Eight

di Applejuice
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La prego, mi riporti a casa. ***
Capitolo 2: *** Sorelle ***
Capitolo 3: *** Matti. Tutti matti. ***



Capitolo 1
*** La prego, mi riporti a casa. ***


“Centrale di polizia, buonasera. Qual è il suo problema?”
“Buonasera, mi chiamo Thomas Sullivan. Credo di avere appena visto una ragazza inseguita da qualcuno. Nel bosco dietro alla mia abitazione”
“Cos’ha visto, esattamente?”
“Io e mia moglie, Katherine, affacciandoci alla finestra abbiamo visto una ragazza che correva nella boscaglia. Sembrava proprio che stesse fuggendo da qualcuno, era piena di graffi e sembrava spaventata”
“La vede ancora?”
“No, non la vediamo più. Ma qualche minuto prima che la chiamassi abbiamo sentito delle grida provenire dal bosco. Urla disumane”
“Può descrivere la ragazza?”
“Era bionda, indossava dei vestiti a righe. Non abbiamo visto altro”
“La ringrazio signor Sullivan. Inviamo subito una pattuglia. Dove si trova?”
“Viale dei Platani 32”
“Località?”
“Staltfond”
 
Si svegliò con i palmi delle mani ancora premuti sulle orecchie. Le ginocchia strette al petto, era sdraiata sul marmo freddo. Troppo freddo. Scattò in piedi, e fu colta da un capogiro. Migliaia di macchioline viola le offuscarono la vista. Si appoggiò alla prima cosa che le capitò sotto mano, in modo da non perdere l’equilibrio. Le sue mani trovarono un tubo ghiacciato e arrugginito. Sobbalzò e mollò la presa, e finì per terra. Fissò il pavimento di mattonelle di marmo, troppo freddo e diverso dal parquet di casa sua. Riprovò ad alzarsi, con calma questa volta, e si strinse nel suo pigiama leggero. Le iniziarono a battere i denti. Davanti a lei, le prime luci di una città che si risvegliava.
Era su un tetto, di un grattacielo probabilmente. Da lì, vedeva tutta la città.
Ed era sola.
Pochi minuti dopo, in una centrale di polizia poco distante, squillò il telefono. George Harvey, che quella mattina avrebbe di gran lunga preferito starsene a casa, andò a rispondere.
In seguito, l’ispettore capo Harvey avrebbe raccontato di aver accolto la chiamata della signora Richter, che andando ad aprire la portineria come ogni giorno, aveva trovato una ragazza scalza, in pigiama, sui vent’anni e in evidente stato confusionale. “La signora sembrava molto scossa, per cui siamo intervenuti subito” avrebbe poi continuato Harvey “ma quello della Richter era l’ultimo delle nostre preoccupazioni. Quella notte fu molto strana. Ricevemmo diverse chiamate da Staltfond, il paese vicino, da persone svegliate nel cuore della notte da, riporto le parole esatte, urla disumane. Una chiamata, in particolare, di un uomo che affermava di aver visto una ragazza correre nel bosco, come inseguita da qualcosa. Inoltre, diverse finestre delle ville vicino al centro del paese furono trovate in pezzi, e l’acqua della fontana della piazza centrale aveva assunto un color cremisi. La gente mormorava di un animale indemoniato”.
Quella mattina, comunque, un ora dopo la chiamata, una volante della polizia frenò nel parcheggio del grattacielo Bresten, le gomme che scricchiolavano sulla ghiaia. Entrarono due agenti in divisa, accompagnati da un uomo di mezza età con una valigetta rossa, e bussarono alla portineria. Dall’interno si sentì un ‘Oh! Finalmente’, la porta si spalancò e una signora sui sessantacinque anni spinse l’uomo e i due poliziotti all’interno dell’appartamento. Gli indicò una piccola poltroncina rossa in un angolo. “Non spiccica una parola” disse indispettita. L’uomo si avvicinò. Raggomitolata sulla piccola poltroncina, le braccia strette alle ginocchia e gli occhi spalancati che fissavano il muro c’era la ragazza che aveva descritto la signora Richter al telefono. Sotto una vestaglia verde troppo grande probabilmente offertale dall’anziana portinaia si intravedeva un leggero pigiama a righe. Era scalza, e l’uomo fu colto da un brivido quando vide i suoi piedi. Erano coperti di tagli e il sangue ormai secco si mescolava a fango e melma, i quali lasciavano però intravedere piaghe e vesciche. Sembrava avesse camminato a lungo.
L’uomo si sedette sul divano, di fianco alla ragazza. Notò che aveva tagli profondi anche sulle tempie, e altri graffi più leggeri sulle guance. I capelli biondi erano sporchi di fango. Portava al collo un ciondolo sottile su cui era inciso un nome.
“Emma” lesse ad alta voce, e la ragazza si voltò di scatto “ti chiami così, giusto?”
La ragazza lo fissò, poi annuì e distolse lo sguardo.
“Piacere Emma, io sono il dottor Nelson” le porse la mano, ma era come se lei non lo avesse sentito. Il dottor Nelson rimase qualche secondo con la mano a mezz’aria, poi la abbassò.
 “Qual è il tuo cognome, Emma?” continuò il dottore.
Silenzio.
“Ricordi cos’è successo stanotte, Emma?” riprovò Nelson.
La ragazza fissava la parete.
“Dovrei dedurre che non lo rammenti?” il dottore avrebbe anche potuto parlare con la sua valigetta, non avrebbe fatto differenza.
“Qualcuno ti ha fatto del male, Emma?”
“Miller” sussurrò impercettibilmente la ragazza.
“Come?” chiese il dottore.
“Miller” sussurrò Emma “il mio cognome è Miller. Abito a Staltfond. La prego, mi porti a casa”
 

