Midnight Memories

di Melany23
(/viewuser.php?uid=417049)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Giorno 1 - l'inizio ***
Capitolo 3: *** Giorno 8 - Rinuncia ***
Capitolo 4: *** Giorno 11 - Tra le stelle ***
Capitolo 5: *** Giorno 21 - Ingiustizia ***
Capitolo 6: *** Giorno 30 - Risveglio ***
Capitolo 7: *** Giorno 33 - chitarra ***
Capitolo 8: *** Giorno 48 - Mezzanotte ***
Capitolo 9: *** Giorno 58 - Scopo ***
Capitolo 10: *** Delusione ***
Capitolo 11: *** Giorno 70 - Mezzanotte ***
Capitolo 12: *** Niente pena ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo


Un giorno nel 2024…
 
Questo tubo perde già da troppo tempo, eppure non voglio arrendermi.
Sdraiandomi a pancia in su sotto il lavello della cucina, metto innanzitutto un secchio che raccolga le gocce che cadono. Guardo poi verso la cassetta degli attrezzi, che mi sembrava di averla portata.
Mentre con le mani cerco la cassetta, due ballerine piccole si avvicinano a me.
< Che fai, papa? >
< Ehi tesoro, c’è per caso una cassetta rossa da quelle parti? > gli chiedo, sempre allungadomi per guardare.
Vedo i suoi tenerissimi piedini girarsi come per guardarsi intorno, finchè non si allontanano.
Sento poi lo strusciare della cassetta, e la faccina di mia figlia che si contrae per lo sforzo di aver trascinato la cassetta fino a me.
< Questa? > dice, a corto di fiato.
Esco da sotto al lavello, sorridendogli. < Sì, piccola! Sei un gran campionessa! >
Ride, producendo un suono cristallino. Le sue braccia mi circondano, e non riesco a trattenermi dal farle il solletico, facendola ancora di più ridere. Adoro la sua risata.
< Papa >
< Si? >
< Mi annoio >
Gli sistemo i riccioli biondi dietro l’orecchio. < Vai a giocare con le bambole >
Incrocia le braccia, imbronciata. < Non sono più una bambina, papa! >
Rido. < Hai ragione, scusa. Perché non giochi con la mamma? >
Si rasserena, facendomi rimanere di sasso di fronte ad una bellezza così rara. < E’ di là a leggere >
< Leggi insieme a lei > gli propongo.
< Ma papa! Sono ancora una bambina per leggere! >
Scoppio a ridere, e un’altra risata si unisce alla mia.
Guardo la donna della mia vita osservarci dalla porta della cucina, i capelli biondi raccolti in una coda morbida, la tuta grigia leggermente gonfia intorno al bacino, che è accarezzato dalle sue mani.
Credo che la osserverei per ore e niente mi parrebbe più bello.
Beh… forse mia figlia, ma sono talmente simili e talmente belle che il paragone sarebbe improponibile.
< Dai tesoro, lascia lavorare tuo padre, altrimenti sognerà quel tubo anche di notte! > scherza Perrie, tendendo la mano verso nostra figlia.
Il campanello suona, e Perrie fa per andare ad aprire.
< Apro ioooooo! > urla mia figlia, fermando la mamma prima della porta.
< Chiedi chi è, mi raccomando! > gli raccomandiamo sia io e che Perrie, all’unisono. Ci guardiamo sorridendo.
Si avvicina a me, sedendosi. Mi prende la mano posandola sul suo ventre, posando poi la sua mano sulla mia. In attesa, mi perdo nei suoi splendidi occhi, e potrei viverci per sempre, finché un piccolo colpetto mi distrae.
Guardo in basso, e le nostre mani si muovono ancora.
< E’ tutta la mattina che fa così >  afferma Perrie, sorridendo.
Gli sorrido, sporgendomi verso di lei per baciarla.
< Bleah, che schifo! >
Ci giriamo, trovando la piccola in collo ad un altro biondo. < Già, che schifo Malik! Non davanti a tua figlia! >
Mi alzo scuotendo la testa, aiutando poi Perrie ad alzarsi.
< Cosa ti porta qui, Niall? >
Lui però sembra occupato a fare il solletico alla bambina, che si contorce ridendo come un’ossessa. Niall la posa giù, inseguendola per fargli ancora il solletico, finché non sento una porta chiudersi, e gli sbuffi del mio migliore amico.
< Ehi, così non vale! Tanto ti prendo lo stesso! > gli urla, bussando alla porta.
< No, no, zio Niall! >
< Si, si, diavoletto! >
Perrie ride. < Sei peggio di un bambino, Horan >
< E te sembri una balena, Edwards >
Ridendo, si abbracciano entrambi, e capisco che anche oggi devo abbandonare quel maledetto tubo.
Dopo la fine del tour, il ritorno a casa è stato talmente bello e pieno di tempo libero che ho dimenticato la promessa che avevo fatto a Perrie di riaccomodare quella perdita.
Ma non vedevo mia figlia da mesi, non potevo preferire un tubo a lei.
< Se non ti dispiace, devo parlare con tuo marito! > dice Niall, sciogliendo l’abbraccio.
< Tranquillo, io torno di là a leggere! C’è un po’ di birra, in frigo! >
Niall s’inchina a Perrie come per ringraziarla, dirigendosi poi verso il frigo.
Scuotendo la testa per il mio amico, vado in salotto, sedendomi. Niall mi raggiunge poco dopo, sedendosi accanto a me, porgendomi una birra.
< Grazie >
Prende un sorso.
< Allora, a cosa devo tale visita? > domando, aprendo la birra.
Niall accenna ad un sorriso, poi però torna subito serio. < Sai, l’altro giorno ho visto insieme alle bambine un filmato sulla leucemia >
< Poverine, saranno sconvolte! >
< In realtà si erano addormentate, una sopra di me, l’altra sopra il telecomando! Non potevo cambiare canale! >
Scoppio a ridere, e manca poco mi va di traverso la birra.
< In ogni caso, guardando quel programma, mi è venuto in mente una cosa > mi dice.
Posando la bottiglia sul tavolino davanti a noi, estrae da una tasca interna del suo giubbotto un quadernino d’oro, con dei fiori neri che ornano la copertina.
Lo osserva un attimo, accarezzandolo con fare protettivo, per poi consegnarmelo.
Mi metto a sedere per bene, posando anch’io la birra.
< Cos’è? >
L’osservo bene, e mi sembra quasi familiare.
< E’ un diario. Di una directioner >
Lo sfoglio, osservando le tante pagine scritte di nero in inglese, con qualche traccia di blu qua e là, come se fossero correzioni.
< E come hai fatto ad averlo? > gli chiedo.
Lui alza lo sguardo, come se dovessi già sapere la risposta.
< Me lo ha dato lei >
Restiamo in silenzio, e una piccola consapevolezza cresce dentro di me.
< Mi ha fatto promettere che, una volta che ci fossimo fatti delle nuove vite, avrei dovuto consegnartelo >
Corrugo la fronte, cercando di comprendere le sue parole.
E anche se cerco di non capire, in realtà ho capito benissimo. Non resisto nel non aprire il diario, leggendo così la prima pagina.
Diario di Alyce Battesti.
Il mio cuore sprofonda, e il fiato mi si mozza. Non voglio crederci, non posso crederci.
Consegno di nuovo il diario a Niall.
< Tienilo tu >
Lui scuote la testa. < No, amico. L’ho tenuto per ben dieci anni, adesso devo mantenere la promessa >
< Non importa. Non voglio leggerlo >
< Perché no? A lei piacerebbe! >
< Lei è morta! >
Cala di nuovo il silenzio, in cui nascondo il viso tra le mani.
Sento Niall alzarsi, posare il diario sul tavolino e raggiungere la porta.
< Anche se è passato tanto tempo, manca anche a me >
 
 
 
YEPNOPE
Ehilààààààà!
Questo è il prologo della mia nuova fan fiction, spero vi piaccia.
Ho in serbo per questa storia tante ma tante emozioni.
Spero mi diate la possibilità di condividerle con voi.
Kiss at all
Mel

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Giorno 1 - l'inizio ***


Giorno 1 - L'inzio


Sono in giardino da una buona mezzora, seduto sull’altalena che Perrie aveva sempre sognato di possedere, quelle altalene in cui puoi starci più di due.  L’abbiamo cercata in lungo e il largo, ma alla fine l’abbiamo trovata in Nuova Zelanda, e appenderla nel nostro giardino, tra questi due alberi, è stato stupendo.
Non mi lamento affatto della mia vita: ho una moglie perfetta e una bambina stupenda, la mia famiglia mi ha sempre sostenuta e continuo a fare il lavoro migliore del mondo con altri quattro fratelli. Ho una casa stupenda e riesco a fare ciò che voglio quando voglio.
Eppure adesso sono qui, seduto su un’altalena a fumarmi la quarta sigaretta consecutiva, squadrando da lontano il diario che mi sono portato dietro.
Per quanto la voglia di leggerlo è pari a zero, non ho avuto il coraggio di lasciarlo in casa. Se l’avessi perso… non so come l’avrei presa.
Perrie sa di lei. L'ha anche incontrata. Ma non ho mai voluto raccontargli di più.
E perché avrei dovuto? Non sono mai riuscito a capire cosa mi ha scatenato ciò che accadde quell’anno, ne se mi ha aiutato ad essere ciò che sono oggi.
Una volta che era finita, mi sono limitato a chiudere tutto in un cassetto, buttare la chiave e vivere tralasciando ciò che avevo vissuto.
Ma Niall mi ha riportato a rivivere di nuovo.
E per quanto abbia tentato di evitare, sapevo che un giorno avrei dovuto affrontarlo.
Spengo la sigaretta nel posacenere, maledicendomi per aver mandato all’aria tutti gli sforzi di Perrie per farmi smettere di fumare, e afferro il diario.
Accarezzo la copertina dorata e rigida, osservando quanto sono morbidi i fiori neri. Lei era così: dolce come i fiori, ma forte come la copertina di questo diario.
Lo apro e inizio a leggere:
 
Giorno 1 Mese 1 Anno 2013
 
In realtà è il 18 marzo, ma è comunque il primo giorno del primo mese che passerò nel Royal Hospital di Londra.
È così strano pensare a questa stanza bianca e vuota come alla mia ultima camera. Probabilmente, se mi daranno la conferma, la imbiancherò di un bel giallo brillante, come il sole.
Il sole che non potrò vedere come facevo pochi giorni fa. Potrò soltanto osservare i raggi del sole che filtreranno dalla mie grande finestra, la quale si affaccia su un bellissimo giardino.
Sono al pian terreno, quindi significa che, quando vorrò, potrò uscire. Che bello! Non ho mai avuto un giardino! Stavo sempre chiusa in soffitta ad ascoltare musica e a fare schizzi spregevoli sulle mie vuote pareti.
Forse non è così male come sembra.
Anzi, forse per certi aspetti sarà meglio che stare a casa mia. Almeno mangerò tutto giorni.
Sempre se ne avrò voglia. Ultimamente la fatica ha la meglio su di me, e salto interi pasti; mi stanco molto anche soltanto ad alzarmi, ma forse perché è solo l’inizio. Forse tra poco mi abituerò. Sì, sono sicura che sia così.
Poco prima è entrata un’infermiera molto carina, si chiama Cindy e mi ha detto che si prenderà cura di me. Sembra gentile, ha dei capelli a caschetto neri che circondano un bel viso olivastro. È alta quanto me, perciò non mi sentirò la più bassa per la prima volta.
Mi ha annunciato gli orari dei pasti e delle visite previste. Ovviamente i miei genitori potranno venire sempre a trovarmi, ma dubito che verranno tutti i giorni. Lavorano entrambi fino a sera, e quando tornano c’è il mio fratellino Tommy da badare.
Non importa se non verranno ogni giorno, alcune mie amiche hanno detto che se possono, dopo le lezioni, mi porteranno i compiti, e se considero il fatto che i miei verranno a trovarmi sia il sabato che la domenica, allora non sarò poi così tanto sola.
Ho visto, inoltre, che non sono la sola ragazza a stare in questa corsia. Spero di riuscire a fare amicizia, anche se non vado molto a genio alle persone a primo impatto; o almeno questo è il mio parere.
Ho appesi i miei vestiti nell’armadio bianco spento, e quando l’ho chiuso ho  concordato sul fatto che un paio di poster non faranno male su quel mobile. Tayla mi ha promesso che me ne porterà alcuni da camera mia, insieme poi a tutte le cose che non sono riuscita a portare da sola.
Sto perdendo molte forze, ho a malapena portato una zaino e la borsa. Ma per fortuna la metro non ha scioperato, altrimenti sarei dovuta venire qui a piedi.
Aprendo e mettendo la biancheria intima nel secondo cassetto del comodino alla mia sinistra, ho tentato diverse volte di aprire il primo cassetto, ma anche qui la mia forza è venuta a mancare.
Ho detto a Cindy che forse era rotto, invece lei lo ha aperto con estrema facilità. È stata molto comprensiva, infatti ha detto che come comodino è sempre stato difettoso. Non so quanto crederci, ma apprezzo il gesto.
Dopo aver sistemato tutte le cose che avevo portato, sono andata al piano superiore per comprare una rivista, ma sono tornata in camera con tre libri: era da tanto che volevo leggere il primo di Percy Jackson, ed ero così emozionata di aver visto Where We Are che l’ho voluto comprare.
Almeno avrò i miei cinque coglioni a tenermi compagnia.
Spero di poter guarire entro due mesi. Ho combattuto troppo per quel biglietto, e se non vado neanche a questo di concerto non so come reagirò.
Nessuno vuole ammettere che però, se non mi fossi tagliata così profondamente, probabilmente sarei morta. Già, perché è stato grazie a quel taglio che i miei genitori hanno capito che avevo qualcosa. Sicuramente erano scioccati dal fatto di avere una figlia autolesionista, ma scoprire poi saremmo arrivati a questo punto… è stato uno shock.
Io faccio buon viso a cattivo gioco, ho sempre odiato dimostrarmi debole agli altri, e sono poi molto ottimista ultimamente. E poi, se i miei genitori mi vedono forti, allora si sentiranno più tranquilli.
Con la storia di papà che ha perso il lavoro e le mie cure che non fanno altro che chiedere soldi, sono molto stressati. Non voglio recargli ulteriori preoccupazioni.
E poi, in fin dei conti, per ora sto bene.
D’altro canto, sanno tutti che a me bastano due cuffie e gli One Direction  per sentirmi bene.
E stasera, per quando lontano dalla mia camera io sia, per quanto duro e puzzolente sia il letto, per quanto sia tragica la situazione, le note di Nobody Compares mi fanno venir voglia di dormire fino a che non sia l’ora di alzarsi.
 
 
Giorno 4 Mese 1 Anno 2013
(22 Marzo)
 
Stamattina mi sono svegliata e ho visto una ciocca dei miei capelli per terra.
L’ho presa e l’ho osservata a lungo. Mi sono accorta che stavo piangendo quando l’intera ciocca non era bagnata. Mi sono alzata in fretta, e perdendo l’equilibrio sono caduta.
Cindy mi ha detto di starmene a letto oggi, mentre spazzava altre sei o sette ciocche che erano cadute.
Mentre le buttava nella cassetta, pensavo a quando Niall e Louis nel video di Best Song Ever avevano la chiazza pelata in testa.
Credo di capire come si sono sentiti in quel momento.
 
 
 
 
YepNope
Voglio ringraziare l’unica stellina che per ora ha recensito questa piccola storia.
Vedo che comunque ha qualcuno è piaciuta, perché in silenzio l’avete messa fra le seguite e preferite… quindi GRAZIEEEEEE!
Sappiamo ancora poco di questa nostra protagonista, ma abbiamo anche capito che non è una ragazza come tante altre. È sfortunata, rispetto a noi. Ma condivide comunque la passione per la musica, e per i nostri ragazzi.
Adesso aspetto che qualcun altro recensisca sia questo che lo scorso capitolo!
Intanto scriverò ovviamente ;)
Kiss At All
Mel 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Giorno 8 - Rinuncia ***


Giorno 6 Mese 1 Anno 2013
(24 Marzo)
 
