo di aver interpretato male quello sguardo.
Draco sorrise e con decisione si
abbassò e la baciò. La strinse per la vita, mentre lei
gli circondò il collo con le braccia.
No. Decisamente non era troppo presto…
Quando si staccarono, Hermione tornò a rifugiarsi sotto le coperte.
“Giusto per
sapere…” – iniziò lei. –
“… io e te cosa siamo esattamente?”
Draco sollevò un sopracciglio.
“Un uomo e una donna?” – ironizzò lui.
Hermione, che si era aspettata di
sentirsi dire “fidanzati”, ci rimase veramente male. Alla
fine Draco scoppiò a ridere.
“Smettila di ridere!” – sbottò lei, imbarazzata.
“Perché? Eri così buffa!”
“Guarda che ti licenzio, eh?”
“E manderesti un pover’uomo sul lastrico?”
“Sì, perché?” – chiese, innocentemente.
“C’è la remota possibilità di farti cambiare idea?”
Hermione finse di pensarci su.
“Dunque… potresti prepararmi la colazione a letto tutti i giorni, poi…”
“No, ok. Preferisco andare su lastrico!”
“Perché?”
“Per prepararti la colazione dovrei alzarmi all’alba con tutto quello che mangi…”
“Brutto…” – e iniziarono una guerra con i cuscini.
Alla fine, quando tutte le piume
furono diligentemente sparpagliate a terra, i due caddero esausti sul
letto, ridendo come emeriti cretini. Una piuma finì sulle labbra
di Hermione. Voleva soffiarla via, ma fu Draco a toglierla.
Prima di alzarsi definitivamente
dal loro “nido” e uscire dalla porta, dove li avrebbe
attesi la realtà, Draco la baciò ancora.
Uscirono di casa un’ora dopo.
Il sole era sorto da un bel pezzo
e in casa non c’era più nessuno, tranne Minerva. La donna
stava preparando il pranzo e quando vide i due entrare dalla porta
sorrise, com’era suo solito fare.
Era molto contenta per Hermione, perché finalmente era riuscita a parlare di ciò che teneva dentro da troppi anni.
“Buon giorno, ragazzi…prendete qualcosa?”
Tra le tante cose che Hermione
doveva sistemare c’era anche lei, la sua seconda mamma.
L’aveva accettata, aveva accettato che suo padre si rifacesse una
vita, aveva accettato la sua presenza in casa e l’aveva chiamata
mamma, solo perché lo facevano gli altri.
Minerva non si era mai imposta su
niente e nessuno: prendeva ciò che i figli di Scott le offrivano
e se da Daphne, Astoria e Damian aveva avuto fiducia e affetto
incondizionati, da parte di Hermione la cosa era più complessa.
Non si era mai minimamente sognata di forzarla, visto tutto quello che
aveva passato e aveva sempre aspettato che fosse lei ad andare a
parlare con lei. Ma non era mai successo e lei non aveva obiettato.
Draco si accorse di quel silenzio
e capì che Hermione voleva parlare con lei ma non sapeva come
fare. Si chinò sul suo orecchio e le sussurrò poche
parole.
“Parla con lei.” – e si allontanò.
Intenta com’era nel girare le patate, Minerva non si accorse che l’uomo era uscito.
“Allora? Prendete qual… oh! Dov’è Draco?” – chiese Minerva stupita.
“E’… è uscito.” – rispose Hermione, a disagio.
Ora che si era decisa a parlare con Minerva, sentì il coraggio venirle meno.
“Ah… prendi qualcosa tu, allora?” – chiese la donna, tornando a girare le patate.
Anche lei era a disagio quando si
trovava da sola con Hermione. C’erano state volte in cui, per
intavolare un discorso, si era scritta alcuni argomenti di tipo neutro
sulle mani, giusto per non rimanere in silenzio.
E Hermione esplose.
“Ma non ti riesce di arrabbiarti con me per una buona volta?” – chiese con gli occhi umidi.
Aveva preso l’atteggiamento di Minerva per disinteresse nei suoi confronti.
Minerva si girò di scatto, stupita per quelle parole mentre una fiammella di speranza si accese in lei.
“Ma…”
“Hai sempre permesso che ti
trattassi male!, come una sconosciuta! E… e non ti sei mai
arrabbiata! Ti devi arrabbiare, accidenti!” – mancava poco
che sbattesse i piedi a terra.
Minerva era sempre più allibita.
“Ma… perché
dovrei arrabbiarmi con te?” – disse lei, asciugandosi
velocemente le mani sul grembiule e andandole davanti.
“Perché devi!” – disse, capricciosa come una bambina.
“Guarda che non mi hai mai trattata come una sconosciuta! Perché dici così?”
Stava mentendo ma non voleva far
sentire Hermione peggio di quanto era stata. Forse quello era il loro
momento per chiarirsi e riuscire ad avere fiducia l’una
nell’altra.
“Perché è
vero! Ti lasciavo fuori da tutto quello che mi succedeva e tu mi hai
sempre aiutata! Non hai mai chiesto niente in cambio! Accidenti…
arra-arrabbiati!” – disse, esplodendo in un pianto
liberatorio.
Minerva andò da lei e
l’abbracciò. Sorrise, colma di sollievo per quella svolta
nel suo rapporto con Hermione per la quale aveva pregato tanto che
arrivasse.
“Oh, piccola mia… non
piangere. È che… non sapevo mai come dovevo fare con
te… a volte ti aprivi, altre volte ti chiudevi come un
riccio… non sono stata molto capace di capirti. Volevo tanto
aiutarti, ma non potevo se prima non facevi tu il primo passo.”
– disse la donna con le lacrime agli occhi.
“Mi di-disp-piace ta-tanto…” – disse Hermione, piangendo tra le braccia di sua madre.
Minerva era felice. Finalmente ora faceva parte anche della vita di Hermione.
Draco era uscito per fare due passi nell’aia e lasciare le due donne a chiarirsi.
Il cane di Hermione stava
sgranocchiando qualche osso che Minerva le aveva allungato la sera
prima e lo difendeva dalle papere e dalle galline che volevano
sottrarglielo a suon di ringhiate.
Ridacchiò divertito, quando intravide la sagoma di Scott che dava da mangiare alle galline.
Non seppe come comportarsi. Non
c’era andato giù leggero con lui la sera prima – al
ricordo, la mano destra saettò subito sul labbro – e
temeva di aver incrinato il rapporto con l’uomo. Fece per girarsi
e tornare indietro quando Scott, a sua volta, si girò.
“Draco!…”
Il biondo si fermò e salutò con un cenno del capo.
Se una volta avesse ricevuto un
pugno da qualcuno, il giorno dopo avrebbe mandato a puttane tutto,
lavoro incluso; ma oggi Draco era una persona diversa, una persona che
aveva imparato a incassare i colpi duri della vita – e non si
parla solo dei pugni di Scott e della figlia, la degna erede –
affrontarli e superarli.
Aveva appena dimostrato di essere una persona matura.
“Possiamo parlare?” – chiese Scott con il volto tirato.
Quella era la sua occasione per dimostrargli quanto era cambiato.
“Certo.”
Era così imbarazzato per l’enorme figura che aveva fatto la sera prima che non sapeva da dove iniziare.
“Draco… per ieri sera…”
“Scott, non parliamone più. Hai agito per il bene di Hermione e io ho esagerato con le parole. Siamo pari.”
“E’ che…”
– si passò una mano tra i capelli brizzolati. –
“… ho sempre pensato che Hermione non fosse mai riuscita a
superare la morte della madre. Ma arrivare addirittura a sperare nella
morte… non ho capito niente.” – ammise contrito.
“Hermione ha solo bisogno
che la sua famiglia le faccia capire che la ama, nonostante quello che
è successo. Evitare di parlarle dopo le sedute, però, non
è stata una mossa molto saggia…”
“Lo psichiatra ci aveva
consigliato di lasciare che la ragazza trovasse da sola la forza per
rialzarsi, ma sbagliava. Dovevamo essere noi la sua forza e invece
l’abbiamo abbandonata a se stessa.”
“Beh, ora che sapete quello
che c’è da fare, non sarà difficile metterlo in
pratica.” – disse Draco con decisione.
“Sì, credo proprio che lo faremo. Grazie, Draco.”
“Oh, per così poco?” – disse lui, cercando di sminuire quello che aveva fatto.
“Coraggio, andiamo a pranzo… c’è la pasta al forno.”
Damian e Kevin avevano scelto di
tornare a casa e usare ogni minuto libero per stare con la propria
famiglia mentre a casa tornarono Scott e Draco, trovando Hermione che
aiutava la madre in cucina.
Fin qui, niente di strano, ma
l’atmosfera allegra che regnava in quella stanza era quasi
mistica. Le due sembravano aver trovato una sincronia perfetta sia a
parole sia a gesti. Passavano da una parte all’altra della stanza
frettolosamente, ma non si scontravano mai.
“Oh, benearrivati!” – disse Minerva con un sorriso che Scott non le aveva mai visto.
Hermione si fermò e
guardò tutti con un sorriso. Un sorriso che era assai diverso
dai precedenti che aveva il potere di illuminare tutta la stanza.
“Che profumino…” – disse Scott, annusando l’aria.
“A tavola, che si pranza!” – disse Hermione tutta allegra.
Ora potevano definirsi una vera famiglia.
Pranzarono allegramente, facendo
battute e comportandosi come se tutti gli anni e le disgrazie che
avevano colpito quella famiglia non fossero mai esistite.
Hermione osservava dal suo posto
vicino a Draco, ciò che stava accadendo. Passò in
rassegna i presenti, a partire dalla madre che finalmente stava ridendo
di cuore. Passò al padre, che sembrava ringiovanito di
vent’anni e Draco… Draco non lo guardava con gli occhi.
Lo guradava col cuore.
Quando si accorse che lui la stava
fissando, si rese conto che la stava guardando preoccupato. Gli rivolse
un sorriso luminoso e anche lui sorrise di rimando.
Dopo pranzo Scott tornò a sistemare gli animali, mentre Draco e Hermione avevano molto di cui parlare.
Si ritrovarono a passeggiare per il vialetto che conduceva sulla statale. Erano molto vicini.
“Hai finalmente riso, oggi.” – disse lui, felice di quella novità.
Hermione annuì, leggermente
imbarazzata. Sorridere o ridere era un’azione di per sé
molto semplice, ma per Hermione era sempre stato uno sforzo ercoliano.
Vedere le persone attorno a lei felici perché lei aveva sorriso,
la faceva sentire una bambina che aveva imparato a muovere i suoi primi
passi.
“Già… mi viene da ridere se penso che è stato merito tuo.”
Draco si staccò da lei, basito.
“Cosa vorresti dire?”
“Suvvia Dracuccio, non arrabbiarti…” – disse lei con un sorriso.
L’uomo la guardò sconvolto.
“Come diavolo mi hai chiamato?!”
“Dracuccio. Non ti piace?”
“Guarda che ho una dignità, io!”
Hermione lo spintonò di lato, esasperata. Iniziò a correre, lasciandolo indietro.
“Lascia perdere la dignità… DRACUCCIO!”
Draco iniziò a correre e
Hermione aumentò ancora di più la corsa, ma era ovvio che
l’avrebbe raggiunta. La prese e la gettò a terra,
iniziando a farle il solletico. Lei rideva di gusto, finchè non
lo sentì fermarsi e guardarla con quei suoi occhi argentati che
la facevano tremare.
La situazione era molto compromettente e anche Draco se ne rese conto. Galantemente l’aiutò a rialzarsi.
“Grazie… allora.
Pronto per il grande rientro?” – chiese Hermione, cercando
di rimanere su argomenti neutri.
Lo sguardo di Draco si fece più serio.
“Manca davvero poco.”
– disse Draco. – “Nott è davvero un
incapace.” – disse, riuscendo ora a riderne.
Hermione fu felice di vederlo così allegro.
“Mi fa piacere sapere che la cosa ti fa sorridere.” – disse, leggermente ironica.
“Beh, il tempo in cui mi
rodevo il fegato è finito Hermione. Le informazioni che mi ha
dato David in questi mesi sono state molto utili.”
A quel nome, Hermione si rabbuiò. David… ancora non ci credeva.
“Non lo perdonerai mai, vero?” – le chiese.
Hermione infilò le mani
nelle tasche dei jeans e iniziò a spazzolare i sassolini della
strada con la punta della scarpa.
“E’ che non me l’aspettavo da lui…” – disse.
“Lo so, ma mi era sembrato veramente dispiaciuto e poi ci ha aiutati parecchio…”
“E chi mi dice che non stia facendo il doppio gioco?” – chiese, cercando ogni pretesto per non perdonarlo.
“Difficile. Le sue informazioni si sono rivelate esatte dalla prima all’ultima.”
“Bah…” – sbuffò Hermione, non convinta.
“Hermione, so che ci sei
rimasta male e quando torneremo in città, ti prometto che
risolveremo anche la sua questione.”
Hermione arricciò le labbra poco convinta.
“D’accordo.” – si arrese alla fine.
“Dai, torniamo indietro.” – disse, tendendole la mano.
Tornarono a casa a pomeriggio inoltrato, mano nella mano.
Una volta a casa, ricontrollarono la situazione della Nott Home per l’ennesima volta.
Draco rideva
dell’incompetenza di Theo, ma allo stesso tempo aveva una gran
voglia di piangere per aver assunto uno come lui nel suo organico.
Fortuna che Hermione con le sue battutine idiote lo faceva sorridere o
davvero la disperazione avrebbe preso il sopravvento.
Draco e Hermione programmarono il loro rientro a casa per lunedì venticinque Settembre.
Volevano tornare a casa,
ambientarsi e sistemare l’appartamento della riccia in funzione
di loro due come coppia e non come ospiti.
Qualche giorno prima di partire
erano andati in paese e avevano comprato due bei vestiti per potersi
presentare al Country Club senza essere buttati fuori. Quando
c’era stato l’ultima volta per chiedere aiuto ai suoi
“amici”, Draco era stato sbattuto fuori senza tante
cerimonie, dopo tutte le donazioni fatte. Hermione ne era a conoscenza,
perché quando abitavano nel suo appartamento in città, si
era confidato con lei e lei si era dimostrata davvero una persona
matura: non lo aveva preso in giro, né lo aveva giudicato.
Lo aveva ascoltato nei suoi sfoghi.
Avrebbero fatto un giro anche al
Country Club ma solo dopo che Draco avrebbe messo la propria firma sul
contratto che lo definiva unico titolare della Nott Home.
Aveva qualcosa da dire pure anche a quei cari “amici”…
Volevano tornare a casa e stare
tranquilli prima di affondare il coltello nella piaga: se Hermione era
il tipo che preferiva evitare di colpire l’avversario quando era
già a terra – eccezion fatta per Pansy Parkinson –,
Draco non era dello stesso avviso: avrebbe colpito Nott fino a far
diventare l’ospedale la sua fissa dimora!
Hermione era in camera e stava
sistemando le cose del cane, che la guardava con una zampina sollevata,
il musetto che saettava dalla borsa alle sue mani e un bel punto
interrogativo in mezzo alle orecchie, perché non capiva come mai
le stesse facendo la valigia.
Suo padre entrò in quel momento.
“Ehi, hai finito?” – le chiese.
Hermione si girò e gli
sorrise tristemente. Le dispiaceva lasciarli così presto, dopo
che avevano finalmente dipanato le incomprensioni.
“Sì, adesso.”
– poi si girò, conscia che sarebbe arrivato il classico
discorso “padre-figlia”.
“Hermione…”
Non sapeva nemmeno cosa dire.
Quella situazione, creatasi con il
gesto di Jean, non si sarebbe mai risolta. Non sarebbero mai arrivati
al punto in cui si sarebbe potuta mettere la definitiva parola
“fine” a tutto quello perché, giorno dopo giorno,
c’era sempre qualcosa di nuovo da affrontare, qualcosa che andava
sempre studiato e ponderato mille volte – e che forse non erano
ancora sufficienti – prima di fare un solo, piccolo passetto.
Scott credeva che Hermione, certo,
soffrisse per la perdita della madre – e lui riteneva la
questione chiusa lì – ma sapere che sua figlia sperava
addirittura di morire, beh… gli ha fatto comprendere che no, non
sarebbe mai finita, ma che avrebbe dovuto affrontare i problemi giorno
dopo giorno e sperare che le scelte operate si rivelassero essere
quelle giuste.
Così, non sapendo cosa dire, ripiegò sulla verità.
“… sono felice che tu sia nata.” – disse.
La riccia arrossì. Oh…
“Grazie…” – disse Hermione, arrossendo e chinando il volto a terra.
“Tua madre ti amava
tantissimo.” – continuò, con voce decisa. –
“Lei sarà sempre con te, lo sai vero?”
“Sì, lo so.” – lo rassicurò.
“Coraggio. Ti aiuto con le valige.”
Scott e Hermione scesero in cucina, dove tutti erano presenti per salutarli.
Draco chiacchierava con i fratelli di Hermione, rassicurandoli che l’avrebbe sempre protetta.
“Ehi, sei pronta?” – chiese Daphne.
“Sì.”
Iniziarono a salutarsi quando Astoria chiese se…
“Non è che ci lasceresti il cane?” – chiese.
Hermione la guardò con gli occhi sbarrati e, sì, indignata per la proposta.
“Perché?”
“Beh, tu adesso dovrai
concentrarti parecchio sulla Malfoy Home.” – spiegò
Neville. – “E sai che Lilly ha bisogno di persone
attorno.”
A quello non aveva pensato.
Un velo di tristezza le
coprì gli occhi quando chinò lo sguardo e vide il cane
che, nonostante tutto, era felice di tornare a casa.
“Ehi! Guarda che non te la
maltrattiamo, tranquilla!” – esclamò Damian. –
“La teniamo noi finché voi non vi sarete sistemati con le
vostre cose.”
“Damian ha ragione Hermione.” – intervenne Draco.
La riccia guardò il cane, intristita e il cane guardò Hermione. Lo prese in braccio e se la coccolò.
“Vuoi rimanere qui per un po’?”
Lei per prima era conscia che
rilevare la Nott Home le avrebbe portato via tempo ed energie e non
voleva che il cane ne risentisse.
“Poi ti riprendo, eh?” – ci tenne a precisare.
Lilly, che giustamente non aveva
capito niente, abbaiò e Hermione lo prese per un sì.
Lasciò dettagliate istruzioni su come trattarla e poi lo
consegnò a Daphne.
“Grazie di tutto.” – disse Draco.
E finalmente riuscirono a partire.
L’appartamento era avvolto nell’oscurità più totale.
Hermione e Draco entrarono in casa
zampettando per le valige che si stavano trascinando dentro. La riccia
accese la luce e andò ad aprire gli scuri.
Finalmente Draco aveva capito
perché Hermione fosse così attaccata a Lilly: era un
regalo della sua defunta madre e una volta scoperto questo, non
riuscì più a giudicare il troppo attaccamento che la
riccia aveva verso quella bestiola. Dopotutto, Hermione l’aveva
educata come fosse davvero un essere umano e anche per Draco, non
avvezzo ad accarezzare o avere animali intorno, si era affezionato
parecchio.
Scoprì anche perché Hermione odiava San Valentino.
La ricorrenza era sempre legata al
ricordo di Jean, perché quella era stata l’ultima volta
che aveva visto la madre viva. Hermione temeva di partecipare a San
Valentino, perché inconsciamente aveva paura che, tornando a
casa, si sarebbe sentita nuovamente dire che qualcuno dei suoi cari era
morto.
Le aveva tenuto la mano per tutto il tempo mentre guidava, perché lei non ne era in grado.
Quella ragazza non era capace di
amare a metà, anche se si trattava di un animale: vedeva come la
ragazza fosse attaccata alla bestiola e nel salire in macchina aveva
tenuto lo sguardo fisso sul tappetino fino a che Draco non le aveva
preso la mano.
In quel momento, fu come se Hermione si fosse ricordata della sua presenza e cercò di fare un po’ di conversazione.
Era strano tornare in
quell’appartamento con un inquilino per fidanzato e senza il suo
cane. Le sembrava di essere stata menomata…
Iniziarono subito a sistemare le
proprie cose negli armadi – Hermione dovette fare posto per
quelle di Draco – e quando finirono si guardarono negli occhi.
Draco le andò incontro e iniziò a baciarla.
Ma la sentì tremare sotto di lui.
“Qualcosa non va?”
Ecco, sì… come faceva a dirglielo senza farsi ridere in faccia?
Non riuscì nemmeno a fare un cenno con il capo.
“Hermione? Corro troppo? Vuoi che rallenti?”
Il punto era proprio quello: non voleva che si fermasse ma non sapeva come dirgli quella cosa.
“Non avevamo detto di dirci tutto quello che non andava?”
“Sì, ma…”
“Ma?”
“E’ un po’ complicato…” – ammise a denti stretti.
“Magari posso aiutarti a sbrogliare la matassa.”
Era sempre più rossa e non riusciva a guardarlo in faccia.
“Io…” –
beh, se era riuscito a non farla più sentire sbagliata per
ciò che sua madre aveva coraggiosamente fatto per lei, forse
poteva aiutarla anche con quella questione.
Lo sperò vivamente.
“… sono vergine. E no, non mi riferisco al segno zodiacale.”
Calli-corner:
Capitolino corto, ma siccome ne arrivano altri due, credo si possa chiudere un occhio.
Non ho molto da dire, anche perché tra poco leggerete il seguito.
E niente spoiler.
Prossimo capitolo in arrivo!
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Capitolo 17 *** Il ritorno del Figliol Prodigo ***
17 - Il ritorno del Figliol Prodigo
“Ho bisogno di ferie. Sono stressato.”
“Certo che non ti va bene
niente, eh?” – disse Laney. – “Con tutto il
sesso che abbiamo fatto in questi mesi, hai il coraggio di venirmi a
dire che sei stressato?” – chiese, fintamente oltraggiata.
– “Ecco lo sapevo! Sto perdendo il mio mordente!”
– disse, gettandosi teatralmente sul letto in una mossa da
“vedova inconsolabile”.
John rise divertito.
Beh, con Laney era una cosa
fantastica: le uniche volte in cui non facevano sesso era quando lei
era “mensilmente impegnata” e quando il lavoro era talmente
stancante che li teneva occupati fino a orari improponibili la notte.
Il contratto con la Nott Home,
alla fine, non si era potuto recidere, poiché vincolante per
legge: se avesse voluto scinderlo, avrebbe dovuto sborsare fior fiori
di dollari e lui non voleva mandare sul lastrico la propria azienda e
mettere in strada tutti coloro con i quali lavorava, addirittura, da
decenni.
Aveva quindi mantenuto il contratto, ma gli acquisti erano calati di quasi il novanta per cento.
Laney ridacchiò con lui e poi scese dal letto.
“Dove vai?”
“Ho bisogno di zuccheri. Vuoi qualcosa?”
“No, grazie.”
La vide allontanarsi con la sua
camicia addosso, quando un pensiero gli balenò nella mente,
tanto la lasciarlo interdetto e senza fiato fino al ritorno della
ragazza che teneva tra le mani un bicchiere di succo di frutta.
“Che ti prende?” – chiese, preoccupata.
“Niente, scusa. Un black out.”
Laney pensò che quei
“black out” gli capitavano un po’ troppo spesso.
Più volte l’aveva beccato con lo sguardo sgranato e perso
nel vuoto.
“Vieni qui.” – le tese la mano che lei prese.
Posò il bicchiere sul
comodino e gli finì praticamente in braccio. John le aprì
la camicia e iniziò a baciarle il ventre. La donna gradì
parecchio e gettò la testa all’indietro. La stese sul
letto e iniziò a penetrarla lentamente.
Se ne accorsero entrambi.
Se ne resero conto entrambi.
Laney voleva fermarsi ma il suo
corpo non era d’accordo con lei. Tentò addirittura di
ritrarsi, ma John la teneva ferma in una morsa d’acciaio.
E quando l’orgasmo si avvicinò, lui la baciò sulle labbra.
Le rimase dentro per qualche
minuto, con il collo infossato nell’incavo della spalla di Laney
che, spaventata, fissava il soffitto della sua camera.
“Levati.” – disse la donna, priva di emozioni.
John serrò gli occhi e si
alzò. La guardò mentre scendeva dal letto come se vi
fosse stato un serpente velenoso e andava alla ricerca dei suoi vestiti.
“Laney…” – tentò lui.
“Laney niente!”
– sbottò, senza guardarlo negli occhi, troppo spaventata e
arrabbiata per ciò che era appena successo. – “Laney
il cazzo!” – disse, accompagnando la frase a un gesto
eloquente delle braccia.
Tornò in cucina come un toro in gabbia. Che diavolo gli era saltato in mente? Era forse impazzito?
Di lì a qualche secondo si
presentò John con addosso solo i pantaloni. Non era riuscito a
trovare la maglia perché lei l’aveva lanciata da qualche
parte nella stanza.
“Laney ascolta…”
La donna si bloccò e si
girò verso di lui, con lo stesso atteggiamento di chi sta per
ammazzare il marito, beccato a letto con un’altra.
“No, tu ascolta me! Che cazzo ti è saltato in mente, si può sapere?” – era arrabbiata.
