Alone

di Harryshighnotes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


La osservavo sempre, stando attento a non farmi vedere. Quella ragazza mi intrigava, volevo saperne di più. Ogni mattina la vedevo entrare nel bar a pochi passi dalla scuola, sorseggiare un cappuccino ed uscire, mantenendo sempre lo stesso sguardo apatico. Entrava in classe, si metteva a sedere e in silenzio aspettava l’arrivo del professore. Gli altri parlavano, ridevano e facevano confusione, ma non mi davano fastidio, ero troppo concentrato su di lei. Mi concentravo per riuscire ad intravedere un sorriso o sentire una risata, ma niente. La posizione delle sue labbra sembrava immutabile. Nessuno si era mai accorto di lei. Per gli altri era come un fantasma, invisibile. La sua presenza sembrava non essere importante per la gente, forse perché nessuno sapeva nemmeno della sua esistenza, non essendosi mai presi la briga di conoscerla. Era bella: aveva la pelle chiarissima, capelli lunghi e biondi le contornavano il viso, i suoi occhi erano azzurri come il cielo. Non si truccava mai e si presentava sempre in felpa e jeans. Era diversa da tutto il resto delle ragazze. Si distingueva dalla massa, a modo suo. Le altre erano frivole e senza valori, avevano sempre lo specchietto in mano e nei loro astucci c’erano più trucchi, che penne. Non le sopportavo e quando venivano da me per chiedermi di uscire, le rifiutavo sempre, a volte in modo non proprio gentile.
Il professore entrò in classe, distogliendomi dai miei pensieri e facendo prendere un colpo ai ragazzi che stavano ancora conversando animatamente tra loro. La sua presenza li costrinse a tornare di malavoglia a sedersi.
Dopo altre cinque lezioni, la campanella risuonò nei corridoi. Tutti si alzarono di corsa e si accalcarono vicino alla porta, in attesa di riuscire a lasciare l’aula. Ormai in classe non c'era più nessuno, tranne me e lei. Volevo provare a parlarle, non avevo mai sentito la sua voce. Mi avvicinai al suo banco, e prima ancora che riuscissi ad aprire bocca, se ne andò. Eh sì, quella ragazza mi avrebbe dato filo da torcere.
 
Sarah’s Pov
Capitava raramente che qualcuno si avvicinasse a me, ma quando succedeva sentivo solamente il bisogno di allontanarmi, come per paura che potesse farmi del male. Non mi fidavo di nessuno. Persino tutti i miei parenti -genitori compresi- si erano stufati di me, abbandonandomi. Forse è per questo che sono cresciuta con la ferma convinzione di essere io quella “sbagliata”. Vivevo sola da quasi due anni e mezzo e durante quel lasso di tempo avevo imparato a badare a me stessa, a cucinare, lavare, stirare.. fare tutto meno che crearmi una vita sociale al di fuori delle quattro mura in cui ormai ero intrappolata. Ogni mattina mi alzavo dal letto con la consapevolezza che sarebbe stato solo un giorno monotono e vuoto come tutti gli altri e che nessuno sarebbe mai venuto a salvarmi, nessuno avrebbe mai cercato di rimarginare le mie ferite, nessuno avrebbe mai fatto niente per me, perché evidentemente io non lo meritavo. Quando vidi quel ragazzo avvicinarsi al mio banco lo stomaco mi si chiuse e andai nel panico, non riuscendo a far altro se non scappare via, come facevo sempre quando mi trovavo in difficoltà. Che codarda.
Il giorno dopo entrai in classe e andai a sedermi al mio posto. Tirai fuori il libro di chimica, e subito dopo una mano si posò sulla mia spalla. Mi girai di scatto e vidi l’unica persona che davvero speravo di non dover incontrare. Rimasi come paralizzata, fin quando lui non parlò.
“Ehi, ieri sei scappata via e non ho avuto nemmeno il tempo di presentarmi. Piacere, mi chiamo Harry Styles” disse lui, con tono gentile.
“Sarah, piacere mio” risposi io, cercando di mostrarmi il meno tesa possibile.
Proprio quando stava per dire qualcos’altro, l’ingresso del professore lo costrinse ad allontanarsi dal mio banco per tornare a sedersi di malavoglia al suo posto, che era dall'altra parte dell'aula. Potevo finalmente riprendere a respirare.