Giorni fa ho deciso di dare un’occhiata alla corsia di cui faccio parte.
Vestendomi, stando attenta all’ago piantato nel braccio destro, mi sono incamminata nel corridoio dove si trova la mia stanza, affacciandomi senza sbirciare troppo nelle varie camere.
Credo di essere la più grande di questa corsia, guardando dentro le stanze ho visto tanti piccoli bambini che dormivo pesantemente, alcuni già pallidi e senza capelli.
Mi è salita un gran tristezza vedendo quelle piccole vite spengersi lentamente. Chissà quanto avranno capito di ciò che gli sta succedendo; chissà se sono spaventati.
Portandomi dietro il palo della flebo, sono uscita in giardino, sedendomi sull’unica panchina.
È un bel giardino ampio, con un bel prato verde e tanti cespugli di fiori colorati. Ci sono molte gardenie, i fiori che Tommy odia di più in assoluto. Mamma ne aveva piantati alcuni nel giardino della nonna, ma Tommy li strappò tutti in un secondo. Si giustificò dicendo che puzzavano ed erano dei fiori insignificanti.
La mamma ieri mi ha detto che Tommy non vuole più venire a trovarmi. Amava i miei capelli, e quando ieri è tornato a casa dopo essermi venuto a trovare, ha pianto tutto il giorno, dicendo che voleva di nuovo i miei capelli. Gli ho detto che mi li ero tagliati fin sotto alle orecchie, ma Tommy non è stupido: ha 10 anni e ha capito benissimo cosa sta succedendo.
Mamma ha detto che gli passerà, ma Tommy non ha mai sopportato il dolore. Non ha nemmeno il coraggio di uccidere una zanzare il mio fratellino, dice che anche loro meritano di vivere, seppur bevendo il nostro sangue.
Ricordo che quando ricoverarono la nonna, Tommy mi disse che non ce la faceva a vederla triste e sofferente. Non andò mai a trovarla, ma gli fece tanti disegni, che in poco tempo fecero da murales nella stanza d’ospedale della nonna. Mia nonna morì due mesi dopo, e l’ultima frase che disse fu un’osservazione sui girasoli che Tommy gli aveva disegnato: “Ha del talento”.
Con gli occhi chiusi e il viso rivolto verso l’unico spicchio di sole, ho sorriso sentendo il calore che m’inondava il corpo. Ho pensato che forse, se sorridevo al sole, poteva riscaldare non solo il mio viso, ma anche il mio sangue. Perché è molto freddo ultimamente. E molto bianco.
< Ciao >
Aprendo gli occhi, mi sono ritrovata davanti un piccolo bambino di colore che mi osservava, la manina secca che teneva il tubo della flebo.
< Ciao >
Mi ha sorriso, scatenando un calore in me che, in confronto i raggi del sole non erano niente. Dei perfetti denti bianchi mi hanno sorriso, mentre il bambino si guardava i piedi in quelle dolci ciabattine.
< Perché non ti siedi? > gli ho chiesto.
< Non posso parlare con gli sconosciuti > mi ha risposto, sorridendomi sempre.
Mi sono sciolta davanti a tanta dolcezza. < Io mi chiamo Alyce. E tu come ti chiami? >
< Isahia >
Mi sono spostata verso di lui, al bordo della panchina. < Bene Isahia, adesso ci conosciamo. Perché non ti siedi accanto a me? >
Ha annuito, arrampicandosi letteralmente sulla panchina. Dopo averlo aiutato nel tenere in equilibrio la flebo, ho continuato ad osservare il sole ad occhi chiusi. Sentivo i suoi occhi neri osservarmi. < Cosa fai? >
< Mi faccio baciare dal sole >
< E perché? >
< Perché… >
L’ho guardato, perdendomi nei suoi occhi tanto curiosi. < Ancora non hai baciato il ranocchio? >
Perplessa, l’ho guardato. < Il ranocchio? >
< Si. Il principe trasformato in ranocchio! Ancora non l’hai trovato? >
Ho riso, e lui ha riso con me, una risata cristallina, come se un’enorme orchestra avesse iniziato a suonare.
< No, purtroppo no, Isahia. E non credo che lo troverò >
< E perché? >
Ci ho pensato su prima di rispondergli. < Perché non sono una principessa >
< Oh… > e ci è rimasto male.
Mi ha stretto la mano, e non mi sono sentita più sola.
Da quel momento vado da Isahia tutti i giorni, mangiamo insieme, giochiamo insieme; una sera, durante un temporale, venne da me tutto impaurito, chiedendomi se potevamo dormire insieme.
Era terrorizzato, si rannicchiava tra le mie braccia, ed era tanto fragile che avrei potuto spezzare qualche suo piccolo osso.
< Tu non hai paura dei rumori? >
Ho scosso la testa. < No. E vuoi sapere un trucco per non averne? >
< Si >
< Canto fra me e me > gli ho detto, accarezzandolo.
Ha appoggiato la testa al cuscino, chiudendo gli occhi. < Mi canti qualcosa? > mi ha chiesto, saltando poi nuovamente per un forte tuono.
Mi sono girata verso di lui. < E cosa? >
Ha iniziato a pensarci, ma un ennesimo tuono l’ha fatto urlare, così si è attaccato al mio braccio, gli occhi sempre più chiusi. < Qualsiasi cosa! Qualsiasi cosa! >
Ridendo in silenzio, ho preso la trapunta verde spento e l’ho tirata su verso di lui.
< Chiudi gli occhi e pensa qualcosa di bello >
E mentre lo dicevo, l’ho fatto anche io. Ed ho subito pensato alla prima volta che ho sentito quel violino, quel violino magico che suonava tutto e che mi faceva conoscere melodie nuove. Quel violino che mi ha fatto sentire viva, viva come mai lo sono stata prima d’ora.
Quel violino che mi ha fatto conoscere, in un modo tutt’altro che uguale, quelli che adesso sono i miei cinque idoli.
E coi i ricordi vado velocemente a quando ho domandato come si chiamava quella canzone che stava suonando col violino, e mentre mi perdevo nei suoi occhi, quegli occhi neri profondi, ho capito che da quel titolo tutto sarebbe cambiato. Che tutto avrebbe avuto un senso da lì in poi.
 
Baby come on over
I don’t care if poeple find out.
They say that we’re no good togheter, and it’s never gonna work out.
 
Isahia ha iniziato già a calmarsi, ho sentito subito il suo piccolo e delicato corpo smettere di tremare. La magia doveva finire, perché ormai l’avevo cominciata.
 
But baby you got me moving too fast
Cause I know you wanna be bad
And girl when you lookin like that
I can’t hold back
 
La sua manina si è aperta lentamente, il respiro sempre più pesante.
Ma ormai non cantavo più solo per lui, cantavo anche per me stessa. Perché sono anche per me un calmate. Sono la mia unica medicina che, ora come ora, funziona sempre.
 
Cause everything you do is magic
Yeah everything you do is ma-a-agic
 
 
Giorno 8  Mese 1 Anno 2013
( 26 marzo )
 
Isahia mi ha presentato gli altri bambini, che non superano i dieci anni.
Mary è sicuramente la più piccola, solo cinque anni. Sebastian e Daniel hanno l’età di Isahia, mentre Dylan e Lisa hanno nove e dieci anni.
Mi hanno mostrato la stanza dell’ospedale dove ogni giorno giocano. È terribilmente triste e sprovvista di giocattoli.
La trovo una cosa orribili. Questi bambini vivono praticamente qui, e non hanno niente per passare il tempo. Ho chiesto alla mamma di portare qualche gioco che Tommy non usa più; sabato me li porterà.
Ieri è venuta Tayla con il mio migliore amico James, e mi hanno portato diverse cose: i miei libri preferiti, gli unici due pupazzi, il tappeto blu morbidoso che avevo chiesto, il resto dei miei vestiti e i miei poster.
Ieri stavo facendo la terapia, perciò sono stati loro ad attaccarmi i poster. Hanno anche portato le lucine di natale che amo tanto, attaccandole non so come sul soffitto.
Devo dire che questa stanza mi piace di più che la cantina di casa mia. È veramente più luminosa, e la sento molto più accogliente rispetto quella di casa mia. Se mai avessi dovuto scegliere un’ultima camera, sarebbe stata proprio così.
Ho detto questo mio ultimo pensiero ai miei amici, che l’hanno presa stra male.
< Non dirlo manco per scherzo! > mi ha schernito James, quasi spaventato.
Tayla se n’è rimasta zitta, ma si è asciugata una lacrima di nascosto.
Odio vedere i miei due amici che stanno male, così ho cambiato discorso, chiedendo come andasse a scuola.
< La Clinston ha riportato i compiti. Quanto la odio quella… >
< In effetti meritavo di più! >
< Ma cuciti la bocca, James! Se hai preso 8! > ha protestato Tayla, arrabbiata.
< Meritavo sicuramente un 10, cazzo! Non ho fatto manco un errore! > ha ribattuto il mio amico, facendomi ridere.
Mi sono sdraiata sul letto, comprendoni fino alla vita, osservando i miei amici che hanno litigato fino a che non è venuta Cindy ha dirgli di abbassare i toni.
Una cosa che mai avrei pensato mi potesse mancare è proprio la scuola.
Buffo come cambiano le idee no? Stai una vita intera a odiare la scuola con tutto il cuore, ma quando poi ne vieni privato, vuoi andarci come se fosse l’ultima bombola d’ossigeno.
< Stai bene Alyce? >
In effetti mi era preso un gran freddo e mi sentivo strana, come se mi stesse iniziando a mancare qualcosa.
< Si si, tutto bene >
< Cosa possiamo fare? > mi ha chiesto Tayla.
Stavo per rispondere, quando James mi ha interrotto. < Hai fame? >
< Macché fame, idiota! Ha freddo! >
< Idiota sarai tu, ha un piumino e tre coperte! >
< Vuoi un’altra coperta, Aly? >mi ha chiesto Tayla.
< No tran… >
< Un bel panino e starà meglio! > mi ha interrotto di nuovo James.
< Sei un imbecille! >
< Smettetela! Per favore… >
Si sono zittiti, stupiti e un po’ in colpa.
Tayla se n’è andata poco dopo, lasciando un James alquanto turbato.
< Non volevo essere brusca, diglielo domani > ho detto, riferendomi alla mia amica.
James mi ha guardato, prima di prendere la sedia e avvicinarsi a me. < Non è colpa tua, è già così… da un po’… >
Ho guardato il poster attaccato alla parete di fronte a me, sentendo un groppo in gola.
Gli One Direction mi guardavano sorridenti, in mano o sula testa delle palline rosse sorridenti, simbolo del Comic Relief.
< Vai con lei >
James mi ha guardata a lungo, prima di spostare lo sguardo verso il poster.
< Non potrei mai, devi andarci tu >
< Oh andiamo! Ma chi vogliamo prendere in giro, James? Non ce la faccio! Sono debole! >
Mi ha preso la mano. < No, vedrai che entro… >
< Quanto? >
Se ne è stato zitto, le lacrime che gli salivano.
< Due giorni non bastano per guarire, James. E lei da sola non può andarci, devi andare con lei >
< Non posso, Alyce. Lo desideri troppo >
Ho iniziato a piangere. < Si, è vero. È il mio sogno, un sogno che in cinque anni non ho mai realizzato, e ora che potevo realizzarlo… guardami James! >
Il mio amico, che aveva abbassato lo sguardo, mi ha guardato, e nei suoi dolci occhi color nocciola ho visto il dolore di qualcuno che sta perdendo un’amica.
< Non posso affrontare un concerto. Oggi non sono neanche riuscita a lavarmi i denti senza traballare >
Mi ha asciugato il viso, dato un bacio sulla guancia e se n’è andato.
Insieme a lui, se n’è andata anche la mia ultima speranza di sentirmi ancora in vita, il mio unico sogno, la mia unica meta.
E adesso? Cosa farò finché mi avanza il respiro?
 
 
 
YEPNOPE
Scusateeeeeeee se ho ritardaatooooooooooooo!
La scuola rinizia a impegnarmi troppo, odio odio odio odio… PROFONDO ODIO!
Grazie davvero a tutti coloro che mi stanno seguendo! Sappiate che sono davvero molto affezionata a questa ff, perciò ricambio chiunque mi aiuti a farla crescere, con recensioni o pubblicità di ogni tipo!
A presto!
Mel.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Giorno 11 - Tra le stelle ***


Giorno 11 Mese 1 Anno 2013
( 29 marzo )
 
Se potessi descrivere la mia attuale vita, sarebbe un costante ripetersi di mali e gioie.
Perché non c’è dolore più forte che sentirsi dire che stai morendo, che i tuoi diciotto anni stanno per andare a farsi fottere per un sangue troppo bianco, che la tua vita è stata inutile.
Perché non c’è gioia più grande nel vedere cinque bambini, i quali stanno morendo pure loro, piangere dalla felicità vedendo dei giocattoli nuovi.
E a completare il puzzle, è venuto anche Tommy.
Quando ho aperto le braccia per stringerlo, si è rintanato dietro le gambe della mamma. Allora ho preso i giochi che aveva deciso di regalare all’ospedale, gli ho sparsi per la stanza dei giochi e sono andata a chiamare i bambini.
Gli ho detto di chiudere gli occhi e di pensare a qualcosa di bello.
L’immagine di cinque bambini pieni di speranze e sogni che, ad occhio chiusi, sognano un mondo migliore resterà impressa nella mia mente come se fosse la fotografia della mia vita.
E il momento in cui gli ho detto di aprire gli occhi? Magia, pura magia.
Daniel e Sebastian si sono catapultati sulle macchinine, e ci hanno giocato fino alle undici della sera stessa, credo che Daniel ne abbia portata una anche a letto.
Mary è rimasta ammaliata da una delle mie vecchie bambole, e ha pianto quando gli ho detto che poteva tenersela.
L’ho abbracciata, chiedendogli perché piangeva, quando doveva essere felice.
< Non pensavo che una bambola tanto bella potesse farmi piangere >
Ho praticamente sprecato tutte le mie forze per trattenermi.
Ma è stato tutto invano, una volta visto Isahia di fronte alle navicelle spaziali di Tommy.
Mi sono avvicinata a lui, circondandogli la vita. < Che c’è, Isi? > gli ho chiesto, usando il soprannome a cui solo io ho diritto di usare. O almeno è quello che mi ha detto lui.
Senza rispondermi, ha preso in mano una delle navicelle più grandi, accarezzandola come se fosse oro pregiato. Ho osservato il movimento delle sua mani, che quasi cullavano quel giocattolo come se fosse l’unica ancora a cui aggrapparsi.
Cindy mi ha detto che è peggiorato, che la chemio, benché avesse sempre tenuta la sua situazione stabile, adesso è pressoché inutile.
Me l’ha raccontato anche Isahia. Mi ha detto che avrebbe raggiunto Dio prima di quanto avesse mai creduto. Era scioccato, ma allo stesso tempo calmo. Incredibilmente troppo calmo per un bambino di sei anni.
Guardando come toccava delicatamente i giochi, all’improvviso hanno iniziato a bagnarsi; ho alzato lo sguardo, e il visino del mio Isi era bagnato di lacrime, eppure neutro come se non stesse affatto piangendo.
< Isahia, che c’è? Stai male? Chiamo Cindy? >
Ha scosso la testa. < No, Aly >
Ha afferrato con l’altra mano un modellino della luna, bucherellata come un formaggio.
< Perché piangi allora? Non ti piacciono i nuovi giocattoli? > gli ho chiesto, asciugandogli il volto.
< No. Li adoro >
< Bene! Allora non piangere! >
< Aly? >
Mi sono bloccata. < Si? >
< Io da grande volevo fare l’astronauta >
Una pugnalata in pieno petto.
Come se un criminale mi avesse perforato con una mannaia affilata. Sono praticamente scappata in camera mia, sbattendo la porta contro tutto il mondo e contro questo Dio.
Cindy e i miei genitori hanno iniziato a bussare forte, li ho cacciati urlando come un’isterica.
Poi sono andata in bagno, e con tutta la forza che potevo, mi sono tagliata nel polpaccio, soffocando le mia urla in un asciugamano che stavo mordendo.
Volevo vedere il mio sangue colare come un fiume in piena che straripa, stanco e troppo pieno d’acqua per resistere.
Volevo troppo e non potevo avere più niente. Isahia voleva un futuro tra le stelle ma forse non avrà neanche un mese di sole.
Tommy voleva i miei capelli, e adesso ha una testa calva.
Tayla mi voleva al concerto degli One Direction, mentre ha ottenuto un pomeriggio a piangere chiusa in camera.
Ho strappato tutti i poster, ho buttato tutta l’aria, sporcando tutto con il mio sangue che sgorgava come non mai.
Non mi era mai tagliata così profondamente. Ma tanto ormai non conta più un cazzo, il mio sangue è bianco, se è così bianco, allora non macchierà un bel nulla.
Ho chiusa la porta a chiave, prendendo il mio diario e iniziando a scrivere.
E adesso sono qui, in una pozza di sangue, a scrivere con le mani sporche e il cuore che palpita come un cavallo al galoppo. La testa gira, probabilmente vomiterò a momenti, e tutto quello che riesce a distrarmi, sono gli occhi di Zayn che mi osservano sorridenti dal poster che ho appena strappato.
Lui è felice. Lui è ricco. Lui è vivo. Lui respira. Lui ama. Lui canta. Lui sogna. LUI VIVE.
E io che cazzo faccio adesso?
Quando morirà Isahia, che cazzo farò?
Quando moriranno tutti questi bambini e resterò sola, che cazzo farò?
Dove sono andate a finire tutte le mie certezze, tutti i miei sogni, tutte le mie volontà di vivere? Sono finite nel cesso insieme al vomito dell’altro giorno? O sono uscite insieme al sangue fuoriuscito poco fa?
 
 
 
 
Giorno 11 Mese 1 Anno 2013
( Sempre 29 Marzo, ore 3.00 del mattino )
 
Mi sono addormentata appoggiata alla porta della mia stanza.
Mi guardo intorno, osservando il gran casino che ho fatto. Che imbecille, dovrò trovare un modo miglior per sfogarmi, tanto fare così non porterà a nulla.
E Isahia? Forse starà dormendo. Domani mi alzerò presto e lo andrò a trovare.
No aspetta… fra un paio di ore lo andrò a trovare.
Guardo dalla serratura se c’è qualcuno fuori che aspetta un qualche segnale da me, e non vedendo nessuno giro la chiave, tenendo sempre chiusa la porta.
Così domani mattina… cioè, fra un paio d’ore, Cindy potrà entrare e farmi una romanzina come si deve.
Mi pulisco la gamba come meglio posso, domani mi metteranno i punti sicuramente… cioè, tra un paio d’ore!
Ho sognato un concerto da favola, in cui il finale era un astronauta che portava Isi a morire sulla luna.
Mi addormenterò con una consapevolezza: quell’unica certezza che pensavo di aver abbandonato, in realtà non se n’è mai andata.
Li incontrerò. In qualche modo l’incontrerò. E sarà allora che potrò finalmente abbandonare tutto, arrendermi a questo bianco mortale.
Fino ad allora… combatterò.
 

