Live your life

di KiaJB
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

Milano con queste nuvole sembra ancora più triste di quanto già è ogni singolo giorno.

Di neve non c’è nemmeno l’ombra ma il gelo si nota anche sulle macchine parcheggiate ai lati della strada.

Cammino lentamente con le mani in tasca e le cuffie alle orecchie.

Il freddo si sente facendoci sembrare ancora più in inverno di quanto in realtà siamo.

È il 28 febbraio e io per passare il tempo ho deciso di farmi un giro per le vie dell’affollatissima città che fa da provincia al mio piccolo paesino dove sono cresciuta.

Mi siedo su una panchina mentre le note di “Underwater” rimbombano nella mia testa, adesso senza pensieri.

Osservo la gente del posto.

Ci sono grandi uomini che camminano frettolosi con la loro valigetta da lavoro. Ci sono coppiette che fanno shopping nei negozi più famosi e costosi di Milano. Ci sono bambini con le loro madri che camminano con il sorriso sulle loro facce mentre fanno merenda.

A volte mi chiedo perché non sono come quelle ragazze della mia età sempre felici e sorridenti pieni di amici e spasimanti che le vogliono bene.

Sono rimasta sola.

Bhè si, qualche amica ancora ce l’ho ma ormai nessuno mi chiede più se voglio fare un giro con loro il pomeriggio oppure andare a vedere un film al cinema insieme.

Ho amiche ma nessuna di loro è quella “speciale” su cui puoi sempre contare per ogni cosa e sei sicura che qualunque cosa tu le dica non ti giudichi.

I miei pensieri vengono interrotti dallo stopparsi della canzone.

Qualcuno mi stava chiamando.

Sullo schermo si illumina la parola “Mamma” che dopo un leggero sospiro mi porta a schiacciare il tasto verde del cellulare.

-Pronto Mamma- le dico nascondendo la punta di nervosismo.

-Tesoro, stai tornando a casa? Ti ricordo che oggi abbiamo ospiti- dice semplicemente. Sbuffo ricordandomi di quella noiosissima cena di lavoro che questa volta (a sfortuna mia) si svolgerà a casa mia.

Mio padre è una persona abbastanza importante nell’industria musicale come manager del più famoso cantante dei primi anni del 2000.

Michael Penniman è uno dei suoi clienti migliori.

Non capisco perché dopo aver saputo che il mio idolo era un cliente di papà io non lo abbia ancora conosciuto e nemmeno visto dal vivo in un concerto. Mio padre dice di non voler mischiare il lavoro con la vita privata quindi non ha intenzione di aiutarmi a incontrarlo usando il suo nome. Pft, stupido!

-Si mamma, ora arrivo. Il tempo di arrivare con il treno e la metro- dico velocemente cercando di terminare quella telefonata velocemente.

-Va bene, fai in fretta e non fare merenda che altrimenti dopo non mangi- mi fa le solite raccomandazioni da bambina di cinque anni.

-Si mamma, a dopo- e con queste parole finalmente concludo quella non gradita telefonata.

Mi alzo di malavoglia e mi incammino verso la fermata della metropolitana.

Un tuono rimbomba tra le vie della città facendomi sentire ancora più stupida per non aver preso nemmeno un ombrello prima di uscire.

Iniziai a velocizzare il passo fino a ritrovarmi a correre sotto la pioggia mentre nelle orecchie ripartiva per la terza volta “Underwater” che faceva parte della mia playlist di sette canzoni: “Grace Kelly”, “Emily”, “Underwater”, “Celebrate”, “Kick ass”, “We are golden” e “Stardust”.

È ovviamente una casualità che sono tutte di Mika, lo amo.

Amo il modo in cui canta e le sue canzoni, tutto di lui mi attira. Anche le sue foto quando mi ritrovo a guardarle sul computer o su un giornalino da ragazzine. Lui sorride e senza motivo fa sorridere anche me, per non parlare di quelle piccole fossette che gli si formano ai lati della bocca che lo fanno sembrare un bambino.

