Schwartz's Roses

di _cashmere
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The lunatics are in my hall ***
Capitolo 2: *** I'll see you on the dark side of the moon ***
Capitolo 3: *** We've broken our mirror ***
Capitolo 4: *** But you can't never leave ***



Capitolo 1
*** The lunatics are in my hall ***




Schwartz's Roses






Pensavamo morisse mentre dormiva
Pensavamo dormisse mentre moriva




PROLOGO
The Lunatics are in my hall




 
I passi leggeri dei bambini rimbombavano nell'angusto refettorio, scandendo il tempo come un grande orologio.
Il vento frusciava incessantemente, filtrando dallo spiffero del finestrone gotico e scompigliando i capelli delle ragazze.
Agathe, il donnone di mezza età che giornalmente somministrava agli orfani del Distretto 9 la misera razione giornaliera di farinata, stava ritta sullo stipite del portone ligneo, tenendo sottobraccio il familiare pentolone maleodorante e brandendo il mestolo con fare cerimonioso.
Arrivata al tavolo delle dodicenni arricciò le labbra in una smorfia di disgusto e versò la pietanza nel piatto di una bambina più smunta e macilenta delle altre tenendosi a distanza, come se fosse malata.
« Castro, non fare la schizzinosa e sii riconoscente. » la rimbrottò, muovendosi in avanti meccanicamente e stringendole le spalle. « Sai che esistono persone che non hanno la fortuna di fare tutti i giorni due pasti caldi e di dormire in un letto comodo? »
Le labbra nere della fanciulla nominata si dischiusero con uno schiocco quasi impercettibile, lasciando intravedere una fila di denti aguzzi.
« Io questa merda non la mangio. » disse seria, piantando le iridi verdastre in quelle marroni di Agathe.
Il mestolo ligneo scivolò dalle mani della donna e cadde sul pavimento producendo un tonfo sordo, mentre le sue gote si chiazzavano di rosso. Nessuno, secondo lei, poteva permettersi di insultare il suo cibo. Soprattutto una mocciosa in età appena sorteggiabile per gli Hunger Games.
« Ripeti quello che hai detto. Avanti, ripetilo se hai il coraggio. » sibilò, afferrandola per i capelli e trascinandola al centro della stanza. Quella di Venetia Castro sarebbe stata una punizione esemplare per tutti gli insolenti dell'orfanotrofio.
« Ho detto » ripeté, scandendo le parole come se la sua interlocutrice fosse stata una bambina a cui impartire una lezione scolastica. « Che la merda che prepari io non la mangio. Qualcosa non ti è chiaro? »
Agathe, in preda alla rabbia, la colpì sulle ginocchia con il mestolo facendola cadere carponi sul pavimento gelido. « Rimangiati tutto quello che hai detto o giuro che ti ammazzo. »
« Cosa hai detto? Non ti sento, non ti capisco. » sghignazzò Venetia, mettendosi le mani dietro le orecchie come se cercasse di afferrare brandelli di frase che le erano sfuggiti.
La donna si chinò per colpirla sul capo, ma con un gesto fulmineo la dodicenne la immobilizzò per il busto e le affondò i canini nel collo morbido. Agathe fece appena in tempo a vedere uno zampillo di sangue macchiarle il candido grembiule prima di roteare gli occhi e svenire.
Nel silenzio generale, la bambina si inginocchiò accanto a lei e leccò avidamente il liquido rossastro come se fosse linfa vitale, per poi scoprire i bianchi canini e sibilare: « Quest'ingorda ha in cucina dozzine di dolci. Andate e rimpinzatevi. Io non ho fame. »
Dopodiché si voltò verso l'uscio e se ne andò, ennesimo fantasma in un covo d'ombre.




 

 

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La linea che separa i sogni dagli incubi è sottile come un ago e ben presto le ombre del passato tornarono a presentare il conto.




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#Cash
Ora mi sento in dovere di darvi delle spiegazioni in merito a questa ff.
Innanzitutto, devo spendere due parole sui tre avvertimenti (Contenuti forti, Incest, Violenza)
Penso che in parte abbiate già capito il perché del primo. Venetia non è proprio la persona più educata del mondo, e più avanti capirete anche il perché. Inoltre da questo prologo si
 capisce anche la sua predisposizione nel nutrirsi di sangue umano, e anche in questo caso dietro il suo comportamento si celano motivazioni che potrete scoprire soltanto leggendo.
Per l'incest, vi dirò, all'inizio ero molto indecisa se inserirlo tra gli avvertimenti. Più in là entreranno nella storia due personaggi dal rapporto incestuoso, ma di loro si parlerà solamente per un capitolo o poco più. Sappiate però che l'argomento sarà trattato con la dovuta attenzione e sensibilità.
Infine, la violenza. In alcuni capitoli potrebbero esserci alcune scene un tantino crude, ma tutto ciò avverrà tra  molti capitoli. Per ora le acque saranno abbastanza tranquille ^^
Spero con tutto il cuore che le avventure di Venetia e di tutti coloro che le ruotano attorno riescano a coinvolgervi, ci sto mettendo l'anima nello scrivere questa fanfiction :)
E naturalmente le recensioni sono sempre ben accette 


Cashmere e Dolly, con amore e cotolette ^^
 

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Capitolo 2
*** I'll see you on the dark side of the moon ***









