De Cronicis Draconis Patriae

di SiriusLoire
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** L'avventura ha inizio ***
Capitolo 3: *** Il mistero della caverna ***
Capitolo 4: *** Il cielo ***
Capitolo 5: *** Il troll della foresta ***
Capitolo 6: *** Passeggeri scomparsi ***
Capitolo 7: *** Oscurità ***
Capitolo 8: *** Foresta vivente ***
Capitolo 9: *** Il tempio nero ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Draconis Patria. Il più grande e longevo impero esistente al mondo. Secondo gli storici, la sua nascita risale alla fine del Grande Cataclisma, avvenuto circa tre millenni orsono.

 

Gli esseri umani vivevano tra loro in armonia, ma il desiderio del potere assoluto portò il Pianeta alla rovina. La loro specie venne dimezzata, e i superstiti si trovarono da soli a dover ricostruire ciò che fecero in duemila anni e che riuscirono a distruggere nel giro di pochi decenni. Almeno, loro pensarono di essere soli.

I terribili danni inflitti al Pianeta crearono delle aperture su tutta la sua superficie, fu così che quelli che gli Umani chiamavano Bestie uscirono allo scoperto. Essi vennero sigillati nei periodi bui, quando l’Umanità incontrò epidemie e temeva di  vedere la fine del suo dominio incontrastato. I millenni passati sotto terra, annientarono il desiderio di vendetta nei confronti degli Umani, per questo le Bestie decisero di aiutarli a ricostruire ciò che avevano perso. Con il passare dei secoli, gli Umani e le Bestie iniziarono a vivere assieme e la loro unione diede origine a quelli che noi conosciamo come Non Umani: esseri dalle fattezze umane, ma dotati di una forza fisica e spirituale dieci volte superiore.

Il Pianeta venne popolato da nuove creature e quasi tutte convivevano con le altre. Una specie Non Umana in particolare non riuscì ad adattarsi a questo stile di vita; per questo motivo, coloro che ne facevano parte, decisero di allontanarsi dai grandi centri abitati e di andare a vivere, in piccoli gruppi, a Nord, a Sud, a Est e ad Ovest. Loro erano i Dra-Hagan: vengono descritti come “gli Umani con il sangue di Drago”. Il loro aspetto è uguale a quello degli Umani, ma a differenza loro, sono portati a vivere per secoli e, secondo le leggende popolari, posso guarire velocemente dalle ferite. Sono esseri che preferiscono la tranquillità alla vita movimentata e possiedono un orgoglio che li rende ancora più particolari rispetto alle altre specie, un orgoglio simile a quello dei Venusiani.

 

Ma tutto è destinato a cambiare.

 

Quindici anni fa, il villaggio dei Dra-Hagan del Nord, conosciuto con il nome di Tatsumura, venne distrutto da un terribile incendio. Molti Dra-Hagan perirono. Questo avvenimento diede una svolta alla vita monotona della popolazione di Draconis Patria, sebbene il cambiamento non fu repentino.

 

L’impero, sorretto dalla dinastia dei Bishop, rischia di assistere, impotente, alla sua prematura fine.

Ma l’essere divino Shinryu, colui che protegge la patria dei draghi, ha scelto il suo eletto: un giovane ragazzo sopravvissuto all’incendio di Tatsumura, che assieme a suo fratello ha vissuto con gli Umani da quando perse la sua casa e i suoi genitori. Lui ancora non immagina che la sua vita cambierà radicalmente.

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Capitolo 2
*** L'avventura ha inizio ***


Il piccolo villaggio di Drakken sorgeva ai piedi delle grandi montagne innevate del settentrione. Era un posto isolato: a nord si estendevano le grandi catene montuose del Drago Nascente, oltre la quale si trovava il villaggio di Tatsumura, e della Regina Severa; mentre a sud, a est e a ovest il vasto oceano burrascoso gli impediva di avere collegamenti regolari con il resto dell’impero. Gli abitanti erano abituati alle sue temperature rigide, e le Green Caves erano una meta turistica molto popolare, dato che erano l’unico luogo del nord in cui l’erba cresceva rigogliosa nonostante il freddo. Le grandi foreste fornivano agli abitanti la selvaggina e le grandi vallate venivano trasformate in grandi campi per l’agricoltura. Accanto ai confini del villaggio, si trovava l’aerostazione: grazie allo Zeppelin, una versione più veloce e resistente delle comuni aeronavi, che viaggiava una volta a settimana, chi abitava lì poteva recarsi a Karn e, da lì, spostarsi in vari posti.

Quella mattina il sole sorse più tardi del solito. Un uomo stava seduto sul gradino della porta di una casa, molto probabilmente aspettava qualcuno. Indossava un grosso mantello di lana verde scuro, che lo copriva dalla testa alle ginocchia, dal quale si potevano intravedere gli abiti: una tuta verde felce a maniche lunghe, aderente al torace e morbida dalla cintola in giù, un haori rosso carminio, legato in vita da una grossa cinta in pelle. I piedi erano riparati dal freddo da stivali neri, all’apparenza molto pesanti. Sul fianco sinistro portava appeso il daishō, visibilmente vecchio ma ancora in grado di fare la sua bella figura in battaglia. Dal cappuccio si intravedeva il mento squadrato e le labbra sottili e screpolate a causa del freddo. Ogni tanto scrutava il grande campanile, che si ergeva maestosamente al centro della piazza centrale. Stanco di aspettare, sbuffò, si scrollò il freddo di dosso ed entrò dentro casa. Sua moglie era lì, seduta di fronte la caminetto. Era una donna molto giovane, dai lineamenti dolci ed eleganti. Il viso tondo e pallido era corniciato dai ciuffi di capelli blu notte, la maggior parte legati in un perfetto chinion tenuto fermo da una treccia. I piccoli occhi azzurri, disegnati dalle lunghe e folte ciglia nere, fissavano le lettere stampate sulle pagine ingiallite del libro che stava leggendo. Indossava un morbido vestito blu, con le maniche a sbuffo e la lunga gonna che le arrivava alla punta dei piedi, ed un grembiule color crema. La piccola bocca carnosa era contorta in una smorfia di piacere: la lettura che stava affrontando la stava intrattenendo come lei si aspettava. L’uomo chiuse lentamente la porta e il lento cigolio dei cardini fece distogliere l’attenzione della donna dal codice.

- Come mai sei rientrato? – gli chiese avvicinandosi e facendo cenno di darle il mantello. Lui agitò la mano destra, quasi come se stesse dicendo che non doveva fermarsi a lungo.

- Haku è ancora a letto, vero? – chiese lui, dirigendosi verso il corridoio che porta alle camere.

- Già… - rispose lei, sbuffando. – Ma devi capirlo: ieri era così sfinito tanto da non riuscire a mangiare. –

L’uomo si bloccò.

- Il solito tonto… Si è appena ripreso dall’influenza, non può pretendere di rimettersi in forze e di allenarsi duramente ogni volta che ne ha l’occasione! Inoltre è inaccettabile il fatto che rimanga tutto quel tempo fuori casa. –

- Forse dovresti parlargli, o per lo meno ordinargli di non farlo… -

- Anna, non siamo i suoi genitori, e non siamo neppure i suoi tutori! So che anche per te è un figlio, ma è maggiorenne, certe cose deve capirle da solo. Uff… va bene, cercherò di dissuaderlo dallo sfinirsi durante gli allenamenti… - e si avviò verso la seconda porta sulla sinistra del corridoio. Bussò tre volte e attese. Nessuno rispose. Nel frattempo, per il tepore presente nell’ambiente, tolse il cappuccio, lasciando all’aria la chioma biondo scura, pettinata all’indietro con qualche ciuffo ondulato dietro le orecchie, e gli occhi verdi, sormontati da fini sopracciglia, infossati e segnati dalle profonde occhiaie grigie. L’occhio destro era chiuso a causa di una ferita subita quando era giovane che gli lasciò una profonda cicatrice che partiva dal sopracciglio e arrivava all’inizio dello zigomo.

- Haku, sono Toshizo. Sei qui? – chiese, dopo essersi schiarito la voce. Ancora nessuna risposta. Sospirò e con forza abbassò la maniglia della porta, aprendola, ed entrò nella stanza. Le tende impedivano alla luce di entrare nella piccola stanza. Sul letto, posto con la testiera contro il muro di fronte e addossato alla parete sinistra, vi era un mucchio di coperte bianche, che si alzavano e si abbassavano lentamente. Da esse sbucava una massa di capelli castani, spettinati, adagiati sul guanciale. Accanto al letto c’era un comodino in legno di noce, sul quale c’era una candela spenta. Opposto al letto, sulla parete destra, c’era l’armadio a due ante, fatto con lo stesso materiale del comodino. Sotto la finestra c’era una specie di tavolino, usato come scrivania, coperto da rotoli di pergamena e scartoffie varie. L’uomo entrò senza fare rumore e fece entrare luce nella camera, scostando le tende. La persona che dormiva nel letto non si accorse di nulla e continuava a dormire beatamente. Toshizo si avvicinò al letto. Oltre ai capelli, da ciò che sbucava dalle coperte, si poteva notare parte del volto: la fronte liscia e non tanto spaziosa, gli occhi chiusi, dotati di ciglia molto folte e scure e il naso stretto e dritto. La bocca e il mento erano coperti dal lenzuolo candido.

- Ehi, svegliati! – disse, poggiando la mano sull’ammasso di tessuto e scuotendolo delicatamente. Il ragazzo dormiva ancora profondamente. Toshizo si allontanò di qualche passo. – Dannazione, sempre la solita storia! Beh, dato che sta dormendo come un bambino non si arrabbierà se prendo qualche spicciolo dal suo salvadanaio! –

- Toshizo, smettila di fare scherzi idioti. – disse la donna, sentendo l’ultima frase dal salone.

- Ma io non ho fatto nulla… Almeno per ora!-

Tirò fuori dalla tasca del mantello un sacchetto in pelle scamosciata e lo agitò, facendo tintinnare il contenuto. Il ragazzo fece un mugolio e aprì lentamente gli occhi: anche se socchiusi, davano l’idea della loro grandezza e le iridi cremisi erano acquose dal sonno. I capelli, sebbene fossero spettinati, erano lisci, corti dietro e davanti lunghi poco sotto la linea del mento; la folta frangia si divideva in due parti, lasciando la maggior parte dei capelli a destra, sfiorando con le punte le ciglia, e qualche ciuffo a sinistra.  Sì alzò, tenendosi su con le braccia, puntate contro cuscino e poggiandosi sulla gamba sinistra, piegata all’interno ad angolo retto. Il lenzuolo, scivolando via, rivelò il suo aspetto: la carnagione si poteva considerare bianca come il latte, il viso dai lineamenti delicati e le labbra fini, fisico sviluppato il tanto giusto da conferire tonicità ai muscoli. Indossava una larghissima canotta bianca e dei pantaloni lunghi azzurri. Si sedette sul bordo del materasso, poggiando i piedi sul tappetino rosso scuro. Si stropicciò gli occhi e sbadigliò.

- Chi ha toccato la mia scatola dei soldi? – mugugnò, concedendosi un ennesimo sbadiglio.

Toshizo sorrise e ripose il sacchetto nella tasca.

- Lo sapevo che il rumore delle monete che tintinnano ti avrebbe svegliato. – disse, poggiando la mano sulla scrivania.

- M-maestro?! – chiese il ragazzo, aprendo gli occhi: erano grandi e le pupille erano affusolate, sembravano quasi quelle di un gatto. – Cosa ci fa lei qui? –

- E hai la faccia tosta di chiedermelo?! – sbottò l’uomo, dandogli un buffetto sulla testa. – Sono le sette! –

- E… allora? –

Toshizo sbuffò e si massaggiò la tempia destra.

- Haku, sei proprio incorreggibile… - disse con tono rassegnato – Più di un’ora fa dovevi presentarti al campo a sud di Drakken per l’allenamento! Non dirmi che… -

Haku balzò in piedi.

- Porca paletta, me ne sono dimenticato! – esclamò levandosi la canottiera e lanciandosi verso l’armadio, alla ricerca dei suoi vestiti.

- Come al solito… - bisbigliò l’uomo, agitando lievemente la testa.

- Avete detto qualcosa? – Haku cercava di infilarsi una maglia rossa smanicata, ma gli occhi ancora impastati dal sonno gli impedivano di capire quale fosse il buco dove infilare la testa e quello dove infilare le braccia.

- Niente di rilevante. Forza, vestiti e prendi la spada: io inizio ad andare lì. Vedi di non fare tardi, o per pranzo ti farò lavare i piatti del vicinato! –

Toshizo uscì dalla stanza, richiudendo la porta. Haku continuò a vestirsi in fretta e furia, cercando di non indossare i capi al contrario. Prese una giacca senza maniche bianca, con dettagli nelle maniche e nella cerniera blu e un mantello rosso; indossò i lunghi polsini neri in lino, lasciando quello al braccio sinistro ammucchiato sull’avambraccio e quello destro lo indossò fino a coprirgli il bicipite. Afferrò dei guanti senza dita neri come la pece e prese da sotto le scartoffie un borsello bordeaux con un lungo legaccio e delle bende rovinate. Si fasciò la coscia destra, sopra i pantaloni, e sulle bende si legò il borsello, in modo da non muoversi mentre camminava. Si guardò intorno e si lanciò sotto la scrivania, tirando fuori degli stivali cognac logori. Dentro ad uno di essi vi era un elastico in spugna nero, probabilmente ficcato lì a causa della fretta di andare a letto. Lo prese e lo indossò al braccio sinistro, poco sotto il muscolo della spalla. Si infilò lo stivale destro, e, mentre infilava il sinistro, iniziò a saltellare fino alla porta, raggiungendo la sala dove si trovava Anna. Lei lo guardò sorridente.

- Buon giorno! Vedo che ti sei svegliato. – disse, avvicinandosi al tavolo e togliendo il coperchio dal contenitore del pane, che al suo interno conteneva un bauletto affettato e caldo.

- Buon giorno. – mugugnò Haku, prendendo tre fette e ficcandosele in bocca.

- Non mangiare così in fretta: ti verrà il singhiozzo. – lo ammonì lei, poggiando sul tavolo un vasetto di marmellata di ciliege. Lui prese una quarta fetta e, aperto il barattolo, vi spalmò un po’ di confettura sopra.

- Sono di fretta, non posso rimanere ancora qui a lungo. – disse addentando il pane e prendendo il fodero con la spada adagiato sullo stipite della porta. Aprì il borsello legato alla coscia e vi infilò l’arma, che svanì come se fosse stata inghiottita.

- Dovresti cambiare la tua Infinity, tra poco il laccio per portarla a presso si spezza. –

Haku mugugnò e, staccato un pezzo di pane, deglutì rumorosamente. – Non fa nulla, se il legaccio si spezza lo farò sostituire. A proposito, Hiro dov’è? –

Anna alzò le spalle. –Non lo so… Forse è già andato ad allenarsi. Ha detto che al rientro di Clor vuole essere in grado di eseguire incantesimi molto difficili. –

- Beh, almeno lui non dorme come un ghiro come faccio io. –

- Dovresti prendere esempio da lui, sai? –

- Eh? Boh, forse ha ragione… Adesso vado, altrimenti il maestro mi fa a fettine! –

- Non preoccuparti, se prova a farti a fettine, ci penserò io a metterlo al suo posto! –

Haku sorrise, aprì la porta e uscì. Lui non sentiva il freddo pungente della mattina, dato che era un Non Umano, di preciso un Dra-Hagan: era stato trovato quindici anni prima da Anna e Toshizo al confine tra Drakken e quello che doveva essere Tatsumura, assieme a suo fratello Hiroki. La coppia gli raccontò che li trovarono in mezzo alla neve, tramortiti dal freddo, e assieme a loro c’era un ragazzo, coperto di sangue e di ferite, che con le ultime forze rimaste ordinò ai due di prendere i piccoli e di portarli al sicuro. Lui non ricorda molto di quella notte: quando ci prova, nella sua mente appaiono solo scene di distruzione, ricorda il rumore del fuoco che impavido distruggeva le case, il fumo che riempiva i polmoni e impediva di respirare  e ricordava il colore che assunse la neve a causa del sangue sparso. Probabilmente c’era anche qualche corpo carbonizzato, ma non riesce a ricordarlo: aveva solo sette anni quando accadde tutto ciò. Si scrollò di dosso il torpore del sonno e iniziò a correre in direzione del luogo dove era stato fissato l’incontro con il suo maestro. Conosceva tutte le scorciatoie di Drakken, ma la sua preferita era quella che passava di fronte al Santuario di Shinryu: non sapeva il perché, ma la vista della grande costruzione slanciata dalle guglie e dagli archi a sesto acuto che decoravano la facciata gli davano un senso di tranquillità, molto probabilmente c’era una costruzione simile al suo villaggio natio. Anche quella mattina ci passò davanti e si presentava sempre allo stesso modo: il marmo bianco si confondeva quasi con la neve e la grande vetrata colorata riceveva i raggi del sole, accogliendoli al suo interno. Haku proseguì in direzione del campo. Ci vollero un paio di minuti prima che giungesse alla stradina che collegava il villaggio al verde delle Green Caves. Si bloccò di fronte alla statua del Dragone che proteggeva, secondo i sacerdoti, gli abitanti e coloro che sostavano nel centro abitato.

- Shinryu… Dammi la forza. – mormorò, avvicinandosi alla statua e sfiorando l’ala della scultura. Dopodiché fece un profondo respiro e si inoltrò nel grande bosco.