E terrorizzata.
John non ne comprese il motivo.
“Non capisco cosa vuoi…” – tentò John, ma venne zittito dalla donna.
“Non provare a fare il finto
tonto con me, John! Che cazzo è successo in camera?”
– sbottò, indicando la stanza con un braccio teso.
“Siamo stati a letto
insieme.” – disse lui, cercando di mantenere la calma.
– “Niente di diverso da…”
“Trattami ancora come una cretina e ti sbatto fuori da casa senza vestiti!” – ruggì lei.
L’uomo si zittì.
“Abbiamo appena fatto sesso mi sembra. Contenta?” – chiese.
Laney sembrò aver mangiato qualcosa di amaro.
“NO JOHN!” – tuonò, sbattendo le mani sul tavolo. – “Noi non abbiamo appena fatto sesso! Noi abbiamo fatto appena fatto l’amore! Cazzo!” – fu la sua degna conclusione.
“Ne parli come se fosse letame.” – disse, sinceramente risentito.
Lo sguardo di Laney gli diede a intendere che non c’era andato tanto lontano. La guardò basito.
“John, cercherò di
essere chiara, affinché anche tu possa capire.” –
disse, trattandolo in un modo che all’uomo non piacque per
niente. – “Io e te non facciamo l’amore, chiaro? Io e
te scopiamo! Io e te facciamo sesso! Io e te ci divertiamo!”
“Non trattarmi come un cretino Laney.” – disse John, stizzito. – “Non ne hai il diritto.”
“Ti tratto da cretino quando ti comporti da cretino!” – lo aggredì.
“Ma si può sapere qual è il tuo problema?”
Laney si indicò, basita.
“Il mio…
il mio problema? Non sono io ad avere un problema John, sei tu! Eravamo
d’accordo, ricordi? Un aperitivo, una bella scopata e ognuno a
casa sua!”
“Bene. Dato che la mia vista sembra disgustarti, me ne torno a casa. Ci vediamo domani in ufficio.”
“Ah no, eh?” –
disse, con una risatina isterica. – “Non tentare nemmeno di
farmi passare per la via del torto! Ehi dove vai? Sto parlando con
te!” – esclamò, mentre lo seguiva in camera.
“Me ne sto andando come da
tua richiesta.” – disse lui, lapidario. – “Sai
Laney, ti credevo diversa.”
La donna sembrò in grado di
lanciare fuoco e fiamme dagli occhi. Se John l’avesse guardata in
faccia, sarebbe morto sul colpo.
“Credevo fossi onesta con te stessa, ma forse sono io che mi sono immaginato tutto.”
La forza con la quale lo prese e lo girò lo lasciò sconcertato.
“Io sono sempre stata onesta con te John fin dall’inizio.”
L’uomo tentò di divincolarsi, ma Laney lo tenne fermo.
“Ti ho sempre detto che non
cercavo l’amore e tu stesso non volevi iniziare questa cosa per
paura che si potesse ripercuotere sul lavoro. Ti ho sempre detto di non
preoccuparti, che solo perché andiamo a letto insieme, questo
non avrebbe significato che la mia professionalità sarebbe
venuta meno. Sono sempre stata onesta con te, ma forse… forse
sei tu che non sei stato onesto con me.” – lo lasciò.
“Massì, forse hai
ragione tu.” – disse, come se in quei pochi istanti avesse
capito una santa realtà. – “Sono io che devo aver
volato troppo con la fantasia…”
A quella frase Laney non seppe spiegarsi perché, ma iniziò a sentirsi in colpa.
“… in questi mesi
siamo stati bene insieme ed è un dato di fatto.” –
disse, notando il suo tentativo di interromperlo.
Laney si zittì.
“Abbiamo cenato insieme, qui
da te o da me e il sesso… passerò per indelicato, ma sei
un’assatanata, lasciatelo dire.” – scherzò.
Lei continuò a sentirsi peggio.
“Non credo di essere mai stato così appagato in vita mia.”
“John…” – tentò lei.
“Ammetto che farne a meno
sarà difficile ma un’ultima cosa voglio dirtela. In questo
periodo ci siamo conosciuti meglio, abbiamo superato il confine
titolare-dipendente e non mi riferisco solo al sesso.” –
disse, riferendosi a tutte le volte che, dopo essere stati a letto
insieme, si erano lasciati andare a delle confidenze personali. –
“E ho intuito che c’è stato qualcosa o qualcuno
che ti ha fatto rivedere il concetto di “amore”. Non che io
mi erga a paladino di questo sentimento, sia chiaro, ma non puoi fare
di tutta l’erba un fascio. Al mondo di figli di puttana ne
esistono, però esistono anche persone che darebbero la vita per la propria compagna. Con un po’ di impegno da parte di tutti e due ce l’avremmo potuta fare, Laney.”
La donna sentì gli occhi diventare lucidi. Lui…
“Ma tu non vuoi
impegnarti.” – concluse, indossando la giacca. –
“Non so perché ma è un vero peccato e io… io
non me la sento di combattere di nuovo da solo.” – disse,
riferendosi al suo matrimonio. – “Perciò…
grazie per questi mesi passati insieme. Spero davvero non cambi niente
sul lavoro.”
Non aspettò una sua
risposta, perché sapeva che Laney era la persona più
professionale che avesse mai conosciuto. Raccattò le ultime cose
e uscì da quella casa.
L’improvviso silenzio che calò una volta che John si tirò dietro la porta, la sopraffece.
Era un rumore talmente assordante che, per spezzarlo, pianse.
“Signor Nott, posso parlarle un momento?”
“Gerard!” – esclamò Theo, lieto, accavallando le gambe. – “Dimmi pure.”
“Ehm, se si potesse… in privato.” – disse l’uomo.
“Non ho segreti per i miei amici Gerry.” – disse, prendendosi un’inopportuna confidenza.
Theo era al Country Club e si era portato dietro Pansy.
La donna era a giocare a tennis con le mogli degli altri soci e si divertiva parecchio.
Beh, si divertiva perché non sapeva di quanto Theo fosse in arretrato con i pagamenti…
“In tal caso…”
– disse l’uomo, indispettito dalla volgarità di Theo
Nott. – “… dovrebbe saldare il conto di questo mese.
È in arretrato di settemila sterline circa.”
Il silenzio che cadde al tavolo, spedì Nott nel Girone dei Vergognosi.
“Scusate un attimo signori.
Torno subito.” – disse, anche se ormai il danno era stato
fatto. – “Andiamo.” – sibilò a Gerard
nell’orecchio.
Gli uomini rimasti si guardarono perplessi e a disagio.
“Che storia è questa? Non potevi aspettare per dirmelo?”
Gerard, che aveva a che fare con
persone del calibro di Nott da anni, non si fece intimidire. Riprese
possesso del braccio che Theo gli aveva scippato per condurlo via dai
suoi amici e si lisciò la giacca.
“Le avevo chiesto di parlarne in privato, ma lei…”
“See see d’accordo.” – disse, interrompendolo.
In quel momento Gerard rimpianse amaramente le persone del calibro di Draco Malfoy. Lui sì che era un vero signore!
“Quanto tempo ho per saldare il conto?”
“Fino alla fine della
settimana.” – disse, lasciandolo basito. – “O
se si presenterà qui a mani vuote, sarò costretto a
scortarla fuori insieme alla sua signora.”.
“Mi… mi serve più tempo.” – disse Theo, occhieggiando in giro.
Nella frazione di un secondo pensò a come sarebbe potuta essere la sua vita senza quelle agiatezze.
Scacciò il pensiero perché era così annichilente che, piuttosto, sarebbe andato a rapinare una banca.
Era messo così male?
“Venerdì, signore. O subirà la stessa sorte del signor Malfoy.” – gli ricordò.
Gerard aveva bene in mente il giorno in cui aveva cacciato Draco dal suo Country Club. Non lo avrebbe mai dimenticato.
Draco era entrato tutto scarmigliato e si era diretto velocemente da un socio, poi da un altro e poi da un altro ancora.
Tutti gli avevano voltato le spalle.
Era spaventato
come un pulcino e alla fine era stato sbattuto fuori con lui che
cercava di opporre resistenza e che urlava per farsi aiutare.
Da quel giorno non lo ebbe più rivisto.
“Io non farò la fine di quell’idiota!” – ringhiò Theo.
“Glielo auguro, signore. Venerdì.” – scandì, per tornare ai propri affari.
Theo guardò Gerard
allontanarsi e una rabbia cieca si impadronì di lui. Si
portò una mano sulla bocca e il respiro divenne pesante.
E dove le trovava settemila sterline, adesso?
Un movimento all’esterno
catturò la sua attenzione e quando vide Pansy correre da una
parte all’altra del campo per prendere la pallina si
tranquillizzò.
Gliele avrebbe date lei.
Con un sorriso più
tranquillo per essere riuscito a risolvere la situazione, Theo
tornò al tavolo ma notò subito che George Webber se ne
era andato e che Luke Obber stava per fare lo stesso.
“Luke dove te ne vai?” – chiese, con un il sorriso di chi aveva risolto tutto.
Luke lo guardò.
“Mi sono ricordato di avere
un impegno. Signori, alla prossima. La prossima volta ti straccio,
George!” – esclamò.
Theo notò come Luke
l’avesse trattato con freddezza, mentre con George si era
dimostrato molto più accomodante.
“Sì, la prossima.” – disse l’altro, ridendo.
Quelli che rimasero non dissero
più nulla: si limitarono a bere i propri drink. Il ghiaccio che
tintinnava contro il bicchiere era l’unico rumore a quel tavolo.
“Il gatto vi ha mangiato la
lingua?” – scherzò Theo, che si era sentito
parecchio a disagio da quando era tornato.
Quella sparata di Gerard sui suoi arretrati non doveva capitare.
Fu George a prendere la parola e
quando lo fece, Theo sentì una colata di ghiaccio scendergli per
la schiena. Con un movimento pigro del corpo, George ripose sul
tavolino il bicchiere ormai vuoto e prese una salviettina per pulirsi
la bocca.
“Il gatto forse mi
avrà mangiato la lingua Theodore…” – disse,
cestinando il fazzoletto nel posacenere.
Lo aveva sempre chiamato Theo…
“… ma almeno mia
moglie non mi ha fatto fuori il patrimonio. Sai, non vorrei dover
assistere di nuovo a quella spiacevole scenata di qualche mese
fa.”
Theo comprese al volo che si stava riferendo a Draco.
“E perché
dovresti?” – chiese, ostentando una sicurezza che credeva
di possedere. – “Non sono mica Draco, io!”
“Lo spero per te, Theodore. Lo spero per te.”
Alla fine, Theo rimase da solo a quel tavolino con in mano il suo drink.
Quando Pansy tornò, lavata e profumata di tutto punto, lo trovò da solo.
“Dove sono finiti gli altri?”
“Siediti. Dobbiamo parlare.”
Pansy obbedì. Posò il borsone a terra e si accomodò.
“Che succede?”
“Mi servono ottomila sterline.”
La donna sbarrò gli occhi e sbiancò.
“Ottomila… e che ci devi fare?”
“Devo pagare il Country Club. E non ho soldi.”
“Prendili dalla ditta!” – esclamò, attenta a non farsi sentire.
“Se avessi potuto prenderli dalla ditta lo avrei fatto.” – disse lui, con un sorrisetto ironico.
“Per quando ti servono?”
“Per questo venerdì.”
“Questo venerdi?!” – Pansy alzò gli occhi per accertarsi che nessuno l’avesse sentita.
Quando incrociò lo sguardo di Phillis Obber sorrise e la salutò.
“Abbassa quella voce!” – ordinò Theo. – “Vuoi che ti sentano tutti?”
“Io non le ho ottomila sterline!”
Theo sbarrò gli occhi. Cazzo…
“Chiedile ai tuoi!”
“La fai facile, tu! Da
quando ho lasciato Draco, i miei a stento mi rivolgono la parola.
Figurarsi se mi presteranno dei soldi.”
“Allora trova una…”
“Se stai per dirmi che io devo trovare una soluzione a un tuo
problema ti sbagli di grosso. Se me ne avessi parlato prima forse avrei
potuto fare qualcosa, ma ora è troppo tardi. Arrangiati.”
– detto ciò, prese il borsone e si diresse
all’uscita.
Alla fine, Theo, rimase completamente solo.
“Puoi ripetere, scusa?”
“Io… sono… sono vergine. Non l’ho mai fatto.”
Pensandoci bene, Draco
trovò quasi scontata quella confessione. Hermione aveva sempre
cercato di tenere alla larga i ragazzi, per paura che la sua storia
– e la sua cicatrice – potesse allontanarli schifati. Non
si era mai spogliata nemmeno per un bagno in piscina, figurarsi davanti
a un uomo!…
“Dì qualcosa…” – lo pregò, a disagio.
Draco si riscosse dai suoi
pensieri, quando la vide che con lo sguardo cercava tutto tranne il suo
e che nei suoi occhi vi fossero delle lacrime pronte per scendere.
“Io… non mi interessa.” – disse.
Hermione lo guardò negli occhi.
“Immagino fosse un tuo modo per proteggerti da chi non avrebbe capito.”
Da quando era diventato così accorto?
“Scusa…” – disse lei, non capendo bene per cosa dovesse scusarsi.
“E di cosa?”
Hermione fece le spallucce, confermandogli che nemmeno lei sapeva bene per cosa scusarsi.
“Hermione… fare
l’amore è una cosa bella.” – disse, morbido.
– “La prima volta fa sempre male, non posso dirti il
contrario…” – la sentì sospirare afflitta.
Hermione pensava di aver patito
sufficiente dolore in passato; non voleva che anche un atto fisico che,
dai racconti di Rya, era quanto di più fantastico esistesse al
mondo, fosse doloroso. Aveva l’impressione che non sarebbe mai
finita!
“… ma dopo, con il ritmo giusto, con la persona giusta…”
Si guardarono negli occhi nello stesso momento.
“… diventa più facile. Hermione?”
“Sì?”
“Tu… vuoi fare l’amore con me?”
Riuscì ad annuire solamente, perché la voce era finita in cantina.
E successe.
Nessuna camera illuminata da candele, nessuna cenetta romantica, niente fiori, nessuna promessa di matrimonio in vista.
Draco e Hermione fecero
l’amore per la prima volta in camera sua di pomeriggio, sopra il
piumone di Hallo Kitty e con qualche orsacchiotto appoggiato,
inizialmente almeno, al cuscino che usava per dormire.
Le persiane erano di poco sollevate e filtrava una lama di luce, sufficiente per guardarsi negli occhi.
Draco aveva le mani che gli tremavano.
Erano anni che non faceva
l’amore con una vergine e temeva che le sessioni alle quali era
abituato con Pansy potessero in qualche modo mettersi in mezzo e fargli
usare meno delicatezza di quanta non ne servisse in realtà.
“Non sei tu che dovresti
essere nervoso…” – lo rimbrottò lei, agitata
mentre si martoriava le mani.
Che doveva fare?!?!
Draco rise e un po’ si rilassò.
“Hai ragione, scusa.”
“Devo spiegarti come
funziona o ti arrangi?” – chiese la riccia e Draco si
lasciò andare a una sonora risata che contagiò Hermione
stessa.
La tensione era stata letteralmente spaccata a metà.
“Credo di ricordarmi ancora
come si fa.” – disse l’uomo che, con le mani, si
avvicinò al maglioncino di Hermione.
La riccia alzò le braccia e rabbrividì leggermente, quando non avvertì più il tepore della stoffa.
“Tranquilla. Tra poco avrai caldo. Molto caldo…” – disse, con voce roca.
Lentamente, iniziò a sfilarle i bottoni della camicetta.
Era nervoso perché oltre a vedere la pelle di Hermione, avrebbe finalmente visto la cicatrice.
Indossava una canotta lilla
scollata, che permise a Draco di vedere il solco che spariva
nell’incavo dei seni. La sfiorò con la punta delle dita e
lei non si ritrasse. Si avvicinò a lei e le circondò la
schiena con le braccia.
Iniziò a baciare quella pelle delicata fino a finire con il naso tra i suoi seni.
A Hermione piaceva ciò che stava sentendo.
Le labbra di Draco erano
leggermente ruvide – chissà com’erano prima –
e quando si posarono sulle sue, ebbe un attimo di esitazione.
“Rilassati…” – lo sentì sussurrare sulle sue labbra.
“Temo di aver saltato la lezione sui baci…” – scherzò lei.
Fare battutine in certi momenti era il suo modo di stemperare la tensione.
“Professor Draco Malfoy al suo servizio.” – rispose lui.
Nessuno dei due voleva ricordare
quel momento come “l’esperto Draco Malfoy avesse penetrato
l’incompetente Hermione Granger”, così si erano
silenziosamente messi d’accordo sul fatto di viverlo per
com’era e non per quello che ci si sarebbe aspettato.
Calò ancora il silenzio tra
loro dove Draco continuò la sua missione di insegnante. Nel giro
di poco si ritrovarono entrambi nudi e Hermione pensò che fosse
una fortuna che in camera vi fosse più buio che luce,
perché Draco avrebbe notato la sua autocombustione.
Un gemito strozzato le uscì
dalla gola quando sentì la sua mano saggiare la sua parte
più intima. Un improvviso torpore l’avvolse e Draco ne
approfittò per baciarla a tradimento.
Il bacio e le sue carezze la portarono a rilassarsi ancora di più.
“Draco…”
“Sono qui.” – sussurrò lui, con decisione.
All’improvviso, Hermione si
sentì calda e umida. Era quella la sensazione di bagnato che sua
sorella Astoria le aveva sempre descritto? Naturalmente tenne per
sé quei dubbi per non fare proprio la figura
dell’ignorante a tutto tondo.
“Hai paura?” – chiese Draco, a denti stretti.
“Credo di…”
Si bloccò e sbarrò
gli occhi quando sentì Draco fare pressioni per entrare. Si
aggrappò alle sue spalle, cercando di non piantargli le unghie
fino alle ossa.
“No amore,
rilassati…” – disse lui, preso dal momento. –
“… se fai così è peggio.”
Quando l’aveva sentito
chiamarla “amore”, un senso di assoluto sconvolgimento si
spanse in lei, tanto da farle allentare la muscolatura pelvica e
dimenticare la pressione che Draco stava esercitando tra le sue cosce
mentre lui, che stava premendo per entrare, venne colto alla sprovvista
e scivolò in lei fino al giusto incastro.
Conscia che non serviva più
a niente, Hermione serrò le gambe attorno al suo bacino. Non
sapeva se dirsi più sconvolta per il fatto che l’avesse
chiamata “amore” o perché con una spinta era entrato
in lei e lei aveva sentito pochissimo dolore.
Draco non si era ancora reso conto di come l’avesse chiamata.
“Hai visto?” –
la rassicurò, prendendo il suo sguardo allucinato come
incredulità di fronte alla semplicità della prima
penetrazione.
E Hermione non se la sentì di rovinare quel momento con le sue precisazioni.
Draco iniziò a muoversi lentamente, per farla abituare.
Hermione era tornata rigida come
un baccalà e Draco le parlava all’orecchio per farla
rilassare. La donna, lentamente, rilasciò i muscoli delle gambe
e il dolore si protrasse ancora per qualche momento, fino a sparire.
Rya le aveva detto che la prima
volta, raggiungere l’orgasmo era impossibile, perché
nonostante si sia rilassate, il cervello ha ancora registrato il dolore
della prima penetrazione e pensare ad altro risulta difficile.
Un giorno le aveva chiesto cos’era l’orgasmo.
“Scientificamente
parlando, posso dirti che è una contrazione dei muscoli pelvici
di qualche secondo.” – aveva risposto Rya.
Hermione c’era rimasta male. Sembrava tutto così impersonale…
“Ma ogni
persona la vide a modo proprio. Quando hai un orgasmo tutto il corpo
esplode, la mente si svuota e senti ondate liquide nel ventre. È
veramente bellissimo.”
Draco però, decisamente
più abituato, iniziò a muoversi sempre più
velocemente finché non raggiunse l’orgasmo. Si era sentito
dispiaciuto per Hermione che non c’era riuscita, ma il suo corpo
aveva reagito più che bene e interrompersi sul più bello
sarebbe stato veramente atroce.
Rotolò di fianco a lei e la trasse verso sé.
“Stai bene?”
“Credo di sì…” – disse.
“Ti ho fatto tanto male?”
“No amore, rilassati…”
Quel ricordo la fece sorridere.
“Non tanto.” – lo rassicurò.
“Meno male che Hallo Kitty
non può parlare…” – ironizzò Draco,
dando un’occhiata al piumone.
Hermione scoppiò a ridere.
“Se per quello, abbiamo
avuto anche il pubblico.” – rispose, guardando gli
orsacchiotti ora sparsi sul pavimento.
“Hai degli orsacchiotti “guardoni” Hermione.” – disse Draco, che poi le baciò il capo.
Una leggera sonnolenza li colpì fino a farli cadere nel sonno fino a ora di cena.
Alla fine, era cambiato tutto.
Il giorno successivo si era
presentata al lavoro, indossando il suo sorriso migliore e la sua
immancabile professionalità.
Era tutto il resto che faceva cilecca.
Da quando John le aveva parlato in quel modo, qualcosa in lei era cambiato.
Si perdeva spesso e volentieri a
guardarlo e arrossiva quando vedeva una collega andare da lui per
consegnargli del materiale. Aveva perfino spezzato una matita a
metà quando Jessica dell’amministrazione si era avvicinata
a lui per togliergli un pelo dalla giacca.
Cos’era cambiato?
Possibile che si fosse fatta
influenzare dalle sue parole? Perché John aveva dovuto
incasinare tutto? Niente complicazioni, niente difetti da sopportare,
nessun litigio per chi dovesse pagare le bollette, niente panni sporchi
da lavare…
“Con un po’ di impegno da parte di tutti e due ce l’avremmo potuta fare, Laney.”
Se non era una dichiarazione quella!, Laney davvero non sapeva cos’altro avrebbe potuto esserlo.
Ma ciò che più le
premeva sapere era come aveva fatto John a provare per lei qualcosa di
più dell’attrazione fisica. Quand’era successo? Non
si era mai accorta di niente! Si comportava sempre nel solito modo!
Gettò la penna sulla scrivania e reclinò il sedile della poltrona all’indietro.
Era solo un giorno che era tornata
al lavoro e già sentiva non riuscire a farcela. Pensò
molto al loro rapporto di quei mesi e, perplessa, solo in quel momento
si rese conto che avevano vissuto come una coppia.
Solo quando seppe di aver perso John, si rese conto di tenerci a lui.
La cosa la mandò in confusione.
Com’era stato possibile che
anche lei si fosse legata in quel modo all’uomo senza rendersene
conto? Avevano vissuto la routine tipica di due persone che iniziano a
frequentarsi: cene fuori, passeggiate, sesso… e poi lui, da
gentiluomo, l’accompagnava a casa con la promessa strappata di un
altro incontro.
E di un altro, e di un altro ancora…
Quella consapevolezza le lasciò l’amaro in bocca.
I giorni passavano troppo lenti e troppo monotoni.
Laney evitava l’ufficio di
John come la peste perché quella stanza ne aveva viste di cotte
e di crude. Se doveva parlargli gli mandava mail dettagliatissime su
questo o quell’altra transazione. Sapeva di non poter andare
avanti in quel modo, che John le… le mancava troppo –
quando l’aveva pensato la prima volta per poco era svenuta
– ma non voleva rischiare di finire come quell’unica volta
in cui si era fidata di un uomo.
Ne sarebbe uscita devastata.
“Ah, capisco. Sì, non c’è problema. D’accordo. Arrivederci.”
“Chi era?”
Hermione uscì dalla camera dopo essersi rivestita.
“Peter Connell.” – disse Draco. – “Ha posticipato l’appuntamento di Devon Mallory a venerdì anziché a mercoledì.” – disse, con un sorrisetto divertito.
Devon Mallory era il nome che
Draco aveva usato durante tutta la transazione finanziaria per
l’acquisto della Nott Home. Voleva farsi riconoscere solo alla
fine, quando avrebbe avuto Theo tra le mani e pronto per spiaccicarlo
alla parete.
“Perché?”
“Mercoledì ha una riunione e non è sicuro di liberarsi in tempo.”
“Questo Connell è
molto professionale se prima ti dice una cosa e poi la ritratta.”
– sentenziò Hermione.
“Che mangiamo stasera?” – chiese Draco, cambiando discorso.
“Mhm, il frigo è vuoto. Vado al supermercato e prendo qualcosa.”
“Vengo con te.”
Si ritrovarono al supermercato con in mano un cesto.
Passeggiavano tranquilli tra le corsie per trovare qualcosa che li stuzzicasse.
“Pasta?” – propose la riccia, lei per prima non convinta di quella scelta.
Draco storse il naso.
“Non mi va. Carne?”
“Mhm…” – rispose lei, storcendo il nasino.
Si guardarono e…
“Pizza.” – dissero insieme.
Alla fine uscirono dal
supermercato a mani vuote, tornarono a casa e si ordinarono una pizza
d’asporto che arrivò dopo dieci minuti.
Finalmente Draco si sentiva parte di qualcosa.