Schwartz's Roses






Pensavamo morisse mentre dormiva
Pensavamo dormisse mentre moriva




CHAPTER I
I’ll see you on the dark side of the moon




Sedeva a gambe incrociate sopra la branda, perfettamente a suo agio in quella stanzetta priva d'illuminazione. Il buio la affascinava, le infondeva in corpo una magnifica sensazione di potenza. Forse perché durante la notte riusciva con più facilità ad eludere la misera sorveglianza composta da un gruppetto di Pacificatori per andare in cerca di cibo, o forse perché l'oscurità la aiutava a riordinare i pensieri e sentirsi più in pace con se stessa. 
Il sapore acre del sangue della donna insaporiva ancora le sue labbra mentre le mordicchiava lentamente, avendo cura di non tagliarsi con i canini affilati. 
Ad un tratto un leggero bussare la destò da quello stato di dormiveglia in cui piombava per pochi minuti al sopraggiungere del crepuscolo. Spalancò ancor di più gli occhi e con un saltello scomposto scese dal letto, per poi aprire la porta con uno scatto secco.
« Eccoti qui, finalmente. » sibilò socchiudendo le palpebre, come accecata dal misero spiraglio di luce che filtrava dal corridoio.
La nuova arrivata, una ragazza sulla quindicina la cui aria vagamente altezzosa era del tutto in contrasto con lo squallore che la circondava, squadrò la camera dall'alto in basso e commentò: « Ma ti pare questo il modo di ricevere un'essere umano? Di certo non mi aspettavo un'accoglienza con tanto di tappeto rosso, ma tutto questo è... inaudito! » 
« Taci! » la interruppe scoprendo i denti, per poi continuare con voce cantilenante: « Ascoltami bene, June Hussman, ricordi quella notte afosa di quest'estate in cui io... Feci visita alla tua adorata famigliola? »
Un brivido freddo corse lungo la schiena della bionda, mentre brandelli confusi di quell'orribile serata riaffioravano dall'oblio dei suo ricordi. Le urla disperate di suo fratello, le suppliche di sua madre, la bottiglia di acido che la disgraziata aveva lanciato loro addosso e le risate perfide della dodicenne, che assisteva alla scena come se stesse guardando un film particolarmente intrigante.
Venetia si mise la mano davanti alla bocca per coprire un sogghigno, avendo notato un insolito terrore negli occhi cerulei di June. 
« Bene, vedo che il tuo cervellino atrofizzato funziona, se debitamente stimolato. » ribatté, stringendole le guance con una mano come si fa con i bambini e carezzandogliene una con il pollice. « Senza dubbio ricorderai la promessa che mi facesti. Vuoi rinfrescarmi la memoria, Hussman? » 
« Ti promisi che se tu non fossi più venuta a visitare la mia famiglia con lo scopo di nutrirti io avrei ricambiato con qualsiasi genere di favore. » biascicò, liberandosi dalla stretta della dodicenne.  
« Ed è proprio questo quello di cui ho bisogno oggi. Un favore che solamente tu puoi farmi. »  riprese, sedendosi sul letto a gambe incrociate ed invitandola a fare lo stesso. 
« Del tipo? » chiese June, avendo cura di non sfiorare neppure con il lembo del vestito il lenzuolo.
« Siediti. » le intimò Venetia. « Sai, oggi stavo riflettendo sul fatto che se la mia vita fa così schifo non è colpa mia, bensì di due disgraziati che portano il mio stesso cognome. » 
« Ebbene? » fece June, incitandola a proseguire per poter finalmente uscire da quella stanza.
« Quanta fretta! Sembra che tu abbia tanta voglia di togliere il disturbo. » disse, posandole una mano sulla spalla. « Vorrei che tu, essendo libera di muoverti a tuo piacimento, mi procurassi tutte le informazioni necessarie sulla famiglia Castro, dai capostipiti fino a quegli sciagurati dei miei genitori. Sei in grado di portare a termine un compito di così vitale importanza? »
« Penso di si » rifletté « Ma non ho ancora capito cosa te ne farai quando ne sarò in possesso. »
« È qui che ti sbagli, mia cara. » rispose la dodicenne, con una luce diabolica negli occhi. « Quando ne saremo in possesso. »
Soppesò lo sguardo interrogativo della ragazza come se dovesse deciderle se darle una spiegazione o no, e dopo attimi che alla bionda parvero interminabili riprese: « Questa sarà un'impresa che porteremo a termine insieme, solo io e te. Non ne sei entusiasta? »
Il sorrisetto abbozzato sulle labbra di June sparì all'istante, lasciando il posto ad una muta rassegnazione.
« Come non esserlo » replicò sarcastica « La tua piacevole compagnia non potrà farmi altro che bene. »
Venetia, che aveva capito più che bene l'antifona, decise di stare al gioco.
« Già, sono sicura che con il passare del tempo diventeremo ottime amiche. E adesso fila via, questi compiti non si svolgono certo da soli. »





