Diario ironico di una Sfigata.

di WordsEnchantress
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il mondo è un posto strano. ***
Capitolo 2: *** Tu li odi i bambini poveri? ***
Capitolo 3: *** Non so se mi spiego. ***
Capitolo 4: *** "Sì, quello." ***



Capitolo 1
*** Il mondo è un posto strano. ***


Sono una sfigata.
Non cerco dissenso o consolazione: ne sono consapevole e ho imparato ad accettarlo, a riderne.
Prendo la sfiga e la sconfiggo a suon d’ironia.
Questo non mi ha aiutata, comunque, quando al primo giorno di università sono inciampata in una panchina. Sì, una panchina INTERA. Davanti a tutti. Benvenuta in Bicocca!
Penso sia stato il preludio alla vita che conduco quotidianamente.
Mi alzo alle 5.45, orario che faccio fatica anche solo a percepire come reale. Mi trascino in bagno e il mio gatto, detto anche Terminator, Attila il re degli Unni, il Distruttore, Cicciobeso e così via, si arrampica miagolando sulle mie gambe e dorme lì. Quando finalmente riesco a farlo sloggiare mi sono già congelata le chiappe.
Arranco per la città alle 6.30 per prendere il treno delle 7.00.
Sorrido, è vuoto. Mi siedo e attendo.
Ci sono solo altri tre passeggeri in tutto il treno e vengono a sedersi proprio nel MIO scomparto. La signora sembra essersi lavata con dell’aglio. Il signore si alza e decide di mettere la giacca nello scomparto sopra il sedile. La piega. Le giacche non si piegano, signore caro, le giacche a vento imbottite si appendono. Non funziona, la ripiega. La spiega e la ripiega e la rispiega. La appallottola. Non ci sta nello scomparto. La lancia sul sedile e ci si siede sopra.
Dopo la prima mezz’ora di viaggio mi addormento. A ogni fermata mi sveglio annaspando pregando Odino che non sia la mia.
Dopo un’ora di viaggio sono più stressata che altro. Le lezioni sono inutili: il prof viene sostituito da un’assistente con il complesso di Dio. Studio altro, mi addormento, studio altro.
Evviva l’università.
Poi c’è il lavoro. Lavorare come cameriera è una delle cose più stancanti che abbia mai fatto, ma più di tutto è un’occasione per osservare la complessità umana.
Persone che ti chiedono di portargli “mezza bustina di zucchero”. MEZZA. BUSTINA. DI. ZUCCHERO. Ma sei serio?!
Gente che ti chiede all’una di notte se gli spaghetti allo scoglio li fate ancora.
Impieghi un’ora a spiegare a un tipo che NO, se quel drink ipersupermegaalcolico non è sulla lista allora non lo facciamo e questo, dopo averti mandata dalla responsabile millemila volte per esserne sicuro, ti guarda e fa: “Vabbè, allora una piadina.”
IL MONDO è UN POSTO STRANO.

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Capitolo 2
*** Tu li odi i bambini poveri? ***


A quanto pare l’ironia è un meccanismo di difesa. Lo dicono gli psicologi e loro sono un po’ dei prestigiatori quindi ok, niente da dire.
Il problema è che non tutti la colgono, il mondo è pieno di ignoranti. Tu sei ironica e passivo - aggressiva nei loro confronti e questi ti sorridono con aria ebete quasi a ringraziarti.
Penso che, a questo punto, la tecnica del “metti la cera, togli la cera” sia più efficace.
Ogni tanto credo di essere allergica all’umanità. Guardo certi individui e penso: “certo che in tutti questi anni di evoluzione potevamo fare un po’ meglio.”
 
Una brutta categoria sono quelli che io definisco con il nome, tecnico ed estremamente professionale, “i tizi dei volantini”.
Oh, no, non parlo dei volantinari classici. Mi riferisco all’ultimo stadio della loro evoluzione, ai Charizard dei volantini.
Sono ominidi che hanno sviluppato nei secoli delle frasi-tipo allo scopo di fermarti per strada.
“Oggi è la giornata mondiale contro il cancro.”
Stupendo, meraviglioso, una causa importantissima: peccato che passo in questa maledetta via di Milano tutti i giorni e tutti i giorni mi dici la stessa cosa.
“Attenta, ti è caduto il sorriso.”
Questa non lo commento perché sono troppo occupata a provare pietà per chi l’ha inventata.
“TU LI ODI I BAMBINI POVERI?!”
Ah, la mia preferita. La bomba dei volantinari.
“Mah, guarda, cosa vuoi che ti dica? Certo! Soffoco i cuccioli dei miei vicini di casa e faccio lo sgambetto alle vecchiette al supermercato. Scusa, perché scappi?”
MA CHE DOMANDA è?!
 