Mentre guardava Hermione
affaccendarsi per apparecchiare la tavola, l’idea che quella
fosse una convivenza a tutto tondo lo solleticò parecchio.
Non era ancora riuscito a digerire
il fatto che una persona avesse scelto di propria spontanea
volontà di uccidersi per dare la vita a un’altra per il
semplice motivo che anche lui non lo capiva,
nonostante avesse detto a Hermione che se si sentiva così sporca
era perché non era riuscita ancora a comprendere fino in fondo
il gesto della madre.
Forse doveva diventare genitore, per riuscirci.
E in quel momento, mentre Hermione sciacquava qualcosa nel lavandino, volle immaginare che stesse lavando un biberon.
Scosse la testa.
Prima di pensare a certe cose
voleva riprendersi in mano la sua vecchia vita, ricostruire la Malfoy
Home – più che altro la reputazione che Nott aveva
bellamente buttato nel cesso – e sì, ricostruire anche il
rapporto con i suoi genitori.
Da quando Hermione lo aveva
accolto in casa all’inizio dell’anno e poi si era
trasferito a Castle Rich, non li aveva più sentiti, né si
era mai posto il problema di chiamarli perché all’epoca
aveva ragionato come un bambino capriccioso di cinque anni: suo padre
non lo aveva aiutato e solo ora Draco riusciva a rendersi conto di
quanto quel gesto gli dovesse essere costato. Grazie a Scott e Minerva
– e anche a Jean – aveva capito che un genitore farebbe
qualsiasi cosa per il figlio, ma ci sono certi momenti della vita nei
quali bisogna farsi da parte per permettere a quello stesso figlio di
maturare e comprendere il perché di certe azioni.
E lui aveva capito.
Suo padre aveva cercato di aiutarlo non aiutandolo.
Poteva essere un paradosso ma
Draco comprese che suo padre non voleva altro che lui imparasse a
chiedere aiuto, come invece aveva dovuto fare alla Granger’s
Transport con quei documenti che lo facevano impazzire. Credeva di
avere sempre tutto sotto controllo, Draco, credeva che
l’invocazione “aiuto” non gli sarebbe mai uscita
dalla bocca in nessun caso; aveva imparato non solo a chiedere aiuto,
ma anche a darne, scoprendo quanto fosse gratificante ricevere un
sorriso o addirittura un dolce per quella gentilezza.
Aveva imparato tante cose, Draco e ora era in grado di poter tornare dai suoi genitori con uno spirito nuovo.
Andò da Hermione e l’abbracciò da dietro.
La riccia, non ancora abituata a certi slanci, arrossì di botto.
“Stiamo insieme da
mezz’ora e già devi farti perdonare qualcosa?”
– chiese, per stemperare l’imbarazzo che sentiva.
“Sì.” – rispose lui.
Hermione, la cui battuta doveva solo far ridere, s’irrigidì come un baccalà.
“Per quello che ti ho fatto
in azienda, per averti creduta un Giuda e per non essermi accorto prima
di che persona speciale tu sia.”
“Mhm!” – esclamò la riccia, girandosi nell’abbraccio. – “Va avanti…”
E mentre si avvicinarono per baciarsi, il campanello di casa suonò.
“E non sappiamo chi sia?” – chiese.
“Non abbiamo nessuna notizia di lui, signore. Theodore?”
“Cosa?”
“Ci stavamo chiedendo quando avrebbe pagato gli stipendi.” – disse l’uomo.
Theo sentì un pugno allo stomaco.
“Presto signori, non temete.”
“E’ già in arretrato di un bel po’ di mesi. Non vorrei dover iniziare una causa contro di lei.”
“Non si preoccupi, avvocato. A giorni avrà il suo stipendio.”
“D’accordo.” – concesse lui. – “Noi qui abbiamo finito. Arrivederci.”
“Salve.” – salutò Theo.
Quando rimase da solo –
ultimamente gli succedeva spesso – il sorriso di condiscendenza
svanì. Perfetto! Anche gli avvocati ci si mettevano!
Pensò che almeno loro
avrebbe dovuto pagarli, altrimenti se inviavano un contenzioso nei suoi
confronti si sarebbe ritrovato davvero a bocca asciutta!
Le azioni della Nott Home continuavano a scendere inesorabilmente e Theo non sapeva più cosa fare.
Non riusciva a capirne il motivo.
Più volte i più
coraggiosi avevano cercato di fargli notare che evidentemente non era
tagliato per gli affari ma lui li liquidava con una velata minaccia di
licenziamento.
E poi c’era quel tizio… quel Devon Mallory.
Aveva iniziato a fare la sua prima comparsa qualche mese addietro.
All’inizio era solo un nome
tra i tanti che voleva mettere le mani sul suo impero, ma lentamente
aveva preso campo e tra tutti i possibili compratori della Nott Home,
lui era quello che aveva fatto fino a quel momento l’offerta
migliore.
Per precauzione, aveva già
fatto redarre il contratto di cessione con tutti i dati in suo possesso
– pochi, a dire il vero, perché questo Devon Mallory
sembrava un fantasma – al quale mancava solo la firma
dell’uomo per rendere la vendita tale.
Doveva vendere a lui o davvero sarebbe finito sul lastrico.
“J-John?”
“Sì, sono io… Laney?” – chiese l’uomo, sorpreso.
“Sì…”
“Che succede? Stai male?”
“Mi sono…”
– tosse. – “… devo essermi presa
l’influenza, non… non riesco a…” –
tossì violentemente. – “… a venire in
uf…” – ancora tosse. –
“uf-ufficio…”
“Sì, sta tranquilla non preoccuparti.”
“Ok…”
Calò il silenzio durante la comunicazione ma nessuno riagganciò.
“Beh, stammi bene.” – disse l’uomo.
“Sì, grazie. Ciao.”
“Ciao.”
Era stata la conversazione più impersonale che avessero mai fatto.
Neanche sul lavoro erano
così distaccati. Lei riusciva sempre a mescolare il lavoro con
qualche battutina per sdrammatizzare ma ora… le sembrava strano
che tutto fosse finito.
Sbatté il cellulare sul tavolo e corse in bagno, dove vomitò anche l’anima.
Escluse a priori una gravidanza. Con John prendeva regolarmente la pillola e aveva da poco passato il ciclo.
Non seppe se dirsene sollevata o delusa.
Con enorme sforzo mise a bollire
dell’acqua che poi versò nella borsa dell’acqua
calda. Aveva talmente freddo che se ne era preparate tre: una per le
spalle, una per la pancia e una per i piedi. Aveva tirato fuori due
piumoni sotto i quali si sarebbe seppellita e aveva trasferito in
camera qualche biscotto e le medicine da prendere con l’acqua.
Viaggiava per casa con una coperta
di pile sulle spalle. Quandò preparò tutto andò in
camera, sistemò le borse dell’acqua calda e
s’infilò sotto i piumoni.
Si addormentò subito.
Odiava la febbre, la odiava con tutta se stessa.
Quando al lavoro c’era un
esubero tale da farla capottare ogni volta che si sedeva alla
scrivania, sperava di beccarsi una bella influenza e lasciare che altri
lo svolgessero al posto suo; quando l’influenza arrivava
preferiva di gran lunga lavorare come uno schiavo ai tempi dei faraoni
perché stava troppo male.
Insomma… come a ogni donna che si rispetti, non andava mai bene niente.
Un aspetto della febbre che non sopportava era lo stato di comatoso delirio in cui cadeva.
Sentiva voci che in realtà
non c’erano e quando effettivamente erano presenti, le ignorava,
credendole frutto della sua immaginazione.
In quel caso doveva
per forza di caso essere la seconda opzione, perché lei abitava
da sola e quindi era praticamente impossibile che qualcuno fosse
lì.
O forse c’era, perché era un ladro.
Spaventata dall’evenienza,
cercò di rimanere ferma immobile: magari se il ladro avesse
visto che lei dormiva, non le avrebbe fatto niente e se ne sarebbe
andato.
Iniziò a spaventarsi sul
serio quando lo sentì sedersi sul letto accanto a lei. Voleva
violentarla prima di rubarle le sue cose? In casi normali si sarebbe
saputa difendere con le unghie che faceva crescere come artigli, ma
adesso si trovava da sola, febbricitante e arrotolata nei piumoni per
non prendere freddo.
Aprì di scatto gli occhi e con la sola forza della paura cercò di graffiare il ladro.
“Laney calmati!” – esclamò l’intruso.
Laney aprì gli occhi, appannati dalla febbre e cercò di focalizzare meglio la figura.
“J-John?” – chiese con il cuore a tremila. – “Cosa… cosa fai qui?”
“Ti ho sentita parecchio giù al telefono. Volevo sincerarmi che stessi bene.”
“S-sì, sto meglio…” – mentì lei, tornando sdraiata.
Tirò il piumone fin sopra la testa per non vederlo.
“Non dovresti essere qui.” – disse lei, con la voce ovattata dalle coperte.
“Che hai detto?” – chiese lui.
Laney abbassò di poco le coperte e lo guardò.
“Non dovresti essere qui…” – ripetè, tirando su nuovamente i piumoni.
John però la fermò.
“Perché no?”
“Lo sai il perché…” – disse, evitando il suo sguardo.
“Sì, hai
ragione.” – disse, con tono di scuse. – “Prima
che vada, ti serve qualcosa?” – si sincerò lui.
Laney lo odiò per quel tono così premuroso.
“Sì.”
“Dimmi.” – la incitò lui.
“Odiami.”
John sollevò un sopracciglio.
“Aiuterebbe.” – concluse Laney.
John tornò seduto.
Forse non era un atteggiamento da
persona matura ma pensò che forse, con Laney in quello stato,
sarebbe stato più facile farle sputare il vero motivo che la
spingeva a non voler cercare l’amore in un uomo, ma il sesso.
Una mossa da codardi, ma se non
avesse agito così, dubitò seriamente che la donna si
sarebbe aperta sinceramente con lui..
“Perché?”
“John, per favore…” – lo pregò, con la testa che pulsava da morire.
“Perché?” – ripeté lui.
Laney sbuffò. Tutto pur di farlo andare via!
“Perché sono stata una stronza…” – confessò grazie alla febbre.
“Almeno lo ammetti. È un buon passo in avanti…” – scherzò lui.
La donna si concesse un flebile sorriso, che si smorzò quando sentì una fitta alla testa.
“John, per favore… vai…”
“Che ti è successo
Laney?” – chiese l’uomo, puntando dritto al sodo.
– “In questi giorni ci ho pensato a lungo. Quando hai
iniziato a lavorare per me, eri così solare, gentile con tutti,
anche con Christopher del magazzino. Sei stata l’unica ad
ammorbidirlo… e poi da un giorno all’altro sei cambiata.
Che ti è successo?”
Ricordare quel suo drastico
cambiamento le aveva fatto male, forse più della febbre stessa e
forse più del fatto di aver perso John per sempre.
Era sempre stata una bella
persona, solare, come aveva detto John, ma da certe botte è
difficile riprendersi o riuscire a tornare come si era un tempo.
In quegli anni era riuscita a
costruire un muro per evitare che quei ricordi uscissero e con essi le
emozioni contrastanti che aveva provato.
E ora lì, con la testa che
sembrava più una frittura e il tono di John che era come una
terza coperta, il muro crollò, gli argini si ruppero e lei si
sentì travolgere dai ricordi.
John la tirò su e l’abbracciò stretta.
“Sono qui… ti ascolto…” – sussurrò lui, cullandola.
“Io… sono stata scaricata…” – fu la prima parte della confessione tra le lacrime.
John corrucciò le
sopracciglia. Non capì perché ne fosse rimasta
così scottata. Al mondo, milioni di persone vengono scaricate
ogni giorno. Cosa c’era di diverso da…
“… all’altare.” – concluse.
John sbarrò gli occhi. Beh, forse questo era un po’ meno normale…
Se la staccò di dosso per cercare di capire se stava mentendo.
“All’altare?!”
Ora gli era un po’ più chiaro il motivo che l’aveva spinta a cambiare in quel modo.
Laney annuì. Si sentiva
un’idiota a stargli davanti con il naso tutto rosso e
gocciolante. Se l’asciugò con il dorso della mano.
“Avevamo deciso di sposarci
perché ci amavamo… cioè, io lo
amavo…” – raccontò. – “…
ma il giorno stabilito lui non si presentò. Ad un certo punto un
invitato mi venne incontro e mi fece leggere un messaggio che lui gli
aveva mandato. Un messaggio, capisci?” – chiese,
guardandolo negli occhi. – “Non… non ha avuto il
coraggio di dirmelo di persona… un messaggio…”
– tossì.
“Che diceva il testo?”
“Che si scusava e mi chiedeva di perdonarlo ma non si sentiva pronto per quel passo…”
“Mi dispiace…” – sussurrò lui.
Quella era una vera e propria badilata sui denti, altro che botta!
“John levati…” – disse Laney con il fiatone.
“Laney, ascolta… so che sei stata scottata, ma questo non…”
“Spostati!” – sbottò, mentre cercava di toglierselo di dosso.
“Laney ti prego… potremmo stare bene insieme!”
“John, devo vomitare!”
L’uomo si alzò di scatto e vide la donna srotolarsi dalle coperte per fuggire in bagno.
La trovò intenta ad
abbracciare il water e rigettare l’anima. Si levò la
giacca, arrotolò le maniche della camicia fino
all’avambraccio e poi andò da lei per tenerle su la testa.
“Coraggio…” – le disse, tra un conato e l’altro. – “… ci sono io.”
Dopo tante discussioni fatte sia
di giorno, faccia a faccia, sia di notte, sotto le coperte, Hermione
riuscì a convincere Draco ad andare dai suoi genitori. Draco
stesso ne sentiva la necessità, perché sentiva molto la
loro mancanza, ma temeva che il suo comportamento altezzoso e il non
essersi fatto sentire per tutti quei mesi, avesse potuto incrinare una
situazione già brutta di suo. E più Hermione insisteva
per andare dai suoi genitori, più Draco si trincerava dietro
stupide scuse per non andarci.
I due avevano parlato tanto in
quei giorni – avevano iniziato a discuterne il giorno dopo il
loro arrivo a casa e giovedì erano ancora lì, in una
situazione di stallo.
Draco le raccontò di
com’era stata la sua educazione da piccolo, di come i suoi
genitori preferissero concedersi momenti e gesti d’amore nella
riservatezza della loro casa, piuttosto che in pubblico; le disse dei
suoi successi accademici e di come fosse riuscito a portare a casa la
Livin Home come suo primo cliente, come una sorta di prova del fuoco
dell’imprenditoria.
Le raccontò di come,
all’inizio della sua carriera, fosse felice e pieno di buone
intenzioni ma che non era mai riuscito a mettere in pratica a causa del
lavoro, che non aveva immaginato fosse tanto e tanto impegnativo. Le
disse di Roger Smith, di come avesse imparato da lui a frenare gli
impulsi e a cercare di capire come mai una persona, solitamente
tranquilla e mite, diventasse di colpo una iena pronta a uccidere.
Insomma… le aveva raccontato della sua vita di casa e di quella lavorativa.
Hermione aveva ascoltato il tutto
attentamente, aveva registrato ogni singola parola e alla fine era
riuscita ad avere un quadro generale della situazione.
Aveva sempre pensato che Draco
avesse ottenuto la presidenza della Malfoy Home solo per linea di
sangue. Certo era molto bravo negli affari, ma la prima impressione
della riccia fu quella. Poi, lentamente, nonostante gli screzi sul
lavoro, il viaggio in America e la loro chiacchierata, il loro lento
conoscersi, avevano portato Hermione a ricredersi su ciò.
Credeva si fosse comprato l’ammissione alla carica più alta dell’azienda.
Draco voleva continuamente
dimostrare di essere all’altezza delle aspettative dei suoi
genitori, dei suoi dipendenti, dei clienti, dei fornitori, degli
avvocati… per forza aveva delle valige sotto gli occhi che non
finivano più! Voleva accontentare tutti!
E, alla fine di tutto ciò, Hermione espresse il proprio verdetto.
“Tu non
vuoi deludere nessuno e questa è una cosa ammirevole
Draco…” – aveva esordito lei. –
“… ma hai sbagliato a includere persone che non
c’entrano niente.”
“In che senso?”
“Le
uniche persone delle quali dovrebbe importarti sono i tuoi genitori e
la tua ragazza.” – era arrossita, perché in quel
momento non aveva pensato a se stessa, ma aveva fatto un discorso in
generale.
Draco le aveva sorriso.
“Tutti
gli altri sono inutili o almeno non dovresti mettere sullo stesso piano
l’impegno che metti per non deludere i tuoi con quello per gli
altri perché quando torni a casa non troverai gli avvocati, i
tuoi dipendenti, i clienti o i fornitori a farti la ramanzina, ma i
tuoi genitori. È a loro che devi rendere conto delle tue azioni,
anche se da come me li hai descritti a loro non interessa niente di
tutto ciò. Loro vogliono solo il tuo bene, come ogni genitore di
questo mondo.”
“Li ho trattati di merda…” – disse Draco, mogio.
“Per
quanto?” – ironizzò lei. – “Una manciata
di mesi? Io ho trattato mia madre Minerva come uno straccio per circa
vent’anni. A ben pensarci, forse è lei che avrebbe maggior
diritto nel non parlarmi più, che dici?”
“Io…”
“Quanto scommetti che se andiamo dai tuoi genitori, loro ti accoglieranno a braccia aperte?”
Nonostante non fosse convinto, Draco si fece convinto di andare dai suoi quello stesso pomeriggio.
Hermione, per convincere Draco che
i suoi genitori non erano arrabbiati con lui, si era proposta di andare
insieme all’uomo per sostenerlo, qualsiasi fosse stato il
risultato della giornata.
In realtà, non se la
sentiva di conoscerli. Non che avesse qualcosa contro di loro, ma
solo… le sembrava troppo presto, ecco.
Con Scott era stata una questione
diversa perché, oltre ad essere appunto la sua famiglia, era
anche il suo datore di lavoro.
Conoscere i “suoceri”,
avrebbe significato doverli andare a trovare a intervalli regolari,
essere giudicata, se poteva andare bene per Draco e tante altre cose
alle quali non era ancora pronta.
Voleva vivere la sua storia con Draco, senza che influenze esterne si mettessero di mezzo.
Ma per lui era importante, così si mise il cuore in pace e lo seguì.
Erano sulla sua Ford Ka e quando Hermione arrivò a destinazione alzò gli occhi al cielo.
Quella non era una casa.
Era un albergo!
Entrarono in un vialetto alberato
e arrivarono all’immenso cancello di ferro battuto nero che
recava sull’anta sinistra la lettera “F” e su quella
destra la “M” in una grafia elegante e sinuosa che a
Hermione ricordò tanto quella di Draco.
Famiglia Malfoy.
Draco scese dalla macchina e
andò a citofonare. Dopo qualche attimo di sbigottimento da parte
del portiere, il cancello si aprì e l’auto poté
proseguire fino in fondo.
Lui scese per primo e quando udì il suono di una porta che si apriva, alzò gli occhi.
Ebbe un tuffo al cuore.
Sua madre si era precipitata fuori con il cuore in gola e le lacrime pronte a scendere.
“Sei tornato!” – riuscì solo a dire.
Hermione scese e sorrise quando si
trovò davanti a quella scena. A Draco erano mancati tantissimo e
si girò dall’altra parte quando lo vide piangere tra le
braccia della donna, per dar loro un po’ di privacy. Ma nel
girarsi, incontrò lo sguardo di quello che, più che
sicuramente, doveva essere il famoso Lucius Malfoy.
Il padre di Draco.
Quando si staccò dal suo
bambino, Narcissa sentì il cuore esploderle di gioia nel vederlo
emozionato in egual misura a lei. Gli asciugò le lacrime e gli
baciò la guancia.
“Mi sei mancato tantissimo Draco.” – disse Narcissa.
“An-anche tu mamma.” – rispose lui.
Poi si staccò.
“Mamma, posso presentarti una persona?”
Narcissa, sorpresa, annuì.
“Sì, certo.”
“Hermione?”
La ragazza si avvicinò lentamente e fece un cenno di saluto con il capo.
“Hermione, lei è mia
madre, Narcissa Black in Malfoy. Mamma, lei è Hermione Granger,
la mia fidanzata.”
Narcissa sbarrò gli occhi. Quante novità in un solo incontro!
“Piacere, signora Malfoy.”
La prima a porgere la mano fu Hermione, con un gesto deciso che rese palese alla donna parte del carattere di quella ragazza.
“Piacere mio, Hermione.
Coraggio entriamo in casa.” – disse la donna, dando al
figlio e alla sua ragazza la precedenza nel passo.
Prima di entrare pure lei guardò la macchina e storse leggermente il naso…
I tre arrivarono
all’ingresso, dove Lucius Malfoy sembrava una di quelle statue
che raffiguravano gli dei dell’Olimpo: era alto quasi due metri!
“Papà.” – lo salutò Draco.
“Draco.”
Hermione riuscì a percepire
la tensione incrinare la voce di Malfoy Senior. Era arrabbiato o
felice? Lo avrebbe scoperto di lì a poco.
La riccia si allontanò di qualche passo per permettergli di affrontarlo senza troppe interferenze.
“Papà io…”
Tante cose avrebbe voluto dirgli.
Scusa.
Per essere stato tronfio, per aver
pensato di non aver bisogno di aiuto, per averlo trattato male, per
averlo accusato di tenere di più all’azienda che a lui,
per… per tante altre cose che l’emozione gli stava facendo
dimenticare.
Voglio tornare a casa.
A far parte di quella famiglia,
sperando che non fosse troppo tardi, che venisse di nuovo accolto tra
quelle braccia che da piccolo lo facevano volare in alto.
Ti voglio bene.
La più importante.
Ma niente di tutto ciò gli
riuscì di dire, perché Lucius lo aveva preso per la nuca
e se l’era tirato addosso in un abbraccio letale in cui Draco
sarebbe volentieri morto, se ora non avesse avuto Hermione di cui
occuparsi. Lo abbracciò a sua volta con energia, quasi sperando
di venire inglobato nel suo corpo, per non doversene separare
più.
“Anch’io Draco. Anch’io.”
Narcissa li guardava con un sorriso splendente sulle labbra, felice finalmente di aver riunita la sua famiglia.
Fece cenno a Hermione si seguirla
per lasciarli soli e la riccia le andò dietro volentieri.
Effettivamente, in quel momento si sentiva di troppo.
“Mi scusi, ma sono mesi che non abbiamo più notizie di Draco e volevo solo…”
“Non c’è
bisogno che mi dia spiegazioni signora Malfoy.” – disse
Hermione con un sorriso gentile. – “Capisco
perfettamente.”
Cadde un piccolo silenzio tra di loro.
Quella notizia era stata talmente improvvisa, che non era preparata.
“Mi scusi…” – rise Narcissa.
“Di cosa?”
“… ho sempre sperato
nel ritorno di Draco a casa e quando lo fa mi porta la sua nuova
fidanzata. Sono leggermente spiazzata…”
“Oh, non lo dica a
me.” – disse la riccia con fare confidenziale, che
però non risultò sgradito alla padrona di casa. –
“Devo farci l’abitudine pure io.”
La bionda donna rise.
“Capisco. Posso offrirle qualcosa da bere?”
“Sto bene così, la ringrazio.”
“Sa…” –
iniziò Narcissa. – “… il suo nome mi dice
qualcosa, ma non riesco a ricordare dove l’ho già
sentito…” – disse, pensierosa.
“Beh, io lavoravo alla Malfoy Home prima…” – spiegò.
Narcissa sembrò illuminarsi.
“Ah, ecco! Così lei è la famosa Hermione Granger!”
Hermione la guardò perplessa.
“Famosa? Io?”
“Draco non faceva altro che
parlare di lei quando era a capo della società di
famiglia.” – disse, concludendo la frase con un sorriso
nostalgico. – “Non faceva altro che dire quanto lei fosse
irritante, petulante, saccente, dispotica, mai intenzionata a chinare
il capo…”
“Altro?” – chiese Hermione, perplessa.
Narcissa si rese conto di aver appena fatto fare a Draco una bella figuraccia e arrossì.
“Chiedo scusa, non volevo…”
“Cosa? Dire la verità?”
Narcissa sollevò un sopracciglio.
“Sì, sono colpevole di tutti gli aggettivi ascritti, signora Malfoy.”
Narcissa onestamente c’era
rimasta un po’ male. Si era aspettata una sorta di scenata
oltraggiata per com’era stata descritta, ma sembrava averla presa
bene…
Hermione le sorrise, facendole
capire che non se l’era presa, anzi… Draco era stato fin
troppo galante nel descriverla… a sua madre, poi!
“Draco mi aveva detto che alla Malfoy lei era partita come centralinista.”
“Sì, ma appunto per
la mia tendenza a non chinare mai la testa, mi sono ritrovata in
magazzino, poi in ufficio e poi in tutti e due.”
“E non ha mai dato cenni di cedimento?”
“Si fidi: ero stanca.”
– disse, annuendo. – “Ma non volevo dare a Draco la
soddisfazione di farmi ammettere i miei limiti.”