Venetia, una volta congedata June, si alzò con fatica dalla branda e camminò fino al davanzale strusciando le scarpette di vernice nera contro le tavole scomposte di parquet.
Passò un dito sul legno consunto della finestra, osservando con piacere le particelle di polvere che si depositavano una per volta sulla sua pelle. Di fuori uno spesso strato di nebbia aveva appannato il cielo terso, rendendo l'intero paesaggio che si stagliava all'orizzonte confuso e sbiadito.
« C'è la luna piena stasera. » mormorò tra sé e sé « Non ci dovrebbero essere rotture di coglioni in giro. »
Le persiane si spalancarono cigolando sotto il suo tocco leggero, lasciando filtrare l'aria gelida che le sferzava il viso come una lama. Arricciò il naso e sporse leggermente la testa in avanti, lasciandosi cullare dall'impetuosità del vento.
Quella lì era musica per le sue orecchie.
« Sono solo cinque metri. » si disse, inspirando profondamente per placare l'ansia. « Solo cinque fottuti metri. » 
Si sedette lentamente sul davanzale, lasciando penzolare le gambe nel vuoto, chiamò a raccolta tutto il suo coraggio e, evitando di guardare giù, si lasciò cadere nel vuoto.
L'impatto con il terreno fu più violento di quanto si aspettasse. Una fitta lancinante 
partita dal fondoschiena si ripercosse lungo tutte le sue vertebre, impedendole di alzarsi sul momento. Con il braccio cercò nell'oscurità un appiglio, e alle sue dita non ci volle molto per aggrapparsi ad un tronco d'albero tra quelli che facevano da barriera tra l'orfanotrofio ed il resto del Distretto. Si tirò su digrignando i denti, e una volta in piedi non le fu difficile constatare i danni. 
Qualche contusione all'altezza dell'osso sacro e qualche dito del piede rotto. Le solite sciocchezze.
Zoppicò più velocemente possibile fino all'inferriata d'ebano, e avrebbe tagliato la corda senza problemi se una mano gelida non le avesse ghermito all'improvviso il braccio. 
Un uomo in uniforme bianca – probabilmente un Pacificatore – le puntò un fascio di luce biancastra in viso, facendola gemere di fastidio. Quando venne alla luce poté constatare che sotto la visiera trasparente spiccavano un naso grosso e bitorzoluto e due occhi infossati, seminascosti da un solitario ciuffo di capelli biondicci. Nell'altra mano impugnava una rivoltella dall'aria pericolosa.
« Bene, bene, bene, ma chi abbiamo qui? Un'altra orfanella che cercava di scappare. » commentò, proprio come un padre intento a rimproverare un bambino disobbediente.
Venetia represse a stento un imprecazione. Se voleva riportare a casa la pelle l'unica carta che poteva giocare era quella della bambina impaurita, anche se lei non era di certo una brava attrice.
« La prego, signore, mi lasci andare! » supplicò, sgranando gli occhi per sembrare più verosimile « Ho fame, e qui non mi danno da mangiare a sufficienza. Volevo solo andare al villaggio a procurarmi... »
« Sangue umano? » concluse l'uomo con un ghigno.
La dodicenne ebbe un tuffo al cuore. Se la sua messinscena fosse crollata per lei non ci sarebbe stato più scampo. Per le guardie la vita dei loro assistiti contava meno di zero. Poteva solamente continuare a recitare, anche se probabilmente avrebbe avuto vita breve.
Si frugò ansiosamente nelle tasche, dove reperì delle monete rubate ad Agathe. Le porse all'uomo, speranzosa: « Vede? Mi stavo recando al villaggio per acquistare del pane, ma sono costretta a farlo di nascosto perché se venissi scoperta dalla direttrice verrei fustigata per “tentativo di ribellione alle autorità locali”. »
« Ed è quello che meriti, sbruffoncella. » disse, puntandole la pistola alla tempia. « Ma non capisco. » continuò, vagamente confuso. « Non sei forse tu Venetia Castro ? »
« Chi? » rispose soffocando un risolino, riacquistata un po' della sua solita spavalderia.
« Venetia Castro, quella che di recente ha quasi ucciso la capocuoca. Non la conosci? » chiese retoricamente, quasi certo che la bambina davanti a lui avesse almeno sentito parlare di quella strana creatura.
« Ah si, l'ho vista qualche volta. » 
Come se se ne fosse accorto solo in quel momento, l'uomo le sfiorò lentamente la gola e le domandò: « Ma che hai fatto alla voce? Sembri un robot! »
« Malformazione genetica. » sibilò, rabbrividendo a quel tocco. « Alla fine mi lascia andare? Si staranno preoccupando. » proseguì con tono più gentile.
Il Pacificatore finse di pensarci su poi annuì con il capo, facendole cenno di entrare senza troppe storie. La accompagnò fino all'ingresso continuando a stringerle il braccio, andandosene solamente dopo essersi accertato che fosse entrata dentro.
Rimasta sola, tutto ciò che Venetia fece fu mormorare a mezza bocca: « Imbecille. » 
Dopodiché fece un rapido dietrofront e uscì dal lugubre edificio, scomparendo come un fantasma dentro la nebbia novembrina.





Non c'erano più guardie in giro a quell'ora. Erano tornate tutte nelle loro tiepide case a dormire.
Venetia percorse l'ampio corridoio dell'ingresso a passi svelti, con un rivolo di sangue rossiccio che le colava dal labbro superiore. Con quel tempaccio si era dovuta accontentare di qualche pipistrello solitario.
Raggiunse in fretta il vecchio telefono di fronte all'ufficio dell'istitutrice e, accertandosi più volte che non ci fosse nessuno nei paraggi, compose il fatidico numero con le dita che si muovevano rapidamente. Aveva bisogno di accertarsi che quelle prime ricerche avessero avuto buoni risultati.
« Hussman » sputacchiò, rigirandosi la cornetta tra le mani. « Mi senti? »
« Forte e chiara. » rispose quella, con la voce impastata dal sonno. « Stavo dormendo, Venetia, che vuoi a quest'ora? »
« Oh, non ti tratterò molto. Voglio solo sapere se sei riuscita a trovare le informazioni sulla famiglia Castro. »
June sorrise tristemente dietro il ricevitore, come se avesse atteso da tempo quella domanda. « Venetia, i Castro non esistono. Il loro nome non compare in nessun archivio. »
La dodicenne sussultò, interdetta. « Cosa? È impossibile, avrai indubbiamente dato solo una sbirciata distratta ai registri. Dovevo aspettarmelo, conoscendoti. »
« Mia madre lavora all'anagrafe, ho lasciato che fosse lei a cercarli. Poi per sicurezza ho anche controllato io stessa, ma invano. Dei Castro non c'è traccia. »
« Avrai scoperto qualche altra cosa, spero. » continuò, ponendo maggiore enfasi sull'ultima parola.
« In effetti c'è una cosa che mi preme dirti. » sussurrò con una nota soddisfatta nella voce. « Sfogliando i registri mi è balzato l'occhio su una pagina seminascosta, l'unica di una cartella senza etichetta. »
« E allora? » commentò ansiosa. Quella dannata ragazza sapeva raccontare con una certa suspence. 
« Sulla sommità del foglio era impresso a chiare lettere un nome, “Venetia”, seguito da uno spazio bianco e dalla parola “Tarnish”. »
« Cretina, perché non l'hai detto subito! » gridò, per poi abbassare subito la voce. « Tarnish non mi sembra un nome tanto comune, potremmo iniziare le ricerche basandoci su questo. »
« Va bene. » fu tutto ciò che riuscì a dire. « A domani allora. »
« A domani. » 
Venetia abbassò la cornetta con un ghigno perfido sulle labbra. L'avrebbe usata, si sarebbe servita di quella ragazzina fino a quando non sarebbe riuscita ad estirpare il seme della sua famiglia come un'erbaccia selvatica.
E alla fine l'avrebbe uccisa.
Bene pensò, girando i tacchi e correndo per la scalinata mentre le prime luci dell'aurora facevano timidamente capolino dietro la densa coltre di nubi. 
Sarebbe stata un'avventura decisamente interessante.





