The Pontguard Road

di Lopsycho
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Allacciare le cinture. ***
Capitolo 2: *** Incidenti di percorso ***
Capitolo 3: *** I dati aggiornati ***
Capitolo 4: *** Mi hai ucciso ***



Capitolo 1
*** Allacciare le cinture. ***


«Era tutto rosso... sporco, e con le macchie. Non era un essere umano.»
Pausa di una dozzina di secondi, un affannoso respiro cadenzato di rantolo.
«Non aveva degli occhi veri... glieli avevano stati divorati. I vermi! Oh, quel lezzo tremendo, le sbucavano pure dal naso... da ogni fesso.. e le mosche deponevano uova.»
«Più uomo o più donna, dunque?»
«Non lo so...»
«Non lo sai o non ti ricordi, Victor? [...] Forse è perché eri ubriaco!»
Pausa di rantolio... parlava solo in fase d'espirazione.
«Ero fatto.»
«Capisco.» Disse il dottore, stropicciandosi l'occhio gonfio e attingendo pazienza dagli anni di lavoro e la psicoterapia.
Il gorgoglio dell'ossigeno era l'unico suono, con il rantolo, che rompeva un silenzio opprimente in quel reparto; era come un amico, stazionava, un parente, che era venuto a trovare anch'egli la giovane vittima. Ed che ogni tanto si alzava, misurava con piccoli passi il diametro dell'ambulatorio, ogni tanto se ne usciva in corridoio, o si sedeva su quella sedia di fronte al signor Sedjewick. Sembra quasi che avesse preso il posto della fidanzata di lui.

Quelle bolle gorgogliavano, come lo scroscio di pensieri del signor Sedjewick, che oramai aveva talmente impressa quell'orribile scena raccontata da chi l'aveva vissuta, da stare quasi a sognarla, vivida, come fosse accaduto a lui. Era un medico, e dagli anni della sua esperienza aveva imparato non solo ad empatizzare con le loro storie per risalire meglio e più in fretta a d una terapia solutiva, ma il distacco emotivo era essenziale ed oggi era essenzialmente morto, destando in lui ansia e preoccupazione. Cosa diavolo è successo a questo ragazzo? Il dottore era fondamentale ateo.
«Avevi una quattro per quattro, Victor?»
«Sì»
«Allora è probabile che lui sia sgusciato dentro quando tu badavi alla ragazza. Non ti sembra palese, Victor?»
Victor controllò.
«Non c'è nessuno... sento solo il suo odore: lei sa di pioggia, di terra campestre.. di fumo..»
«Anche lei aveva lo stesso taglio di capelli neri?»
«Sì.» disse, cominciando a roteare le pupille da sotto le palpebre; dunque arricciò il naso come se avvertisse un fetore.
Il dott. Sedjewick ne aveva sentite tante nel suo mestiere di ipnoterapeuta e questo in un certo senso lo intimoriva, perché i pezzi del puzzle che riemergevano dalla mente del suo paziente non presentavano incastri compatibili, ma di una cosa era professionalmente certo.. che erano veri, o almeno vere erano le febbri e le scie che il suo cervello incamerò in quella notte buia, soggettiva e deforme.

«Tranquillo, Victor, non c'è proprio alcun motivo di preoccuparsi: tu ora stai sognando e tra un po' ti sveglierai, d'accordo?»