L’ora passò fin troppo velocemente e, come immaginavo, lui si avvicinò di nuovo a me. Per la prima volta ebbi il coraggio di guardarlo: era alto e abbastanza muscoloso, cosa che mi intimidiva parecchio. I suoi capelli erano castani e ricci, mentre gli occhi erano di un verde chiaro, valorizzato ancora di più dalla luce che gli colpiva la parte del viso rivolta verso la finestra alla quale mi ero accostata. Capii di essermi imbambolata solo quando mi agitò una mano davanti agli occhi. Arrossii e a quanto pare lui se ne accorse, dato che non tardò a sorridermi.
“A cosa stavi pensando?” domandò con naturalezza.
“N-niente” risposi impacciata, dandogli immediatamente le spalle e tornando a sedermi.
All’ultima ora il professore di filosofia ci assegnò una ricerca da fare a coppie e l’unica cosa che speravo era non capitare con lui. In fondo ero una brava ragazza, perché Dio non avrebbe dovuto ascoltare una così semplice richiesta da parte mia?
“Styles, tu starai in coppia con la signorina Collins” disse il professore.
No. No, no, no, no, no. Non può essere. La campanella suonò, ed io, nonostante i miei tentativi di fiondarmi fuori dalla porta il più velocemente possibile, venni fermata da Harry giusto poco prima di riuscire nel mio intento.
“Vieni a casa mia alle tre e mezza” disse lui, per poi porgermi un foglietto di carta spiegazzato, aggiungendo “questo è il mio indirizzo, cerca di non perderti”. Detto questo finalmente mollò la presa e io fui libera di correre a casa. Le ora passarono in fretta. Una, due, due e mezza… alle tre decisi che era ora di iniziare a prepararmi. Infilai i libri che mi servivano nello zaino, mi misi una felpa, un paio di jeans e delle converse alte. Mi sistemai i capelli in una coda di cavallo e andai davanti allo specchio. Quello che vedevo non mi piaceva per niente, non mi era mai piaciuto. Perché non potevo essere bella come tutte le altre? Cos’avevo fatto di male? Per quanto ci provassi, non riuscivo mai ad accettarmi. Non c’era nulla che andasse bene in me, né dentro, né fuori. L’orologio segnava già le tre e venti, così decisi di rimandare l’auto-distruzione a più tardi ed uscii. Trovare la casa di Harry non fu difficile, ma appena arrivai davanti alla porta mi bloccai. Ero terribilmente spaventata. Non volevo bussare, entrare, né tantomeno vederlo, ma dovevo. Suonai il campanello e subito dopo venne ad aprire una donna dall’aria molto affabile, con lunghi capelli castano scuro e occhi verdi. Doveva essere la madre.
“Accomodati pure cara, Harry è di sopra che ti sta aspettando. La sua camera è la prima a destra. Fa come se fossi a casa tua” disse lei, con tono gentile. La sua estrema confidenza mi stupì, doveva essere davvero una persona dolce. Le rivolsi un sorriso, annuii e salii le scale. Arrivai davanti alla porta e, dopo un primo momento di incertezza, bussai.
“Avanti!” disse lui.
Appena mi vide entrare mi rivolse un sorriso, uno dei più belli che avessi mai visto. Cercai di non bloccarmi, deglutii e camminai verso il letto sul quale era seduto.
“Guarda che non ti mangio” disse lui con tono scherzoso.
Mi sforzai di sorridere e mi misi anche io sul bordo del letto, cercando comunque di mantenere le distanze. Ci fu un silenzio imbarazzante, fino a quando notai una chitarra vicino alla scrivania.
“Tu suoni?” mi venne spontaneo chiedere.
“Ci provo” rispose, per poi sorridermi.
Non avevo idea di come portare avanti la conversazione, così lasciai nuovamente posto a quel silenzio che mi faceva sentire così tanto a disagio. Ero in quella casa da poco più di due minuti e già mi chiedevo quando sarei potuta andarmene. Questa volta fu Harry a sbloccare la situazione, alzandosi dal letto e prendendo dalla scrivania il libro di filosofia ed il portatile.
