Preda in casa propria

di lupacchiotta blu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Non è la mia immaginazione ***
Capitolo 2: *** l'uomo nero ***
Capitolo 3: *** La forza della determinazione ***
Capitolo 4: *** I problemi non vengono mai da soli ***
Capitolo 5: *** La luce in fondo al tunnel ***



Capitolo 1
*** Non è la mia immaginazione ***


Quando quella sera tornò a casa, Caterina era davvero esausta.
Aveva girato per le vie commerciali della città tutto il pomeriggio, e quello che voleva più di ogni altra cosa in quel momento era una doccia bollente.
Passando per la cucina salutò la madre, Patrizia, che stava preparando la cena per tutta la famiglia. Anche se erano solo in tre, i Rossi potevano svuotare le riserve di frigo, dispensa e congelatore in due soli giorni, tanto grande era il loro appetito.
Caterina andò in bagno e si spogliò. Si guardò allo specchio e il pensiero spontaneo di essere bella si fece spazio nella sua mente all’istante. Si potrebbe pensare che sia una ragazza vanitosa, ma un tale pensiero è lecito se si è belli davvero. E lei lo era: viso ovale, labbra piccole ma rosse; occhi marroni, grandi ed espressivi e una chioma scura come l’ebano che le arrivava a metà della schiena. E come se non bastasse, era alta e magra, proprio come suo padre Angelo. In poche parole, era uno schianto di ragazza.
Aprì il getto d’acqua della doccia e quando fu calda, entrò nel box. Si lavò i capelli con lo shampoo alle mandorle che le piaceva tanto, e mentre si puliva il resto del corpo con il bagnoschiuma alla lavanda, sua madre bussò alla porta del bagno:
“Caterina” disse con agitazione “ha chiamato la nonna, e dice che le condizioni del nonno all’ospedale stanno peggiorando; devo andare subito, e non so se tornerò per l’ora di cena. Devi solo scaldare quello che ho già preparato quando arriva il papà”.
“Ok mamma, spero che il nonno se la cavi anche stavolta”.
“Io vado, non aprire a nessuno, sai che in questi giorni ci sono stati dei furti”.
“Va bene mamma, ciao”
“Ciao”.
E così uscì, lasciando la figlia diciassettenne da sola in casa.
Caterina era un po’ preoccupata: non vedeva spesso il nonno, perché da ormai sette anni era ricoverato all’ospedale per un male incurabile, e nelle ultime settimane peggiorava rapidamente. Non poteva dire di volergli un bene dell’anima, ma le sarebbe dispiaciuto se fosse morto.
Uscì dalla doccia, avvolse attorno al corpo un asciugamano blu e si diresse in camera sua per vestirsi.
Visto che era ottobre, e che la sera faceva freddo, optò per una maglia bianca a maniche lunghe e per un paio di pantaloni neri comodi.
Erano le 19:30 e il padre non sarebbe rincasato dal lavoro prima delle 20:30, quindi si mise comoda e cominciò a guardare la televisione.
Neanche un quarto d’ora più tardi sentì dei rumori provenire dal giardino.
“Che la mamma sia già tornata?” pensò. Guardò fuori dalla finestra ma non vide nessuno.
La paura prese posto dentro di lei: in quei giorni c’erano stati tre furti da quelle parti, e tutti verso quell’ora. Un’ora strana, è vero, ma è proprio quando non te lo aspetti che i poco di buono escono fuori. E non hanno di certo la cortesia di suonare il campanello, preferiscono aprirsi la porta da soli.
“Sarà stata la mia immaginazione, con tutte le case che ci sono, perché proprio la mia dovrebbe essere il prossimo bersaglio?”. Così spense il televisore e cominciò a leggere una rivista.
Poi sentì aprirsi la porta della cucina che dava sul retro. E questa volta non era la sua immaginazione.

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Capitolo 2
*** l'uomo nero ***