YEPNOPE
Sappiate che ho pianto come una dannata, yeah!
Lo so che è triste, ma d’altronde come situazione non è facile, e purtroppo ci sono più cose negative che altre. E amo Isahia. Per sempre e comunque! :’)
Ho pubblicato ora perché in questa settimana sarà difficilissimo scrivere, quindi…
Spero che vi piaccia! Fatemi sempre sapere, e vi ricordo che aiuterò chiunque mi aiuti a far crescere questa storia!
Notte!
Mel xx

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Giorno 21 - Ingiustizia ***


Giorno 21 Mese 1 Anno 2013
( 8 Aprile )
 
La mia punizione per ciò che avevo combinato è stato peggiori di quanto avessi mai immaginato.
Mi ero già immaginata Cindy che svieniva, e i miei genitori che mi sgridavano, e Tommy che manco mi avrebbe rivolto più la parola, come del resto anche Isahia e gli altri bambini.
E invece non successe nulla.
A parte cinque punti sul polpaccio, le nuove medicine che mi ha dato lo psichiatra dell’ospedale, Marck, e la seguente settimana legata a letto senza vedere nessuno esclusa la signora che mi porta sempre i pasti, nessuno mi ha detto nulla.
Un silenzio, seppur carico di tensione, mi accolse quando Cindy entrò in camera mia quella stessa mattina. Altrettanto silenzio ho ottenuto dalla dottoressa che mi ha cucito la ferita sulla gamba, ed è molto probabile che i miei genitori non sanno niente, visto che ancora non si sono fatti sentire. Forse stanno facendo finta di niente, ma mia mamma non è così brava a nascondere le sue preoccupazioni nei miei confronti, quindi dubito che sappia qualcosa.
Lo psichiatra mi ha semplicemente chiesto cosa era successo.
< Mi sono tagliata il polpaccio consapevolmente > ho risposto, inespressiva.
Ha scritto qualcosa e poi mi ha guardato. < Come mai? >
< Sul braccio l’avrebbero visto tutti, invece visto che indosso sempre i pantaloni… >
< Intendevo perché l’hai fatto > mi ha chiesto, anche lui molto freddamente.
Incuriosita dalla sua poca indagine, ho risposto ciò che credo da quando abito qui.
< Perché la vita è ingiusta >
Mi ha guardata per due secondi, poi mi ha prescritto delle pillole e mi ha congedato, dicendomi soltanto che se avessi avuto voglia di parlare, sarei potuta andare da lui quando avrei voluto.
Nonostante la sua freddezza mi abbia abbastanza sorpresa, me ne sono tornata in camera, gettando sul comodino le pasticche con l’intenzione di non prenderle mai.
Ho osservato poi la mia stanza, di nuovo pulita.
Okay, forse non proprio pulita. I muri dove prima c’erano i poster ora sono vuoti e macchiati di sangue; credo di aver veramente esagerato, ho già chiamato Tayla per farmi portare altri poster, e ho chiesto a James di portare un po’ di vernice. Voglio disegnarci qualcosa su questi muri, così la prossima volta che voglio rovinare tutto, ci penserò due volte prima di macchiare le pareti!
Due giorni dopo l’accaduto, stavo riposando chiusa in camera mia, quando Isahia si è infilato nel mio letto, chiamandomi sottovoce fino a che non mi sono svegliata.
Aprendo gli occhi, ho visto davanti a me un bellissimo bambino con un visino piuttosto scolorito e più magro del solito, una testa ormai priva di quei pochi capelli che aveva.
< Sei malata? >
< No. Tu? >
È una domanda comune tra di noi. Ovviamente tutti noi siamo malati, ma adesso la malattia è diventata un’abitudine, di conseguenza consideriamo la febbre una malattia.
< Si >
Gli ho toccato la fronte, bollente, e ho sentito immediatamente il suo corpicino tremare di freddo. Ho tirato fuori un’altra trapunta, coprendolo fino al mento; poi gli ho dato una tachipirina per abbassare la febbre, dicendogli che gli avrebbe donato una forza sovraumana. Poi mi sono rimessa a letto, iniziando a canticchiare piano piano.
 
But I see you with him
Slow dancing
Tearing me apart cause you don’t see
 
< Perché Mary non viene più a giocare con noi? >
Mi bloccai, soffocando un grido.
Mary è morta forse quattro giorni fa. Come si fa a dire ad un bambino malato che una sua amica, anche lei malata, non tornerà più?
< E’ andata a giocare con Dio >
Non ha risposto, così ho ripreso a cantare.
 
Whenever you kiss him, I’m breaking
Oh, I wish…
 
< E Tommy? >
Ho sospirato, non sapendo più come rispondere. Come si fa a dire allo stesso bambino malato che un altro bambino, non malato stavolta, ha paura dei malati?
< Perché non glielo chiedi tu? Domani potresti chiamarlo > gli ho detto, seguendo la lampadina che mi si era accesa.
< Sono sicura che verrebbe > ho continuato.
 
Oh, I wish…
 
< Tu ce l’hai una chitarra? > mi ha chiesto, interrompendomi di nuovo.
Ho scosso la testa, pensando a quando in terza elementare volevo già imparare a suonare il violino. Ma i miei non potevano permettersi di pagare le lezioni, così papà per compensare m’insegnò a suonare la chitarra. Non era la stessa cosa, ma almeno sapevo suonare uno strumento.
Tayla si offrì per pagarmi le lezioni, ma per quanto desiderassi suonare, per quanto adorassi Tayla per avermi proposto una cosa del genere, rifiutai.
Volevo cavarmela da sola.
Forse però ho sbagliato.
< Tommy mi ha detto che sai suonare >
L’ho abbracciato, il suo corpo era stra caldo eppure tremava come una foglia.
< Shh... Dormi >
 
Oh, I wish…
 
< Agli altri piacerebbe cantare ogni tanto > mi disse, sbadigliando e infine addormentandosi.
 
… that was me.
 
 
Giorno 23 Mese 1 Anno 2013
( 10 Aprile )
 
Finalmente Cindy mi ha dato il permesso di alzarmi, così mi sono data da fare!
Innanzitutto ho aspettato l’arrivo di Tayla e James, che come sempre bisticciavano come due fidanzatini.
Ultimamente sembra quasi che ci mettono impegno per litigare per qualsiasi cazzatina, soprattutto quando vengono da me. Ogni parola che dice Tayla, James ribatte dicendo il contrario, e quando James fa un’osservazione, la mia amica gliela smonta in due secondi.
Tra loro è sempre stato così, mi chiedo infatti cosa aspettano a mettersi insieme, a mio parere sarebbero una buona coppia.
O forse…
< Vi siete messi insieme? >
Mi hanno guardato con gli occhi praticamente fuori dalle orbite per almeno cinque minuti.
< Basta dire sì o no, è semplice! >
Tayla ha iniziato ad agitarsi. < Mi sa che ci ha scoperto… >
< Shh, sta zitta! >
< Guarda che ci sente! >
< Era tua l’idea di non dirglielo! >
< Ma se sei stato tu a volerlo tenere nascosto?! >
< Ma che cazz… >
< RAGAZZI! >
Si sono calmati, abbassando di nuovo i toni.
< Escluso il fatto che ai vecchietti del quinto piano non interessa… >
Hanno riso, scrollando tutta la loro tensione.
< Sono felice per voi! E sono quasi offesa che non me lo abbiate detto prima! >
Che pazzi i miei amici! Hanno pensato che a me piacesse James, quindi per non ferirmi me lo hanno tenuto nascosto!
Pff! James non mi è piaciuto neanche quando era l’unico maschio in classe nostra! È un bel ragazzo, ma per me rimane il mio migliore amico. Tutto qui.
Hanno riso, soddisfatti e felice di potersi tenere per mano senza doverlo nascondere.
Tayla mi ha portato finalmente dei nuovi poster. Non gli ho raccontato dove fossero finiti quegli altri, ma James mi ha chiesto cos’era quella macchia. Gli ho risposto che volevo a tutti i costi coprirla, poi non mi ha fatto più domande. È intelligente, ed è anche l’unico a sapere che un tempo mi tagliavo. Probabilmente ha già tirato su delle teorie abbastanza realistiche.
Così tutti e tre ci siamo messi con un pennello a ricoprire di tutti i colori le varie macchie di sangue, ascoltando i miei amici che mi raccontavano le news che mi ero persa da quando ero qui a Londra.
< Dublino non è mai stata così bagnata! Il tempo fa davvero capricci! > mi ha detto James, facendomi sentire nostalgia di casa.
Per una ragazza irlandese, abbandonare il proprio paese fa davvero male, soprattutto se lo abbandona per una malattia. Sono molto legata alla mia città, spero di riuscire a tornarci prima di…
Stavamo ancora parlando quando Isahia e Dylan sono entrati tutti di corsa in camera mia, interrompendoci.
< Ragazzi! Sapete che non dovete correr… >
< Shhh! > mi ha zittito Dylan.
< Vieni Aly, vieni! > mi ha esortato Isi, strattonandomi per un braccio. < E’ arrivato il principe! È arrivato il principe! >
I miei amici mi hanno seguito, confusi come lo ero io.
< Isi.. >
< E’ arrivato un nuovo bambino! > ha detto Dylan, prendendo l’altro mio braccio, trasportandomi fuori dalla mia camera.
< E’ grande! > ha annunciato Isi.
< E’ alto! > gli ha fatto eco Dylan.
< E bello! >
< E ha un violino! >
Dietro di me i miei amici ridevano come pazzi, e in effetti anche a me mi strapparono un sorriso, fino a che non ci hanno ordinato di acquattarci dietro la scrivania di Cindy, praticamente nel bel mezzo del corridoio.
< Dove lo hai visto, Dylan? >
< Non lo so, Isi! Stava parlando con la tata Jenny! >
La quale sarebbe la sua infermiera. < Non avevi detto che potevo chiamarti solo io così, Isi? >
< SHHHH! > mi hanno ordinato entrambi.
Ho alzato le mani, scusandomi mentre ridevo a crepapelle.
< Eccolo! > hanno urlato insieme, indicandolo.
Ho seguito i loro occhi, vedendo un ragazzo delle mia età che stava parlando, insieme a quelli che probabilmente erano i suoi genitori, con Cindy e Jenny. Capelli neri, occhi chiari, fisico secco e pelle chiarissima, quasi sbiadita. Una cicatrice a forma di triangolo proprio nel mezzo del gomito.
Quella cicatrice…
Tayla è stata la prima ha sconvolgersi, io neanche riuscivo a respirare.
< Come hai detto che si chiama, Dylan? Qualcosa con Patty… >
< Puttric... >
< Patrick… > ho sussurrato.
James ha iniziato a scuotere la testa, incredulo come me e Tayla.
I bambini mi hanno guardato, forse credendo che fossi un’indovina.
Ma in realtà non lo sono.
Quando io e Tayla all’asilo abbiamo conosciuto James, ricordo benissimo che giocavamo sempre insieme, ma ogni tanto James spariva anche per ore, per ritornare poi a giocare con noi. Un giorno venne da noi con un segreto da confidarci, il primo segreto che c’è stato tra di noi. Che poi tanto segreto non era, ma quando si è bambini, tutto ciò che è segreto è sempre più intrigante!
Nel nostro asilo i bambini un pochino… fuori dal comune (diciamo così) erano i più esclusi, emarginati. Per quanto io e Tayla non eravamo d’accordo su questo, visto che se non ci fossimo trovate allora anche noi saremmo state delle escluse, ignoravamo anche noi alcuni bambini, soprattutto uno.
Giravano tante frottole su quel bambino, e da bravi bambini idioti ci credevamo come non mai, ma James quel giorno ci stupì alla stra grande, raccontandoci che aveva fatto amicizia proprio con quel bambino, e ce lo presentò: Patrick era già piuttosto alto per la sua tenera età, i capelli neri come la pece erano sempre spettinati, i suoi occhietti chiari vispi erano pieni di furbizia, e aveva inoltre una cicatrice a forma triangolare sul gomito destro. Nessuno di noi riuscì a farsi dire come si era fatto quella cicatrice, ma ci promise che, se saremmo diventati amici per la pelle, ci avrebbe svelato il segreto.
Da allora, eravamo un quartetto perfetto! Quattro dei bambini più uniti di tutto l’asilo, e in seguito anche delle elementari! Ci sostenevamo a vicenda, ci proteggevamo, ci aiutavamo. Eravamo inseparabili. Finchè un giorno, quando eravamo in quarta elementare, Patrick si trasferì improvvisamente con la famiglia, e alla fine non lo abbiamo più visto. Ricordo che piansi tanto, come lo fecero anche James e Tayla.
Siamo sì cresciuti, ma non sono mai riuscita a smettere di pensare al fatto che forse, se Patrick non se ne fosse andato, probabilmente saremmo ancora amici.
Noi tre lo rammentavamo raramente, ma sicuramente non era qui che lo volevamo rincontrare.
< Patrick Landerson > ha detto James, alzando gli occhi verso di lui.
< Non posso crederci… > ha sussurrato Tayla, nascondendo il viso nel maglione di James.
E io nemmeno.
Chissà perché proprio lui. Ricordo perfettamente che i suoi genitori si erano separati alle elementari, la madre che picchiava i due figli, un padre assolutamente assente. Si trasferì forse con i servizi sociali, perché la madre poi fu arrestata, e il padre probabilmente perse la custodia dei figli.
E adesso, dopo tremila mazzate che la vita gli ha gentilmente dato, Patrick verrà a vivere qui, e non c’è bisogno di una spiegazione per capirne il motivo, basta guardarlo in faccia.
Di lui ho ricordato ogni dettagli, avendolo davanti ai miei occhi in quel momento dopo tanti anni. La sua pacatezza, i capelli spettinati che si scompigliava scuotendo forte la testa, la sua golosità per le fragole, la sua grande intelligenza sempre pronta a sorprendere. Quel meraviglioso violino che cambiò la mia vita.
< Meglio andare > ha detto James, alzandosi sorreggendo Tayla.
Ho mandato i bambini nella sala giochi, facendo uscire poi i miei amici dalla mia  porta collegata al giardino.
< Ah Alyce! Ti ho lasciato la chitarra! > mi ha detto James, andandosene subito.
Sono rimasta a fissare la chitarra appoggiata all’angolo per una ventina di minuti, ribadendo in silenzio quanto la vita, delle volte, possa essere davvero troppo ingiusta.
 
 
 

YEPNOPE
Saaaaaaalve e PERDONATEMIIIIIIIIIIII!
Sono stata stra impegnata e ho toccato il pc soltanto stasera, scusatemi sul serio!
Comunque… WOW WOW WOW! SETTE RECENSIONI?!?! MA SCHERZATE?!?!
Stavo per tirare un coccolone (kidding!) quando ho visto poi quanti hanno messo questa storia tra le seguite, preferite e ricordate! MA IO VI AMO! GRAZIE! DAVVERO DI CUORE!
Cercherò di aggiornare una volta alla settimana, spero e credo di potercela fare!
Se continuate a crescere così tanto non so se sarò in grado di avvertirvi quando aggiornerò, perciò vi chiedo gentilmente di tener d’occhio voi se aggiorno o meno, e di perdonarmi se non riesco ad avvertirvi!
Now, I gotta go!
Kiss at all! xx
Mel.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Giorno 30 - Risveglio ***


Giorno 30 Mese 1 Anno 2013
(17 Aprile)
 
È passata una settimana dall’arrivo di Patrick, eppure non credo di averlo mai visto uscire dalla sua stanza.
I bambini sono sempre più curiosi, ogni giorno passano sempre più tempo davanti alla sua porta chiusa per sbirciare, e sempre più spesso vengono sgridati dalle infermiere.
O da me.
Li sgrido perché delle volte esagerano sul serio. Ma mentirei se dicessi che non sbircerei pure io. Infatti sgridando loro, sgrido anche me stessa, impedendomi di andare a bussare a quella porta.
Tayla e James sono venuti altre volte dopo che avevamo visto Patrick, e sono curiosi pure loro. Mi hanno sempre chiesto se l’avevo visto, se ci avevo parlato, se era mai uscito.
Con grande tristezza ho risposto di no a tutte le loro domande. E con grande delusione loro hanno accettato la mia risposta.
Chissà cosa starà succedendo dentro la testa di quel ragazzo che tempo fa conoscevo come le mie tasche. Chissà cosa starà passando. Chissà cosa ha passato.
< Aly, domani hai la seduta con Mark, ricordatelo! > mi ha ammonito due giorni fa Cindy.
Avevo la testa altrove, e la mia curiosità stava avendo la meglio su di me. E per evitare di ritrovarmi insieme ai bambini a sbirciare davanti ad una porta chiusa, ho finalmente chiesto qualcosa.
< Cindy… >
< Si? >
< Come mai il nuovo ragazzo non esce mai? > l’ho buttata lì, cercando di essere il più vaga possibile. Cindy dice che sono sempre stata trasparente quanto un cristallo, eppure mi ha risposto senza il minimo sospetto, cercando di essere il più delicata possibile mentre mi rispondeva.
< Ha scoperto da poco di essere malato. Credo che… beh, credo debba farci solo l’abitudine >
< Non apre mai la porta? >
< Ma si, Aly! Mica diventerai paranoica come i bambini?! >
< Mi chiedevo solo… insomma, magari gli farebbe bene avere degli amici… >
< Dagli tempo. Vedrai che prima o poi uscirà. È solo spaventato >
Mi sono sentita stupida in quel momento. Ognuno è fatto in modo diverso, ognuno ha un proprio modo di affrontare il dolore. Ci sono tipi come Patrick, che preferiscono affrontare tutto e subito, per vivere poi senza rancori. Ci sono persone come Isahia o Dylan, che neanche si rendano conto di soffrire, quindi vivono come se niente fosse.
E ci sono persone come me, che fanno finta di niente e accantonano tutto infondo ad un cassetto, aspettando il giorno in cui  qualcuno abbia il coraggio di fargli riaprire quel cassetto…

 
 