Victor non rispose ma parve tendersi: le ginocchia si flessero leggermente a scatto, come interessate da un arco riflesso, e sferzava con più frenesia  i latrati dal buco del collo.
«Victor, dimmi che ti ha detto. Dimmi quelle tre parole che ti ha sussurrato!»
Victor si rabbuiò, si rammaricò come di non si sa cosa, di cui si attribuiva però tutta la colpa. Passò poi a increspare le labbra in una smorfia di dolore mista ad amarezza.
«Devo allacciare la cintura...»
«Cosa devi fare, Victor? Perché non l'avevi già allacciata?»
«Devo andarci piano. ...Più piano. Devo allacciare le cinture..»
«Perché mi parli della cintura, Victor? Ti ho chiesto di parlare della ragazza! Lascia perdere la cintura per il momento!.. devi rispondere senza obiettare a quel che dico io, è chiaro?»
Il gorgoglio era ormai ovattato, il silenzio rendeva nitido ogni stridio provocato dal rantolo, il neon che intermitteva a cinquanta Herz, la sedia che ospitava il vuoto.
«Umh!..»
«Continua a respirare, Victor..!»
«Perché mi fai questo...» gemette Victor.
«Chi ti sta facendo cosa, Victor, chi c'è lì con te ORA??»
Victor non rispondeva, ma era prostrato in un'espressione languida e quasi penosa.
«Per l'amor di Dio, Victor, rispondi a me!!»
«..Sta scrivendo!..»
«Quindi è stato lui, Victor?!? Lui ha scritto quelle cose su di te dopo lo schianto?»
Il neon bazzicava, la sedia era di fronte al dott. Sedjewick, nell'aria un odore di fermentazione, alcolica, tipica del mosto, improvvisa e pregnante. Ora Victor tremava quasi spasmodicamente.
« Lo giuro... giuro giuro giuro» disse egli, deglutendo il magone: la voce, un infantile falsetto isterico, come di un bambino che scongiura una matrigna severa: «Ti supplico...» voce rotta di pianto.
La seduta era ufficialmente terminata: il dott. Sedjewick a questo punto pensava solo a salvare capre e cavoli e prese a dire:
«Victor! Al mio 3 ti sveglierai categoricamente, capito!?? Uno, (du)...»
«...Mi hai ucciso!! MI HAI UCCISOOOOOOOOOOOOOOO!!!»
Spalancò gli occhi e flettè in alto il bacino, come se una corda lo sollevasse formando un ponte, la schiena contratta vistosamente, come un malato di tetano.
Il Dottore scattò a reggerlo, i polsi, i polpacci, se solo riusciva a vincere quella forza sovrumana! Victor vomitò una soluzione di succhi gastrici e di sangue, e nell'istante immediatamente successivo venne scagliato a tutta forza sullo stipite anticaduta del lettino, che andò a infossarsi sul coccige e lussandolo in due tronconi bianchi. Victor decedette sul colpo per trauma sacrale fulminante, ancor prima che l'emorraggia si espandesse.
Analogamente, il dottor Sedjewick, che non resse all'emozione, venne conteso da due istituti, uno psichiatrico e l'altro giudiziario, ma la faccenda si liquidò diversamente, suicidandosi in aula di tribunale mentre il suo avvocato cercava di patteggiare, ingerendo dosi massicce di qualche farmaco a lui noto.

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Capitolo 2
*** Incidenti di percorso ***