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La linea che separa i sogni dagli incubi è sottile come un ago e ben presto le ombre del passato tornarono a presentare il conto.







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#Cash
Eccomi tornata con il primo capitolo delle avventure di Venetia. 
È da qui che inizia tutto ♥
Come vedete questi capitoli (così come i prossimi) sono molto “soft” e con ben poca violenza. Ma tranquilli, il meglio – se così si può definire – arriverà verso la metà della storia.
Il prossimo capitolo sarà molto discorsivo, ma fondamentale per lo sviluppo della storia. Ne vado abbastanza fiera, nonostante non ci sia molta azione.
Alla prossima!




 

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Capitolo 3
*** We've broken our mirror ***


Il capitolo è eccezionalmente dedicato alla Lock, che voleva la “sua” Miranda ed ora finalmente l'ha ottenuta. Ti piace anche in questa versione, cara? *risata malvagia*











Schwartz's Roses






Pensavamo morisse mentre dormiva
Pensavamo dormisse mentre moriva




CHAPTER II
We've broken our mirrors




L'ufficio anagrafico del nono Distretto era una fenditura nella penombra. I rossi mattoncini che componevano l'edificio erano ammonticchiati in gruppi disordinati davanti all'uscio ligneo, dando l'impressione di trovarsi in un luogo scialbo e distratto. 
Un luogo che avrebbe dovuto sapere di nuova vita e di speranza, invece era impregnato dell'odore acre della morte.
Venetia e June percorsero il tortuoso vialetto nel primo pomeriggio. A quell'ora era facile ottenere licenze all'orfanotrofio, per lei bastava avere lontano quell'arpia di Agathe e fare la giusta dose di moine al nuovo istitutore.
Già, considerando la fine che ha fatto quello vecchio. pensò con un ghigno a fior di labbra.
Bussarono con foga alla porta quasi in simultanea, e dopo pochi minuti questa si aprì quanto bastava per mostrare la figura di un'anziana signora tutta in ghingheri con in mano un registro stipato di fogli.
« Buon pomeriggio. » iniziò June, decisamente più diplomatica ed incline al dialogo della sua amica. « Siamo venute per cercare delle informazioni su... »
« Sono spiacente. » la interruppe bruscamente la donna. « L'ufficio è chiuso nei giorni festivi. »
Venetia, che fino a quel momento era rimasta in disparte ad osservare le rughe che solcavano il viso della funzionaria come una mappa del tesoro, si intromise nella conversazione. « Oh, sono sicura che riusciremo a trovare un accordo. »
Alla pallida luce di quel pomeriggio novembrino i suoi denti aguzzi spiccavano dietro le labbra scure, specialmente quando vi passò sopra la lingua con fare sensualmente minaccioso.
« Ti ripeto che è impossibile. Gli archivi pubblici sono chiusi. »
« La prego, è una questione molto urgente. » fece l'altra con veemenza.
Si sistemò gli occhiali sul naso con fare indagatore, per poi studiare con gli occhi porcini il volto delle sue interlocutrici. Quando si fermò su quello di June la bocca le si aprì in un sorriso comprensivo.
« Tu sei la figlia di Frieda, non è vero? » chiese retoricamente. « Quest'ufficio è sempre aperto per le pupille dei miei dipendenti. Su, entrate. »
Con la mano rugosa fece loro cenno di seguirla. L'atrio era buio, illuminato solo da una lampada ad olio, e odorava di stantio. Si fermarono davanti ad una postazione lavorativa dotata di computer, un marchingegno tecnologicamente avanzato arrivato da Capitol City, e di numerosi cassetti. Le due ragazze lo guardavano stupite: non avevano mai visto niente del genere.
La donna sorrise, beandosi della loro ingenuità: « Non fate quella faccia allibita, è un aggeggio molto vecchio ormai! Ce lo regalò tempo fa una mia amica vincitrice, una ragazza molto affettuosa. Un tantino strana, c'è da dirlo, ma buona come il pane. »
« Ci dica il nome di questa persona. » le impose Venetia con una fitta di curiosità.
« Lilith. Lilith detta Tarnish... »
« Cosa? » la interruppe saltando sul posto. Non pensava di avere una fortuna così sfacciata. 
« Si, Lilith detta Tarnish. Non sono sicura che avesse un cognome, quando si doveva presentare diceva sempre la stessa frase: “Io sono Lilith detta Tarnish.” »
« Quindi Tarnish non era il suo vero nome. »
« Bambina mia, come puoi pensare che un genitore sia così tanto snaturato da chiamare la figlia “Appannarsi”. »
« Ci potrebbe dire qualcosa di questa ragazza? » chiese June con gentilezza.
« Non ne so molto, ad essere sincera. La prima volta che la vidi fu quando venne in quest'ufficio, proprio in questa postazione, per chiedere se era possibile cambiare nome. »
« Suppongo che volesse sostituirlo con Tarnish. »
« No, ed è questa la cosa strana. Aveva un incomprensibile desiderio di chiamarsi Miranda Damage, Dio solo sa il perché. » aggiunse segnandosi.
« Lei è una donna molto devota. » disse June.
« Mi stava dicendo di Lilith... » fece bruscamente Venetia per riprendere il discorso. Era impaziente di scoprire se avesse realmente scovato il primo tassello di quell'intricato puzzle che le sembrava il passato dei suoi familiari. Il primo tassello che le avrebbe permesso di annientarli.
« Hai ragione. Ad ogni modo, non essendo in grado di fornire una motivazione valida nessuno volle accontentare quella bizzarra richiesta, e lei ebbe una reazione a dir poco esagerata. »
« Del tipo? »
« Impazzì. Nel vero senso della parola. Non avevo mai visto nulla del genere prima di allora. Urlava, si dimenava come un’ossessa e si strappava i capelli. L’hanno dovuta gonfiare di sedativi prima che riuscissero a trascinarla via. »
« E poi? » 
« L'indomani tornò qui e chiese di me. All'inizio ero molto titubante, ma alla fine ho deciso di rischiare ed incontrarla nel mio studio. Me l'avevano descritta come un mostro, ma la prima impressione che ebbi io fu quella di una ragazza insolitamente piccola. »
« Piccola? »
« Non penso arrivasse ai dodici. Si scusò per la scenata isterica del giorno precedente, dicendo che non sapeva neanche lei cosa le fosse preso, tuttavia ribadì che per lei mutare il nome in “Miranda Damage” era fondamentale. Notando la mia riluttanza si alzò dalla poltrona e concluse con una frase che penso mi ronzerà nella testa per sempre: “Badi bene, lei ha mostrato orecchie da mercante alla supplica di una morta che cammina, ma sappia che tutto ciò che verrà fatto a quella bambina si ripercuoterà su di lei a distanza di anni”. Nonostante siano passati decenni da quella conversazione ogni volta che ripenso alla sua voce mi vengono i brividi. 
Venetia si morse un labbro, smarrita nei meandri di quel racconto. Si sfiorò con un dito l'avambraccio, rabbrividendo nel sentire la pelle che le si accapponava sempre di più.
« Continui. » le impose.
« Non sentii più parlare di lei fino a quando l'anno seguente venne estratta per gli Hunger Games. È passato molto tempo e non ricordo come vinse, ma suppongo che a Capitol la sua strategia non piacque affatto, dal momento che nessuno ha mai fatto riferimento a quell'edizione. Cinque anni dopo si sposò con un figlio di papà tronfio e avido, e dal giorno del matrimonio non si è più saputo niente dì lei. »
« Poveraccia. » commentò June. « Ma è morta? »
« Non ne ho idea, cara, anche se le possibilità che sia ancora viva sono minime. »
« Ma quando le ha detto che tutto ciò che avrebbero fatto ad una bambina si sarebbe ripercosso su di lei, a chi si... »
« Senti, cara. » disse con un sussulto, mettendole una mano sulle spalle. « C'è un dettaglio che ti ho nascosto per onorare la memoria di quella povera ragazza: era completamente tocca. Quel giorno probabilmente non ci stava con la testa ancor più del solito, ho fatto male a parlartene. Piuttosto » riprese con più allegria. « Cosa volevate cercare negli archivi? »
« Abbiamo avuto tutte le informazioni necessarie, grazie. » rispose Venetia senza troppa convinzione. Agguantò June per un braccio e per la seconda volta si fecero strada insieme attraverso l'atrio scuro, sotto lo sguardo sbigottito dell'anziana signora.