< Zayn! >
Alzo gli occhi verso Perry, che mi osserva dallo stipite della porta che collega il salotto al giardino.
Mi guarda in modo strano, quasi preoccupata, e osservandola bene, inizio a preoccuparmi anche io. Dopo aver concluso il fatto che ha cambiato i vestiti che aveva quella che a me sembrava una mezzoretta fa, ho osservato il sole, vedendolo basso tra le colline, come se volesse dargli delle carezze delicate. Io sono sudato marcio, ho probabilmente preso una scottatura in viso, visto che ho indossato per tutto il pomeriggio gli occhiali da sole, e ora che faccio caso alla quantità di tempo che sono rimasto qui fuori a leggere, mi viene un improvviso attacco di fame.
Eppure non me n’ero accorto. 
Non fino a che Perry mi ha svegliato da quello che sembrava un sogno.
A me piace leggere, non sono un amante ma neanche li detesto i libri. Non ho mai letto un libro senza rimanerne coinvolto, quasi ipnotizzato. 
Non come questo. Un diario che mi ha paralizzato per tutto il pomeriggio, delle pagine che mi hanno impedito di farmi ragionare con la mia testa, di farmi sentire lo scorrere del tempo, di ricordare chi ero e chi sono veramente. 
Ho sentito fino a questo punto del suo diario tutto ciò che lei ha scritto; ho pianto quando lei ha pianto, ho riso quando lei ha riso, ho amato e cercato e urlato e cantato e sognato in un altro corpo, in un’altra vita. Da un altro punto di vista che non sia il mio.
E questa cosa, lo ammetto, mi spaventa.
< Zayn! Vieni! > m’incita Perry, ritornando dentro in casa.
E adesso cosa gli dico? Mi chiederà che cosa ho fatto tutto il pomeriggio fuori, che cosa stavo leggendo, e del perché non mi sono mosso da qui.
Sono pronto per dirgli la verità? Sono davvero convinto di voler condividere tutto questo con la donna più importante della mia vita? 
Non lo so. Non so nemmeno se voglio continuare a condividerlo con me stesso. 
Getto un’occhiata al testo che segue, risentendo di nuovo il mondo che scompare. No. Meglio smettere. 
Mi alzo, stirandomi e aspettando di risentire la circolazione del sangue ripartire, per poi varcare la soglia, chiudendomi dietro la porta per non far entrare il caldo afoso di questo secco agosto.
Vado direttamente in bagno, lavandomi la faccia e cambiandomi la maglietta. Ma più che altro, è per calmare i nervi. 
Non capisco come devo affrontare la situazione. Non so davvero perché sono davvero così nervoso e confuso e pieno di… non lo so… sento qualcosa che mi pesa sul petto, e mano mano che vado avanti pesa sempre di più.
Qualcuno bussa la porta. 
< Tesoro, tutto bene? >
Okay. Okay. Calma, Malik. Pensa. Pensa. Vale la pena mentire? E se lo farai, cambierà qualcosa?
< Si, piccola! È che… ho preso un enorme scottatura!! > e cazzo, guardandomi allo specchio mentre cercavo una scusa valida, ho visto il contorno degli occhiali appena accennato sul mio viso già scuro di suo.
Che imbecille che sono.
Sento Perry ridere. < Senti, genio, parlando di piccole, vado a prendere quell’altra che è voluta uscire con tua madre! I ragazzi sono di là che ti aspettano, ci vediamo dopo! >
È vero! Avevamo deciso di passare una sera a parlare del nuovo album! 
Me ne sono completamente dimenticato. Sento Perry che salutando i ragazzi sbatte la porta, lasciandomi solo con cinque persone che mi conoscono ormai meglio di me. 
Quanto ci metteranno? Forse in dieci secondi o meno capiranno che c’è qualcosa che non va, in due se c’è anche Niall. 
Lo sento in questo momento ridere come è suo solito fare, e capisco che è inutile anche soltanto provare a mentire. Non è nel mio dna. 
Esco dal bagno, chiudendo mentre raggiungo la cucina il diario. L’occhio mi cade sulla pagina che ancora non ho finito di leggere, e la voglia di continuare s’impossessa di me. Ma come devo fare? Sento che non riuscirò ad arrivare alla fine di questo diario da solo.
< Ehi amico! Che brutta cera! > 
Appunto. Guardo l’orologio a parete: un millesimo di secondo e Harry ha già capito tutto, portando l’attenzione su di me. 
< Che hai, Zayn? > chiede Liam, con il suo fare premuroso.
Guardo Niall, e sento che lui ha capito tutto fin da quando a sentito Perry chiamarmi dal giardino.
< Leggevi? > mi chiede, indicando con un cenno del capo il diario che tengo tra le mani.
Abbasso lo sguardo, accarezzando la copertina.
< Si >
< E com’è? >
Cerco un aggettivo per descrivere ciò che ho provato mentre leggevo. Ma non sono sicuro di niente, in questo momento. E non so neanche il perché. Ho paura di rileggere, non so neanche di cosa, ma la voglia che ho di rivivere ciò che ha scritto lei è tanta. Forse troppa.
< Che succede, Zayn? Diccelo > mi ordina Louis, serio come poche volte.
Mi metto a sedere davanti a loro, posando con un tonfo secco il diario, e allontanandomi già da quella raccolta di pagine, sento il nodo nel mio stomaco allentarsi.
< Ragazzi… vi ricordate di… >
Il suo nome. Un cubo di ghiaccio nella mia gola.
< … Alyce > conclude Niall, cercando di aiutarmi.
Dopo un silenzio carico di tensione, tutti annuiscono. Dovrei continuare, ma non so cosa chiedere. Ma soprattutto, ho paura delle loro risposte. Sono i miei migliori amici, i miei quattro fratelli. Ma sono comunque liberi di dire di no.
< E allora? > m’incita Lou, curioso.
Okay, so cosa dire. E so anche che non ci saranno risposte diverse da quella che voglio io.
< Ragazzi… > ingoio. < Volete sentire la sua storia? >
 
 

YEPNOPE
Ho riscritto e riscritto questo capitolo una montagna di volte.
Ho tentato varie volte di immedesimarmi in una situazione del genere… ma non è sempre così semplice scrivere di sentimenti. E io mi sono sempre sentita sicura nello scrivere riguardo ai sentimenti.
Ho aspettato di sentirmi sicura per pubblicare, perciò spero che vi piaccia.
Sono anche molto dispiaciuta per il fatto che le recensioni siano diminuite. Ecco perché ho ritardo. Mi sono sentita… molto delusa di me se stessa, ho sicuramente deluso ognuno di voi con il capitolo precedente, e mi sono abbattuta molto.
Preferirei che mi recensiste in maniera negativa piuttosto che non dirmi nulla. Potrei migliorare con le vostre critiche, potrei fare grandi salti di qualità grazie a voi.
Ora vado.
Siate buoni con me, o anche cattivi. Ma non assenti.
Kiss at all.
Mel.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Giorno 33 - chitarra ***


È passata una settimana dall’ultima volta che ho letto di lei, e la voglia di continuare a rivivere la sua storia non mi ha abbandonato nemmeno per un attimo.
Ai ragazzi ho chiesto espressamente se erano disposti a leggere insieme a me, così avrei potuto affrontare e digerire al meglio ciò che Alyce ha lasciato scritto per me.
Alyce. Una ragazza meravigliosa. Una directioner che puntualmente si è ritrovata in una situazione che nessuno dovrebbe affrontare. In un anno, è dovuta crescere e diventare adulta; è stata costretta a vedere i suoi sogni sfumarsi davanti ai suoi occhi, ha vedere il suo adorato fratellino allontanarsi da lei, ha combattere qualcosa… che non avrebbe mai potuto sconfiggere.
Gli altri mi hanno chiesto una settimana di tempo per poter leggere fino al punto in cui sono arrivato io, e alla fine, cioè stasera, mi avrebbero detto se vorranno affrontare il resto insieme a me, o scappare, come ho fatto io per tutti questi dieci anni.
Ed è forse questo che mi ha turbato alla vista del diario nelle mani di Niall, la prima volta che l’ho visto. Non nego di essere letteralmente scappato, non nego il fatto di essermi comportato in modo egoista, non lo nego affatto. Ma ancora ho da capire perché. e stasera, potrebbe essere l’inizio di un altro cammino, per arrivare alla pura verità.
< Strano che Louis sia in ritardo… > commenta Harry, sedendosi sul divano.
< Da quello che ho capito, veniva anche El. > risponde Liam.
< Cosa?! Perché?! > domando io, già in preda al panico.
Liam alza le mani. < Calma, amico. Ne so quanto te, ma dubito che starà qui con noi. Probabilmente uscirà insieme a Perry. >
Sono paranoico, troppo. Ovvio che viene per stare con Perry, altrimenti sarebbe stata a casa con i bambini. Devo calmarmi, e subito.
Suona il campanello, e prima che possa andare ad aprire, entra Perry con in mano le buste della spesa, seguita da un Louis cupo e sua moglie Eleanor, che parla serenamente con Perry.
Mi avvicino a lei. < Ehi, vuoi una mano? > gli chiedo, indicando le buste.
Lei scuote la testa, sorridendomi e mandandomi in tilt. < Mi aiuta El, non preoccuparti. Tu vai di là, prima finite e meglio è! >
Gli do un rapido bacio, dirigendomi poi in salotto, socchiudendo la porta. Mi turba un po’ il fatto di non aver raccontato nulla a Perry, ma i ragazzi mi hanno rassicurato: quando me la sentirò, gli racconterò tutto.
Louis è ancora silenzioso, e questo mi innervosisce un po’. È stato l’ultimo a leggere, e infatti ha il diario con sé. Forse è rimasto confuso quanto me? È il momento di sapere.
< Allora, ragazzi. Cosa ne pensate? >
Dopo un silenzio generale, Niall risponde per primo. < Avevo già dato una sbirciatina, ma non lo avevo mai letto fino in fondo. Quello che posso dirti è che voglio andare avanti. >
Gli altri annuiscono, d’accordo con lui.
< E sarebbe ancora meglio farlo tutti insieme > aggiunge Harry, convinto appieno di ciò che ha detto.
Sospiro, sollevato e quasi libero da un enorme peso.
< Non sono del tutto d’accordo > se ne esce Louis, posando il diario sul mobiletto.
E addio a quel poco di sollievo. < Riguardo cosa? > risponde Niall, tranquillo.
Una buona cosa è che tra di noi non si litiga mai. Si discute sempre con tranquillità, accettando i punti di vista di ognuno di noi, anche se va contro a ciò che pensiamo.
Louis si sistema sul divano, puntando gli occhi sul diario. < Non nego il fatto che voglio continuare a leggere anche io. Ma credo che sia meglio… insomma, chiedere ai suoi cosa ne pensano. Insomma, quanti anni sono passati dall’ultima volta che li abbiamo visti? >
< Dieci. > rispondo prontamente io.
Louis annuisce, prendendo poi il diario tra le mani. < Se vostra figlia morisse e di lei non vi rimarrebbe nulla, non credete che vorreste avere più ricordi possibili legati a lei? >
Rabbrividisco al solo pensiero di mia figlia calva con quel meraviglioso volto spento e bianco.
< Questo diario è un ricordo, e non spetta a noi averlo. >
< Ma Alyce lo voleva dare a Zayn, Lou. Me lo ha chiesto a me! > ribatte Niall.
Louis si spettina i capelli, segno di nervosismo. < Io prima di andare avanti chiederei il permesso dei suoi genitori. O perlomeno dei suoi amici. >
< Nessuno di noi sa che fine hanno fatto! Come li ritroviamo? > chiede Harry, tentando di seguire la logica di Lou.
< Oh andiamo! In questo secolo non esistano più problemi del genere! Su internet puoi trovare chiunque! >
< O al massimo basta ritornare all’ospedale e chiedere qualche informazione. > suggerisce Liam.
< Okay, faremo delle ricerche. > concludo io, capendo che il mio amico ha ragione.
Restiamo in silenzio, e piano piano ognuno di noi finisce per osservare ininterrottamente il diario, come se avesse un sorta di potere in grado di ipnotizzarci. Per quanto convinti che la cosa giusta da fare sia aspettare, la voglia di andare avanti è veramente insostenibile.
< Possiamo… magari… iniziare domani le ricerche… chiederemo a quell’amico di Paul… > inizia Harry, senza staccare gli occhi da quel quadernetto.
Annuiamo insieme, una fila di zombie che cercano di non sbranare l’unico cervello presente.
< E nel frattempo… > continua Niall.
< … potremo andare avanti. > conclude Louis, sorprendendo tutti.
Nessuno si muove, eppure ognuno di noi freme dalla voglia di leggere. Mi faccio avanti io, prendendo in mano il quadernetto, e aprendolo alla pagina dove abbiamo interrotto la lettura.
< A voce alta, Zayn! > afferma Niall, aprendo un lattina di coca cola.
Annuisco, iniziando a leggere ad alta voce.
 
 
… La verità è che la paura può catapultarti in un mondo che non ti è mai appartenuto. Sta a noi capire se vale la pena affrontare quel nuovo mondo o sperare che quello vecchio riappaia come per magia, vivendo nascosti per l’eternità.
Ed è forse questo che sto facendo io. Aspetto che qualcuno mi risvegli da un incubo che piano piano si sta trasformando in una terribile realtà, un mondo che non accetto, un mondo del tutto estraneo.
Ho bisogno di un trucchetto che mi aiuti ad affrontare questo nuovo universo. E anche se è brutto da dire, non l’ho trovato nei miei amici o nella mia famiglia. I bambini, Isahia e Dylan, sono forse un accenno di ciò che mi può aiutare a sopravvivere qua dentro.
Ma non mi basta. E non mi basterà mai.
Oggi ho accordato la chitarra e ho provato a suonare. Stranamente mi sono ricordata tutte le note, erano anni che non strimpellavo un po’. Ho cercato così su Google alcuni spartiti di canzoni carine, soprattutto felici.
Menomale che ho trovato Happy di Pharrell Williams: Isahia adora quella canzone, l’ha sentita una settimana fa alla radio e ultimamente è fisso a cantarla.
Ho molto da fare in questi giorni, devo imparare queste canzoni per rendere i bambini più felici di quanto non lo siano adesso. Anche se ora sono molto più allegri grazie a nuovi giochi, voglio che si svegliano ogni mattina con il più bello dei sorrisi, voglio che affrontino la pioggia e il sole e la neve e le tempeste con tutta la forza che la musica può iniettarli.
Questo mondo, per loro, deve essere il più bello di tutti, non burrascoso come il mio. Non permetterò al cancro di privagli di momenti di gioia. Combatterò per loro finchè il sangue, rosso o bianco che sia, mi scorrerà tra le vene.
E questo è già un trucchetto.
 
 
Giorno 33 Mese 2 Anno 2013
( 20 aprile )
                                  
Ho detto ad Isahia che avevo una sorpresa per loro, ieri sera.
Sono venuti tutti, anche la nuova bambina di origini cinesi, Cho, che ha quasi 4 anni. È talmente piccolina e silenziosa che non ti accorgi neanche se c’è o meno. Ho ordinato a Dylan di tenerla d’occhio, e adesso sono quasi inseparabili.
Dylan mi ha detto che nessuno è più tornato a trovare Cho. Chiedendo a Cindy, mi ha confessato che i genitori l’hanno praticamente abbandonata, poiché per loro è del tutto inutile stare dietro ad una bambina che prima o poi morirà.
Gli avrei infilato volentieri un dito in un occhio, anche se si meriterebbero di peggio.
Disponendoli tutti in fila davanti a me, con i loro occhini chiusi, mi sono seduta su uno sgabello da bambini, osservandoli per vedere se sbirciavano.
Prendendo un respiro profondo, ho iniziato a suonare e in un batter d’occhio erano già intorno a me, seduti a cantare una canzone ormai nota a tutti.

Oh somewhere over the rainbow
Bluebirds fly
And the dreams that you dream of
Dreams really do come true

Alcuni hanno iniziato a cantare insieme a me, Cho invece ha preso Daniel e Dylan per le braccia e ha iniziato a ballare, ridendo come una pazza.
Se quello era il paradiso, ti prego Signore, non privarmene più.


Someday I'll wish upon a star
Wake up where the clouds are far behind me
Where trouble melts like lemon drops
High above the chimney tops
That's where you'll find me

Ho visto Cindy e le altre infermiere affacciarsi, alcune sorridevano, altre si commuovevano, ma ognuno di noi era da qualche parte sopra un arcobaleno, e nessuno voleva andarsene da lì.

Oh somewhere over the rainbow
Bluebirds fly
And the dreams that you dare to
Oh why, oh why can't I?

Ho terminato tra gli applausi dei presenti, e di un abbraccio caloroso da parte dei bambini.
< Grazie, Aly! Sei la migliore! > mi ha detto Isy in un orecchio, facendomi scoppiare in una risata tra le più dolci lacrime che io abbia mai versato.
La domanda mi è venuta spontanea: che cosa ne sarà di me quando non avrò più questi bambini?
Non sono sicura che mi basteranno gli One Direction. Per quanto siano per me un’ancora di salvezza, niente e nessuno mi aveva dato tanta soddisfazione come questi bambini.
Mentre mi facevo convincere da Cho per farmi cantare un’altra canzone, un cigolio di una porta ha catturato la mia attenzione. Ho spostato lo sguardo verso il rumore quando i bambini hanno cominciato a chiamarmi, cercando di ottenere la mia attenzione su di loro per poter avere un’altra canzone.
Così, riordinando le idee, ho iniziato a suonare un’altra melodia, sta volta più triste, sta volta più vera, più sconosciuta.


I’ve been away for ages but I got everything I need
I’ve flicken through the pages, I’ve written in my memory
I feel like I’m dreaming
Oh, so I know, I know, I know, I know that I’m never leaving
No, I won’t go

Mentre stavo cantando, mentre il significato delle parole scorrevano sulla mia pelle come un brivido invernale, una figura lunga e secca si è fermata al limitare della porta, osservandomi con occhi curiosi nascosti da candidi capelli neri .
Ho alzato lo sguardo per incontrare quegli occhi che non vedevo da tempo e ho capito all’istante che mi aveva riconosciuta. E stupore, sorpresa, incredulità e tante altre emozioni hanno viaggiato in quello sguardo che mi ha quasi regalato, mentre io terminavo la canzone, in testa però solo il suo nome.


Don’t forget were you belong, oh
Don’t forget were you belong, oh
If you ever feel alon, don’t. You were never on your own.
and the proof is in this song.