 

 

 

 

Dopo all’incirca una quindicina di minuti, Haku giunse al punto in cui si era dato appuntamento con il suo maestro. Toshizo lo aspettava lì, seduto su un tronco cavo, accovacciato e coperto dal mantello per proteggersi dal freddo. L’erba coperta di rugiada era di un verde vivace che spiccava tra i colori cupi degli alberi della foresta e tra i ciuffi poco più alti degli altri spuntavano gracili fiori di varie sfumature. Nell’aria riecheggiava il canto degli uccelli e il frusciare delle foglie mosse dalla leggera brezza. Il maestro alzò lo sguardo e si mise in piedi.

- Hai fatto in fretta, eh? Hai ancora tutti i capelli scompigliati! – disse, accennando un flebile sorriso.

- Cosa?! Non mi dica che ho attraversato il villaggio in disordine! – esclamò Haku, sistemandosi i capelli con le mani.

- E dai, non è mica la fine del mondo. Forza, tira fuori la spada: oggi finiremo in qualche minuto. Sei ancora convalescente, non mi va di farti faticare in maniera eccessiva. –

Haku aprì il borsello e tirò fuori la spada e la sfoderò dal fodero: la lama argentea culminava con una punta bianca e della stessa sfumatura era il filo. L’elsa era in bronzo ed era coperta da una striscia di seta viola che fasciava l’impugnatura. Al pomolo vi erano attaccati due cordoncini rossi che terminavano con due nappine. La coccia che univa la lama alla guardia era in oro e aveva una piccola placca in vetro colorato dello stesso colore dell’impugnatura. Non presentava scanalature, era liscia e aveva l’aspetto di essere molto tagliente.

- Cosa devo fare? – chiese, impugnandola saldamente con la mano destra.

Toshizo afferrò la katana e la estrasse: era lunga circa un’ottantina di centimetri e l’impugnatura era di colore scuro, misto tra il blu notte e il nero.

- Devi affrontarmi. – rispose, girando la spada in modo che il orso piatto della lama fosse rivolto verso il ragazzo. – Se non te la senti, puoi usare il dorso della spada per attaccarmi, l’importante è che tu mi dimostri che sei migliorato. –

Haku annuì e volse il filo verso di sé. La mano destra era tremolante: non aveva mai disputato un duello contro un avversario armato e ciò lo metteva a disagio.

- Non fa niente se non riesci a dare il meglio di te, Haku. Voglio solo vedere come te la cavi e se sei pronto per avanzare al livello successivo. – disse Toshizo, cercando di rassicurarlo ma ottenendo l’effetto contrario. La mano di Haku tremava più forte di prima , così tanto che il ragazzo dovette impugnare la spada anche con la sinistra.

- Sei pronto? –

Il giovane esitò un momento, deglutì e annuì. Prima che se ne accorgesse, il suo maestro era lì, di fronte a lui, pronto a sferrargli un fendente. Bloccò il colpo per miracolo e, respinto l’avversario, indietreggiò. Toshizo ripartì all’attacco, ma stavolta la parata non fu abbastanza: cadde all’indietro. Si rialzò, ma prima che potesse mettersi in piedi, l’uomo era pronto a sferrargli un altro attacco. Si accovaccio e rotolò a destra, evitando il colpo. La katana andò ad infilarsi nella terra umida.

- Bella mossa! – esclamò, sfilando con fatica l’arma. Cercò di compiere un altro attacco, dirigendosi verso Haku velocemente. Il ragazzo pose tra se e il suo avversario la spada, rivolgendo il dorso verso i suoi occhi e sostenendo la punta con la mano sinistra. Il colpo venne parato con successo e così i successivi. Ma la situazione si faceva sempre più dura: più attacchi parava, più velocemente ne riceveva. Resistette fino al decimo, poi indietreggiò. Aspettava l’occasione per attaccare, e questa gli si presentò quasi subito: nello sferrare l’attacco, il suo maestro lasciò esposta una delle cosiddette “parti vitali”. Haku scattò in avanti e colpì il fianco sinistro dell’uomo con tutta la forza che possedeva. Toshizo rimase con il braccio alzato, impugnando saldamente la spada, sorrise e la ripose nel fodero.

- Molto bravo! Sei riuscito a captare il momento giusto per attaccarmi. – disse, contento. La sua allegria svanì quando vide che Haku era sconcertato.

- Non vi siete impegnato. Avete trattenuto la vostra forza. – disse con sguardo basso.

- Beccato… - ribatté massaggiandosi la nuca con la mano sinistra. – Senti, non è perché sei debole, ma perché il maestro spiega i suoi segreti agli allievi quando ormai non ha più nulla da insegnare. Siamo ancora agli inizi degli allenamenti… -

- Ho passato più di sei anni ad allenarmi! – esclamò Haku. – Pensavo che l’addestramento fosse quasi finito! Quanto ho ancora da imparare?! –

- È questo il problema: non significa che se passi molto tempo ad apprendere una qualsiasi disciplina, dopo sarai in grado di sfruttarla al meglio! Il tuo metodo di apprendere comporta che tu impari tutti i particolari dell’arte della spada un poco per volta. Ed è giusto così! –

- Ma lei ha detto che l’ha appresa nel giro di un paio di mesi! –

- E ho dovuto passare un sacco di anni alla ricerca della perfezione… Alla fine di questo addestramento, sarai in grado di diventare subito un maestro di spada, senza dover cercare di raggiungere l’apice della perfezione. –

Haku alzò lo sguardò e fissò il suo maestro negli occhi: riconobbe che gli stava dicendo la verità.

- Ma… è strano… Continuo a pensare che con tutto il tempo che ho passato impugnando una spada dovrei essere già in grado di avere uno stile tutto mio… -

Toshizo gli mise una mano sulla testa e gli scompigliò i capelli.

- Non preoccuparti. Tutto a suo tempo. Forza, rimetti la spada nel fodero e torniamo al villaggio. –

Il ragazzo annuì e, riposta la spada, seguì il maestro attraverso gli alberi che indicavano il sentiero. Camminarono per qualche ora. Raggiunsero uno spiazzo coperto da erba secca. Haku aveva uno sguardo rassegnato: aveva già capito cosa stava accadendo.

- Maestro… - disse, asciugandosi il sudore dalla fronte con il polsino del guanto. – Non mi dica che ci siamo persi… -

Toshizo si voltò verso di lui, rimase per qualche secondo immobile e fece una smorfia per camuffare l’imbarazzo.

- Non ci posso credere! – esclamò Haku, sedendosi su una roccia e mettendosi le mani tra i capelli – E io che l’ho pure seguita! –

- Senti, se sapevi fin dall’inizio che sbagliavamo strada quanto ti costava avvisarmi? –

- Ma il bosco è tutto uguale! E poi neanche io sono una cima nell’orientamento! –

Toshizo sbuffò e si sedette per terra. I due rimasero in silenzio per alcuni minuti. Il giovane si alzò e si guardò intorno.

- Beh, se facciamo la strada inversa possiamo raggiungere il villaggio, no? – e si voltò verso il maestro, stranamente silenzioso. Si avvicinò lentamente e, a qualche passo da lui, notò che dormiva profondamente.

- Ma come diavolo fa ad addormentarsi in una situazione simile?! – esclamò. – Io provo a cercare una via d’uscita da questo labirinto… Però… - frugò nel borsello ed estrasse un pugnale – posso usare questo per fare dei solchi nelle cortecce degli alberi, in modo da ritrovare la strada che mi riporta qui… -

Si voltò e guardò il maestro. Tirò fuori una grossa coperta in lana cotta e con essa lo coprì.

“Spero che non si arrabbi quando non mi troverà più qui…” pensò inoltrandosi nello stretto sentiero tracciato dagli alberi.

 

Aveva camminato per circa un’ora. Ogni tre alberi faceva un segno circolare in modo da poter trovare nuovamente la via per tornare. Tra i vari rumori del bosco si riusciva a percepire lo scrosciare dell’acqua, probabilmente lì vicino c’era un ruscello o una piccola cascata. Proseguì per un centinaio di metri, fin quando non si bloccò. Di fronte a lui si ergeva una grande parete rocciosa, coperta di muschio e umida. Si avvicinò ad essa con cautela e poggiò delicatamente la mano.

 - E questa da dove esce fuori? – si chiese, spostandosi lateralmente e tastando la roccia. All’improvviso poggiò la mano su uno spuntone che si abbassò. Un blocco di pietra, grande quanto una porta, si spostò all’indietro e si spostò lateralmente. Haku fece un passo indietro, stupito: l’apertura conduceva ad una grotta buia, mai segnata nelle mappe. Provò a scrutare il suo interno, ma la luce che vi entrava era insufficiente per vedere. Afferrò un ramo trovato lì per caso e puntò la mano destra contro la punta. Essa iniziò a bruciare a causa della piccola fiammella che si era generata per magia. Haku si guardò intorno e si addentrò nella grotta. Dopo qualche passo, il passaggio si chiuse e una fila di torce incastrate nelle pareti rocciose si accesero, indicando la via per proseguire. Rimase sorpreso, toccò la punta del bastone e la fiamma svanì, lasciando il legno intatto. L’odore dell’umidità riempiva l’aria e si sentiva il rumore delle gocce che cadevano, forse da qualche parte vi era un’infiltrazione. All’improvviso, si udirono grida molto acute. Haku sentì il cuore battergli in gola per lo spavento e corse fino alla fine del tunnel.

- AIUTO! QUALCUNO MI AIUTI! – disse la persona. Dalla voce sembrava un bambino. Il ragazzo si accostò alla parete vicino all’apertura  sfoderò la spada e attese. Si udì una risata sguaiata e acuta in grado di far accapponare la pelle a chiunque.

- Non ci sarà nessuno a salvarti moccioso! – disse l’essere, probabilmente una Bestia.

- LASCIAMI ANDARE! VOGLIO TORNARE A CASA!!! –

- Scordatelo! Erano secoli che non mangiavo carne umana… e si dice che… QUELLA DEI CUCCIOLI SIA LA PIÙ GUSTOSA!!! –

Haku sbucò alle spalle dell’essere e lo colpì. La Bestia guaì, mentre il sangue vermiglio colava dalla ferita alla schiena. Ripiegò le piccole ali viscide e rizzò la coda. Si voltò verso Haku e ringhiò. Era una specie di diavoletto alla pelle grigiastra. La testa, enorme rispetto al corpo, culminava con due corna appuntite. Fissava il suo avversario con i grandi occhi neri e ringhiava mostrando i denti aguzzi, dai quali colava saliva giallastra.

- Brutto bastardo! – esclamò in preda al dolore. Il bambino, coperto d un mantello in lana marrone, si alzò e si nascose dietro le gambe di Haku. Il cappuccio gli scivolò, mostrando la grande massa di capelli corti, neri e mossi, quasi spettinati. Il viso, di carnagione nera, era paffuto e  i suoi grandi occhi verdi fissavano il mostro che qualche secondo prima voleva sbranarlo. La bestia si lanciò verso Haku, ma lui, prontamente, allungò la mano sinistra in avanti e l’avversario venne colpito da un’enorme fiammata. L’essere cadde a terra, gravemente ferito.

- Maledetto… - ringhiò, rialzandosi con molta fatica. – Vorrà dire che assaggerò prima la tua carne, poi quella del cucciolo! –

Si avventò su Haku, facendolo cadere a terra. Il ragazzo, stringendo i denti, cercò di bloccare le fauci velenose del mostro. La Bestia affondò uno degli artigli sul suo braccio sinistro del ragazzo, facendolo mugugnare dal dolore. Una goccia della saliva giallastra andò proprio sulla ferita, e appena entrò in contatto con la pelle iniziò a bruciare. Haku diede una testata all’essere, cercando di toglierselo di dosso, ma esso rimaneva attaccato a lui come una calamita. Il bambino afferrò un grande masso e lo fece cadere sulla testa della bestia, che perse i sensi. Haku la scaraventò in aria e, con la spada, le tagliò il corpo a metà. Appena le due parti caddero a terra, un fuoco nero le avvolse e, bruciandole, le ridusse in cenere. Haku si mise in ginocchio e si toccò il braccio sinistro. Il bambino gli si avvicinò.

- Haku! Stai bene?! –

Il ragazzo annuì e, tolta la mano destra, gli mostrò che la ferita non c’era più.

- Questo è il vantaggio di essere un Dra-Hagan. – affermò, alzandosi in piedi. –Comunque, Selim, cosa ci fai tu qui? Non dovresti essere a casa, o al massimo a giocare con Tatsuki e gli altri bambini? –

- Infatti stavo giocando con loro! Poi mi sono allontanato un attimo e quel coso mi ha catturato e mi ha portato qui! Gli altri non si sono accorti di niente! –

- L’importante è che tu non sia rimasto ferito. – sentenziò, aprendo il borsello e tirando fuori una specie di pepita di ematite. La porse a Selim. – Prendi questa e aspettami lì, dove c’è l’ingresso alla grotta: è un incantesimo che impedisce ai mostri e ai malintenzionati di vederti e percepire la tua presenza. Torno subito, voglio solo controllare cosa c’è più avanti. -

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Capitolo 3
*** Il mistero della caverna ***


~~Haku si assicurò che Selim avesse raggiunto il punto da lui indicato e cercò di proseguire il suo percorso nella grotta. L’umidità aveva fatto crescere muschi lungo le pareti, rendendo l’ambiente simile a quello delle Green Caves, e da esse sgorgavano piccoli rivoli d’acqua. Stava già camminando da diverse ore, ma i meandri sembravano tutti uguali e la luce delle torce diminuiva pian piano che si addentrava nelle profondità. Si sedette su un masso e prese fiato, detergendosi il sudore che gli colava dalla fronte con il polsino del guanto. Pensò a lungo: doveva continuare a controllare quella grotta oppure era meglio tornare indietro e cercare la via di ritorno per il villaggio? Si scollò la fatica di dosso e, rialzatosi, proseguì. Continuò a camminare per ore e ore, fin quando si accorse che raggiunse un luogo che non aveva ancora visitato. Riuscì ad evitare una fossa sul terreno all’ultimo secondo. Perplesso, si chinò e cercò di scrutare cos’era. Un grosso chiodo arrugginito teneva ferma una grossa corda sfilacciata, ed essa scendeva lungo la parete fangosa della fossa,  probabilmente creata da mano umana.
- Una corda?! E che cosa ci fa qui? – mormorò mentre la strattonava energicamente,  provando a capire se l’oggetto era in grado di reggere il suo peso. Sebbene fosse vecchia e con qualche traccia di muffa, sembrava parecchio resistente, il chiodo che la reggeva sembrava non voler cedere per nessuna ragione al mondo. Deglutì e cercò di calarsi all’interno della fossa, tenendosi stretto alla corda. Poggiò i piedi sulla parete, ma la melma lo fece leggermente slittare, facendogli perdere per poco la stabilità. Il ragazzo si calò lentamente, facendo scivolare i piedi e tenendosi ben saldo alla corda. Il tunnel verticale sembrava non finire mai, tanto che il ragazzo pensò di calarsi più rapidamente. Dopo qualche minuto, facendo scivolare il piede sulla parete, sentì una superficie piana sotto di lui.
- Finalmente! – pensò, poggiando entrambi i piedi a terra e lasciando la corda. Si voltò dalla parte opposta e per un attimo perse l’equilibrio: non era giunto alla fine della gola, ma solo ad uno spiazzo presente lungo la sua altezza.
- Accidenti! – esclamò, afferrando saldamente la corda. – Per poco non mi sfracellavo al suolo! –
La corda si ruppe improvvisamente. Haku cadde in avanti, ma riuscì ad afferrare uno spuntone poco al di sotto. La roccia bagnata gli impediva di avere una presa solida e gli faceva pian piano scivolare le dita. Cercò di sollevarsi in modo da raggiungere un punto d’appoggio solido, ma non ve n’era traccia. Dopo qualche minuto, le dita scivolarono dalla roccia e Haku cadde all’indietro. Mentre precipitava nel vuoto, cercò di allungare le braccia e cercare con le dita qualcosa che potesse bloccare anche se solo per qualche istante la sua caduta libera. Incrociò le braccia sul petto e le aprì di scatto.
- LEVITAS!!! – Dalle mani si crearono delle nubi bianche, simili a batuffoli di cotone, che si spostarono sotto la sua schiena e pian piano avvolsero tutto il corpo, creando una specie di scudo. Quando arrivò alla fine del tunnel verticale, l’ammasso di nubi si adagiò dolcemente a terra e iniziò a svanire pian piano che Haku veniva a contatto con la superficie umida. Rimase sdraiato a terra per qualche secondo, socchiuse gli occhi e sospirò.
- Me la sono vista proprio brutta! – esclamò, alzandosi e barcollando. Era giunto in un luogo molto buio e, probabilmente, lontano dall’ingresso della grotta. Si voltò un paio di volte, in modo da vedere attorno a sé, fin quando non notò un flebile fascio di luce e udì un vociare fitto. A tentoni cercò di raggiungere l’apertura e sbatté contro alcune stalattiti, che indicavano la presenza di un corridoio. Soffocò le urla, emettendo mugolii ogni volta che sbatteva contro le rocce. Giunto in prossimità della luce si accostò a quella che in origine era una porta, ma risultava essere un blocco in ferro arrugginito e poco stabile, con i cardini che sembravano cedere da un momento all’altro. Cercò di scrutar dalla sottile fessura che si era creata tra la vecchia porta e il muro in pietra. Vide due uomini chinati a terra e di fronte a loro una Bestia. I due erano coperti da grossi mantelli di colore scuro e stavano cercando oggetti di valore presenti in alcune scatole in legno, mettendo ciò che trovavano all’interno di sacchi. La Bestia sembrava un troll: se ne stava seduto di fronte ai due uomini e li fissava. La testa tozza era coperta da capelli neri e gli occhi scuri e acquosi scrutavano l‘ambiente circostante, cercando di captare ogni singolo movimento sospetto. Il corpo grasso e flaccido sembrava far esplodere i vestiti che, in parte, lo coprivano. La grande pancia si gonfiava e sgonfiava ad ogni respiro. Appoggiata alla spalla destra c’era una grande ascia arrugginita, con strane decorazioni simili a perlinature. Haku continuò ad assistere alla scena e cercò di capire cosa si dicessero i due uomini. Sembravano contenti del bottino raccattato e si congratulavano l’un l’altro, ridendo sguaiatamente. Il ragazzo rimase qualche minuto ad osservare la scena, tenendo la mano destra sul pomolo della spada, e cercò di avvicinarsi di più. Il troll alzò di scatto la testa ed emise un verso simile al grugnito. Haku si appoggiò alla parete, cercando di nascondersi il più possibile e deglutì.
- Ma che cavolo c’ha adesso?! – disse uno dei due uomini, mentre cercava di estrarre una pietra da un ceppo di legno.
- Cosa vuoi che ne sappia? – ribatté il compagno, spolverando con la mano un monile d’oro – È solo un troll, magari ha fame! Lasciamolo in pace. –
Il troll continuò a fissare la porta con aria furiosa.
<< Merda, per poco non mi scoprivano! >> pensò Haku, indietreggiando. <>
All’improvviso andò a sbattere contro qualcosa. Si irrigidì e si voltò di scatto, cercando di afferrare l’elsa della spada. Prima che riuscisse ad avvicinare la mano ad essa, venne colpito allo stomaco da un pugno, probabilmente sferrato con una manopola in ferro. Cadde a terra e si accasciò al suolo: per un attimo pensò che le viscere gli si fossero spappolate, ma l’assenza di sangue lo tranquillizzò. Nonostante ciò, non riuscì ad rialzarsi: sembrava che il suo corpo fosse paralizzato dal dolore e sentiva che tra qualche attimo avrebbe perso i sensi. La vista iniziò ad annebbiarsi e i suoni sembravano confondersi gli uni con gli altri.
- Poverino! Non pensi di aver esagerato?! – esclamò qualcuno, probabilmente una donna.
- Bah, forse sì! Almeno siamo sicuri che non si rialzerà facilmente! – ribatté un’altra voce, appartenente ad un uomo.
- Keller, Ivanov, tenete a bada questo ragazzo, nel caso dovesse riprendere i sensi. – La terza persona che parlò, passò affianco ad Haku: le uniche cose che il ragazzo vide furono un mantello in lino verde scuro e una lunga chioma argentata, raccolta al di sotto della zona lombare da un fermacapelli tubolare decorato con motivi che ricordavano delle onde.
- Come vuole lei, generale! – esclamò l’uomo, con una nota di sarcasmo.
- Smettila! – bisbigliò la donna.
Haku perdeva lentamente i sensi. Provò a guardare in alto per vedere chi fossero quelle persone. Di fronte a lui c’erano un ragazzo e una ragazza ed entrambi indossavano un’armatura e un lungo mantello rosso. Il ragazzo aveva i capelli corti color rame, mentre quelli della ragazza erano biondi e lunghi, raccolti in una coda. Il ragazzo si chinò verso Haku e lo afferrò per i capelli.
- Ehi, mezza sega! – esclamò, sollevandolo da terra. – Che accidenti ci fai qui, eh?! –
- Lascialo stare! – La ragazza si avvicinò e cercò di convincere il collega a mollare la presa. – Non sappiamo se è dalla loro parte o se si è solo trovato nel posto sbagliato nel momento sbagliato! –
Haku si sentì mancare e chiuse gli occhi. Il ragazzo lo lasciò andare e cadde a terra, come un peso morto.
- E che palle! Prima mi mandano con l’hippie e adesso non posso fare quello che voglio? –
- Che scemo! Pensi di fare colpo su di me? –
- COSA?! –
Dalla stanza si sentì un forte tonfo.
- C’è qualcuno! Ecco perché il troll faceva tutta l’ora quei versi! – esclamò uno dei due uomini incappucciati.
- Ma è un uomo o una donna?! – esclamò l’altro – E come accidenti ha fatto a sfondare la porta?! Credevo l’avessimo bloccata!!! –
Tutto si fece buio all’improvviso e il silenzio offuscò le urla e i rumori.