« Tu ci credi? » sbottò Venetia appena furono a debita distanza dall'anagrafe.
« A che cosa? » chiese ingenuamente June, che proprio non riusciva a comprendere gli attacchi isterici della sua compagna. 
« Alle ultime tre cazzate che ha sparato quella babbiona! “Lasciate perdere la storia di Lilith, non era altro che una bambina un po' tocca”. Si sente puzza di puttanata a tre chilometri di distanza. »
« Quindi tu sei convinta che lei sappia qualcosa di più di quello che ci ha detto. »
« Anche tu sei in errore, Hussman. Quella là sa tutto di Lilith, riuscivo a leggerglielo in volto mentre raccontava. Almeno, nella sua sciocca ingenuità, ci ha fornito un ulteriore indizio che potrebbe rivelarsi molto utile. »
« Ossia? »
« Miranda Damage. » sibilò, prendendosi la testa fra le mani. « Ora sappiamo che una persona cara a Lilith, di età probabilmente inferiore alla sua, si cacciò in un guaio molto serio e lei, che nonostante la presunta pazzia aveva buon cuore, aveva intenzione di fingersi Miranda Damage per salvarla. » fece a mo' di spiegazione.
« Ascoltami, Venetia » sospirò June. « Hai sentito la mege... Insomma, la signora. Lilith è probabilmente morta da tempo, e se quello che ci ha raccontato è vero questa Miranda Damage lo è da ancora prima. Forse è il caso di lasciar perdere questa faccenda dei “Castro”, non credi? »
« Mai! » sbottò, spalancando gli occhi. « Vuoi forse che il tuo caro fratellino diventi concime per le piante? »
June trasalì, ricordandosi improvvisamente della promessa strappata alla ragazza il giorno in cui si era presentata con l'intento di nutrirsi con il sangue di Lloyd.
« A te la scelta. »
« D'accordo! » esclamò con veemenza. « Continuiamo le ricerche, anche se penso che non porteranno a nulla. Su, vieni a casa mia, hai ancora un'ora di permesso. »