Narcissa sorrise compiaciuta. Una donna con le palle… pensava che avessero buttato lo stampino…
“Ah, allora lo ammetti di
avere dei limiti anche tu!” – la rintuzzò Draco, che
sembrava ringiovanito di vent’anni.
Hermione si girò di scatto e sorrise nel vederlo accanto al padre.
“Devi aver capito male
Draco. Non ho mai detto niente di tutto ciò.” –
disse Hermione. – “Lei ha sentito qualcosa, Narcissa?”
“Assolutamente no.” – disse la padrona di casa, marcando già le fazioni.
“Prendi nota Draco: con le
donne inevitabilmente si perde.” – disse Lucius, che aveva
trovato alquanto divertente quell’alleanza che si era formata fin
da subito.
“Tuo padre è un uomo molto saggio, Draco. Vedi di prendere esempio.” – disse Hermione, andando da lui.
Lucius venne avvolto da un flash.
La prima volta che Draco gli aveva presentato Pansy, la ragazza non si era schiodata di un millimetro per andargli incontro
e presentarsi, a differenza di quella ragazza che aveva stabilito per
prima un legame con lui, prima con quella battutina e poi facendo letteralmente il primo passo.
Anche Lucius, con quel semplice gesto, aveva intravisto parte del carattere di Hermione.
“Piacere signor Malfoy. Hermione Granger.”
“Piacere mio, signorina Granger.”
Hermione arrossì. Signorina?!?
“Perché non ci accomodiamo in salotto?” – propose Lucius, trovando il consenso di tutti.
Qualche ora più tardi,
Draco aveva raccontato alla sua famiglia ciò che era successo da
dopo il fallimento della Malfoy Home. Aveva naturalmente tralasciato la
parte personale di Hermione e aveva descitto di ciò che aveva
fatto, imparato e messo in pratica.
Narcissa lo guardava commossa per
quel percorso di maturazione che Draco era riuscito a portare avanti
anche senza il loro aiuto, mentre Lucius lo guardava con ammirazione.
Suo figlio era cresciuto, era diventato finalmente un uomo.
Avrebbe voluto vedere, toccare con
mano quel cambiamento, esserne parte integrante ma non era stato
possibile. Forse se fosse avvenuto tutto secondo i voleri di Lucius
Malfoy, forse Draco non sarebbe diventato l’uomo che ora aveva
davanti.
Tanti forse, ma non gli importava.
L’importante era che
nonostante Draco avesse scelto un percorso diverso da quello che Lucius
avrebbe voluto che lui intraprendesse, il figlio fosse giunto a
destinazione con eguali, se non eccellenti risultati.
“Vi fermate a cena?” – chiese Narcissa, sperando in un consenso.
“Veramente noi…”
“Volentieri, grazie.” – lo interruppe Hermione.
“Hermione ha parlato.” – scherzò Draco.
Così quella sera cenarono insieme.
Avevano preso un “Signor
Aperitivo” in veranda, dove Hermione ebbe modo di vedere con i
propri occhi il giardino della casa di Draco.
Mare Verde veniva definito, perché era un’unica distesa di un bel verde smeraldo che metteva voglia di tuffarsi in esso.
“Così lei è la
Hermione Granger del magazzino…” – disse Lucius,
compiaciuto. – “Non dev’essere stato facile avere a
che fare con Draco.”
“Ah, ti ringrazio.” – fece il figlio, fintamente divertito di quella palese presa di posizione contro di lui.
Draco, sotto sotto, aveva
apprezzato il tono di confidenza che suo padre aveva usato con Hermione
e che aveva stretto con lei fin da subito un buon rapporto.
Hermione invece lo guardò come per dire “hai visto che non sono l’unica a pensarla così?”
“E tu non rispondere.” – la minacciò il biondo con un sorrisetto divertito.
“Questo è un paese libero Draco. Fa rispondere Hermione.” – disse Lucius.
“Guardi…”
– esordì Hermione con un tono di voce molto confidenziale.
– “… ad essere onesti, non è stato facile per Draco avere a che fare con me.”
I tre si misero a ridere.
“Confermo.” – disse il diretto interessato.
“Era talmente convinto di riuscire a piegarmi, che alla fine si è dovuto ricredere.”
Lucius sorrise.
“Finalmente qualcuno che fa
ragionare questo testone.” – disse l’uomo. –
“L’unica pecca di tutta questa faccenda è che non
potrò accertarmene di persona.”
“Lucius ti prego…” – disse Narcissa, imbarazzata che avesse tirato fuori l’argomento.
“Hai ragione, scusami. Scusatemi.” – disse, sorseggiando l’aperitivo.
Draco aveva lo sguardo perso nel proprio bicchiere. Sembrava assorto.
“Ho ricomprato la Malfoy Home.” – disse, scolando l’ultimo sorso rimasto dell’aperitivo.
Narcissa sbarrò gli occhi e
a Lucius, nemmeno a dirlo, andò di traverso il suo.
Iniziò a sputacchiare ovunque, mentre la moglie gli batteva la
mano sulla schiena per farlo riprendere.
Draco e Hermione se la ridevano tranquillamente da una parte.
“E’ la prima volta che lo vedo in questo stato.”
“Certo che anche tu
sganciare la notizia così…” – lo
rimproverò Hermione, sinceramente preoccupata per l’uomo
che stava lentamente diventando viola in faccia.
“Magari lo avrei potuto dire di fronte a un bello spiedino. Chissà dove si sarebbe infilato lo stecchetto?”
“Sei un’oscenità vivente!” – lo rimproverò Hermione, divertita.
“Fate pure con calma, eh?” – sbottò Lucius, che miracolosamente era riuscito a riprendersi.
Draco e Hermione risero.
“Che vuoi dire che hai ricomprato la Malfoy?” – chiese Lucius, avido di dettagli.
“Quello che ho detto. Quando
lavoravo dal padre di Hermione ho messo da parte qualcosa, Hermione mi
ha prestato il resto, ho aspettato che Nott continuasse a concludere affari sbagliati e alla fine ho comprato.”
“E Nott lo sa?”
“Ni.” – disse Draco. – “Sa solo di aver ceduto l’azienda a Devon Mallory.”
“E chi è?” – chiese Lucius, sbalestrato da tutte quelle novità.
“Io.” – rispose
Draco calmo, mentre i suoi genitori ci capivano sempre meno. –
“Domani ho appuntamento con Nott per mettere una firma di
proforma sul contratto e sbatterlo fuori a calci in culo.”
Narcissa sbatté le palpebre, perplessa. Da quando il suo bambino parlava in quel modo?
“Se ti serve una mano, chiama.” – disse Lucius.
“Lucius!”
Pure lui ci si metteva?
Il marito la guardò per dire “perché tu non lo faresti?”
Preferirono troncare lì la discussione.
La cena fu alquanto sconcertante per Hermione: le sembrava di essere al ristorante.
C’erano tre camerieri che
facevano avanti e indietro dalla cucina e quando si erano accomodati al
tavolo erano pure venuti per leggere il menu di quella sera.
Non riusciva a capacitarsene.
Nonostante quel “dettaglio”, la serata fu piacevole, ma venne pure ora di tornare a casa.
Sulla soglia, i quattro si
salutarono, ripromettendosi di rivedersi al più presto, magari
quando Draco fosse riuscito a sistemare la Malfoy Home.
Calli-corner
E via con il terzo e ultimo capitolo… ^___^
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Capitolo 18 *** Scontro finale ***
18 - Scontro finale
Ultimo capitolo.
E poi dite che non vi voglio bene!
Nei precedenti non ho lasciato
detto niente nel mio calli-corner, ma lo farò sicuramente in
questo, anche perché vi devo lasciare lo spoiler per il prossimo
capitolo che arriverà puntualmente venerdì 10 Gennaio.
A questo proposito… spero
che arrivi il 10 di Gennaio, ma se proprio il mio titolare volesse
concedere a noi poveri comuni mortali altre ferie, aggiornerò
naturalmente il lunedì successivo.
Si tratta solo di due giorni, anche se ritengo più probabile rientrare al lavoro già martedì 07…
Comunque sia, vi lascio al capitolo e ci vediamo sotto!
callistas
E se per Draco e Hermione la
vicenda si stava per avviare verso la fine, quella tra John e Laney era
conclusa già da un pezzo.
Laney non ne voleva sapere, ma
John aveva volutamente saltato il lavoro il pomeriggio per stare con
lei e aveva chiamato il suo medico per prescrivere qualcosa per
l’influenza.
Alla fine il dottore, dopo tutte
le sue domande per capire quale farmaco facesse più al caso
della signorina Miller, aveva solo prescritto un semplice antibiotico e
tanta spremuta di arance.
La causa dell’influenza di
Laney non era stata né un colpo di freddo né uno sbalzo
di temperatura ambientale: era solo tensione che il corpo non era
riuscito a scaricare normalmente e che aveva dovuto buttar fuori con la
febbre.
Laney aveva capito subito a cosa
fosse stata dovuta quella tensione: la situazione con John
l’aveva provata più di quanto avesse pensato ma ora
sembrava andare bene.
Già nel tardo pomeriggio,
dopo che John le aveva sorretto la testa e aiutata a lavarsi il volto
con acqua fresca, la temperatura era scesa di due gradi, ma ciò
non significava che la donna potesse strapazzarsi.
L’aveva rimessa a letto e poi si era coricato con lei.
“Se devi andare vai…”
“Oggi sei proprio intenzionata a mandarmi via, eh?” – disse l’altro, divertito.
“Stupido…” – sorrise lei.
Tentò di alzarsi, ma l’uomo la trattenne a letto.
“Dove pensi di andare?”
“In cucina. Ho sete.” – spiegò.
“Ferma, ci vado io.”
“Ma no non…”
John era già sparito.
“… serve.” – concluse Laney la frase da sola.
Qualche istante dopo John riapparve con un bicchiere di acqua fresca in mano.
“Grazie…”
Era leggermente in imbarazzo per
tutte quelle premure alle quali non era mai stata abituata.
Sorseggiò in silenzio l’acqua con John che continuava a
fissarla.
“Che c’è?” – chiese lei.
“C’è che sei bella.” – disse lui, con disarmante semplicità.
Laney, infatti, ormai abituata a
complimenti ben più altisonanti e che palesavano la voglia del
partner di turno di possedere il suo corpo, arrossì di botto di
fronte a quella frase.
Nessuno gliel’aveva mai detto.
“Ma smettila…”
“E’ vero.” – rimarcò l’altro.
“John, senti…”
– disse Laney, accomodandosi contro la testiera del letto.
– “… io non voglio che questa…
cosa…” – sperò di non averlo offeso. –
“… influisca sul lavoro.”
“Lo so.” – disse lui.
Questo fu una riprova che Laney
era una persona fidata, che non avrebbe mai approfittato del fatto che
stessero insieme per arrogarsi diritti non suoi.
Stare insieme… non avrebbe
mai creduto possibile che potesse innamorarsi di nuovo e della sua
segretaria, per giunta! Forse, a farlo capitolare, era stato il suo
modo pratico di vedere la vita, nessun romanticismo, mentalità
aperta a trecentosessanta gradi, voglia di sperimentare cose nuove, ma
soprattutto… la sua carica erotica.
Un paio di volte, sul lavoro,
l’aveva chiamata nel suo ufficio per una pausa relax e in
entrambi i casi si era negata non perché non volesse, ma
perché erano sul posto di lavoro e lei voleva essere efficiente
su tutti i fronti.
Recuperavano ampiamente a casa…
Forse la sua era stata voglia di
conquista perché si sa che più un obiettivo diventa
irraggiungibile, più ci si impunta per realizzarlo ma più
la conosceva e più qualcosa in lui cresceva piano.
Con Laney vicino si sentiva
inspiegabilmente forte. Sul lavoro e anche nel privato avevano
un’intesa perfetta, frutto anche degli anni di lavoro insieme e
del fatto che, all’epoca della stipula di quello strano patto,
entrambi cercassero solo un po’ di divertimento.
“Quindi stavo pensando di trovarmene un altro.” – concluse lei.
John sbarrò gli occhi.
“E’ fuori discussione, no!” – esclamò, alzandosi in piedi.
Ma come le venivano in mente certe idee? Che la febbre le avesse davvero fritto il cervello?
“E’ l’unica soluzione e lo sai.” – disse lei, calma.
“Assolutamente no! Dove la
trovo io una tua sostituta? Dovrei insegnarle tutto d’accapo e
onestamente non mi va.”
Laney sospirò.
“John, guarda in faccia la
realtà. Alla fine sarei la segretaria che è riuscita ad
accalappiare il capo e sapere di avere al lavoro tre quarti di azienda
che mi sparla alle spalle, perdonami, non è il massimo delle mie
aspirazioni.”
“E io dovrei rinunciare a te
per dei pettegolezzi? Ma soprattutto tu… ti faresti condizionare
da essi? Sbaglio o sei sempre stata superiore a queste cose?”
Aveva ragione John.
Non aveva mai spettegolato sui
suoi colleghi e quando gli altri cercavano di coinvolgerla, rivolgeva
loro occhiate talmente raggelanti che non le veniva rivolta la parola
per giorni.
“Pensi che ne usciremo vivi?”
Colta la palla al balzo, John tornò seduto accanto a lei.
“Insieme, sì.”
Di nuovo quella parola: insieme.
Laney sorrise.
Non suonava poi tanto male…
Una volta a casa, Draco prese Hermione per la vita e la baciò.
“Grazie per stasera.” – sussurrò lui a fior di labbra.
Era stato molto importante per Draco che Hermione avesse accettato quell’invito a cena.
Hermione gli sorrise complice.
“Prego.”
Aveva capito che per Draco sarebbe
stato importante fermarsi con loro il più possibile e lei non se
l’era sentita di negargli quella gioia.
“Hai conosciuto ufficialmente la mia famiglia.” – la prese in giro lui.
“E loro hanno conosciuto ufficialmente me.” – lo rintuzzò.
Draco rise.
“Sai, a volte quando ci penso, ancora mi sembra strana tutta questa situazione.” – disse Draco.
“Che situazione?” – chiese lei, perplessa.
“Io, tu… noi…”
“Dici che siamo strani?” – chiese lei, divertita.
“Abbastanza. Io ti ho trattata male e…”
Hermione si alzò sulle punte, gli avvolse le braccia attorno al collo e gli diede un bacio.
“Tu mi hai insegnato a non
fissarmi sul passato. Non commettere il mio stesso errore. Se non ti
avessi aiutato, forse tu saresti morto sotto quelle rovine o forse
saresti sopravvissuto, ma non avresti capito aspetti della vita che ti
erano preclusi, non avresti parlato con i tuoi genitori e… e non
saremmo qui, adesso.”
Lei aveva ragione.
Come sempre, dopotutto.
“Coraggio, andiamo a letto.” – disse lei.
“E’ una profferta la tua?”
Hermione sbarrò gli occhi e arrossì.
“Pervertito!”
Draco la baciò e la condusse in camera.
Non fecero l’amore quella
sera, perché entrambi erano concentrati su ciò che si
sarebbe svolto il giorno dopo.
Era la resa dei conti.
Venerdì era arrivato e con esso la fatidica “prova del nove”.
Draco si sarebbe finalmente
accertato se le sue strategie avevano funzionato. Aveva molto dubitato
di se stesso in quei mesi, perché temeva che il suo spirito di
manager e il suo sesto senso fossero scomparsi. Questo timore giungeva
a fronte alle scelte sbagliate che aveva effettuato per i propri
collaboratori personali.
Bene. Avrebbe avuto la conferma o la smentita di ciò.
Hermione, invece, non vedeva
l’ora di apparire al fianco di Draco alla Nott Home e beccare La
Troia e il Fenomeno da Baraccone, alias Nott, a giocare ai direttori,
per poi tirarli giù da quel posto che avevano usurpato per
rimetterci il legittimo erede al trono.
Faceva molto favoletta, ma alla fine era questo che sarebbe successo.
“Vedo che almeno uno di noi
due è tranquillo…” – borbottò Draco,
mentre bestemmiava per fare il nodo alla cravatta.
Hermione rise e andò da lui.
“Nervoso?”
“Terrorizzato.” – disse lui, stupendola.
“Perché?” – chiese seria mentre, concentrata, tentava di fare il nodo alla sua cravatta.
“E se va male? Se non
avessimo tenuto in conto la reale situazione? E se come hai detto tu,
le informazioni di David si fossero rivelate sbagliate?”
“In questo caso tu non
riusciresti a fermarmi dall’ucciderlo.” – disse
Hermione, mentre sistemava la cravatta di Draco. – “Ecco
fatto. Allora, chiariamo un paio di punti: per quanto mi secchi
ammetterlo, le informazioni di David erano tutte corrette.”
Draco sbuffò.
“Secondo: le tue
capacità manageriali non sono scomparse, ci sono e quando le hai
tirate fuori, si sono viste ampiamente e terzo… non dubitare mai
di te stesso.” – disse, guardandolo negli occhi. –
“Il posto dove andremo ora sarà pieno di enormi,
titaniche, monolitiche teste di cazzo.”
Draco rise istericamente.
“Non credo debba essere io a dirti come devi comportarti ma una cosa me la sento di dirtela.”
“Quale?” – chiese curioso.
“Ti amo.” – disse lei.
Il silenzio che scese avvolse entrambi.
Hermione si era scoperta parecchio
in quel momento. Non glielo aveva detto per sentirselo dire a sua
volta, ma solo perché sapesse che lei sarebbe stata lì:
mente, anima, corpo e soprattutto cuore.
“Ti amo anch’io.” – disse Draco, serio, appoggiando la fronte alla sua.
Ogni sua paura era scomparsa di
fronte a quell’aperta dichiarazione. La sua forza era Hermione,
tutto il resto erano puttanate.
La vide sorridere, segno che aveva gradito le sue parole.
“Appurato che ci amiamo a
vicenda…” – disse lei con la sua solita vena
ironica. – “… credo si possa andare.”
Indossarono i soprabiti e poi si diressero alla Nott Home.
Un tempo, entrare alla Malfoy Home
significava rendersi conto che la vita, al di fuori delle sue mura, non
poteva chiamarsi vita.
Entrare alla Malfoy Home significava entrare in un mondo onirico, etereo.
Entrare alla Malfoy Home significava entrare nella Perfezione Assoluta.
Quando Hermione e Draco aprirono
la porta – Hermione pensò che se tutto sarebbe andato come
da programma, avrebbe fatto mettere una porta automatica –
entrarono nel cesso dell’inferno.
La prima cosa che notarono fu l’assenza della centralinista.
E le chiamate dove vanno a finire?
Successivamente, lo sguardo si spostò sull’immenso atrio.
Sul soffitto si intravedevano
lunghe ragnatele, che assomigliavano più a delle tende, che
nessuno aveva mai provveduto a tirar via; i divanetti e i tavolini,
grazie all’occhio clinico di Hermione, erano ricoperti di
polvere, un tavolino era addirittura incrinato ma sistemato in modo
tale che la crepa non si vedesse più di tanto. Le piante
creavano una natura morta che ricordava tanto quei quadri, dove
l’autore dipingeva la desolazione umana ma ciò che
sconvolse di più Draco furono i pesci morti nell’acquario.
Erano lì da quando suo
padre Lucius aveva preso le redini dell’azienda e li aveva messi
lì per dare un tocco di colore a tutto quel bianco che ora non
era più tale. Giacevano immobili, sulla superficie
dell’acqua, attorniati da mille mosche che, come avvoltoi,
stavano banchettando con ciò che ne rimaneva.
L’acqua era verdastra, segno che l’acquario non veniva ripulito da chissà quanto tempo.
Guardò Hermione con il
dolore negli occhi e lei si limitò a sorridegli tristemente ma
con la solenne promessa che chi aveva creato tutto quel disastro, ne
avrebbe pagato le conseguenze.
“E io ho permesso che tutto questo accadesse…” – mormorò desolato Draco.
“Ehi, frena queste
stronzate.” – lo redarguì Hermione. –
“Tu avevi fiducia in quelle persone ma sei ancora in tempo per
rimediare. Io sono qui con te.” – gli ricordò.
Draco serrò le labbra e annuì. Sperò con tutto se stesso di aver fatto bene i conti.
“Hai ragione. Andiamo.”
Mentre passava in mezzo a quella
“città fantasma”, ogni pensiero negativo di Draco
era diventato un urlo di vendetta. Nott non l’avrebbe passata
liscia e avrebbe pagato per lo sfacelo causato. Lo avrebbe citato in
giudizio per danni morali e materiali e lo avrebbe portato a pagare
letteralmente per la sua ignoranza.
Prima di andare direttamente
nell’ufficio di Nott, passò per ogni piano, tenendo la
mano di Hermione per paura di crollare, notando come vi fossero carte
dismesse sulle scrivanie, computer ancora accesi ma disconnessi dalla
rete locale, cestini pieni di immondizie e un velo incontrastato di
immobilità che fece temere a Draco e a Hermione di trovarsi di
fronte alla cristallizzazione del tempo.
Sembrava la scena di uno di quei
film di orrore/avventura, dove un luogo veniva infestato da api
assassine che uccidevano gli abitanti e il paese andava allo
scatafascio.
Un po’ come Desperation, di Stephen King.
Per Draco quello fu l’avverarsi di un incubo.
Giravano poche persone per i
corridoi e nessuno prestò attenzione a loro due che ripresero la
via per l’ufficio di Draco.
Isabel sostava di fronte al suo computer con aria assorta.
Stava giocando a Pacman.
L’inefficienza di Nott la
stava facendo vegetare di fronte al computer tanto che pensò di
avere le allucinazioni quando vide Hermione e il signor Malfoy venire
avanti.
“Isabel!” – esclamò.
“Si-signor Malfoy?”
– chiese lei, stordita dalle ore che passava di fronte al pc.
– “Signor Malfoy è tornato!” –
esclamò, abbracciandolo di slancio.
Una volta non si sarebbe mai
permessa tanto, ma il livello di saturazione al quale era arrivata, le
fece mandare al diavolo tutte le convenzioni sociali: lo
abbracciò stretto e gli diede sonori baci sulla guancia.
Draco guardò Hermione, preoccupato a un livello che nessuno dei due pensò mai di provare.
“Isabel, come stai?” – chiese Draco.
“Bene signor Malfoy. Adesso
sto bene.” – disse, con il sorriso di chi sembrava essere
stato imbottito di tranquillanti.
“Santo Dio… ma che ti è successo?”
“Mi sono rincoglionita,
signor Malfoy. Tutto qui.” – ammise la donna, sinceramente.
– “Da quando lei se ne è andato…”
Draco preferì non fare il puntiglioso e la lasciò raccontare.
“… qui tutto è
andato in malora. Nott è talmente incompetente che mi sono
ridotta a giocare al computer per far passare le ore. Ho un mal di
testa che non mi stupirei se mi fosse venuto un tumore.” –
scherzò la donna.
“Non dire queste cose, Isabel.” – la rimproverò Draco.
“Hermione… rimarresti con lei?”
“Tranquillo, vai. Ciao Isabel… come va?”
“Hermione… io bene e tu?”
La riccia intavolò una discussione con Isabel e permettere a Draco di affrontare i suoi fantasmi.
Draco percorse i pochi metri che lo separavano dal suo ufficio con passo di marcia.
I dubbi sulle strategie usate per
reimpadronirsi della Malfoy Home si erano dissolti quando aveva visto
come Nott aveva ridotto la sua segretaria.
Avrebbe messo in conto anche le
sue spese mediche che, per inciso, sarebbero provenute dalla clinica
più costosa di tutto il paese!
Vagliò di nuovo, con mente
fredda e lucida, tutto ciò che aveva fatto e non trovò
nulla di cui preoccuparsi. Man mano che si avvicinava, sentì le
risa di Nott – quella fastidiosa di Pansy – e quella di
altri uomini.
Entrò senza bussare.
“… così ho
fatto un lancio… ma cosa… Draco?!” –
esclamò Nott, sbigottito nel trovarselo di nuovo davanti.
Il biondo chiuse la porta alle proprie spalle.
Dell’uomo che era andato a
chiedere aiuto alle persone presenti non era rimasto più nulla:
ora, davanti, avevano una macchina da guerra pronta solo a mietere
vittime.
Pansy sbarrò bocca e occhi.
Theo non capiva come mai Draco
fosse lì, per non parlare del fatto che aveva appuntamento con
quel Mallory al quale, alla fine, sotto le insistenze di Pansy e dei
suoi avvocati, aveva ceduto l’attività.
“Buon giorno.” – salutò, con gli occhi scuri per la rabbia.
“Che ci fai qui?”
– chiese Nott, divertito. – “Scusa, ma non assumiamo
in questo periodo.” – scherzò Nott, che
incontrò l’approvazione degli altri presenti.
“Ho visto. La sporcizia in cui vige l’azienda farebbe scappare perfino un barbone.” – fu la stoccata.
“Che diavolo vuoi?” – chiese, infastidito.
Le persone che erano nella stanza
con Nott altri erano gli avvocati che un tempo, Draco aveva
profumatamente pagato ed elogiato per i loro servigi.
Si schifò nel vederli fare comunella con Nott.
“Sono venuto a firmare un contratto.” – disse il biondo.
“E di cosa?”
“Della vendita della Nott Home.”