 

***

 

-Tesoro sei in ritardo, gli invitati sono già arrivati. Hai cinque secondi per cambiarti e asciugarti i capelli- dice mia madre appena mi sente entrare.

Sbuffo entrando in camera senza farmi notare in salotto dove sicuramente ci saranno tutti gli invitati.

Appena entro nella mia camera mi ritrovo sul letto un vestito a me completamente sconosciuto. Ovviamente mia madre avrà voluto comprarmi un vestito più femminile perché pensa che io non ne abbia nessuno per queste occasioni.

Sbuffo e prendendolo corro in bagno per cambiarmi e asciugarmi i capelli che sono completamente fradici.

Mi ritrovo davanti ad uno specchio a fissarmi disgustata. Il verde non mi sta tanto bene e credo che mi faccia i fianchi troppo larghi ma dopotutto, chi mi deve vedere se non dei vecchi bacucchi che non vedono l’ora di andare in pensione per andare a fare viaggi in tutto il mondo e spassarsela giocando a scala quaranta con i nipotini.

Con un lento passo e un falso sorriso mi avvicino al salotto.

Prima di svoltare lo sguardo mi ritrovo a fare un lungo respiro cercando di sembrare gentile e simpatica.

Appena entro in salotto mi ritrovo davanti ad un tavolo più lungo del solito e molto addobbato.

-Ecco signori, vi presento mia figlia Clarissa- sorride mio padre prendendomi per i fianchi e avvicinandomi a lui.

Sorrido mentre quei vecchi bacucchi si avvicinano salutando gentilmente.

Sono sicurissima che quando questa cena sarà finita inizieranno i commenti che non possono mai mancare sulla casa, la moglie di casa e la figlia scortese. Per loro puoi essere la persona più brava a questo mondo ma per loro sarai sempre scortese.

-Molto piacere- sorrisi a ogni singola persona in quella stanza compresa mia madre che mi faceva segno di stare più dritta con la schiena.

-Ma che bella questa ragazzina, ha preso tutto dalla madre- dice un uomo tra i più giovani. Più o meno un cinquantenne singol che se la vuole spassare con la prima che glielo permetta ma è inutile che continua a provarci con mia madre, non farebbe mai nulla del genere a mio padre.

-Bene, possiamo sederci- dice mio padre avvicinandosi al posto a capotavola.

Tutti i suoi colleghi bacucchi gli si siedono affianco e io mi ritrovo affianco a mia madre che mi sussurra:

-Sii più gentile con gli ospiti. Hanno notato tutti la faccia disgustata che hai fatto quando Robert ha fatto quel complimento- dice.

Robert?Robert?lo chiama anche per nome? Ma per favore!

Le sorrido annuendo visto che davanti a lei si è appena seduto quello sfigato cinquantenne che ci prova con le donne già sposate.

Appena tutti gli uomini iniziano a parlare di “cose di lavoro” mi ritrovo ad osservare il posto apparecchiato davanti a me.

Non c’è nessuno e sembra che non importi ai signori qui presenti.

Sembra un posto per una persona importante avendo usato i piatti e le posate che i miei zii hanno regalato ai miei genitori quando si sono sposati. Il particolare che più mi stupisce è il vedere una sedia più bassa delle altre, magari è un tipo alto.

Il campanello suona e vedo mia madre correre ad aprire.

Sarà l’ospite speciale che solo io stavo aspettando ansiosamente.

-Finalmente è arrivato Michael- dice un uomo sorridendo ad un altro.

-A me aveva detto che non sarebbe più arrivato- dice mio padre stranito da quell’affermazione del collega.

Michael, che bel nome! Come quello del mio idolo. Mi ritrovo a sorridere pensando anche solo per un attimo che possa essere lui.

Appena mi giro mi ritrovo un cane addosso che mi lecca tutta la faccia.

Scoppio a ridere per lo spavento che mi sono presa.

Lo accarezzo mentre continua a leccarmi ovunque togliendomi tutto il rossetto.

È bellissimo questo cane, sembra quasi…

-Mel, lascia stare la gente per bene!- ridacchia una persona con un accento inglese.

