Il gioco delle calamite

di aturiel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Il gioco delle calamite

 
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Capitolo uno



“Presi me stesso
nel mio laccio. –
io di tutti il meno libero!”
La valchiria - Richard Wagner



Prese le forbici insieme al coraggio e iniziò a tagliarsi i capelli. Le ciocche cadevano lente, il passato scivolava via con loro. Tutta la confusione, la paura, la rabbia, la tristezza se ne andavano finalmente. Adesso aveva solo una zazzera di capelli scompigliati e informi, uno di quei tagli drastici che non facevano per niente venir voglia di essere accarezzati con amore. Ma lui l’avrebbe fatto. Li avrebbe guardati, avrebbe riso e avrebbe sussurrato piano: “Ti stanno davvero male, idiota”. E l’avrebbe baciato.
Sorrise.
Si incamminò verso la piazza: aveva la sciarpa che gli copriva completamente la bocca e il cappotto che lo infagottava, manco fosse in Antartide insieme ai pinguini. Era stranamente nervoso, nonostante non fosse il loro primo appuntamento.
Sorrise di nuovo, tra sé e sé.
Quanti piccoli passi avevano compiuto insieme! Quanti litigi, quanta tristezza, quanti pianti, quanti baci infuocati di nascosto da tutti, quanti abbracci stretti che li rinchiudevano in un mondo che era solo loro, quante carezze.
Fin dall’inizio la loro era stata una storia complicata: Daniel, appena arrivato in Italia con la sua fidanzata Sonia, senza conoscenze né umane né linguistiche, con un grande cuore, lo sguardo tormentato e un sarcasmo pungente. E poi Andrea, capelli scurissimi e occhi di ghiaccio, spaccone fino al midollo e dalla rabbia facile.
Capitati vicini di banco nell’ultimo anno di superiori nonostante le mille preghiere di Daniel alla professoressa e le minacce poco velate di Andrea. 
Quanto si erano odiati! Andrea che lo obbligava a passargli ogni compito in classe anche se sapeva che il suo vicino era messo peggio di lui, Daniel che si rifiutava di parlargli se non costretto: lo riteneva uno stupido narcisista fannullone.
Andrea che saltava giorni di scuola perché si era ubriacato troppo la sera prima e Daniel che invece a scuola ci andava, ma con le occhiaie scure perché trascorreva notti troppo infuocate con la sua amata Sonia.
Andrea che lo prendeva in giro appena tornato e Daniel che faceva lo stesso.
Erano entrambi dei “poco di buono” e, proprio perché simili, come due calamite con lo stesso polo si respingevano. 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Capitolo due
 

“Se ti svegliassi a un’ora diversa in un posto diverso,
ti sveglieresti come una persona diversa?”
Fight club



Poi quell’uscita con tutta la classe, il troppo bere e, forse, anche qualche porcheria aggiunta ai loro bicchieri sempre pieni avevano fatto ritrovare Daniel schiacciato contro la parete e Andrea che lo baciava con foga. E come lo baciava! Come se fosse stato l’unico motivo per cui aveva vissuto fino a quel momento, come fosse stato un pugno nello stomaco al suo più acerrimo nemico, come il fuoco.
E Daniel aveva risposto, forse con ancora più ardore di lui. Il loro primo bacio non era stato esattamente da favola, proprio no.
Il giorno dopo entrambi erano stati troppo male per ricordare l’accaduto o per accorgersi che un amico aveva fatto loro un video. Che shock quando si erano visti nello schermo di un cellulare, incollati in un angolo della discoteca a baciarsi e a toccarsi ovunque!
Per mesi non si erano più nemmeno rivolti la parola, avevano chiesto alla professoressa di cambiarli di posto e lei, forse perché aveva intuito qualcosa di grosso sotto, questa volta aveva acconsentito.
Il video era sparito dalla circolazione come anche il ragazzo che l’aveva filmato, trasferito in un’altra scuola dopo chissà quali minacce.
Poi un giorno Andrea aveva attaccato briga con dei ragazzi più grandi e più fatti di lui che l’avevano mandato all’ospedale con una buona dose di ossa rotte e lividi. Daniel era andato a trovarlo, ovviamente preoccupato. Si erano baciati di nuovo, poi Daniel era scappato via, come se avesse appena ucciso qualcuno.
Non era riuscito nemmeno a parlargli.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Capitolo tre