 


Quando Haku riprese i sensi, si trovava sdraiato sul suo letto. Qualcuno gli aveva tolto il mantello e la giacca, lasciandogli i pantaloni e la maglietta. Aprì lentamente gli occhi e si voltò alla sua destra: Toshizo e Anna lo guardavano sollevati, quasi come se avessero temuto che gli stesse per accadere qualcosa di grave.
- Ma è mai possibile che trovi sempre il modo di metterti nei guai, eh? – gli chiese Toshizo, dandogli un buffetto sulla testa.
- Ahia, che cavolo! – ribatté, massaggiandosi la parte colpita. – Non è colpa mia! Una specie di armadio con l’armatura mi ha stordito! –
-Chi sarebbe la specie di armadio, eh?! –
Il ragazzo si voltò verso la porta. Vi erano due uomini appoggiati sulla parete. Uno di loro era quello con i capelli rame: alla luce si notarono gli occhi verdi, cerchiati da poche ciglia, e le lentiggini che gli coprivano gli zigomi. Il viso era squadrato e magro. Guardava Haku con un’aria di sfida. L’altro era il tipo con i capelli argentati. La parte sinistra del volto era coperta da un folto ciuffo argenteo che raggiungeva quasi la fine del pettorale dell’armatura, lasciando libero l’occhio destro, ambrato,  affusolato e incorniciato da folte ciglia nere. Il viso era molto affusolato, tanto da conferire all’uomo un aspetto androgino. Guardava il suo collega con aria di superiorità.
- Colonnello Keller, cerchi di non perdere la sua compostezza. – disse, avvicinandosi al letto. Il colonnello grugnì e si mise a braccia conserte. – Ti chiedo scusa per ciò che è accaduto alla caverna. Pensavamo fossi uno degli uomini che stavamo cercando. –
- O-ok… - disse Haku, sedendosi sul bordo del letto. – Scuse accettate… Adesso posso sapere chi siete? –
- Sono il generale dell’esercito dei Dragoni di Draconis Patria, Seraph Orn Low. – rispose l’uomo, accennando un flebile sorriso e tendendo la mano verso Haku. Il ragazzo la strinse, sbalordito. – Mentre quella zitella inacidita è il colonnello Sylvan Keller, ti chiedo scusa da parte sua: è troppo orgoglioso per farlo di persona. –
- Me la paghi, bastardo… - mormorò il colonnello, chinando la testa.
- Mentre la ragazza che era con noi, è il colonello Azaliya Ivanov. –
- Degli ufficiali dell’esercito? – disse Toshizo, avvicinandosi all’uomo. – E perché mai? –
- Certo che sei proprio fuori dal mondo, vecchio! – esclamò il colonnello – Per via dei Cacciatori! –
- I Cacciatori?! – esclamarono in coro.
- Colonnello Keller, esca a dare una mano al colonnello Ivanov. –
- E va bene! Ai suoi ordini, generale! – ribatté, uscendo dalla stanza  svogliato e mormorando qualcosa tra sé e sé.
- Come ha già detto il colonello, siamo stati inviati qui a causa dei Cacciatori: un gruppo di individui che cercano in tutti i modi di mettere i bastoni tra le ruote all’Impero. –
- In che senso, generale? – chiese Anna, portandosi le mani al petto.
- Prendono il controllo di alcune città e costringono i cittadini a seguire i precetti da loro imposti. L’imperatore ha paura che, prima o poi, questo gruppo di persone rischi di creare grandi disordini e di far cadere il suo potere e mettere a repentaglio la vita di numerosi innocenti. –
- E quei tipi che c’erano… Quelli che erano dentro la grotta con quel troll, anche loro erano dei Cacciatori? – chiese Haku.
- No, erano solo dei balordi alla caccia di tesori ritenuti perduti. Li abbiamo catturati, ma non hanno saputo dire nulla riguardo a ciò che cerchiamo noi. Sicuramente agiscono per conto loro e non sono collegati ai Cacciatori. – rispose il generale, voltandosi verso la porta. – Per ora portiamo quei due e il troll al castello, scusaci ancora per l’equivoco, Hiryu. –
- Aspetti, la accompagno alla porta! – disse Anna.
- Non ce n’è bisogno, signora Pendragon, grazie per la sua premura. – ribatté l’uomo, accennando un flebile sorriso. – Con permesso, tolgo il disturbo. - Si voltò nuovamente e uscì dalla porta.
Haku si alzò dal letto e barcollò.
- Attento, anche se non hai subito conseguenze, il colpo che hai ricevuto ti ha stordito parecchio. – gli disse Anna, avvicinandosi e facendolo risedere.
- Ci credo, non ha un filo di addominali! – esclamò Toshizo – Anche Tatsuki sarebbe in grado di stenderlo con un pugno in pancia! –
- Toshi, non sei divertente! Ma hai visto quanto era grosso quel ragazzo? E’ un miracolo il fatto che non gli abbia spappolato lo stomaco! – lo rimproverò Anna, avvicinandosi e tirandogli l’orecchio destro.
- Dai, scherzavo! – ribatté, allontanandosi da sua moglie. – Non c’è bisogno di tirarmi le orecchie ogni volta che dico qualcosa! Rischierai di farmele diventare a sventola, non voglio somigliare ad un elefante!!! –
- Beh, saranno di monito per tutte le volte che sarai sul punto di sparare una delle tue solite scemenze! –
- Uffa, non c’è bisogno di incavolarsi! –
Haku assisteva al battibecco con aria perplessa. Passò qualche istante e si sentì un tonfo.
- Oh, quante volte le avrò detto che non bisogna correre dentro casa! – esclamò Anna.
- Nah, non è lei: è sicuramente qualcuno che pesa più di lei! – aggiunse Toshizo, che si diresse verso la porta e la aprì. Un ragazzino era inginocchiato a terra e si massaggiava la testa. Era molto gracile, così tanto da dare l’impressione che il suo corpo si spezzasse da un momento all’altro. I capelli castani erano lunghi sul davanti e dietro gli coprivano la nuca, le ciocche lunghe erano tirate all’indietro e tenute ferme da un piccolo elastico nero, creando un codino simile ad un ciuffo d’erba. Indossava una hakama rossa, stretta in vita da un’obi e una datejime  dello stesso colore, e un’uwagi bianca senza maniche. Le braccia erano coperte da guanti che partivano da metà braccio e terminavano alla mano, non coperta completamente dal tessuto, con due lingue che si attorcigliavano attorno al dito medio, coprendolo fino a metà falange. Alzò la testa, rivelando il volto molto magro e ossuto; l’occhio sinistro era coperto da una benda marrone scuro che partiva dal sopracciglio e copriva parte dello zigomo. Il grande occhio rosso era socchiuso a causa dell’impatto e le labbra sottili erano contorte in una smorfia di dolore.
- Hiroki?! – esclamò Haku, alzandosi e dirigendosi verso di lui. Il ragazzino alzò la testa e sorrise.
- Fratello! – esclamò, alzandosi di scatto.
- Ma che ci fai qui? Non dovevi allenarti? – gli chiese Haku, facendogli cenno di entrare.
- Ma che domanda è?! Ho sentito che hai incontrato dei balordi in una grotta e che sei rimasto gravemente ferito! –
- Ma che cavolo stai dicendo?! Ti hanno dato un’informazione completamente sbagliata! Degli ufficiali dell’impero mi hanno stordito per chissà quale motivo, però poi si sono scusati e se ne sono andati dal villaggio… -
Lo sguardo di Hiroki si illuminò.
- Quindi… quindi significa che stai bene? –
- Certo! Puoi vederlo tu stesso, no? –
Hiroki si lanciò versò di lui e lo abbracciò con vigore. Haku si sentì soffocare e cercò in tutti i modi di allentare la presa.
- Hiroki… STAI STRINGENDO TROPPO!!! – esclamò. Hiroki lasciò la presa e si allontanò leggermente. Haku si toccò i fianchi, facendo respiri profondi. – Cretino, mi hai quasi soffocato! –
- Scusa! – rispose Hiroki, portandosi la mano destra dietro la nuca. – Mi sono fatto prendere dalla foga del momento! –
Anna ridacchiò, attirando l’attenzione dei due fratelli.
- Che carini! Non è una cosa che si vede tutti i giorni! –
- Già. Non è roba quotidiana vedere due maschi che si stritolano come se non ci fosse un domani! – disse Toshizo, sorridendo.
- Il solito scemo… - lo ammonì la moglie, scuotendo la testa.
Passò qualche secondo e Toshizo sussultò. – Accidenti, me ne son quasi scordato! – e si diresse verso la porta. – Haku, prepara le valige! –
- Eh?! – esclamò il ragazzo. – E perché?! –
- Semplice! – Toshizo si voltò verso i due ragazzi – Lord Pendragon ha detto che da oggi potrete allenarvi fuori dai confini di Drakken! –
- Davvero?! – esclamarono i due fratelli. Il loro volto sprizzava di gioia.
- Bene, io vado a sistemare alcune cose; tu nel frattempo prepara le valige e assicurati di salutare tutti. Da domani inizia l’addestramento intensivo! –
- Yahoo! – esclamò Haku, saltando e sollevando Hiroki, che chiedeva insistentemente di essere rimesso a terra.
- Toshi… - disse Anna, avvicinandosi a lui.
- Non preoccuparti. – ribatté, accarezzandole il viso. – Non staremo via per molto. -

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Capitolo 4
*** Il cielo ***


Nonostante i quindici anni trascorsi a Drakken, era la prima volta che Haku entrava all’interno dell’Aerostazione. Finalmente stava per salire su uno Zeppelin, definito dai vecchi del villaggio “quegli aggeggi infernali che fanno un fracasso assurdo”, cosa che desiderò fin da cucciolo appena si riprese dal rogo del suo villaggio natio. La grande hall era piena di persone che correvano da una parte all’altra, chi perché non sopportava tutta quella gente e chi perché stava rischiando di perdere il volo. Haku si sentiva elettrizzato, provava le stesse emozioni che prova un bambino quando viene a contatto con qualcosa di nuovo e ne è entusiasta. Non faceva che guardarsi intorno, scrutava i minimi particolari, ma mai senza allontanarsi dal suo maestro, che lo guardava divertito.
- Sembri un bimbo di cinque anni! – gli disse l’uomo, ma il Dra-Hagan non lo ascoltò: era troppo preso dal nuovo ambiente per prestare attenzione a chi gli proferiva parola. I due si avvicinarono ad una specie di spazio riservato agli operatori dell’Aerostazione per acquistare i biglietti. Passarono parecchi minuti, ma Haku continuò a guardarsi intorno: ogni secondo trascorso, sembrava riuscisse a scovare più particolari rispetto agli attimi precedenti. Toshizo lo afferrò per un braccio e lo trascinò da una parte. In quel momento Haku distolse l’attenzione da ciò che precedentemente lo aveva ammaliato.
- Che succede, maestro? – chiese, cercando di divincolarsi dalla presa.
- Andiamo al gate, così, se è possibile, possiamo già salire a bordo. – rispose lo spadaccino, sorridendo.
Improvvisamente, Haku udì una voce roca che spiccava sopra le altre. Quasi sicuramente era un uomo anziano, oppure una persona che fumava parecchio e aveva tutte le corde vocali cotte. Pian piano che si avvicinavano al gate, Haku vide un uomo canuto, con una tuta da lavoro scura che sbraitava e gesticolava mentre interloquiva con un uomo.
- Che sarebbe a dire che non lo avete ancora trovato?! – chiese, dando un colpo di tosse.
- Abbiamo cercato dappertutto, capo. Non lo troviamo da nessuna parte! – rispose il più giovane.
- Avete controllato nella cucina? Dove teniamo le derrate alimentari? Nei bagni, sia maschili che femminili?-
- Sì, abbiamo controllato in ogni luogo, ma del ragazzo non vi è nessuna traccia!-
Toshizo si avvicinò ed esclamò: -Sidney! Vecchio rudere! È da secoli che non vedo la tua faccia da idiota qui in giro! –
L’uomo si voltò. Era un uomo sui sessantacinque anni, con i capelli corti e canuti e la barba ben pettinata, e forse tenuta a suo posto da gel, che gli copriva le guance e parte del viso. Era piccolo di statura, tanto che Haku si meravigliò come un uomo della sua età potesse essere così basso. Gli occhiali tondi con le lenti spesse come il fondo di una bottiglia in vetro rendevano i suoi occhietti, cerchiati da evidenti zampe di gallina, ancora più piccoli di quelli che erano in realtà. In bocca, serrata tra le labbra carnose, aveva una pipa in mogano, tenuta con leggerezza dalla mano destra. A mo’ di cerchietto aveva un paio di occhiali da meccanico, costituiti da una fascia beige e dalle lenti azzurre con montatura bianca. Indossava una tuta blu scuro, coperta di macchie di olio, carburante e sostanze simili.
- Toshizo! – ribatté, togliendo le labbra dalla pipa e sputando fuori il fumo dalle narici. – Vecchio ubriacone! Come stai? – e gli diede una forte pacca sulla spalla.
- Arzillo come sempre, vero? – ridacchiò il maestro, massaggiandosi la spalla colpita.
- Che mi dai del vegliardo? Guarda che sono ancora giovincello, eh! Non sono mica come te, che dimostri anni in più rispetto a quelli che hai! –
- Colpito in pieno! – ribatté Toshizo, scoppiando in una risata contenuta. – Ah, devo presentarti una persona!- e afferrò Haku per un braccio, mettendolo tra se e il vecchio meccanico. – Questo è Haku, mio pupillo! –
Haku fece un lieve inchino e salutò l’uomo. –Piacere di conoscerla, signore! –
Sidney ridacchiò. – Da quanto vedo è abbastanza grande per non essere considerato un cucciolo e ancora troppo giovane per essere considerato un Dra-Hagan adulto! Era da un bel po’ che non vedevo un esemplare in forma! – e scrutò il giovane, tanto che Haku sentì gli occhi dell’uomo penetrarlo, quasi come se volesse vedere nelle sue viscere. – Quando sono così piccoli sembrano carini e coccolosi, non come quella bestia selvaggia di mio nipote! –
- Tuo nipote? – chiese il maestro, spostando leggermente il giovane Dra-Hagan per vedere meglio il suo interlocutore. – Non ti starai mica riferendo a William, vero? –
- È ovvio che mi riferisco a quel combina guai! – e dopo Sidney sputò del tabacco a terra, causando una smorfia di disgusto che contorse il viso di Haku – Non lo troviamo da un paio d’ore, il bello è che lo Zeppelin non può partire senza di lui, dato che è il fottutissimo pilota! –
- Non lo vedo da cinque anni… - commentò lo spadaccino, portando la mano sinistra al mento. – Da quando i Pollution hanno incendiato Iago… -
- Ti dico una cosa: quel moccioso si è ripreso come non so cosa! Corre da una parte all’altra e mangia come un intero esercito! – aggiunse il vecchio meccanico, corrucciando la fronte e mettendo in evidenza le folte sopracciglia brizzolate, un tempo castane. – Cosa vuoi che ti dica, è come suo padre alla sua età… Più o meno…- Haku notò una nota di tristezza nelle sue parole. – Bene, ma non posso lasciarvi qui mentre continuiamo a cercare quel pazzoide. Perché non iniziate ad entrare nelle vostre cabine? Il viaggio è molto lungo, quindi vi consiglio di sistemarvi a dovere prima della partenza! –
- E perché no? – esclamò Toshizo – Forza Haku, andiamo. Iniziamo a sistemarci! – Il giovane annuì e seguì il suo maestro.
 