«Ti passo a prendere io» Ripeteva nervosa Caroline tutta eccitata, passandosi l'ombretto per la terza volta, fino a voler sfondare lo specchio.
"It's raining men!" risuonava a pochi passi dal suo stereo, che ripeteva quella lista quasi consumata di 10 canzoni che oramai sapeva a memoria, ma che le erano molto utili nei momenti in cui doveva darsi la giusta carica. E in questo la Haliwell aveva un certo talento, l'ex spice-girl rossa, tutto pepe e passionale in tutto e per tutto. Insomma, l'opposto di lei, che non aveva ancora collezionato alcuna esperienza con i ragazzi, e quindi immaginava che un look femminile e di buon gusto avrebbe colpito di sicuro un ragazzo come Eidan.
«Hallelluja, it's raining men, hey men .... Barometer's getting low...» canticchiava per scaricare, o per cammuffare, il nervosismo, che non faceva che aumentare per quella che sarebbe dovuta essere la sua serata. «Ti passo a prendere io», sembrava la frase più inequivocabilmente romantica che un ragazzo potesse dirle. Eidan, che le piaceva fin da quando frequentava il corso di latino al secondo anno, era stato il suo sogno erotico, il suo chiodo fisso per tutto il tempo che ne seguì ma, per questa o quell'altra ragione (lei sosteneva "malauguratamente"), non sentì mai in lei la forza di dichiararsi a lui... di togliere di colpo la moquette sulla quale poggiava da 23 anni. Fremeva, non poteva crederci di averlo di nuovo in crampo, uno spiraglio nuovo, doveva cogliere la palla al balzo e quella sera si trattava di portarla a segno; ma lo doveva a Donna, una sua amica stretta che era riuscita a ottenere il suo numero di cellulare niente po' po' di meno che dalla segreteria della piscina che frequentavano ma in corsi differenti.
Non si piaceva, Caroline, il suo look improbabile era una news non ancora testata: due ore dalla parrucchiera con tanto di prenotazione preventiva, vestitino avana a scendere con le giromaniche a pipistrello e paillettes, pescetti al decolté che glielo facevano sembrare abbondante, svariate passate di essenza di fiore di gelsomino e cannella; trucco leggero che imitava le fattezze gentili di una donna... una Halliwell acqua e sapone potremmo dire.
Le 10.00 arrivarono e, come annunciatole dalla radio, il tempo era uno schifo e prometteva anche di peggio. "vorrà dire che il nostro bacio sarà bagnato e porterà tanta fortuna" pensò lei.
Però questo aumentava le preoccupazioni di Caroline, che non era abituata a spostarsi fuori città di sera, in luoghi isolati e mal collegati. In discoteca ci andava soltanto ai compleanni, perché ormai nel 2002 se non facevi una festa in un luogo incasinato, come appunto una discoteca, non eri nessuno. Se non fosse stato per Eidan, col cavolo che sarebbe andata alla festa di laurea di Toby e Brenda! Neanche li conosceva.

Verso le 4 errotte del giorno seguente, lo scenario che si prospettava invece non fu dei più rosei e vittoriosi.. Caroline era lì, seduta sulla panchina umida e gelata, circondata da qualche bottiglia sparsa vuota e fazzoletti, sorseggiando spenta un coacktail analcolico a base di yogurt, mirtilli e maracuja. Lambita di tanto in tanto da qualche goccia che macchiettava qua e là la sua giacchetta di pelle e il pergolato di fittoni e bouganville, guardava in basso semi-pensosa. Faceva solo finta di bere, a lei manco piaceva il maracuja e il troiaio che ci avevano infilato. Non era astemia, è solo che in quel preciso momento voleva andarsene, lasciare tutto, o ancora meglio non essere mai venuta, con quello spirito poi.
Provava un sentimento di odio... per ogni cosa: odiava la musica techno che proveniva dal capannone, odiava quell'erba umida e grigia che oscillava alla brezza di autunno, odiava sé stessa, i suoi fianchi a pera che aveva cercato di rassodare evitando da gennaio le bibite gassate, o il colore del vestitino, forse un po' troppo da principessa... e odiava Kayliina, la sciacquetta bisessuale Russa famosa a livello internazionale che si faceva succhiare beatamente le tette dal capitano della squadra di pallanuoto dell'Eaglewave, il suo Eidan, mentre non smetteva di sculettare su quel cubo in technicolor.
«Stupida» diceva a tratti ad alta voce «Come potevi solo pensare che un ragazzo del calibro di Eidan Brooke - bello, alto, muscoloso e laureato - avesse del tempo da perdere con una cretina come te?» Faceva bolle nel bicchere. «Sono una cretina. Sto quì seduta dalle dodici... come la cretina.» Fino a un quarto di giorno fa era certa che quegli occhi marroni da cerbiatto di lui rispecchiassero davvero quello che poteva celare dentro. Invece no... era uno come tanti. Come stigmatizzarlo? Un maschio, per di più alfa, con delle esigenze da sfarmare. Come era potuto cambiare così radicalmente da allora? Com'è che le persone cambiano? E come aveva lei potuto invece non cambiare affatto, rimanendo la solita bambina sognatrice e soprattutto verginella?
"Non sono una bambina.. io sono una donna." Pensava giustificandosi. "Fino alle dodici avevo dei cazzo di capezzoli duri sotto questa veste... Anche io avevo le mie esigenze stasera, solo che era lui il mio desiderio, non aspettavo altro da quattro anni."
Mentre aspirava ed espirava alternatamente con la cannuccia, uscì dalla bolgia il suo gruppo di amici che, nel buio e nella nebbia, le passò accanto senza nanche notarla. C'erano: Eidan, Peter, Donna, Mileena e Connor.
Ridevano a crepapelle, anche per stupidaggini, e Donna e Eidan sembravano pieni anche di quelle altre cose.
Si alzò, a questo punto, con una "sobria" grazia e si diresse da loro sicura che, come non si erano accorti di esserle appena passate affianco, non si sarebbero neppure accorti che lei arrivava in mezzo a loro dopo 4 ore di assenza.
Si avvicinavano barcollando alla macchina e Eidan aprì lo sportello anteriore per accingersi alla guida.
Caroline, l'unica sana di mente in quel giro di matti, si avvicinò ad Eidan mentre gli altri assistevano Peter nell'attività di minzione.
Gli disse: «Ciao.»
Lui la squadrò e si concentrò moltissimo per capire chi fosse, come uno che scruta un miraggio nel deserto e aggiunse: «Caroline..».
Che bello, si era ricordato il suo nome! Caroline contò fino a 10 prima di rispondere, e capì che non era il caso trattarlo male: di fatto lui non le aveva mai detto apertamente di provar qualcosa. Erano tutte fantasie costruite su un castello di nulla.
Disse soltanto: «Eidan, sei ubriaco fradicio.. Non credo che tu possa guidare; dai a me le chiavi che...» ma subito egli le ritrasse aggiungendo sgarbato: «Per l'amor di Dio, non sei mia madre, vai a fare in culo!». Al che rispose sommessa e con voce strozzata: «Ma Eidan, volevo... soltanto aiut...» ma lui alzò un braccio e la spinse sopra il seno dicendo: «Vattene via, stronza, non ti voglio neanche in macchina con me!» Per ironia della sorte, Eidan portava una maglia che recava la scritta "in vino veritas" dal latino.