Spero che capisca che, da quel momento in poi, lui non sarà più solo. E la prova era in quella canzone.
E il suo nome rimbomba ancora nella mia testa, come il suono di un gong.
Patrick. Patrick. Patrick. Patrick. Patrick…

 

YEPNOPE
ecco a voi il settimo capitolo!
Sinceramente mi piace molto, ed è stato molto piacevole scriverlo, perché adoro particolarmente i salti tra presente e passato.
Grazie poi ad una recensione in particolare (grazie ancora, splendore), sono molto più tranquilla rispetto alle altre volte. E ho capito che sto scrivendo sì per voi, ma anche un po’ per me stessa.
Ringrazierò ogni volta chiunque mi recensisca e anche chi passa senza segnalare la sua presenza, come succede la maggior parte delle volte. Amo troppo questa storia per abbandonarla così, per vederla ramificata e piena “di polvere” solo perché qualcuno non mi recensisce.
Spero che vi piaccia comunque questo capitolo!
fatemi sapere cosa ne pensate se volete, ora vado a studiare filo (let me die plis -.-)
Kiss at all
Mel

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Giorno 48 - Mezzanotte ***


Giorno 47 Mese 3 Anno 2013
( 11 Maggio )
 
Ultimamente devo fare la chemio il doppio del solito; da quando uso tutte le mie forze per suonare la chitarra e cantare ai bambini, sono sempre più debole. Mi sveglio con un bel mal di testa, e tutte le volte che mi alzo mi sento svenire, anche se tento di alzarmi il più lentamente possibile. Il giramento di testa è veramente forte, come se questo mondo stesse girando solo per farmi sbalzare fuori da qui. L’aria manca tutte le volte che cammino per arrivare alla panchina fuori in giardino, e prendere il sole ormai non è più così gradevole come lo era all’inizio. Arrivo lì per rilassarmi, ma sono talmente esausta che non riesco nemmeno a godermi quel poco di calore che emana il sole. Anche perché, d’ovunque io mi sieda, mi addormento all’istante.
Ultimamente ho anche problemi a scrivere: la mano è così indolenzita che mi fa male per settimane. Ma comunque non riesco stare senza scrivere almeno due righe.
Cindy mi sta rimproverando molto più spesso per tutti gli sforzi che sto facendo; mi avrebbe addirittura proibito di alzarmi dal letto. Ma dove la trovo il coraggio per privare quei bambini della musica? Hanno bisogno di qualcosa che li distragga, di qualcosa che renda speciale quei momenti in cui tutto sembra sprofondare. E ormai sono settimane che suono e canto per loro, è diventata un’abitudine, non potrei mai smettere così di punto in bianco, anche se so benissimo che tutti i bambini capirebbe il motivo per cui smetterei.
Ma sono io che non voglio. Per quanto alla fine della giornata arrivo distrutta e crollo in un sonno senza sogni, la musica fa bene anche a me. Mi sento più vicina ai bambini, e i più vicina ai miei idoli.
In tutto questo tempo, Patrick si è limitato a starsene in piedi sulla soglia della stanza giochi, o soltanto ad affacciarsi dalla sua camera. Non mi ha mai rivolto la parola, ne ha mai salutato James o Tayla, i quali, dopo averli avvertiti del fatto che Patrick mi avesse riconosciuto, hanno iniziato a venire molto più spesso a trovarmi. Forse con la speranza che Patrick si aprisse con noi o che ci permettesse di fargli compagnia.
O almeno, far compagnia a me e a James.
Tayla è molto strana ultimamente. Quando la chiamai per raccontargli della prima apparizione di Patrick, non mi aveva risposto. E già questo e di per sé strano perché lei mi risponde sempre. Ma in quel momento non ci ho fatto caso, poteva essere in bagno o magari dormiva ancora.
Ma da quella telefonata mancata, Tayla, ogni volta che viene in ospedale, non viene mai da me, sparisce per delle ore intere e quando torna non vuole mai dirmi dove fosse andata.
L’ho anche vista parlare più volte con le guardie appostate  nel nostro corridoio, e addirittura con le guardie presenti all’entrata principale dell’ospedale. James, il quale è all’oscuro quanto me di questi suoi strani comportamenti, mi ha raccontato che l’altro giorno si è perfino fermata per parlare con il direttore dell’ospedale. Non ha nemmeno permesso a James di ascoltare la conversazione.
Non dimentichiamoci il fatto che adesso ha anche due telefoni che porta sempre con se, ma quando la chiamo io non mi risponde mai, né alle chiamate, né agli sms. Non risponde nemmeno a James, il quale sta diventando davvero troppo paranoico. L’altro giorno ha osato dire che forse Tayla lo tradiva, ma se una ragazza tradisce il proprio ragazzo non parla con dei poliziotti degli ospedali.
Ne ho parlato col mio psichiatra, Max, e per la prima volta l’ho visto seriamente dubbioso se continuare a parlare di questo argomento o sviarlo e parlare di altre cose. Che Tayla abbia parlato anche con lui?
A questo punto non mi stupisce se abbia parlato anche con Cindy. Due o tre giorni fa, mentre mi preparava la chemio, gli ho esposto i miei dubbi sulla mia amica, chiedendogli se avesse parlato anche con lei e di cosa avessero parlato nel caso in cui l’avessero fatto. La mia dolce infermiera ha fatto finta di non sentire, mi ha ricordato di passare da Max dopo la seduta e se n’è andata via.
Strano. Veramente troppo strano.
Ciliegina sulla torta, sono strani anche i miei genitori.
Sono venuti a trovarmi una settimana fa, portandomi i vestiti che gli avevo dato per lavare e alcuni libri che desideravo da tempo leggere. Mi hanno raccontato che papà ha trovato un nuovo lavoro: pulirà la mattina presto e la sera dopo la chiusura il supermercato dietro casa nostra. Non ci guadagna granché ovviamente, ecco perché ne sta cercando un altro, così tornerà a casa con qualche spicciolo in più. Il proprietario del supermercato è stato molto comprensivo quando papà gli ha raccontato della condizione economica della mia famiglia, così gli ha permesso di utilizzare gratis i prodotti del supermercato nel caso in cui non sarebbe riuscito a portare qualcosa di buono per cena.
Questo mi solleva un po’. Io qui mangio tutti i giorni e abbastanza regolarmente (mangerei regolarmente se non stessi così male ultimamente, comunque… ); al sentire che i miei faticano ancora di più per arrivare al giorno dopo mi fa sentire davvero in colpa, perché parte dei loro preziosi risparmi vanno a pagare le mie cure. Mamma se la prende sempre quando glielo dico, ma in fin dei conti so che è ciò che pensa anche lei.
Se non fossi mai nata non starebbero così male. Non soffrirebbero ogni giorno per mancanza di cibo e per il loro continuo spaccarsi la schiena per fare tre lavori ogni giorno.
Vorrei essere già morta. Vorrei che mi avessero diagnostico la leucemia e che, dopo poco, avessi subito esalato l’ultimo respiro. A che cazzo servo io qui, adesso? A niente! A buttare soldi dei miei poveri genitori coi quali dovrebbero mangiare ogni sera! Tanto l’ho capito anche io che alla fine dell’anno non ci arrivo. Non starei così male se fosse il contrario, i miei capelli sarebbero ricresciuti se stessi guarendo.
Sono così arrabbiata. Vorrei spaccare tutto, eppure non ho nemmeno le forze per farmi una doccia.
L’unico pensiero che mi fa andare avanti, nonostante tutti i morsi nella mia coscienza, sono sicuramente i miei Ragazzi. Penso da egoista, è vero, ma all’idea di perdermi un loro nuovo cd, video, risata o concerto vado sul serio in tilt. Tutti i momenti sono buoni per sentire le loro voci cantare dal mio stereo, tutti i minuti più preziosi sono quelli che passo sfogliando riviste in cui sono presenti delle loro interviste. Vado avanti perché non voglio perdermi niente.
Ammetto che sono anche i miei bambini a rendermi più serena. Non riesco ancora a credere a quanto ultimamente siano sempre più felici e spensierati.
È grazie alla musica, lo so. Sono ritornati ad essere bambini, bambini le quali preoccupazioni sono soltanto quello di dormire, mangiare e divertirsi. Mai piangere perché gli bucano il braccino per la chemio, mai rattristarsi perché manca il fiato per giocare ad acchiappino. Trovano una soluzione per tutto. Ti fa male il braccio? Mangi un gelato. Ti manca l’aria per correre? Usi la sedia con le rotelle.
Vedo un loro sorriso e sento che potrei morire se ogni giorno non ne vedessi uno.
Comunque, oltre a questo, i miei non mi hanno raccontato più nulla. Dico che erano strani perché di solito, quando vengono a trovarmi, guardiamo la televisione o giochiamo a carte, oppure chiacchieriamo del più e del meno. L’altro giorno, invece, erano così tesi e nervosi che avrei veramente gradito vederli legati ad una sedia. Continuavano a guardarsi intorno, ad andare su e giù per la stanza, ad affacciarsi sul corridoio, a chiamare Cindy o qualsiasi altro essere vivente in grado di sopportare per più volte la solita domanda che ponevano: < Allora? >
Allora cosa?! < Allora cosa? > gli chiedevo. Ma loro… niente! Non ne volevano sapere di raccontarmi qualcosa. Quando sono andati via, ho tirato un sospiro di sollievo.
Mi mettevano troppa ansia con i loro segreti, e Max mi dice sempre di cancellare l’ansia.
Adesso dormo. Non ho molto sonno in realtà, ma se non spengo la luce Cindy mi cazzierà sul serio, anche se sono le undici ormai.
Notte.
 
 
Giorno 48 Mese 3 Anno 2013
( 12 Maggio, ore 4:00 del mattino)
 
Credo che ha questo punto anche uno zombie indemoniato sia l’ultimo dei miei pensieri.
Devo ancora capacitarmi su ciò che è successo poco fa. Forse ho sognato. Eppure è stato così reale e talmente sincero che non riesco proprio ad accettare il fatto che possa essere un prodotto della mia mente.
È successo. E me lo ricorderò per sempre.
Stavo dormicchiando quando, verso mezzanotte, ho sentito grattare alla porta. Essendo in bilico tra il sonno e realtà, ho immaginato che fosse il mio vecchio gatto che grattasse con le sue unghielle per far capire che voleva entrare. Quando poi mi sono svegliata del tutto e mi sono ricordata, non solo che il mio gatto è morto, ma che non ero in camera mia, mi sono alzata e ho aperto leggermente la porta, per guardare chi mi stesse cercando. Se non avessi visto il biglietto per terra davanti alla mia stanza, avrei sicuramente pensato di aver immaginato tutto.
Ho guardato il mio corridoio prima di prenderlo e aprirlo:
 
Hai mai provato la tintarella di luna? Molto efficace.
Porta la chitarra, se vuoi.
 
Una scrittura curata, anche se comunque poco comprensibile. Molto familiare sinceramente, ecco cosa mi ha spinto a rientrare in camera, indossare una tuta, prendere la chitarra e uscire nella brezza di una prima nottata primaverile, sedendomi sulla mia solita panchina, illuminata letteralmente dai raggi della luna.
Una sensazione davvero piacevole, un calore ovviamente molto diverso rispetto ai raggi del sole che prendo spesso io.
Ma sinceramente in quel momento ero piuttosto tesa, avevo appena trovato un biglietto di un potenziale anonimo il quale mi diceva indirettamente che voleva incontrarmi qui. Poteva essere un assassino o semplicemente il bidello che ha perso per strada un foglietto di una rivista…
Il giardino era deserto, mi sono sentita seriamente scema a stare lì da sola ad aspettare che un uccello mi cagasse in testa.
Poi mi sono ricordata di aver portato dietro la chitarra, e ho iniziato a strimpellare un po’, ovviamente piano per evitare di svegliare tutta Londra.
Le note mi hanno subito preso, e i miei pensieri sono volati a quel concerto che ho mancato e che ho fatto mancare alla mia migliore amica, la quale puntualmente mi sta letteralmente evitando. Forse ce l’ha con me per non essere andata al concerto, però siccome sa che sto male non può prendersela direttamente con me e quindi si sfoga anche con le formiche.
Teoria improbabile.
Dopo un po’ ho sentito dei passi, e prima che potessi chiedermi chi fosse, una voce calda, familiare ma molto cambiata mi sorprese.
< Non mi sorprende che tu stia suonando… >
Mi sono girata verso Patrick, in piedi dietro di me, le mani in tasca e il viso rilassato, anche se pallido a causa dei raggi della luna.
Osservandolo, ho subito intravisto in lui le tracce del bambino con cui mi arrampicavo sugli alberi o che ascoltavo suonare il violino di nascosto da sua madre, che lo avrebbe picchiato se beccato a suonare. Gli zigomi però sono molto più marcati e le mascelle pronunciate, con qualche accenno di barba lungo il mento. I suoi capelli, sempre neri e lucenti come la pece, sono molto più corti e di conseguenza non incorniciano più gli occhi verde prato. Forse è dovuto alla malattia, o forse perché non li voleva più portare lunghi.
Il mio cuore batteva all’impazzata, non ne conosco il motivo. Ma senza indugiare, l’ho guardato negli occhi e gli ho detto: < Invece mi sorprende il fatto che tu stia indossando una tuta… >
Ricordo che, con riluttanza, indossava una tuta.
< È troppo freddo per starmene a maniche corte. > mi ha risposto, osservando il suo abbigliamento.
< Beh, potevi scegliere un altro luogo. > ho affermato, appoggiando la chitarra.
< Non ce n’è un altro così tranquillo. >
E lo capisco. Quando voglio starmene tranquilla vengo sempre qui. Ma lui non è mai uscito dalla sua stanza, come fa a sapere che qui si sta bene?
< Come stai? > mi ha chiesto.
Come sto? Stavo quasi per ridergli in faccia. Non è una domanda intelligente da fare ad una malata di leucemia.
< Bene. > risposi, facendo intendere che era tutto il contrario. < Tu? >
< Ora bene. > e sembrava sincero.
< Perché hai voluto vedermi? > gli ho subito chiesto, troppo curiosa di sapere.
Ha sospirato, grattandosi la testa con un certo imbarazzo. Poi mi ha chiesto se poteva sedersi accanto a me, così gli ho fatto spazio, posando la chitarra tra le mie gambe.
< Non pensavo che ti avrei rincontrato proprio qui, Alyce. Quando sono tornato a Dublino, il mio primo pensiero è stato quello di venire a cercarti. Cercare te, James  e Tayla. >
Ha guardato verso le stelle, poi ha continuato. < Siete stati gli unici amici che io abbia mai avuto e volevo ritrovarvi per non sentirmi più solo. >
Mi sono girata verso di lui, stringendomi addosso la maglia. Patrick notò il mio gesto, così si è aperto la felpa e me l’ha posata sulle spalle. < No, grazie, non importa. > gli ho detto, restituendogliela.
< Non conosco questa Alyce, ma assomiglia molto alla bambina  freddolosa con cui facevo pupazzi di neve. Non credo sia diventata calorosa tutto d’un tratto… > mi ha risposto, sorridendomi.
Un sorriso sincero e perfettamente bello. Gli ho sorriso, ringraziandolo, cercando di non far notare la mia sorpresa di fronte ad un sorriso così radioso. Sarei rimasta incantata come un imbecille se non mi avesse posato di nuovo la felpa sulle spalle, chiudendo addirittura la lampo.
Poi si è fatto di nuovo serio, ritornando indietro coi ricordi. < Quando ho visto la tua casa vuota mi è preso un colpo. All’epoca stavo già male, ma mai avrei pensato che sarei finito… qui. > spiega, guardandosi intorno.
< Quando mi svegliai il giorno dopo, ero intenzionato a cercare James e chiedere anche di te, ma svenni. Mio padre e la mia matrigna mi hanno portato all’ospedale e mi hanno diagnosticato il cancro. >
Matrigna. Quante cose erano cambiate dall’ultima volta che l’avevo visto.
< E successivamente, quando ti ho vista quel giorno, sono andato nel panico. Non riuscivo a capire, ne tantomeno ad accettare… >
Anche se vogliosa di continuare ad ascoltarlo, volevo sapere il motivo per cui aveva voluto vedermi proprio qui, e soprattutto come mai non mi avesse cercato prima o in uno dei tanti pomeriggi in cui è restato fermo ad osservarmi senza proferire una parola.
Meditando sulle sue parole, deve aver quasi compreso il motivo per cui me ne stavo zitta, così si alzò, camminando avanti e indietro.
< Da piccolo mi piacevi, e anche tanto, e il fatto di non aver mai fatto più amicizia e, soprattutto, il fatto di non essermi mai innamorato di qualcuno non mi ha aiutato a dimenticarti. Okay, ero un bambino e altre stronzate varie, ma sinceramente sono cresciuto con il pensiero che un giorno sarei tornato da te, come amico o altro... >
 < Senti Patrick > l’ho interrotto, in buona fede. < Non credo che… >
< Sei fidanzata. > mi ha detto, senza domandarmelo.
< No! > ho affermato, confusa. < Il punto è che… >
< Lo so, lo so, non ti piaccio, lo avevo immaginato… > m’interrompe.
< Ma… >
< Capisco, insomma, sono dieci anni che non ci vediamo e… >
< Patrick, con tutto l’amore del mondo, ci stai zitto un attimo? > lo zittisco, alzando un po’ la voce.
Sorpreso si è bloccato davanti a me. Una volta che gli ho detto di sedersi di nuovo, mi sono leggermente avvicinata, avvertendo una scocca mentre gli prendevo la mano.
< Quello che volevo dirti è che non mi conosci e non puoi sicuramente dire che io ti piaccio. Sono cambiata moltissimo, come lo sarai anche tu >.
Ho aspettato che annuisse, poi ho continuato. < Escludendo le circostanze in cui ci troviamo, io in questo momento ho bisogno di un amico. E credo proprio che ne abbia bisogno anche tu. >
E senza chiederlo, ci siamo ritrovati a parlare e a raccontare ciò che ci era successo negli ultimi dieci o undici anni. Mi ha raccontato come suo padre, dopo l’arresto della madre, si fosse ripreso e avesse iniziato a prendersi cura di lui. Dei continui viaggi che ha fatto prima che si ammalasse, dell’incontro con la nuova compagna del padre, e di come si divertisse a fargli i dispetti.
< È così antipatica? > gli ho chiesto, trattenendo le risate.
< No, ma sai quanto adoro dar noia alle persone! >
Abbiamo parlato solo e soltanto di lui, io ho evitato accuratamente di parlare di me. Non so come mai, ma sentivo il bisogno che fosse lui a sentirsi libero di parlare con qualcuno, visto che non aveva mai trovato nessuno con cui sfogarsi. L’ho visto tranquillo e sinceramente sereno mentre mi raccontava quanto era migliorato con il violino, di come si era divertito durante il concerto dei Green Day, di come gli eravamo mancati io, James e Tayla.
Quando abbiamo sentito i primi passi delle infermiere, abbiamo deciso di rientrare, cercando di non far rumore.
Arrivati alla mia porta, mi sono fermata. < Domani verranno Tayla e James. Devi assolutamente parlarci. Non aspettano altro che salutarti. >
< Lo farò. > poi mi ha abbracciato teneramente, e con sincero sollievo mi sono nascosta tra l’incavo della sua spalla. Mi sono sentita a casa per la prima volta da quando sono arrivata qui.
Poi se n’è andato a letto, sorridendomi un’ultima volta prima di chiudere la porta.
È andata proprio così, veloce e indolore. Non mi sono neanche accorta che abbiamo parlato per almeno tre ore mentre ci congelavamo nel  freddo mattutino, eppure è successo. E credo che siano state le tre ore più belle che io abbia mai passato da quando sono malata.
Ci sono ancora tante altre cose che mi sono estranee in quel ragazzo alto un metro e ottanta. Ma adesso ho tutto il tempo per scoprirle.
Finalmente ho trovato un vero e proprio scopo per andare avanti. Non m’importa se è la giusta cosa da fare o meno, preferisco correre il rischio e sbattere la testa.
E se continuiamo così, mi sa che alla fine la sbatterò proprio la testa. O la perderò del tutto.
 
