Birth- How the Danger Days started.

di TheDoctor1002
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Strano posto, per una moto. Una bella moto, tra l'altro ***
Capitolo 2: *** Sveglia, raggio di sole ***
Capitolo 3: *** 43,8 ***
Capitolo 4: *** When the sun goes down ***
Capitolo 5: *** Niente volti, solo maschere ***
Capitolo 6: *** Il battesimo ***
Capitolo 7: *** Solchi e buchi neri ***
Capitolo 8: *** Hit the gas, kill 'em all ***



Capitolo 1
*** Strano posto, per una moto. Una bella moto, tra l'altro ***


Capitolo 1 

Riesco a vederla da lontano. Bella, bellissima, nera come la notte. Con il telaio affusolato e basso, leggera e snella, con la sella di pelle lucida. Il marchio è scritto in vernice bianca su un lato, i caratteri hanno un non so che di aggressivo e seducente, ma certi modelli si riconoscono al volo, anche senza leggerne la marca. 
"Ducati Monster 695 del 2007" sussurro affascinata "perfetta"
Il gruppo di draculiani mi passa accanto quasi senza accorgersi della mia presenza. Con un ampio sorriso appena sbocciatomi sul volto esco dal mio nascondiglio tra gli scheletri delle altre macchine della stazione di servizio abbandonata e inizio a correre verso la moto che uno di loro ha appena lasciato. Riesco quasi a sentire i rimproveri che si auto-infliggono quando faccio rombare il motore. Si girano di scatto come se avessero appena visto un fantasma. Io mi abbasso gli occhialini sul volto,
porto due dita al sopracciglio e faccio una sorta di saluto militare, prima di gridare "See yah*!" e sparire in una nube di polvere. Tutto ciò che resta di me è la scia della mia risata, coperta da un ruggito profondo e minaccioso.

Alla base mi accoglie un lungo fischio. Arresto la moto, metto il cavalletto e mi scompiglio i corti capelli neri per togliere la polvere. 
"Bottino di guerra?" Chiede Lance. Per tutta risposta gli sventolo una chiave luccicante sotto il naso "Vedi? Non era nella tasca interna del suo giubbotto, quindi finisce nella mia." 
Il vecchio Wall-mart non è male, anche se è una sistemazione provvisoria: non dappertutto c'è corrente elettrica, ma qui ce n'è abbastanza da far funzionare le porte automatiche. Ovviamente tutto il flusso viene deviato al generatore secondario e utilizzato durante la notte per le telecamere. "Novità?" Chiedo con tono monotono,
avanzando risolutamente attraverso la hall e attirando gli sguardi di una trentina di persone che si trovavano all'interno. Lui scuote i ricci scuri "Niente, hanno persino ridotto gli uomini di pattuglia. Ci ignorano." 
Merda, penso tra me. 
"Al contrario, ci stanno tenendo fin troppo in considerazione. Stanno tramando qualcosa..." Rispondo, abbandonando su una sedia la mia lunga giacca nera. Lance mi lancia una lattina di cola, calda e scadente, ma pur sempre cola. Dal tetto c'è una vista mozzafiato: Battery city è solo un minuscolo ammasso lontano, a dominare il paesaggio sono la terra e il cielo. Quella terra arida e severa, capace di ucciderti se non ti fai più scaltro di lei, e quel cielo terso talmente blu da entrarti nel cuore come una freccia, erano la mia unica casa. La migliore che potessi desiderare. "Quindi? Che si fa?" 
Già, bella domanda. Vorrei davvero saperlo. 
"Si aspetta, credo. Qualcosa inventeranno. E qualcosa di meglio inventeremo noi" 
"E se andasse male? Se fossero più svelti di noi? Loro sono una nazione intera, noi qualche ragazzino con dei giocattoli nuovi di zecca, cosa potremmo fare se si presentassero con un esercito?"
La so, la risposta. È terribile nella sua semplicità. Dannatamente perentoria, un ordine impartitoci dal destino. La verità è che non ne usciremmo vivi nemmeno se scendessero tutti i santi e imbracciassero le armi insieme a noi. 
"Qualcosa inventeremo" ripeto in modo più rassegnato che fiducioso. Gran bel leader che sei, non ci credi nemmeno tu. 

 

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Capitolo 2
*** Sveglia, raggio di sole ***


Spazio autrice: Sera a tutti! Ecco a voi un nuovo capitolo, questa volta ci sarà da divertirsi! Il gioco si farà più difficile: dovendo combinare i pensieri di due personaggi (Killjoy e, udite udite, il nuovo arrivato, Gerard!) ho scelto di usare due tinte diverse per distinguerli: il POV di Killjoy sarà riportato in nero, mentre quello di Gee sarà in rosso. Are y'all ready?! 

Che flash, dannazione. Un attimo sfreccio via su una solitaria strada che va a finire nel bel mezzo del nulla e l'istante dopo la macchina smette di rispondere. Dei draculoidi mi si lanciano alle calcagna all'istante. 
Forse andavo troppo forte o magari é per i capelli. Le carrozzerie nere e lucide come scarafaggi occupano prepotentemente lo specchietto retrovisore, l'acceleratore è premuto quasi del tutto: prima o poi riuscirò a seminarli, giusto? No, assolutamente no. Dai finestrini sbucano due uomini, i volti coperti da maschere che nella velocità sembrano solo macchie rosse e nere. Distolgo un secondo lo sguardo e il terreno inizia a slittarmi sotto le ruote, quando riprendo il controllo una roccia mi si è parata davanti. Provo a frenare, ma ormai è troppo tardi: l'airbag mi esplode in faccia, lanciandomi il cranio all'indietro contro il poggiatesta. Serro gli occhi istintivamente, digrigno i denti, ma a giudicare dal modo in cui i rumori di sottofondo si sono attutiti sono sul punto di perdere conoscenza.

"Dici che se la caverà?" Commenta una voce sconosciuta con tono perplesso
"Possibile, anche se francamente mi sembra ben avviato lungo la «highway to hell»" Ecco una seconda voce: una donna giovane, probabilmente. Sembra accigliata, distratta, frettolosa di tornare ad altre faccende. "Insomma, hai visto quanto sangue c'era?! Ci vorranno secoli per pulirlo!"
"Potresti, per una volta in vita tua, rivedere le tue priorità? Sarà solo svenuto: dagli un'occhiata, perdio, sei tu il mezzo medico!"
Sfioro il terreno: è la stessa terra arida e bollente che vedevo dietro il parabrezza. Ora percepisco anche l'aria sul mio viso: è fredda, dev'essere appena calata la notte. Vorrei aprire gli occhi, vedere il cielo, ma le palpebre sono terribilmente pesanti. E poi, chi me lo fa fare, di svegliarmi? Non sto bene, così? Certo, sento le costole inclinarsi di più ad ogni respiro, ma se riprendessi conoscenza sembrerebbero coltellate. Forse è che non voglio essere salvato, non saprei.
Avverto un tocco leggero appena sotto la mascella: due dita gelide e delicate si appoggiano sulla giugulare, amplificando il ritmo del mio battito cardiaco come se mi trovassi dentro una grancassa. 
"Hai ragione, c'è battito" commenta lei.
Chissà chi sono...cosa potrebbero volere...Denaro? Non ne ho con me. La macchina? Che se la prendano, se riescono a rimetterla in moto. Potrebbero essere le ultime persone a vedermi in vita, spacciatori o santi che siano. 
Forse potrei....


Gli scosto i capelli rosso fiamma dal viso. Ora non è certo difficile capire perchè lo stessero inseguendo. Faccio scorrere le dita lungo la giugulare e, incredibile, ma c'è battito. Flebile e tenace, come  a gridargli che per lui non è ancora venuto il momento di andarsene. Ho le traveggole: quell'indice si è davvero mosso? No, certo che no, è stata solo un'impressione. Deve esserlo anche quel leggero tremolio della palpebra: dovrei dormire più a lungo.
"Si sta riprendendo!" Constata Lance subito dopo.
Ma che diamine...?