 
 
I mobili candidi della cabina avevano spaesato Haku: era tutto troppo bianco. Una piccola finestra ad oblò faceva penetrare la luce, cosa inutile, dato che le lampade a luce bianca illuminavano il vano a giorno. Toshizo si era sdraiato su uno dei due letti e, dopo aver consigliato al suo allievo di fare un giro per esplorare lo Zeppelin, si addormentò di colpo. Haku rimase qualche minuto seduto sul divano al centro della stanza, sfogliando i vari dépliant sparsi sul tavolino da caffè, cercando di non rimanere accecato dal colore dei mobili e della luce. Poggiò nuovamente i volantini sul mobile e si alzò, stiracchiandosi e mugolando. “Forse è meglio dare retta al maestro.” Pensò, avviandosi alla porta. “Anche se nel corridoio è tutto bianco, almeno i distributori, le piastrelle del pavimento e le porte rendono il tutto meno accecante…”. Aprì la porta lentamente, e uscì richiudendola con delicatezza. Il corridoio era deserto, sembrava quasi che lui e Toshizo fossero gli unici ad esser saliti sul mezzo. Percorse qualche metro in direzione del distributore più vicino, desideroso di una bibita fresca che placasse la sete. Era quasi vicino al macchinario, quando udì dei passi pesanti dietro di sé. Qualcuno era di corsa molto probabilmente era uno dei meccanici alla ricerca del nipote di Sidney.
-SPOSTATIIIIIII!!!-
Haku non fece in tempo a voltarsi. Dopo qualche secondo si ritrovò a terra. Gli sembrò che una carrozza lo avesse investito in pieno. Un grande livido bluastro si espanse nel bicipite sinistro e dopo qualche secondo svanì.
- Ehi, ma sei cretino?!- esclamò il Dra-Hagan, cercando di massaggiarsi dove aveva sbattuto. Si voltò alla sua destra e vide un uomo quadrupede, che si massaggiava la testa, mugolando. Haku notò per prima cosa la sua stazza: alto almeno due metri e un fisico che faceva capire che era in grado di eseguire lavori estenuanti per lunghi periodi. Per seconda cosa, notò il suoi lunghi e lisci capelli nero blu, probabilmente lunghi fino alla cintola dei pantaloni e adesso sparsi per terra dopo la caduta. Indossava una tuta simile a quella di Sidney, ma questa era verde, un colore insolito per un meccanico. L’uomo voltò lo sguardo verso Haku, rivelando il suo volto: un viso asciutto, di carnagione olivastra e dai lineamenti leggermente squadrati. Si sedette e un ciuffo di capelli gli copriva la fronte a destra e ricadevano sul sopracciglio, e due ciuffi laterali, tra i quali quello destro più folto. Aveva grandi e affusolati occhi azzurri, limpidi come il cielo senza nuvole e con qualche sfumatura color ghiaccio, cerchiati da finissime ciglia nere. Il naso un po’ a punta sporgeva dalla compattezza del viso e la bocca un po’ larga e con le labbra fini era leggermente spalancata sia per la botta, sia per lo stupore. Come il vecchio Sidney, aveva gli occhiali da meccanico a mo’ di fascia per capelli, con le fasce blu e le lenti rosse a specchio rette da una montatura giallo oro.
- Oddio! Scusa! Non volevo! Non ti sei fatto male, vero? – chiese tutto d’un fiato, rialzandosi. “Oh, Shinryu, questo qui è proprio un gigante!” pensò Haku, intimorito dalla sua statura. Non riuscì a proferire parola, fece un semplice cenno con la testa per far intuire che non si era fatto nulla.
- Oh, bene, meno male! Perché, sai, ti ho visto ma non sono riuscito a fermarmi, quando inizio a correre non mi ferma più nessuno ahahahahahah! – disse, nuovamente tutto d’un fiato, grattandosi la nuca e sorridendo, rivelando due fossette sulle guance lisce. Haku fece finta di capire, ma quello parlava troppo velocemente. – Scusa, ma adesso devo andare! Devo trovare la sala macchine, altrimenti lo Zeppelin non parte neanche se si prega in aramaico, beh, ci becchiamo in giro, allora!-
Il giovane si sistemò la tuta e riiniziò a correre come un fulmine per i corridoi. Haku lo fissò intimorito fin quando non scomparve scendendo la scala a pioli tutta in una volta. “Quel tipo è abbastanza strano e spaventoso allo stesso tempo…” pensò il giovane, avvicinandosi alla macchinetta rasente al muro, pensando di essere immune ad un altro scontro. Assicuratosi che non ci fosse alcun pericolo si pose di fronte al distributore e prese una lattina di limonata. Passarono un paio di secondi prima che capisse come aprirla, poi prese la linguetta e cercò di aprirla con cautela, facendo sfiatare lentamente l’aria all’interno del contenitore.
- Hey, ragazzo, hai per caso visto Will in giro? –
Haku si spaventò. Si spaventò a tal punto da aprire la lattina in un solo colpo e, allo stesso tempo, schiacciarla con forza, facendola esplodere e inzuppandosi i vestiti. Si voltò verso il suo interlocutore. Un altro meccanico. Era un ragazzo dalla pelle molto scura, sembrava quasi fatta di cioccolato, alto sì e no cinque centimetri più di lui, aggirandosi attorno al metro e ottanta, e anche lui aveva un fisico abbastanza possente, ma non quanto quello del ragazzo che aveva incontrato prima. Il viso liscio con la mandibola squadrata era cerchiato dai capelli castani e ricci che gli ricadevano sui grandi occhi color onice. Il naso a patata lo rendeva più giovane confronto alla sua probabile età effettiva e la bocca con le labbra carnose era semiaperta, mostrando l’arcata dentale inferiore, candida come il latte. Indossava una tuta da lavoro blu notte e degli anfibi rossi con le stringhe slacciate.
- Scusa, ma, prima di tutto: chi accidenti è Will? E seconda cosa: mi hai spaventato! – ribatté Haku, guardando i danni sulla sua casacca bianca e blu e i suoi pantaloni azzurri.
- Scusa!- disse il giovane, ridacchiando – Will è il nipote del signor Sidney. Un ragazzo più o meno della mia stessa età, capelli lunghi e neri, occhi azzurri, tuta da meccanico verde… -
-Mi è sbattuto addosso qualche minuto fa…- sentenziò Haku, con una nota di incredulità. Come poteva essere quello il nipote del signor Sidney? I due erano molto diversi, ma chi poteva dirlo: magari il vecchio meccanico, da giovane poteva essere simile a lui. Ma non era detto.
-È il solito terremoto!- commentò il meccanico, scoppiando a ridere. –Corre da una parte all’altra quasi come se avesse la paprika tra le chiappe! Sai dove si è diretto?-
Haku indicò la scala a pioli con la mano pulita. Il ragazzo scosse la testa.
-Gli cambiano le Zeppelin da pilotare e perde il senso dell’orientamento, sempre il solito imbranato!- commentò –Meglio che vada a dirgli di sbrigarsi, altrimenti questa è la volta buona che suo nonno lo lincia!- e fece per voltarsi, ma si rivolse nuovamente verso Haku. –A proposito, io mi chiamo Ryan Hartd, e il tipo contro cui ti sei “schiantato” poco fa è William Blacksteam, nipote di Sidney Rufus Blacksteam e pilota di Zeppelin e un casino di altre cose che non sto qui ad elencare… Tu sei?-
-Haku.- rispose il giovane Dra-Hagan. –Haku Hiryu di Drakken.-
Ryan sorrise e gli strinse la mano. –Piacere di conoscerti!- ribatté con un sorriso a trentadue denti. –Vado a prendere Will, ci rincontreremo!- e si diresse con passo svelto verso la scala a pioli, tanto che i suoi riccioli bruni ondeggiavano e rimbalzavano come piccole molle. Haku si voltò e prese un’altra bibita.
“Questa la apro più tardi, nella mia stanza…” pensò, rammentando le macchie e l’odore della bevanda esplosa sui suoi vestiti.
 
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Will stava seduto a terra, accanto ad un enorme macchinario che sbuffava. Sulle ginocchia aveva un portatile e con le lunghe dita digitava parole e cifre molto velocemente. Gli occhi scorrevano da una parte all’altra dello schermo e il ragazzo memorizzava ogni cifra, ogni parola, ogni segno. L’accumulo di ingranaggi smise di sbuffare e iniziò a vibrare. Tutta l’area circostante vibrò e i motori del velivolo iniziarono a girare. Fu per lui un suono rassicurante. D’altronde, era quello il suo lavoro e lui lo faceva non solo perché sulle sue spalle gravava il nome della famiglia Blacksteam, conosciuti come i migliori meccanici e inventori del mondo conosciuto, ma perché era ciò che desiderava fare fin da quando era un bambino. Già. Ricordava quando aveva circa quattro anni e vedeva suo padre e suo nonno lavorare su macchinari e aggeggi vari. Era sempre affascinato dagli strumenti usati, dalle tecniche adottate e dai prodotti del loro duro lavoro. Adesso, dopo sedici anni, anche lui è in grado di fare le stesse cose che vedeva fare ai due uomini. Tirò un sospiro di sollievo e chiuse il portatile. Estrasse lo spinotto da una delle porte dell’accessorio e le arrotolò con cautela, riponendolo nella sacca che portava legata al cinto, sulla zona lombare. Ryan entrò con cautela, cercando di non farsi notare.
-Ti ho sentito ugualmente, bello!- esclamò il giovane Blacksteam voltandosi di scatto. Ryan sbuffò.
-Ma che ci fai qui? Tuo nonno è incazzato nero!-
-Sarebbe stato ancora più incazzato di quanto lo sia adesso, se avessi fatto decollare lo Zeppelin con uno dei motori in avaria!- ribatté Will, strofinandosi la punta del naso con l’indice destro, altezzosamente.
-Il così detto “sangue del meccanico”… - commentò Ryan, mettendosi a braccia a conserte. –Illuminami: come hai fatto a capire che il motore era in avaria?-
-Quando stamattina i meccanici lo hanno acceso, mi sono accorto che faceva uno strano gorgoglio. Allora ho preso il mio pc e sono corso alla ricerca della sala macchine per mettere a posto il guasto… -
-Impiegandoci ore e ore, prima di ricordare che è sempre nello stesso luogo in ogni Zeppelin che piloti, non è così?- domandò Ryan, portandosi la mano alla fronte in segno di rassegnazione.
-Ahhhh… questa è dolorosa, sai?- ribatté, imbarazzato e sorridente. –Bene, credo che sia ora di andare alla sala di pilotaggio: non voglio che il vecchio venga qui a farmi la ramanzina e bestemmiare come un Alboriano!-
Ryan sorrise. Il carattere innocente e scherzoso di Will lo tranquillizzava sempre. Persino nel “mesto anno dell’incidente”. Avevano entrambi quindici anni. Will fu quello che riportò le ferite più serie, ma la sua forza d’animo e il suo spirito caparbio invogliarono Ryan e gli altri giovani meccanici a non arrendersi! “Mai arrendersi, mai!” erano le parole che Will ripeteva a se stesso e agli altri. Erano le parole che gli avevano ripetuto suo padre e suo nonno, tanto che vennero considerate il motto della famiglia Blacksteam e dei Meccanici Ecologisti.
-Dai, Will. Non perdiamoci in chiacchere e andiamo, altrimenti anche Abegail si altererà peggio del vecchio Sid!-
-Bah, che si arrabbi pure!- disse scherzosamente il giovane Blacksteam –Un pugno in testa e chiude il becco! Ha sempre funzionato!-
-Sei crudele Will!- esclamò Ryan, scoppiando in una risata fragorosa. –Le donne non vanno sfiorate neanche con un fiore!-
-Ma quella non è ancora una donna! È ancora una bambina, ma un buffetto sulla testa non glielo nega nessuno!-
I due giovani meccanici si allontanarono dalla sala macchine ridacchiando e facendo battutine.
 
 
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Haku entrò con cautela nella sua stanza. Era riuscito a bere la bibita senza che nessuno lo disturbasse. Una delle cameriere gli vide gli abiti macchiati e si offrì di pulirglieli, ma il giovane rifiutò. Riuscì a risolvere la situazione in bagno, dove un povero vecchino scambiò un orinatoio per un lavandino e cercò inutilmente di lavarsi le mani con quello. I vestiti erano ancora umidi, ma almeno non avevano odore di agrumi e non avevano quella grande macchia giallastra.
Toshizo stava ancora sonnecchiando sul letto, avvolto nel suo stesso mantello. Persino uno dei migliori guerrieri di Draconis Patria sembrava così debole e indifeso quando dormiva. Il vibrare dei motori che si accesero fece sussultare il giovane e l’uomo aprì lentamente gli occhi. Sì udì un flebile fruscio, e poi una voce rauca uscì dall’alto parlante. Era la voce del vecchio Sidney.
-Signori e signore, buon giorno!- disse, con fare solenne. –Con gioia possiamo annunciarvi che abbiamo ritrovato quel pirla di mio nipote William… - si udì un tonfo, poi una voce giovane riferire parole poco cortesi al vecchio meccanico e quest’ultimo che lo prese a sua volta a parolacce. –Brutto cretino! Ahem… Dove ero rimasto… Bene. Il guasto che ha causato la partenza ritardata del mezzo è ormai spirato, grazie all’intervento del mio prode nipote, ovvero il Grande Pilota di questo Zeppelin.- Vi fu un secondo di silenzio. –Bene, sei contento adesso?- disse, sarcasticamente il vecchio. Molto probabilmente il nipote gli fece un gesto con le mani, e il vecchio gli consigliò un posto sicuro dove porre il suo dito medio, scordandosi di avere ancora in mano il microfono e che la sua voce echeggiava per i corridoi e le stanze dello Zeppelin. Haku immaginò la scena: Will, alla postazione di commando, girato di tre quarti, mentre mostrava fieramente il suo dito medio. Ridacchiò emettendo un verso simile ad un grugnito.
-Quei due non cambieranno mai…- borbottò Toshizo, concedendosi un lungo sbadiglio.
-Oh, questo cacchio di coso è ancora acceso! Uhm… Beh, vi consiglio di stare nelle vostre stanze nei prossimi dieci minuti, in modo che sto aggeggio volante guadagni quota e si stabilizzi, altrimenti sembrerete dei vermiciattoli che strisciano a terra a causa della pressione… Beh, adesso chiudo ‘sto coso e prendo a calci nel culo… Volevo dire, vado a discutere di alcune importanti cose con il pilota, prima che il mezzo sia in volo. – La comunicazione si chiuse di colpo e una voce registrata diede ulteriori informazioni: lo Zeppelin avrebbe raggiunto la sua destinazione alle tre del pomeriggio del giorno dopo. Il villaggio nel quale sarebbero arrivati si chiamava Karn: un piccolo agglomerato di case, famoso per il suo bar, frequentato da clientela prevalentemente maschile per la presenza di seducenti cameriere e prostitute che vendevano il loro corpo a prezzi piuttosto bassi. Haku si sedette sul divano.  Il suo maestro, nel frattempo, continuava a crogiolarsi nel tepore del suo mantello in lana, quasi come se volesse rimanere lì per il resto della sua vita. Il pavimento vibrò più forte, tanto che sembrò di essere in una zona colpita da un movimento sismico. Dopo qualche secondo Haku sentì un vuoto allo stomaco. Sussultò lievemente, emettendo uno squittio che gli fece uscire “Ughyeh!” dalla bocca. Aspettò una decina di minuti, e nel frattempo il suo maestro si riaddormentò, come un bambino cullato dalle braccia della madre. Il ragazzo si alzò e guardò fuori dall’oblò. Una coltre di nuvole bianche si estendeva sotto di loro, mentre puntavano verso il sole, ormai prossimo allo Zenit. Gli occhi rossi del Dra-Hagan si riempirono di meraviglia: stava volando. Improvvisamente sentì un brivido: avrebbe voluto uscire sulla veranda del velivolo, riempirsi i polmoni di quell’aria pura e buttare fuori un urlo. Non un urlo di liberazione e neppure d’ira o tristezza. Voleva che il mondo udisse la sua felicità, e voleva esprimerla così. Mentre ancora stava fantasticando, udì una voce.
-MA CHE CAZZO SEI, SCEMO?- Haku si voltò verso i letti e vide il suo maestro che lo guardava turbato. Inclinò la testa verso destra, chiedendosi perché Toshizo gli avesse rivolto quelle parole. L’uomo sospirò, rassegnato. –Hai appena cacciato un urlo di proporzioni epiche, lo sai vero?- A quelle parole il Dra-Hagan arrossì dalla punta dei piedi a quella dei capelli. Lui aveva solamente immaginato di gridare, ma la sua felicità gli fece sorpassare quel fragile confine tra immaginazione e realtà.
-Mi hai quasi fatto venire un infarto!- continuò il maestro, riavvolgendosi con il grande pezzo di lana scura.
Haku sorrise. Non gli era mai capitata una situazione simile. Si avviò lentamente verso il letto libero e si sdraiò. Mentre guardava il soffitto bianco immaginò di solcare i cieli, di possedere possenti ali che gli permettessero di viaggiare a forte velocità. Lui fantasticava ancora, quando Morfeo decise che, anche per lui, era giunto il momento di fare una dormita.
 