 
 
YE
PNOPE
SCUSATE L’ENORME RITARDOOOOOOOOOOOOOOOO!
Ho voluto lavorarci molto su questo capitolo, e credo proprio che sia venuto fuori un bel capolavoro! Per farmi perdonare l'ho fatto anche più lungo!
Fatemi sapere cosa ne pensate, se volete!
Un bacio xx
Mel

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Giorno 58 - Scopo ***


Giorno 58 Mese 3 Anno 2013
( 22 Maggio )
 
Sono tutti così strani ultimamente con me. I miei genitori vengono sempre di meno, e quando vengono sono talmente nervosi e cauti nel fare anche le cose più banali che forse preferisco che restino a casa.
Tayla continua a sparire per ore quando in teoria dovrebbe tenermi compagnia, e adesso anche James fa il sospettoso. Solo che a lui riesce sicuramente meglio nascondere qualsiasi cosa, Tayla non si sforza nemmeno di provare a fingere.
Per fortuna ho Isahia e gli altri che mi tengono occupata, altrimenti impazzirei. Non ho una voce speciale, eppure i bambini mi chiamano La Star; hanno anche disegnato una specie di volantini e, dopo aver ottenuto l’approvazione delle infermiere e dei medici, l’hanno consegnato negli altri reparti.
In effetti mi è parso strano il fatto che, quando mi esibivo per loro, ci fossero anche altri pazienti che non conoscevo affatto. Daniel si è del tutto vantato quando mi ha ammesso che l’idea era stata sua, e non ho potuto non complimentarmi con lui. Ma non solo con lui, ma anche con tutti gli altri bambini; da quando ho iniziato a cantare per loro sono cambiati, sembrano tutti molto più felici e in estrema forma.
Un paio di giorni fa ho sentito alcuni medici parlare del fatto che sia Cho che Dylan erano migliorati clamorosamente, e che presto sarebbero tornati a casa. Cindy si è intromessa nell’argomento, consigliando ai due uomini di andare a trovare i bambini quando io avrei cantato per loro. Secondo lei, ero io la causa del loro miglioramento.
< Ha ragione! > ha affermato Patrick quando gliel’ho raccontato. < La musica migliora lo sviluppo della corteccia celebrale e aumenta la dopamina che… >
< Ho capito, ho capito! > l’ho zittito, mentre tentavo di accordare la chitarra.
Ci vediamo tutti i giorni, anche se Patrick ancora è titubante nel farsi vedere dai bambini, o dai medici, o dalle infermiere. O dalle formiche del giardino.
Insomma, ancora non si sente pronto ad uscire allo scoperto.
Tutte le sere che sgattaiola nella mia camera gli dico che dovrebbe prendere il coraggio e uscire almeno per fare una passeggiata durante il giorno, ma lui non mi risponde e cambia argomento alla velocità della luce.
Non capisco il motivo di tanta vergogna, e sinceramente mi irrita veramente tanto; e non è l’unica cosa che mi fa incavolare di lui.
Innanzitutto pretende di sapere tutto su tutto e tutti, ed è il peggior egocentrico di questo ospedale. Si lamenta su qualsiasi cosa ma ritira sempre tutto quando incontra le mie occhiatacce. Non dimentichiamo il fatto che chiede sempre scusa per tutto, una volta mi ha sfiorato il braccio e mi ha chiesto di perdonarlo per ben tre volte. È estenuante.
Ma… forse… e dico forse… forse evidenzio tutte queste cose negative di lui per evitare di cadere nelle sue continue trappole. Perché, da quando mi ha confessato che un pochino gli piaccio, noto che tutti i suoi comportamenti portano ad una sola cosa, ovvero impressionarmi.
Quando mi ha raccontato che ha fatto volontariato al canile per due o tre annetti mi sono sciolta come il burro sul pane, e devo dire che ho usato tutta la mia forza di volontà per non uscirne con un ‘Awww…’.
E quando mi ha chiesto di raccogliere dei fiori per metterli nella sua stanza?
< E a che ti servono? > gli ho chiesto.
E lui, con nonchalance, mi ha risposto che avrebbe reso la sua stanza più felice e più accogliente, visto che a casa era abituato a coltivare ogni settimana fiori nuovi nel suo giardino. Andiamo, quale ragazza non si stupirebbe di fronte a un ragazzo che ama il giardinaggio?
E quando a suonato il violino? È stato… come ritornare alle elementari. Come rivedere i suoi occhi verdi illuminarsi mentre si mescolava tra le foglie dell’albero su cui si era arrampicato. Come asciugare di nuovo le sue lacrime quando gli pulivo le ferite che la madre gli aveva provocato con la cintura. Come quando litigava con me per aver copiato dal suo compito di storia.
Sono trappole. E chiamarle letali è dir poco.
La verità è che lui ha tutti i presupposti per farmi innamorare di lui. Lo so, lo sento, come un ghepardo acquattato sente il profumo della preda che si avvicina a lui…
 
Sento una mano che scioglie il mio pugno.
Apro anche l’altra mano, aspettando che la circolazione riprendi come sempre.
Gli altri mi stanno fissando chiaramente, tutti con una faccia a culo: Harry che cerca di soffocare un sorriso, Louis e Liam che borbottano tra di loro ridendo, continuando a fissare il diario con falsa concentrazione.
< Che c’è? > chiedo e immediatamente tutti e tre scoppiano a ridere.
Fuori il cielo è nero come la pece, fra un pochino verrà giù un bel diluvio. Il vento scuote alberi e sbatte finestre e portoni: sarà un bel temporale.
Sono passate due settimane da quando io e i ragazzi abbiamo iniziato a leggere insieme il diario, e sicuramente è molto meglio affrontare certe pagine insieme a loro. Mi sento capito e ascoltato, ma soprattutto sostenuto, ed è forse questo che rende tutto più semplice.
< Sei geloso da fare schifo, amico! >
O difficile. Insomma, a qualsiasi cosa che mi rende più attento, sensibile, o apparentemente geloso iniziano a sfottermi come non mai. Questo perché ovviamente sanno cosa è successo dopo, siamo noi che non sappiamo cosa è successo prima che arrivassimo da Alyce. Ma questo non implica il fatto che loro siano angioletti con me. Anzi, i miei amici sono sempre più stronzi ultimamente.
Anche se, in effetti, è molto strano il fatto che io sia così… irritato da queste ultime pagine che Alyce ha scritto. Non dovrei esserlo, per diversi motivi che incastrati insieme formano il puzzle perfetto della mia vita. Sicuramente c’è un motivo, e forse so qual è. Ma non è nel mio stile dire tutto e subito, così faccio per ribattere ai ragazzi, ma una scampanellata alla porta e un forte bussare mi distrae.
< Ragazzi! Ragazzi! Aprite! Ce l’ho fatta! >
< E’ aperto! > urliamo tutti e quattro, visto che gli avremo detto cento volte o più che avremmo lasciato la porta aperta a causa del suo ritardo.
Niall spalanca la porta, catapultandosi in soggiorno, i capelli biondi tinti spettinati e il volto rosso a causa del vento.
< Zio Niall! La porta! > lo rimprovera scherzosamente mia figlia, solo per stuzzicarlo.
< Scusami, piccola! Allora ragazzi, ci siamo! >
La mia bambina s’imbroncia, non avendo ricevuto le attenzioni che desiderava. La guardo facendogli l’occhiolino e sollevando un pollice, per fargli intendere che il mio amore per lei non ha limite, non si può contenere, è più vasto dell’universo. Lei mi sorride, arrossendo timidamente prima di chiudere la porta e tornarsene nella sua cameretta.
< Allora, Horan, che hai combinato? >
Niall si tuffa letteralmente sul divano, sdraiandosi a pancia in giù.
< Le scarpe, Niall! Mia moglie mi fa secco! >
Niall mi zittisce con una mano, mentre tra parecchi fogli che ha sistemato sul tavolino di fronte al divano cerca qualcosa in particolare.
< Allora, avevamo detto di puntare principalmente sui suoi genitori, ma non abitano più a Londra, ne a Dublino. Credo che si siano trasferiti, non sono riuscito a capire dove… >
Ovviamente non è stato Niall ha fare tutte queste ricerche, ma un amico di Paul, che è un investigatore privato. Gli abbiamo chiesto soltanto di cercare alcune persone, poiché noi, fra impegni vari e il tempo che ci resta da passare con le nostre famiglie prima del nostro imminente tour, non possiamo assolutamente perdere tempo.
Io personalmente non saprei neanche dove mettere le mani per cercare delle persone che non vedo da dieci anni, forse è stato anche questo a convincerci a farci aiutare.
Niall, che ama queste stronzate alla Sherlock Holmes, ha voluto occuparsi delle spese e dei vari appuntamenti con l’investigatore, e oggi ha avuto la prima riunione.
< … ci lavorerà su, mi ha detto. Ha però trovato due di loro. > continua Niall, tentando di riprendere fiato.
< Come ha fatto a trovarli? > chiede Louis.
< È ritornato nel reparto dove è stata ricoverata Alyce dieci anni fa. >
Rabbrividisco. Neanche se mi avesse costretto Dio in persona avrei rimesso piede in quel reparto. Troppi ricordi mischiati a dolori acuti.
< Poteva farlo? > domanda sempre Lou, stupito.
< È della polizia, certo che può farlo. E ha appunto scoperto, non chiedermi come, dove abitano due delle persone che potrebbero aiutarci > risponde Niall.
< E cioè? > chiedo io, curioso.
Anche se il mio cervello viaggia in direzioni diverse, soprattutto in una chiamata Patrick, la curiosità ha la meglio su di me, e così cancello ogni pensiero.
Niall se ne sta zitto, osservando quei due nomi scritti su un unico foglio bianco.
Liam lo guarda, prima di sedersi accanto a lui e gettare un’occhiata sul foglio, annuendo dopo aver letto il poco contenuto.
< Allora? > li incita Harry, troppo curioso per aspettare.
Niall si fa coraggio, respirando profondamente. < Ha trovato James e Tommy. >
Sicuramente ci aspettavamo di tutto, tranne che questi due nomi.
Innanzitutto perché non hanno un collegamento tra di loro. Avrei capito James e Tayla, che stavano insieme, ma non riesco a capire com’è possibile che l’investigatore sia riuscito a trovare solo loro due.
Se ha trovato James, significa che ci sono buone probabilità che non stia più con Tayla, ma forse tramite lui possiamo raggiungere anche lei.
Che dire di Tommy… non ricordo neanche quanti anni aveva l’ultima volta che l’ho visto, ora avrà forse una ventina di anni all’incirca. Lui sa dove sono i suoi genitori, deve saperlo.
Nessuno di noi dice niente, forse perché anche gli altri stanno pensando alle stesse cose che sto pensando io, o forse perché ormai ci siamo abituati a leggere il diario senza fermarci per un istante.
Alyce aveva un grande talento per la scrittura, non se ne rendeva conto neanche lei, eppure riesce tuttora a ipnotizzare ciò che ha scritto dieci anni fa. È riuscita ad incanalare le sue emozioni così bene che anche noi proviamo ciò che ha provato lei. O almeno, qualcosa smuove i nostri cuori mentre viviamo ciò che ha scritto.
Nessuno potrà mai provare le stesse cose che ha provato Alyce, ma era questo il suo scopo scrivendo questo diario: far sì che qualcun altro potesse almeno un po’ comprendere ciò che era stata costretta ad affrontare da sola.
Lo so che è così, lo sento. Ho conosciuto Alyce, e anche se sicuramente non sono riuscito a scovare ogni suo segreto, almeno questo l’ho capito.
Ma allora, se questo era il suo scopo, perché il diario l’ha destinato a me? Che cosa voleva ottenere consegnandomi la cosa più preziosa che aveva? Per sentirsi capita? Mi sono sforzato tante volte di capirla mentre si sfogava con me, e so per certo che, dopo che siamo arrivati noi nella sua vita, non si è mai sentita più sola.
No, lei non mirava a sé stessa. Mirava a qualcun altro. Ma a chi?
< Bene… > dice Harry, per riattivare l’attenzione di tutti. < Da chi cominciamo? >
Abbasso la testa, con l’intenzione di far scegliere agli altri.
< Louis ha avuto l’idea, facciamo scegliere a lui. > propone Niall.
< Sarebbe più giusto far scegliere a Zayn… > interviene Liam.
Louis sbuffa. < Preferirebbe un pugno in faccia che dire una sola parola riguardo questa faccenda. >
Lo dice con una falsa ironia, che mi irrita abbastanza. Ma d’altronde è anche la verità, quindi non faccio obbiezione.
< Ritengo sia meglio seguire il ragione di Lou e parlare con Tommy. Può dirci sicuramente dove sono i suoi genitori, e a quel punto potremo riunirli e ridargli il diario. > afferma Harry, sbadigliando nel bel mezzo di un discorso sensato.
Non è così tardi, ma sono ormai quindici serate che restiamo svegli fino a mezzanotte inoltrata per leggere il diario. La stanchezza sta iniziando a farsi sentire.
Come se si stesse parlando del diavolo…
< Papà? >
Mi giro, vedendo mia figlia appoggiata allo stipite della porta. Con indosso il suo largone pigiama preferito, in mano il suo coniglietto di peluche, si sta stropicciando gli occhi in preda ad un attacco di sonno.
Mi alzo, andando verso di lei. < Ehi piccola… che fai ancora sveglia? >
Allarga le braccia per farsi prendere in collo. Non la faccio aspettare, prendendola e stringendola fra le mia braccia. Amo prenderla in braccio, è qualcosa che farei sempre, in ogni momento. Sento il suo cuoricino battere vicino al mio ed è come se ogni musica che io abbia mai sentito fosse orribile, in confronto a questo battito.
Sbadiglia, prima di rispondermi. < La lucina da notte si è rotta… >
Alzo gli occhi al cielo. Tanto per aggiungere un’altra cosa alla mia lista delle cose che devo aggiustare.
< Va bene tesoro, ora te l’aggiusto. Tu dormi > gli dico, facendogli posare dolcemente la sua tenera testolina sulla mia spalla.
< Ma papà… io non… non ho sonno… > e si addormenta, lasciando dondolare il suo coniglio.
Mi giro verso i ragazzi, che sono più o meno tutti stanchi come la mia bambina.
< Niall > lo chiama Liam. < Hai l’indirizzo di Tommy? >
Il biondo annuisce, cercandolo tra i fogli.
< Bene > continua. < Io direi di andare anche domani. Prima gli parliamo e meglio è. >
< E prima possiamo finire di leggere questo diario > dice quasi come confessione Lou, rimanendo sorpreso anche lui.
Li saluto tutti, chiudendo la porta e azionando l’allarme, facendo attenzione a non svegliare la mia bambina.
Sto per andare a dormire, quando vedo il diario di Alyce ancora per terra, dove l’avevo lasciato io per andare verso mia figlia.
Lo raccolgo, e l’occhio mi cade distrattamente sull’ultima parte che conclude il giorno che stavamo per finire.
Il fiato mi si mozza, mentre l’ultima parte prima che tutto cambiasse m’investe come uno tsunami aggressivo.
 
… il punto è che sarebbe tutto sbagliato.
Inutile girarci: sto morendo, e non mi salverò come gli altri bambini.
Perché dare speranza ad una persona quando di speranza non c’è né neanche un po’? Perché costruire qualcosa di meraviglioso quando si sa già che prima o poi verrà distrutto?
Già il fatto di non aver potuto vedere i miei idoli mi logora dentro ogni giorno. Già sapere che Isahia ha le probabilità di sopravvivere pari alle mie mi porta vicino alla morte ogni giorno sempre di più.
Non so se riuscirò a sopportare altre distruzioni, altre delusioni.
Sto combattendo per sopravvivere, ma le conseguenze a questo cancro mi sta portando via tutti i motivi per cui ero disposta a lottare.
Non so che fare.
Sono sola. O almeno, lo sarà presto.