Colori dai bordi non ben definiti mi riempiono gli occhi come un trip. Il cielo è ancora di un bell'indaco, ma non è l'unica cosa ad occupare il mio campo visivo. Una macchia ambrata inizia a definirsi lentamente. Compaiono dei capelli scuri e cortissimi e due macchie color smeraldo, luminosissime. 
Non è possibile. È davvero una ragazza dai capelli neri e gli occhi verdi? Beh, così sembrerebbe. Mi fissa con un'espressione perplessa, ma dopo qualche istante, quando finalmente riapro gli occhi, il suo volto si distende quasi in un sorriso. 
"Sveglia, raggio di sole" mi dice dolcemente, dandomi un buffetto sulla guancia. 
La vedo alzarsi e tornare a tuffarsi nel cofano della macchina sfasciata. "Quella è mia!" Mugugno pigramente. 
"Già...lo era. L'hai ridotta uno schifo, dannazione! Ti rendi conto di cosa significa distruggere così un'Impala del '67? È peggio che uccidere un uomo!"
Richiude con un moto di rabbia lo sportello, il clangore metallico mi fa ricordare dei rumori che ho sentito prima. 
"Senti...se ci tieni tanto puoi anche tenerla, ammesso che tu sappia farla ripartire..." 
"Questo era sottinteso" borbotta lei dirigendosi verso un furgoncino rattoppato e polveroso parcheggiato poco distante e armeggiando con il paraurti fino a tirarne fuori un gancio da traino. Si pulisce i palmi polverosi sulla maglia già macchiata da chiazze scure. All'inizio mi era sembrato olio ma, ora che lo vedo meglio, inizio a chiedermi da quando il lubrificante sia di quel rosso vivo. Devo essere rimasto a fissarla per un po', mi rivolge uno sguardo strano. "Quello che hai sulla maglia..." Provo a giustificarmi "...è davvero...?"
Lei rivolge uno sguardo veloce alle coste della canotta intrise di sangue per poi liquidare tutto con un gesto della mano. "Nah, non è mio..."
"È dei draculoidi? Di quelli che mi inseguivano prima? Li hai ammazzati?!"
"Quanta preoccupazione per qualcuno che aveva intenzione di ucciderti..." Sbuffa, stirando una ciocca di capelli fino allo zigomo per vedere la lunghezza "per la cronaca, in ogni caso, si chiamano draculiani"
"Li hai uccisi, dannazione, l'hai fatto davvero! Non hai pensato che potessero avere una famiglia? Qualcuno a cui tenevano?" 
"Rischio del mestiere, era tutto da mettere in preventivo...Lance, potresti portare tutto alla base, per favore?"
"Base?!"
Indica un punto non molto lontano, poco oltre una duna di sabbia e qualche roccia
"Laggiù, il vecchio Wall Mart"
Quello che la ragazza ha chiamato Lance prova a sollevarmi in piedi, io mi divincolo, finendo di nuovo sulla terra arida. "Che cosa ti fa pensare che io abbia intenzione di seguirti?"
"Non hai troppa scelta, Testarossa: noi o i coyote." Risponde distrattamente tracciando alcune linee sull'aria e salendo in groppa a una moto scura.
"Il mio nome non è Testarossa!" 
Le compare sul volto un mezzo sorriso "Avresti fatto meglio a dirlo prima, Gerard Way" 
"Aspetta, come...?"
Ma lei non mi sente é già lontana. In un battito di ciglia è sparita. 
"Rinunciaci" commenta Lance dandomi una pacca sulla spalla "anche Freud avrebbe la sua gran quantità di seghe mentali se cercasse di capire Killjoy"
.

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Capitolo 3
*** 43,8 ***


Spazio autrice: Rieccomi! Sono finalmente riuscita ad aggiornare, pasticci con l'HTML a parte! Ho visto che alcuni di voi hanno recensito il capitolo precedente e volevo appunto ringraziare Tsunabe e Becky710, grazie davvero! Vi lascio il secondo capitolo, spero vi piaccia! See yah!

-@-@-@-

"Killjoy! Killjoy!"
Una voce allarmata sale dal piano inferiore e mi scuote dal torpore che iniziava ad avvolgermi. Il sole è sulla linea dell'orizzonte e colora tutto di una tinta ambrata, perfino il viso affilato del ragazzetto che ora è davanti a me, stremato. Cerca di riprendere fiato, balbetta qualcosa che a chiunque risulterebbe incomprensibile. 
"Problemi..." Ansima infine "problemi nel distretto di Nord-Nordovest. Una mezza dozzina di draculiani. Si stanno avvicinando" 
Prima che termini la frase sono già lanciata giù per le scale. Afferro al volo la giacca, lasciando che la stoffa logora scivoli sulle braccia. "Hai allertato qualcun altro?"
"No, Killjoy, solo te."
Un sorriso mi si dipinge sulle labbra. "Ottimo"
Afferro il fucile abbandonato in un angolo di quella che per un po' sarà la mia stanza. È rattoppato, un mezzo Frankenstein, fatto da pezzi di armi varie trovate qui e là e saldate alla meglio, ma è un fucile d'assalto di tutto rispetto. Scendo lungo il corrimano delle scale mobili -che, ironia della sorte, sono ferme- e faccio un fischio a Lance, salutandolo muovendo appena le punte delle dita. I suoi occhi neri mi individuano subito e due leggere fossette incrinano la pelle scura ai lati della bocca. 
"Dove vai così di fretta?" Mi grida prima che varchi le porte d'ingresso. Gli sorrido a mia volta
"Sto partendo per un'avventura!" 

Viaggio a tavoletta verso nord-Nordovest per circa cinque minuti. La zona in cui arrivo è facilmente riconoscibile perchè dal terreno emergono numerose rocce, come scogli vicini alla riva. Non ne conosco la provenienza, ma sembrano i denti di una gigantesca creatura sepolta, è piuttosto suggestiva, come area. La chiamiamo la Bocca perchè oltre a questi "denti" si possono trovare dei canyon profondi che possono facilmente ricordare delle gole. C'è qualcosa che non va, il vento non solleva mai tanta polvere, ma il mistero è presto svelato: da lontano vedo il muso di un'auto sfasciata avanzare sull'asfalto sporco sollevando nuvoloni di terra secca. Freno bruscamente e la moto tende per un secondo verso destra. Sollevo gli occhialini per vedere meglio, stringo gli occhi: dietro alla prima vettura ne spuntano altre due, nere e tirate a lucido, con degli stemmi sulle fiancate. 
"Better living" 
Carico i colpi in canna, il vecchio fucile che riflette gli ultimi bagliori del sole morente, e dò un giro all'acceleratore, ma prima che riparta accade qualcosa di inaspettato. All'improvviso da dietro la carrozzeria della prima auto spuntano le ruote posteriori, facendo capolino prima da destra, poi da sinistra. 
Merda.  
Riparto a tutta velocità e pochi istanti dopo la vettura fa un testacoda pauroso, prima di schiantarsi contro una roccia. In men che non si dica i draculiani gli sono dietro. Ammazzeranno il conducente senza pensarci due volte, se solo ne avranno il tempo. Sparo due colpi, vedo le pallottole fendere l'aria. Una riga la carrozzeria all'altezza delle maniglie, l'altra colpisce il guidatore in pieno viso da una distanza di un centinaio di metri scarsi. 
La seconda auto nera si ferma di scatto e ne escono quattro uomini vestiti di un bianco impeccabile, altri tre si uniscono a loro imprecando mentre si tolgono dalle giacche le schegge di vetro. 
"Scenda dalla vettura, deponga le armi e si consegni" questi sono gli ordini che mi impartiscono. Ma c'è una ragione se tre quarti della Resistenza non mi sopporta: io non rispetto mai le consegne. 
Metto il cavalletto, con un'ampia circonduzione scendo e metto subito mano al fucile. Appoggio il calcio alla spalla, la mano destra corre automaticamente al grilletto, mentre la sinistra sfiora leggermente la canna forata e lucida, prima di posizionarsi. Anche le loro armi caricano, si sentono i sottili ronzii dei chargers. Difficilmente spareranno per secondi, sono in superiorità numerica e mi colpirebbero all'istante, ma dopo una manciata di secondi non succede ancora niente. Pochi istanti e avverto il terreno scricchiolare sotto lo stivale di un draculiano. Prima di accorgersene
ha già un fiore purpureo appuntato alla giacca bianca. 
Bum. Quarantatré secondi e otto di Terza Guerra Mondiale. 
Minuscoli dardi che brillano di luce propria si mischiano all'iridescenza dei proiettili vecchio stampo, mentre schivo meccanicamente, sentendomi parte di quell'esplosione di energia come una molecola in una perdita di gas. 
Tutto, assolutamente tutto è parte di me e viceversa. Sento la polvere che si fonde al sudore. Il rumore assordante delle lasergun che si coordina con il battito del mio cuore fino a che l'adrenalina non li rende un unico, palpitante suono. L'arma come un prolungamento di me stessa, i proiettili come se viaggiassi sull'aria, fendendola a centinaia di chilometri orari per attraversare la pelle e i muscoli, inarrestabile e terrificante. 
Dopo quei quarantatré secondi e otto è tornata la calma più assoluta. Lo stesso silenzio che regnava in quella breve fase di stallo, interrotto solo dal lontano cigolio di un furgone in arrivo. 

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Capitolo 4
*** When the sun goes down ***


Ed eccomi di nuovo, dopo qualche millennio con un nuovo capitolo! Quest'ultimo, devo dire la verità, mi convince poco e se qualche anima pia avesse delle critiche, o comunque qualche suggerimento, saranno ben accetti! 