“E’ meglio cominciare se vogliamo consegnare la ricerca in tempo” disse con tono annoiato, seppur fosse consapevole di non aver altra scelta. Ci mettemmo al lavoro e finimmo prima del previsto, così, appena mi fui accertata che lui avesse salvato il documento nella cartella che gli avevo indicato, mi alzai e mi diressi verso la porta, salutandolo frettolosamente per paura che cercasse di trattenermi ancora in quella stanza. Scesi le scale di corsa ed uscii. Appena fuori feci un respiro profondo, godendomi l’aria fresca che mi sembrava di non sentire da un’eternità. Girai l’angolo, pensando a quanto fossi stata maleducata e a che brutta figura avessi fatto, andandomene di casa in quel modo. Non avevo nemmeno dato il tempo ad Harry di rispondere e, una volta giunta al piano di sotto, non avevo degnato di un saluto neppure sua madre, che era stata da subito molto cortese. Non volevo dare alle persone un’idea sbagliata di me, eppure succedeva ogni volta il contrario. Quella donna avrebbe di sicuro ripensato all’atteggiamento pessimo che avevo avuto nei suoi confronti, iniziando subito a disprezzarmi. Succedeva sempre così, facevo un passo avanti e due indietro, rovinavo tutto prima ancora di riuscire a costruire qualcosa di concreto. Ormai non mi stupivo più dei miei comportamenti, quando mi sentivo sotto pressione o in ansia per qualcosa diventavo una persona totalmente diversa, irriconoscibile. Tutti mi odiavano e davo loro pienamente ragione, perché l’avrei fatto anch’io.
Entrai in casa, venendo immediatamente pervasa dalla solita sensazione di solitudine che non accennava ad andarsene. Chissà cosa si provava ad avere una famiglia calorosa e pronta ad accoglierti al tuo rientro, con un piatto fumante pronto in tavola. Mi mancavano i miei genitori, anche se cercavo di pensarci il meno possibile. Si erano comportati in modo molto duro e freddo con me, sin da quando ero piccola, come se non mi considerassero nemmeno loro figlia. Ero da sempre stata un peso, un fardello di cui liberarsi. Mi dicevano continuamente che non avrebbero voluto concepirmi e che ero stata soltanto il frutto di uno stupido errore che avevano commesso da giovani, poco dopo essersi conosciuti. “Tu ci hai ostacolati, sei solo d’intralcio”. Quelle parole, pronunciate da mio padre, furono come una pugnalata al cuore. Io ero l’errore, lo sbaglio che avrebbero dovuto evitare. Ogni tanto, girando per la casa, ricordavo quei rari momenti di tranquillità passati con loro, anche se quella fu solo una fase passeggera. Evidentemente lo facevano tanto per farmi credere che andasse tutto bene, dato che poco dopo se ne andarono, dicendomi che ormai avevo raggiunto l’età in cui potevo benissimo cavarmela da sola. Avevo da sempre desiderato che mi volessero bene, almeno un terzo di quanto io, nonostante tutto, gliene volessi. Non mi avevano mai accettata, pur essendo sangue del loro sangue. Era questa la cosa che mi faceva star peggio di tutto il resto. Per loro ero solo qualcosa di cui sbarazzarsi, come un insetto fastidioso che continua a ronzare e tu sei lì, pronto ad ucciderlo per liberarti del fastidio che ti sta recando. Mi sentivo così ogni singola ora del giorno, mentre aspettavo con ansia che facesse buio per mettermi a letto e sognare la famiglia ideale, quella che da sempre bramavo.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Quella notte, nonostante i mille tentativi per calmarmi, non riuscii a dormire nemmeno per un’ora. I sensi di colpa per ciò che era accaduto a casa di Harry mi stavano divorando, facendomi sentire una persona davvero orribile. Quando mi rassegnai all’idea che non sarei più riuscita a prendere sonno, decisi di dare un’occhiata alla sveglia e vidi che erano appena le cinque del mattino. Avevo bisogno di prendere una boccata d’aria fresca e soprattutto di fare una bella passeggiata, immergendomi completamente nei miei pensieri. Dopo essermi preparata scesi in cucina e afferrai distrattamente un frutto dalla ciotola posta al centro del tavolo, che avrei mangiato durante il tragitto. Camminai molto più lentamente del solito, mentre la mia testa minacciava di poter esplodere da un momento all’altro. Non avevo idea di come fare, ma dovevo a tutti i costi scusarmi con lui. Quando arrivai davanti alla scuola i cancelli erano ancora chiusi, così mi sedetti su una panchina, accesi l’MP3 e, dopo essermi infilata le cuffiette nelle orecchie, mi lasciai trasportare dalle note della mia canzone preferita.