Mi blocco improvvisamente appena mi rendo conto a chi appartiene questa voce.

Alzo lo sguardo lentamente cercando di non sembrare una pazza e avere una reazione troppo esagerata a quella vista favolosa che sognavo da anni.

Eccolo lì con uno smoking rosso e nero che mi sorride porgendomi una mano.

-Molto piacere signorina Rossini, il mio nome è Michael Penniman ma può chiamarmi anche solo Mika o Michael come vuole- mi sorride mentre la mia mano, non so come, è arrivata a stringere la sua.

Lo guardo incantata per poi riprendermi e sorridergli.

-Molto piacere signor Penniman, io sono Cl…- mi blocca mettendomi un dito sulla bocca.

-Ho detto o Mika o Michael- ridacchia facendomi imbarazzare improvvisamente, dopotutto è sempre il mio idolo.

-Holbrook, il mio nome è Clarissa- dico velocemente ancora ridendo per prenderlo in giro.

-Vedo che conosce anche il mio secondo nome signorina Samantha- ridacchia anche lui rispondendomi a tono.

Adesso muoio, come è possibile che il mio idolo sappia il mio secondo nome? È praticamente impossibile che lo sappia.

Magari ha assunto un investigatore segreto per scoprire tutto sulla nostra famiglia oppure…

-Michael! Pensavo non venissi!- mio padre corre ad abbracciarlo come se fosse un vecchio amico di famiglia che non vede da anni.

-Marco!- gli sorride lasciandomi da sola con un vuoto.

Non posso credere che Michael Holbrook Penniman Junior sia qui a casa mia! Soprattutto che sia venuto per primo a salutare me, sa anche il mio secondo nome!

Clarissa devi calmarti, dopotutto è una persona normalissima come te che però ha già finito gli studi universitari e canta in ogni parte del mondo.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

-Hey, come hai fatto a venire? Avrei dovuto avvertire mia figlia prima di farti venire a casa. Almeno non è svenuta come l’ultima volta che gli ho portato a casa il tuo autografo. Non puoi immaginare! Non lo fa toccare nessuno e gli ha attaccato dello scotch per non farlo rovinare. Ora è appeso in camera sua incorniciato- ride mio padre facendo scoppiare anche tutti gli altri presenti tranne me.

Mi stringo nelle spalle e abbasso la testa imbarazzata.

Sarò sicuramente arrossita, mi sento avvampare appena i suoi occhi incontrano ancora una volta  i miei e non mi accorgo di aver trattenuto il fiato fino a quando non sono costretta a riprendere a respirare per non svenire davanti a tutte quelle persone in giacca e cravatta.

Mika mi sorride cercando di mascherare un’altra risata senza nessun risultato.

-Sono felice di aver conosciuto una mia fan così sincera- sorride mentre mio padre gli indica la sedia su cui sedersi a tavola.

Mia madre corre in cucina a preparare i piatti e io con lei.

Appena siamo lontane dagli occhi di quegli uomini lei inizia a parlare.

-Ok, forse dovevamo avvertirti un po’ prima che forse sarebbe arrivato ma non era sicuro da quanto credo tu abbia capito. Comunque hai mantenuto abbastanza bene la calma e continua in questo modo Clarissa. Te lo chiedo in ginocchio, non far fare figure a tuo padre- dice mia madre mentre mi passa due piatti da servire.

Torno nella sala da pranzo ignorando le parole di poco prima di mia madre.

Mi avvicino a mio padre per servirgli il piatto di spaghetti alle vongole che tanto gli piacciono.

Lui però non sposta le braccia da tavola e devo fare tutto il giro per non rovesciarglielo addosso. Lui mi guarda severo ma non riesco a capire subito il motivo fino a quando uno dei tanto colleghi di mio padre mi guarda desideroso di cibo e leccandosi le labbra.

Sposto il piatto all’uomo alla sua destra e gli servo il primo piatto un po’imbarazzata.

Poi guardo la persona al suo fianco e faccio un passo per servirgli il secondo piatto ma la sedia del primo uomo mi fa inciampare.