Un istante di incredulità,
e poi tutti scoppiarono a ridere. Pansy, invece, che non capiva bene
dove girasse la banderuola, si limitò a rimanersene in disparte,
pronta per abbandonare la nave in caso di affondo.
Draco, fintamente paziente, ascoltò per tre secondi – un tempo che a lui parve infinito – quelle risate.
“Il nome Devon Mallory vi dice niente?”
I presenti smisero di ridere. Che Malfoy sapesse chi era quel tizio?
“E tu che ne sai di…”
“Devon Mallory sono io, idiota.”
Nott emise un gridolino strozzato e Pansy sbarrò gli occhi.
“Tu? Non è possibile!”
“Credici coglione.”
– disse Draco. – “Quando sono stato informato della
situazione quasi non volevo crederci…” –
sputò, aspro. – “… ma vedendo
l’andamento della tua gestione non ho fatto altro che cogliere la
palla al balzo, proprio come hai fatto tu mesi addietro, te lo
ricordi?”
Nessuno osò fiatare.
Devon Mallory… Draco Malfoy.
Cazzo era così semplice che perfino un bambino ci sarebbe arrivato!
“Ora sono qui per restituirti la pariglia, figlio di puttana!”
“Oh Draco!” –
esclamò Pansy, abbracciandolo di scatto. – “Meno
male che sei tornato! Sapessi che fatica ho dovuto fare per fingere di
amare quel… AH!” – urlò Pansy, mentre si
teneva i capelli.
Di fronte a lei stava una furente Hermione.
“Lasciami, mi fai male!”
“E non sai quanto posso fartene se ti vedo mettere ancora quelle mani di letame sul mio fidanzato!”
Il dolore alla testa sparì
per lasciare il posto a un sano stupore. Hermione, invece, voleva
vedere solo un’unica smorfia sul volto della Parkinson: la
sofferenza.
Così intensificò la
presa sui suoi capelli e Pansy iniziò a urlacchiare e strizzare
gli occhi per il male. Soddisfatta, la lasciò e la donna cadde a
terra come un salame.
“Scusate la momentanea
interruzione.” – frecciò Draco, pesantemente
sarcastico. – “Allora, so che il mio contratto è qui
da qualche parte. Manca solo la mia firma.”
“Sei un… sei un figlio di puttana!” – ringhiò Nott che, purtroppo, aveva le mani legate.
Il contratto era stato fatto e
legalmente registrato. Mancava solo la firma di Draco – o Devon
– per concludere l’affare.
“Bada a non tirare in mezzo
persone che non c’entrano nulla, perdente.” – disse
Draco. – “E voi!” – disse Draco, facendo
sobbalzare gli avvocati che non sapevano da dove iniziare per rientrare
nelle sue grazie. – “Non credete che mi sia scordato!
Ritenetevi sospesi dal vostro incarico! Da quest’azienda
riceverete solo una pioggia di denunce per danni! Quanto a voi
due…” – disse, riferendosi a Nott e a Pansy. –
“… risponderete di ogni centesimo, di ogni danno, di ogni
mancanza che avete fatto subire a quest’azienda! Vi citerò
in giudizio con tante di quelle accuse che se vi rimarranno le mutande
addosso sarà davvero una fortuna!” – ringhiò.
Pansy sobbalzò spaventata. Non l’aveva mai visto in quello stato.
Si maledisse in mille lingue
perché solo ora si era resa veramente conto di quanto Nott fosse
solo uno specchietto per le allodole: tanto fumo e niente arrosto.
Aveva abbandonato la nave sicura
di Draco per saltare su quella di Nott. E la Granger? Come diavolo
aveva fatto a prendersi il suo Draco? Quale piano aveva architettato?
“Io non me ne vado.” – disse Nott, d’un tratto.
Draco sollevò un sopracciglio.
“No? Mi faciliti le cose, allora.”
Come una squadra perfettamente
affiatata, Hermione aveva già estratto il cellulare di Draco e
lui, senza nemmeno guardare, lo prese con decisione e compose un numero.
“Polizia?”
I presenti sbarrarono gli occhi.
“Sono Draco Malfoy e mi
trovo alla Malfoy Home. Sì, è una lunga
storia…” – disse, riferendosi al nome
dell’azienda. – “… ci sono delle persone che
non vogliono lasciare il mio
edificio. Grazie, vi aspetto.” – schiacciò il
bottone rosso per terminare la chiamata e poi lo riporse a Hermione.
– “Tra poco lascerete la mia
azienda, ma prima che ve ne andiate, ho un paio di sassolini che vorrei
levarmi dalle scarpe. Tu Nott, sei un perdente, un fallito, un peso per
la società.” – disse, duro.
L’uomo in questione era diventato rosso.
“Non sei capace di vedere un
affare neanche se questo ti si presenta tra le gambe di una donna. Ti
sei venduto bene, lo ammetto… così come vi siete venduti
bene voi.” – disse, guardando gli avvocati. –
“Mi avete continuamente proposto persone incompetenti e
inaffidabili e quando avrò finito con lui sarò anche da
voi.”
Tutti sapevano che con Draco Malfoy non si scherzava.
“Ora finalmente posso
provare che io pagavo le prostitue che si fingevano indossatrici, ma
eri tu che me le fornivi, facendole passare per famose modelle. Ho
fatto delle ricerche su di te e mi sono meravigliato della tua
incompetenza finanziaria; io e Hermione abbiamo indagato più a
fondo e abbiamo scoperto che ti sei comprato la laurea in Economia.
Sai, prima di addormentarmi, mi rileggo la tua pagella.” –
mise un braccio attorno alla vita di Hermione. – “Non sai
le risate che ci facciamo io e la mia ragazza.”
“Draco…” – tentò Pansy.
“E tu…”
La donna si ritrasse.
“… tu non sei una
donna. A ben pensarci non sei neanche un essere umano. Ti sei presa
gioco di me, dei miei sentimenti e della mia famiglia. Non hai idea di
quanto…”
“… di quanto tu sia
un insulto alla categoria delle donne, Pansy Parkinson.” –
s’intromise Hermione.
Adesso si sarebbe sfogata lei.
“Non hai morale, non hai
rispetto per niente e per nessuno perché semplicemente non ne
provi per te stessa. Sei pronta ad aprire le gambe a chi ti prospetta
un buon affare ma sei pronta a chiuderle quando la nave affonda.
Onestamente non mi interessa sapere cosa ti ha spinto a tradire Draco e
di quest’unica cosa ti ringrazio, ma sei una fallita. Non vali
niente né come lavoratrice, né come persona. Sei talmente
inutile che ancora mi chiedo il motivo della tua presenza nel mondo.
Dalle mie parti si dice “legati un masso al collo e buttati nel
lago”. Io ci farei un pensierino.” – concluse
Hermione, cattiva.
“Se pensi che mi faccia
insultare da un’arrivista come te ti sbagli, stronza!”
– urlò Pansy, colpita e decisamente affondata.
“Tu che pensi?”
– la sbeffeggiò. – “Non usare parole di cui
non conosci il significato. Pensare implica il possedere un cervello e
da quanto ho visto in questi due anni, sotto i capelli hai solo del
letame. Puzzi di marcio Pansy.”
Non gliene avrebbe fatta passare neanche una!
L’insulto stavolta andò a segno. Pansy non riuscì a dire più niente.
“Ecco brava, stai zitta. È forse l’unica cosa che ti riesce meglio.”
Dall’esterno si udirono delle voci. Probabilmente era la polizia che era arrivata.
Draco prese Hermione e la
scortò da una parte per permettere ai funzionari
dell’ordine di eseguire il proprio lavoro.
“Sono l’agente Rostok. Chi è Draco Malfoy?”
“Io agente.” – disse Draco, avanzando.
“Buon giorno. Chi dobbiamo prendere in consegna?”
“Tutti i presenti. Si rifiutano di lasciare la mia azienda.”
“Capisco.” – con
un cenno del capo, l’agente Rostok invitò i suoi
sottoposti a prendere in consegna le persone indicate da Draco.
Nott, naturalmente, tentò
di fare resistenza, così come Pansy che iniziò a
dimenarsi e urlare come una vergine assalita da un gruppo di barbari.
“Ah, agente… un’ultima cosa?”
“Prego.”
“Voglio sporgere denuncia contro ognuno di loro.”
“In tal caso li metterò in custodia cautelativa.” – disse l’uomo.
“La ringrazio. Passerò il prima possibile con il mio avvocato.”
“Arrivederci.” – salutò l’agente.
“Arrivederci.” – salutarono in coro Draco e Hermione.
Quando i due rimasero soli aspettarono qualche secondo e poi scoppiarono a ridere.
“Il prima possibile?”
“Devo trovare un avvocato Hermione, uno bravo.”
“Hai visto che ce l’hai fatta?” – gli disse la riccia, divertita.
“Merito tuo.”
“Beh, sì… suppongo di aver fatto la mia parte.”
“Sei stata cattiva con Pansy.”
“Ma io sono una bambina cattiva Draco…” – disse lei, volutamente sensuale.
Ma non essendo abituata a rivestire i panni della femme fatales Hermione scoppiò a ridere, seguita da Draco.
Abbracciati, iniziarono a guardarsi intorno.
“Sarà una sfacchinata.”
“Non me lo dire…”
Per non impegolarsi nei debiti,
Draco e Hermione avevano deciso, una volta buttato fuori Nott, che le
pulizie e il lavoro di archiviazione delle carte che avevano trovato
abbandonate sulle scrivanie, se lo sarebbero fatto da soli.
Sarebbe stata davvero una sfacchinata, ma ne sarebbe valsa la pena.
“Potresti chiedere aiuto ai
tuoi genitori.” – propose Hermione. –
“Sarebbero felici di aiutarti.”
“Lo so ma io ho combinato il danno e io lo rimetterò a posto da solo.”
“Come vuoi.” –
disse Hermione, abbracciandolo. – “Oggi dobbiamo andare a
comprare tutto il necessario per le pulizie.”
“Già…” – disse Hermione.
Lo avrebbe sicuramente aiutato, ma in quel momento, la mole di lavoro la spaventava.
Ma, come sempre, non si sarebbe arresa.
Alla Livin Home la notizia che
Laney Miller era riuscita a infilarsi nelle mutande di John Cook fece
il giro del mercato americano in due minuti scarsi e tutto
perché una dipendente della ditta, che andava a lavorare in
autobus, aveva visto i suddetti in atteggiamenti intimi fuori dalla
casa di lei. Allie Bergman, la pettegola, aveva stupidamente mandato
una mail a tutti i suoi colleghi più stretti in azienda per
informarli della cosa e quando Laney mise piede in ufficio,
l’intero reparto l’accolse con un minuto di religioso
silenzio.
Stranita da quella situazione, la
donna avanzò piano, sentendosi come se avesse fatto qualcosa di
orribile. Continuò a camminare, guardandosi a destra e a
sinistra mentre le donne la guardavano e ridevano, altre la fulminavano
con lo sguardo, altre avevano la decenza di farsi i fatti propri. Gli
uomini, invece, la guardavano come se fosse stata una torta alla panna
e non sapevano da quale parte iniziare per leccarla.
Era sempre stata abituata a quel tipo di sguardo, ma ora che stava con John, trovava quelle occhiate quasi inquietanti.
“Beh? Che vi prende?” – chiese, alla fine.
Nessuno le diede una risposta.
“Allora?” Mi rispondete?
Laney non era una che amava
perdere tempo. Conosceva bene quelle occhiate e voleva andare fino in
fondo alla questione. Non avrebbe fatto passare giorni o settimane. Si
alzò dalla propria scrivania e andò dalla vicina che,
presa da un raptus di follia, iniziò a chiudere tutti i
programmi.
Soprattutto quello della posta elettronica.
Laney con gli occhi che mandavano
scintille – aveva appena capito di essere il bersaglio di
qualcosa, ancora non sapeva cosa – e vedere le persone che
cercavano di cancellare le prove la mandò su tutte le furie.
“Accendi la posta.” – ordinò.
Non dava mai ordini, se non quando
in azienda piovevano ordini dalla mattina alle sette alla sera alle
otto e quando c’era stato il casino della Malfoy Home.
Solitamente chiedeva le cose con cortesia, tanto che quando era stata
eletta a capo-reparto tutti le avevano fatto le congratulazioni
perché era la più adatta, sia per competenze, sia a
livello umano.
Leslye negò, spaventata ma divertita.
Quell’atteggiamento la mandò ancora di più in bestia.
“Ho detto: apri.la.posta.”
Laney fece le spallucce.
Afferrò la sedia di Leslye e la fece rotolare qualche metro
più in la e si accese la posta da sola. Nessuno osò
muovere un muscolo.
Quando l’aprì e vide
una mail di Allie, iniziò a tremare. Non tanto perché
sapeva già cosa contenesse, ma perché da quella tizia non
c’era da aspettarsi mai niente di buono.
L’aprì e sbarrò gli occhi.
Non sapete cosa ho visto stamattina!
John Cook, il nostro titolare, era uscito da casa di Laney Miller e si baciavano!
Passa parola!
Allie.
Laney divenne rossa come un peperone.
Il suo non era imbarazzo. Era rabbia.
Passa parola? Ma era forse una cretinetta appena uscita dalle elementari?
Si alzò dalla scrivania e andò da Allie che guardò Laney con un sorrisetto divertito.
“Vedo che la cosa è di tuo gradimento.” – disse.
“Beh, non lo vedi mica tutti i giorni una cosa del genere.”
“Una cosa del genere? Due persone che si amano sono una cosa, per te?”
Allie sorrise apertamente. Laney lo aveva ammesso pubblicamente!
“Che cazzo ridi, idiota?” – sbottò Laney.
Possibile che non capisse niente quell’idiota?
Allie si ritrasse su se stessa.
“Ti rendi conto in che posizione mi hai messa?”
La ragazza sorrise.
“Io in nessuna. Forse John ti ha messa in qualche posizione particolare…” – alluse lei, credendo di essere simpatica.
Laney sbarrò gli occhi.
Partì un man rovescio che le fece lacrimare gli occhi.
“Nel mio ufficio. Tutte e due!” – esclamò John, che aveva sentito tutto.
“Dammi una buona ragione per non licenziarti.”
Allie non riuscì a dire niente. Solo dopo essere stata beccata in flagrante, si era pentita di ciò che aveva fatto.
Laney, accanto a lui, aspettava spiegazioni.
“Mi dispiace…” – sussurrò la biondina.
“Non mi sembrava prima.” – disse Laney, implacabile.
“Questi non sono fatti che
ti riguardano. Con chi esco io, o un tuo collega non sono affari tuoi.
E’ stata per caso Laney a dirti di noi?”
Allie scosse la testa.
“Allora perché ti sei
impicciata di affari che non ti riguardano?” – chiese John,
senza ottenere risposta. – “Molto bene.” –
disse. – “Baciati le mani se non ti licenzio.”
“G-grazie…” – balbettò Allie.
“E se dovessi sentire la
necessità di farti ancora gli affari degli altri, sappi che
quello sarà il tuo ultimo giorno qui dentro, mi sono
spiegato?”
“Sì.” – dise Allie.
“Adesso vai.”
La ragazza scappò letteralmente dall’ufficio e John si appoggiò allo schienale.
Laney era andata alla finestra e
guardava di sotto. Sperava di poter essere lei a dare la notizia,
almeno alle colleghe con le quali aveva maggior rapporto e invece
quella stupida era andata a rovinare tutto.
Sospirò.
“Non è iniziata molto bene.”
“Torno in ufficio.” – disse Laney, che aveva sentito tutta la sicurezza svanire dopo la sparata di Allie.
“Laney?” – la fermò John.
Non voleva che se ne andasse con quello stato d’animo.
“Cosa c’è?”
“Mi dispiace…”
Laney rilassò le spalle. Ad
essere completamente onesti, tra i due quella che avrebbe avuto vita
difficile era lei, perché da quel giorno in avanti, i suoi
traguardi professionali non sarebbero stati più raggiunti per
meriti e capacità personali, ma perché era la fidanzata
del capo.
Vedeva che John ci stava male, ma
lui poteva fare quello che voleva senza rendere conto a nessuno delle
sue scelte e… sgranò gli occhi.
“Oddio…” – sussurrò, instupidita da se stessa.
“Cosa?”
“C’è che sono una cretina.” – ammise.
“Perché?” – chiese John, perplesso.
“Perché hai ragione
tu. Mi sto facendo condizionare dagli altri e…
d’accordo.” – concluse. – “Ci vediamo
stasera?”
“Sì, certo. Non… va tutto bene?”
Laney sorrise affettatamente.
“Più che bene. A
stasera, allora.” – lo salutò con un veloce bacio
sulle labbra e poi uscì.
Di nuovo, appena mise piede in
ufficio, di nuovo tutti si zittirono. Stavolta lei però non si
lasciò scalfire, anzi. Con passo sicuro e un sorriso non molto
rassicurante sulle labbra si diresse dalla prima che aveva incrociato
sulla strada, le sussurrò poche parole all’orecchio e
questa sbarrò gli occhi.
Fece lo stesso con altre persone
lì dentro e, felice come una Pasqua, notò come tutti
avessero preso a farsi gli affari propri.
Era proprio vero… con le maniere gentili si otteneva sempre tutto…
“Buona sera.” – salutò John.
“Ciao, entra.” –
lo invitò la donna. – “Ciao Rex!” –
salutò la moretta, accarezzando il cane.
“Che profumo. Che stai facendo?”
“Sto tentando di fare un
risotto ai gamberetti.” – scherzò la donna, che
liberò il cane dal guinzaglio e gli permise di andare a farsi un
giretto in giardino.
“Dicono che se il profumo è buono lo sarà anche il piatto.”
“Meno male. Dai, vieni.” – lo invitò a entrare.
“Senti, posso chiederti una cosa?” – chiese John, mentre si toglieva la giacca.
“Dimmi…” – disse la ragazza, concentrata nel mescolare il riso.
“Tu sai per caso qualcosa di quello che è successo oggi in ufficio?”
“Del tipo?”
“Mi sembrava che la nostra storia fosse passata già in secondo piano.”
“Ah quello’”
– minimizzò, lasciandolo perplesso. –
“Sì, ci ho messo il mio zampino.”
“Laney? Che hai fatto?”
“Ho ricattato. Tutto qui.”
John sbarrò gli occhi.
“Che hai fatto?!”
“Ho semplicemente reso il
favore.” – disse la donna, più concentrata ad
aggiustare il riso di sale, che alla questione. – “Siccome
lì dentro ci sono persone che ne hanno fatte di tutte i colori,
ho semplicemente fatto notare che se avessi parlato io sarebbe venuto
fuori il finimondo.”
A John prese un tic sull’occhio.
“E, fidati…”
– disse, girandosi e facendogli l’occhiolino. –
“… intendo davvero il finimondo.”
“Sei pazza…”
“No.” – disse,
coprendo la pentola con un canovaccio, affinché la cottura
continuasse con il calore ma senza la fiamma sotto. – “Voglio
vivere questa storia con te senza dovermi difendere dalle battutine
degli altri e se per farlo devo minacciare o ricattare, non mi
farò alcuno scrupolo.”
Di tutto il discorso, John aveva
solo capito che Laney voleva stare con lui e che era disposta a tutto.
Andò da lei e la baciò.
“Sei pazza.” –
ripeté l’uomo. – “Ma sai, potrei anch’io
fare la mia parte.”
Laney rise. Quella specie di gioco “il mio ricatto è più grande del tuo” iniziò a piacerle.
“Ah sì? Del tipo?”
“Del tipo che ora, anche se
tu hai minacciato a destra e a sinistra, i tuoi colleghi continueranno
a pensare che se sei la mia segretaria è perché vieni a
letto con me. Non sanno cosa comporta il tuo lavoro e neanche quanto
hai dovuto sgobbare per impararlo e mantenerlo.”
Anche se la stava difendendo, le piacque sentire il suo direttore elogiare il suo operato.
“E quindi?”
“E quindi… vorrei
proprio vedere se prendessi una persona qualsiasi e la mettessi al tuo
posto: non durerebbe neanche cinque minuti e il pensiero che tu ti sia
comprata il tuo ruolo sparirebbe come neve al sole.”
“Guarda… ora mi hai
messo addosso la curiosità di sapere come potrebbe andare a
finire, se facessimo come hai appena detto.”
John la baciò. Tutto per lei.
“Magari capiterà.”
“Che dici?” – chiese Laney, baciandolo. – “Giochiamo al direttore e alla segretaria, stasera?”
“Sei pazza.” – fu il commento divertito di John.
Tre mesi più tardi,
settantasette sacchi di immondizia e litri e litri di acqua sporca
dopo, Draco e Hermione riuscirono finalmente a rimettere a nuovo la
Malfoy Home.
Erano diventati clienti fissi
della pizzeria vicina alla ditta perché quando tornavano a casa
erano talmente ubriachi di stanchezza che a malapena riuscivano a farsi
una doccia.
Nel frattempo, Draco si era messo
in moto per cercare un buon avvocato – uno con due contro
coglioni grandi come Villa Malfoy – trovandolo nella persona di
Blaise Zabini, un moro ben piantato che incuteva timore solo a
guardarlo.
Si vociferava in giro che non
avesse mai perso una causa e a Draco, in quel momento, serviva proprio
una persona simile. Voleva farla pagare salata e con gli interessi a
Pansy e a Theo per ciò che avevano fatto. Per questo motivo,
Hermione mise in un angolo dell’ufficio di Pansy tutto ciò
con cui lei e Nott erano entrati in contatto, ovvero i loro computer
personali – dopo che Hermione era stata licenziata, Pansy aveva
fatto rimettere le cose a posto a David, affinché tutte le mail
di coloro che avevano contribuito a boicottare Draco tornassero sul suo
computer – i fax, le chiamate effettuate… tutto
quell’insieme di cose che avrebbero mandato Nott, la Parkinson e
tutto il loro codazzo in galera per un bel po’ di anni, previo
risarcimento di tutti i danni subiti, era chiaro.
Con Zabini, Draco era stato molto chiaro e schietto fin dall’inizio.
“Vede
avvocato… l’azienda è stata messa a dura prova da
un incompetente, ma indagando nel mercato c’è un buon
novanta per cento di clienti che sarebbe disposto a tornare a comprare
gli arredamenti della Malfoy Home. Purtroppo, prima di fare questo,
devo rimettermi in piedi economicamente. Sa, sto ricontattando tutti i
miei ex collaboratori, dal primo all’ultimo, per sapere se sono
disposti a tornare a lavorare con me, nonostante lo stipendio sia,
inizialmente, una miseria.”
“Capisco.”
“Quindi
voglio essere onesto con lei. Lei mi ha detto, dopo aver esaminato
tutte le prove che le sono state presentate, che Nott e la Parkinson
avranno un bel po’ di galera da scontare e che è possibile
ottenere un congruo risarcimento.”
“Quindi… lei vorrebbe che io lavorassi gratis per lei.” – concluse Blaise.
“Affatto.”
– negò Draco. – “Lei verrà pagato come
da accordi, ma solo quando riuscirà a vincere la causa.”
Blaise pareva perplesso.
“So che
detta così sembra un ricatto bello e buono ma in ogni caso non
avrei niente con cui potergliene fare uno. Al momento non posso uscire
di troppi soldi. Mi indebiterò come un pazzo solo per ricomprare
le materie prime per i miei mobili e riporterò la Malfoy Home
com’era un tempo. Ma senza il suo aiuto non posso farcela.”
Blaise ci pensò su molto bene.
Certo, aveva
fatto anche lui i suoi controlli, non era uno sprovveduto e aveva visto
come l’azienda sotto la direzione della famiglia Malfoy andava
gonfie vele.
Forse se avesse accettato, il tempo gli avrebbe concesso fama e successo.
“Voglio fidarmi, signor Malfoy.” – disse Blaise.
Draco gli sorrise e si strinsero la mano.
Anche con i dipendenti era stato molto chiaro.
Basta omissioni, basta mezze
verità, basta bugie: avrebbe parlato a cuore aperto e chi
avrebbe accettato, sarebbe tornato con il contratto che aveva in essere
quand’era stato licenziato o si era dimesso per coercizione.
“Come
ben saprete, la Malfoy Home è alla deriva ma so che insieme
possiamo rimetterla in piedi. Lo so… vedo le vostre facce e
comprendo perfettamente i vostri dubbi e le vostre paure.”
– disse Draco.
Sì, li comprendeva perfettamente, perché anche lui era stato un lavoratore come loro.
“E
davvero non vi avrei mai chiesto di venire qui, di sabato mattina, se
non fossi convinto di ciò che vi sto dicendo.”
“E lo
stipendio?” – chiese un ex dipendente, che non avrebbe
abbandonato un lavoro per tornare dov’era stato bistrattato.
“So che vi chiederò molto, ma all’inizio sarà molto basso.”
“Quanto basso?”
“Sulle cinquecento sterline.”
Nella sala riunioni cadde il silenzio.
Il tizio che
aveva chiesto dello stipendio si alzò e se ne andò senza
salutare e Draco non se la sentì di biasimarlo.
Hermione aveva seguito in silenzio tutta la riunione, seduta sul tavolo con le gambe a penzoloni.