Gli studenti stavano a poco a poco arrivando e i miei occhi continuavano a vagare in cerca di Harry. Quando lo vidi mi bloccai, e tutta la determinazione che mi sembrava di aver acquisito nelle ore precedenti svanì all’improvviso. Stava fumando appoggiato ad un muretto, con lo sguardo totalmente assente. Aveva i capelli un po’ spettinati, indossava una maglietta bianca con lo scollo a V coperta da una giacca di pelle nera. La sua figura era messa in risalto da un paio di jeans grigio scuro attillati, mentre ai piedi portava delle blazer. Volevo andare da lui, ma mi sentivo come se qualcuno mi avesse inchiodata al suolo. No, non potevo sempre permettere alla paura di comandare a piacere le mie scelte, io ero più forte. Dopo un respiro profondo iniziai a camminare e mi fermai proprio di fronte a lui.
“Ti devo chiedere scusa per ieri, mi sono comportata come una sciocca. Non dovevo scappare in quel modo.. mi dispiace, davvero” dissi tutto d’un fiato fissandomi le punte delle scarpe.
Non rispose. Poco dopo sentii due dita posarsi sotto il mio mento, facendomi alzare lo sguardo. Quando incontrai i suoi occhi il mio cuore si fermò. A causa della mia timidezza non ero abituata a guardare in faccia le persone, e questo gesto inaspettato mi colse di sorpresa.
“Stai tranquilla, non hai fatto niente di male” disse, accennando un sorriso.
“V-va bene. Ora devo andare, ciao” risposi sottraendomi dal suo tocco e avviandomi verso l’ingresso.
Alla fine della terza ora, appena uscii dall’aula di fisica, una ragazza mi venne incontro e mi porse un volantino.
“Ci sarà il ballo di primavera la prossima settimana e sto distribuendo questi inviti a tutti gli studenti della scuola. Durerà dalle otto fino a mezzanotte, pensi di venire?” mi chiese.
“Non credo che serate del genere facciano al caso mio, grazie comunque” risposi.
“Oh.. va bene” disse lei, un po’ delusa. Le accennai un sorriso e mi diressi verso l’aula in cui si sarebbe tenuta la mia prossima lezione.
Quella giornata sembrava non finire più, così, appena suonò anche l’ultima campanella, fui molto felice di poter tornare a casa. Però, prima ancora di riuscire a raggiungere il portone, venni bloccata da un ragazzo che mi si piazzò davanti. Capelli neri più corti ai lati, occhi di un nocciola intenso e un piccolo accenno di barba sul viso. Era più alto di me e aveva un braccio ricoperto di tatuaggi. L’avevo già visto, era uno dei ragazzi più popolari e belli dell’istituto, perennemente circondato da una miriade di studentesse che cercavano -con scarsi risultati- di fare colpo su di lui. Girava voce che si concedesse solo alle ragazze che reputava all’altezza dei suoi standard, non era un’impresa facile convincerlo dati i suoi gusti a dir poco difficili, quindi la domanda che mi sorse spontanea fu perché mai dovesse avvicinarsi proprio a me.
“Ciao. Mi chiamo Zayn Malik, piacere” disse, porgendomi la mano.
“Sarah, piacere mio” risposi stringendogliela, cercando di non far trasparire l’ansia che mi stava assalendo in quel momento.
“Hai sentito che la settimana prossima c’è il ballo? Ti andrebbe di venirci con me?” mi chiese.
A quella proposta mi mancò il respiro e mi si seccò la gola, tanto da non riuscire nemmeno a parlare. Deglutii e, non so per quale assurdo miracolo, riuscii a rispondergli.
“Non sono proprio un’amante delle feste..” dissi.
“Dai, vedrai che ci divertiremo” mi incoraggiò lui “questo è il mio numero, se dovessi decidere di andarci, chiamami” concluse, porgendomi un biglietto.
“Ok, ti farò sapere” risposi.
Lo guardai allontanarsi e, solo dopo aver assimilato tutto ciò che era appena successo, iniziai a camminare.