Mi ero già vista a terra con il piatto addosso al terzo uomo che mi rendo conto dopo un paio di secondi che è Mika.

Tutto questo sarebbe accaduto se due braccia non mi avrebbero afferrato per i fianchi impedendomi di cadere.

Mi giro e noto mio padre guardarmi severamente mentre il primo e il secondo uomo sghignazzano tra di loro, lo hanno fatto sicuramente apposta. Ma dove mi sono ritrovata? In una gabbia di matti?!?

Devo stare più attenta a dove metto i piedi perché sicuramente queste persone non si limiteranno solamente di una piccola perdita di equilibrio. Loro volevano vedermi far sfigurare mio padre, far perdere l’importanza del suo cognome e fargli perdere il lavoro, il lavoro che aveva raggiunto grazie a tanti sforzi.

Non potevo permettere che succedesse una cosa del genere, lo avevo sempre visto indaffarato e pronto per ogni cosa, si sarebbe anche trasferito dall’altra parte del mondo pur di continuare a fare quello che aveva sempre sognato.

Mi tiro su con un sorriso che più falso non potevano esisterne e a testa alta continuo a servire il secondo uomo.

Mel mi girava intorno scodinzolando rendendomi il lavoro ancora più difficile ma riuscivo a sostenere tutto.

Dopo mancavano quattro piatti: il mio, quello dei miei genitori e quello di Michael.

Devo scegliere cosa fare: andare da Mika e magari fare una figura orrenda per le sensazioni che mi fa provare la sua vicinanza oppure andare da mio padre e far fare una figura orrenda a mio padre per aver una figlia così maleducata da non servire prima il piatto agli ospiti.

Sono quasi all’idea di andare da mio padre quando mia madre mi supera e raggiunge mio padre velocemente nonostante abbia Mel tra le gambe.

La scelta è sparita: o vado da Mika o vado da Mika.

Mi avvicino lentamente a lui cercando di calmare il battito cardiaco e le mani tremanti.

Il respiro si fa sempre più pesante man mano che mi avvicino a lui ma cerco di pensare ad altro ma i miei occhi sono ormai posati sui suoi mentre mi sorride per incoraggiarmi.

Il mio sorriso ormai è diventato il più vero che io abbia mai fatto e non penso ad altro che ai suoi occhi sui miei e il piatto sulla mia mano destra è come se fosse sparito.

Il mio corpo è come sparito, sono caduta dentro ai suoi occhi color cioccolato fuso.

Cioccolato fuso, proprio fuso.

Forse è proprio quello che mi fa perdere l’equilibrio e mi obbliga ad appoggiarmi a qualcosa per non cadere.

L’unica cosa più vicina a cui posso attaccarmi per non cadere è la persona davanti a me e senza nemmeno pensarci mi ritrovo tra le sue braccia con il piatto di spaghetti che unge tutta la sua giacca.

Lui mi sorride nonostante abbia la giacca completamente sporca, sembra quasi che non se ne fosse accorto e mi mantiene ancora fortemente per non farmi cadere nonostante non sia più in piedi ma sulle sue gambe.

Per un paio di secondi rimango ancora persa nel suo sguardo completamente rilassato e mi scordo di tutto: i miei genitori che mi fissando scioccati, quelle persone orribili che mio padre ha il dovere di chiamare colleghi che mi guardano compiaciuti per aver qualcosa su cui sparlare di mio padre.

C’è solo lui, il mio Mika, l’uomo che avevo sempre desiderato di conoscere e amare.

Improvvisamente torno alla realtà e mi alzo di colpo dalle sue gambe e interrompendo il mio sorriso da ebete.

-Oddio la  prego mi perdoni, non volevo fare…quello che ho fatto. Sono scivolata e non sono riuscita a rimanere in piedi! Che casino che ho combinato!- inizio a scusarmi in tutte le lingue possibili ed immaginabili di questo mondo mentre gli strofino la giacca con un tovagliolo pulito.

-Clarissa, vai in cucina- scandisce bene le parole mia madre in tono duro e senza tralasciare nessun sentimento che fino a poco prima mi diceva di far vedere alla gente qui presente.