Villa Hussman era una delle case più ricche ed antiche dell'intero Distretto. Un viale costeggiato da siepi multiformi e putti dalla cui bocca uscivano rigagnoli d'acqua cristallina conduceva al grande edificio in mattoni grigiastri. Ma se dall'esterno la sua bellezza lasciava sbigottiti, quando vi si entrava non si poteva fare altro che ammutolire per lo stupore. Gli enormi saloni erano affrescati con motivi che ricordavano la stagione del raccolto, e le grandi finestre d'ebano coperte da pesanti tende di broccato rosso. 
« Che bell'ambiente. » minimizzò Venetia, cercando di nascondere la meraviglia. Era già stata lì in passato, ma una volta sola e con ben altri scopi. 
« Un regalo del presidente Snow a mia madre. » spiegò June con una punta d'orgoglio.
« Il presidente che regala una villa ad una semplice impiegata dell'anagrafe? »
« Beh... » balbettò imbarazzata. « È stato a causa di alcuni servizi che mia madre ha prestato, non so se mi spiego. »
Venetia ebbe una fugace visione della scura giarrettiera di Frieda Frackowiak Hussman appesa nell'armadio della figlia, e trattenne a stento un sogghigno.
« Oh, capisco. Penso che sia il caso di tornare all'ovile. » 
« Come vuoi. » fece senza troppa convinzione. Non sapeva più come doveva comportarsi con Venetia, se doveva dimostrare di tenere a lei per far uscire suo fratello vivo da quella faccenda così inverosimile o se semplicemente era il caso di non infierire nelle sue decisioni.
Si sedette sull'erba umida, annoiata.
Forse ha solo bisogno di un amico pensò.
Si, doveva essere sicuramente così. Una volta da bambina sua madre aveva organizzato una colletta per i bambini dell'orfanotrofio portandola con sé, e nulla la sconvolse di più di quei visi smarriti, di quei corpicini magri e pieni di lividi. Doveva provare semplicemente compassione verso quella bambina, nonostante non fosse certo dotata di buon carattere.
Ma, più si sforzava di mostrarsi solidale, più l'avversione nei suoi confronti cresceva. In lei non riusciva a vedere null'altro che un essere immondo, incapace di convivere civilmente con il resto dell'umanità.
Fu costretta ad ammettere, seppur a malincuore, che per certi versi la invidiava. Se piegarla era difficile, spezzarla era impossibile. Era lei che dettava le regole, non esistevano altre alternative.
Eccetto la morte.
Ad un tratto udì un lieve cigolio seguito da un tonfo sordo, come se qualcuno avesse scavalcato il cancello.
« Mamma? » chiese sbigottita. Che motivo aveva sua madre di entrare in quel modo furtivo?
« Venetia, sei tu? »
Le parve di udire un rumore attutito di passi ed un lento sospiro. Poco dopo udì nuovamente quel tonfo ed un altro urto, questa volta molto più forte. Si alzò di scatto e percorse correndo la stradina principale. Aveva i brividi sulla pelle ed il fiatone per via dello sforzo imprevisto. Ripeté il percorso per tre volte, accertandosi che non ci fosse nessuno. 
Sospirando per il sollievo, si apprestava ad andare in cerca di Venetia quando le cadde l'occhio su un foglietto spiegazzato accanto al cancello. Lo aprì con dita frementi di curiosità, scoprendo con delusione che si trattava solamente di un manifesto funebre di cinquant'anni prima. Una bambina dalla carnagione bianchissima e lo sguardo vacuo le sorrideva, probabilmente inconscia della sua morte imminente. Con le dita sottili si tormentava un ricciolo rosso, le labbra leggermente dischiuse che mettevano in mostra gli incisivi perlacei. Accanto al suo viso c'era una piccola V dorata, il che significava che era figlia di un vincitore degli Hunger Games. 
June soffiò sulla sommità del foglio per leggere la scritta coperta da uno spesso strato di polvere. Con riluttanza vi passò sopra un dito, rabbrividendo al contatto con lo sporco. Ben presto, però, il suo disgusto si trasformò in ben altre sensazioni.

 
Miranda Damage Vélasquez.

« Oh merda. » balbettò, stringendo al petto l'annuncio. « Venetia! Venetia! »

 




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La linea che separa i sogni dagli incubi è sottile come un ago e ben presto le ombre del passato tornarono a presentare il conto.







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#Cash

Lo so, questo capitolo manca quasi completamente d'introspezione. Infatti non so se mi piaccia o meno. 
 Diciamo che è il primo veramente “importante” perché entrano in scena alcuni personaggi fondamentali e si inizia a scoprire di più sul passato di June, oltre che su quello di Venetia. In confronto a quello della bionda, però, il suo è decisamente più contorto e difficile da spiegare.
Ma chi sarà mai questa misteriosa Lilith? E chi si è intrufolato a villa Hussman per far vedere loro il necrologio di Miranda? Perché vi sto facendo tutte queste domande?
Bisognerà aspettare un po' prima di sapere la risposta, e nel frattempo entreranno in scena molti altri personaggi, cadaveri e non. Quindi mettetevi comodi e aspettate 

Dimenticavo, questa è la povera June, mentre Venetia è la ragazza del banner.
E per finire – dopo la pianto, promesso – sulla mia pagina Facebook Eisoptrofobia potete trovare spoiler e curiosità su questa fanfiction.
Alla prossima! 


 

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Capitolo 4
*** But you can't never leave ***