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Capitolo 2
*** Sorelle ***


Alle dieci, Janet Miller parcheggiò nel bel mezzo del vialetto del grattacielo Bresten liquidando le proteste del posteggiatore con un “Ma mi lasci in pace, idiota”, e si precipitò nel ingresso. Batté fortemente alla porta della portineria, e quando la signora Richter le aprì la scostò bruscamente.
“Allora? Dov’è mia sorella?” sbraitò.
Le venne incontro un uomo di mezza età con una valigetta rossa che le porse gentilmente la mano.
“La signorina Janet Miller presumo. Io sono il dottor Nels…”
“Ma che me ne frega. Dov’è mia sorella?” lo interruppe Janet, oltrepassandolo. Il dottor Nelson, per la seconda volta rimase con la mano a mezz’aria. Se la mise in tasca.
“Sua sorella è andata al gabinetto, signorina Miller, non penso ci voglia molto. Si sieda, prego”
Janet rimase in piedi al centro della stanza. “Che le hanno fatto?” chiese.
“Sua sorella non vuole parlare, abbiamo chiamato lei apposta per…”
“E ci credo che con lei non vuole parlare, con quel brutto grugno che si ritrova. Si rasi ogni tanto, avrebbe meno pazienti terrorizzati e…Oh, Emma!” Janet fece un gridolino abbracciando la sorella appena entrata nella stanza “Cos’è successo? Che ti hanno fatto? Quell’idiota di un dottore ti ha importunata? Ti ha fatto molte domande? Scommetto che è un incapace, Dio solo sa chi gli ha dato la laurea. E quella vecchiaccia, lì che ti ha detto? Ti hanno…”
“La vecchiaccia ha fatto il the” la interruppe la signora Richter, arrivando dalla cucina con un vassoio tra le mani “se vuole favorire… la ragazza è già abbastanza scossa. Un the caldo e dei biscotti sarebbero l’ideale, non è vero cara?” aggiunse sorridendo a Emma e poggiando il vassoio sul tavolino. Emma ricambiò il sorriso.
“E, tanto per la precisione, io mi sono laureato alla Granem University” disse il dottore “vuole un biscotto, signorina?”
 
Il tragitto verso casa con la macchina di Janet fu silenzioso. Emma stava sul sedile posteriore, e guardava distrattamente  la campagna che correva fuori dal finestrino.
“Emma” disse Janet all’improvviso, guardando la sorella dallo specchietto retrovisore “cos’è successo ieri notte?”
Emma non rispose.
“Emma, a me puoi dirlo”
“Non lo so, Janet. Giuro che non riesco a ricordare niente. Ho come un buco nella memoria, ieri sera è  il buio. Ricordo solo una strana sensazione come… adrenalinica. Paura mista a tanta felicità. Capisci cosa intendo, Janet?”
“Certo. Tipo come quando vai sull’ISpeed, no?”
Emma alzò le spalle. “Sì Janet...  Proprio così”
 La macchina ripiombò nel silenzio, che regnò per il resto del viaggio.
 
Arrivarono a casa di Emma, a Staltfond, alle quattro.
Ordinarono una pizza, che mangiarono davanti alla tv.
“Emma, mi vai a prendere una birra? Tutta questa mozzarella mi ha fatto venire una sete. Tu non hai sete? Quel pezzo lo mangi?”
Emma si alzò senza rispondere ed andò in cucina. Prese due bottiglie dal frigo e tornò nel salone. In quel momento, le campane della chiesa Saint James suonarono sette rintocchi. Le bottiglie le caddero di mano, e finirono in pezzi sul pavimento.
“Emma, che hai?” Janet mise in pausa il film “stai tremando”
Le si avvicinò e l’abbracciò.
“Janet” sussurrò Emma “Janet…ora ricordo. Ricordo cos’è successo ieri sera”
 “Dicono che se racconti un incubo poi non lo sogni più” disse Janet, e le passò una mano fra i capelli.
“Ma Janet, quello non era un sogno. Era reale. Ho paura, Jan” piangeva.