 
“Dove c’è molta luce l’ombra è più nera.”
Johann Wolfgang von Goethe



Si sedette su una panchina e vide una coppia in mezzo alla piazza che camminava per mano, lo sguardo felice e rilassato, evidentemente innamorato; lei che sorrideva e lui che le cingeva le spalle magre con fare protettivo.
Non era stato così per lui quando aveva capito di essersi innamorato di Andrea. Non c’era stata una vera e propria consapevolezza del sentimento che stava nascendo, non c’era stata nessuna tranquillità, nessuna felicità e tanto meno un braccio forte e sicuro a salvarlo come un’ancora dai meandri più scuri della propria mente.
Si era limitato a fare più sesso con Sonia, a coccolarla di più, a riempirla dell’amore che voleva ma che adesso non c’era, a dirle le solite battute sarcastiche senza però offendere e a sorridere.
E aveva iniziato a rinchiudersi in bagno a piangere senza un vero motivo, a sbattere la testa contro il muro, ancora e ancora, a sballarsi in discoteca, a mandare in pezzi la sua vita scolastica già abbastanza traballante, a tornare troppo tardi la sera e a svegliarsi più stanco di quando era andato a dormire.
Si era sentito in colpa per aver tradito la sua fidanzata, quella ragazza a cui aveva donato un anello d’argento con il simbolo dell’infinito. Che sciocchi erano stati, così tanto pensavano di durare! Era già tutto finito tra loro, così come la pace di Daniel e Andrea.
Chi aveva sentito voci sul loro conto, ridevano alle loro spalle. Strani fatti erano accaduti dopo quella serata in discoteca e, se all’inizio non era avvenuto niente che facesse sospettare la presenza di un gruppetto di omofobi all’interno della scuola, adesso le uova rotte negli armadietti della palestra, le gomitate un po’ più violente negli stinchi durante partite scolastiche di calcetto, il silenzio imbarazzato intorno a loro quando passavano, le battute sempre troppo esplicite e pungenti e un paio di risse che li aveva visti coinvolti fuori da scuola non li faceva sperare bene.
Non avevano avuto paura però, non erano ragazzi così, loro.
Infatti alla fine erano stati espulsi entrambi per una settimana: Daniel aveva bucato le gomme di un motorino, Andrea invece aveva rotto il naso a un ragazzo che lo aveva insultato in corridoio.
Poi era passato tutto, nessuno li aveva più provocati, se non le loro stesse menti.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Capitolo quattro
 

“L’amore non bisogna implorarlo e nemmeno esigerlo.
L’amore deve avere la forza di attingere la certezza da se stesso.
Allora non sarà trascinato ma trascinerà.”
Herman Hesse



Chissà se anche per Andrea c’era stato un periodo di confusione come quello che c’era stato per lui: non ne avevano mai parlato, ma in fondo non ce n’era mai stato bisogno. L’aveva capito da solo.
L’aveva capito quel giorno in cui il ragazzo, dopo l’espulsione, era tornato a scuola. Non si erano salutati, non si erano seduti vicini e non si erano tantomeno abbracciati - non ne sarebbero mai stati in grado -, ma Andrea, all’uscita da scuola, gli aveva allungato una sigaretta e aveva detto, con la testa che guardava altrove, come se si vergognasse di quello che stava per fare:
«Andiamo a fare un giro?»
Daniel aveva accettato sigaretta e invito.
Avevano parlato di un po’ di tutto: Andrea, facendo un po’ lo spaccone come al suo solito, aveva iniziato a elencare tutte le ragazze che si era portato a letto, tutte le cazzate che aveva combinato, gli aveva raccontato delle sue serate in discoteca e del nuoto, unico argomento che gli aveva fatto davvero illuminare gli occhi grigi. Avevano brillato come diamanti quegli occhi così glaciali, tanto che Daniel vi si era perso e, probabilmente, non aveva ancora ritrovato la strada.
Poi, chissà come, erano saliti nel suo appartamento malmesso e in periferia; gli sembrava di ricordare che il motivo ufficiale fosse quello di dare un po’ di sollievo alle loro gole assetate per il troppo parlare. Probabilmente, però, non era quello reale.
Si erano baciati quasi avessero avuto fame, un bacio simile a quello nella discoteca. Ma questa volta non erano ubriachi se non di se stessi e del proprio odore. Un bacio ne aveva tirato dietro un altro e poi un altro ancora, finché non si erano trovati stesi sul divano a fare sesso.
Daniel si ricordava bene le dita di Andrea che, senza delicatezza, gli avevano afferrato i capelli scuri nella foga di un morso; si ricordava del suo respiro caldo e affannato sul collo.
Si erano addormentati vicini, con le dita intrecciate, un sorriso languido e soddisfatto stampato sul volto e il cd dei Beatles che riempiva l’aria.
Era così che Sonia li aveva trovati tornando dal lavoro. Li aveva svegliati con uno scossone e con strilli disperati, tristi, stupiti e inorriditi. Soprattutto inorriditi.
Daniel aveva cercato di calmarla, le aveva detto di tutto per non farla andare via, aveva detto che era stato tutto un errore, che volevano solo provare, niente di più.
Alla fine se n’era andato prima Andrea, sbattendo la porta, seguito subito da Sonia, con le lacrime agli occhi.
Daniel era rimasto solo con le coperte sfatte in mano e una voragine nel cuore. Non era uscito di casa per quasi una settimana con la speranza di riuscire così ad annullarsi completamente.
In un istante aveva perso la sua Sonia e Andrea, e il suo mondo gli pareva ormai finito.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Capitolo cinque
 