Schwartz's Roses






Pensavamo morisse mentre dormiva
Pensavamo dormisse mentre moriva




CHAPTER III
But you can't never leave




Venetia chiuse gli occhi mentre l'acqua fredda le avvolgeva il corpo, avviluppandola in un abbraccio che le fece accapponare la pelle.
Era consapevole di aver appena intrapreso un'affascinante avventura, eppure si sentiva già stanca. Evidentemente nell'elaborare il suo meraviglioso piano di vendetta aveva trascurato alcuni dettagli molto importanti.
Primo fra tutti quella sciocca ragazzina pensò.
June. Innocente, dolce, piccola June. Alcune volte la sua ingenuità riusciva persino ad intenerirla. 
Più immacolata di un fiocco di neve.
Forte in lei era il desiderio di insudiciare quel candore, di ucciderne ogni nobile impulso. Avrebbe voluto veder scomparire tutti i suoi sogni profumati di dolcezze, cancellare quell'odioso, timido sorriso che si intravedeva appena dietro una porta appena aperta. 
Non c'era un perché dietro le sue perverse fantasie, si erano semplicemente impadronite della sua mente e avevano scavato a fondo, diventando più concrete giorno dopo giorno. 
Se continui così, cara Venetia si disse, sorridendo appena. Finirai con il presentarti sotto casa sua armata di motosega, e al diavolo i Castro.
Si immerse quasi completamente nel liquido freddo, lasciando affiorare in superficie solo la punta del naso. Le sarebbe piaciuto vedere il profilo delle persone che si trovavano sott'acqua, era convinta che solo in quella circostanza potessero mostrarsi per come erano davvero. O forse le era venuta questa fissa per il semplice fatto che una volta si era vista con gli occhi aperti sott'acqua, e mai come allora era apparsa al suo stesso sguardo per come avrebbe voluto essere davvero.
Letale.
Una iena magra e affamata.
Dischiuse lentamente le labbra, e l'acqua si tinse di una lieve sfumatura di rosso. Di sicuro sangue che le era rimasto tra i denti, nulla di particolarmente eccitante.
Rimase lì, ad osservare le chiazze vermiglie che navigavano sulla superficie dell'acqua come navi alla deriva nonostante gli occhi le bruciassero. Era sempre stata sadica nei confronti del suo corpo, le piaceva spingerlo al limite. Chissà fino a che punto sarebbe riuscito ad arrivare, fino a quando avrebbe resistito.
Si passò una mano lungo gli zigomi, risalendo pian piano fino agli occhi e poi alla fronte. Reclinò la testa all'indietro con un piccolo gemito mentre le sue dita sottili si facevano strada tra i capelli, che ondeggiavano adagio nell'acqua come incantati da una melodia che solo loro potevano sentire.
Non era mai stata bella, né probabilmente lo sarebbe diventata in futuro. Ma aveva un fascino particolare, un'aura di pericolo appena percepibile che la rendeva intrigante ed inquietante al tempo stesso. 
E si, lo adorava. Erano gli sguardi fugaci che i passanti le rivolgevano – un misto tra timore e riverenza – che la facevano sentire viva. Indistruttibile.
La sua mano iniziò a scendere verso il basso. Si sfiorò appena il collo, leccandosi i denti quando trovò due forellini all'altezza della giugulare simili a feritine causate dalla puntura di un insetto molesto. 
Aveva tutto, opportunità per l'eternità, lei apparteneva alla notte e per questo era libera. Le dispiaceva che non si potesse dire lo stesso di quei miseri soldatini di piombo attaccati alla vita terrena, poiché quando il mondo sarebbe divenuto solamente pace e notte, senza gemiti né bisbigli alcuni, non sarebbero divenuti altro altro che un sepolcro di oscena angoscia satura di vermi precipitati dal cielo.
Tutto quel riflettere l'aveva messa così di buon umore che le venne voglia di intonare un motivetto  composto in uno dei momenti di noia molto frequenti in quell'orfanotrofio.

Tenebra soffice, tenebra mia,
Prendimi con te e trascinami via…

La sua voce era un gorgoglìo roco e confuso. Fiotti liquidi le entravano dalla bocca per poi uscire subito dopo, e a quel punto non riuscì più a reprimere la risata malevola che le era salita alle labbra da quando aveva iniziato a fantasticare su June. 
Si premette il palmo contro il naso e le labbra per non ingerire acqua, e senza pensare vi affondò i canini. Contemplò con stupore l'impronta dei suoi denti, erano bellissimi.
Sono un piranha rise tra sé; e sé. Anzi, sono ancora più pericolosa. Qual è l'animale più pericoloso al mondo?
In preda all'autocompiacimento, Venetia iniziò a formulare pensieri assurdi. E rideva, rideva come poche volte aveva fatto fino ad allora. La si poteva definire in stato di ubriachezza.
Avendo esaurito l'intera scorta d'aria che aveva immagazzinato nei polmoni risalì in superficie, muovendo le gambe come una sirena. Era bello, bellissimo sghignazzare fino ad avere il mal di pancia senza apparenti motivazioni, era bello essere temuta e rispettata da chiunque incontrasse, era bello essere considerata un presagio di morte.
Quella era libertà.  