Mi allontano senza dire una parola da Mika.

A testa bassa cammino velocemente verso la cucina.

Appena ci arrivo mi ritrovo a specchiarmi sul fondo di una pentola.

Noto che un piccolo sorriso si nasconde ancora tra le mie labbra e l’unica cosa che posso fare è ingrandirlo fino a farlo diventare un vero e proprio sorriso.

Ero seduta sulle sue gambe con le sue mani sui miei fianchi mentre mi stringeva forte a se per impedirmi di cadere.

Ovviamente dovevo rovinare tutto con una normalissima figuraccia che non può mancare essendo la mia vita.

-Ah, ridi pure! Sei felice di aver rovinato la cena a tuo padre e probabilmente anche tutta la sua carriera nel lavoro? Non bisognerebbe essere felice di questo Clarissa! Perché devi sempre rovinare tutto? Non potevi rimanere da tua zia a vivere la tua vita da favola a Parigi? No, ovviamente dovevi venire da noi! Secondo me mia sorella non ce la faceva più con te! Per questo è morta, non è stato nessun cazzo di cancro a portarla via!- le lacrime erano iniziate alla frase: “Perché devi sempre rovinare tutto?”

Mia madre, mia madre non poteva arrivare addirittura a dirmi che la causa della morte della persona che più mi aveva amato in questa vita ero io…

Non ce la feci! Iniziai a correre.

Fuori, fuori da tutto.

Corsi in camera mia e appena mi riuscii a cambiare i vestiti e indossare le mie solite converse presi il mio cellulare e la mia borsa.

Corsi fuori da qui, fuori da casa mia.

Con le lacrime agli occhi prima di uscire notai di sfuggita Mika che mi fissava come se si sentisse in colpa ma in realtà la colpa era tutta mia.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

La musica mi rimbombava nelle orecchie e la sua voce mi calmava impedendomi di prendere a pugni la prima cosa che mi capitava sotto tiro.

Sto camminando per il paese da dieci minuti senza una meta precisa, aspetto solamente che i miei genitori si addormentino in modo da entrare senza ricevere la solita ramanzina da totale disastro che sono.

Ormai stanca di camminare al freddo e nel buio più totale mi siedo su una panchina che da su un piccolo laghetto.

Mi sono ritrovata nella parte più isolata del paese, qui ci vivono solo immigrati o comunque persone molto povere e non c’è buona gente da queste parti.

Ad ogni piccolo rumore mi giro spaventata, ho come il presentimento che succederebbe qualcosa di brutto se io rimanessi qui ma le mie gambe è come se fossero bloccate al terreno, ho troppo freddo e la paura mi ha bloccato completamente.

-Non dovresti essere qui- sento una voce roca dietro le mie spalle.

Mi irrigidisco girando lentamente la testa verso il luogo da dove proveniva la voce.

Io conoscevo quella voce: Marcus.

Marcus è un ragazzo dell’ultimo anno che fa parte del gruppo più temuto del paese, non ho mai avuto occasione di parlare con lui (fortunatamente) prima di questo momento.

Non parlo, mi limito a fissarlo…ha due lucidi occhi color nocciola che mi danno la conferma che è completamente fatto e l’unica cosa che devo fare è andarmene il prima possibile.

-Me ne vado subito, scusa- mi chiedo perché ho sempre questo vizio di scusarmi senza aver fatto nulla.

Mi alzo velocemente dalla panchina e senza aggiungere altro inizio ad allontanarmi da quel posto tanto tetro da farti sembrare di essere in un film horror.

-No aspetta!- lo sento urlare. Non riesco a capire il motivo del suo tono di voce. È così tranquillo e a tratti sembra quasi triste.

Non chiedetemi per quale motivo, io mi fermo e lo guardo con compassione.

-Non volevo farti sentire quella fuori posto, intendevo che non vieni mai qui, se ci vieni possono esserci due motivi: o vuoi qualcosa da fumarti, ma non mi sembra nel tuo caso. Oppure hai dei problemi familiari e cercavi un posto per rimanere da sola- mi fa segno di sedermi sulla stessa panchina di poco fa. Si è seduto appoggiando i gomiti sulle ginocchia per guardarmi meglio.