 
 
 
YEPNOPE
Son molto soddisfatta di questo capitolo, anche se mi dispiace che l’ultimo abbia ricevuto poche recensioni. Sinceramente questo fatto delle poche recensioni mi pesa molto, perché tengo molto a questa storia e spero tutte le volte che cresca sempre di più.
Ma so anche che molte persone leggono questa ff senza lasciare traccia, e sicuramente piace perché molti l’hanno messa tra preferite/seguite e questo mi basta.
Grazie a coloro che hanno aspettato il nuovo capitolo, grazie a colore che recensiranno e chi passerà in silenzio.
Grazie a tutti. Mi rendete fiera del mio lavoro.
Baci xx
Melany23

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Delusione ***


< Dovresti parcheggiare lì, Liam… >
Il mio amico sbuffa. < Non darmi consigli, Lou. Sei il peggior guidatore che io conosca! >
Ridiamo tutti, come se stessimo raggiungendo lo stadio per un imminente concerto. Quando abbiamo uno spettacolo, abbiamo preso l’abitudine di guidare la limousine o il semplice pullman che ci fa da trasporto verso il luogo del concerto, tanto per stuzzicare Paul e il nostro addetto alla sicurezza, Bob.
Quando eravamo ragazzi farci scorrazzare in giro era quasi ovvio per noi, ma siamo cresciuti e abbiamo già dimostrato di non essere la classica Boy Band. Preferiamo far dispetto a Bob e guidare. Non è felice del fatto che vogliamo guidare, ma ormai ha capito come siamo fatti: impediteci di fare qualcosa, e noi tenteremo di farlo a tutti i costi. Solo per dispetto, ovviamente!
Oggi però non stiamo raggiungendo l’O2 Arena, ma semplicemente un piccolo appartamento in Oxford Street, dove abita James. Abbiamo deciso di puntare su di lui anziché Tommy, perché si ricorda sicuramente di noi quindi sarà più disponibile nel parlarci.
Liam parcheggia vicino ad Hide Park, scendendo e aprendo gli ombrelli o alzando i cappucci per ripararci dalla classica pioggia inglese.
Sono molto nervoso. Il diario scotta nella mi tasca del giubbotto impermeabile, come se si fosse svegliato all’improvviso. L’idea che James possa decidere di tenersi il diario per qualsiasi motivo mi spaventa veramente tanto.
Lo so che all’inizio non volevo neanche leggerlo, ma ormai ho iniziato. Devo finire.
< Hai preso bene l’indirizzo, Nialler? > chiede Harry, liberandosi la fronte dai capelli con la mano.
< Perché avrei dovuto sbagliare a prendere l’indirizzo? >
< Perché sei attento come un orso davanti ad un barattolo di miele! > ribatte Lou, abbozzando un sorriso.
È come se fossimo in vacanza, liberi da ogni tipo di impegno o altro. Ma dobbiamo ricordarci che, agli occhi degli altri, siamo sempre gli One Direction, quindi dobbiamo stare all’erta. Infatti, appena Louis termina di ridere, si guarda intorno, ricordandosi che purtroppo se ci scoprono, dovremo chiamare Bob e la pattuglia intera per scortarci lontano dai fans.
Abbassiamo la voce, tentando di nasconderci il più possibile nei nostri cappotti, cercando anche l’abitazione di James.
< Che numero? > chiedo.
Niall tira fuori dalla tasca il foglietto dove si è segnato i vari indirizzi. < 16 B. Dovremmo essere vicini, siamo al 12. >
Tutti e cinque osserviamo sia a destra che a sinistra i numeri delle abitazioni, andando via via avanti per trovare la casa di un vecchio amico. Arrivati però alla fine della strada, nessuno di noi ha visto il numero 16.
Ripercorriamo la strada all’incontrario, osservando di nuovo tutti i numeri civici delle casette bianche di questa tranquilla strada ma, tornando al punto di partenza, nessun 16 B si è fatto avanti.
< Niall, sei sicuro… >
< Non iniziate! È l’unico James Sox che ho trovato! Deve essere qui! > ribatte il mio amico, irritato dalle nostre esitazioni.
Perlustriamo di nuovo la strada, prestando più attenzione ai numeri civici. < Guardate anche i numeri dei garage. Una cugina di mia mamma ha trasformato il suo in un’abitazione fichissima! > racconta Lou.
Una porta si apre, ma prima sentiamo una voce piuttosto profonda, che in qualche modo riconosciamo. < Non mi piace vantarmi della mia casa, ma in effetti anche la mia è piuttosto bella! >
Ed eccolo lì. In piedi sulla discesa che porta ad un garage, con indosso un camice bianco, James è cambiato soltanto riguardo la barba, che è leggermente lunga, ma non esageratamente. Forse è anche più alto, ma credo sia solo per il fatto che è molto in forma che risulta più alto, per il resto è esattamente come dieci anni fa.
Ci sorride, un sorriso più maturo e forse più vispo, le mani nelle grandi tasche del camice sbottonato, le scarpe delle Nike allacciate con cura. Il suo viso è leggermente gonfio, segno di stanchezza sono anche le piccole occhiaie ben marcate. Non sembra però sorpreso nel vederci, non tenta neanche di nascondere la sua curiosità.
< Allora, ragazzi… cos’è che vi porta in Oxford Street in pieno giorno? > ci chiede, appoggiandosi ad un piccolo cancellino di ferro che non avevo notato.
Harry mi spinge leggermente in avanti, e capisco che adesso è il mio turno. Inizio ad agitarmi, così metto le mani in tasca e trattengo un attimo il fiato, prima di riflettere sulla domanda e rispondere senza neanche pensare ad una risposta più decente.
< Alyce. >
Sento dietro qualcuno che disapprova la mia risposta, e anche James ne è turbato. Sul suo viso compare un’ombra di dolore, ma il suo sorriso ancora non svanisce.
< Entrate, siete fortunati che io abbia fatto il turno di notte, altrimenti non mi avreste trovato. >
Lo seguiamo, entrando da una porta ritagliata dal portone del garage color grigio metallo. Una volta dentro, mi stupisco sul serio di come si possa essere creativi nella trasformazione di una casa.
Il garage è in sé per sé piccolo, ma un ampio salotto con divani e tv al plasma rientrano alla perfezione con la cucina moderna e un piccolo bagno molto lavorato. Ha anche un piccola isola, che può essere benissimo usata anche come tavolo. Il tutto viene completato da uno studio sollevato da un piano superiore, raggiungibili da delle fantastiche scale di legno.
< Cavoli, James! È… pazzesca! > si complimenta Niall.
E lo è sul serio. Osservo meglio il bagno, e vedo che ha addirittura una piccola vasca con l’idromassaggio.
Tutte le pareti sono dipinte con colori allegri, un bel azzurro luminoso e un rosso acceso, seguito da un verde brillante per la cucina.
< Grazie… > risponde James, toccandosi la testa con timidezza.
< Scusa ma… dove dormi? > domanda Liam, guardandosi intorno alla ricerca di un letto.
James sorride. < Adesso vi faccio vedere. Seguitemi, fuori oggi si sta bene. >
Non avevo notato un giardino, il che mi stupisce. Superiamo la cucina e usciamo da una porta finestra, ritrovandoci in un piccolo ma carinissimo cortile.
Alcuni fiori colorati e un alto pino circondano un tavolo di legno ben lavorato, un dondolo coperto e un piccolo capanno per gli attrezzi.
< Dormo molto poco, così ho messo giusto un letto lì dentro, per non prendere troppo spazio. Sedetevi pure, posso offrirvi qualcosa? > chiede, indicandoci il tavolo di legno.
Ci sediamo sulle panche, mentre James porta qualcosa da mangiare e qualche birra.
Louis non esita un attimo e ne prendo una, seguito da Niall. Io sono a posto, anche se è il nervosismo a giocarmi brutti scherzi. Adesso tocca a me spiegare il motivo per cui siamo qui, e mi risulta veramente difficile parlarne nuovamente, soprattutto davanti ad una persona che non vedo da una decina di anni.
< Ehi James, sei un dottore! Complimenti! > gli dice Liam, dandogli una pacca sulla spalla.
< Grazie. > risponde, sempre timidamente.
< In cosa sei specializzato? > gli chiede Lou, dando un bel sorso alla birra.
< Più che altro in tossicologia. >
Louis strabuzza gli occhi, iniziando a tossire grazie alla birra che gli è andata di traverso. Scoppio a ridere, seguito dagli altri che iniziano a prendere in giro il mio amico.
James ride, mettendosi a sedere accanto a lui. < Tranquillo Louis, non ti faccio analisi o altro! >
Louis ride amaramente, allontanando leggermente la bottiglia sul tavolo.
Cala il silenzio, e i miei amici finiscono per guardarmi.
È di nuovo il mio turno, ma ho la voce bloccata. Sospiro profondamente e faccio per iniziare, quando Liam mi precede.
< Scusaci se ci siamo presentati così senza neanche avvertirti… >
< … ma dobbiamo chiederti una cosa… > continua Harry.
< … una cosa riguardante Alyce > conclude Niall, poi mi guarda.
Tiro fuori con difficoltà il diario, posandolo delicatamente sul tavolo come se fosse di vetro.
James lo guarda, e un lampo nei suoi occhi mi fa capire che l’ha riconosciuto.
< Dove l’hai preso? > mi chiede, gentilmente.
Finalmente una domanda semplice a cui rispondere. < Alyce l’aveva dato a Niall, facendogli promettere di darlo a me non appena… mi sarei fatto una vita. >
Lui annuisce.
< Abbiamo iniziato a leggerlo, ma ci siamo resi conto che forse avremmo dovuto avere l’approvazione dei suoi genitori, o almeno la tua, prima di andare avanti con la lettura > continuo, trovando una strana sicurezza.
James storce il naso, confuso. < Approvazione? Non è mio il diario, e Alyce ha deciso di darlo a te. >
Louis s’intromette. < Pensala così, se tua figlia morisse e di lei ti restassero soltanto dei ricordi, non ti piacerebbe avere… qualcosa in più che ti lega a lei? >
L’aria sicura di James svanisce, e il suo viso si rabbuia del tutto. I suoi occhi si spostano su uno scaccia spiriti legato sopra la porticina del capanno. Sospira, e capisco che ciò che ha detto Louis James l’ha provato, e ancora non l’ha superato.
< Capisco… ma allora non è a me che dovete chiedere, ma ai suoi genitori. >
< Non li abbiamo trovati > risponde Liam. < Abbiamo trovato solo Tommy. >
< Questo perché i suoi sono tornati a Dublino, mentre il fratello è ritornato qui a studiare. Ogni tanto lo vedo. Mi sembra di vedere lei. >
Elaboriamo le sue parole, capendo all’istante che, se vogliamo fare questa cosa insieme, i suoi genitori sono esclusi. Non perché abitano a Dublino, ma perché sarà forse molto più semplice parlare con Tommy. Anche se molto probabilmente non si ricorderà per niente di noi.
< Ehi James, ma Tayla? > chiede Harry, che all’epoca s’interessò a lei.
Rido ancora al ricordo di Harry che ci provò prima di scoprire che era occupata con la persona che gli sta davanti davanti adesso.
Anche se James non sembra altrettanto contento di questa domanda, sembra addrittura intenzionato a ignorarla quando suona il campanello.
< Ve lo dirà lei, credo… > si alza, andando ad aprire con riluttanza.
Sentiamo la porta sbattere e le urla iniziano subito. < Sei un cretino senza cervello! >
Sì, è Tayla.
< Ti sei dimenticato del fatto che hai dei doveri rispetto tua figlia?! >
< Probabilmente se ne dimenticherebbe anche lei. Urli così tanto che faresti diventare sordi anche i muri! > risponde James, affranto.
< Aaah! Quanto aspetto quei documenti! >
< Tayla… >
< E non dirmi di stare zitta, le possibilità di ricevere uno schiaffo salgono quando hai tre chili in più da portarti dietro! >
< Tayla, ho ospiti > la zittisce James. < Perché non vai a salutarli? >
< Chi sono? Come sto? > chiede lei, nervosa.
James sta zitto, poi risponde. < Come una donna incinta isterica. Dai, forza. >
Protesta, ma ci raggiunge, fermandosi davanti alla porta finestra aperta, sorpresa nel vederci.
È diventata molto più bella, i capelli marroni lisci gli ricadono sulle spalle, la sua pelle leggermente più scura di come ricordavo. Il corpo è snello, sebbene la pancia bella gonfia non è invisibile.
< Ma… cosa… >
È molto stupita nel vederci, e sveglia com’è avrà già capito che siamo qui per Alyce.
< Cavoli, sei incinta! > spezza il silenzio Harry, stupito più lui di lei.
Tayla mette il broncio. < No, ho ingoiato un’anguria intera per colazione! > ribatte.
< Come stai? > chiede Liam.
< Io bene ma… voi che ci fate qui? >
Guardiamo James, e capiamo all’istante che non è una buona idea raccontargli del diario. Non perché non ci fidiamo di lei, ma evidentemente Tayla non è andata avanti come James, i suoi occhi colmi di speranza e preoccupazione lo confermano.
Ma probabilmente pretenderebbe di tenersi il diario e io, sinceramente, non voglio.
Devo arrivare alla fine, ormai sento che è quasi come un dovere nei confronti di Alyce. Ha iniziato scrivendo ad un Diario, ma dalle prossime pagine in poi compariamo anche noi, e molto probabilmente, se il diario ha voluto destinarmelo, allora forse avrà scritto a me.
E poi… ho ancora così tante cose da scoprire su di lei.
Sembrano stupidaggini, ma sento che questo diario possa aiutare anche me. Nascondo anche io tanti dettagli su di lei, come del perché non andai gli ultimi giorni della sua vita a trovarla. Nessuno lo sa, nemmeno io.
Forse, qua dentro, troverò le risposte che sono comparse dentro me insieme al ritorno di Alyce nella mia vita. Seppur per un motivo egoistico, non permetterò a Tayla di portarmelo via.
< Siamo passati di qui e James ci ha visti. Così ci ha invitati a casa sua per… un saluto! > risponde Harry, sbalordendo tutti.
Tayla non è scema, ma ho nascosto il diario appena sentita la sua voce, quindi non può minimamente immaginare il motivo per cui siamo qui.
Lei annuisce, abbassando lo sguardo.
Cala un silenzio imbarazzante, fin quando il classico coglione di Harry non lo spezza di nuovo.
< Allora… siete sposati? >
Mi nascondo il viso tra le mani, mentre Louis e Niall soffocano una risata. Harry ci guarda, confuso sulle nostre reazioni.
Tayla guarda torvo James, riabbassando poi lo sguardo. < Non per molto… >
Mi alzo. < Meglio se vi lasciamo soli allora. James, grazie, noi… >
< Non ci sei ancora andato vero? >
Guardo Tayla, voltata verso di me che mi guarda tristemente.
Capisco leggermente in ritardo di cosa sta parlando, così ricambio lo sguardo gelido, che penetra dentro di me come succedeva tutte le volte che c’incontravamo da Alyce.
< No. >
< Perché? > mi chiede, alzandosi e mettendosi davanti a me.
< Tayla, smettila… > interviene James.
< Perché non sei andato da lei? >
Indietreggio, quasi spaventato.
Ma lei non si arrende, mi segue, le lacrime che stanno per cadere, la rabbia che freme dentro di sé, la voglio di verità la uccide.
< Non lo so… > sussurro.
< Non lo sai?! > urla lei.
< TAYLA! >
< Sta zitto! > grida, rivolgendosi a James. < Lei lo amava più di qualsiasi altra persona, più di chiunque altro essere umano. E lui… è scappato… con la coda tra le gambe… >
Liam interviene, mettendosi fra me e Tayla. < Ti ricordo che lei era innamorata di Patrick. Zayn era solo il suo idolo. >
Scuote la testa, piangendo. Poi alza lo sguardo, guardandomi come solo una persona delusa e ferita può guardarti.
< Eri anche il mio… e anche io avrei preferito averti accanto… ma tu non c’eri… >
Cala di nuovo il silenzio, e stavolta nessuno è in grado di spezzarlo.
Tayla si siede tenendosi il pancione, mentre James gli tende un bicchiere d’acqua. Tayla lo ringrazia con lo sguardo, e capisco dalla carezza che riceve che si amano ancora. Pessimo momento per fare un commento del genere.
Mi avvio verso l’uscita, seguito dagli altri che ringraziano James e salutano Tayla, chiudendosi la porta alle spalle.
Saliti in macchina, Liam infila le chiavi. < Allora… andiamo da Tommy? >
< Dovrei avere l’indirizzo da qualche parte… > dice Niall, tastandosi le tasche.
Harry sbuffa. < Non ci credo, amico! Hai già perso il foglietto! >
< Non mi stupirei… > commenta Louis.
Sono grato ai miei amici per il fatto di non chiedermi niente sulla discussione avvenuta poco fa. D’altronde non avrei saputo dare altre spiegazioni.
E mentre l’auto parte verso il college dove studia Tommy, sento ribollire dentro di me il dolore che provai dieci anni fa, quando Alyce morì.
E io non c’ero.