Attivo i fari, davanti a me si crea una pozza di luce bianca in cui danzano migliaia di granelli di polvere. Da lontano Battery City appare come un ammasso disordinato e incandescente di minuscole scintille sparate in aria da un falò e riunitesi tutte nello stesso punto a sudest. Nulla è più appagante di tutto questo: del contatto col suolo, dell'aria secca che si infrange contro il mio viso quasi volesse rimodellarlo secondo i suoi schemi, della sinergia che c'è tra cervello e motore. Un corpo unico, efficiente,
veloce e preciso, il perfetto connubio tra ragionamento e tecnica, la forza bruta che, per una volta, lavora a fianco della ragione. 
Siamo solo io e te, vero, piccola? 
Parcheggio in un angolo dell'area riservata al personale, sollevando gli occhialini e osservando l'alta parete liscia e metallica, soffermandomi solo per qualche istante sulle iridescenze delle sfrigolanti luci al neon dell'area di sosta. 
Vie convenzionali, si direbbe. 
Raccolgo qualche dente di leone dall'aiuola accanto all'entrata, sistemandoli alla meglio e ricordando la premura con cui li metteva nei bicchieri di vetro ogni volta che glie ne portassi. Poi, chiudendo la lunga giacca sul petto così da coprire gli schizzi di sangue, entro attraverso le porte scorrevoli, lanciandomi nella hall intrisa di luce. 

"Dov'è finita? La ragazza di prima, dico..."
Lance mi rivolge per qualche istante uno sguardo stupito, poi scrolla appena le spalle, tenendo lo sguardo fisso sul sentiero di polvere chiara "A saperlo! Ogni tanto succede: prende e se ne va. Sta via qualche ora e poi ritorna. Non ci ha mai detto dove vada, ma sappiamo che fintanto che c'è, qui o in capo al mondo, le cose vanno bene" 

Decisamente vaga, come idea. Provo a concentrarmi su altro, ad esempio ad un modo per tornare a Battery City senza che qualcuno mi spari addosso. O alla fine che farà la mia macchina che, con un cigolio agghiacciante ad ogni sobbalzo, segue il furgone, attaccata ad una catena spessa e oliata. O semplicemente a cosa mi attenderà anche solo tra cinque minuti. Non ho mai perso così tanto il controllo di tutto, giuro, mi sta mandando in paranoia. Cosa mi assicura che non finirò ammazzato? Che diavolo so di loro? 
Si è lanciata in bocca a quei draculiani per te. Perchè non dovresti fidarti di lei? 

Già, Killjoy. La misteriosa ragazza dagli occhi di giada, spunta fuori dal nulla, mi salva e sparisce di nuovo. E per qualche strana ragione sa il mio nome. Non dovrebbe, come fa? Non ho documenti nè tatuaggi, nemmeno un'iniziale scritta sull'etichetta dei vestiti. 
Anche Freud avrebbe la sua gran quantità di seghe mentali se cercasse di capire Killjoy. 
Forse ha ragione, meglio smettere di pensare e basta. Le rocce e la luna ci seguono per altri lunghi minuti, mentre la strada scorre veloce sotto le nostre ruote. 

Quella che chiamano Base è letteralmente un Wall-mart abbandonato. C'è qualche faro e un ragazzo che ci ferma all'ingresso nel parcheggio, ma basta un cenno di Lance per farci passare. 

"Sempre il migliore, Ghoul!" Saluta scuotendo appena le dita poggiate sulla carrozzeria della fiancata. 
Non ci sono molte persone, anzi, ad eccezione di qualche ombra che si muove furtiva dietro i fari, non c'è davvero nessuno e quando anche il borbottio del motore cessa con un tonfo, il silenzio della notte è rotto solo dal suono dei passi delle sentinelle, regolari come i ticchettii di un orologio. Le porte scorrevoli sono spalancate e danno su un salone immenso dal tetto sfondato su cui una volta si dovevano essere affacciate boutique e negozi. Qualche insegna è ancora vagamente leggibile, di altre non è rimasto che un segno chiaro sui muri di un bianco ormai sporco. La hall è la più grande accozzaglia di cose che io abbia mai visto: frammenti di colonne e parti del soffitto crollate, un banco da lavoro coperto di fogli e tondini, un lungo tavolo con qualche sedia, un tabellone colorato con le sue freccette ancora attaccate. Alcune scale mobili collegano il pianterreno a un corridoio ad anello sopraelevato, ma è impossibile dire cosa ci sia.
"Riesci a camminare?" Chiede Lance, accennando col capo alle scale. Ho una leggera fitta al fianco, premo la mano per attutire il dolore, ma non credo che il mio "Certamente" sia riuscito a convincerlo più di tanto. I nostri passi risuonano come spari nel silenzio, ad ogni modo nemmeno di sopra sembra esserci qualcuno che corra il rischio di essere svegliato. Qualcosa di diverso c'è, ad ogni modo: qui sembra che ciascun negozio sia una stanza a sé. In particolare uno molto grande, con l'insegna "Chalice of Harmony", contiene diverse brande separate da tende sottili e qualche cassetta del pronto soccorso, ma anche qui non c'è nessuno. Lance mi fa cenno di scegliere uno qualsiasi dei letti e di stendermi lì, mentre tenta con fatica di aprire un vecchio armadio di metallo cigolante. Appoggia su un tavolo in fondo alla stanza una scatola bianca, due, fino ad arrivare a una decina scarsa prima di trovare quella che dev'essere la confezione giusta. Dopo pochi istanti mi porge un bicchiere di carta contenente un cucchiaio e un liquido opaco e ancora sfrigolante, che emana un fortissimo odore simile a quello della menta amara.
"Cos'è?" Chiedo perplesso, mentre la soluzione schizza goccioline microscopiche ovunque. 
"Antidolorifico, non abbiamo niente di meglio" confida "per ora ti devi accontentare, domani vedremo cosa può fare Killjoy." 
Senza indugiare un altro secondo, serro gli occhi e ingurgito la medicina, contraendo la faccia in un moto di disgusto quando avverto il sapore amaro del liquido nel bicchiere, infine faccio un cenno a Lance, che ha già un piede oltre la soglia, e crollo in un sonno pesante e denso di sogni, con ancora quegli occhi di smeraldo fissati col fuoco nella mia memoria


"Che disastro, vero ma'? Non so nemmeno portarti un mazzo di fiori come si deve...abbiamo avuto qualche problema, sai? Ho trovato il ragazzo che Cobra cercava, anche se non sono troppo sicura, si somigliano così poco...a dirla tutta è stato lui a farsi trovare, sfrecciava inseguito da dei draculiani che hanno iniziato a sparargli addosso, ma come vedi sono riuscita a sistemare le cose. Quando la sparatoria è finita non si era ancora ripreso e Lance gli ha prestato soccorso. Si è svegliato poco prima che me ne andassi, adesso dovrebbe essere alla base e domani mattina..."
Che farai? Sai in che condizioni è? Di cosa ha bisogno? Se avesse preso un'infezione? Se non avesse l'antitetanica? 
"...domattina...non lo so, cercherò di fare qualcosa..." 
Stringo forte la sua mano, anche se non ricambia la presa. Ancora una volta seguo la linea morbida della flebo, fino ad arrivare alla bottiglia quasi vuota che lascia scivolare una goccia trasparente ogni secondo. Il suo viso è rilassato, i capelli ricci e scuri sono sparsi sul cuscino come un'aureola, ogni tanto si sente il rumore delle macchine, mentre l'elettrocardiogramma scorre terribilmente lento e l'odore di varichina dai corridoi mi inizia a dare la nausea. 
"Sto facendo un casino" sussurro "credo che nonna inizi a sospettare qualcosa, non le va più bene che incontri Grace, pensa che possa avere una cattiva influenza. Anche alla base iniziano ad allontanarsi, credono che non sappia quello che faccio, che mi affidi troppo al caso. Sto perdendo le redini di tutto, sto mandando tutto a puttane." 
L'orologio da polso inizia ad emettere piccoli rumorini sottili: segna già la mezzanotte, gli infermieri cambieranno a minuti. Lascio con rammarico la mano debole di mia madre e la appoggio con delicatezza sulle lenzuola candide, voltandomi verso la porta per andarmene il prima possibile. 
"Vorrei solo che potessi sentirmi davvero"
Sussurro, prima di uscire dalla stanza. In pochi secondi sono già in sella, diretta verso casa con il cuore in gola e con la rabbia a spingere sull'acceleratore fino a bruciare il motore. La sabbia sollevata dalle ruote graffia gli occhiali quasi volesse romperli, mentre le lenti a specchio nascondono i miei occhi che, d'un tratto, si sono fatti più lucidi. 