“Tu non dici niente Hermione?” – chiese Joy dell’amministrazione.
Hermione la guardò e scese giù dal tavolo.
“Cosa
vuoi che ti dica?, anzi… cosa volete sentirvi dire?”
– scandì, in modo tale che tutti potessero sentirla.
– “Potrei starie qui ore a darvi dati, statistiche e numeri
sul fatto che la Malfoy Home potrebbe tornare com’era un tempo ma
sarebbe fiato sprecato. L’unica cosa che mi sento di dirvi
è che oggi, tutti voi…” – disse, indicando la
platea degli ex dipendenti con un gesto del braccio. –
“… siete qui. Ciò significa che da qualche parte
dentro di voi c’è voglia di tornare a far parte di questa
squadra. Voi ora avete due scelte: potete alzarvi e tornarvene alle
vostre faccende, mandando a quel paese il signor Malfoy e le sue
proposte, oppure potete scegliere di rimanere, ascoltare fino alla fine
ciò che ha da dire e poi valutare. Non siamo qui per guardarci
in faccia: se avete delle domande, stupide o intelligenti che siano,
fatele. Il signor Malfoy è qui per rispondervi.”
Draco la
guardò sinceramente grato per quelle parole: lo aveva chiamato
“signor Malfoy” e non “Draco” benché ne
avesse tutti i diritti. Non voleva, come Pansy, fare la fidanzata del
capo che tutti odiavano e alla quale tutti sparlavano alle spalle.
“Perché così basso, scusi?” – chiese un ragazzo.
Draco si girò di scatto.
“Come scusa?”
“Perché così basso lo stipendio?” – richiese.
“E’
solo questione di tempo. So che se lavoriamo tutti insieme e con il
doppio delle energie, potremmo accorciare i tempi di ripresa
dell’azienda. I guadagni aumenteranno, le vendite aumenteranno e
i vostri stipendi torneranno a quelli di un tempo.”
“Ci sono
persone qui dentro che lavoravano per lei da anni. Che ne sarà
dei contributi maturati? Dovremmo ricominciare tutto d’accapo?
”
“No.”
– disse Draco, deciso. – “Se deciderete di tornare,
con tutti gli annessi del caso, vi prometto che i contratti rimarranno
invariati, che siate stati licenziati o che vi siate dimessi non ha
importanza: chi ha dieci anni di servizio rientrerà con i dieci
anni di servizio.”
“E il TFR?”
“Quello
purtroppo non lo posso mettere sul conto perché una volta
estinto non può più tornare com’era prima.”
Vari mormorii di dissenso si spansero nella sala.
“Ma
posso aprire un conto e destinare lì ciò che è
vostro di diritto. Tutti i TFR maturati fino all’ultimo giorno di
lavoro verranno versati su questo conto e ognuno avrà la sua
parte in caso decidesse in futuro di andarsene.”
Beh, adesso suonava meglio.
“E cosa dovremmo fare esattamente?” – chiese un’altra partecipante.
“Niente
di diverso da quello che facevate prima. Certo, più si lavora,
prima il lavoro riparte ma so che non ve lo posso chiedere. Posso solo
chiedervi se accettate la mia proposta.”
“E se non dovesse funzionare?” – chiese un uomo.
“In quel caso ognuno di voi avrà, fino all’ultimo centesimo, ciò che gli spetta.”
In parecchi si guardarono in faccia.
“Verranno messe per iscritto queste cose?”
“Per chi le volesse, sì.”
Alla fine, che
si vincesse o che si perdesse, per la prima volta nella storia di
un’azienda, gli unici a guadagnarci sarebbero stati i lavoratori.
E tutti accettarono.
Dopo aver messo a punto ogni
dettaglio, Draco e Hermione compresero che riaprire alle soglie del
Natale era perfettamente inutile così scelsero di aprire i
battenti con l’anno nuovo.
La Vigilia di Natale, Hermione e
Draco la trascorsero a casa Granger, poiché per loro era molto
più importante l’attesa che non il giorno di Natale vero e
proprio, che trascorsero invece dai genitori di Draco.
“Benearrivati! Auguri di Buon Natale!” – esclamò Narcissa, lieta di vederli.
Hermione scese con in mano un dolce natalizio preparato da lei stessa.
“Auguri Narcissa.” – ricambiò Hermione con un sorriso.
“Dai, entrate che fa freddo.”
In quei tre mesi di duro lavoro,
il rapporto tra Draco e i suoi genitori era, se non tornato quello di
un tempo, notevolmente migliorato. Draco aveva imparato ad aprirsi di
più con suo padre, a chiedergli consigli, come fosse stata la
sua gestione, quali errori aveva commesso e quali intuizioni avesse
avuto.
Lucius condivideva volentieri e
con entusiasmo l’esperienza della sua precedente amministrazione
con il figlio, una cosa che prima del suo cambiamento non aveva mai
potuto fare, perché Draco dimostrava di essere fin troppo sicuro
di sé e con un caratterino che non accettava i suggerimenti
tanto volentieri.
Riuscivano a incontrarsi solo di domenica, poiché dal lunedì al sabato erano impegnati con le pulizie in azienda.
Per l’occasione, era stato
acceso il caminetto che emanava una bellissima luce aranciata, perfetta
per quel periodo dell’anno.
“Buon giorno.” – salutò Lucius.
“Ciao papà. Auguri.”
“Auguri. Hermione… Buon Natale.”
“Buon Natale Lucius.”
“Allora… aperitivo?” – chiese l’uomo, sfregandosi le mani soddisfatto.
Ridendo e scherzando, arrivarono a parlare di affari.
“Riapriremo dopo le ferie di
Natale.” – spiegò Draco, che teneva Hermione per la
vita. – “E verso il dieci di Gennaio dovremmo incontrarci
con Theo, Pansy e tutti coloro che sono stati coinvolti nella vicenda
per accordarci.”
“Credi che questo Zabini sappia il fatto suo?” – chiese Lucius.
“E’ uno in
gamba.” – intervenne Hermione, stretta a Draco. –
“Non è uno che ama parlare per sprecare fiato. Alle
udienze ha sempre portato la giuria dalla propria parte.”
“Staremo a vedere.” – disse Lucius.
“E tu Hermione? Cosa fai nel frattempo?” – chiese la donna, con un sorriso cordiale e sincero.
“Io sto attenta che Draco non faccia cavolate.”
I tre scoppiarono a ridere.
“Scherzi a parte, cerco di
aiutarlo nelle piccole cose, piccole commissioni, chiamate,
prenotazioni, ordini… tante piccole cose che, se sommate, sono
un grande problema.”
Draco le baciò la fronte.
Narcissa e Lucius si scambiarono
un lieve cenno di assenso di fronte a quel gesto: non glielo avevano
mai visto fare con Pansy e si dissero che forse Hermione era quella
giusta per lui.
Quello era proprio un bel Natale.
La ragazza era proprio assennata,
lo capivano dal modo in cui parlava. Rifletteva molto sulle conseguenze
di un gesto e parlava con cognizione di causa.
Il pranzo fu luculliano e tra i
primi e i secondi, i quattro vollero fare una passeggiata in giardino,
solo che Narcissa scelse di sequestrare Draco e lasciare Hermione sola
con Lucius.
I due si guardarono, perplessi.
“Non ci sono casi di complessi edipici nella vostra famiglia, vero?” – chiese Hermione, stranita.
“Non che io sappia.” – rispose Lucius, pensoso.
Si guardarono e trattennero un sorrisetto divertito. Poi Lucius le porse il braccio che Hermione accettò.
L’attimo successivo stavano passeggiando nel giardino innevato.
“Scusa Narcissa,
Hermione.” – disse Lucius. – “Fosse per lei,
rinchiuderebbe Draco in camera sua e non lo farebbe più
uscire.”
“Non si preoccupi. È normale.”
D’un tratto, sentì la mano guantata di Lucius sulla sua.
“Spero non te la prenda con Draco Hermione ma… mi ha detto tutto.”
La riccia lo guardò confusa.
“Tutto cosa?”
“Di tua… di tua madre, di ciò che ha fatto per te…”
Un tempo sarebbe scappata,
spaventata da ciò che le persone avrebbero potuto pensare di lei
ma con il tempo, grazie all’intervento di Draco – forse
averlo aiutato nonostante tutto quello che le aveva fatto passare era
scritto nel suo destino, per aiutarla ad emergere da quel gas mortale
che era la sua voglia di morire – e alla presenza della sua
famiglia, Hermione si era lentamente resa conto che quello di sua madre
era stato un gesto eroico, coraggioso ma che soprattutto, non aveva
nulla di cui vergognarsi, anzi.
Era la dimostrazione che sua madre era la donna migliore di questo mondo.
“Capisco…” – rispose la riccia, chinando il capo, con un sorriso leggero.
“Mi dispiace, forse non avrei dovuto…” – si scusò Lucius.
Quando Draco gli aveva fatto
quella confessione era rimasto allibito, sgomento. Non era riuscito a
credere che una persona avesse scelto liberamente di uccidersi per
salvarne un’altra.
“No, non si
preoccupi.” – gli sorrise Hermione. – “Sa,
Draco mi ha insegnato a non avere paura di ciò che può
pensare la gente, perché con quel gesto mia madre ha voluto
dirmi che mi amava tantissimo.”
“Di cosa avevi paura Hermione?” – chiese Lucius.
“Che pensassero che non
meritassi un dono simile, che fossi un’assassina, che era meglio
che non nascessi…”
“Non dovresti permettere alle persone di dirti come devi sentirti.”
“Lo so. Adesso lo so. Draco è un buon terapeuta.” – scherzò.
“Anche tu sei stata la sua medicina, da quanto ho potuto vedere.”
La donna fece le spallucce per schermirsi.
“Draco aveva solo bisogno di una mano e io gliel’ho data.”
I due si girarono per trovare il soggetto della loro discussione.
“Allora Draco…”
– iniziò Narcissa. – “… le cose con
Hermione vanno bene, mi sembra.”
“Sì, molto. Stiamo molto bene insieme.”
“Lo vedo da come vi
guardate…” – disse, accarezzandogli amorevolmente i
capelli. – “… da come vi cercate con lo
sguardo.”
Draco cercò con lo sguardo
Hermione e vide che era girata nella sua direzione. Sorrise
inconsciamente per quel piccolo gesto di complicità.
“La amo molto.”
A una madre scoppia il cuore di gioia quando il figlio è felice.
“E si vede. Così come si vede che anche lei ti ama tantissimo.”
“Io… volevo chiederglielo.” – disse.
Gli occhi di Narcissa brillarono di gioia.
“E perché non lo hai ancora fatto?”
“Tutta la questione della
Malfoy Home ci sta portando via parecchio tempo, le basi per la ripresa
sono buone ma avrò i risultati solo l’anno prossimo. Tempi
da rispettare, garanzia sul prodotto… è un casino!”
“Draco ascolta: non ricordo
più ormai le volte in cui io e tuo padre ci siamo offerti per
aiutarti. So che ci tieni a risolvere questo problema da solo, ma forse
tu dimentichi che non sei solo! C’è tuo padre, ci sono io,
c’è Hermione… accetta il nostro aiuto!”
Draco parve rifletterci
seriamente. Forse se accettava il loro aiuto, poteva dedicarsi un
po’ di più a Hermione. Da quando erano rientrati avevano
fatto l’amore solo quel giorno e lui aveva voglia di lei, di
stare vicino a lei, di sentire la sua pelle contro la sua, di affondare
in lei, di perdersi in lei.
Lei non lo aveva mai cercato in
quel senso non perché non lo volesse, ma perché era
ancora troppo timida, troppo impacciata e troppo inibita per passare da
vergine di primo grado a femme fatales.
“Draco?” – lo richiamò la madre.
“Io… d’accordo.” – accettò.
Narcissa sorrise felice.
“Hai fatto bene tesoro! Adesso non devi preoccuparti più di niente! Coraggio, torniamo da loro.”
E, neanche a farlo apposta, anche Lucius e Hermione avevano appena finito di dire la stessa cosa.
Fu un bellissimo pomeriggio, ma la
stanchezza di quel pranzo si fece sentire, così Draco e
Hermione, dopo aver ampiamente salutato, tornarono a casa.
Appena ne varcarono la soglia, Draco la baciò come effettivamente non faceva da mesi.
“Però…”
– sussurrò Hermione, con gli occhi ancora chiusi. –
“… a cosa devo questo bacio?”
“Non posso baciarti?”
“Sì che puoi!” – trillò lei allegra.
Draco rise e tornò a baciarla.
“Ho deciso di accettare l’aiuto dei miei.” – disse.
Hermione lo guardò stupita.
“Perché?”
“Perché così posso stare con te.” – rispose lui, sincero.
La riccia gli sorrise, radiosa.
“Allora hai fatto bene.”
Quel pomeriggio fecero l’amore per la seconda volta.
Hermione temeva che il
“digiuno” potesse provocarle altro dolore ma non fu
così. Sentì scivolare Draco dentro di lei con
facilità e insieme avevano preso a muoversi.
Nemmeno quella volta raggiunse
l’orgasmo, troppo concentrata a capire cosa il corpo le stesse
suggerendo ma aveva capito di esserci andata molto vicina. Aveva
avvertito una potente onda liquida muoversi nel ventre, tanto da farle
emettere un gemito strozzato, si era sentita leggera come una piuma e
pesante l’attimo successivo quando, invece di raggiungere
l’orgasmo, quella scintilla si era spenta.
Aveva sentito che quando Draco si
muoveva lento in lei le venivano i brividi, che avrebbe voluto la sua
bocca su tutto il corpo contemporaneamente. Aveva avvertito una potente
sensazione di possessione quando l’uomo le fece avvinghiare le
gambe attorno al suo bacino.
Era entrato talmente tanto a fondo in lei, che Hermione pensò le avesse appena toccato l’anima.
Aveva visto mille lampi bianchi
dietro le palpebre chiuse e quando sentì Draco velocizzare le
spinte e venire si sentì incompleta.
Insoddisfatta.
“Scusami…” – si scusò Draco.
“Di cosa?” – chiese lei, con il cuore che pulsava velocemente.
“Non sei venuta.”
“Non ti preoccupare.” – lo tranquillizzò lei, massaggiandogli la schiena.
Ognuno di loro andò in
bagno a turno per sistemarsi. Quella sera di sicuro non avrebbero
cenato ed erano certi che una volta toccato il letto sarebbero finiti
addormentati come sassi.
Hermione tornò con addosso il pantalone di una tuta e una maglietta. Si accomodò accanto a lui.
“Sai, pensavo a una cosa…” – iniziò il biondo, a petto nudo.
Hermione cercò di non guardarlo per non cadere in tentazione.
“Cosa?”
“Che non è giusto.”
“Ma a scuola ti hanno insegnato a mettere il soggetto nelle frasi?” – chiese lei, divertita.
“Spiritosa…” – disse facendole il solletico.
Hermione ridacchiò stretta a lui.
“Non è giusto che tu non sia venuta prima.”
Hermione sbarrò gli occhi. Che diavolo di discorsi andava a fare?
“Scusa?” – chiese, rossa in volto, non ancora del tutto avvezza a certe formule.
“Sarebbe carino che tu e il mio amico Orgasmus faceste conoscenza.” – scherzò.
Hermione gli rise in faccia. Orgasmus?!
“Motivo per il quale…”
Hermione smise di ridere quando sentì le sue mani che cercavano di sfilarle pantaloni e slip in un sol colpo.
“Draco…”
“Zitta donna.” –
la rimbrottò bonariamente. – “E’ una sfida
personale, mi capisci?”
Hermione, divertita, lo lasciò fare.
“Cioè…
è qualcosa che non puoi lasciar correre, altrimenti poi ti
abitui ad essere insoddisfatta…” –
s’intrufolò sotto le coperte con la testa mentre Hermione
se la rideva. – “… e vai a cercartene un
altro.” – concluse il biondo con la voce ovattata dalle
coperte.
“Ma che stupi…”
Il fiato morì atrocemente
in gola, la faccia divenne un unico punto rosso, dove l’unica
nota di colore erano e le sclere bianche degli occhi, sbarrate fino
all’inverosimile.
Cosa… cosa faceva… cosa diavolo… cosa stava facendo con quella lingua?!?!?!
“Draco… Draco!”
– squittì, quando lo sentì toccare una zona
particolarmente sensibile. – “Oddi… OH!”
Eccole.
Stavolta erano più di una.
Le ondate liquide che aveva
avvertito prima si stavano intensificando. Si sentiva come bloccata sul
materasso, come se qualcosa di pesante e invisibile l’avesse
inchiodata lì, come se le forze se ne fossero andate d’un
tratto.
“Mhm sì…” – mugugnò a occhi chiusi, rilassandosi lentamente contro il cuscino.
Avvertì un forte sconquasso interiore quando Draco le succhiò avidamente, ma con delicatezza, il clitoride.
Stava per venire. Ne era certa.
E anche se non sapeva cosa fosse
un orgasmo o perché tutti, in quel momento, dicessero “sto
venendo”, lo fece anche lei, perché sentiva che
nessun’altra espressione al mondo poteva definire al meglio quel
particolare momento.
“Draco sto venendo!”
Draco, da sotto le coperte,
lasciò che Hermione si beasse di quel momento di pura estasi.
Riemerse dalle coperte e la contemplò in tutte le sue smorfiette
di piacere.
Hermione, dal canto suo, riuscì solo a pensare che ne volesse un altro.
Quando si calmò, guardò Draco, ancora provata.
“Ora hai conosciuto Orgasmus.” – scherzò lui.
Con il fiatone, Hermione emise una smorzata risata. Gli prese il volto tra le mani e lo baciò.
“Il tuo amico mi sta molto simpatico.”
E, come previsto, per il pranzo luculliano e per quello che avevano fatto, crollarono addormentati ma felici.
Calli-corner:
Ed eccoci alla fine di questo super postaggio.
O pestaggio?
Beh, alla fine vi ho rivelato praticamente tutta la storia, poiché il prossimo sarà l’ultimo capitolo.
Non credo di dover aggiungere
qualcosa alle parole di Draco e Hermione nei confronti di Theo e Pansy,
perché credo abbiano detto tutto loro.
Draco si è finalmente fatto rispettare e Hermione si è potuta vendicare a tutto tondo contro Pansy.
Rimango a Vs. disposizione per
qualsiasi dubbio o chiarimento e vi lascio con lo spoiler, sperando che
sia il più criptico possibile. ^_^
“Hermione mi ha detto tutto.”
Daphne scosse il capo, confusa.
“Di cosa?”
“Del tuo male, di ciò che ti ha fatto.”
Daphne divenne seria d’un tratto e guardò con biasimo la sorella.
“Ah…”
– disse, ferita. – “… dei tuoi problemi non
riuscivi a parlare, ma di quelli degli altri sì, vero?”
– chiese, sulla difensiva.
Bacioni,
callistas
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Capitolo 19 *** The End ***
19 - The End
Ed eccoci qui come promesso con l’ultimo capitolo di quest’avventura.
Quando posto le note finali di una
storia, non so mai cosa dire, perché vorrei poter trovare una
parola che possa esprimere tutta la mia più profonda gratitudine
a chi mi ha seguita dall’inizio, alla fine.
Ma non riesco mai a trovarla e mi tocca sempre limitarmi al solito “grazie”.
Grazie di cuore a tutti voi, che
mi avete sempre sostenuta, letta, commentata e fatta partecipe delle
vostre perplessità sulla storia.
Ho apprezzato tutto davvero tantissimo.
Vi lascio alla lettura dell’ultimo capitolo, sperando che possa essere la degna conclusione di questa storia.
Buona lettura,
callistas
Laney e John facevano coppia fissa
da tre mesi ormai ma le voci sulla loro storia non si erano ancora
dissipate, anzi: sembravano intensificarsi ogni volta che i due
respiravano anche solo nella stessa direzione. Per non parlare del
fatto che tutti, a parte qualche mosca bianca, non facevano altro che
dire quanto brava dovesse essere stata Laney per essere riuscita ad ottenere il posto di segretaria del capo.
Con John si era accordata nel
lasciar correre quelle voci, che col tempo le persone avrebbero trovato
un nuovo argomento di discussione, ma ormai erano tre mesi che loro
stavano insieme e che quelle voci erano ancora vive come se fosse il
primo giorno.
La cosa, onestamente, iniziava a
seccare sia lei sia John, non tanto perché si vergognassero o
perché avessero qualcosa da nascondere; semplicemente avrebbero
gradito vivere la loro storia senza che ogni loro respiro, sillaba o
sguardo venisse radiografato.
Anche i clienti, che di tanto in
tanto entravano nello ShowRoom della Livin Home per vedere le nuove
collezioni sapevano di loro due, permettendosi commenti non proprio
carini che un tempo non avrebbero mai fatto.
Laney iniziava ad averne le tasche piene.
Tutti i giorni era la stessa
storia: entrava in ufficio e i suoi colleghi smettevano di parlare, se
doveva entrare in ufficio da John mancava poco che tutti si mettessero
dietro la porta per captare qualsiasi gemito di piacere, se indossava
una gonna piuttosto di un pantalone era per calamitare lì
l’attenzione del capo… tante stupidaggini che però
avevano il potere di mandare la sua concentrazione al manicomio e le
volte che commetteva qualche errore, veniva imputato al fatto che l’amore fa questi effetti.
Aveva un buon rapporto solo con
Alessia Carson, la centralinista della Livin Home e Katie Hole, una
sorta di istituzione nell’azienda contro la quale nessuno,
nemmeno John Cook, osava andare.
Erano le uniche due persone, tre
con Laney, che in azienda si facevano gli affari propri e che prima dei
pettegolezzi, cercavano di fare bene il proprio lavoro. Si trovavano
bene insieme proprio per questo, anche se erano in settori diversi.
“Sto dando i numeri!”
– esclamò Laney, sfinita. – “Non
c’è giorno che non venga radiografata per quello che
dico!”
“Mandali a cagare.” – fu la diplomatica risposta di Alessia, che addentò il suo panino.
“Credi che non lo abbia
già fatto?” – chiese retoricamente Laney. –
“Che li mandi a cagare, che li minacci, che faccia il nome di
John, non succede niente! Credevo che con il tempo la questione si
sarebbe smorzata, ma non è così! Sono tre mesi che io e
John stiamo insieme e sono più le ore che perdo a dovermi
difendere dalle loro battutine che a vivere la mia storia!”
Alessia e Katie si guardarono, dispiaciute per la moretta.
“Io metterei in pratica il piano B.” – disse Katie, inforcando il suo piatto di pasta.
Laney e Alessia la guardarono perplesse.
“Cioè?” – chiese Alessia.
“Qui tutti si riempiono la
bocca della stronzata che saprebbero fare il tuo lavoro come se niente
fosse, perché credono che ti limiti a portare il caffè a
John quando ha le riunioni. Faglielo portare tu il caffè per una volta.” – occhieggiò Katie.
Anche John gliel’aveva detto
quella sera di tre mesi fa, ma nessuno dei due, alla fine, aveva messo
in pratica quella minaccia: il lavoro di Laney era troppo delicato per
essere affidato al primo incompetente di turno ma forse era giunto il
momento di mettere le cose in chiaro.
Lo sguardo di Laney mutò.
“Katie? Laney ha in mente qualcosa.” – sorrise Alessia, che conosceva quello sguardo.
Alla fine la moretta si rimise composta e mangiò la sua insalata, con il piano ben delineato nella propria mente.
La pausa pranzo ebbe una fine e
con essa la libertà di essere con persone – Katie e
Alessia – con le quali era facile parlare.
Rientrò in ufficio e come
al solito venne accolta da quel religioso momento di silenzio, nemmeno
fosse stata allo stadio per la commemorazione di qualche famoso
giocatore.
Senza salutare, si diresse
nell’ufficio di Margharet Turcher – scherzosamente chiamata
Tutcher per l’inflessibilità che metteva
nell’applicare la legge – l’avvocato
dell’azienda per chiedere chiarimenti.
“E’ permesso?”
“Sì? Oh Laney, buon giorno.”
“Buon giorno Margharet, la posso disturbare?”
“Sì certo, entri pure.”
Laney si accomodò.
“Mi dica.”
“Margharet, non ci
girerò intorno. Credo sia ormai di dominio pubblico il fatto che
io e il signor Cook abbiamo una relazione.”
Margharet arricciò leggermente le labbra.
“Non sono un consulente amoroso, Laney.” – disse la donna.
“Lo so. So solo che lei
è un brillante avvocato e mi chiedevo se la legge prevedesse
qualche sorta di punizione per colleghi invadenti o penalmente
perseguibili per stalking aziendale.”
Margharet sollevò le sopracciglia.
“Non mi era mai capitata una
richiesta simile…” – osservò la donna, che
prese un tomo di qualche milione di pagine e lo sfogliò, come se
lo conoscesse a memoria.
“Immagino e mi dispiace
veramente disturbarla per questo ma davvero non ne posso più. Il
mio rendimento sul lavoro ne sta risentendo proprio a causa di questo
stalking aziendale, se si può chiamare così.”
Mentre sfogliava le pagine, Margharet iniziò a parlare.
“Mi è capitato un caso simile, prima di venire a lavorare qui.”
“Ah sì?” – chiese Laney, stupita. – “E come andò a finire?”