Un’altra categoria sono le persone-colla. Di solito sono insensibili a ogni forma di ironia o cinismo, sordi ai rifiuti, stalker senza pietà e privi di ogni percezione della privacy o anche solo del banale vivere civile.
Si approcciano in qualsiasi modo: treno, lezione, social network, lavoro, locali o anche per strada.
Cercano contatto fisico indesiderato, ti parlano come se fossi il loro psichiatra e dopo un millesimo di secondo ti ESPRIMONO IL LORO AFFETTO.
Puoi ignorarli, combatterli e insultarli, ma ormai l’imprinting è avvenuto.
Vi perseguiteranno fino all’arrivo di una nuova preda.
 
Tra i miei preferiti ci sono gli arroganti.
Non importa cosa stiano dicendo, quello che arriva alle mie orecchie è “Io sono figo e tu sei una pezzente. Pezzente. Pezzente. Sono figo. Pezzente.”
Che è poi quello che pensano.
 
E poi la categoria vincitrice del premio Nobel:
Quelli dalla domanda stupida.
Sono rimasti ancorati alla fase “dei perché” da quando avevano sei anni.
“Perché scrivi?”
“Lo trovo stimolante.”
“Perché non scrivi degli orrori della guerra?”
“Non è il mio stile.”
“Ma è una tematica importante.”
“Anche la ricerca sulle cellule staminali, questo non significa che dovrei scriverne un racconto.”
“Perché no?”
“Sarebbe noioso, non sarei capace.”
“Certo, capisco. Quindi niente tematiche di guerra?”
“No.”
“Peccato. Allora potresti parlare dei soldati in Iraq.”
“OH GIUSTO, COSì è DIVERSO.”
“Eh infatti, e almeno parleresti indirettamente della guerra.”
 
Muri di gomma contro l’ironia. Cari psicologi, come strumento di difesa va bene anche una testata?

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Capitolo 3
*** Non so se mi spiego. ***


Adoro osservare la folle, ma al contempo prevedibile, natura umana.
Le persone hanno quella malsana capacità di affascinarmi tanto quanto mi fanno arrabbiare.
 
Un esempio? Le persone anziane.
Quello dell’indifeso, dolce nonnino è ormai uno stereotipo in via di estinzione. Forse non ve ne siete accorti, ma i vecchietti sono MALVAGI.
E non scherzo, badate bene, malvagi sul serio.
 
Gli uomini si dividono in tre grandi categorie.
Abbiamo i pervertiti, ciondolanti e ripugnanti adagiano le loro chiappe molli sulle panchine in centro e fanno apprezzamenti a gran voce, guardando il sedere di ragazzine che potrebbero essere le loro pronipoti.
Poi ci sono i vecchietti “dei bei tempi andati”. Ah, ai miei tempi! Non ci sono più i giovani di una volta!
ATTENZIONE: se vi bloccano per strada diventano come le sabbie mobili, evitate movimenti bruschi.
Infine ci sono quelli incazzati. “Ué tusa! E la cacca del cane? Disgraziata!” Anche se questo è solo un esempio. Si aggirano con la faccia rattrappita in una smorfia di disgusto verso l’universo, si lamentano dei dolori, del tempo, dei politici, dei giovani, dei cani, dei giovani, dei bambini, dei giovani, dei vicini e dei giovani.
A voi non rimane che sperare si tratti di borbottoni, in quel caso si limiteranno a mugugnare qualcosa alle vostre spalle, piuttosto che di pazzi urlatori.
“Alura, semm chi a laurà o no?!”
 
Poi ci sono le affabili donnine: e loro rientrano tutte nella stessa categoria. Le famigerate PETTEGOLE LAMENTONE.
Sanno sempre tutto di tutti, infatti i loro discorsi iniziano più o meno così: “Hai sentito della figlia della cugina della zia dell’amico del cugino di secondo grado della MariaGiuseppina? HA DIVORZIATO QUELLA DISGRAZIATA.”
E, per l’appunto, si concludono con insulti gratuiti.
Ti spiano dalla finestra della casa di fronte con una grazia che nemmeno Lara Croft, cosa che non mi ha mai moralmente impedito di portare il cane con i pantaloni a quadri del pigiama, tanto per essere chiari.
 
Potrei fermarmi ad analizzare molte altre categorie della specie umana, e lo farò più avanti, ma oggi voglio narrare un aneddoto che ha della magia.
 