 
 
YEPNOPE
il NOPE di oggi è che, ovviamente, non posso chiedere scusa abbastanza per aver tardato di un mese sulla pubblicazione del capitolo!
Ma… è estate! E probabilmente nessuno lo leggerà, forse qualcuno lo leggerà a settembre. O almeno, lo spero.
Spero anche che vi piaccia. Come Zayn odia il fatto di aver deluso Alyce, odio anche io il fatto di poter deludere voi.
Kiss At All.
Mel.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Giorno 70 - Mezzanotte ***


Giorno 70 Mese 4 Anno 2013
( 4 giugno )
 
Non credo di poter descrivere alla perfezione ciò che è successo (e ciò che continuerà ad accadere) due settimane fa, ne penso di poterlo fare senza prima introdurre quella mezzanotte. Quella notte che sembrava la più deprimente di tutte, si è poi rivelata la migliore della mia vita. Ha fatto scattare in me quel qualcosa che ora mia ha reso più determinata a lottare. Forse avevo bisogno di una spinta in più; forse avevo davvero bisogno di una mano, ma ero così fottutamente testarda e adolescente che preferivo fare di testa mia, e affrontare il tutto da sola pensando a come non far soffrire chi mi stava accanto.
In ogni caso, stasera mi fa piacere scrivere, perché il ricordo di quella notte mi emoziona ancora e mi emozionerà fino alla fine. Anche se la mano inizia veramente a cedere mentre scrivo (infatti chiedo scusa a chi sta leggendo, ma sto peggiorando di brutto… ), voglio ritornare indietro con la mente a quella sera.
Ero in camera di Isahia, il quale, non riuscendo a dormire, mi aveva chiesto di passare da lui per farlo addormentare. Mi era venuta in mente l’idea di portare anche la chitarra, così, sgattaiolando da camera mia, raggiunsi in punta di piedi la sua stanza, aprendo e chiudendo la porta con passo furtivo.
Isi però già dormiva rannicchiato sul suo letto, mentre veniva coperto da Patrick che era seduto su una sedia vicino a lui.
< E tu che ci fai qui? > sussurrai, avvicinandomi a lui confusa.
Devo ammettere che mi sentii parecchio stupida nel provare anche gelosia, ma Isi era diventato quasi un figlio per me. Lo so che sono giovane per questo, ma ci siamo conosciuti quando entrambi eravamo soli in questo ospedale, ed è come se anche lui avesse adottato me. Non mi va che gli altri si occupino di lui, tocca a me badare al mio Isi.
Comunque, cercai di non farlo notare a Patrick, che una volta sentita la mia voce s’illuminò in uno splendido sorriso, che mi lasciò esterrefatta.
Odiavo il fatto che ultimamente, qualsiasi sorriso facesse, meraviglioso o ebete che fosse, riuscisse a farmi sentire nervosa e agitata. Non era un buon segno il fatto che mi rendesse tanto desiderosa dei suoi sorrisi, ma ogni giorni li trovavo più belli. Cancro a parte, mi sentivo debole e il fiato mi si mozzava… no, non andava  affatto bene. Ci stavo rimanendo fregata.
< Oggi mi aveva chiesto di aiutarlo a dormire perché aveva gli incubi. Ho pensato di suonargli qualcosa… > la custodia del violino era chiusa, ai piedi del letto. < … ma appena arrivato, mi ha detto due cose ed è crollato come un sasso. >
Mi avvicinai al letto, accarezzando il visino pallido di Isi.
< Sta peggiorando. > affermai, forse con troppo indifferenza.
Ormai provavo continui dolori, sia fisici che emotivi, che niente ormai mi stupiva più di tanto. Sapevo e vedevo che Isahia peggiorava di giorno in giorno, e questo aumentava tutta quella rabbia e quel dolore che non sapevo più dove mettere. Così ne restavo indifferente, forse pensando che in quel modo potessero scomparire magicamente, non capendo che in realtà restavano sempre lì.
Sentii la figura di Patrick avvicinarsi a me, spostando lo sguardo sul letto.
< È un bambino forte. Ce la farà. >
< Cindy gli ha dato tre mesi… > ribattei, stavolta con voce incrinata.
Perché, perché proprio lui? Ci sono tremiliardi di persone su questa maledetta terra, e doveva morire proprio lui. Forse non cantavo abbastanza bene, avrei riguardato quella mattina stessa le canzoni da cantare, magari ne avrei scelte altre più energiche! Guardo la chitarra, e forse era colpa delle corde. Erano mezze rotte, ma accordarle era come togliere loro mezza bombola d’ossigeno. Metterò da parte i soldi per ricomprarle, ci vorrà un po’ ma…
Sentii delle braccia stringermi da dietro. < Non poi guarire tutti, Alyce. >
Riflettendo sulle sue parole, mi stacco da lui, spaventata da come mi conosce già troppo bene.
< Lui non può… >
< Lo so. >
< No, non lo sai! > risposi, trattenendomi dall’urlare.
Isi si mosse nel suo letto, spostando i tubicini collegati all’ossigeno dal suo naso involontariamente. Patrick mi precedette e glieli rimise apposto, tirandogli su le coperte fino al mento.
Avevo letteralmente il cuore spezzato, eppure non volevo e non chiedevo a nessuno che me lo riparasse. Patrick stava cercando ostinatamente di guarirmi, di poter condividere il mio dolore per poterlo alleviare, non capendo che, più ci avrebbe provato, e più io non glielo avrei permesso..
Mi resi conto che stavo piangendo solo quando lui parlò.  < Permetti? >
Lo guardai. < Cosa? >
< Asciugarti le lacrime. >
Restai a guardarlo, alzando poi gli occhi al cielo ridendo amaramente. Odiavo questa parte di lui, trovava sempre una vena romantica in ogni cosa. < Mi basta un fazzoletto. >
Lui sospirò. < Non puoi combattere tutte le tue guerre da sola, Alyce. >
< Come hai fatto tu? >
< È diverso. >
< No che non lo è! >
< Sta di fatto che non puoi. >
Sostenni il suo sguardo con aria di sfida, prima di girarmi verso la porta. < Vuoi scommettere? >
Mentre stavo per chiudere la porta alle mie spalle, Patrick mi fermò. < Isi, prima di addormentarsi, mi ha detto che devo risvegliare una principessa. Sai cosa significa? >
Tentai di nascondere un sorriso non destinato a lui, scossi la testa e me ne ritornai in camera.


YEPNOPE
Il Nope più nope è che questo è il mio primo capitolo corto, e mi scoccia tantissimo averlo pubblicato, perchè essenzialmente non accade niente sennon un litigio in cui viene dimostrato quanto Patrick tiene a Alyce e quanto Alyce (seppur non volendo) tiene a Patrick.
Ma sta cosa del capitolo corto sarà a vostro vantaggio, ve l'assicuro! Perchè il prossimo capitolo è già pronto, ed è forse il nucleo della mia storia, quindi... pazientate ancora un po' e ve lo pubblicherò!
Altro Nope è che mi dispiace se non pubblico più spesso, ma è una storia impegnativa, e voglio pubblicare solo quando mi sento del tutto sicura di ciò che scrivo.
Detto questo, vi auguro una buona lettura.
A PRESTISSIMO!
Kiss at all
Mel.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Niente pena ***


Era mezzanotte quando, varcata la soglia della mia stanza, trovai una chitarra nuova di zecca sopra il mio letto.
Era di una marca piuttosto famosa, nera lucente con un motivo bianco floreale molto delicato sul paraplettro. Le corde, tese e bianche come la fantasia, risplendevano nel nero della Yamaha.
Rimasi per quelle che mi sembrarono ore davanti a quello strumento, pensando che, se l’avessi toccato, sarebbe sfumato come una magnifica allucinazione. Ma quando le mie dita iniziarono a strimpellare quelle nuove e forti corde nuove, intonando la melodia di Summer Love dei miei idoli, dimenticai in pochi secondi la mia vecchia chitarra, e soprafondai nel letto con in grembo quello che era sempre stato lo strumento dei miei sogni.
Dimenticai addirittura la discussione di poco prima con Patrick, stavo iniziando a suonare il ritornello, quando la porta della mia camera si aprì.
< Sapevo che era giusta per te > affermò Tayla.
Era sorridente davanti a me, la sua maglietta preferita con le galassie svolazzava su dei leggins neri, coperti dal polpaccio in giù dai suoi stivaletti grigio scuro.
Era bellissima, elegante, troppo per un orario come mezzanotte e mezza.
< Oserei dire perfetta, James e Patrick avevano ragione. >
< Tayla… che succede?> chiesi confusa, posando la chitarra. < Me l’hai regalata tu? >
< Veramente… > e Patrick, James, insieme ai miei genitori, mio fratello e altre cinque persone raggiunsero da dietro la mia migliore amica, rimanendo sotto lo stipite della porta.
< … siamo stati tutti noi! > continuò lei, sorridendo.
Ma la mia attenzione era stata già catturata da qualcun altro. Quegli occhi marroni chiari mi sorridevano irradiando tutto il viso pallido, incorniciato da dei capelli più lunghi e lisci del solito. La sua bocca era piegata in una sorta di sorriso imbarazzato, quel sorriso che avevo tante volte sognato e sperato di vedere dal vivo, adesso era rivolto a me. Le sue labbra erano davvero rosse come apparivano nelle foto, ma molto più sottili e ben definite.
Pensavo di crollare, pensavo di tirarmi uno schiaffo o impormi di svegliarmi, perché non era realmente possibile che, una persona talmente perfetta, un ragazzo che ho sognato tanto e che avevo ormai abbandonato nei miei sogni, fosse lì davanti a me.
Ma Zayn, come per smentirmi, mise le mani in tasca, aprendo ancora di più il suo sorriso per salutarmi, un saluto che non avevo neanche immaginato, che mi mozzò il fiato all’istante.
Harry era accanto a lui, i suoi occhi verdi brillanti mettevano in risalto le sue adorabili fossette, che erano molto più irresistibili dal vivo.
Niall era alla sinistra di Zayn, in grembo una chitarra. Appena incrociai i suoi occhi azzurri, lui mi fece l’occhiolino, accarezzando poi lo strumento come per sigillare una promessa segreta.
Louis era davanti a loro in tutto il suo splendore, la sua sfacciataggine era visibile anche ad occhi chiusi, eppure emanava un’aura di spensieratezza che riuscì addirittura a calmarmi.
Liam era in testa al gruppo, accanto a Tayla, il viso rilassato e il corpo perfettamente perfetto.
< Ciao Aly! > mi salutò Tommy, e fu l’ultimo briciolo di dignità che ebbi in quel momento.
Sapere che la mia famiglia, che i miei amici, e che cinque dei miei idoli erano tutti sorridenti e sicuri di fronte a me, mentre io non ero altro che un corpo morente, bianco, senza più capelli, incapace di lavarsi i denti senza aver bisogno della chemio, mi distrusse in un nano secondo.
La vergogna che provai in quel momento superò ogni altro mio pensiero.
Scoppiai a piangere, e subito Tommy si precipitò ad abbracciarmi alle gambe, come faceva sempre quando tornava da scuola ed era felice di vedermi. Lo presi in collo e lo strinsi forte a me;  me ne fregai se i miei polmoni sarebbero collassati se non avessi smesso di stringere in quel modo, ma erano tre mesi che mio fratello manco mi parlava, mi era mancato come quando finisci un libro e tutto sembra inutile.
I miei amici mi affiancarono, mentre i miei genitori si unirono all’abbraccio. Mamma pianse ovviamente, ma non lo nascose stavolta, e finalmente lo apprezzai.
Sciolsero l’abbraccio, affiancandosi ai cinque ragazzi che avevo seguito per anni.
Alzai lo sguardo e mi persi di nuovo negli occhi di Zayn, soffermandosi sul suo viso, sui suoi zigomi pronunciati, sulla sua bocca candida.
Quant’era bello…
< Sono morta? > mi scappò dalla bocca, perché non riuscivo ancora a crederci, non potevo crederci che tutte le persone che amavo di più erano lì, dinanzi a me, incuranti del fatto che io volevo nascondermi, che volevo soltanto morire più velocemente possibile, ma vivere all’infinito come una dea.
Il viso del mio idolo si addolcì.
< Probabilmente non hai idea di come puzza Niall dopo un mese di tour, moriresti in due secondi!! > se ne uscì Louis, spezzando quel momento di estremo disagio.
Tutti risero, pure io, continuando comunque a piangere come una fava.
< Ehi Tesoro > si avvicinò mio padre. < Perché piangi? >
Sentendomi in colpa, guardai Patrick, e istintivamente confermai tutte le parole che aveva detto poco prima, in camera di Isi.
Lui sorrise, facendo crollare tutte le barriere che avevo creato per tenerlo lontano come fossero il muro di Berlino, riavvicinando famiglie ingiustamente separate per tanti, troppi anni.
< Perché non è sola.>
Tra le lacrime, mi sedetti sul letto, cullando mio fratello che si stava piano piano appisolando. La mia famiglia uscì con Cindy, lasciandomi sola con James, Tayla e Patrick e gli One Direction.
Mi resi conto solo dopo un bel po’ che i miei idoli erano lì, che indossavo la peggior tuta che esista su questa terra, un berretto di lana, da cui uscivano quei pochi capelli, che copriva la mia testa vicino alla calvizia, il viso pallido, secco e del tutto privo di qualsiasi trucco.
Dovevo essere orribile.
< Vi prego… > gracchiai. Mi schiarii la gola. < Accomodatevi. Fate come se foste a casa vostra > dissi, alzandomi con Tommy in collo addormentato.
Volevo metterlo sotto le coperte, ma tenerlo in braccio e contemporaneamente tirare le coperte fu un’impresa, tanto che sentii mio fratello scivolarmi dalle mani. Stavo per cadere e per far cadere il mio fratellino, quando due braccia scure e possenti presero Tommy in braccio, spostarono le coperte e lo adagiarono sul letto.
Guardai Zayn. < Grazie. > e non solo per Tommy, ma per tutte quelle volte che, involontariamente, mi aveva aiutato tramite una canzone, una risata, un sorriso, una semplice risposta alla domanda dell’intervistatore.
Lesse la mia gratitudine nei miei occhi, doveva esserne abituato con tutte le fans che gli vanno  dietro. Tese però la mano.
< Sono Zayn, piacere. >
“Come se non sapessi chi sei”, pensai. Ma me ne stetti tranquilla, e strinsi la sua forte mano. < Alyce, il piacere è tutto mio. >
Mi presentai anche con gli altri, sedendomi poi per terra dove si erano seduti.
A parte tutti gli scricchiolii che si sentii appena mi piegai, il pavimento era davvero freddo, mi ero dimenticata di prendere il tappeto in lavanderia.
Mi venne un brivido, ma lo scacciai.
Tayla se ne accorse in un millesimo di secondo, si alzò e mi cedette la sedia.
< No, Tayla, sto bene qui… >
< Falla finita… > mi rimproverò, chiudendo l’armadio e lanciando una coperta di lana sulla sedia, mettendosi poi ha sedere accanto a James.
Una volta seduta e sprofondata nella coperta, iniziai a osservarli.
Cadde un silenzio talmente serio che, dopo cinque minuti, scoppiammo a ridere come degli ebeti.
< Allora… > iniziai, asciugandomi da rimasugli di lacrime. < Cosa… che ci fate qui? >
Zayn fece per parlare, ma Louis lo interruppe. < No, aspetta, aspetta! Questa la racconto io! >
Ridacchiai, osservando Zayn alzare gli occhi al cielo.
< Quasi un mese fa eravamo ad Orlando, in California… >
Liam si schiarì la voce. < Florida, Louis… >
Louis lo squadrò. < E’ uguale. Eravamo in hotel dopo un estenuante concerto, quando Paul è entrato con una lettera di una directioner. Lettere che riceviamo ogni giorno a migliaia e migliaia, tanto che molte purtroppo non le leggiamo neanche. Ma Paul, quando si annoia, si mette delle volte a sfogliare quelle lettere, e quella sera ne trovò una mooolto interessante… >
Capii all’istante, voltandomi verso la mia amica. < La tua. >
Tayla annui, porgendomi un foglio. < Dopo puoi leggerla, se vuoi… >
Louis continuò. < L’abbiamo letta tutti, Harry ha anche pianto! >
Il riccio sbuffò. < Così fai crollare la mia reputazione da duro, Tomlinson! >
< Tanto non ci ha mai creduto nessuno, Harry > rispose Niall, scoppiando a ridere con la sua magnifica risata contagiosa.
Mi emozionai nel sentire quella risata tanto dolce nella mia stanza. Non riuscivo ancora a crederci.
< Era l’ultimo concerto quello ad Orlando… > disse Louis.
< … dopo saremmo tornati ognuno a casa propria, anche se continuando a lavorare. Così, abbiamo contattato Tayla e ci siamo messi d’accordo per venire a conoscerti > concluse Liam.
Rabbrividii sotto la coperta, sull’orlo di un altro pianto per tutto ciò che aveva fatto Tayla per me. Ecco perché nell’ultimo periodo non c’era mia, ecco perché faceva continui controlli e rispondeva sempre a due cellulari. Ecco perché parlò addirittura con la sicurezza dell’ospedale.
Per portare gli One Direction in camera mia.
Gli One Direction che avevano deciso di sacrificare le proprie vacanze per conoscere una ragazza morente.
Guardai Tayla. < Io… >
Lei m’interuppe subito. < Non dire niente. >
Annuii, spostando poi l’attenzione sugli One Direction. < Io non so che dire… insomma… >
Come facevo a essere delicata nella indelicatezza che stavo per dimostrare?
< È da tre anni che vi seguo, Tayla può raccontarvi di quando mi sono sputtanata tutta la mia ricarica del telefono per farvi vincere X Factor. >
Tayla annuii. < Quaranta sterline in un mese! > sussurrò, scatenando una risata generale.
Continuai. < Ed è da metà anno che sono a conoscenza del fatto che morirò. >
Silenzio di tomba, in cui ogni sorriso svanì.
< All’inizio ciò che desideravo ardentemente era quello di potervi vedere almeno un’unica volta prima di andarmene. Ma adesso mi chiedo… davvero avete sprecato la prima vostra serata libera dopo un anno di tour mondiale solo per vedere una ragazza sconosciuta e, peggio ancora, morente? >
Rimasero tutti perplessi dal mio discorso privo di ogni tipo di gratitudine. C’era parecchia sorpresa sospesa a mezz’aria, ma solo Zayn ne rimase indifferente.
Indicò la lettera di Tayla che avevo tra le mani. < Lì dentro troverai la risposta che stai cercando. Ma intanto noi torneremo da te fino a che il tour nuovo non rinizia. >
< Vi prego, ve lo chiedo con tutto l’amore del mondo > lo interruppi io, già arrivata ad una triste conclusione. < Fatelo se davvero lo desiderate. Non venite da me perché vi faccio pena… >
Si offesero tutti e cinque, all’istante. Niall si tolse la chitarra, Louis scosse la testa come fece Harry, che si scompigliò i capelli risistemandosi il ciuffo. Liam schioccò la lingua.
Ma semprre Zayn, seppur chiaramente scosso da ciò che avevo appena affermato, molto tranquillamente rispose. < Senti, ragazzina, noi siamo qui proprio perché sei circondata da persone che provano pena, persone che conosci e che si comportano di conseguenza per non offenderti. Ma tu, anche se ci segui da trecento anni, non hai la più pallida idea di chi siamo noi. >
Louis annuii fortemente. < E noi non siamo di certo persone che fanno le cose per… PENA >
 
 
 
YEPNOPE
Finalmente il capitolo che spiega molte cose.
Innanzitutto, come Alyce ha conosciuto i suoi/nostri idoli e come, di conseguenza, gli One Direction siano in possesso del diario del suo diario.
Ancora sappiamo poco, ma spero proprio che ancora qualcuno sia interessato al seguito. Ho ancora molte emozioni da buttare giù, emozioni che Alyce ha provato e che, forse, li proveremmo tutte se fossimo nella sua stessa situazione.
Grazie ancora a chi mi continua a seguire.
Kiss at all
Mel

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2396455