“La vittima riuscì a
spuntarla ma dovette licenziarsi perché dopo aver messo di mezzo
l’avvocato contro i suoi stessi colleghi, questi iniziarono ad
esasperarla ancora di più.”
Laney emise un gemito strozzato. Era punto e a capo.
“Va bene, grazie comunque Margharet.” – si alzò, ma l’avvocato la fermò ancora.
“Se posso permettermi, non dovrebbe permette a nessuno di manipolare la sua vita.”
Laney la guardò sorpresa.
“Non è sempre facile, però. Sono aperta a qualsiasi suggerimento.” – scherzò la moretta.
Per la prima volta da quando la conosceva, Margharet sorrise.
“Sa… mi piacerebbe proprio vedere come se la caverebbe un suo collega a fare il lavoro che fa lei…”
Laney sbarrò gli occhi.
Ma si erano messe d’accordo, per caso?
Sorrise ugualmente e uscì.
Ancora, quando rientrò in reparto, di nuovo ad accoglierla vi fu il silenzio.
Stanca come non mai per
quell’atteggiamento da asilo nido, Laney andò in ufficio
da John per informarlo che a breve avrebbe avuto una nuova segretaria.
“Posso disturbarti?”
“Ciao, vieni.” – disse l’uomo, concentrato su alcuni documenti. – “Dimmi.”
“Ho preso una decisione che è insindacabile.”
John alzò lo sguardo e la guardò, mezzo divertito.
“Ovvero?”
“Avrai una nuova segretaria.” – disse, seria.
John si fece serio a sua volta.
“E se io non fossi d’accordo?” – ironizzò.
“Oh, quello che pensi non
è rilevante.” – scherzò lei, fingendo che
John fosse, alla Livin Home, l’ultima ruota del carro.
John sollevò le sopracciglia, divertito, ma poi tornò serio.
“Perché questa decisione?”
Laney sospirò e sorrise tristemente.
“Perché sono stanca John.” – ammise.
L’uomo sbarrò gli
occhi e temette che la donna potesse rivedere la sua decisione di
trovarsi un altro lavoro o peggio… lasciarlo.
“Laney…”
“Da quando si sa che sto con
te, ho perso credibilità. Sono al tuo fianco non perché
so fare il mio lavoro, ma perché ti apro le gambe; i miei
successi professionali sono passati tutti in secondo piano, certi
dicono addirittura che tanto adesso potrei anche smettere di lavorare,
perché ci sei tu che mi mantieni.”
John si passò una mano sugli occhi, esasperato.
Laney si era guadagnata tutto con
il sudore della fronte e perché a differenza degli altri portava
a termine un lavoro durante il lavoro, anche se si trattava di uscire
alle dieci di sera!
Poteva solo immaginare quanto quei
commenti le dessero fastidio e sperò vivamente che non la
portassero a rivedere la decisione di stare insieme.
“Mi dispiace… non credevo che la cosa degenerasse in questo modo.”
“Nemmeno io. Per questo ti
chiedo di aiutarmi. Di solito non è da me comportarmi in questo
modo, ma se vado avanti così rischio di impazzire.”
– lo supplicò e John si rese conto che era davvero stanca.
“Che avevi in mente?”
– non era nemmeno da lui accettare un simile comportamento ma se
voleva che i suoi dipendenti tornassero a rispettare la mora per il suo
lavoro, occorrevano misure drastiche.
“Tutti credono che farti da
segretaria significhi solo portarti il caffè. Fattelo portare da
qualcun’altra, allora.”
John rise: il caffè.
“D’accordo. Ma se non funziona, io inizio con i licenziamenti.” – scherzò lui.
Laney sorrise grata.
“Grazie, davvero.” – poi uscì e fu accolta di nuovo dal solito minuto di silenzio.
“E questa ti sembra una relazione? Ma ti hanno insegnato a scuola la punteggiatura?”
La vendetta – perché
era di questo che si parlava – di John e Laney era iniziata
proprio dalla persona che aveva dato il via a tutto quel casino.
Allie.
Fingendo una piccola discussione,
John e Laney si erano “lasciati” e ora tutti ricamavano
sullo scoop del giorno, per non parlare di come John avesse messo gli
occhi sulla biondina.
Allie sbarrò gli occhi e
ricontrollando, si rese conto che effettivamente mancava la
punteggiatura necessaria per dare un senso al discorso.
“Io… se vuole la ricorreggo…”
John la guardò stranito.
“Sarebbe molto cortese da parte tua, grazie.” – disse, tagliente.
Allie uscì dall’ufficio con gli occhi lucidi e in molti se ne stupirono.
“Josh!” –
urlò John. – “Dov’è la relazione che ti
avevo chiesto mezz’ora fa?”
L’uomo sbarrò gli
occhi. Cazzo! Se ne era completamente dimenticato! Era stato assalito
dalle chiamate dei suoi colleghi e aveva scordato la relazione!
“Gliela porto subito!”
“Quel subito doveva essere mezz’ora fa!” – urlò John, inviperito.
Laney, seduta tranquillamente alla
propria scrivania, ascoltava quelle urla nemmeno fossero state il
Notturno di Chopin. Sorseggiava il suo tea bollente e batteva i tasti
della tastiera con il solo indice e poco le mancava per mettere i piedi
sulla scrivania e svaccarsi sulla sedia.
Finalmente un po’ di giustizia divina.
Finalmente quegli sfaticati e
impiccioni dei suoi colleghi avrebbero capito che essere la segretaria
di John non significava portargli solo il caffè ma significava
prima di tutto sgobbare come uno schiavo.
“Laney!” – esclamò Josh.
La donna lo guardò, infastidita dall’interruzione.
“Che c’è?” – chiese scorbutica.
“Devi aiutarmi!”
Devo?!, si chiese la donna che iniziò a sentire un lungo e intenso brivido di piacere lungo la schiena.
“Perché?”
“John vuole la relazione sulla fusione della…”
“E perché lo chiedi a me?” – chiese la donna, stranita.
John si bloccò, impanicato.
“Beh, tu sai dove si trova. Io no.”
Il sorriso che gli rivolse, fece capire a Josh che non l’avrebbe aiutato.
“Certo che lo so. E sai come ho fatto a saperlo?”
Stupidamente, l’uomo negò.
“Perché le cose che servivano a John me le andavo a cercare da sola.”
“Ma gli serve urgente!” – esclamò Josh.
“Motivo per il quale ti consiglio di correre.” – ironizzò.
Josh represse una bestemmia e se
ne andò e Laney tornò a sorridere. Poco le importava di
fare la figura della bambinetta dell’asilo, ma a mali estremi
estremi rimedi.
Furono i tre giorni più appaganti di Laney.
Si poté quasi dire che il
sesso l’appagasse meno di quei giorni passati a guardare tutti i
suoi colleghi impazzire per eseguire lavori che lei sarebbe riuscita a
fare in meno di un’ora.
Per non parlare del fatto che, senza le richieste di John, Laney riusciva a lasciare l’ufficio alle sei di sera spaccate, augurando una buona serata ai suoi colleghi che dovevano rimanere in azienda fino a che avessero portato a termine i compiti affidati dal titolare.
Tornava a casa, si faceva un bel
bagno rilassante – da quando era la segretaria di John a malapena
riusciva a farsi una doccia decente – e poi preparava una bella
cenetta per loro due e concludevano la serata con del sano sesso.
Meglio di così non poteva andare.
All’alba del quarto giorno, l’intero reparto alzò bandiera bianca.
Laney entrò alle otto e
trenta, con un bicchiere di caffè bollente nella mano –
quella sorta di tregua le aveva permesso di fermarsi allo Starbucks
all’angolo e bere il caffè durante il tragitto – e
un sorriso di compiacimento sulle labbra.
Quando si ha troppo lavoro da fare, si è soliti perdere meno tempo in chiacchiere e pettegolezzi.
L’intero reparto
l’accolse con un piacevole brusio di sottofondo, le unghie delle
donne ticchettavano sulle tastiere, si parlava al telefono, ci si
scambiava opinioni.
E nessuno badava a lei.
Quando la videro, smisero di parlare e Laney sbatté un piede a terra, capricciosa. Era già tutto finito?
A venirle incontro fu Allie che,
alla fine, fu accusata dall’intero reparto di essere stata la
causa di quel surplus di lavoro quando prima, invece, l’avevano
trattata con i guanti per lo scoop che era riuscita a scovare.
“Sì?” –
chiese Laney, con la mano che già non vedeva l’ora di
rincontrare la guancia dell’idiota.
Allie aprì la bocca ma nessun suon ne uscì.
“Non ce la facciamo più!” – pigolò la biondina, alla fine, scegliendo di dire la verità.
“Non ce la fate più a fare cosa?” – chiese retoricamente.
Si fece avanti un altro collega.
“Il tuo lavoro.”
Laney lo guardò, invitandolo a spiegarsi meglio.
“E’ un casino! John
non è contento di niente! Prima vuole un fascicolo, poi un
altro, poi vuole la relazione, poi vuole…”
“Cosa?” – chiese Laney, con un sorriso al veleno. – “Il caffè?” – ironizzò.
Tutti si zittirono.
“Ma che strano…” – continuò. – “Eppure portare il caffè
a una persona è un lavoro così facile, che sanno fare
tutti, no? Ma forse è più una questione di gambe, che ne
dite?” – frecciò, cattiva.
Oh, non gliene avrebbe fatta passare una!
“Laney…”
“Laney niente!”
– esclamò la donna, furente. – “Sappiate che
quello che avete fatto voi in questi tre giorni io lo faccio in meno di
mezz’ora! Ed è stata la centesima parte dei lavori che io,
come segretaria personale di John, devo fare! Lavoro qui da anni ormai,
e la Livin Home non è una baracca per vagabondi! È
un’azienda che fattura miliardi di dollari l’anno e
occorrono persone qualificate per lavorarci dentro! Quando sono stata
eletta capo reparto ho ricevuto i complimenti di tutti voi
perché sono brava, perché so comprendere le persone,
perché so essere imparziale e perché me lo sono meritato!”
– urlò per farsi sentire. – “Ma da quando
questa imbecille…” – disse, indicando Allie. –
“… vi ha detto che mi frequento con John, automaticamente
le mie qualifiche professionali sono finite nel cesso e se ho ottenuto
il mio lavoro è stato solo perché ho aperto le gambe!
Allora se questo è vero, si può dire che tutti voi avete
dovuto vendere, chi il culo, chi quella che ha in mezzo le gambe per un
quarto d’ora accanto a John! E questo non vi rende meno puttane o
finocchi di me!” – concluse.
Era stata cattiva come il veleno ma almeno si era levata dai denti ciò che più le rodeva.
Tolse la tracolla dalle spalle e la sbatté sulla sedia.
“Credevo di lavorare con
delle persone mature, con degli adulti!” – continuò
a rimproverarli mentre accendeva il pc e sistemava la propria scrivania
per riprendere possesso del proprio lavoro. – “Invece mi
sono resa conto di lavorare con dei poppanti! Non si poteva resprirare
senza che non venissero inviate mail di come io abbia respirato o che
io e John ci siamo guardati per più di tre secondi di fila! Io e
John stiamo insieme e la cosa non vi deve riguardare, mi sono
spiegata?”
Tutti mormorarono degli strascicati “sì”.
In quel momento arrivò John.
Aveva sentito tutto e si disse che quei tre giorni di baraonda forse erano serviti a qualcosa.
“Buon giorno.” – salutò.
Tutti scattarono sull’attenti e salutarono il titolare.
“Ci sono problemi?”
“No.” – disse Laney, guardando i suoi colleghi, pronta a sbranarli se avessero solamente aperto bocca.
“Perfetto. Spero che episodi del genere non si verifichino mai più. Hai le relazioni?”
Dalla tracolla iniziò a
tirare fuori le relazioni che in quei tre giorni erano state fatte
– male – dai suoi colleghi e gliele consegnò.
“Ma… quelle sono le relazioni…”
Laney lo fulminò con lo sguardo.
“Sapevo che affidarvi un
compito come trascrivere la relazione di una riunione sarebbe stato
troppo per voi, così me le sono fatte io.”
“Il lavoro di Laney non
finisce alle sei.” – intervenne John. – “Quando
lei è stata assunta come mia segretaria, sapeva che sarebbe
andata incontro a un lavoro difficile, dove non ci sono orari e poco
spazio per una vita privata. Lo sapeva e lo ha accettato comunque. Ora
siete pregati di tornare ai vostri posti. Vi pago per lavorare non per
spettegolare sui vostri colleghi.”
Come neve al sole, la ressa si dissolse.
John prese le relazioni e andò nel proprio ufficio.
Fu davvero una buona mattinata.
Laney lavorò
incessantemente per rimettersi in pari con il lavoro che aveva lasciato
ai suoi colleghi e notò come tutti si facessero finalmente i
fatti propri.
To be continued?
Sperò di no.
Le porte della Malfoy Home riaprirono lunedì otto Gennaio.
Draco era stato fatto convinto da
sua madre a farsi aiutare, anche finanziariamente, a rimettere in piedi
l’azienda, potendo così dedicarsi a Hermione e al loro
rapporto e a quella proposta che Narcissa sperò facesse il più presto possibile…
Hermione aveva risentito di quel
loro distacco da quando erano rientrati a Londra, ma sapeva quanto
Draco amasse quella società, così si era fatta da parte,
aspettando tempi migliori. Era stata molto felice, dunque, quando Draco
le aveva detto che accettava l’aiuto dei suoi genitori, il che si
traduceva nel passare in ufficio quante meno ore possibili. Poteva
coltivare il suo rapporto com’era giusto che fosse.
Draco, poi, non le faceva mancare nulla.
Aveva annullato le sue visite ai
ristoranti di alta classe, prediligendo le trattorie, le sagre di paese
e gli agriturismi, dove i piatti erano colmi fino al bordo e si usciva
con la pancia piena e l’animo allietato.
Durante la settimana, cercavano su
Internet una sagra, una manifestazione eno-gastronomica,
gastronomico-culturale… insomma, tutto quello che riuscivano a
trovare e poi ci andavano.
Passavano bellissime giornate
immersi nella natura, accompagnati ad ogni punto ristoro da
dell’ottimo cibo. Il loro rapporto si rafforzava giorno dopo
giorno e niente poteva turbare la loro felicità.
Quando misero piede alla Malfoy Home, rimasero a bocca aperta.
Loro due e la fila di dipendenti che entrarono dietro di loro.
Era tornato tutto come prima, salvo qualche modifica apportata dallo stesso Lucius.
L’acquario era tornato,
splendente come agli albori, ripulito di tutte le alghe che si erano
formate durante il suo abbandono, i pesci nuotavano a scatti, colorati
e variopinti. Erano state inserite delle vetrate colorate nei rosoni in
alto tanto da creare diversi fasci di luce a seconda dell’ora del
giorno.
Il bianco la faceva ancora da
padrone, e il colore dei divanetti era stato sostituito da tenui colori
pastello che ricordavano tanto i colori delle lastre di granito con le
quali solevano abbellire una cucina. Sulla parte frontale del
centralino era stato applicato il logo della Malfoy Home.
Le piante erano state buttate e
sostituite con altre più belle e rigogliose, ma che soprattutto
non richiedessero troppa manutenzione – le spese per la
manutenzione degli spazi verdi occupava un bel posto nelle uscite
dell’azienda – e vicino alla fontana era stato creato un
giardino Zen.
Dietro Draco e Hermione si
stagliava la folla dei dipendenti che avevano accettato di tornare a
lavorare per Draco. Si guardavano intorno meravigliati, notando subito
i nuovi dettagli.
Alle pareti erano stati appesi quadri di arte contemporanea, moderna e alcune copie di ritratti di pittori famosi.
La Malfoy Home non era solo perfezione.
Era Arte.
“Tuo padre non si è
risparmiato, eh?” – sussurrò Hermione
all’orecchio di Draco, sconvolta.
“No, direi di no…” – rispose Draco, altrettanto basito.
Curiosi, vollero vedere i piani.
Ogni settore dell’azienda
era stato curato, sistemato e restrutturato a regola d’arte.
Lucius non aveva badato a spese. Gli operai avevano lavorato giorno e
notte a quel progetto, ampiamente remunerati per quel lavoro extra
soprattutto sotto le feste di Natale e Capodanno.
Man mano che i lavoratori
riconoscevano il loro piano, si addentrarono negli uffici per
riprendere i posti che ingiustamente erano stati sottratti loro.
Lentamente, la fila dietro Draco e Hermione iniziò a sfoltirsi,
finchè non arrivarono all’ultimo piano, quello
dell’ufficio di Draco.
“Ho quasi paura ad entrare…” – sussurrò il biondo, di fronte alla porta del suo ufficio.
Aveva deciso
di non mettere nessuna targhetta identificativa, perché non
voleva mettere troppa distanza tra sé e i suoi dipendenti.
Non sapeva cos’avrebbe trovato.
“Dai, tranquillo.” – lo rassicurò Hermione, agitata comunque anche lei.
Draco abbassò lentamente la maniglia.
Era come sentirsi catapultato al
primo giorno come direttore della Malfoy Home, dove aveva abbassato
quella maniglia per la sua prima volta.
Entrarono insieme e rimasero basiti.
Niente del vecchio Arredamento era
stato tenuto per evidenziare quanto ciò che era successo
appartenesse al passato e che fosse necessario voltare pagina per
sempre e ricominciare daccapo con un nuovo spirito.
L’arredamento era tutto
essenziale, tanto che ad una prima occhiata poteva quasi dare
un’impressione di freddo distacco ma qualche dettaglio ben sparso
qua e là aiutavano l’occhio a rendersi conto che
c’era anche una fonte di calore in quell’arredamento: il
quadro di Lucius, Draco e Narcissa in posa faceva bella mostra di
sé dietro la sedia di Draco, per ricordare a quel testone che
loro erano una famiglia e che la famiglia si sostiene a vicenda; il
morbido tappeto a fronde rosso catturava subito l’occhio e divani
che starebbero meglio nel salotto di una casa che nell’ufficio di
un direttore d’azienda, completavano l’arredamento.
Ecco, tutti questi dettagli,
personalmente vagliati da Lucius e Narcissa, davano all’ambiente
una nota calda e accogliente.
“Tuo padre si merita un bacio in bocca. Davvero!” – esclamò Hermione.
“Ohi
ragazzina…” – borbottò Draco, riemergendo da
quello stato di stupore. – “… abbassa le ali.”
Hermione rise della sua gelosia e lo abbracciò.
Avevano lasciato la porta dell’ufficio aperta dalla quale provenivano le voci dei dipendenti.
Sorrisero entrambi quando
sentirono che la Malfoy Home aveva ripreso a vivere con i suoi rumori,
le sue chiamate, le prime lamentele, i suoi abitanti che andavano da
una parte all’altra per ritirare le fatture…
Era una musica alla quale Draco non aveva mai prestato la dovuta attenzione.
Aveva sempre dato per scontato che
l’avrebbe sempre sentita fino al giorno in cui suo figlio avrebbe
preso in mano la gestione al suo posto, continuando così la
tradizione di famiglia invece… una folata d’aria e tutte
le sue certezze erano state spazzate via come una foglia morta caduta a
terra.
Era stato sbalzato via, Draco;
aveva viaggiato, aveva capito, aveva compreso i suoi errori. Hermione
lo aveva accolto e curato con il suo amore, strambo all’inizio,
perché di una cosa Draco era convinto: se Hermione non avesse
provato qualcosa per lui, anche di molto piccolo, non lo avrebbe mai
tirato via da quel rudere.
Era morto Draco, ma Hermione con le sue cure l’aveva riportato alla vita.
Da quel primo giorno di rinascita,
avrebbe smesso di dare per scontato ogni cosa. Avrebbe seguito meglio
la sua azienda, ne sarebbe stato parte integrante e attiva, e avrebbe
fatto di Hermione la sua guida, poiché solo di lei si fidava.
Avrebbero selezionato e scelto insieme le persone di cui avvalersi
nelle transizioni più importanti e avrebbe trattato i suoi
dipendenti non come numeri, non come un insieme di sterline che se ne
andavano dal suo conto ma come persone che per la seconda volta si
erano affidate a lui, che avevano scelto lui nonostante non potessero
avere uno stipendio normale.
“Andiamo a vedere come va?” – chiese Hermione.
A Draco, mentre ripensava a quanto
e come la sua vita fosse cambiata nel giro di un solo anno, erano
venuti gli occhi lucidi. Lui stesso si era reso conto di aver fatto
enormi passi da gigante e di aver percorso una strada che in pochi
avrebbero scelto di fare perché irta di difficoltà ma
anche piena di soddisfazioni personali.
Si stropicciò gli occhi e sorrise.
“Sì, andiamo.”
Uscirono dal suo ufficio e si sorrisero quando sentirono le voci dei dipendenti più concitate, più partecipi.
“No, no, no…”
– sentì dire Hermione da Ginny che, mentre negava,
scuoteva pure il capo. – “… oh me ne frego di quello
che pensi. Mi servivano ancora per due anni fa e… ma chissene
frega se devi scendere in archivio!…”
La lasciarono borbottare contro la persona al di là del telefono.
“… e la avviso: se
non riceverò quel fax entro un’ora mi attaccherò al
telefono come una cozza, mi sono spiegato?”
“… certo, ma credo si possa evitare tutto questo giro se lei mi da il numero. No, no…”
Li vedevano molto più
partecipi, forse spronati dal fatto che prima riportavano la Malfoy
Home agli antichi fasti e prima avrebbero riavuto il loro stipendio
pieno, ma nei loro sguardi e nelle loro voci c’era ben più
della speranza del ritorno dello stipendio: c’era proprio la
soddisfazione di essere tornati a lavorare per un direttore, sì,
intransigente, ma anche giusto.
Fecero lo stesso giro anche nei piani inferiori, trovando la stessa situazione.
Niente poteva andare storto, anzi…
… la degna conclusione di
quell’avventura si ebbe mercoledì 10 Gennaio, quando Draco
e Hermione dovettero incontrarsi con l’avvocato di Nott & Co.
per accordasi per evitare il processo.
Alla fine, sia Pansy sia Theo e
tutti gli altri, avevano dovuto cedere e seguire i consigli del proprio
avvocato che suggerì il patteggiamento.
Continuare sarebbe stato un suicidio e non era garantito che la prigione venisse evitata.
Hermione, Draco e Blaise da una
parte del tavolo guardavano, i primi due con odio, il secondo con
malcelata soddisfazione, Pansy, Theo e gli altri.
Adesso li conosceva anche di vista.
“Cosa proponi Blaise?” – chiese l’avvocato della difesa.
“Niente che i tuoi clienti
non possano dare, Arthur.” – Blaise ghignò. –
“Cinquecentomila sterline di risarcimento per danni morali e
materiali.”
Draco e Hermione lo guardarono straniti. E quella era la sorpresa?
“Sì, credo si possa fare. Organizzerò tutto…”
Gli accusati tirarono un sospiro di sollievo. Se l’erano cavata con poco…
“Oh, forse non hai capito
Arthur.” – disse Blaise, svaccandosi sulla sedia, pronto
per sganciare la mina atomica. – “Cinquecentomila a testa.”
Stavolta Draco e Hermione si guardarono in faccia sbalorditi.
Non appena si resero conto di che cifra sarebbe venuta fuori, tutti i presenti sbiancarono.
“Non… non dirai sul serio, vero?”
“Io sono sempre serio,
Arthur. Cinquecentomila ed evitano la galera. Se accetti, bene,
altrimenti in tribunale la cifra raddoppierà per ognuno di loro
e si beccheranno pure la galera. Prendere o lasciare.”
“Non farò mai un
accordo simile!” – sbottò Theo. – “Non
ho cinquecentomila sterline!”
“Nemmeno io!” – strillò Pansy.
“Come ho detto prima, ho
chiesto solo una cosa che sapevo voi foste in grado di dare. Ho fatto
le mie verifiche e sono venuto a conoscenza di alcuni conti alle
Caymann del signor Nott…”
Pansy si girò di scatto,
allibita. Allora lui li aveva i soldi! E aveva pure avuto il coraggio
di andare a chiederli a lei!
“… lei, signorina Parkinson…”
Pansy si girò, spaventata.
“… può vendere le sue proprietà e racimolare così il denaro necessario.”
Pansy era sbiancata oltre ogni dire.
“Rimarrò senza niente!” – urlò, terrorizzata.
“Cazzi tuoi!” – fu l’istintiva risposta di Hermione
Pansy non rispose.
“Le Caymann hanno un codice di riservatezza che non si può violare!” – sbottò Theo.
“Chissà
perché, ma quando sentono parlare di “concorso in
frode” tutti cantano come uccellini…” –
ironizzò Blaise.
Theo si zittì.
Ci fu un brevissimo consulto dove
l’avvocato della controparte consigliò fortemente di
accettare la proposta. Se i suoi clienti avessero dovuto affrontare il
processo fino alla fine, nessuno poteva garantire che si salvassero dal
carcere.
Arthur si alzò in piedi.
“Accettiamo.”
“Come supponevo.”