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Capitolo 5
*** Niente volti, solo maschere ***


"Dunque?" Chiede una voce familiare. È calma e serena, la stessa voce che per tutta la notte mi ha condotto lungo i sentieri intricati di un sogno reale e vivido quasi fosse un ricordo "È lui?"
Apro appena gli occhi e la luce del sole ormai alto mi abbaglia. Il fianco sembra andare molto meglio, il dolore ora è passato a una spalla, ma è leggerissimo, più simile ad un fastidio. Accanto a lei c'è una nuova figura. 
Beh...completamente nuova non direi...
È un uomo alto, con dei capelli dorati sistemati in un'onda perfetta e una giacca rossa fin troppo familiare. Mi sorride con quel suo volto pulito che mi aveva sempre accompagnato, sempre, fin da quando era nato. 
"Mikey?" Chiedo sbalordito. Pochi istanti dopo il mio peso lo schiaccia e le sue braccia sono avvolte attorno alle mie spalle. Killjoy, ancora in piedi accanto all'entrata, ride, alla vista dell'espressione felice di Mikey, poi sembra rabbuiarsi per qualche istante, infine semplicemente se ne va. 
"Gee, scellerato, si può sapere che combini? Ti lascio solo qualche settimana e guarda come ti ritrovo!" dice accennando ai graffi sul viso e sulle mani
"Mikey? Tu qui?" Domando sorpreso, quasi fossi un disco rotto "E l'Italia? La ragazza dei tuoi sogni?" 
Lui mette le mani in tasca, fa una smorfia "Ah, diciamo che non è andata troppo bene..." Ammette, scrollando le spalle "Sai, avevo già fatto il biglietto quando mi ha detto che non era interessata a una relazione, tantomeno una così...ad ogni modo in Italia volevo andarci, sprecare così un biglietto sarebbe stato un delitto, quindi sono andato all'aeroporto lo stesso."
"Non vedo il problema" 
"I CD, quelli che mi aveva registrato suo fratello...li hanno trovati nel borsone e mi avrebbero sbattuto in cella se non fosse arrivata lei"
"È arrivata Killjoy?"
"Assolutamente dal nulla"
"E ha messo a ferro e fuoco tutto?"
"Naturale"
"E poi si è volatilizzata?"
"In un batter di ciglia" conferma schioccando le dita. 
Nel frattempo lei é tornata. Dal sorriso compiaciuto sul suo volto deduco che deve aver colto gli ultimi frammenti di conversazione. Si siede a gambe incrociate su quello che fino a poco fa era stato il mio letto. 
"Rosso, rosso, rosso." La sento borbottare tra sé. L'istante seguente alza gli occhi, come se fosse stata colpita da un fulmine e avesse avuto l'idea del secolo nello stesso preciso istante "Giallo!" Gridò. 


Dire che è rimasto sconvolto è davvero poco, povera anima. Mikey e gli altri si sono anche abituati ai miei "colpi di genio", ma sentirmi gridare "Giallo!" nel bel mezzo di un'infermeria alle dieci meno un quarto del mattino credo non sia esattamente usuale. Almeno lo spero. 
Mikey sta cercando di interpretare, ma senza troppo successo. 
"Giallo?" Chiede incuriosito. 
"Giallo." Confermo "dovremmo trovargli qualcosa di giallo." 
"Perchè il giallo? È così..."
"Vistoso?" Chiedo scettica afferrando un lembo della sua giacca rosso fuoco
"Touché" ammette facendosi scudo con le mani "ma ne sei sicura, almeno? Non sarà pericoloso?"
Continuo a osservare Gerard con occhio clinico. Lo immagino in mezzo alla battaglia, cerco di prevedere cosa possono rendere quei muscoli che tiene avvolti negli abiti polverosi. Forse ha ragione, sarebbe davvero un azzardo troppo grande. 
Non puoi giocare con la vita delle persone. Non spetta a te. 
Frank interrompe i miei pensieri, facendo irruzione nella stanza insieme a Toro con un gran sorriso stampato in faccia..
"Killjoy, grandi notizie!" Annuncia scambiando uno sguardo d'intesa con il collega "guarda fuori" 
Ubbidisco agli ordini, per questa volta, e mi accosto a una delle grandi vetrate sfondate. Inizialmente non capisco, poi inizio a scorgere minuscole nuvolette di sabbia all'orizzonte, ad una manciata di miglia da qui. 
"Grandi notizie eccome!" Grido in preda all'emozione, precipitandomi giù dalle scale "Si va in scena!" 
Indosso gli occhialoni e una mascherina di carta bianca, mentre Fun Ghoul nasconde il suo volto dietro una maschera viola e Kobra Kid e Jet Star afferrano velocemente i loro caschi. 
"Finalmente un po' di brio in questa città morta!" Sospira Ray
"Finalmente davvero!" Rispondo io "Fate quanto più casino potete! Non voglio le teste di quei draculiani prima dell'ora di pranzo!" 

"Aspetta!" Le grido, inseguendola per qualche metro. Credo non mi abbia sentito, ma poco prima che io perda le speranze si volta. Probabilmente, dietro occhiali e maschera ha un'espressione interrogativa. "Si?" 
"Portami con te" chiedo col fiatone "Voglio ripagarti in qualche modo per ieri"
"Non puoi" ribatte fredda dopo qualche istante "sei ferito, ricordi?"
"Ci sarà pur qualcosa che posso fare!" 
Per un istante sembra andare in tilt. Anche gli altri se ne accorgono, si avvicinano a lei per un istante, ma con un cenno nervoso della mano e un sottile "Sto bene" li allontana. 
"Per il momento non è davvero il caso: tu sei ferito e non hai conoscenze, da quanto mi risulta. E loro sono armati. Potremmo parlarne più avanti." Sentenziò, avviandosi verso la porta scorrevole. "E ad ogni modo non serve che rischi la tua vita per ricambiare: è il mio lavoro" 


 
Il furgone sobbalza sulla strada calda e polverosa. Mi passo di nuovo una mano sul volto, un po' per eliminare il sudore, un po' per eliminare i ricordi. Mi sembra ancora di sentire la sua voce: "Dai, Jenny, portami con te! Non darò fastidio, te lo prometto!" 
Mikey mi posa una mano sulla spalla, come a rassicurarmi. Non dice una parola, ma è il suo modo di rinnovarmi una vecchia promessa e riesce sempre a risollevarmi anche nelle nottate peggiori. 
L'euforia sembra scomparsa e mi sento uno schifo, sapendo di aver guastato anche questa festa. Killjoy, quale nome più appropriato, dopotutto? Grazie al cielo Frank vede i draculiani in fuga e l'inseguimento rimette in circolo l'adrenalina: tutti gridano di accelerare, tutti sperano in un loro passo falso o nell'improvviso decollo del furgoncino scassato (il che lo porterebbe probabilmente verso l'oltretomba delle quattro ruote più di quanto non ci sia già). Un colpo di arma da fuoco "saltato fuori dal nulla" fa sbandare l'auto nera davanti a noi e in pochi secondi la battaglia inizia. Il casino annunciato c'è in tutta la sua meraviglia: le nuvole di polvere si sollevano voluminose, i colpi di pistola si mischiano a pezzi di canzoni cantate tra i denti. Ogni tanto al testo originale si aggiunge qualche imprecazione per un proiettile avversario che stava per andare a segno,  o un colpo mancato di poco, ma nel complesso ci sta bene. Riusciamo a tirarla avanti solo per poco, qualcuno riesce a fuggire, nemmeno si sa come. Quelli che non si sono salvati non erano particolarmente forti, ci hanno preso poco tempo ed energie, ma speriamo in un secondo gruppo, in qualche squadra di soccorso, qualsiasi cosa. 
Rientriamo presto alla base con il portafogli un po' più pesante e qualche pacca in più sulle spalle, perchè "dannazione, era davvero un colpo da maestro, quello! Dritto dritto sul distintivo!" 
Mi prendo i miei cinque minuti di gloria senza farmi troppo pregare: dopotutto il breve conflitto mi ha rinvigorita. Ad ogni modo, tra inchini teatrali, baci lanciati a folle di adulatori invisibili e bouquet di rose immaginari, non posso fare a meno di notare l'espressione sul viso di Mikey, ancora tesa e, per certi versi, preoccupata. 
Ancora una volta, sembra che voglia ripetermi quella promessa: troveremo Grace, la troveremo viva e, qualsiasi cosa succeda, ti aiuteremo a difenderla. 