Mi avvicino ma non mi siedo, non mi fido di lui.

Però è davvero strano che mi abbia capito meglio un ragazzo che non conosco che una persona che magari mi conosce da anni.

-E tu per quale dei due motivi ti trovi qui?- gli chiedo senza trasmettere nessun sentimento da quella frase.

Ridacchia leggermente e porta lo sguardo sul terreno umido tra i suoi piedi.

-Un po’ per tutti e due. Per distrarmi mi fumo una canna, vuoi provare?- mi chiede mentre ne accende una che tira fuori dai suoi pantaloni.

Mi allontano guardandolo male.

-Hey calmati, era solo per chiedere- ridacchia ancora portandosi la sigaretta alla bocca.

Lo guardo mentre aspira tutto quel fumo dopo poco lo rilascia andare nell’atmosfera.

In casi come questi penserei a cose come l’inquinamento di un posto così bello in mezzo alla natura ma ora sono solamente attratta da quel modo così rilassato che dimostra mentre fuma una sigaretta che potrebbe rovinargli la vita.

Facendo un liceo sulla psicologia sono attirata da tutti questi modi di affrontare varie circostanze, questo ragazzo mi sta stupendo.

-Hey, è il tuo ragazzo quel tipo lì?- chiede Marcus indicando alle mie spalle.

Una figura alta e snella si sta avvicinando a passo spedito verso di noi.

Ha dei ricci che sono perfettamente riconoscibili anche al buio.

Mika…

-Clarissa, dobbiamo tornare a casa- dice appena mi è vicino prendendomi per un braccio violentemente.

Marcus lo guarda confuso ma senza muoversi di mezzo millimetro.

-Ciao Clarissa- mi saluta con un segno di mano.

Non gli rispondo, semplicemente penso al motivo per cui il mio idolo si trova qui e mi sta portando a casa in un modo così brusco.

-Ciao Clarissaa- fa una smorfia Mika imitando il ragazzo che fino a pochi minuti prima era stato stranamente gentile con me.

-Mika, che cosa ti prende?- gli chiedo puntando i piedi a terra dopo che siamo abbastanza lontani da quel quartiere spaventoso.

Lui si ferma guardandomi torvo.

-Non dovresti essere qui- mi dice la stessa ed identica frase che poco prima mi aveva detto anche Marcus.

Sembra irritato da tutto questo come se lo facesse innervosire.

-Perché sei qui Mika?- gli chiedo incrociando le bracci al petto per cercare di coprirmi un po’ di più e soffrire meno il freddo.

Lui a quella domando si irrigidisce leggermente ma dopo pochi secondi si tranquillizza leggermente.

-Andiamo in macchina che ti congeli- mi prende per un braccio ma io non mi muovo da quel posto, voglio delle risposte.

Lui si ferma rassegnato e dopo un leggero sospiro mi risponde quasi sussurrando:

-Sapevo che non saresti tornata a casa e che avresti preso un raffreddore pesante e forse anche la febbre se fossi rimasta in giro con questo freddo- disse guardandomi negli occhi, forse era solo preoccupato per me.

Ma per quale motivo era così irritato dalla presenza di quel ragazzo?

Che forse…nooo impossibile!

-Vieni ti porto a casa mia- mi sorride avvicinandomi a lui.

Mi mette un braccio sulle spalle per riscaldarmi e insieme raggiungiamo la sua macchina.

Mi fa entrare in un suv con i finestrini oscurati e mi passa una giacca, dev’essere la sua.

Gli sorrido per il gesto davvero gentile e mi allaccio la cintura mettendomi comoda sul mio sedile.

Per tutto il viaggio nessuno dei due parla, io guardo continuamente fuori dal finestrino le case che mi passano davanti, tutte ville enormi dove magari vivono solamente due persone.

Mi chiedo come facevano i reali a sentirsi a proprio agio nel proprio castello quando non potevano nemmeno dormire con il re che per la maggior parte delle volte non amavano.