Tutta la casa era al buio, tranne il salotto, dove la lampada vicino al divano sul quale sedeva Caterina, emanava una luce fioca, giusto quello che a lei bastava per leggere.
Rimase immobile, con le orecchie tese per captare anche il più flebile rumore. E sentì dei passi. A giudicare da quelli, doveva essere un uomo solo, di media corporatura, e dal suo modo di camminare, capì che non era suo padre o nessun altro che conoscesse.
Il terrore prese possesso del suo corpo. Chi era quell’uomo? Cosa voleva? E se le avesse fatto del male? A chi poteva chiedere aiuto?
Si fece coraggio e con passo felpato andò fino in corridoio, dal quale si poteva vedere in cucina.
Lo vide: non molto alto, abbastanza robusto, ma non grasso. Scarpe grosse, vestito di scuro, cappello calcato sulla testa e torcia elettrica in mano.
Non poteva spaventarlo e farlo scappare: era solo una ragazzina e se fosse stato armato? Lei non sapeva difendersi.
Lui stava per uscire dalla cucina, quindi Caterina prese l’unica decisione possibile: scappare. Una volta fuori di casa avrebbe potuto andare da un vicino e chiamare la polizia, ma per ora la priorità assoluta andava alla fuga.
Camminò velocemente e sbatté un piede contro un mobiletto con un sonoro “Tun!”. Il cuore cominciò a battere a mille, e le sembrava che a momenti le sarebbe uscito dal petto. Il ladro si affacciò in corridoio e appena la vide le corse contro con un coltello a serramanico.
Caterina fece appena in tempo a vederlo in volto e si mise a correre, ma lui era vicino, e la porta troppo lontana.
Aveva un'ultima possibilità: salire le scale.
In un secondo fu al piano superiore. Se fosse riuscita a barricarsi in camera sua, avrebbe potuto chiamare la polizia con il cellulare. Ma non ebbe abbastanza tempo.
L’uomo tentò di acciuffarla, ma la sfiorò e basta, e Caterina fece appena in tempo a chiudersi a chiave in bagno.
Tirò un sospiro di sollievo: almeno per un po’, forse sarebbe stata al sicuro, tanto mancava poco al rientro del padre.
“Tun!Tun!Tun!” l’uomo calciava la porta, che almeno per ora sembrava tenere.
“Chi sei?Cosa vuoi da me?” urlò Caterina.
“Esci!” rispose lui. Aveva uno strano accento. Era chiaramente italiano, ma non di quelle parti.
“No! Vai via da casa mia o chiamo la polizia! Ti ho visto in faccia! Ti descriverò agli agenti, e anche se scapperai loro ti troveranno!”.
“Non sono stupido! So che non puoi farlo! Non hai il telefono con te!”
“E invece si!”
“Chiama pure allora! Ah ah ah!” Non ci era cascato.
“Vattene! Lasciami in pace!”
“Esci” disse lui calmatosi tutto d’un colpo”non voglio farti del male, se esci, prometto che non ti farò niente” continuò “esci, mostrami dove sono i gioielli e i soldi, e io ti lascerò stare”.
“No! Non ci casco! Ho visto che hai un coltello!”
“Allora non mi lasci altra scelta che ucciderti ragazzina!”
E ricominciò a tirare calci e pugni alla porta.
Nel bagno c’era una finestrella, ma era troppo piccola e troppo in alto per Caterina, e anche se fosse riuscita a scappare da lì sarebbe caduta sui calcinacci lì sotto. Però poteva usarla per chiamare aiuto. Urlò a squarciagola più volte, ma non ci furono segni di risposta. Non c’era da meravigliarsene, visto che la casa più vicina distava 200 metri e che la vecchia signora che la abitava era mezza sorda.
Pianse. Era sola, con un ladro in casa che voleva ucciderla e nessuno che potesse aiutarla. Erano le 20:00 e suo padre non sarebbe tornato prima di mezzora. Era disperata.
Sentì dei colpi più forti: probabilmente il ladro stava usando qualcosa per buttare giù la porta, che stava ormai per cedere.

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Capitolo 3
*** La forza della determinazione ***


Caterina non sapeva cosa fare: non aveva mai seguito corsi di autodifesa e non era fisicamente molto forte; se quell’uomo fosse entrato, l’avrebbe uccisa in meno di un minuto, con o senza coltello.
Ma lei non intendeva arrendersi: cercò qualcosa di appuntito o tagliente nell’armadietto del bagno ma trovò solo il rasoio usa e getta del padre e non era abbastanza. Cercò ancora e prese la bomboletta della lacca. Poteva spruzzargliela negli occhi, e mentre lui era accecato lei sarebbe scappata.
Non sentì più battere alla porta, ma non uscì. Improvvisamente la luce del bagno si spense, lasciandola nella penombra creata dalla luce dei lampioni che entrava dalla finestra. Capì che probabilmente lui aveva staccato la corrente elettrica.
Per farlo, occorreva andare fino in garage, dove si trovava il quadro della corrente elettrica. forse aveva abbastanza tempo per scappare in un’altra stanza, prima che tornasse!
Provò ad aprire la porta, ma era bloccata. Sembrava che qualcosa la tenesse sempre tirata.
Continuò a tirare fino a quando il ladro tornò, ma non ottenne alcun risultato. Orami era troppo tardi.
Sentì toccare la maniglia e capì tutto: l’uomo l’aveva legata con uno spago alla porta di fronte cosicché non si sarebbe schiusa neanche di un centimetro, perché tutte le porte di casa si aprivano verso l’interno.
“Tun!Tun!Tun!” “Esci subito!”
“No!”
“Allora entrerò io!” e così fece. Con un enorme martello spaccò la porta in legno e irruppe nel bagno. Riprese il coltello, ma Caterina fu più veloce e usò la sua arma.
“Aah!” urlò lui cadendo in ginocchio per terra e mollando il coltello.
La ragazza fece uno scatto tentando di superarlo e uscire, ma lui (sebbene semi-accecato) la bloccò e tutti e due caddero per terra.
Lui tentò di prenderla per il collo e strozzarla (e con le mani grandi e le braccia muscolose che si ritrovava non gli sarebbe riuscito difficile) ma lei si scansò e intanto con le mani tastava per terra cercando qualunque cosa l’avrebbe aiutata a difendersi.
Certo, il ladro era troppo forte per lei, ma non si sarebbe di certo arresa, perché, dopo la bellezza, la determinazione era la sua dote più grande.
Trovò qualcosa, ma al buio non riuscì a capire cosa: la afferrò e si mise a menare fendenti alla ceca.
E fu questione di un attimo. Tutto si fermò. Nessun movimento. Nessun rumore; solo quello del proprio respiro e del proprio cuore, che le martellava nel petto e le rimbombava nelle orecchie. L’odore ferroso del sangue riempì la stanza, e un sorriso nervoso apparve sul viso di Caterina, quando scoprì che quel sangue non era il suo.