Un paio di ore dopo decisi di scrivergli un messaggio per accettare il suo invito e per dargli il mio indirizzo, lui rispose immediatamente che mi sarebbe passato a prendere alle otto. Essere invitata ad un evento del genere da Zayn Malik non era certo cosa da tutti i giorni, quindi arrivai alla conclusione che se me lo fossi lasciato scappare sarei stata proprio una stupida. Non mancava tanto al ballo e io non avevo niente di adatto da indossare, così decisi di andare a fare spese in centro. Dopo aver visitato numerosi negozi trovai un vestito davvero stupendo: scollo a cuore, stretto in vita da due fasce che partivano dal seno e si congiungevano in un fiocco che cadeva sul retro dell’abito. Era più corto davanti, mentre dietro aveva uno strascico semitrasparente, tutto sui toni del blu. L’avrei abbinato benissimo con delle scarpe col tacco che mia madre si era dimenticata nell’armadio quando se n’era andata di casa. Ero davvero al settimo cielo, ma tutto quest’entusiasmo cessò lasciando posto ad un’ansia massacrante quando mi resi conto che quella sera avrei avuto gli occhi di tutti puntati addosso.
Sabato arrivò fin troppo velocemente e quella mattina nella mia testa c’era spazio solamente per il ballo. Sinceramente non riuscivo a capire perché mi sentissi così euforica all’idea di andarci.. forse non mi vedevo bella da troppo tempo e volevo dimostrare a me e a tutti gli altri che potevo essere molto meglio di come mi vedevano di solito. Quando arrivai a casa mi preparai subito una tisana per distendere i nervi e andai su YouTube per ascoltare un po’ di musica. Alle sei e mezza mi feci una doccia. Una volta uscita asciugai i capelli e decisi di provare un’acconciatura diversa dal solito facendomi i boccoli. Appena ebbi finito mi misi a testa in giù e li scossi con le mani per ottenere un effetto più naturale. Presi la trousse che tenevo in fondo all’ultimo cassetto del comodino e tornai in bagno. Era da tantissimo tempo che non mi truccavo e speravo di esserne ancora capace. Iniziai con il fondotinta e, per fortuna, la mia carnagione bianco latte non era cambiata col passare del tempo. Misi il correttore su alcune piccole imperfezioni e finii la base con un leggero tocco di blush sulle guance. Applicai un semplice ombretto con i brillantini per dare luce all’occhio e tracciai una riga di eye-liner, senza dimenticarmi il mascara. Per completare il trucco tinsi le labbra con un rossetto color carne, tendente al rosa. Dopo essermi messa vestito e scarpe decisi di abbinare il tutto ad un braccialetto, un paio di orecchini pendenti e una pochette. Mi spruzzai sui polsi due gocce di Chloè e li sfregai per diffondere bene il profumo. Quando mi guardai allo specchio feci quasi fatica a riconoscermi, ero davvero molto soddisfatta del risultato che avevo ottenuto. Guardai l’orologio che segnava le 7.50, stranamente ero in perfetto orario. Alle otto in punto Zayn mi fece uno squillo al cellulare, così scesi le scale stando attenta a non inciampare, mentre la paura iniziò ad impadronirsi del mio corpo, rendendomi incredibilmente tesa. Salii in macchina e lui non disse niente. Si limitò a squadrarmi dalla testa ai piedi, senza nemmeno accennare un sorriso e, anche se mi scocciava ammetterlo, ci rimasi male. Avevo impiegato un sacco di tempo per prepararmi e lui era riuscito a demolire quella poca autostima che avevo in meno di un minuto. Proprio quando stavo per chiudermi in me stessa, come ogni volta in cui mi sentivo a disagio, si decise a parlare.
“Sei bellissima questa sera, mi hai lasciato proprio senza parole..” disse, sorridendomi.
Rimasi di stucco. ‘Allora mi ha notata!’ pensai.
“G-grazie” risposi, arrossendo un po’.
Tutto il resto del viaggio fu piuttosto silenzioso. Scendemmo dall’auto e andammo a fare la fila per mostrare ai due ragazzi all’entrata l’invito che ci avevano consegnato a scuola. Eravamo lì dentro da pochissimo e Zayn si era già fiondato al bar per prendersi da bere. Stetti praticamente tutto il tempo seduta sui divanetti che circondavano la pista da ballo, aspettando che Malik si ricordasse della mia esistenza e lasciasse perdere la sua combriccola di amici, almeno per un attimo.