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Capitolo 6
*** Il battesimo ***


"Non posso crederci, dannazione, chi ha fatto questo macello?!" 
Sbotto, sollevando la maglia di Gerard sulla schiena ed esaminando con cura i graffi che nessuno si era preso la briga di medicare. Passo una mano sulla carne viva che sbuca attraverso i sottilissimi tagli sulla pelle: in alcuni punti si intravedono granelli di sabbia che cercano sistemazione nelle ferite aperte. 
Con una certa esitazione, Gerard indica Lance, come a non volerlo mettere troppo nei guai. 
"Beh, il dolore gli è passato!" Si difende lui da dietro il suo banco da lavoro, sollevando appena lo sguardo dal motore della vecchia Chevy. 
"Vandalo." Borbotto, prendendo da un angolo dell'infermeria una tanica d'acqua e versandone una generosa parte sulla schiena di Gerard. 
Lui impreca tra i denti, cercando in qualche modo di togliersi l'acqua di dosso quasi stesse andando a fuoco "Che ti è saltato in mente, sei impazzita?!" 
"L'acqua o la morte per infezione. Dicono sia abbastanza dolorosa..." 
Mi accosto all'armadietto di ferro per estrarre un flacone di mercurocromo e alcune boccette di vetro di un bel colore ambrato. Sulle etichette sbiadite riconosco i nomi delle sostanze lette sul libro di medicina e le poso accanto a Gerard. 
Con un tovagliolo imbevuto di liquido rosso intenso inizio a tamponare leggermente le ferite, infine strofino un piccolo angolo di pelle all'altezza della spalla. 
"Comunque" lo minaccio puntandogli contro l'indice "quegli psicanalisti non hanno in mano niente!" 
Torno alla dispensa per prendere una siringa, ma lì sembra non esserci. Cerco allora nei cassetti, ottenendo un discreto successo e trovando una siringa sterilizzata usa e getta. 
"Battery City Hospital?" chiede Gee malizioso, leggendo il nome inciso sul lato. 
"L'ho presa in prestito." mi giustifico, cercando di prelevare dalla boccetta ambrata le anatossine, ma la mano mi trema terribilmente. 
Mantieni la calma, dannazione, che farai se rischierà la vita?
Lance mi sposta delicatamente e prende il mio posto. "Non preoccuparti, faccio io" mi rassicura. Cerco di evitare di guardare la siringa tra le sue dita, uscendo, ma quando lo sguardo sfiora per caso la punta dell'ago, un brivido percorre la mia schiena e serro per un istante gli occhi.  
Rientro dopo pochi secondi con ancora una mano sul viso. 
"Tranquilla, l'ho buttata via" rassicura Lance. Solo allora ho il coraggio di sbirciare e constatare che, effettivamente, di aghi non ce n'é più neanche l'ombra. 
"Paura degli aghi?" Chiede Gerard massaggiandosi il braccio con aria distratta. 
"Fanne parola con qualcuno e giuro che ti porto a conoscere i coyote direttamente nelle loro tane." Rimbecco con l'aria più minacciosa che un corpo tremante possa consentire. 
"Tranquilla, dolcezza, solo per sapere!"
"Si è ambientato" constatò Lance con tono forzatamente neutro
"Già, l'avevo notato...ehi Testarossa!" chiamo Gerard, distraendolo da un accuratissimo esame della spalla "Che dici, ti andrebbe di imparare a sparare?" 

"Due mani" mi ammonisce Killjoy, facendo aderire i palmi contro il metallo della pistola. È una lasergun piccola e fredda, bianca immacolata, probabilmente rubata a qualche draculiano. 
"Guarda come faccio io: entrambe le mani sul calcio e due dita sul grilletto" 
Ribadisce, afferrando saldamente la sua pistola
"Credevo bastasse tenere un dito solo, c'è chi di pistole ne usa due!" 
"Per ora impara così, quando saprai sparare avrai tutto il tempo per fare Lara Croft."
Prende la mira in pochi istanti e, tenendo salda l'arma tra le mani, fa fuoco, centrando in pieno il bersaglio colorato sul muro esterno del Wall Mart. 
"Prova tu" mi invita con un sorriso soddisfatto "prima alla mia maniera e poi alla tua, coraggio!" 
Per il primo colpo tengo la lasergun con entrambe le mani, facendo ben attenzione a mirare precisamente il cerchio giallo sulla parete, poi lascio partire il laser, che si infrange sul muro circa due centimetri più in alto. 
"Devi familiarizzarci un po', è normale, ti ci abituerai" rassicura lei.
Provo ora a lasciar cadere una delle due mani. Stringo forte l'altra sul metallo chiaro e porto il braccio all'altezza degli occhi in modo da avere l'arma sulla stessa linea dello sguardo, infine lascio partire il colpo, che va a lasciare un foro precisamente al centro del mirino. 
Killjoy per qualche secondo sembra stupita, subito dopo sbuffa: "la fortuna del principiante". Si allontana borbottando ancora tra se e piazza tre lattine vuote di mojito-soda su un muretto di mattoni alto circa un metro che costeggia quello che una volta doveva essere il parcheggio. Parte da lì e cammina a grandi passi, arrivata a una certa distanza mi fa cenno di raggiungerla. 
"Prova a beccare una lattina" mi sfida con tono accigliato. Il viso è corrucciato, tiene le mani ai fianchi e mi guarda come farebbe una bambina arrabbiata. Vederla così è strano, dopo tutto quello che è successo. Cerco di paragonare la ragazza che mi ha soccorso nel deserto, quella malinconica che è sparita quando ho ritrovato Mickey e ora questa specie di bambina intrappolata nel corpo di una donna, ma non trovo alcun nesso tra le tre. 
Quante maschere indossi, Killjoy? 
"Avanti, che aspetti?!" Ripete con una punta di rabbia mista ad aspettativa nella voce. 
Mi scosto i capelli rosso fiamma dal viso, prendo ancora la mira e faccio uno, due, tre centri. Killjoy sembra sempre più incredula. 
"Non c'è che dire, Testarossa: è il tuo mestiere" ammette con ancora lo stupore dipinto in faccia. 
"Quindi potrò venire con voi, la prossima volta?"
Lei fissa per un istante un punto imprecisato davanti a se, prima di sospirare un sommesso "vedremo". 
Solleva all'improvviso lo sguardo con un luminoso sorriso sul volto. 
"Ma tu non hai ancora un nome ufficiale!" Constata. Non posso che darle ragione, non so proprio di cosa stia parlando. 
"Un...nome?"
"Certo, un nome! È una tradizione della nostra squadra: Mickey è Kobra Kid, Frank è Fun Ghoul e Ray è Jet Star. Io, ovviamente, sono Killjoy. Non è un nome che scegliamo: sono due parole scelte a caso dal dizionario. Solo io faccio eccezione: il mio nomignolo mi é stato affibbiato."
"Affibbiato?" Chiedo curioso, accompagnandola di nuovo verso l'interno del centro commerciale.  
"Non tutti apprezzano che io faccia sempre di testa mia" ammette scrollando appena le spalle. 


Tutti sono riuniti in cerchio, attorno a un falò crepitante che getta scintille sulla terra battuta del parcheggio. Il cielo è sereno e la via lattea è chiaramente visibile, quasi a indicarci un cammino. Fun Ghoul osserva con una certa curiosità il nuovo arrivato, distogliendo lo sguardo quando questi ricambia. È piuttosto divertente spiarli, sembra stiano giocando a tennis. Kobra Kid pulisce gli occhiali per l'ennesima volta e Jet Star non trova pace, rigirandosi sul posto e sedendosi ora con le gambe incrociate, ora con le ginocchia distese, senza mai trovare una posizione comoda abbastanza. 
"Bene signori" esordisco con un ampio gesto delle braccia, a indicare ognuno di loro "immagino che vi starete chiedendo perchè vi ho riuniti qui...Frank? Hai il dizionario?"
Lui agita un ammasso polveroso di carta. La copertina si è scollata del tutto, lasciando solo i fogli spiegazzati e strappati. Appoggia il tomo per terra e lo apre a caso, circa a metà. Indica una parola random, tenendo gli occhi chiusi, infine emette la sua sentenza: "Party!"
Tutti sembrano piuttosto soddisfatti dall'esito della prima estrazione, Gerard in particolare. Frank resta in attesa, ora è il mio turno di parlare. 
"Quindici" decido, e il ragazzo moro inizia a sfogliare le pagine sottili ed ingiallite, contandole ad alta voce finchè non arriva al numero stabilito. Qui copre di nuovo gli occhi, scegliendo un'altra parola dall'elenco. 
"La seconda parola è...post office?" 
Inutile dire che la solennità dell'evento e il clima di tensione che ero riuscita a creare si sono sfaldati in questo preciso istante, facendo piombare un silenzio imbarazzato e perplesso. 
"Party post office?" Chiede Mikey "Si può cambiare? È terribile!" 
Annuisco brevemente e faccio cenno a Frank di tornare indietro di due pagine. Estrae così una nuova parola "La seconda parola é...ehi, niente male...poison!" 
Questa volta sembrano tutti piuttosto soddisfatti e non posso fare a meno che dare ragione a Frank: si, decisamente Party Poison è un nome splendido. 
"Gerard Way" annuncio "accetti di entrare in questa squadra? Di combattere, vivere e morire per riportare la bellezza che a questo mondo è stata sottratta? Rifiuterai ogni forma di tirannia, ti opporrai con determinazione ad ogni sopruso? Darai supporto e conforto ai tuoi compagni nel momento del bisogno così come loro faranno per te? Darai loro la fiducia che meritano e prometti di non tradire mai il corpo che ora ha intenzione di accoglierti? Prometti che mai coinvolgerai in questo conflitto civili ed innocenti e, anzi, li proteggerai e farai tutto ciò che é in tuo potere per far si che la popolazione rimanga estranea alla vicenda? Prometti che non ucciderai mai per vendetta o per un tornaconto personale?"
Il silenzio cala pesante, mentre tutti sembrano riflettere su quelle parole.  Gerard sembra essere stato colpito nell'animo, come se quel giuramento si fosse impresso a caratteri di fuoco nel suo cervello. 
"Io, Gerard Way" risponde con tono basso e solenne, mentre le fiamme lanciano lucenti bagliori negli occhi che ancora tiene fissi sulle braci "mi assumo tutte le responsabilità che l'ingresso nella squadra comporta. Rispetterò sempre le promesse fatte questa notte e non rinnegherò mai i principi su cui questa divisione si fonda. Lo giuro." 
"Lo giuro." Ribadiscono fermamente gli altri all'unisono. 
Sorrido leggermente, guardandolo negli occhi. Mi sembra quasi impossibile che la piccola testarossa spaventata che abbiamo salvato dai draculiani sia qui. E lui non solo è qui, ma ha anche capito, ora è dei nostri. Sostiene la nostra causa, combatte al nostro fianco, prosegue con noi un cammino lungo, difficile e pericoloso senza alcuna paura. Gli prendo le mani, stringendole entrambe e appoggiandole alle ginocchia. 
"Benvenuto tra noi, Party Poison." 