Angolo dell'autrice:
Questo capitolo è un po' corto, lo so, quindi tenterò di aggiornare il prima possibile (domani o al massimo dopodomani). Spero che finora vi sia piaciuta :) 
Le recensioni (positive o negative) sono sempre ben accette, e se avete dei consigli da dare, scrivete pure! :)

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Capitolo 4
*** I problemi non vengono mai da soli ***


Caterina si alzò lentamente, appoggiandosi al lavandino e al muro. Le gambe le tremavano, era sudata e le girava la testa.
L’uomo era immobile, steso a faccia in giù sul pavimento in una pozza di sangue.
Per Caterina fu troppo: cominciò a singhiozzare rumorosamente, piangeva dalla paura e dal nervosismo.
Dopo cinque minuti buoni di pianto, e quando ormai sentiva il groppo allo stomaco distendersi, una voce gracchiante disse:
“Hey Gianni, quanto ci metti? Sono stanco di aspettarti qui fuori. I padroni di casa potrebbero tornare da un momento all’altro!Gianni?! Mi senti?! Hey?!”
La voce proveniva da un walkie talkie portato al collo del ladro.
Il cuore di Caterina quasi perse un battito: non poteva essere vero, non poteva essercene un altro!
Uscì dal bagno e barcollando un po’ si affacciò alla finestra in fondo al corridoio che dava sul giardino.
Un altro uomo vestito di scuro era nascosto accanto alla betulla in giardino e ora si stava avvicinando alla porta d’entrata!
Non poteva scappare nemmeno questa volta, ma aveva qualche secondo di vantaggio: andò in camera, prese il cellulare e aprì la botola che portava in soffitta.
Si arrampicò sulla scaletta in legno appena in tempo per sentire il complice salire i primi gradini.
Non poteva chiamare la polizia adesso, altrimenti sarebbe stata sentita.
Tese l’orecchio e sentì qualcuno calpestare sulle schegge di legno della porta del bagno.
“Cazzo!Gianni!”
Caterina udiva chiaramente che quell’uomo stava esplorando alcune stanze.
“Scommetto che sei ancora qui, piccolo bastardo” più che parlare, sembrava ringhiasse.
“Vieni fuori! Ti faccio fuori a forza di cazzotti!”
Si stava scaldando, e non si decideva ad andarsene dal primo piano.
La maglia di Caterina era zuppa di sangue e ormai era diventata fredda, facendo tremare ancora di più la povera ragazza. Come se non bastasse, l’odore le stava facendo venire la nausea. Pensò di togliersela e mettersi una vecchia felpa che era nel baule accanto a lei, ma nel farlo urtò qualcosa.
“Ti ho sentito, lo sapevo che eri ancora qui!”
L’uomo entrò ancora una volta in ogni stanza senza trovare nulla.
“Lo so che sei in soffitta! Esci subito!”
Caterina si decise a chiamare: ormai sapeva che era lì e sarebbe sicuramente riuscito a entrare.
Chiamò e spiegò in un sussurro, forse, il ladro non l’avrebbe sentita.
“Cosa stai facendo? Con chi stai parlando? Con la polizia, eh? Stai pur certo che prima di scappare da qui ti avrò già ammazzato!” e così dicendo si appese alla cordicella che apriva la botola.
Caterina aveva infilato uno stecchetto tra due anelli che sarebbero serviti per mettere un lucchetto, così da bloccare l’entrata per un po’.
Ma l’uomo era piuttosto pesante, e prima che lei potesse rinforzare la chiusura con dello spago o qualunque altra cosa, la botola si aprì e il ladro fu dentro.