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Capitolo 3
*** Matti. Tutti matti. ***


 
Nonostante fosse già sceso il buio (e nonostante non ne avesse alcuna voglia) l’ispettore capo Harvey si trovava ancora al lavoro, quella sera. Più precisamente, si era appena recato nel bosco di Staltfond.
“Avete già identificato la vittima, Jenkins?”
“Sì, signore. Le vittime. Thomas Sullivan, 46 anni. Lo abbiamo trovato questa mattina presto, dopo la chiamata di un testimone che ha assistito alla morte. E lì, a un paio di metri da dove si trova l’agente Stonem, abbiamo trovato la moglie”
“Causa della morte?”
“Strangolati, riempiti di botte. E con una furia pazzesca peraltro” Jenkins porse ad Harvey alcune foto “ecco, guardi queste. Le abbiamo scattate stamani, appena prima che i corpi venissero portati via. Guardi il viso, è quasi irriconoscibile”
Harvey emise un fischio sommesso. “Le metta via Jenkins, mi viene da vomitare. Ha detto che un testimone ha assistito alla morte?”
“Il signor Cobin, laggiù”
Jenkins gli indicò un uomo, seduto su una roccia poco più in là. Harvey si avvicinò.
L’uomo aveva addosso una coperta e stringeva una tazza fra le mani. Sembrava parlare da solo.
“Io gliel’avevo detto… gliel’avevo detto…idiota di un Sullivan...gliel’avevo detto, io avevo…”
“Salve signor Cobin. Sono l’ispettore capo Harvey”
“Ispettore! Ispettore, meno male. Il signor Sullivan e sua moglie hanno bisogno di lei, ma… ma io non li trovo più signore. Non li trovo più. Dove sono? Li ha visti? Dicevano che volevano andare nel bosco a cercare la ragazza perché la polizia non si sbrigava, quei matti! Erano matti. Erano tutti matti. Li ho dovuti seguire, signore, non avevo scelta. Erano matti. Sentivamo le grida, era buio. E poi è spuntata fuori.
Matti. Tutti matti…”
“Signor Cobin, si beva il suo the, che è caldo. Rischia di congelarsi” lo interruppe Jenkins “ispettore, il signor Sullivan è l’uomo che ieri sera ha chiamato in centrale, affermando di aver visto una ragazza addentrarsi nel bosco, ricorda?, diceva che era inseguita da qualcuno. A detta dei vicini, e del signor Cobin, Sullivan non ha voluto attendere la polizia. È andato alla ricerca della ragazza con sua moglie e il signor Cobin li ha accompagnati. Beh, il signore in questione afferma che hanno vagato per ore, seguendo le grida. Poi l’hanno trovata, sempre a detta di Cobin, a piangere rannicchiata sotto un albero. Si tappava le orecchie, ha detto. Sullivan le si è avvicinato per aiutarla, l’ha abbracciata. Lei…”
“Lei si è messa a ridere” intervenne Cobin “mentre Thomas l’abbracciava e la rassicurava lei si è messa a ridere. Era matta. Tutta matta. La sua non era una risata normale, no, per niente. Ce l’ho ancora qui, nella testa, quella sua risata. No, si fidi se le dico se non era normale. A un certo punto Thomas ha urlato. Ha iniziato a tossire e a divincolarsi. Lei lo stava strangolando, capisce? Sotto ai nostri occhi. Gli ha conficcato le unghie nel collo. E intanto rideva”
Fece una pausa, e bevve un sorso di the. Tremava, ma l’ispettore Harvey avrebbe giurato che non era per il freddo.
“Sono scappato. Cos’altro potevo fare? Era  matta. Matta, completamente.  Katherine è rimasta, però. Mentre correvo sentivo le sue urla, urlava il nome di Thomas. Poi… poi non ho sentito più niente. Appena arrivato a casa ho chiamato la polizia”
Si portò di nuovo la tazza alla bocca.
“La ringrazio, signor Cobin, ci è stato di grande aiuto” disse Harvey cercando di sorridergli “di un ultima cosa avremmo però bisogno. È in grado di descrivere la ragazza? So che era buio e che è sconvolto ma sarebbe…”
“Era bionda e aveva una specie di pigiama a righe. Ed era scalza. Aveva i piedi pieni di… piaghe, vesciche, Dio solo sa che schifo erano. Pieni di sangue, martoriati. Non ricordo altro”

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