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Una grande distesa bianca era coperta di sangue e di corpi privi di vita. Le uniche due persone vive erano in piedi, sopra un altura. Due ragazzi. Entrambi con capelli candidi come la neve e occhi rossi come il fuoco. Uno dei due soffriva per le ferite subite durante il duello; l’altro sembrava non importare, anzi: il suo viso pallido era reso folle dal grande sorriso sadico e dagli occhi spalancati e iniettati di sangue.
-Fratello…- disse quello più ferito. –Ti prego… basta… Questo dolore… è troppo forte…- barcollò e fece un passo verso suo fratello, che stava più in alto. –Questo dolore… Fratello… ti prego… basta…-
-Giammai!- sbottò l’altro. Allargò le braccia e rise. La risata di un folle, in grado di far accapponare la pelle anche all’uomo più coraggioso o alla bestia più feroce. Alle sue spalle emerse una figura scura. Una bestia alata. Un drago. Le grandi fauci giallastre erano serrate, un sorriso folle, come quello dell’Umano che si trovava davanti. Le grandi corna nere come l’ossidiana si arricciavano all’indietro, collegando il lungo collo con le possenti spalle squamose, dalle quali nascevano le enormi ali, nere come la morte e simili a quelle di un pipistrello. Il corpo nero era grosso almeno quanto dieci buoi, e le grandi zampe erano dotate di artigli eburnei affilatissimi. I grandi occhi color oro fissavano il giovane ferito. Non si capiva se provasse pietà per lui o se lo stesse deridendo. Il fratello serrò le braccia al petto, ridendo ancora più di prima. –Con il potere di Belthazer, il Drago Nero, riuscirò a dominare il mondo! –
-L-lord… Lord… Shiroyuki… - mormorò un uomo ferito a terra. Aveva un enorme squarcio sull’addome e le budella si spargevano sulla neve, dando origine ad un disegno macabro. Il fratello ferito si voltò verso di lui. L’uomo gli porse una lama color avorio, con l’impugnatura e l’elsa simili a quelle di una katana. Anche la lama era simile a quel tipo di spada e sembrava essere affilata quanto gli artigli e le zanne di un drago. –La prego… - implorò l’uomo –La prenda…  La usi… per portare la pace sul pianeta… La… prego!-
Il giovane, inizialmente titubante, afferrò la mano dell’uomo e con delicatezza prese la spada, impugnandola con sicurezza e forza, nonostante il suo braccio destro fosse ridotto a brandelli. L’uomo sorrise, poi chinò il capo verso il basso, lasciando che la vita si liberasse da quella prigione di dolore. Dagli occhi del ragazzo sgorgarono lacrime. Lacrime amare. Quello era il destino, e sebbene non fosse pronto ad accettarlo, esso doveva compiersi. Si voltò verso suo fratello, ma non del tutto.
-Possano le divinità… - disse, impugnando più saldamente l’arma –Avere compassione per la tua anima.-
Shiroyuki scattò in avanti. La lama passò dal diaframma e uscì dalle spalle del fratello, come se avesse infilzato un panetto di burro. Il ragazzo vomitò sangue. Parte cadde sulla neve, parte cadde sulla spalla di colui che stava mettendo fine alla sua vita. Il drago tirò indietro il capo ed emise un possente ruggito. La lunga guerra che aveva devastato il pianeta era terminata.
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Haku si svegliò di soprassalto. Era fradicio di sudore. Erano ben quindici anni che non faceva quell’incubo, lo stesso che gli si presentò nel sonno della notte precedente al rogo di Tatsumura, che strappò a lui e suo fratello entrambi i genitori biologici. La presenza di quell’incubo non prometteva nulla di buono. Si voltò verso il letto del maestro, in cerca di conforto. Toshizo era in piedi di fronte all’oblò e fissava con aria cupa il cielo. Haku si alzò dal letto tremolante, ma, prima che potesse parlare, Toshizo lo anticipò.
-Hanno detto ai passeggeri di rimanere nelle loro stanze.- disse, con aria cupa. Si voltò verso il ragazzo. –Questa storia puzza… e parecchio…- si diresse verso la porta –Haku, sistemati i capelli. Andiamo da Sidney a chiedergli cosa accade.-
Prima che l’uomo potesse finire di parlare, entrambi sentirono una forte pressione allo stomaco. Una sirena stridula echeggiò nella stanza. I due caddero a terra.
-EMERGENZA! EMERGENZA! –gridò una voce agli altoparlanti –LO ZEPPELIN È STATO GRAVEMENTE DANNEGGIATO! NON USCITE DALLE VOSTRE STANZE! RIPETO! NON USCITE DALLE STANZE!-
Haku si alzò e si aggrappò al mobiletto di fronte all’oblò e fissò il cielo. Dalla sua bocca uscì solo un grido di terrore. Un drago. Un drago nero. Il drago del suo sogno.  Belthazer. Il Drago Nero.
La bestia assestò un forte colpo al velivolo e tutto si fece più buoi della notte.

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Capitolo 5
*** Il troll della foresta ***


Haku aprì lentamente gli occhi. Lui e il suo maestro erano sdraiati sulla parete dell’oblò e, vicino a loro, tutti i mobili della stanza giacevano in disordine e distrutti. Toshizo mugugnò e si mise in piedi. Il punto dove si trovavano era inclinato e barcollò. Il Dra-Hagan si toccò la tempia destra e si guardò poi le dita: sangue. Quando lo Zeppelin è stato colpito dal Drago Nero, deve essere precipitato a causa dei danni. Dalla posizione della loro cabina, probabilmente il velivolo doveva essersi accasciato sul lato sinistro ed era in bilico sul pallone aerostatico. Tutto era molto scuro, grigio. Haku si alzò e si pulì il sangue dalle dita succhiandolo.
-Tutto bene?- gli chiese Toshizo, avvicinandosi a lui e scostandogli i capelli bruni per controllare da dove fosse uscito il sangue. Haku annuì.
-Si è già cicatrizzata.- rispose, prendendo una salvietta dal suo borsello e pulendosi il viso. –Devo aver preso una bella botta quando lo Zeppelin è stato colpito e quando è precipitato… -
Toshizo sorrise nello scoprire che il suo allievo stava bene. Haku però era turbato. Come era possibile che quello fosse il Drago Nero Belthazer? Sebbene i Dra-Hagan fossero considerati per metà uomini e per metà draghi, quelle Bestie si estinsero proprio tremila anni fa, durante la Grande Guerra. E Belthazer era l’ultimo della sua specie. Si seppe che appoggiò il Distruttore Nero, che grazie a lui distrusse intere città e uccise migliaia di innocenti. Secondo la leggenda, il Distruttore e Belthazer riuscirono a sbaragliare gli uomini che il Figlio della Luce aveva adunato per sconfiggerli una volta per tutte. Nessuno seppe più nulla sui due uomini dopo quella battaglia, ma girarono voci che il Figlio della Luce fu l’unico a sopravvivere e andò a riposare nel tempio del suo villaggio natio, Cuprum, e che dal quel giorno nessuno riuscì ad aprire le porte del tempio. Ma questa era solo una leggenda. E Haku lo sapeva. Ma ciò che aveva visto dall’oblò, qualche secondo prima che lo Zeppelin fosse danneggiato, non poteva essere solo la sua immaginazione e neppure lo spettro del sogno che aveva fatto qualche attimo prima. Gli anziani del villaggio di Tatsumura dicevano: “Qualora il Distruttore Oscuro fosse tornato dalle viscere dell’inferno, il Dio della Luce e il Dio dell’Oscurità avrebbero scelto un Figlio: una persona che fosse in grado di portare il potere della Luce e una persona che sapesse portare il potere dell’Oscurità”. Ciò che aveva visto fuori dalla finestra poteva essere un presagio del ritorno di quei giorni che la popolazione visse nel terrore di colui che poteva distruggere tanti villaggi con un solo schiocco di dita?
Mentre il ragazzo rimuginava su queste cose, la porta della stanza si aprì lentamente e una corda calò all’interno.
-Signor Takamura, se lei e il suo allievo avete possibilità di muovervi, afferrate la corda e usatela per uscire dalla stanza.- disse una voce femminile.
-Sì, va bene!- rispose Toshizo afferrando la corda e porgendola ad Haku. –Vai prima tu, così se cadi ti prendo al volo.- Lui annuì e iniziò a raggiungere la porta della stanza tirandosi su con la corda e puntando i piedi sul pavimento. Toshizo era proprio dietro di lui. Appena raggiunsero l’uscio, una mano tozza offrì loro aiuto per uscire. Haku la afferrò con sicurezza e venne sollevato bruscamente. Un enorme ammasso di ciccia e muscoli di almeno un metro e novanta lo aveva sollevato come se fosse un cucciolo. La testa tonda dell’uomo era decorata da corti capelli biondi e da una barbetta di almeno due giorni. I piccoli occhi verde bottiglia lo fissavano con curiosità e la bocca piccola e quasi a cuoricino sorrideva. Come tutti gli altri uomini che erano lì fuori, indossava una tuta da lavoro blu scuro, in più aveva una sciarpa verde attorno al collo tozzo.
-S-salve…- esordì Haku, con evidente imbarazzo. Lui sorrise.
-Ecco il Non Umano di cui tutti parlano!- disse, lasciandogli andare il polso e chinandosi a tirare su Toshizo. –Pensavo fossi un esemplare adulto, ma a guardarti, sembri poco più che un cucciolo!- Haku arrossì e indietreggiò. Un altro uomo si avvicinò a lui e disse: -Venite, vi porto fuori attraverso le uscite d’emergenza.- Annuì e, raggiunto dal maestro, seguì l’uomo.
-Che cosa è successo?- chiese al meccanico.
-Un oggetto non identificato è andato a scontrarsi con lo Zeppelin e il pilota ha dovuto fare un atterraggio di emergenza.- rispose l’uomo, guidando i due al gruppo verso la lunga fila che si era creata in prossimità dell’uscita. –I sistemi di orientamento sono ancora fuori uso, quindi non sappiamo ancora il punto preciso dove ci troviamo…-
-Tutti gli altri stanno bene, vero?-
-Qualcuno ha preso qualche botta, ma nessuno è ferito… - rispose il meccanico, afferrando un bambino che stava perdendo l’equilibrio. Haku sospirò, sollevato.
 