– disse Blaise, apparendo sgradito per chi aveva naturalmente
perso la causa. – “Oggi stesso avrai i documenti sulla tua
scrivania. Voglio le firme di tutti. E che siano leggibili.”
Arthur iniziò a mettere via le proprie cose.
“Vedo che non hai perso tempo.” – disse Arthur, inviperito.
“Perché avrei dovuto?
Se i tuoi clienti sono stati così idioti da lasciare prove
ovunque non è colpa mia. Se vuoi prendertela con qualcuno, fallo
con loro.”
A quell’obiezione non
poterono negare. Sia Pansy sia Nott non avevano mai pensato di disfarsi
dei loro computer o dei fax, perché erano talmente sicuri di
farla franca che avevano commesso l’errore più banale che
esistesse al mondo: lasciare prove.
“Avete tempo un mese per
sbloccare i conti e fare il versamento su questo conto.” –
disse Blaise, estraendo dal taschino interno della giacca un foglietto
di carta. – “Oltrepassato questo lasso di tempo, la cifra
si alzerà degli interessi. Adesso, abbiamo finito.” – disse Blaise, duro.
Una volta fuori, Draco non sapeva più come fare per ringraziare Blaise.
Le persone coinvolte erano in
tutto una ventina. La somma che ne sarebbe uscita avrebbe sistemato
tutti i suoi casini e gliene sarebbero rimasti a sufficienza per
ripagare il padre delle spese e mettere altrettanti soldi da parte.
“Ho fatto solo il mio dovere. Ora devo spedire quei fax, scusate.”
Hermione non stava più nella pelle.
“Ah, avvocato Zabini?” – lo chiamò Draco all’ultimo.
“Sì?”
“Passi nel mio ufficio quando vuole. Vorrei parlare con lei!”
Blaise sorrise. I perfetti denti bianchi spiccarono sulla sua pelle cioccolato.
“Che giornata ragazzi…” – esclamò Hermione.
“E non è ancora
finita!” – esclamò Draco, caricandosela in spalla
sotto lo sguardo divertito dei passanti.
“Draco! Draco mettimi giù! Che vuoi fare?”
L’amore.
Ecco quello che fecero per i due giorni successivi.
Erano talmente felici per ciò che erano riusciti a conquistare che avevano sentito il bisogno di dimostrarselo, amandosi.
Forse era stato il fatto che tutto
si era concluso oltre le loro aspettative ma mentre lo sentiva muoversi
dentro di sé, Hermione smise di pensare, fregandosi del
perché o del per come tutto quello era successo.
Era accaduto e basta.
Ciò che non accadde per sbaglio, fu la decisione di Draco.
Fin dai primi giorni, quando aveva
chiesto a Hermione di inviare a tutti i clienti e i fornitori una
circolare che comunicava che la Malfoy Home era tornata nelle mani di
Draco e che sarebbe tornata agli antichi fasti, si era notato un
movimento nelle azioni e negli acquisti.
La produzione e le consegne
andavano ancora a singhiozzo, ma il fatto che molti clienti fossero
tornati da loro per comprare era un buon segno per la ripresa
dell’azienda. Se andavano avanti di quel passo, non sarebbe
servito un anno per rimettersi in piedi, ma molto meno.
Vivevano ancora a casa di Hermione.
Draco ci si era così
affezionato che non se la sentì di lasciare quel posto che per
lui aveva rappresentato la sua prima vera casa. Così decisero di
portare qualche modifica all’appartamento per renderlo più
agevole per la vita di coppia.
Aveva organizzato per quel sabato
sera un incontro tra la sua famiglia e quella di Hermione, dove si
annunciava il fidanzamento ufficiale e dove Draco ebbe modo di mettere
in atto quella decisione presa con Hermione.
“Sei pronto?” – chiese Hermione, entrando in camera.
Trovò Draco seduto sul
letto con una busta in mano e sorrise. Ancora non riusciva a credere a
quello che Draco aveva deciso di fare.
Andò a sedersi accanto a lui e appoggiò il capo sulla sua spalla.
“Come ti senti?”
“Nervoso.” – ammise.
“Lo apprezzerà tantissimo.” – lo rassicurò.
“Ho paura che qualcosa possa andare storto.” – confessò.
“Sono le stesse paure di
quando sei tornato a dirigere la Malfoy Home. Ed erano tutte
infondate.” – gli ricordò.
“Lo so, ma qui non si tratta di un edificio. Si tratta di una persona.”
“Andrà tutto bene, sta tranquillo.”
Draco si girò e la guardò negli occhi.
“Mi dici cosa ho fatto per meritarti?”
La riccia gli sorrise e gli baciò la punta del naso.
“L’elenco sarebbe
troppo lungo.” – disse, guadagnandosi un’occhiata di
sbieco. – “Coraggio, è ora.”
Draco si alzò e prima di uscire la baciò.
“E così vi occupate
di trasporti…” – disse Lucius, interessato. –
“… di che genere?”
“Oh, di tutto e un
po’.” – chiarì Scott, con in mano un bicchiere
di liquore. – “Alimentari, traslochi… non ci
facciamo mancare nulla.”
Scott e Lucius avevano trovato
subito una buona intesa, così come Narcissa con i bambini di
Astoria e Marika ai quali mancava poco per compiere il loro primo anno
di età.
“Sono adorabili!” – esclamò Narcissa, che non sapeva più a chi dare retta.
Astoria e Marika sorrisero. I
bambini avevano da poco imparato a camminare con le proprie gambe e
dovevano correre loro dietro per impedire che si facessero del male.
“Grazie.” – risposero le due mamme.
Nonna Minerva, invece, rimase da parte per permettere alla signora Narcissa di fare conoscenza con quelle due pesti.
“Scommetto che le danno parecchio da fare, Minerva.” – disse Narcissa.
“Mi tengono in allenamento.” – scherzò la donna.
Draco e Hermione, da una parte,
guardarono le rispettive famiglie socializzare amichevolmente quando
l’occhio cadde su Neville e Daphne, leggermente più in
disparte. Di tanto in tanto si scambiavano qualche parola e poi Neville
le massaggiava la schiena, per cercare di darle un po’ di
conforto.
“Narcissa mi scusi…” – la interruppe Daphne.
“Sì? Dimmi.”
“Dove si trova la toilette?”
“Vai lungo…”
“Ce l’accompagno io mamma.” – disse Draco, cogliendo al volo l’occasione.
“Grazie.”
“Dai, vieni.”
Daphne andò dietro a Draco con gli occhi fastidiosamente lucidi e un magone in gola che le faceva male.
“Grazie.” –
riuscì a dire la bionda. – “Ora posso andare da
sola.” – scherzò.
Draco comunque l’aspettò di fuori e venne raggiunto da Hermione.
“Glielo hai detto?”
“No. Aveva bisogno di calmarsi.”
“Capisco…”
In bagno, Daphne andò al lavandino e vi si appoggiò.
Chinò lo sguardo e prese
più respiri per calmarsi. Amava Astoria e Damian ma certe volte
temeva di non farcela, di scoppiare a piangere davanti a loro e
incrinare la loro felicità con i suoi problemi.
Se solo si fosse fatta vedere, se solo non avesse lasciato correre, se solo… alzò il volto e si specchiò.
Naturalmente, piangeva di amara consapevolezza.
Ormai era inutile piangere. Doveva
ringraziare Dio per essere sopravvissuta anche se… anche se
qualcosa dentro di lei ruggiva, che urlava che non era giusto, che
voleva un bambino tutto suo, che crescesse dentro di lei, che le
facesse venire le nausee, che la svegliasse di notte con i suoi
pianti… voleva tutto questo, ma sapeva che non era possibile.
Si sciacquò il volto e
dalla borsetta prese un po’ di fondotinta per coprire il naso
rosso e gli occhi. Quando ebbe finito, trovò eccellente il
lavoro e uscì.
Urlò spaventata, quando davanti alla porta si trovò Draco e Hermione.
“Mi avete spaventata!”
– sbottò. – “Guardate che la strada me la
ricordo, non preoccupatevi.” – scherzò, ma notando i
loro sguardi semi seri, si preoccupò lei. –
“Ragazzi, che succede?”
“Dai…” – lo esortò Hermione.
Draco si fece avanti.
“Prima di tornare di là, volevo parlare con te di una cosa.” – disse Draco.
La bionda lo guardò, confusa.
“Di cosa?”
“Di te Daphne.”
La donna si indicò, sorpresa e guardando la sorella, sperando in un aiuto.
Che non arrivò.
“E perché?”
“Hermione mi ha detto tutto.”
Daphne scosse il capo, confusa.
“Di cosa?”
“Del tuo male, di ciò che ti ha fatto.”
Daphne divenne seria d’un tratto e guardò con biasimo la sorella.
“Ah…” –
disse, ferita. – “… dei tuoi problemi non riuscivi a
parlare, ma di quelli degli altri sì, vero?” –
chiese, sulla difensiva.
“Colpa mia.” –
disse, assumendosi così la responsabilità. –
“Volevo sapere perché nonostante vi amavate così
tanto, tu e Neville non aveste figli. Quando me lo ha detto, mi
è dispiaciuto molto per voi perché se c’è
qualcuno che merita un bambino, quella sei tu Daphne.”
Nonostante le belle parole, Daphne
non riuscì a sentirsi allietata. Hermione l’aveva ferita
troppo profondamente ma la cosa che più la turbava, era il fatto
che sua sorella non sembrava pentita di quel suo gesto, anzi…
sorrideva beata.
“Grazie.” –
rispose fredda. – “Ma come ha detto Hermione, manco della
parte fondamentale per farlo.”
Era nervosa. Non le piaceva
affrontare quel discorso. Ne aveva preso coscienza, ma questo non
significava che lo si potesse trattare come un argomento da osteria.
“Allora vattela a prendere.” – disse Draco, mettendole in mano una busta bianca.
La stessa busta che aveva in mano prima a casa di Hermione.
Daphne la prese e guardò Draco che la incitava con lo sguardo – occhieggiando da lei alla busta – di aprirla.
Per nulla vogliosa di sapere cosa
vi fosse all’interno – il comportamento di Hermione
l’aveva ferita troppo – l’aprì e tutta la sua
rabbia venne rilegata in secondo piano quando notò che
all’interno vi era un assegno. Quando lesse la cifra, si mise una
mano sulla bocca.
Mai visti tanti soldi in vita sua!
“Ma cosa…” – guardava alternativamente Draco e la busta non capendo.
“Per te Daphne.”
– chiarì Draco, commosso di poter fare qualcosa di bello e
importante per qualcuno. – “Ho preso i contatti necessari
con uno specialista americano. Se non te la senti di fare il viaggio
è disposto a venire qua a Londra. Tuo padre mi ha faxato tutte
le tue cartelle cliniche, dall’infanzia fino a oggi e hanno
trovato un utero compatibile per te.”
Le orecchie avevano preso a fischiare e la voce di Draco arrivava ovattata a causa della pressione del sangue.
Era troppo e non ci voleva credere.
Anni spesi a dover convivere con
l’idea di essere una donna a metà e ora le dicevano che
poteva avere un bambino! Se quello era uno scherzo, allora era davvero
crudele!
Guardò Hermione, il cui sorriso si era ampliato a dismisura. Lei… lei sapeva!
Cadde in ginocchio, sorretta da un Draco commosso.
“Il dottor Evans dice che hai ottime possibilità di evitare il rigetto.”
Non riuscì a trattenere il singhiozzo. Troppe notizie… non capiva! Rigetto? Possibilità? Che stava dicendo?
“Certo all’inizio ci
sarà naturalmente da aspettare, nel tuo caso le visite saranno
all’ordine del giorno ma alla fine avrai il tuo bambino, Daphne.
O due, o tre… o tutti quelli che vorrai!”
E non resse.
Pianse talmente forte, da attirare i parenti.
Quando la vide accasciata a terra, Neville corse da lei.
“Stai bene?”
Daphne riuscì solo ad
annuire, con il volto allagato dalle lacrime e la gola chiusa. Era
già tanto se riusciva a respirare tra un singhiozzo e
l’altro… figurarsi a parlare!
“Che ti prende? Daphne mi fai preoccupare!” – squittì Neville, preoccupato a morte.
La bionda inspirò ed espirò profondamente per calmarsi.
“Draco… bam-no… ‘merica…”
Neville scosse la testa. Non aveva capito niente se non il nome di Draco.
Guardò il biondo che fece un breve riassunto.
“Ho parlato con uno specialista americano.”
Neville lo guardò come per chiedergli “e allora?”
“Con l’aiuto di tuo padre, gli ho mandato le cartelle cliniche di tua moglie per un trapianto di utero.”
Non vi fu bisogno di altre spiegazioni. Neville sbarrò gli occhi, incredulo.
“Dice che ci sono ottime
probabilità che l’intervento riesca, così anche voi
potrete avere un bambino.”
Neville cadde con il sedere a
terra con Daphne che era riuscita a riprendersi e ora rideva della
faccia del marito che, alla fine, era la stessa che aveva fatto lei.
“Noi…”
Un ringhio animalesco si fermò in gola. Abbracciò la moglie con tutta la forza che aveva in corpo.
Draco cercò Hermione con lo sguardo.
Le sue lacrime di gratitudine erano il giusto premio per la sua idea.
Quell’incontro fu abbastanza
particolare: doveva essere un incontro tra futuri consuoceri e si era
trasformato in un lago di lacrime.
Di gioia.
La porta dell’ufficio di
Draco rimaneva, nel novanta per cento delle volte, sempre aperta, a
meno che non vi fossero indette delle riunioni.
Quel giorno era chiusa.
“Nervosa?”
Hermione fissava il parcheggio
sottostante, osservando i camion che arrivavano e partivano dal
magazzino. Sorrise quando vide Roger – si trovava in alto, ma
l’uomo era più che visibile per via della sua mole –
salutare il trasportatore e rientrare in magazzino.
Alla fine, Hermione era riuscita a spuntarla su Draco anche per l’organizzazione del magazzino.
“Ma che
problemi ti fai? Lo hai visto anche nella mia azienda che fare i DDT
prima è un risparmio di tempo! Poi magari ti capita che sei di
fretta e combini casini!”
“Ma l’orario…”
“L’orario ce lo scrivono dopo a penna. Dai Draco!… ti stai incasinando la vita per niente!”
“Io… d’accordo. Ma se non funziona, si torna al vecchio metodo.”
“Tanto lo sai che ho ragione io.” – lo canzonò lei, beccandosi il solletico in risposta.
E poi aveva voluto che i magazzinieri usassero la stessa sala mensa dei dipendenti.
Aveva trovato
quel distacco una forma di razzismo bella e buona e viste le
argomentazioni portate in favore, Draco si fece convinto a usare
un’unica mensa mentre quella che era rimasta in disuso, avrebbe
potuto usarla come ulteriore archivio o come sala riunioni.
Ci avrebbe pensato.
“Onestamente non lo
so…” – rispose Hermione con lo sguardo sempre fisso
sul parcheggio. – “A dire il vero mi ero quasi
dimenticata.”
“Ti avevo promesso che avremmo risolto anche questa, no?”
Hermione si girò e gli sorrise.
Sì, gliel’aveva promesso e aveva mantenuto la sua parola. Era davvero cambiato il suo Draco.
Bussarono alla porta e il sorriso di Hermione si smorzò subito.
“Avanti.” – disse Draco, accomodandosi meglio sulla poltrona.
Dall’ingresso, entrò David Linch.
“Buon giorno.” – salutò, a disagio.
“Buon giorno David, prego, accomodati.”
David avanzò di un passo, non riuscendo a guardare Hermione negli occhi per il torto che le aveva fatto.
“Grazie.” – si schiarì la voce.
“Sai perché sei qui.” – disse Draco.
“Sì…”
“Cosa ti aspetti?”
David lo guardò spaesato.
Cosa si aspettava? A dire il vero aveva ottenuto più di quanto
avesse mai osato sperare! Il signor Malfoy non lo aveva denunciato
perché nonostante il danno che aveva causato, aveva anche fatto
di tutto per rimediare e questo, per Draco, era una cosa molto
importante.
Bisognava vedere se anche Hermione era dello stesso avviso…
“Beh, onestamente
niente… già il fatto che non sia finito in prigione per
me è tanto, quindi…” – lasciò la frase
cadere nel vuoto.
“Capisco. Rimane il fatto, però, che sei stato parte integrante del fallimento della mia azienda.”
David chinò lo sguardo.
Hermione era appoggiata alla parete dietro la scrivania di Draco.
Il suo buon cuore le suggeriva di
perdonarlo, che l’atteggiamento di David denotava il massimo del
pentimento per come si era comportato, ma il suo cervello faceva
letteralmente a pugni con il suo buonismo. E che cazzo!, l’aveva
fatta licenziare e per colpa sua non aveva festeggiato il Natale con i
suoi parenti!
Cosa doveva fare?
“Lo capisco.”
“Ma non posso neanche non tener conto dei rischi che hai corso per cercare di rimediare ai tuoi errori.”
David lo guardò di scatto, con gli occhi sbarrati.
“Cosa…”
“Motivo per il quale, io e Hermione abbiamo deciso di darti un’ultima possibilità.”
David divenne rosso e gli occhi si fecero lucidi.
“Io…”
“Il primo passo falso e sei fuori. Mi sono spiegato?”
David guardò anche
Hermione, ferma nella sua posizione. Non sorrideva, né era
arrabbiata. Sembrava che quella questione non la toccasse minimamente.
“Sì, sì
certo!” – esclamò. – “Grazie mille!
Giuro che non ve ne pentirete!”
“Lo spero per te.” – fu l’unica cosa che disse Hermione.
David uscì qualche minuto più tardi e li lasciò nuovamente soli.
Draco si girò con la sedia e guardò Hermione.
“Non sei ancora convinta che riprenderlo sia stata la mossa migliore.”
Hermione fece le spallucce.
“Ho sempre pensato a una cosa: se lo ha fatto una volta, cosa gli impedirà di farlo una seconda?”
“Credo abbia imparato la
lezione. David non è un arrivista e mi era sembrato davvero
felice di avere una seconda occasione.”
“E’ che…”
“Cosa?”
“Da una parte anch’io
lo volevo perdonare, ma dall’altra non riesco a fare a meno di
pensare che quando me lo troverò davanti, me lo vedrò
intento a smanettare al mio computer.”
“Secondo me la guardi dal lato sbagliato.”
Hermione lo guardò storto.
“Draco, non so se lo hai
dimenticato, ma io no: mi hai trattata come una merda secca
perché pensavi che ero stata io a svenderti la compagnia.”
“Allora prova a guardarla da
questo lato: se David non avesse messo su tutto questo casino, tu non
mi saresti mai venuta a prendere in quel rudere e ora non staremmo
insieme.”
Hermione sbarrò gli occhi. A quello non aveva proprio pensato!
“Non è meglio vederla in questo modo?”
Hermione lo guardò e un
piccolo sorrisetto le stirò le labbra. Draco sorrise a sua
volta. Le tese la mano e la fece sedere sulle sue gambe.
“Magari vederla in questo
modo ti aiuterà, se non a perdonarlo, almeno a non roderti
l’anima per ciò che ha fatto.”
Hermione gli si addossò completamente.
“Non mi piace che tu stia diventando più intelligente di me.” – disse.
Draco rise.
“Tranquilla. Non c’è pericolo.”
Hermione rise e poi lo baciò.
Guardandosi indietro, Hermione
pensò che la sua vita, finalmente, avesse potuto definirsi tale
soltanto con Draco accanto e la piccola Elthanin Jean tra le braccia.
Un’altra cosa, forse l’ultima, che accadde per errore, fu la gravidanza di Hermione.
Hermione stessa pensò che
la sua gravidanza fosse la massima espressione dei cliché
televisivi dove la semplice impiegata arriva a fidanzarsi con il
direttore e alla fine della baraonda, gli da un figlio.
Ma quello non era un clichè qualsiasi.
La piccola Elthanin Jean prese residenza nell’utero materno in sordina.
Nessuna nausea per la madre,
nessuno sbalzo d’umore, nessuna voglia particolare…
Hermione si accorse di essere incinta solo perché non aveva le
mestruazioni.
Non vi aveva badato più di
tanto, perché il lavoro alla Malfoy Home era ancora tanto,
nonostante la causa vinta da Blaise avesse aiutato a saldare i debiti
accumulati e ridato il giusto stipendio ai lavoratori presenti.
Dovevano coccolare i clienti, farli sentire dei re per aiutarli nella
decisione che la Malfoy Home era l’azienda di arredamenti che
faceva al caso loro e mille altre cose ancora.
E, quando una sera si
sdraiò sul letto pronta per addormentarsi, l’attimo
successivo scattò a sedere, spaventando Draco. Prese il
calendario e controllò la data dell’ultima mestruazione.
Ben due mesi di ritardo e lei non si era accorta di niente!
Inutile dire che i controlli piovvero a raffica fin dal giorno successivo.
Non avevano mai pensato di avere
un figlio, per il semplice motivo che quello era il periodo meno
adatto: Hermione si era rivelata essere un aiuto fondamentale per Draco
perché sembrava leggergli nel pensiero, anticipandolo in quei
lavori che per il bel biondo erano solo un peso. Alla Malfoy Home il
lavoro non mancava mai e Hermione era riuscita ad ottenere il tanto
ambito lavoro, ma la gravidanza aveva scombussolato di nuovo i suoi
piani.
E quando dopo nove mesi lei e
Draco si ritrovarono in camera, da soli, con la bambina tra le braccia,
la prima cosa che pensò Hermione fu…
“Sai amore…”
“Dimmi.” – disse Draco, mentre sistemava la tutita alla piccola e si dondolava per tenerla calma.
“… credo di aver capito, finalmente.”
“Cosa?”
“Anch’io darei la mia vita per lei.”
“Lo stavo pensando anch’io.”
Perchè quello non era un clichè qualsiasi.
Perché, alla fine, entrambi avevano compreso.
Calli-corner:
Ed è davvero finita.
Mettiamo un punto a questa storia.
Laney e John hanno avuto il loro
lieto fine e anche se è una cosa che in un’azienda seria
non accadrebbe mai, ho voluto mettere su questa piccola sceneggiata,
anche perché non riuscivo a immaginare un altro modo per sedare
tutte quelle chiacchiere inutili che, quando iniziano ad esagerare,
infastidiscono oltre il normale consentito e ti fanno davvero
commettere errori sul lavoro, così Laney e John si sono
accordati per rendere la vita un inferno agli altri dipendenti, che
hanno capito che essere la segretaria del grande capo non significa
solo portargli il caffè.
Daphne e Neville, come promesso, hanno avuto il loro lieto fine.
Premetto che non ho la più
pallida idea se esiste il trapianto di utero, ma siccome ormai la
medicina è arrivata a clonare pure le pecore, ho supposto che
tale trapianto fosse da infilare nella lista delle cose “di
routine”.
Draco ha voluto dare una mano a
Daphne, per sdebitarsi in qualche modo per l’aiuto che aveva
ricevuto lui stesso dalla famiglia di Hermione e siccome Astoria e
Damian non avevano bisogno di niente, il biondo si è concentrato
sulla sorella maggiore di Hermione, donandole ciò che più
desiderava: un utero per ospitare il suo bambino.
Molto coccoloso. *-*
David Linch.
Ammetto che fa molto “e
vissero tutti per sempre felici e contenti” ma anch’io
tendo a dare una seconda occasione a chi si dimostra sinceramente
pentito dell’errore commesso.
David non solo si è
pentito, ma si è messo anche di lena per rimediare, per cercare
di lenire i sensi di colpa e Draco è stato molto coraggioso a
riprenderlo, anche perché è in parte merito suo se lui e
Hermione ora stanno insieme.
Il cliché dei cliché: la gravidanza.
Onestamente, non volevo che
Hermione rimanesse incinta, per evitare di scadere nel banale, ma la
sua gravidanza mi è servita per riallacciarmi al gesto di Jean,
di una madre che ha dato la vita per la figlia.
E ora Hermione e Draco riescono a
comprendere perfettamente il gesto della donna e per la riccia è
un modo per mettere la pietra sopra a tutti i suoi sensi di colpa, nel
sentirsi la responsabile della scomparsa della madre.
Che dire?
Credo che mi prenderò un
paio di settimane ancora prima di postare la mia nuova storia, anche
perché voglio darle un’ultima letta – non si sa mai
– per ricontrollare che non ci siano errori, orrori o minchiate
varie.
Soprattutto minchiate.
Posso solo dirvi di prepararvi,
perché sarà incentrata su Draco e Hermione – ma va?
– ma anche su Ginny e Harry. A ruota appariranno anche gli altri
personaggi, con le proprie storie, gioie e dolori.
Dubito fortemente che
riuscirò a scrivere qualcosa di simile in futuro, perché
se con “Verità Nascoste” mi sono levata le mutande
per tirar fuori tutto quel garbuglio di emozioni contrastanti, con
questa nuova storia mi sono levata la pelle dalle ossa.
Ci saranno parecchi colpi di
scena, momenti dolci, ma anche momenti in cui si vorranno afferrare i
forconi e piantarli nella schiena di qualcuno.
Non vi dico altro. ^_^
Posso solo dirvi che la mia prossima storia si chiamerà “Every Little Thing”.
Un bacio e a tra non molto!
Serena.
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