Aveva ancora i capelli bagnati quando un inserviente le annunciò la visita di June May April Hussman.
Le piaceva l'armonia di quei tre nomi insieme. Una volta aveva letto che solo i nomi dei mesi estivi potevano essere dati alle bambine.
June. May. April. Magari i suoi genitori l'avessero chiamata April. Al confronto, Venetia sembrava ancor più brutto e sgraziato di quanto non lo fosse in realtà. 
Un motivo in più per vendicarsi, sia con i suoi genitori – se ancora in vita – sia con le generazioni a loro precedenti. Del resto, non potevano essere morti tutti.
Venetia? »
La biondina si avvicinò alla branda facendo ondeggiare l'orlo del vestitino pizzato. Era evidente che l'insopportabile puzza di fumo e sangue che impregnava l'aria la faceva sentire a disagio, ed il suo disagio era fonte di gioia per la dodicenne.
Stupida, stupida ragazzina. 
June si passò nervosamente una mano tra i capelli, e con una punta di imbarazzo annunciò: « Mia madre mi ha detto di chiederti se questa sera volevi unirti a noi per la cena. »
La sua espressione era cordiale, ma i suoi occhi dicevano che la proposta di Frieda Hussman era dettata perlopiù dalla pietà che provava nei suoi confronti. 
Dì alla tua mammina che idee del genere non le devono passare neanche per l'anticamera del cervello. » rispose stizzita. Non aveva bisogno della magnanimità di nessuno, lei, tantomeno di quella di una ricchissima vecchia incartapecorita. 
Ammetto che entrambe – sia io che mia madre – avevamo immaginato che tu avresti rifiutato. » continuò June con un vago sorriso, che dimostrava tutto il suo compiacimento per la previsione azzeccata. « Ma mi tocca insistere. »
Venetia si concedette qualche minuto per riflettere. Al momento l'ultima cosa che avrebbe voluto fare era cenare insieme ad una famiglia di nababbi estremamente snob. In più la loro era una cattiveria gratuita: tutti gli Hussman sapevano che pochissime volte nella sua vita si era cibata di qualcosa che non fosse sangue.
D'accordo. Magari la loro cattiveria non è gratuita, e io ho fame. Chissà se la babbiona è saporita… si disse.
Un pensiero le attraversò fulmineo la mente, facendole brillare gli occhi. Quanto era stata stupida a non pensarci prima, appena la ragazzina le aveva fatto quella proposta.
Doveva andare a tutti i costi. Anche solo per un istante, ma doveva andare.
E va bene! » sbottò, sperando che June non notasse l'insolito luccichio che le illuminava le iridi. « Se proprio insisti, allora considerami dei vostri. »
Perfetto. » fece June, incrociando le mani all'altezza della pancia. « Non farti problemi per via del cibo. La cosa importante è che tu possa allietare la nostra serata con la tua gradevole presenza. » 
Pronunciò l'ultima frase con un accento strano, quasi di scherno. Ciò la indusse a pensare che, malgrado tutto, anche quella creatura insulsa e inutile che era June Hussman potesse essere cattiva, in fondo. Forse in tutta l'umanità esisteva un lato perfido che si nascondeva sotto i sorrisi e le moine, di cui pochi erano a conoscenza. Solo che in alcuni era più visibile che in altri.
In June era quasi inesistente, ma proprio per questo era naturale. E a lei piacevano molto le cose genuine.
Forse con un po' di buona volontà sarebbe potuta diventare meno detestabile e più simile a lei. O forse doveva semplicemente rimanere la June di sempre, l'essere più inutile che fosse mai esistito in tutto Panem.
Ma se è davvero così inutile sussurrò una vocina maligna proveniente da qualche parte dentro di lei. Perché l'hai scelta come compagna di avventure?
Decise di ignorare la provocazione che si era lanciata. Digrignò i denti e si leccò le labbra come un animale, facendo rabbrividire la quindicenne. Il suo disagio la faceva sentire potente.
Devi proprio essere così… Così… » farfugliò, in cerca delle giuste parole. 
Così come? » 
Così… Spudorata. » Arrossì nel pronunciare l'ultima parola e distolse in fretta lo sguardo dal viso emaciato di Venetia, ora deformato da una smorfia sarcastica.
Fai sul serio, Hussman? » le chiese. « Perché se trovi impudico questo, non oso immaginare cosa farai quando… »  
I suoi occhi si spalancarono quando notò l'espressione esterrefatta di June. Le sue guance, di norma scarlatte quando si trovava in imbarazzo, erano diventate quasi violette.
Hussman, hai mai baciato un ragazzo? »
Il labbro inferiore della ragazza tremò. « Io… » 
Mio Dio! » esclamò, senza più reprimere le risate. « Alcune volte mi chiedo se sei umana, piccola Hussman. »
Non sono io quella anormale qui. » ribatté piccata la bionda.  
Per un breve istante Venetia pensò che forse, se non si fosse trattato di June May April Hussman, avrebbe anche potuto mostrarsi un tantino solidale. Ma il soggetto in questione era probabilmente la persona più noiosa dell'intero universo e – cosa assai strana – una delle adolescenti più bizzarre fisicamente che avesse mai visto. Neanche lei era bella, nonostante la corporatura slanciata e gli occhioni blu le mancavano alcune caratteristiche fondamentali che la potessero rendere tale, ma era particolare. E questo le piaceva e la ingelosiva al tempo stesso.
   Un attimo dopo si pentì di averlo pensato. Particolare o no, era pur sempre la Hussman, e questo bastava per instillarle nel petto una piacevole sensazione di disprezzo ogni volta che guardava quel volto pieno e leggermente tondeggiante.
Questione di punti di vista. » fece, ed il solo tono di voce lasciò intendere a June che non era il caso di proseguire la conversazione. In fondo, Venetia trovava sempre il modo di avere ragione. Nel poco tempo che aveva trascorso con lei aveva compreso a pieno la sua abilità nell'arte di truccare le carte in tavola quando si trattava di discussioni, e non c'era verso di coglierla a corto di argomentazioni.  
Con un saltello salì sopra alla branda, che cigolò sotto il suo peso. Chissà quanto doveva essere malmessa – pensò June – se non era più capace neppure di sopportare la pressione esercitata da un corpicino come quello della dodicenne. 
Nell'oscurità quasi totale, June si sentì afferrare per un braccio, ed il contatto con cinque dita sottili e gelate la fece sussultare.
Ci vediamo per cena. » sussurrò una voce.





 
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#Cash
… Alla faccia che avrei dovuto aggiornare presto.
Lo so, sono passati mesi dall'ultimo aggiornamento, al punto che molti di voi a malapena si ricorderanno di questa povera sfigata qua, ma vi assicuro che nel frattempo ho riordinato le idee, ho progettato con cura tutto quanto (finalmente so come farla finire, yay!) e ho fatto una prima stima del numero dei capitoli. Ne dovrebbero essere una cinquantina, compresi il prologo e l'epilogo. Eh si, ho abbastanza cose da scrivere ^^
Poiché adesso è finalmente estate ho intenzione di postare almeno un paio di capitoli, considerando anche che dall'anno prossimo avrò meno tempo da dedicare alla scrittura. Non voglio lasciare SR incompleta! *coccola la sua storiella malcagata*
Altra cosa: questo capitolo è molto introspettivo/delirante, e viene dato molto poco spazio all'azione. Mi rifarò con i prossimi, statene pur certi. Già il seguente dovrebbe essere più “dinamico”.
La smetto qui, altrimenti rischio di fare il solito papiro che poi nessuno si fila.
Alla prossima 
♡    



 

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