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Capitolo 7
*** Solchi e buchi neri ***


Capitolo 7

Le notti qui sembrano non finire mai. Finita l’iniziazione siamo rimasti un po’ intorno al falò, ma ancora le prime luci dell’alba non erano sorte quando l’abbiamo spento. Guardo l’orologio digitale sul muro dell’infermeria: segna le 4:16 a caratteri rossi. Decisamente troppo presto. Inizio a camminare un po’ in giro, cerco di ambientarmi, potrebbe essere un modo interessante di ammazzare il tempo. Giro scalzo, cercando di fare meno rumore possibile, passando accanto alle stanze dei miei nuovi compagni. Quella di Mikey è vuota, ma la cosa nemmeno mi stupisce più, a casa ci avevamo fatto l’abitudine. L’unica da cui provenga ancora una flebile luce è quella di Killjoy.

“Mikey, ti prego!”
Riesco appena a sussurrare. Lui sembra inamovibile, intransigente. Ha lo sguardo accusatore di un padre severo, in piedi, nel bel mezzo della stanza, con le braccia conserte. 
“Jenny, rispondimi sinceramente: quanto tempo è che non dormi più di due ore di seguito?”
Non ho il coraggio di dirlo davvero. Mi ha chiamata col mio nome, nessuno lo fa da ormai molto tempo. Quando ti chiamano per nome le cose si fanno serie, lo sai. “Quattro giorni, forse cinque.” Ammetto con atteggiamento colpevole “Ma che importanza ha?” 
“Devi dormire. Non reggerai a lungo così, lo sai. Perchè non ti arrendi? Prenditi un attimo di riposo, ai monitor ci penso io.” 
I monitor. Sono sei, tutti ammassati. Trasmettono frammenti di strade in bianco e nero, la loro luce tremolante mi illumina il viso, evidenziando ancora di più le occhiaie scure. 
“Ho un brutto presentimento. Orribile, davvero. Non so cosa sia, ma devo scoprirlo.” 
Mikey si avvicina alla sedia, accucciandosi sui talloni e prendendo le mie mani nelle sue. 
“Pensi vogliano farle del male?” 
Annuisco “Non riescono a prendere me, così colpiscono lei e la usano come esca…fin troppo semplice come schema” 
Sembra rifletterci anche lui. Come se l’avessi preso in contropiede, cerca di studiare questa nuova possibilità, di familiarizzarci. 
“Jenny…” sussurra “ti ho fatto una promessa, ricordi? La troveremo. Gee è qui e sta bene e io davvero non so come tu abbia fatto. Ora tocca a me mantenere la mia parte: so come ci si sente quando il proprio fratello è in pericolo.” 
Mi prende il viso tra le mani, posando un leggero bacio sulla fronte “Va’ a dormire, ora. Qui ci penso io” 
Con riluttanza mi alzo dalla poltroncina girevole e attraverso la stanza fino alla parete opposta. Mi appoggio al materasso fin troppo morbido e rivolgo un ultimo sguardo alla schiena di Mikey, già seduto alla postazione. 
“Mi avviserai se succede qualcosa?” Chiedo con voce flebile
“Solo se mi prometti che dormirai”
“Promesso”. Annuisco ancora, ma non chiudo nemmeno gli occhi. Sbircio le webcam da dietro le spalle di Mikey, fingo di dormire quando si gira per controllarmi, ma addormentarsi per davvero è impossibile. Mi basta chiudere gli occhi perchè quella brutta sensazione prenda la forma di una piccola, indifesa bambina dai capelli ricci. La immagino persa, la immagino ferita, abbandonata da qualche parte, lontano da chi si dovrebbe prendere cura di lei e nasconderla.Le luci pulsanti dei monitor illuminano ancora il mio volto, trasformando i solchi sul mio viso in buchi neri, i miei occhi in portali per il vuoto. 
Ancora una notte passa insonne ma senza allarmismi e lascia finalmente spazio a un nuovo giorno.

“Sorgi e splendi, dolcezza, è un gran giorno!” Trilla Killjoy con un tono euforico che ben poco le si addice. 
“Gran…gran giorno?” Riesco appena a balbettare, infilandomi i vestiti e cercando di mettere a fuoco ciò che vedo. Lei è in piedi davanti alla porta, indossa un giacchetto di jeans pieno di spille e sembra al settimo cielo. 
“Oggi c’è la Riunione Strategica della Resistenza e sai questo cosa significa?” 
“Significa…”
“Esatto!” Grida lei senza neppure farmi finire la frase “una nuova occasione per mettere in ridicolo Sanderson, grazie miei dei!” 
Fa una piroetta e sfreccia giù per le scale più velocemente di quanto i miei sensi appannati riescano a recepire. Con un sospiro mi ravvivo i capelli, infine scendo verso il piano inferiore. 
Quello che era un atrio vuoto si è trasformato in una sala riunioni. L’ammasso di casse e scatoloni è stato nascosto da una parete di stoffa bianca su cui vengono proiettati numeri, mappe e diagrammi a cui non sto dietro. 
“Killjoy” indica un ragazzo dai capelli neri e lucidi, con una punta di disprezzo nella voce “gentile ad unirti a noi. Sei in ritardo di circa mezz’ora.” 
“Uno stregone non è mai in ritardo…” Replica lei, andandosi a sedere su una sedia vuota e posando i talloni sul tavolo. 
“La faccenda è seria.” Torna ad ammonirla lui “ci sono stati…”
“Gravi disordini, si, ne ho sentito parlare.” Interruppe, alzandosi dalla sedia girevole e cigolante e strappando di mano al ragazzo un puntatore laser. Indicò una vasta area a sud di Battery city “E da quanto so, la mia zona risulta quella più tranquilla. Zero civili uccisi. Dell’area nord est è forse meglio non parlare, mi chiedo chi sia l’incompetente a cui è affidata.” 
“Quel razzo è stato un incidente.” Sibilò il ragazzo, cogliendo la frecciatina. 
“No, Sanderson, non lo è! Non può esserlo, lo capisci? Pestare i piedi a qualcuno è un incidente, scambiare il sale con lo zucchero è un incidente. Far partire un missile terra-aria su delle abitazioni civili non è un incidente, è da ritardati, da idioti! Cosa sarebbe successo se fossero state occupate? Hai idea del pericolo a cui ci hai esposti con la tua inettitudine?” 
Nessuno ha più il coraggio di dire una parola. Il tono della voce di Killjoy si è alzato talmente tanto da far tremare il vecchio Wall Mart fin nelle fondamenta, mentre le fiamme nei suoi occhi non accennano a spegnersi. Nessuno ha il coraggio di dire niente, ma negli sguardi di ognuno si legge a chiare lettere lo sconcerto. 
“Ora, se non vi dispiace, ho una colazione a base di whopper che mi attende.” Sposta repentinamente lo sguardo verso il gradino della scalinata su cui mi sono appollaiato per gustare la scena e all’improvviso mi sento come un ladro colto in flagrante “Gee, tu vieni?” Chiede infine. Io annuisco leggermente ed insieme attraversiamo le porte scorrevoli, mentre gli sguardi attoniti dei comandanti si posano su di noi per poi scollarsi solo quando il rombo profondo della Ducati nera squarcia il silenzio della sala.