 
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Passarono un paio di minuti prima che Haku e Toshizo potessero uscire fuori. I passeggeri erano spaventati. Si chiedevano cosa fosse accaduto, perché i meccanici non avessero avvertito la presenza di quell’oggetto che si è schiantato contro di loro e perché non abbiano fatto nulla per evitare l’impatto. Haku notò che il suo maestro era parecchio inquieto: cercava con lo sguardo qualcosa o qualcuno, ma l’imbrunire impediva di vedere bene. L’uomo si avvicinò ad una ragazza con la divisa da meccanico e le chiese di Sidney. Lei si voltò e gli indicò dove proveniva la luce. –Stanno cercando di sistemare la ricetrasmittente in modo da chiamare i soccorsi e un altro Zeppelin. Ci vorrà un bel po’, quindi saremo costretti a montare le tende per i passeggeri e sfaticare per tutta la notte in modo da sistemarla.- disse, sistemandosi i guanti. Toshizo annuì e fece cenno ad Haku di seguirlo. Il ragazzo lo raggiunse quasi trotterellando e lo seguì. Sidney e suo nipote William stavano armeggiando con attrezzi, cercando di mettere a posto il macchinario. Ryan e altri meccanici puntavano verso i due delle lampade a luce bianca, in modo che avessero l’illuminazione giusta anche per la notte. Il giovane meccanico stava usando un portatile e cercava di capire dove intervenire per sistemarlo, mentre Sidney controllava i fili e i vari chip, assicurandosi non fossero danneggiati, e ogni tanto pigiava i pulsanti per vedere se iniziava a trasmettere. Toshizo si inginocchiò accanto al vecchio.
-Riesci a metterlo a posto?- chiese il maestro, cercando di capire cosa stessero facendo.
-Certo che ci riuscirò!- esclamò il vecchio, altezzosamente. –In realtà non è guasta, è che in questo punto della foresta le onde radio sono molto deboli, quindi dobbiamo potenziare il macchinario in modo che possa ricevere e inviare senza problemi. Se tutto va bene, entro qualche ora dovremo avere un altro Zeppelin a portarci a Karn, altrimenti dovremo aspettare a domani mattina…-
-Domani mattina?- ribatté Haku, incredulo.
-Già, ragazzo. Comunque sia, non ci saranno problemi per voi passeggeri. Prendete tutto il tempo che volete per riposarvi, al resto ci penseremo noi.-
-Ehi, nonno!- esclamò Will, sporgendosi verso il vecchio e mostrandogli lo schermo del computer –Guarda qui: sembra che un oggetto non identificato impedisca alle onde radio di diffondersi oltre questo luogo. Secondo te cosa può essere?-
Sidney si sollevò gli occhiali in modo da mettere a fuoco l’immagine. –Non riesco a capire cosa sia… Ma è molto vicina a noi… Forse è qualche roccia…-
-Dobbiamo andare a controllare?- chiese Ryan, avvicinandosi. Sidney annuì.
-Cercate di perlustrare la zona qui intorno. Nel raggio di un chilometro, all’incirca…- disse, sollevandosi goffamente –Appena notate qualcosa di insolito, non esitate a contattarci. Fate in modo da…-
Il discorso fu interrotto da un urlo, probabilmente di una bambina. –Mimi!!!- gridò una voce femminile. Tutti si voltarono di scatto e si precipitarono sul posto.
-Mimi!- urlò una donna con le orecchie da gatto e una lunga coda che le partiva dal coccige mentre veniva trattenuta da due persone. Di fronte a loro vi era un mostro. Un troll di almeno quattro metri. La sua enorme pancia bluastra si gonfiava e sgonfiava ad ogni suo respiro, e saliva verdastra colava dalle sue zanne giallastre. Nella mano sinistra teneva un’enorme clava piena di spuntoni e bitorzoli, mentre nell’altra, per la coda, teneva sospeso un cucciolo: una bimba molto piccola, grande quasi quanto un bambino di un anno, con le orecchie da gatto e i capelli a caschetto castani, che si agitava e piangeva  una nenia simile ad un miagolio molto acuto, cercando di divincolarsi dalla presa del mostro.
-Carne di cucciolo…- bofonchiò il gigante. –Io è da molto che non mangiare cuccioli. Tu cucciolo ha profanato casa mia. Io ora mangiare tu.- e spalancò la bocca, sollevando la piccola proprio sopra di essa, pronto a mollare la presa da un momento all’altro. La bimba urlò più forte. –MAMMA! MAMMA! AIUTAMI, MAMMA!- gridò col visetto paffuto rigato di lacrime. Sua madre lanciò un urlo disperato, cercando di divincolarsi dalla presa dei due. –Lasciatemi!- implorò –Devo salvare la mia bambina!-
-No, è troppo pericoloso!- ribatté uno dei due –Rischierai di essere uccisa anche tu!-
-Ma è la mia bambina!- gridò, piangendo, e morse la mano all’altro. L’uomo cadde a terra, mollando la presa, e la donna si liberò dell’altro; si lanciò verso il troll, estraendo una daga argentea dalla scollatura del vestito. Al troll bastò una pedata leggera per allontanarla senza problemi e lei cadde a terra, sbuffando.
-MAMMA!- urlò la piccolina, sbraitando ancora più di prima. Il troll la guardò e si leccò le labbra, cospargendole ancora di più della sua bava verde. Poi lasciò la presa. Chiuse le fauci, ma si accorse che tra di esse il cucciolo non c’era. Stupito, si voltò. Dietro di lui c’era Will, con in braccio la piccola. Con un movimento fulmineo riuscì a strapparla dalle sue fauci. Il ragazzo si voltò verso i meccanici e lanciò il cucciolo con forza verso Ryan, che lo acciuffò come una palla da rugby e lo strinse a se, facendo da scudo.
-Allontanati con il cucciolo mentre sistemo questo sacco di lardo!- ordinò il ragazzo, estraendo un’arma particolare dalla sacca che aveva dietro la schiena: una lunga lancia a doppia lama. Poi si voltò verso il troll.
-TU!- ringhiò la bestia, facendo roteare la clava sopra la sua testa  -TU HA OSATO INTERROMPERE MIO PASTO! IO ORA UCCIDERE TU!-
-William!- esclamò Haku, estraendo la spada.
-Stai indietro!- gli disse –A questo coso ci penso io!-
Appena finì di parlare, il troll sollevò la clava e la fece cadere di peso sul terreno. Il meccanico evitò il colpo e balzò in alto, superando la Bestia. Impugnò la lancia e piombò sulla sua spalla. Il troll fece in tempo a pararsi con l’avambraccio sinistro e la lama si infilò tra radio e ulna. Prese il ragazzo per un piede e lo scaraventò a terra, strappandosi via l’arma dal corpo. Will riuscì ad attutire la caduta, ma sbatté ugualmente la spalla sinistra al suolo. Si rialzò e impugnò nuovamente la lancia. Un ampio sorriso apparve sul suo volto. Toshizo sguainò la katana.
-Fermo!- gli urlò il giovane –Non mi sono fatto niente! Ormai è in pugno!-
Toshizo fece una smorfia d’incredulità, come per dire “se lo dici tu”, e abbassò la spada, in posizione di riposo. Il troll mugugnò per la ferita e leccò il sangue.
-TU, PICCOLO UOMO DI MERDA!- gridò, sputando copiosamente –IO ORA DARE A TU MORTE! MORTE MOLTO BRUTTA!-
-Provaci.- sogghignò Will, impugnando la lancia ancora più saldamente. Il troll ruggì e si lanciò all’attacco. Ad ogni suo passo, i cuccioli e i bambini presenti  sembravano quasi rimbalzare sul terreno coperto di erba e di fango. Il mostro fece nuovamente roteare la clava sopra la sua testa e la lanciò contro il suo avversario. Lui non era lì. Ancora una volta aveva evitato il colpo. L’essere guardò in alto, ma il ragazzo non era neppure lì. Quando si accorse di lui, alle sue spalle, era troppo tardi: una delle lame della lancia sbucò dal suo petto. Colpito dritto al cuore. Will strappò via l’arma dalla ferita del mostro, schizzandosi i vestiti di sangue. Il troll cadde in avanti, con un tonfo, morto. La bimba, ancora tra le braccia di Ryan, si voltò e guardò il corpo esanime del troll che qualche minuto prima stava per divorarla in un sol boccone.
-Mimi!- esclamò la madre, correndo verso di lei.
-Mammina!- poi si voltò verso Ryan –Mi metti giù, per favore?-
Il ragazzo annuì e con cautela, quasi come se quel corpicino fosse fragile come il cristallo, la pose a terra. La piccola corse verso sua madre, usando le gambette e le braccine cicciotte mentre teneva la minuta coda, coperta di morbido pelo bruno, dritta come l’antenna di una radio, e le saltò in braccio accovacciandosi sul suo petto. 
-Un gioco da ragazzi!- esclamò Will, riponendo la sua arma nella sua sacca, che nonostante fosse piccola inghiottì la lancia. Haku si avvicinò al corpo privo di vita del mostro: gli occhi vitrei erano rivolti verso l’alto e dalla bocca sgorgava sangue, probabilmente vomitato appena è stato colpito, e la saliva verde si stava solidificando. Per procurare una ferita così profonda ad un troll di quelle dimensioni bisognava essere in possesso di una forza disumana: la loro pelle coriacea era difficile da trafiggere, persino con le lame più affilate e spesse mai esistite.
Sidney esultò improvvisamente e si udì un forte fruscio dal macchinario che stava cercando di potenziare.
-Il segnale è presente! Ed è anche bello forte!- esclamò, affacciandosi dalla parte dove si erano tutti raggruppati. Haku fissò nuovamente il corpo privo di vita ai suoi piedi.
-E se fosse il troll ciò che offuscava le onde?- chiese, innocentemente.
-Ehi, Sid, il ragazzino ha ragione.-
Un uomo uscì dalla folla di meccanici: era come se Ryan fosse cresciuto di trent’anni  e le sue guance si fossero nascoste sotto una folta barba scura.
-I troll del centro di Draconis Patria, vivi, sono in grado di offuscare tutti i segnali che comportano l’uso di onde radio per giungere a destinazione…- disse l’uomo, avvicinandosi a Sidney. –E a giudicare dal suo aspetto… questo schifo è uno di quelli. Tu che ne pensi, eh Will?-
-Credo tu abbia ragione, zio Bob.- rispose il giovane, massaggiandosi la spalla sinistra –E credo che stanotte mi uscirà un bel livido dove ho sbattuto.-
-Sei stato un impudente a combattere dopo aver sbattuto così forte al suolo sai?!-
Haku si voltò. Dietro di lui c’era una ragazzina, con dei vestiti da meccanico color verde bottiglia. I corti capelli biondi e ricci erano scompigliati, quasi come esternazione del suo stato d’animo, e fissava Will con i suoi grandi occhi verde smeraldo, cerchiati da folte ciglia nere. La bocca fine era contorta in una smorfia di rimprovero. Will appena la vide sbuffò e voltò lo sguardo altrove.
-Ci risiamo…- borbottò, scuotendo la testa.
-E non azzardarti a cambiare discorso, eh! - continuò la piccoletta, facendosi spazio e raggiungendo il ragazzo, che a confronto sembrava un gigante. –Tu non pensi mai alle conseguenze! E se nella caduta ti fossi rotto la spalla, o qualche altro osso? E se quel troll ti avesse colpito con quella clava? E se…-
-Dai Abegail!- esclamò Ryan, avvicinandosi con cautela. –Will sta bene, non si è fatto nulla, se la caverà solo con un livido…-
-Tu fatti gli affari tuoi, Ryan!- sentenziò Abegail, puntandogli il dito contro, per poi voltarsi nuovamente verso Will –E poi il modo in cui hai lanciato quel cucciolo! E se Ryan non fosse riuscito ad acciuffarla? E se si fosse andata a schiantare contro un albero? E se…-
-CHIUDI IL BECCO!- urlò Will, dandone una botta un testa, usando le nocche della mano destra. –Sei noiosa, accidenti! E chi ti ha nominato mia tutrice? Sei ancora una mocciosetta entrata due giorni fa nel gruppo principale e ti senti in diritto a farmi la predica? Certo che sei proprio assurda!-
La ragazza si allontanò, indietreggiando e tenendo le mani sul punto dove è stata colpita.
-Oh!- esclamò Toshizo, facendo un passo avanti –Quindi non è la tua fidanzata!-
-Certo che no!- esclamò Will, imbarazzato. A quelle parole, Abegail chinò la testa, quasi rassegnata. –È solo una dei miei amici, e poi non è il mio tipo! Non mi metterei mai con una persona che mi arriva all’ombelico!-
A quelle parole quasi tutti i meccanici sghignazzarono e Abegail divenne rossa come un peperone.
-Uff… Tu non sai come si trattano le ragazze, vero?- sentenziò Toshizo, portandosi una mano sulla fronte.
-E allora?- ribatté Will, facendo l’indifferente. –Per ora le femmine non mi interessano, prima mi occupo del lavoro!-
Haku si mise a braccia conserte e borbottò qualcosa simile a “Stakanovista!”.
-Poi non lamentarti se a quarant’anni sei ancora vergine!-
-Non le ho certo chiesto di farmi da consulente matrimoniale! E tanto meno non voglio che a farmelo sia un uomo sposato con la fissa per i pornazzi!-
A quelle parole Toshizo si voltò verso Sidney, che sfoggiò un sorrisetto malizioso.
-Dovevi dirgli anche quello sul mio conto?- chiese lo spadaccino.
Improvvisamente la folla dei passeggeri iniziò ad essere più movimentata.
-Che succede?- chiese Sidney, avvicinandosi a loro.
-Capo!- esclamò uno dei meccanici. –Due dei passeggeri sono scomparsi!-

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Capitolo 6
*** Passeggeri scomparsi ***


-Come sarebbe a dire?- chiese Sidney, stizzito, avvicinandosi all’uomo che aveva appena parlato.
-Quando abbiamo controllato i passeggeri mentre li facevamo scendere dallo Zeppelin, tutti erano presenti… - rispose, abbassando lo sguardo –Ma, durante il tumulto creatosi per la presenza del troll… Un uomo si è accorto che sua figlia e uno dei ragazzini lì presenti non c’erano!-
Sidney si tolse gli occhiali e li pulì usando un fazzoletto che aveva in tasca.
-E avete già controllato se, invece, sono ancora qui o sono entrati nello Zeppelin?- chiese, mettendo le lenti in controluce.
-È impossibile che siano entrati nello Zeppelin.- affermò Will, senza smettere di massaggiarsi la spalla –Gage e Elie sono di guardia all’entrata del mezzo, e superarli è impossibile.-
-Mmh, forse hai ragione…- commentò il vecchio, rimettendosi gli occhiali –E chi sarebbe il cazzone che ha lasciato incustodita sua figlia?-
-Sono io.-
Dalla folla uscì un uomo magro e slanciato. Indossava un cappotto in pelle nera, e dal colletto sbucava una camicia bianca a righe verticali blu. I corti capelli biondo cenere erano leggermente scompigliati, ricadevano sugli occhi verdi, incorniciati da occhiali con la montatura squadrata. Reggeva una vecchia borsa a bauletto in pelle con la mano destra.
-Daichi Tatsumoto.- continuò, sistemandosi il polsino sinistro –E sono un medico.-
-Ah, ecco. Il famoso dottor Tatsumoto.- sbottò Sid, avvicinandosi –E nessuno ti ha detto che devi fare attenzione se porti a spasso dei bambini?-
-Mi dispiace, ma con la confusione che si è creata non sono riuscito a controllare se mia figlia fosse vicino a me o se si fosse allontanata.- ribatté il dottore, poggiando la borsa a terra –E poi, non voglio che un vecchio in grado di lasciare che suo nipote combatta contro un troll alto il doppio di lui, mentre se ne sta a giocherellare con una ricetrasmittente, mi faccia la ramanzina.-
Sidney sollevò le mani all’altezza del viso, per poi abbassarle, sbuffando.
-E va bene… -disse –può darci una descrizione di sua figlia?-
-Una ragazzina sui tredici anni, con i capelli rossi raccolti in due codine e con una giacchetta azzurra, con un cuore rosa stampato sulla schiena. Era insieme ad un ragazzino con i capelli corti, castano scuri, e con gli occhiali da vista. Da quando è iniziato lo scontro con il troll, ho distolto lo sguardo per qualche secondo, e come mi sono voltato, non c’erano più. Pensavo si fossero spostati in avanti, per assistere meglio, ma non sono riuscito a trovarli.- rispose il dottor Tatsumoto, inginocchiandosi e aprendo la borsa.
-Ma che sta facendo?- gli chiese Haku, avvicinandosi un po’ di più, in modo da essere sulla stessa linea del vecchio meccanico.
-Sto controllando che tutta la mia attrezzatura sia a posto.- commentò lui, richiudendo la borsa e alzandosi in piedi. Poi volse lo sguardo verso Will, guardandolo negli occhi. –La spalla ti fa più male di quanto dai a credere, non è vero?-
Will sussultò.
-Come pensavo…- continuò, avvicinandosi al ragazzo –Dal tonfo che hai fatto quando sei caduto, ho subito capito che non te la saresti cavata con un semplice livido…- Poi si voltò verso due meccanici alle sue spalle. –Potreste montare una delle tende, per cortesia? Devo visitare il paziente con urgenza.-
-U… urgenza?- disse Will, indietreggiando. Haku notò che nei suoi occhi cerulei vi era un velo di timore. –Non si preoccupi! Non è nulla di grave, è solo un colpetto! Non sarà mica questo a fermarmi!-
Ryan gli pose delicatamente la mano sulla spalla. Will mugugnò e cadde in ginocchio.
-Solo un colpetto, eh?- disse il dottor Tatsumoto, aiutando i due meccanici. Haku si avvicinò al ragazzo e lo aiutò ad alzarsi. Sul suo volto vi era un’evidente smorfia di dolore e imbarazzo.
-Tutto ok?- gli chiese il giovane Dra-Hagan.
-Più o meno, ho avuto momenti migliori.- rispose il meccanico, allontanandosi leggermente da lui e bofonchiando qualcosa simile ad un “grazie”. Haku gli guardò la spalla e notò che era parecchio gonfia. “Altroché un livido…” pensò il giovane, continuando a fissare “Per me sembra troppo gonfia per avere solo un livido…”
Il dottore si avvicinò e prese il gomito sinistro, sollevandolo in alto. Will mugugnò nuovamente.
-Beh, la cosa buona è che non ti sei rotto nulla, ma ha una bella contusione.- disse, continuando a fargli muovere il braccio, ignorando i suoi lamenti. –Se la lasci almeno una settimana a riposo, forse anche meno, tornerà a posto come prima.- Poi si voltò verso i meccanici che stavano finendo di sistemare la tenda. –Quanto manca che sia pronta?-
-Ancora un attimo!- rispose uno dei due, finendo di piantare a terra l’ultima stecca e sistemando il telo in modo da lasciarlo ben teso. –Abbiamo quasi finito.-
Il dottore annuì, poi si volse verso Will. –Appena la tenda sarà pronta, entra dentro e spogliati, così ti posso visitare.-
Will deglutì sonoramente, quasi come se avesse timore di quell’uomo. Haku notò tutto ciò.
-Sicuro di stare bene?- gli chiese.
-Ho solo paura dei dottori…- rispose il meccanico, tremando leggermente.  Il Dra-Hagan alzò il sopracciglio destro, quasi come se fosse stupito. “Un uomo grande e grosso come lui che ha paura di un dottore?” si chiese, mettendosi a braccia conserte. A dire il vero, lui non sapeva cosa facessero esattamente i dottori. O meglio, lo sapeva, ma non lo ha mai provato sulla sua pelle in modo diretto. Curavano malattie, ferite, mettevano bende e cerotti, facevano iniezioni. Ma il giovane Dra-Hagan non aveva mai provato tutto ciò sulla sua pelle. Quando gli altri bambini cadevano e si sbucciavano le ginocchia, tornavano dalle loro madri e si facevano medicare, tornando nuovamente a giocare con la pelle tempestata di cerotti di varie dimensioni. Quando lui cadeva e si sbucciava ginocchia e mani, dopo qualche secondo le ferite si erano già rimarginate. Qualche volta aveva pianto, come tutti i bambini, ma la sua candida pelle non aveva mai scoperto cosa fossero i cerotti e le bende. Sapeva soltanto che le ferite portavano sofferenza. L’aveva vista nel suo maestro, quando dieci anni prima venne aggredito da dei banditi e ridotto in fin di vita, e in Anna, che rimase notte e giorno a vegliare su di lui, nonostante nel suo grembo accoglieva la piccola Tatsuki, che non vedeva l’ora di conoscere il mondo esterno. “Le ferite arrecano dolore a chi le ha sul proprio corpo, e ne infligge di peggiori al cuore di chi ti vuole bene” pensò, quella volta “Non dovrebbero esistere in questo mondo, dovrebbero essere bandite, proprio come fa l’imperatore con i cattivi e coloro che lo tradiscono. Le ferite sono come infide bestie, godono nel veder soffrire te e chi ti sta intorno…”.
Toshizo si avvicinò a lui e gli pose una mano tra i capelli. –Tutto ok?-
Haku tornò in se. Perché pensava quelle cose?
-Sì, stavo solo pensando ai fatti miei.- rispose, sorridendo.
-Dobbiamo trovare quei mocciosi.- disse Sidney, tornando ad occuparsi della ricetrasmittente, alla ricerca di un segnale abbastanza forte. –Ryan, prendi un paio di uomini e perlustra la zona. Abegallina…-
-Abegail!- lo corresse la ragazza, stizzita.
-Sì, va bè… Tu vai con gli altri a montare le tende e manda altri due al posto di Elie e il Ciccio Bomba…-
-Nonno, non essere irrispettoso!- lo rimproverò Will, avvicinandosi alla tenda e al dottor Tatsumoto.
-Tu pensa a farti controllare!- disse Sidney, consegnando agli altri meccanici una tenda e gli strumenti –E se ti azzardi a piangere o mugolare, ti faccio mettere la museruola!-
Haku sorrise alla battuta e venne notato dal vecchio.
-Oh, finalmente qualcuno che ridacchia per le mie battute!- esclamò, tutto contento.
-Io non ci trovo nulla da ridere…- commentò Ryan, cercando di non farsi sentire. Toshizo, però, era parecchio preoccupato. Per tutto il tempo aveva la fronte corrugata e teneva la falange dell’indice destro poggiata sul labbro superiore. Haku notò il suo turbamento.
-Maestro, c’è qualcosa che non va?- chiese, quasi come se stesse sussurrando. L’uomo scostò la mano dal viso e annuì.
-Non so perché, ma ho un brutto presentimento…- disse, facendo cenno al ragazzo di seguirlo e avvicinandosi a Sidney. –Andiamo a controllare anche noi, ci divideremo, così faremo più in fretta. Usiamo i coltelli e segniamo le cortecce degli alberi, così non rischieremo di perderci…-
Quando raggiunsero Sidney, il vecchio meccanico sbraitava e sputava ordini a destra e a manca, mentre cercava di sistemare l’attrezzo.
-Sidney?- disse Toshizo, poggiandogli una mano sulla schiena. Il vecchio si voltò di scatto.
-Sì, che ti serve?- chiese, tutto d’un fiato, continuando a fare cenni e gridare ai suoi uomini.
-Io e Haku dobbiamo allontanarci per qualche oretta. Dato che siamo qui, in un posto aperto, ne approfittiamo per un po’ di esercizio tra gli alberi. Se i soccorsi arrivano prima che siamo tornati, potresti fare il favore di mandarci a chiamare?-
-Sì, ma non allontanatevi troppo, altrimenti col cazzo che mando i ragazzi a riprendervi!- rispose Sidney, mandando un novizio a prendere una delle torce e portarla dove dovevano mettere le tende.
-Va bene, non preoccuparti.- e il maestro si voltò –Haku, forza, andiamo.-
Il ragazzo annuì.
-Doveva proprio dirgli una bugia?- chiese, appena furono lontani dalla folla di passeggeri e meccanici.
-Se gli avessi detto la verità, l’avrebbe presa come un insulto ai suoi colleghi e a se stesso.- rispose lo spadaccino, estraendo la daga da sotto il mantello. Si avvicinò ad un albero e intagliò una grossa X sulla corteccia. –I Blacksteam sono molto orgogliosi, anzi: è stato strano che il giovane William ti abbia ringraziato e che si sia lasciato aiutare da un estraneo… Beh, meglio per lui: almeno non è stronzo come quel vecchio rudere di suo nonno.-
Haku scosse la testa, sorridendo. Giunsero di fronte ad un enorme quercia. Il possente tronco si alzava tra tutti gli alberi della foresta, facendo in modo che la sua grande fronda torreggiasse su tutte le altre. Le grosse radici filtravano avidamente l’acqua dal terreno, come se la volessero tutta per loro, e si estendevano per parecchi metri. Le ghiande sembravano così grandi che una sarebbe bastata a sfamare cinque scoiattoli, se non di più. Secondo gli anziani, vicino ad una grossa quercia vi era sempre un Tempio. Che fosse di Shinryu o di Kuroryu, non importava: la Grande Quercia indicava la presenza di un edificio sacro nelle vicinanze.
-Non c’è bisogno di segnare questa quercia…- affermò Toshizo, alzando lo sguardo verso la fronda rigogliosa. Il fruscio delle foglie interrompeva il glaciale silenzio del verde in cui i due si erano immersi.
-Ha ragione, possiamo usarla come punto di riferimento e segnare gli altri alberi…- commentò Haku, accarezzando la corteccia con la mano destra. Con le esili dita sentì ogni bozzo ed ogni crepa nel fusto. Quasi sicuramente era un albero secolare, se non millenario.
-E credo sia opportuno separarci.-
A quelle parole, Haku si voltò verso il suo maestro.
-Già da adesso?- chiese, fortemente dubbioso. Toshizo annuì.
-Sì, siamo abbastanza lontani dallo Zeppelin, anche se questo bosco sembra non finire mai…- rispose, allontanandosi dall’allievo. –Tu vai alla destra dell’albero, io invece vado a sinistra. Se trovi qualcosa, torna qui e aspettami. Se senti il rumore di qualcosa simile al motore di un velivolo e non sono presente, torna alle tende e dì a Sidney che mi sono perso.-
-Non ci crederà mai…-
-Può darsi, ma tu riferisciglielo lo stesso.- disse Toshizo, voltandosi a guardarlo. –Magari sarà troppo stanco per pensare e ci crederà pure!-
Haku sorrise e si voltò verso l’immenso verde, che diventava sempre più buio con la notte sempre più prossima. Le luci del crepuscolo passavano attraverso le anguste fessure tra le fronde. Il Dra-Hagan fece un sospiro e si inoltrò nella selva.
 