“Non aspettavi che questo momento
per spiccare il volo.”
Beatles - Blackbird



Aveva pensato a Sonia, al loro amore perfetto e pieno di passione che era finito per un bacio incandescente in discoteca. E aveva incominciato a pensare a loro due, a cos’erano davvero: aveva capito che si amavano. L’aveva capito troppo tardi, ma nel momento giusto.
Si era sentito pronto per spiccare un volo. Non sapeva se sarebbe caduto o avrebbe continuato a volare, ma non gli importava, voleva solo fare quell’altro passo per essere un po’ più vicino alla cima. Che importanza ha fallire se si può almeno annusare il profumo della felicità?
Quando era finalmente uscito dalla sua reclusione ed era andato a cercare Andrea, lo aveva trovato ad ammazzarsi di allenamento a nuoto, incazzato come non l’aveva mai visto.
L’aveva aspettato fuori dallo spogliatoio maschile, mettendo sul un tavolo da gioco tutte le briciole di orgoglio e determinazione che gli erano rimaste. Appena Andrea l’aveva visto aveva contratto tanto la mascella che i denti avevano iniziato a scricchiolare, poi gli aveva tirato un pugno nello stomaco sibilando insulti, ma Daniel l’aveva seguito. Per quanto Andrea lo picchiasse e lo insultasse lui aveva continuato a parlargli, a scusarsi e a corrergli dietro senza mai stancarsi.
Quante botte si era preso quel giorno! Gli veniva da ridere a pensarci.
Quando Andrea si era fermato a guardarlo, lui aveva chiuso gli occhi aspettandosi, rassegnato, un ennesimo cazzotto da qualche parte. Invece no, aveva sentito quelle labbra morbide baciarlo, con dolcezza finalmente.
Aveva aperto gli occhi e nel grigio dei suoi si era visto riflesso, con l’ombra di un pugno sullo zigomo e piccolo, ma abbastanza grande da riempire completamente il suo sguardo. Ricordava che non si era messo a piangere solo perché lo aveva già fatto troppo negli ultimi giorni e che non aveva riso solo perché quel bacio glielo aveva impedito.

 

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Capitolo sei
 

“Sogna come se dovessi vivere per sempre;
vivi come se dovessi morire oggi”
Oscar Wilde



Esattamente un mese dopo, Daniel era fuori al freddo ad aspettarlo con la musica ad alto volume nelle orecchie e un sorriso che, oltre che le labbra e gli occhi, gli inondava il cuore.
Dopo quel bacio avevano camminato insieme fino a casa e avevano parlato di loro, a quello che erano insieme. Non erano stati per niente discorsi melensi, ma anzi pieni di parolacce, insulti e battute sarcastiche e pungenti. Nessun “ti amo” campato in aria, nessun “mi piaci” infantile, nessuna confessione epocale sussurrata a fior di labbra. Solo Andrea aveva detto con il suo sorriso ironico:
«Secondo me noi due non siamo gay, infatti a me piacerebbe ancora scoparmi una tipa figa, anche domani. Non ho nemmeno mai provato attrazione per un ragazzo che non sia tu. Secondo me noi siamo due bei maschi etero che hanno trovato l’amore della propria vita in un uomo. Mah, forse però siamo bisex, che dici?»
Daniel allora era scoppiato a ridere e l’aveva baciato di nuovo.
Finalmente vide in lontananza il suo Andrea, prima l’andamento traballante e i pantaloni con il cavallo basso, poi i capelli troppo lunghi che svolazzavano al vento e le mani in tasca, infine quello sguardo tagliente e il sorriso sghembo.
Eccolo, era lì vicino a lui e lo guardava.
Daniel si tolse una cuffietta e incrociò i suoi occhi a sua volta. Quasi non ci credeva. Era così bello.
Adesso che non aveva paura di osservarlo: si sarebbe potuto chinare per quei pochi centimetri che li divideva e baciarlo, avrebbe potuto cingergli la vita con le braccia e attrarlo a sé infilando le dita nei passanti dei suoi jeans, o sarebbero potuti andare a casa sua a fare sesso. Avrebbero potuto parlare del nuoto, della vecchia casa di Daniel, anche delle inesistenti zanzare in Alaska se avessero voluto. In quel momento avrebbero potuto fare qualsiasi cosa insieme, lo sentiva.
Invece aspettò un attimo, solo per ammirarlo un altro po’: avevano tutto il tempo.
Allora gli si avvicinò lentamente, socchiuse le labbra rosse dal freddo, assottigliò gli occhi, respirò il suo fiato condensato e incontrò la sua bocca.
C’era poesia in quel bacio, abbastanza da farli tremare.
Immerse le dita nei suoi capelli e tirò indietro la sua nuca che si piegò senza opporsi. Ora non avevano fretta, potevano andare con calma e godere per ogni secondo di quel contatto. Sentì Andrea sorridere sulle sue labbra come per chiedergli:
«Sei felice?»
Lui lo baciò più a fondo.
Sì, era felice. 

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