“Non ci credo, li hai davvero zittiti!” Ripete Gee per l’ennesima volta, prima di addentare il suo panino da due soldi. Io per l’ennesima volta alzo le spalle “Te l’avevo detto che l’avrei messo in ridicolo, no?” 
Guardo fuori dal vetro da due soldi del burger king da due soldi che avevamo raggiunto: una deserta e polverosissima strada da due soldi. Niente di più, niente di meno. 
“Ottimo” annuncio “avevo circa un piano per oggi, ma è andato a farsi fottere o non me lo ricordo, più probabilmente entrambe le cose…questo a conti fatti significa che abbiamo la giornata libera, no?” 
Gee mi rivolge un’altra delle sue occhiate confuse, quelle in stile non so di cosa tu stia parlando ma se ci divertiremo per me è okay “Suppongo tu abbia ragione” conclude, facendo spallucce “che hai in mente?” 
“Decidi tu!” Rispondo alzando le mani, come a non volermi assumere troppe responsabilità “Un giretto in città, una gita al mare, cercare di capire dove sono finiti Frank e Ray…”
“Sono spariti?”
La mia aria rassegnata sembra eloquente “A volte lo fanno…vanno a caccia di ricognitori senza uno scopo preciso, tempo fa sono arrivati fino in Texas per inseguirne uno.” 
“Dunque…” Esamina Gee “Arrivare fino in Texas per recuperarli non mi sembra troppo fattibile e, da quanto so, c’è una taglia sulla mia testa, dalle parti di Battery City.”
“Non dirlo a me, hanno dovuto cambiare il formato delle foto segnaletiche per farci stare l’importo della ricompensa” 
“Immagino che il mare sia una buona scelta” 
“Fantastico” commento, avviandomi verso l’uscita “devo solo passare dalle parti del WallMart per prendere un paio di cose”

“Sono pronta!” Grida Killjoy lanciando un borsone nel sedile posteriore della mia Impala. 
“Ottimo, cerca di non addormentarti durante il tragitto, devi darmi le indicazioni.” 
“Non se ne parla, piccolo nabbo: la macchina è mia.” 
“Me l’hai rubata!” Puntualizzo, facendola salire comunque al posto di guida. 
“L’avevi disintegrata. Io l’ho…fatta resuscitare, automobilisticamente parlando.”
Indossa gli occhiali calandoli sul viso, prima di partire premendo l’acceleratore sempre di più, continuando ad accelerare mentre lo spostamento d’aria diventa talmente rumoroso da costringerci a chiudere i finestrini. Passo metà del viaggio a guardare fuori e l’altra metà a guardare lei. Dal bordo della maglia si intravede un frammento di tatuaggio, insieme al nastro rosa del suo costume. Sorride appena, ha il viso rilassato, ma il modo in cui stringe il volante tradisce una certa ansia. Ho la tentazione di chiederle cos’abbia, cosa sia successo ieri sera e chi sia Grace, ma sono certo che mentirebbe. Eluderebbe ogni domanda con un sorriso, mettendo in campo un altro argomento senza nemmeno darmi il tempo di rendermene conto o, più semplicemente, non risponderebbe. 
“Che dici, vuoi provare a chiamare i latitanti?” Chiede all’improvviso, più per rompere quel silenzio imbarazzante che per una vera ragione. Io muovo appena le spalle, non è male come idea. 
“Prendi pure il telefono, è nel vano portaoggetti” comunica tamburellando le unghie affusolate su uno sportellino di plastica. Lo apro e, insieme a una decina di patenti e documenti falsi mai visti prima, trovo un piccolo cellulare, di un modello davvero vecchissimo, con ancora i tasti e lo schermo verde. 
Cerco velocemente il numero di cellulare di Frank, ma non perdo troppo tempo: è tra le prime cinque chiamate perse. Aspetto solo pochi istanti prima che risponda una voce squillante: “Guastafeste, dannazione, dove sei?” 
“Ray!” Grida in risposta, strappandomi il telefono dalle mani “dove sono io? Dove siete voi?! È tutta la mattina che vi cercano!”
“Due parole, chica: COS-TA-RICA!” 
“Costa Rica? Che dannazione ci fate in Costa Rica, dove Cristo è il Costa Rica?” 
“È lo staterello vicino a Panama! Stavamo inseguendo un ricognitore” spiega Frank 
“E questo è saltato letteralmente in aria!” Interviene Ray
“D’accordo, e il Costa Rica?” 
“Oh, non c’entra con quello, era solo per raccontartelo! È che a Battery City non fanno una pina colada come si deve nemmeno a pagarla, perciò siamo finiti qui.” 
“Cercate di rientrare subito e cercate una qualche legge della fisica che spieghi come abbiate fatto a coprire più di tremila miglia di strada in una decina scarsa di ore. E portatemi un paio di quelle pina colada.” 
“Agli ordini!” 
Riattacca bruscamente e con un sorriso soddisfatto ad illuminarle il volto. 
“Ci salutano”, conclude, richiudendo il cellulare nel portaoggetti “Sai, non manca molto” 
“Quanto, circa?” 
Lei indica una direzione alla sua destra senza seguire nemmeno con lo sguardo il movimento del suo dito “A ore due, dolcezza!” 
All’inizio non vedo nulla, penso si sia sbagliata, ma è sufficiente aguzzare un po’ la vista per notare una sottile striscia di mare turchese e scintillante, a tratti fuso a un cielo limpido e terso. 
Avevi dubbi? È una che non sbaglia mai, neanche quando ha torto. 
Posteggia la macchina nel preciso e desolato centro del nulla, a pochi passi da un pino marittimo che sfida il deserto pur di crescere in quel punto esatto. Estrae la borsa dal sedile posteriore e, una volta che anche io sono sceso, chiude la macchina a chiave, quasi corressimo il rischio di incrociare davvero qualcuno. Appoggiamo tutto sulla sabbia rossastra di una minuscola baia e ci sfiliamo i vestiti restando in costume. Scopro così che il suo tatuaggio sono due enormi ali da angelo ripiegate che coprono tutta la superficie della schiena. 
Non si prende nemmeno la briga di mettersi un po’ di crema solare, corre verso l’acqua cristallina e fresca del Pacifico e si getta tra le onde, riemergendo dopo pochi istanti con i capelli corvini appiccicati al viso. 
“Avanti, Gee, l’acqua è fantastica!”
Sorride, mordendosi appena le labbra. Non deve certo ripetere l’invito, sono già da lei. Corro sulla sabbia morbida sfidando le conchiglie e sul fondale poco profondo, battuto dalle onde. L’acqua mi sfiora prima le caviglie, poi i polpacci, le ginocchia, man mano rallento, fino a fermarmi prima che la pancia si bagni. 
“È…è gelida!” 
“Che ti aspettavi? È l’oceano, dolcezza!” Commenta lei, trascinandomi per un braccio, in modo da farmi cadere in acqua. Trascorriamo la giornata tra dispetti e vendette, stendendoci al sole per asciugarci e ributtandoci in mare. Lei sorride, è una ragazza normale in una nazione normale, la Killjoy di Battery City sembra sparita. Solo un dettaglio la tradisce: il minuscolo cellulare viene controllato di continuo alla ricerca di chiamate perse e messaggi.

“Sai, ieri sera ti ho sentita parlare con Mickey…” Abbozza di punto in bianco, dopo l’ennesimo controllo del telefono. 
Cerco di restare impassibile, anche se la cosa mi è difficile: mi sento colta in flagrante “Non volevo svegliarti, mi dispiace” lo svio. 
“Non è questo, tranquilla” continua lui “Solo…chi è Grace? Perchè è così importante?” 
Obiettivo centrato in pieno, il solo nome mi manda in crisi. Mi sembra di sentirlo pronunciato da persone diverse, in luoghi diversi. Riconosco le sale bianche degli edifici BLI e percepisco le minacce a cui quel nome è accompagnato.
Lei è al sicuro, ricordi? Mickey te l’ha promesso. 
“Lei…lei è molto importante per me, davvero. Non ha fatto in tempo a conoscere la pace, ma portava speranza ovunque: tutt’oggi è la sola cosa che mi spinga ad andare avanti. È una bambina. Ha sei anni, adesso, è sotto la custodia di sua nonna, ma non mi fido più di nessuno. Da quando è nata ha sempre dovuto scappare, sempre, eppure non l’ho mai vista piangere. È coraggiosa come un leone.” Racconto con un sorriso nostalgico ad accarezzarmi il volto “Ed è anche mia sorella.”

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Capitolo 8
*** Hit the gas, kill 'em all ***


La strada scorre veloce, davvero troppo, tanto che le ruote sgommano sull’asfalto liscio un paio di volte. L’espressione sul viso di lei è un cocktail letale: ansia, paura, rabbia, frustrazione. 
Controllare ogni secondo quello stupido e piccolo cellulare non è stato poi tanto utile: il messaggio arrivò all’improvviso, un fulmine a ciel sereno. Non disse una parola, saltò in macchina e, come guidato da un istinto risvegliato solo da poco, la seguii. 
E ora eccoci qui, lanciati come proiettili sulla Route Guano, il motore sul punto di saltare in aria, diretti verso Battery City.

Non è morta, non è morta: vai più veloce, ti prego. 
Premo di più sull’acceleratore, anche se ormai aderisce al fondo dell’abitacolo e la nostra velocità potrebbe far andare in tilt un autovelox. 
Non è morta, non è morta. Ma presto lo sarà, se non ti sbrighi. 
Oltre il tramonto, Battery sembra sorgere come una fenice: prendendo fuoco, lasciando che le minuscole luci di case e locali la infiammino più di quanto non possa fare io con benzina e fiammiferi. 
Non è morta, non è morta. Uccidili tutti: rimanda i draculiani indietro con la coda tra le gambe. 
Tutto inizierà a bruciare, ma lei sarà già in salvo. La stringerò a me, tenendola al riparo dal fiele che le BLI mi hanno iniettato. 
Non è morta, non è morta: lei non morirà mai.