Se era così era un bene forse ma se non lo fosse? Se si fossero veramente innamorate del marito? Non si sentivano soli a vivere con tutti quei servitori in una casa così grande?

Ad interrompere i miei pensieri è il freno della macchina che parcheggia nel garage di una casetta a schiera molto carina.

Scendo seguendo Mika che mi fa strada fino al portone.

Fino a qualche giorno fa sognavo di sentirlo cantare in un concerto mentre ora sono qui, a casa sua, sembra impossibile.

Mi fa entrare e appena accende la luce con un battito di mani un salotto bellissimo mi si para davanti.

C’è un divano di mille colori e dipinti di ogni genere sulle pareti.

La televisione non è tanto grande ma l’oggetto che cattura di più la mia attenzione è un pianoforte al centro della sala.

Guardo il pianoforte come incantata, è nero ed è lucidissimo senza nemmeno un’impronta di dita.

Senza rendermene conto mi ero avvicinata ad esso e gli giravo intorno osservandolo in ogni dettaglio.

-Ti piace?- mi riporta alla realtà Mika.

Lo guardo con ancora una faccia da ebete e gli sorrido.

-Lo amo, ti fidi di me se ti dico che non ne ho mai visto uno dal vivo?- continuo a girarci intorno.

Mika mi raggiunge poco dopo essersi tolto la giacca dello smoking.

Mel gli gira intorno mentre si siede sullo sgabello dietro il pianoforte.

Inizia a suonare qualcosa di allegro e la stanza si riempie di quelle note che ti trasmettono tanta allegria.

-Ti va di cantare qualcosa?- chiede sorridendo come un bambino a cui si regala il suo giocattolo preferito.

-Non sono molto brava ma va bene- gli sorrido imbarazzata.

Mi fa sedere vicino a lui e mi indica il foglio dove c’è scritto il testo della sua canzone più famosa: Grace Kelly.

 

Do I attract you?
Do I repulse you with my queasy smile?
Am I too dirty?
Am I too flirty?
Do I like what you like?

 Inizia a cantare lui sorridendo.

La sua voce è qualcosa di straordinario…mi sembra un sogno essere qui ad ascoltarlo per davvero.


I could be wholesome
I could be loathsome
I guess I'm a little bit shy
Why don't you like me?
Why don't you like me without making me try?

Continuo io cercando di non fare brutte figure.

I try to be like Grace Kelly
But all her looks were too sad
So I try a little Freddie
I've gone identity mad!

I could be brown
I could be blue
I could be violet sky
I could be hurtful
I could be purple
I could be anything you like
Gotta be green
Gotta be mean
Gotta be everything more
Why don't you like me?
Why don't you like me?
Why don't you walk out the door!

How can I help it
How can I help it
How can I help what you think?
Hello my baby
Hello my baby
Putting my life on the brink
Why don't you like me
Why don't you like me
Why don't you like yourself?
Should I bend over?
Should I look older just to be put on your shelf?

I try to be like Grace Kelly
But all her looks were too sad
So I try a little Freddie
I've gone identity mad!

I could be brown
I could be blue
I could be violet sky
I could be hurtful
I could be purple
I could be anything you like
Gotta be green
Gotta be mean
Gotta be everything more
Why don't you like me?
Why don't you like me?
Walk out the door!

Say what you want to satisfy yourself
But you only want what everybody else says you should want

I could be brown
I could be blue
I could be violet sky
I could be hurtful
I could be purple
I could be anything you like
Gotta be green
Gotta be mean
Gotta be everything more
Why don't you like me?
Why don't you like me?
Walk out the door!

I could be brown
I could be blue
I could be violet sky
I could be hurtful
I could be purple
I could be anything you like
Gotta be green
Gotta be mean
Gotta be everything more
Why don't you like me?
Why don't you like me?
Walk out the door!

All’ultima nota ci guardiamo e dopo pochi secondi scoppiamo a ridere, lui si appoggia alle mie spalle mentre ridiamo come matti…solo in quel momento mi rendo conto dei pochi centimetri di distanza che ci dividono…

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