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L’aveva seguita per troppo tempo. Il sudore colava dalla sua fronte liscia e corta, e il calore gli aveva appannato gli occhiali. Il cappotto era troppo pesante per quel clima, per questo motivo stava sudando parecchio.
-Beh, che c’è? Non riesci a starmi dietro?- gli chiese la ragazzina, voltandosi verso di lui, a mo’ di scherno.
-Ti piacerebbe…- mormorò il giovane, sbottonandosi gli abiti. Ad ogni passo che faceva, il suo daishō e la tracolla sembravano farsi sempre più pesanti.
-Bene, allora perché non acceleri il passo?- ribatté lei, saltellando e facendo rimbalzare le code che aveva ai capelli –Se non facciamo in fretta, sarà troppo tardi!-
Il giovane sbuffò, toccandosi in direzione della milza e tergendosi il sudore con il polsino destro. Non ricordava perché stesse seguendo quella mocciosa. Forse perché lei lo ha trascinato con forza mentre la folla e suo padre erano attenti ad assistere al “bel meccanico” che faceva fuori il gigantesco troll. Alzò lo sguardo al cielo e i suoi occhi ambrati vennero colpiti dalla luce del sole al tramonto, assumendo una sfumatura dorata. Il cuore gli martellava contro la cassa toracica per la fatica.
-Ma sei sicura di ciò che hai visto?- le chiese, raggiungendola.
-Certo che sono sicura!- esclamò, alterata.
-Se fosse stato veramente un uomo ferito, perché non avvicinarsi a noi e chiedere aiuto?-
-Magari era spaventato dalla presenza del troll! Comunque sia, io l’ho visto voltarsi verso di noi e scappare nel bosco!-
Ad un certo punto il ragazzo la bloccò. Lei si voltò verso di lui, chiedendogli perché l’avesse fermata. Il giovane indicò una figura scura. Era intabarrata e i brandelli del suo mantello sembravano quasi incorporei, come se fosse l’oscurità stessa ad avvolgere il corpo. Dal mantello sbucava una mano, coperta da una manopola in ferro nero come la notte senza luna, che si aggrappava con forza al ramo più basso dell’alberello. La ragazza si avvicinò e l’essere si accorse della sua presenza. Si voltò verso di loro: sotto il cappuccio c’era una maschera di sangue e grandi occhi la fissavano con terrore. La ragazza si avvicinò ancora un po’ per guardarlo più da vicino: la sclera degli occhi era nera come l’onice e le iridi ametista, che cerchiavano le pupille dilatate e leggermente affusolate, sembravano vibrare. Le palpebre erano spalancate, così tanto da far intuire che i bulbi oculari potessero scappare qualora lo avessero voluto. Appena la ragazza fece un altro passo, l’essere si rizzò, mugugnando. Dal costato uscì un fiotto di sangue, che cadde sull’erba, dandole una sfumatura rossastra.
-Sei ferito, vero?- chiese la ragazza, avvicinandosi con cautela. L’essere indietreggiò, barcollando. –Stai tranquillo, non vogliamo farti del male! Mio padre è un dottore, si occuperà lui delle tue ferite. Vieni con noi, fidati, non c’è da temere…-
-Menzogne!-
L’essere si voltò e continuò a scappare, quasi fluttuando tra gli alberi.
-Cosa facciamo, June?- chiese il ragazzo, avanzando di qualche passo.
-Seguiamolo, non possiamo lasciarlo andare!- rispose lei, cominciando a correre verso dove si diresse la figura nera. Il ragazzo emise un verso di rassegnazione; dopo essersi ricomposto, si lanciò in quella folle corsa contro il tempo.

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Capitolo 7
*** Oscurità ***


Tutto il suo corpo bruciava. L’oscurità lo avvolgeva, teneva le membra unite e impediva che le sue ferite sanguinassero eccessivamente. Gli coprivano le gambe, le braccia, il torace, la schiena, il collo e il viso. Era stato sconfitto da quel mostro: aveva sembianze umane, ma aveva la forza e il potere magico che caratterizza i Non Umani. Per questo è stato sopraffatto. Avevano noleggiato una nave, e con la sua scorta era sceso in quell’isola per far trottare i cavalli. Quell’uomo aveva insistito per parlare in privato con lui.
-Sono uno stupido.- disse, tra i denti, cercando di ignorare il dolore.
Si allontanarono per parlare, ma quell’uomo aveva in mente tutt’altro. Appena furono lontani, si voltò verso l’essere. Il suo cavallo crollò a terra, con un grosso squarcio all’addome e le viscere che si cospargevano sul suolo. Il suo purosangue. Il purosangue che suo padre gli diede in dono al suo quindicesimo compleanno. Già, suo padre… Non sapeva se la notizia della sua scomparsa gli fosse già giunta.
Non ebbe neppure il tempo di scendere dal corpo esanime del suo destriero. Un fiume di lame gli tagliò la carne. Prima venne colpito alla spalla destra, poi al petto. Infine i colpi si fecero numerosi e perse il conto di tutte le volte che ne ricevette più di uno in un secondo. Cadde in ginocchio. Vide il suo sangue colare, intingendo le sue vesti di rosso e creando una grande pozza sotto le sue ginocchia. Quell’uomo continuava a guardarlo. Se la rideva. Rideva della sua sofferenza, della sua incapacità di reagire.
Si alzò di scatto e convocò l’oscurità. Con essa si fasciò il petto e tutte le parti dove era stato dilaniato.
-Portami via da qui.- le ordinò, ed essa lo trasportò fluttuando per la foresta. Più viaggiava, più i suoi poteri si indebolivano e le forze lo abbandonavano.
Sentì delle urla. Le urla di un cucciolo. Continuò a camminare, e dopo un po’ vide un troll e un’enorme quantità di persone. Era sicuro che fossero così tante persone? O nella sua debolezza, si sentiva così piccolo e minuto? Si voltò a guardare e notò che si stavano occupando della Bestia.
-Non devono vedermi…- mormorò,  continuando a fluttuare nel bosco.
 
Continuò a vagare per minuti, ma gli sembrarono ore. Si fermò accanto ad un albero e si resse ad uno dei rami più bassi. Non ce la faceva più, voleva mollare. Il suo potere stava svanendo, l’oscurità si stava affievolendo e le sue ferite stavano sanguinando più di prima. Doveva riposare. Doveva fare in modo che la sua parte Non Umana lo aiutasse a farle cicatrizzare almeno un po’.
Udì un rumore, dietro di lui. Si voltò di scatto. Una figura femminile. La debolezza gli impediva di vedere bene chi fosse. Vicino a lei c’era un’altra persona, probabilmente un ragazzino. La figura si avvicinò a lui, dicendo qualcosa. Si rizzò, ma per il movimento improvviso una delle ferite sputò sangue a terra. Sentì un bruciore dilaniante, gli faceva desiderare di strapparsi di dosso la parte lesa per avere un poco di sollievo.
La figura continuò a rivolgergli la parola. Udì solo qualche parola alla fine, che si sarebbero occupati delle sue ferite, che sarebbe stato meglio. No. Non l’avrebbero fatto, non poteva fidarsi di loro. Non poteva. Potevano essere traditori. Come quell’essere. La rabbia lo assalì. L’oscurità tornò più forte di prima, avvolgendo il suo corpo come l’abbraccio di una madre.
-Menzogne!-
Si voltò. Continuò a fluttuare. Aveva visto la Grande Quercia. Lì ci doveva essere un Tempio, lì si sarebbe potuto curare, sarebbe guarito e sarebbe tornato da suo padre per raccontargli cosa fosse successo.
“Che stupido.” Pensò “Potevo tornare dai miei uomini, mi avrebbero aiutato, si sarebbero occupati di quel verme, lo avrebbero giustiziato seduta stante…”
Ricordò quel sorriso. La derisione. Scosse la testa.
“No, li avrebbe uccisi e io sarei morto lì. Abbandonato da tutti e perso lì nella foresta.”
Vide una porta. Una costruzione. Il Tempio di Kuroryu, il dio dell’Oscurità. Fratello di Shinryu e protettore della forza, dopo aver subito una pesante sconfitta tre millenni orsono. La porta si aprì e lui vi entrò. L’oscurità si dissolse. Una pioggia di sangue cadde a terra. Cadde pure lui, stremato per la lunga fuga. Voltò lo sguardo in avanti. Un paio di zampe, con lunghi artigli e coperte da una folta peluria viola.
-Aiutami, per cortesia…- supplicò, sfiorano uno degli artigli della Bestia. Lei lo prese con dolcezza, forse con la sua coda serpentiforme, e lo pose sulla sua schiena, tra le due ali possenti.
Si addormentò, come un neonato cullato dalla madre, lasciandosi andare sul dorso della creatura.
-Avete bisogno di riposo, mio Signore.- disse il mostro. –Vi condurrò a bere l’acqua della Fonte della Vita. Shinryu e Kuroryu vi aiuteranno.-

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Capitolo 8
*** Foresta vivente ***


-MA QUANTO È GRANDE QUESTA DANNATA FORESTA?!-
In risposta alla sua domanda, un piccolo stormo di cornacchie si alzò in volo, accompagnate dal fruscio delle foglie. Haku sbuffò, poggiandosi su un albero. Tirò fuori il coltello e fece un segno sulla corteccia. L’ambiente era già buio, e il cielo era tinto di un blu molto scuro, ad eccezione di alcune pennellate di luce verso occidente.
-Chissà se il maestro ha già trovato i due ragazzini scomparsi…- borbottò, raccogliendo un ramoscello da terra. Lo avvicinò alle sue labbra e sussurrò: -Ignis.- La punta del bastoncino si accese e una piccola fiammella cominciò a consumarlo. Haku vi soffiò dolcemente, facendo ingrandire il fuoco che aveva generato, in modo da vedere quale strada prendere.
- E adesso dove vado?-
La sua attenzione fu attratta da una chiazza scura sul terreno umido. Il giovane si chinò e la toccò con l’indice e l’anulare della mano destra, mentre con la sinistra reggeva la fiamma. Si portò le dita alla bocca e le leccò.
-Sangue.- affermò rialzandosi. Puntò la torcia in avanti e vide che ce n’erano altre. –Ho un brutto presentimento…-
 
Il Dra-Hagan si fece strada, seguendo le chiazze sul terreno, fin quando esse scomparvero. Lo avevano portato ad un grande pilastro. La superficie marmorea era tempestata di crepe e muschio e il colore non era più bianco come doveva essere in origine. Il ragazzo ricordò le parole degli anziani: “Accanto ad una grande quercia, sorge sempre un tempio. Che sia di Shinryu o di Kuroryu, non importa”.
Haku deglutì e si voltò a destra. Un altro pilastro, nelle stesse condizioni del primo. La loro presenza stava ad indicare una sola cosa: il tempio era vicinissimo, e due file di tre pilastri o colonne lo precedevano.
-Che si siano rifugiati lì dentro per non morire di freddo o per non esser attaccati dalle bestie?- si domandò il giovane. Si piazzò al centro dei due giganti e proseguì. Dopo quattro metri incontrò la seconda coppia. Anche essi erano coperti da muschio, ma al contrario dei precedenti il loro stato di conservazione era migliore, dato che non presentavano crepe in superficie. Accanto al pilastro alla sua destra vi era un’altra chiazza di sangue.
-Spero soltanto che non sia di quei due imbecilli… - mormorò e continuò ad andare avanti.
L’ultima coppia di pilastri. Da quello che gli anziani di Drakken gli avevano insegnato, il tempio si sarebbe trovato a circa venti metri da lì. Ma lui non vide nulla. Davanti ai suoi occhi c’era una grande distesa verde. Anzi, nera. La luce della fiaccola non rivelava alcun colore. Tutto era nero come l’oscurità, ma aveva capito che si trattava di alberi.
-Che sia il tempio di… Kuroryu?- e si avvicinò alla selva, puntandole contro la torcia. Sembrò quasi che le foglie si spostassero, in modo da non farsi sfiorare dalla fiamma. Le avvicinò l’oggetto sempre di più ed essa cercava sempre più di evitarlo.
-Forse è la chiave per raggiungere l’ingresso del tempio! – affermò –Questi arbusti e alberi sanno quali sono gli oggetti in grado di offenderli, e si spostano! Quindi mi basterà puntargli addosso un’arma e del fuoco per farmi strada…-
Detto questo estrasse la spada e iniziò ad agitarla verso le foglie brune. Inizialmente si spostarono, proprio come aveva previsto, ma lo facevano molto lentamente.
-Dai, fate in fretta a spostarvi, per favore!- disse, agitando la spada e la torcia con veemenza.
Zac!
Un piccolo ramoscello cadde a terra e le foglie che lo coprivano iniziarono a rattrappirsi, come se stessero invecchiando di colpo.
Haku non fece neanche in tempo a notarlo e una forza invisibile lo scaraventò all’indietro. Cadde con un tonfo sonoro e quando venne a contatto con il terreno  perse la presa della spada, che cadde poco più lontano. Si voltò subito a raccoglierla, ma un’ombra si lanciò subito verso di lui. Fece in tempo ad afferrare l’elsa che quella persona se l’era caricato in spalla e aveva superato il mucchio di foglie e rami, per poi buttarsi in terra. Haku si rialzò dolorante e cercò di capire chi fosse quella persona. Vide solo una grande massa di capelli lunghi, lisci e scuri.
-CORRI, IDIOTA!- esclamò l’individuo, lanciandosi in avanti. Haku si voltò un attimo indietro e sgranò gli occhi. Al posto degli arbusti che aveva visto in precedenza, vi era un mostro, alto circa sei metri. Il suo corpo sembrava costituito da un tronco di albero e le braccia erano lunghi rami che terminavano con dita cosparse di foglie nere e affilate. Era privo di testa, al suo posto presentava un grande cespuglio nero. Il ragazzo rimase pietrificato. La bestia si mise in posizione eretta e sul suo torace apparvero due punti luminosi: grandi occhi color ambra che lo fissavano con rabbia. Al di sotto di essi si creò una spaccatura orizzontale che si spalancò. L’unica cosa che si sentì fu un lungo ruggito.
Haku si lanciò in una disperata corsa, seguendo l’ombra che lo aveva salvato.
-CORRI!!!- gli continuava ad urlare.
-LO STO FACENDO!!!- rispose, ansimante. Sentiva il sudore che gli colava sulla fronte e che gli impiastricciava i capelli. Il mostro li seguiva, ma era lento. Sembrava che la sua grande stazza lo bloccasse.
-Rallentiamo! Quel coso è più lento di noi, possiamo sfuggirgli ugualmente! – esclamò Haku, continuando a correre.
-Non ci pensare neanche! – rispose la persona che lo precedeva. –Lui si aspetta che noi caschiamo nella sua trappola! Se rallentiamo siamo fritti!!!-
-Ma…-
-Dammi retta e continua a correre, se non vuoi diventare cibo per quel mostro!-
Haku continuava a correre, tenendo però il viso rivolto alle sue spalle. Il mostro piantò un piede in terra e vi affondò tutta la gamba.
-Merda, qui si mette male!- esclamò il tipo davanti ad Haku.
L’essere piantò anche l’altro arto per terra e sprofondò.
-Che sta facendo?!- chiese Haku, privo di fiato. Stava per mollare, ma sapeva che se si fosse fermato sarebbe stato nei guai.
-Continua a correre!- rispose –Non rallentare per nessuna ragione al mondo, anzi! Accelera!-
La terra tremò per un momento. Haku cadde a terra. Si rialzò di scatto, ma qualcosa lo immobilizzò: dall’erba uscì un grosso ramo che si avvinghiò alla sua gamba. Cercò di tagliarlo usando la sua spada, ma ad ogni colpo esso si ingrossava. L’essere stava avanzando verso di lui: sembrava quasi che galleggiasse nella terra ed era più veloce di prima. Haku portò entrambe le mani in avanti, impugnando la spada e puntandola verso l’albero vivente.
“Forza, avvicinati!” pensò, chiudendo gli occhi, quasi in meditazione. Quando li riaprì, il mostro era a pochi centimetri dalla lama. “Ora!”
-MAGNA IGNIS!!!-
Dalla spada si generò un’enorme palla di fuoco e la lama venne circondata da lingue ardenti. Haku la alzò in aria, e, appena lo fece, il mostro si avvicinò subito. Abbassò la lama di scatto, colpendolo in pieno. L’essere emise un ruggito e il ramo che  bloccava la gamba del Dra-Hagan si sgretolò.
-Abbiamo guadagnato tempo!- disse il giovane, raggiungendo l’altra persona assieme a lui. –Per qualche secondo rimarrà bloccato!-
I due riiniziarono a correre, guadagnando terreno. Haku evitò di guardare indietro: aveva rischiato di rimetterci la pelle qualche attimo prima e voleva evitare di farlo nuovamente.
Improvvisamente, una grande struttura scura apparve di fronte ai due: il corpo era stretto e slanciato e al centro presentava un enorme portone nero, sormontato da un rosone, anch’esso nero. La facciata si sviluppava in alto con guglie e archi a sesto acuto, con fregi che rappresentavano dei gargoyle, delle gorgoni e creature simili ai draghi. Al portone si accedeva tramite una scalinata composta da quattro gradoni in marmo bianco, e di fronte ad essa vi era una sottile linea bianca.
“Un campo di forza?” si domandò Haku, sorpassandola. Anche il ragazzo che era con lui riuscì ad oltrepassarla. Appena entrambi misero i piedi sul primo gradone, il portone del tempio si aprì, emettendo un lento e assordante cigolio.
-Entriamo!- gridò Haku, indicando la fessura che si allargava ad ogni secondo che passava.
I due raggiunsero le due enormi ante e le spinsero con forza.
-Non si spostano!-
-Spingi più forte!-
-Lo sto già facendo!-
Il mostro aveva già quasi raggiunto i due, ma qualcosa lo bloccò. A partire dalla linea disegnata in terra si alzò un enorme muro di energia oscura. Ci andò a sbattere più e più volte, ma senza alcun risultato: ad ogni colpo che gli infieriva, esso diventava più spesso. L’essere iniziò a colpirlo con i suoi lunghi rami, come se stesse tirando calci e pugni, e gli ruggiva contro, sperando di distruggerlo con i suoni emessi dalla sua bocca.
Haku rimase a guardare il mostro che si struggeva, cercando di distruggere la barriera che lo separava dal tempio.
-Ehi! La porta si è aperta!-
Il ragazzo si voltò e vide che lo spazio tra i due blocchi neri era abbastanza grande da far passare una persona larga il doppio di lui. Guardò nuovamente il mostro, poi si inoltrò verso la struttura. Appena i due entrarono, il portone si richiuse con un tonfo sonoro. L’unica cosa che si udì dopo fu il ruggito della bestia.