Qualche giorno fa mi scrive un tizio su facebook, mi chiede come sto e non rispondo. Della serie: fingiti morta che magari se ne va.
Lui, però, non sembra turbato del mio “visualizzato alle”, che sta anche per “non ti vorrò parlare né ora né mai”, anzi, sembra esserne rinvigorito.
Mi arriva un papiro dettagliato della sua vita sentimentale, in cui mi narra di come la sua ragazza gli abbia spezzato il cuore.
E qui vi chiedo di soffermarvi sulla raffinatezza della tecnica “rimorchiare facendo leva sulla pietà”.
Poi con abile mossa mi dice di aver letto TUTTO IL MIO PROFILO. E intendo proprio tutto, tutti i post da quando mi sono iscritta a oggi.
Se volevi spaventarmi bastava dirlo.
E dopo mille pagine di drammi interpersonali, di cuori infranti, di frasi strappa lacrime, di messaggi da stalker professionista conclude scrivendo… SUSPANCE…
 
Se vuoi possiamo consolarci a vicenda, non so se mi spiego.
 
Piuttosto mi depilo usando l’acido muriatico.
NON SO SE MI SPIEGO.

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Capitolo 4
*** "Sì, quello." ***


Libreria Mondadori.
Entro, vago per gli scaffali, chiedo di un libro che non arriverà mai.
Ovviamente non c’è, ma, prima che possa ringraziare la commessa, vengo letteralmente scavalcata da una coppietta. Avranno all’incirca la mia età.
Scocciata mi sposto verso il ripiano più vicino e guardo ancora un po’ di titoli, ascoltando la conversazione peggiore che orecchio umano abbia mai udito.
 
“Buongiorno, volevo chiedere se avevate tipo dei libri.”
A parte che una frase formulata in cotale modo è da schiaffi per tutti i secoli dei secoli amen, ma soprattutto: per esserci i libri, ci sono, poco ma sicuro, non sei mica entrata in farmacia. Quali ci siano, poi, è un’altra storia.
La commessa annuisce.
La tipa sta zitta.
“Quali?”
“Ah sì, giusto, i titoli.”
Quella cosa totalmente inutile. Che gente pretenziosa, ‘nvedi questa, non ha nemmeno imparato a leggermi nel pensiero.
“Mi dica...”
“Allora: mia sorella cercava un libro… aspetti che me lo sono scritta… Novecento di…”
La povera commessa non fa in tempo a dire “Baricco” che la tipa la interrompe.
“Guardi non ho segnato l’autore, ma sarà uno di quelli lì famosi. Boh, tipo, cioè, Moccia… presente?”
 
COLPO APOPLETTICO.
OH AMANTI DELLA LETTERATURA DI TUTTO IL MONDO UNITEVI.
ECLISSATI ESSERE IMMONDO!
 
La commessa sbianca, suda e poi mormora: “Alessandro Baricco.”
“Sì, quello”.
 
Q. U. E. L. L. O.
 
“Poi, boh, per un regalo mi avevano consigliato un libro fantasy, di fantascienza.”
“Fantasy o di fantascienza?”
“Beh – aria saccente – è la stessa cosa.”
 
NO, NON LO È.
 
“Non proprio. Ha un autore in mente?”
“Mmm, sì. Ma non so se lo avete, che non è famoso. Tipo, Martino. Una cosa così.”
“George Martin?”
“Sì, quello.”
 
Q. U. E. L. L. O.
 
L’accompagna a prendere i libri. Lei va, torna e sussurra al ragazzo.
“Oh, al giorno d’oggi scrive chiunque.”
 
No, al giorno d’oggi parla chiunque, che è anche peggio.
Credevo che persone come lei, in posti sacri come le librerie, si sciogliessero come i vampiri alla luce del sole, come le streghe nell’acqua, come Berlusconi alla parola “galera”.
E invece no.
Persistono nella loro inutile esistenza.
Vorrei poi sottolineare il ruolo cruciale del suo ragazzo.
Lui… ANNUIVA.
Tutto, ma dico tutto, il tempo. A caso, sempre, a ogni stramaledetta eresia uscita dalla bocca della sua dolce metà.
Per un attimo ho creduto che gli si staccasse la testa dal collo.
 
Pagano e poi si aggirano ancora un po’ tra gli scaffali.
“Certo che mia sorella dice di amare i libri ma gli autori italiani fanno proprio schifo. Poi non è vero che legge tanto, guarda sto librettino – sventolando Novecento – è minuscolo. Neanche i bambini delle elementari. Mi prende sempre in giro ma io almeno mi sono letta un’intera trilogia.”
“Ah-ah.” Risponde, miracolosamente il ragazzo. Annuendo, s’intende.
“Fanno anche il film. Che figo l’attore! Scusa amò, ma è proprio figo. Poi recita praticamente n-u-d-o.”
“Ah-ah. Quale film?” DUE PAROLE, sono sconvolta.
“Daii, te ne avevo già parlato. 50 sfumature di grigio.”
 
Ah, ecco.
Allora scusa.

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