Mentre erano sul tragitto di ritorno, la macchina sfiorava i 130 km/h, su una strada sterrata e fangosa. Sembravano tutti noncuranti del pericolo (forse perché neanche se ne accorgevano), ma Caroline era in preda all'ansia, e anche alla tristezza, per quello che era successo poc'anzi. La sua serata era proprio da dimenticare.
Musica alta, aria rarefatta, fuori e dentro la macchina, a causa delle canne; Donna si baciava con suo cugino Peter e Connor, che sedeva davanti, si reggeva la fronte all'indietro per evitare di rimettere sul cruscotto; Mileena invece cantava a squarciagola.
«Eidan, cazzo, vai piano o ci faremo male sul serio!!» disse Caroline accigliata al suo ex amante.
Eidan fece finta di non sentirla - era ancora risentito - e più volte evitò di darle retta.
La nebbia era fitta, la pioggia a tambur battente, si vedeva pochissimo per la velocità a cui andavano, e nel marasma che ormai regnava in quel microambiente malsano e ristrettissimo, Caroline a un certo punto avvertì un sussulto, accompagnato da un tonfo sul cofano. Non si capiva più dove fosse la strada, dove fosse il guard-rail, cosa diavolo era successo.
Ella allora si allarmò per prima, e cominciò a gemere, e anche i suoi amici si accorsero che qualcosa di brutto era lì lì per accadere. E In un attimo: Gravità zero.
I cuori dritti in gola, il culo non poggiava più sul sedile, il nero totale del parabrezza. Anche la radio sembrava ammutolire.
Donna la fissò con gli occhi che strabuzzavano e le sopracciglia corrugate, in un espressione contorta che prevvisava una fatalità. Caroline era quella con le lacrime più dolenti che le scendevano fino ai denti esposti in un ghigno amaro simile ad un sorriso: lei davvero stavolta non c'entrava nulla: non aveva bevuto, non aveva esagerato, non aveva fatto un bel niente; era una ragazza così giovane, ancor piena di sogni e di speranze circa il suo futuro... Era triste dover finire lì invece, dopo tanta fatica spesa per crescere, per diventare finalmente una donna... o almeno lei ci aveva provato. Donna la prese per mano, lei la strinse forte, chiudendo appena in tempo gli occhi, e poi, il botto.