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Capitolo 5
*** La luce in fondo al tunnel ***


“Ma guarda guarda chi abbiamo qui… non pensavo fossi una ragazza” disse l’uomo con un tono cha a Caterina fece venire i brividi.
“Non ti avvicinare, sono ancora al telefono con la polizia!”
“Ahahahaha! La polizia! Ahahahah! Non ho paura di loro!” e così dicendo le si avventò contro.
Il cellulare cadde dalle mani della ragazza, che sentì i carabinieri urlarle qualcosa, ma non capì cosa.
Il ladro la strattonò per un braccio e la buttò giù dalla botola: a Caterina mancò il fiato per qualche istante, a causa del brutto colpo alla schiena. Fece per rialzarsi, ma lui le tirò uno schiaffo in pieno viso, spaccandole un labbro e facendola cadere di nuovo.
Se prima aveva paura, adesso era terrorizzata.
La prese  per il coletto e la attaccò al muro.
“Credevi di farmi fesso, eh? Credevi che fossi un povero idiota come quello che hai fatto fuori per caso?” disse digrignando i denti. Era molto più aggressivo del primo, e le faceva anche più paura.
Decise di non arrendersi: le era andata bene con uno, se ci avesse messo tutta la sua determinazione, ce l’avrebbe fatta ancora. Gli tirò un pugno sul naso, che si spaccò con uno schiocco. Lui la lasciò andare, e lei lo colpì alle parti basse con un calcio, facendolo piegare in due dal dolore.
“ Io ti ammazzo!”
I suoi occhi erano due braci incandescenti, e la faccia sporca di sangue lo rese ancora più terrificante.
Caterina corse al piano terra in un lampo e mentre lei era arrivata alla porta d’ingresso, si scontrò con suo padre. “Sono salva” pensò.
Lui era chiaramente confuso: la casa buia, la figlia sconvolta e la maglietta bianca diventata rossa…
In quel momento il ladro scese le scale, ancora un po’ dolorante e più cattivo che mai.
“Cosa succede qui?! Che hai fatto a mia figlia? Parla!”
“Succede che io ne ho abbastanza e ora vi faccio saltare il cervello a entrambi!”
E così dicendo estrasse una pistola dalla giacca, puntò l’arma contro Angelo, ma lo mancò per un soffio.
“Papà! Stai attento!”
“Caterina, nasconditi! Aah!” un secondo colpo lo colpì di striscio a una gamba. Il ladro lo colpì in faccia con un calcio, e poi ripetutamente all’addome.
“Avresti fatto meglio a non tornare ora, sai? Adesso ti toccherà veder morire tua figlia prima di te, e poi tu la seguirai!”. Così dicendo la prese per i capelli e le puntò la pistola alla tempia.
“Pronta a morire? Questa è la punizione per aver fatto fuori il mio complice!”
“No… per favore no… cosa vi avevo fatto di male? Io ero solo in casa mia…” disse Caterina in un sussurro, con la voce rotta dal pianto.
“No, ti prego! Non uccidere mia figlia! Ti pagherò quanto vuoi, ma lasciala in pace! Ti scongiuro!” disse il padre. Avrebbe fatto di tutto per salvare la figlia, anche svuotare il suo conto in banca.
“Troppo tardi”.
Ma non fece in tempo a premere il grilletto che un proiettile gli colpì la mano facendogli perdere la pistola.
“Carabinieri! Arrenditi!”.
 
 
Il pomeriggio seguente, Caterina e suo padre vennero dimessi dall’ospedale. Le loro ferite erano superficiali, ma preferirono tenerli un po’ di più per via dello shock subìto.
Si erano salvati per un pelo. Lei era riuscita a dare l’indirizzo alla polizia, che era intervenuta subito.
Il primo uomo, Gianni Saltafosso, era morto, ma la ragazza non è stata sottoposta a processo perché era legittima difesa. Sarebbe stata seguita per alcuni mesi da uno psicologo per riprendersi dal trauma.
Il secondo uomo, Matteo Barbi, aveva alcuni precedenti penali, ed è stato condannato a otto anni di carcere per tentato furto e tentato omicidio.
 
Tutta la famiglia ha traslocato in una nuova casa per dimenticare, per quanto possibile, quell’orrenda notte e cominciare una nuova vita.



Angolo dell'autrice:
Finito! Finalmente questa povera ragazza è riuscita a cavarsela!
Volevo approfittare di questo ultimo capitolo per ringraziare chi leggerà tutta la storia (anime intrepide e coraggiose XD ) e magari scriverà una recensione.
Spero vi sia piaciuta,
Lupacchiotta blu

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