Verso metà serata partì un lento e quando lo vidi avanzare verso di me non riuscii a trattenere un sorriso. Mi prese per mano e mi trascinò al centro della sala, dove cominciammo a muoverci seguendo il ritmo della canzone in sottofondo. Ci stavano fissando tutti, come se stessero aspettando qualcosa che sarebbe successo di lì a poco, ma che a me in quel momento sfuggiva. Cercai di non pensarci, convincendomi che fosse solo una mia impressione.
“Sei davvero bella..” disse.
Stavo per rispondere, ma non me ne lasciò il tempo.
“..peccato che resterai sempre una sfigata senza amici”.
Dopo aver concluso la frase mi si fermò davanti, fece un ghigno e mi rovesciò addosso tutto il contenuto del bicchiere che teneva in mano, rovinandomi completamente il vestito.
“Ma tu mi avevi detto che..” cercai di finire la frase, ma non ci riuscii perché le parole mi morirono in gola.
“Era tutto uno scherzo. Che ingenua, come potevi anche solo pensare di piacermi?” disse.
Non ci potevo credere. Rimasi immobile e ammutolita, mentre delle lacrime silenziose mi rigavano le guance. Tutti stavano ridendo di me e l’unica cosa che riuscii a fare fu correre fuori in cortile. Stetti a piangere con la schiena contro il tronco di un albero per circa un’ora, nascondendo il viso tra le ginocchia, fino a quando qualcuno non si sedette vicino a me. Ero curiosa di sapere chi fosse, ma allo stesso tempo avevo paura che si trattasse di qualcuno venuto per prendersi ulteriormente gioco di me.
“Si è comportato davvero come un coglione, non devi piangere per uno così” disse.
Conoscevo questa voce, mi era familiare.
“Non voglio che tu mi veda in queste condizioni” risposi, guardando un punto fisso di fronte a me.
Dopo alcuni minuti di silenzio sentii il rumore di un accendino e intravidi con la coda dell’occhio una piccola fiamma. Accese una sigaretta e me la porse. Evidentemente non aveva alcuna intenzione di andarsene, lasciandomi sola a crogiolarmi nella mia tristezza.
“Vuoi un tiro?” mi chiese.
“In realtà non ho mai provato a fumare..” ammisi.
“Beh, da questa sera sì” disse, rivolgendomi un sorriso sghembo.
In fondo non poteva succedere niente di male e sinceramente non mi dispiaceva fare questa nuova esperienza.
“E va bene, dammi qua” dissi con convinzione, girandomi verso di lui.
Mi passò la sigaretta e io me la portai alle labbra, aspirando. Subito dopo averlo fatto fui colpita da un forte bruciore alla gola, che mi costrinse a tossire. Harry scoppiò a ridere ed io insieme a lui.
“Ma che roba è?” chiesi, con voce strozzata.
“Marlboro rosse” rispose “la prossima volta ti faccio provare quelle alla menta” continuò.
“Mi dispiace deluderti, ma non penso proprio che ci sarà una prossima volta” dissi, sorridendo e gettando la testa all’indietro per guardare il cielo e cercare di intravedere qualche stella.
Per un attimo mi scordai della presenza di Harry e ripensai a tutto quello che era successo durante il corso della mia vita, che mi scorreva davanti agli occhi come un film. Perché alle persone piaceva così tanto vedermi soffrire? Che bisogno c’era di umiliarmi in questo modo? Cos’avevo fatto di male per meritarmelo? Sarei sempre rimasta sola, perché per la gente valevo meno di zero, quindi che senso aveva continuare a stare qui? Magari se quel giorno avessi fatto un passo in più, se mi fossi lasciata cadere nel vuoto, ora starei mille volte meglio. Questo ricordo tornava a farsi sentire molto spesso, e ogni volta portava con sé un’inevitabile ondata di amarezza e malinconia, che non sempre riuscivo a mascherare. Ad un certo punto la sua voce ruppe il silenzio, riportandomi alla realtà.
“E’ la seconda volta che ti vedo così pensierosa” disse.
“Eh già” risposi, sospirando.
“Va tutto bene?” mi chiese con aria preoccupata.
“Sì, certo” mentii, rivolgendogli un sorriso forzato.
Lui sembrava perplesso e mi scrutò per un paio di secondi, ma poi, per mia fortuna, lasciò cadere la conversazione.
“E’ tardi, vuoi che ti riaccompagni a casa?” chiese gentilmente, dopo poco.
“Mi faresti davvero un grandissimo favore” risposi, rivolgendogli un sorriso.

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