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Capitolo 3
*** I dati aggiornati ***


Buonasera e ben trovati al nostro notiziario. Sono le 3 in punto ed oggi vi parleremo di un caso che ha del bizzarro e del conturbante, verificantesi nella contea dello Yorkishire e precisamente sulla Pontguard Road 499. La polizia sta indagando da due anni a questa parte su un misterioso caso di incidenti concatenati e sul fatto che siano raddoppiati o quasi triplicati quelli di esisto fatale, tra il kilometro 652 e il 659, dove fino a qualche mese fa erano presenti lavori sulla corsia preferenziale a causa di un cedimento strutturale causato da una falda acquifera immissaria. Tuttavia gli inquirenti stanno faticosamente ricostruendo i vari pezzi del puzzle di decessi per fornire una spiegazione logica o per lo meno plausibile alla faccenda.
Si tratta, infatti, di una strada rettilinea, che costeggia il lago di Welling da una parte, e bordata da fitta vegetazione dall'altra.
Le cause sono dunque da ricercarsi nella guida in stato di ebbrezza, dove scarsa paura delle norme stradali, altissima velocità e mancato allacciamento delle cinture di sicurezza sono la regola; nella fattispecie, ciò accade in molte domeniche notti, quando i giovani si ritirano dallo sballo delle discoteche, quasi sempre zeppi di intrugli e pastiglie, e comunque positivi agli esiti dell'alcool test.

Circola voce che nelle giornate di pioggia, che spesso in questo posto si accompagna alla nebbia per via della vicinanza allo specchio d'acqua, un'autostoppista si scorga sul ciglio della strada al kilometro 660, senza ombrello né indumenti coprenti.
Il fatto strano è che molte testimonianze di coloro che non hanno perso immediatamente la vita a seguito degli incidenti, asseriscono di aver accettato di offrire un passaggio ad una donna. Ma questo è un vero mistero, perché lascia spazio a congetture più o meno fondate su un possibile nesso tra costei ed il killer, rimasto comunque anonimo ed incensurato, ma di cui non ci si spiega come faccia a farla franca ogni volta, come faccia a uscire illeso dall'autovettura in corsa, per perpetrare ogni domenica notte il suo micidiale massacro sistematico.
Ma ecco che il nesso però traballa: anche l'autostoppista, purtroppo, finisce sulla Pontguard i suoi ultimi giorni, dunque è da escludere l'ipotesi di un complice, o di una serie di essi.

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Capitolo 4
*** Mi hai ucciso ***