Il quartiere residenziale è piccolo e tranquillo, le vie sono costeggiate da villette a schiera tutte bianche ed identiche tra loro. L’erba dei giardini è curata, gli anziani che abitano in quelle case chiamano i giardinieri una volta ogni tre settimane, di giovedì. Tutto è tranquillo e pacifico, proprio come deve essere. Faccio irruzione in una delle villette come un uragano, Gee non sa se seguirmi o meno, sembra disorientato. Già dai primi passi si capisce che nulla è tranquillo e pacifico come dovrebbe essere: il corridoio di ingresso è cosparso dei cocci del servizio bianco con le decorazioni rosse, quello che usavamo sempre a Natale. Dalla cucina si sente un singhiozzo sommesso: bingo. 
“Dov’è lei?” Grido entrando nella stanza, interrogando la familiare figura accartocciata sui gomiti, con il viso tra le mani. Nessuna risposta, solo il volto rugoso cosparso da lacrime salate. “Dov’é?!” Ripeto con foga ancora maggiore. 
“Io-io non lo so” si giustifica tra i singhiozzi l’anziana “sono solo entrati e l’hanno portata via, non so dove siano, lo giuro!” 
“Chi, voglio sapere chi è stato!” 
“I draculiani, quelli con le maschere bianche: sono stati loro, la mia bambina, la mia piccina…” 
Tra i frammenti, per terra, noto una foto: ritrae una bambina di circa dodici anni che tiene in braccio una neonata. Nell’immagine ci sono anche una giovane donna con un sorriso splendido e pieno d’amore e un uomo calvo dallo sguardo apprensivo. D’istinto, scuoto la testa, tornando a fissare la donna ancora in lacrime. 
“Come fai a difenderlo ancora?”

“Le Better Living. Guido io, tu impugna la lasergun: ci sarà da sparare.” Annuncia percorrendo a grandi passi l’ordinario vialetto della casa da cui era appena uscita. Siedo al posto del passeggero, lei allaccia la cintura, io ho bisogno di potermi muovere. Prima di partire afferra il mio viso tra le punte delle dita e mi ruba un bacio con una prepotenza inimmaginabile, per una figura tanto esile. 
“Buona fortuna, Testarossa.” Mi augura con un mezzo sorriso, lasciando scorrere la lingua sul labbro superiore. Vorrei ribattere, dicendo che Testarossa non è il mio nome e che ho imparato a sparare solo l’altro giorno, ma per un attimo non conta. Importa solo che io prema quel dannato grilletto e che Grace torni da lei il prima possibile. 
“Anche a te” sussurro appena, mentre con una sgommata paurosa fa inversione ad U e si dirige verso il grattacielo bianco che svetta al di sopra di ogni altra costruzione a Battery City. 
I primi cinque chilometri sono calma piatta, Killjoy sembra volare, facendo slalom e sfiorando le carrozzerie di decine di automobili come in un qualche Fast And Furious. Mi ordina di chiamare gli altri, Frank mi dice di riferire che sono già per strada e che, secondo i suoi calcoli, dovremmo riuscire a chiudere il furgone delle BLI all’incrocio della 34esima. E quel dannato incrocio arriva, eccome: cinque isolati prima tre auto nere iniziano ad inseguirci. Riesco a sfondare i parabrezza, ma non sembra fermarli. “Le gomme!” grida Killjoy “mira alle gomme, dannazione!” 
Aveva ragione, saldi 3x1: basta mandarne una in testacoda per far saltare anche le altre. 
GJ, MAN!* ” Urla una voce alla mia destra: Fun Ghoul ha il busto fuori dal finestrino di un’utilitaria col motore degno di una Ferrari, il pollice sollevato in segno di ammirazione. “Sono arrivati!” comunico a Killjoy, dallo specchietto retrovisore colgo un guizzo della guancia dietro una maschera nera che aveva appena indossato. A pochi metri da noi svolta un furgone bianco, il logo nero delle BLI stampato sulla fiancata. Faccio per prendere la mira e colpire le gomme, ma lei mi abbassa l’arma, facendo segno agli altri di chiuderli da destra. 
“L’avresti uccisa. Rilassati, pistolero, la parte divertente non è ancora iniziata!”

“Teneteli buoni, io apro.” ordino secca. I due draculiani alla guida del veicolo chinano il capo sotto la minaccia delle lasergun di Kobra Kid e Jet Star. Una maschera antigas mi copre metà del volto e degli spessi occhialoni neri l’altra metà: qualcosa mi dice che non reagirà bene, non riconoscendomi. 
“Grace!” chiamo, colpendo la carrozzeria “Grace, ci sei?” 
Dall’interno non esce un suono, neppure flebile. 
Andiamo, dannazione, riesci a tener testa a una banda di anarchici, vuoi non cavartela con una bambina di dieci anni? 
Dal sedile posteriore della franken-tilitaria, come l’ha ribattezzata Jet Star, arriva un piede di porco e quelle serrature fatte di carta velina cedono subito. 
Esito un istante prima di aprire le porte, Mikey mi guarda con la coda dell’occhio, quasi a rassicurarmi, infine sento una voce provenire dal van. 
“Jenny? Jenny sei tu?” 
Il mio cuore ha un tonfo. Un salto da diecimila piedi senza l’ombra di un paracadute e, dietro le lenti, gli occhi si sono fatti più umidi di quanto non sarei mai disposta ad ammettere. 
“Sono io, piccola. Sono venuta a prenderti.” 
Apro la portiera, cerco di nascondere il fucile il più possibile, tolgo la maschera. In quell’istante una nuvola di capelli castani mi salta al collo, stringendomi con una forza inaudita e chiamando il mio nome. “Lo sapevo che mi saresti venuta a prendere, lo sapevo!” 
Ricambio la presa ferrea con una stretta altrettanto vigorosa, chiudendoci in un abbraccio che sa finalmente di casa per entrambe. 
“Signorine, non è per scomodarvi” Interrompe Frank, sollevandosi la maschera sul naso per parlare “ma temo che quelli delle BLI non siano troppo propensi a festeggiare il ricongiungimento familiare con noi, non so se mi spiego…” 
Sollevo il viso dalla matassa di ricci di Grace per guardare Gee. 
“Guida tu, dolcezza. Facciamo che per stasera la macchina è di nuovo tua.”

Il viaggio di ritorno è molto più tranquillo dell’andata. La vecchia Chevy è modellata dal tempo sul mio corpo, le cui forme combaciano alla perfezione con i solchi e la pelle consumata dei sedili. Il posto di pilota è il più comodo del mondo e la luce del tramonto la più bella. La linea nera dell’orizzonte fa sembrare il deserto un tizzone ardente, portandomi una sensazione di pace che non avevo mai provato, neppure prima di tutto questo. 
Volto appena la testa e, a quanto pare, non sono l’unico a godere di questa serenità: Killjoy ha la testa appoggiata al sedile, gli occhi chiusi. Tra le sue braccia, Grace ha assunto una posa praticamente identica. Sorrido, osservando i tratti morbidi del viso della maggiore tra le due sorelle, che per la prima volta, dorme un sonno ristoratore e pacifico. Il volto scavato dal deserto sembra essersi addolcito e le labbra rosee sono distese in un leggero sorriso. Quasi non somiglia alla stessa donna di stamattina, combattiva, segnata, vecchia di millenni e con il peso della responsabilità di troppe vite addosso. La bambina che stringe le somiglia molto, con l’unica differenza dell’innocenza ancora dipinta sul volto, quella stessa innocenza che Killjoy aveva lavato via col sangue e la polvere da sparo. 
Quasi non me la sento di svegliarle, una volta arrivati, ma qualcuno deve aver ordinato della pizza, il suo aroma inconfondibile invade l’intera base. Quello è forse il miglior richiamo, infatti entrambe scattano verso il focolare, dove gli altri si stanno spartendo il cibo degli dei. Grace non sembra neppure turbata, solo molto stanca. 
“Non ho avuto paura” racconta, con la vocina colma di coraggio “sapevo che saresti arrivata. Papà diceva sempre che avevi dimenticato tutti noi, ma io non gli credevo.” 
“Certo che non devi avere paura, tesoro! Finchè ci sono io non ti succederà mai niente, te lo prometto. E poi, qui hai tanti amici: hai Lance, Frank, Ray, Mikey e Gerard: ti aiuteranno sempre se servirà.” Risponde la sorella con un sorriso. 
Eppure anche in quella felicità, persino in quella festa, anche quando la missione era compiuta e i pericoli immediati erano stati neutralizzati, non posso fare a meno di sentire che il cuore di Killjoy é ancora stretto in una morsa di dolore, accuratamente nascosta da una risata argentina.




*GJ, MAN! = "good job, man!" espressione utilizzata in ambito videoludico per congratularsi tra giocatori

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