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Capitolo 9
*** Il tempio nero ***


-Siamo salvi…- sentenziò la figura scura, sedendosi a terra e sdraiandosi ansimante.
Haku continuava a fissare la fessura irrisoria tra le ante del portone, mentre respirava a fondo e si riempiva i polmoni di aria umida. La luce era fioca ed entrava solo dal rosone e dalle trifore poste in alto nelle due navate esterne.
-Che accidenti era quel coso?- chiese, voltandosi verso colui che lo aveva aiutato a fuggire dal mostro. Quando quella persona si tolse il cappuccio scuro, il giovane lo riconobbe.
-Tu?!- esclamò Haku, avvicinandosi a lui con fare minaccioso.
-Appena inizio a ricordare come si respira… risponderò a tutte le tue domande!- commentò William, sedendosi con calma e grattandosi la nuca con la mano destra. –Prima di tutto: quel coso era un Treant, mi meraviglia il fatto che un avventuriero come te non conosca quella specie…-
-Ok, va bene, adesso rispondi: che diavolo ci fai qui? Non eri rimasto ferito durante il combattimento contro quel troll?-
-Nah, alla fine non era niente di grave.- rispose, alzandosi in piedi –Ho preso solo una forte botta, ma tutto a posto, secondo il dottore me la cavo al massimo con un bel livido…-
-E come hai fatto ad andartene con tutti i meccanici che facevano da “guardia”?-
-Semplice: ho detto che dovevo andare a pisciare nella foresta e, appena si sono voltati dall’altra parte, ho tagliato la corda!- disse William con un’aria quasi vittoriosa.
Haku si massaggiò la fronte e sbuffò. –Non posso credere che un uomo della tua età usi ancora il termine “pisciare”!-
-Beh, è più facile da dire rispetto a “fare la pipì” e “svuotare la vescica”, non lo pensi anche tu?- ribatté il ragazzo, facendo qualche passo avanti e piazzandosi di fronte al Dra-Hagan per fissarlo dritto negli occhi. –E poi… “uomo della mia età”… Mi fai sentire vecchio! D’altronde ho ancora 19 anni!-
Haku fece qualche passo indietro, basito.
-Mi rifiuto di credere che tu abbia quattro anni in meno di me!- esclamò, riavvicinandosi.
-Se vuoi ti faccio vedere i documenti. Comunque sia, non sei troppo nano per avere ventitré anni?-
-Facile definire gli altri nani quando sei alto più di due metri!- sbottò Haku spazientito e in evidente imbarazzo.
-Per tua informazione, sono alto due metri e cinque millimetri! E tu quanto sarai alto? Sì e no un metro e settanta qualcosa?-
-Ci tengo ad informarti che sono ancora un cucciolo! Raggiungo la maggiore età l’anno prossimo, e ci sono Dra-Hagan che alla mia età non superano il metro e sessanta! E se tanto ti interessa, signor Spilungone, sono alto un metro e settantasei centimetri! Un’altezza notevole per un Dra-Hagan della mia età!-
-Frena frena frena!- disse William, agitando le mani di fronte al viso. –Prima di tutto, mi sono dimenticato che sei un Non Umano, seconda cosa…- afferrò Haku per il colletto della giacca e lo alzò da terra in modo da averlo di fronte ai suoi occhi –Come cacchio ti permetti di darmi dello spilungone, eh?-
-Adesso calmati, ti prego!- esclamò Haku, cercando di liberarsi dalla sua presa. –Non intendevo offenderti, volevo solo rimarcare il fatto che sei… ehm… abbastanza alto?-
William sbuffò, agitando la testa, e abbassò la mano, facendo in modo che Haku poggiasse i piedi a terra, lasciandolo andare.
-Bah, fanculo… Comunque sia, sai dove cavolo siamo finiti?-
Haku scosse la testa. –Non lo so… ma questa struttura ha l’aria di essere un tempio…-
-Grazie, capitan Ovvio!-
Il Dra-Hagan si limitò a guardarlo in cagnesco.
-Comunque… cosa ci fa un tempio nel bel mezzo della foresta?-
-Sembra una struttura molto antica.- commentò il meccanico, avvicinandosi ad uno dei pilastri della navata e analizzandolo. –Questo marmo veniva prodotto circa cinquecento anni fa nelle cave a sud di Himemura. Ormai quei luoghi non producono più nulla, quindi l’intero edificio ha almeno mezzo millennio alle spalle. Ma, se ci si sofferma ad analizzare le decorazioni nelle scanalature dei pilastri… Si può notare che ricordano molto lo stile architettonico in uso durante la dinastia dei Caesar, salita al potere mille e cinquecento anni prima dei Cornelius.-
-Quindi questo coso potrebbe benissimo avere più di duemila anni?- domandò Haku, avvicinandosi ad osservare l’artefatto. Il ragazzo annuì.
-Vicino ad ogni tempio sorge sempre un villaggio o una città, l’unica eccezione è Doleno, la città imperiale…- disse, continuando ad analizzare. –Probabilmente il centro abitato è andato distrutto in seguito a qualche disastro, il tempio non è stato usato da almeno trecento anni…-
Haku si guardò intorno. La sua attenzione fu catturata da un’enorme lastra di pietra posta alla fine della navata, proprio dietro l’altare.
-E quella? Cosa è?- chiese, percorrendo la navata e continuando ad osservarla. Sembrava fatta di ossidiana e al centro era rappresentato un essere con fattezze umane dal quale spuntavano enormi ali da pipistrello, le mani presentavano lunghi artigli e il suo volto aveva lineamenti mostruosi: gli occhi erano di forma affusolata e l’iride copriva gran parte del bulbo oculare, e la bocca era enorme e dotata di denti aguzzi e enormi.
-Sembra una lastra votiva…- commentò William, avvicinandosi. –C’è rappresentato qualcosa?-
-Sì… sembra un uomo, ma ha le ali e la faccia da mostro. Che cosa rappresenta?-
-Quella è la rappresentazione arcaica dei Dra-Hagan.-
Haku si voltò verso di lui con aria interrogativa. Come poteva essere un Dra-Hagan la figura raffigurata in quell’oggetto maestoso?
-Secondo la leggenda, i Dra-Hagan erano esseri che avevano sia le fattezze degli Umani sia quelle dei draghi. Nonostante non facessero male a nessuno, tutti li tenevano lontani per via del loro aspetto terrificante, inoltre gli Umani cercavano di allontanarli facendo in modo di distruggere le loro case, i loro villaggi… Uccidevano persino i loro cuccioli. Per questo motivo i Dra-Hagan hanno iniziato a vivere in piccoli agglomerati lontani dagli Umani. In alcuni di loro nacque odio nei confronti della razza umana.-
Ascoltando quelle parole, Haku stinse i pugni e si irrigidì: non voleva credere che nel passato gli Umani ce l’avessero a morte con la sua razza.
-Perché gli Umani avrebbero dovuto comportarsi così nei confronti dei Dra-Hagan?- domandò, avvicinandosi alla lastra e continuando a scrutarla.
-Non saprei…- commentò William, mettendosi con le braccia conserte. –La scusa per il fatto che fossero esseri brutti di aspetto è parecchio campata per aria… Molto probabilmente lo facevano per pura invidia.-
-Invidia?-
Il meccanico mugugnò, annuendo. Poi si avvicinò all’angolo in basso a destra della lastra, alta sì e no quattro metri. –Noi esseri Umani siamo esseri invidiosi. Probabilmente non gli andava a genio che i Dra-Hagan sapessero fare un casino di cose che loro si sarebbero sognati… Magari avevano anche paura che, prima o poi, il loro primato sul Pianeta fosse annientato degli Uomini Drago… Se vuoi il mio parere… Sono tutte scuse del cazzo.-
Haku continuò a fissare la stele, analizzando ogni suo dettaglio.
-Ehi!- esclamò, voltandosi verso il moro. –Certo che ne sai di cose su templi e leggende!-
-Guarda che ho dei passatempi anche io!- esclamò, tirando fuori dalla borsa attaccata alla coscia destra una fotocamera. –Poi, non so perché, le leggende mi hanno sempre affascinato. Ricordo che da piccolo mio nonno mi regalò un libro che raccoglieva tutte le leggende che giravano attorno all’Impero. Ovviamente, essendo un libro per bambini, non presentavano i dettagli più scabrosi, come omicidi, stragi eccetera… Scusa, ma adesso scatto qualche foto: un edificio così è straordinario.-
Il Dra-Hagan annuì e il meccanico si allontanò.
“Perché questo luogo mi è familiare?” pensò, avvicinandosi alla stele e esaminandola nuovamente.
-Come mai ti trovavi lontano dal gruppo?- gli chiese William, chinandosi ad esaminare un’epigrafe musiva.
-Io e il mio maestro ci siamo allontanati con la scusa di andare ad allenarci per cercare una ragazzina scomparsa tra i passeggeri.-
-Intendi la figlia adottiva del dottor Tatsumoto?-
-Sì, lei. Io e il maestro ci siamo divisi per cercarla… ma conoscendolo si sarà perso nel bosco. Sono arrivato qui seguendo delle tracce di sangue che ho trovato sul suolo…-
-Sangue?-
Haku annuì. –Non credo sia della ragazza. Era il sangue di un Non Umano. E tu come hai fatto a trovarmi?-
-Seguendo le tue impronte e la puzza.-
-Le impronte e… LA PUZZA?!?- strillò, con aria stizzita.
-Sì, non dirmi che non ti sei accorto di aver schiacciato merda di troll! –
Haku alzò il piede destro e lo sollevò in modo da vedere la suola dello stivale: era completamente ricoperta di feci scure e maleodoranti.
-Ma che schifo!-esclamò. Per un momento perse l’equilibrio e cadde all’indietro. Andò a sbattere la schiena contro la stele, che si spostò leggermente all’indietro.
-AH! AIUTO!-
-Haku!-
William si precipitò nuovamente all’altare. Haku era incastrato nella fessura che si era creata nel pavimento con lo spostamento della lastra.
-Tutto bene?- gli chiese il ragazzo, aiutandolo ad alzarsi.
-Sì, ho solo raschiato le chiappe come sono caduto…-
Una volta in piedi, i due esaminarono meglio l’oggetto. William poggiò entrambe le mani e provò a spingere, ma la lastra non si spostava neppure di un millimetro.
-Come cacchio hai fatto a spostarla?- gli chiese, continuando a spingere, senza alcun risultato.
Haku si avvicinò a lui e poggiò la mano sulla lastra, spingendola delicatamente. Si spostò di qualche millimetro.
-Che sia una lastra che reagisce solo al tocco di un Non Umano?- chiese Haku, facendo cenno a William di spostarsi. Il meccanico fece un passo indietro. Il giovane la spinse forte con entrambe le mani. Essa si spostò velocemente, arrivando a qualche millimetro dalla conca absidale, quasi come se fosse leggera come un muro di cartapesta.
-Guarda!-
Haku guardò dove il ragazzo stava indicando. Dove c’era la lastra adesso vi era una rampa di scale in marmo che portava verso il basso, probabilmente ad un ambiente simile ad una catacomba.
-Delle scale…- mormorò il Dra-Hagan, chinandosi e annusando l’odore che proveniva da quel luogo. L’umidità e la muffa avevano reso l’aria rancida e maleodorante. –E dalla puzza direi che non vengono usate da parecchio tempo!-
-La nonna ha ragione! La merda di troll porta fortuna!- esclamò il meccanico, dandogli una pacca sulla schiena. Haku si limitò a voltarsi e a guardarlo accigliato per qualche secondo. Si alzò in piedi.
-Secondo te dove porta?-
-Ah, non lo so!- esclamò il meccanico, che nel frattempo aveva già quasi raggiunto la fine della breve rampa.
-IMBECILLE! Non ti è passato per quella testacola che potrebbero esserci dei mostri o dei guardiani?!-
-Pfff! Baggianate!- ribatté, facendogli cenno di scendere anche lui. –Andiamo! Il giovane avventuriero William Edward Blacksteam è pronto alla caccia al tesoro!-
-Il tuo secondo nome è Edward?- chiese Haku, scendendo con cautela le scale.
-Sì.- rispose il ragazzo, rovistando dentro la sua borsa e tirando fuori due torce. Ne lanciò una ad Haku.
-E non rispondere come se fosse tutto ovvio!-
-Blah blah blah! Non ti sento!-
“Che imbecille…” pensò Haku, accendendo la torcia e seguendo il meccanico. “Sarà una lunga nottata, me lo sento.”
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-Ehi, June: hai visto?-
-Sì.- rispose la ragazzina, aspettando che il Dra-Hagan e il meccanico sparissero dalla loro vista. –Quello è un passaggio che solo i Non Umani possono aprire…-
Uscì da dietro la colonna e corse verso la lastra.
-Ma che fai?!-
Lei si voltò verso il ragazzo.
-Dai! Sbrighiamoci, prima che l’accesso si chiuda come è successo appena siamo arrivati!-
-Ti ricordo che siamo riusciti ad evitare i Treant per pura fortuna. Oggi non mi va di rischiare la pelle.-
-E dai, Jeen! Non fare il guastafeste! Guarda che se non vieni ci vado da sola!-
Jeen sbuffò ed uscì anche lui allo scoperto. Indossava un pesante mantello color cuoio. Seguì a malincuore June che, nell’eccitazione, stava già scendendo le scalette.
“Non finirà bene.” Pensò, afferrando una torcia appesa al muro. “Non finirà affatto bene questa storia…”
La lastra nera chiuse il passaggio.
Alle loro spalle si levò un boato.

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