La notte dell'anno seguente - come molte altre notti dello stesso periodo -  si teneva un rave organizzato su larga scala da un gruppo di anarchici locali, ma l'invito era stato inoltrato e accettato da molta gente, anche dabbene, proveniente dalla città; e come special guest: un sacco di pusher che vendevano la roba più ricercata ai prezzi più stracciati e competitivi. Non si poteva mancare.
Sulla strada del ritorno, la Pontguard Road 499, un ragazzo alticcio e allucinato sfrecciava non al di sotto di 140/h. Faceva freddo, e la nebbia e la pioggerella rendevano impervio quel tragitto. Ma ecco che da poco lontano si scorgeva una ragazza in giacca di pelle e vestitino corto che chiedeva l'autostop. Doveva essere proprio sfigata per congelarsi a quella maniera sul ciglio di una strada. Lui ovviamente la scambiò per una puttana ma in uno o nell'altro caso, l'avrebbe fatta salire con piacere.
Inchiodò illuminandola di scorcio a un palmo da lei, e per poco non le finiva addosso. Lei non si preoccupò di scostarsi per evitare un urto diretto al suo addome.
«Come ti chiami, bellezza?» disse il ragazzo. La ragazza si chinò verso di lui dicendo solo «Portami a casa per favore, sono stanca di aspettare quì... al freddo. Abito a 14 miglia».
Sotto effetto di stupefacenti, il ragazzo era molto intrepido e sicuro di sé e, mentre faceva accomodare quella ragazza, pensò già ai mille modi di sbattersela una volta arrivati fin sotto casa sua, per farla sdebitare del favore.
«Come ti chiami?» disse lei.
«Victor..»
«Piacere di conoscerti.»
I due cominciarono a farsi le solite domande canoniche e parlavano. Parlava quasi sempre lui, con apprezzamenti e disquisizioni procaci circa lo spacco del suo vestitino che le lasciava intravedere la coscia.
Dopo un lungo silenzio da parte di lei si rivolse a lui lamentandosi della sua guida: «Non ti sembra di correre un po' troppo? Rallenta, no?»
«So quello che faccio» rispose lui, non avendo ovviamente la minima intenzione di apparire una fighetta.
«Scusami ma la velocità mi mette un po' d'ansia. Potresti decelerare?»
«Ma di che hai paura? Tanto non passa nessuno quì! Fidati»
«Ho imparato a non fidarmi di chi ha le cose sotto controllo... non credo più alle favole: per favore rallenta e mettiti la cintura... sennò me ne vado».
«Dove te ne vai tu che siamo in corsa? Dove te ne vai!?»
«Ti prego.»
«Senti troietta, adesso mi stai stancando: se non era per scopare ti potevo anche lasciare lì dov'eri. Stai zitta e fammi un pompino piuttosto» sghignazzò. Lei non rispose.
«Come hai detto che ti chiami?» disse lui.
Ma lei continuava a trincerarsi in una cortina di silenzio. Era come impassibile, rassegnata... ancora una volta. I capelli neri e increspati le scendevano sul volto, rendendolo imperscrutabile.
«Cosa c'è, ti sei offesa? ...Non ci pensare, dolcezza, siamo quasi arrivati a casa.. ci penso io adesso farti tornare il sorriso, eh?»
«Sei come tutti gli altri.»
«Oh no.. io sono meglio.. non te ne pentirai, troietta.»
Una lacrima cominciò a rigarle il volto.
Victor si girò verso di lei, ma si concentrò un attimo sul suo aspetto fisico: era rivolta verso il finestrino, quindi si vedeva solo un lembo della guancia, emaciato, tumefatto, color rosso vivo.
«Ehi ma ..Che diavolo hai?»
Udì dei singhiozzi.
«Che cazzo hai in faccia? Parla!» disse.
Lei, con voce tremante gli sussurrò: «Che cosa ti costa darmi retta?»
«Cosa??»
«Io volevo solo aiutarti...»
«Adesso ti faccio scendere, puttana, se non mi dici che cazzo vuoi.»
«Ti pare giusto finirla in questo modo? A due soli esami dalla mia laurea!?»
«Puttana, guardami in faccia quando dici stronzate!». Prese ad afferrarle i capelli, ma se ne vennero tutti a ciocche, e rimasero solo pochi peli ancora attaccati alla cute che sembrava ustionata.
Victor si fece scappare un gemito simile ad un conato per lo spettacolo raccapricciante: una testa e un corpo completamente desquamati privi di pelle, gli occhi erano orbite cave, piene di vermi e di mosche che ci deponevano le larve.
Lo sbattè sul finestrino opposto, macchiandolo di rosso. Non gli sembrava vero .. no, non lo era !! Erano i suoi occhi allucinati a mentire, pensò in un lampo di lucidità. Ma non c'era lucidità che tenesse a giustificare quello scempio umano, quel connubbio schifoso tra Munch e Picasso. In quello stesso momento non fece in tempo a riposizionare le mani al volante che si vide davanti a sé un tronco posto a mezz'aria che gli sbarrava la strada e la visuale, e che in nonnulla era sul cofano e poi sul parabrezza, e il suo corpo si accartocciò.

Sul suo torace venne trovata una cicatrice profonda ma netta che formava delle lettere, una frase, che recitava queste tre parole: "You killed me" - ovvero - "Mi hai ucciso".

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